la vita cronica - Odin Teatret
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fame e si beve senza avere sete. Sono quel<strong>la</strong> che, a metà spettacolo, è<br />
accettata in questo paese di Bengodi con una cerimonia d’azzoppamento che<br />
mi dà il permesso di salire sul<strong>la</strong> "zattera" del benessere. Non posso essere lì già<br />
dall’inizio dello spettacolo. Così, un giorno, improvvisamente, è Roberta che<br />
deve coprire <strong>la</strong> cassa con stoffe che io le passo da fuori. Poi, durante le prove<br />
aperte al Grotowski Institute a Wroc<strong>la</strong>w in Polonia, Eugenio spiega che non<br />
appartengo allo spazio degli altri e mi chiede dove potrei fare <strong>la</strong> prima scena<br />
in cui mi presento. Mi dispero ancora all’idea che non mi rimanga neanche <strong>la</strong><br />
prima camminata, di essere relegata tutto il tempo allo stretto corridoio<br />
davanti agli spettatori e poter salire sul<strong>la</strong> scena solo quando è già piena di altre<br />
persone. Riesco a salvare <strong>la</strong> mia identità e <strong>la</strong> mia necessità di spazio<br />
suggerendo che sia Tage a buttarmi fuori. Questo rende più chiaro il ruolo di<br />
Tage, oltre che il mio.<br />
Ora però, da rifugiata, per non essere patetica, devo mostrare anche di<br />
possedere cattiveria. Ricevo il compito di maltrattare Sofía, l’unica che ha meno<br />
potere di me. Aumenta il fastidio che causo agli spettatori colpendo le loro gambe<br />
mentre passo di corsa nello stretto corridoio fra loro e <strong>la</strong> scena. Un giorno scoppio<br />
a piangere. Gli osservatori/spettatori guardavano nel<strong>la</strong> direzione contraria a<br />
quel<strong>la</strong> da cui mi avvicinavo di gran corsa. In una frazione di secondo mi sono resa<br />
conto che avrei inciampato rischiando di fare male a qualcuno. Ho gridato e subito<br />
dopo <strong>la</strong> tensione ha provocato in me <strong>la</strong>crime. "Non mi piace vederti piangere", mi<br />
dice Ana Woolf, una delle assistenti al<strong>la</strong> regia, al<strong>la</strong> fine delle prove. Cosa è<br />
successo? Quando ancora lo spettacolo non è fissato e incorporato, ogni passo,<br />
ogni azione, ogni reazione, comporta totale attenzione. La fi<strong>la</strong>ta è una situazione<br />
di rischio continuo, in cui sono tesa al massimo per interagire, assorbire e<br />
ricordare. Gli imprevisti che si devono risolvere senza il tempo per pensare<br />
esplodono come un pallone gonfiato allo spasimo, colpiscono come un pugno a<br />
sorpresa, perché <strong>la</strong> sensibilità è acutizzata al massimo. Ma piangere è anche una<br />
protesta, un modo per far capire al regista che il problema dello spazio invaso<br />
dalle gambe degli spettatori è serio.<br />
Da un giorno all’altro lo spazio cambia totalmente. Gli spettatori che erano<br />
disposti a U su tre bordi del<strong>la</strong> "zattera" sono invece disposti su due <strong>la</strong>ti, gli uni di<br />
fronte agli altri. Davanti al<strong>la</strong> "zattera", che è stata fino ad ora lo spazio scenico<br />
degli attori, si crea un grosso vuoto che deve essere riempito. Durante <strong>la</strong> prova<br />
Eugenio corre da un attore all’altro per cambiare le re<strong>la</strong>zioni spaziali che abbiamo<br />
imparato nei mesi passati. Noi cerchiamo di seguire le indicazioni capendo poco<br />
di quello che succede, adattando al<strong>la</strong> meglio il timing con gli altri. Quando<br />
riprendiamo le prove dopo una settimana di pausa, mi diverto a vedere lo<br />
sconcerto del regista di fronte al<strong>la</strong> totale confusione dei suoi attori. Sembriamo