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La Toscana nuova Aprile 2022

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I libri del

mese

Gianna Pinotti

Un romanzo per svelare i segreti di Leonardo Pisano

di Erika Bresci

Della vita di Leonardo Pisano (1170-1250 ca.), forse

meglio conosciuto come Fibonacci, figlio del mercante

Guglielmo Bonacci (da qui il soprannome

Fi[lius] Bonacci), si conosce in realtà ben poco. Documentati

sono i suoi numerosi viaggi compiuti alla ricerca della

“fonte del sapere” – dall’Egitto alla Siria, alla Grecia, alla Sicilia.

Documentate anche la sua amicizia con Michele Scoto,

filosofo, astrologo e scienziato, e la stima reciproca tra Leonardo

e l’imperatore Federico II, entrambi aperti alle novità e

ai validi contributi di conoscenza provenienti da quel mondo

arabo nemico giurato in tempi di crociate e rivendicazione

di primato dell’Occidente. Gianna Pinotti, che, saldamente

ancorata a una solida formazione scientifica, nella vita esercita

«l’attività di pittrice nel campo dell’astrazione geometrica

e di ricercatrice nel campo dell’iconologia astrologica»,

muove da questo esile nucleo di informazioni, le fa proprie

e ci ricama sopra – dall’algerina Béjaïa, centro dell’attività

commerciale del padre, fa partire, ad esempio, Leonardo in

un tempo e in un viaggio fantastico, arricchendo il percorso

di traiettorie immaginate, e includendo località quali Alessandria

d’Egitto e Al Kaira, Gerusalemme e Damasco, Hama,

Atene e Siracusa. Con partecipata passione ma anche con

lo scopo didascalico di far conoscere meglio caratteristiche

umane e ricerca scientifica di un uomo tanto affascinante

quanto misterioso, intesse così una biografia romanzata

densa di fascino e traboccante di infiniti spunti di riflessione.

Se ne vogliono qui sottolineare due. Il primo, ovviamente, relativo

alla figura e all’importanza storica di Leonardo Pisano.

Uomo rivoluzionario, mercuriale, «dall’intelligenza mobile [...]

una mente profonda, disposta a sfidare l’insolito attraverso il

paradosso», Fibonacci, che aveva la «tendenza ad annoiarsi

della consuetudine», che spesso si abbandona «a fantasticare

sulle meraviglie presenti in natura», si avvicina al mondo

della matematica indo-araba, ne impara la grammatica nuova,

ne comprende sia il valore pratico, soprattutto in campo

commerciale a lui vicino, sia filosofico ed essenziale, riconosce

nel numero la chiave di volta capace di reggere e farsi interprete

dell’ordine di quel cosmo di cui anche l’uomo è parte,

ponte tra materiale e spirituale. La grande civiltà greco romana

aveva prodotto una numerazione ancora utilizzata ai tempi

di Leonardo ma che non rispondeva più ai nuovi bisogni, al

progredire della conoscenza. La fatica provata dai mercanti

(e non solo) alle prese con il computo sull’abaco, Pinotti, provocatoriamente

e con sorniona saggezza, la fa provare anche

al lettore, aprendo il primo capitolo con la data di inizio di

questa avvincente storia – storia di un uomo ma anche storia

di tutta l’umanità: «Era il XXVIII maggio MCLXXIX», facendola

poi subito seguire dalla rassicurante parentesi «(28 maggio

1179)». Quanto grati, dunque, dobbiamo essere a questo

esuberante studioso pisano, alla sua ostinata intraprendenza,

al suo andare fuori dalle regole imposte, a non rifiutare

una “buona idea” solo perché a offrircela è qualcuno di diverso

da noi! L’altra riflessione. Nell’intrigante racconto di Gianna

Pinotti, Leonardo cerca per tutta la vita la soluzione atta

a completare la costruzione della torre di Pisa, interrotta dopo

il primo cedimento del terreno sottostante. Calcoli, idee,

disegni, progetti che Leonardo condivide con i suoi allievi, ai

quali lascia poi in eredità il compito di portarla a compimento.

E la torre, alla fine, con i suoi tre ordini di scale interne, e i

suoi sei piani più cella campanaria, risplende oggi nell’incredibile

Piazza dei Miracoli, è essa stessa un miracolo. Ecco, la

conoscenza, quando è condivisa, segna i suoi maggiori successi

e progressi, si fa torre che innalza l’uomo a Dio, riesce

a comprendere e applicare il linguaggio dell’universo. L’altra

torre, quella di Babele, che si inventa linguaggi che partono

dalla finitudine umana e parcellizza le forze, disperde i significati,

si incancrenisce ostile nella propria arroganza è invece

miseramente destinata alla polvere e all’oblio, perché, come

sostiene Sant’Agostino, «le parole non sono state inventate

perché gli uomini s’ingannino tra loro ma perché ciascuno

passi all’altro la bontà dei propri pensieri».

GIANNA PINOTTI

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