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«lotta contro la realtà». Cleese<br />
si è limitato a ribattere che,<br />
nonostante la sensibilità<br />
moderna, lo sketch non verrà<br />
rimosso.<br />
Contro Cleese, Brooks e tanti<br />
altri artisti maiuscoli, si ergono<br />
i paladini del wokeism, una<br />
giovane generazione di persone<br />
che si è scoperta capace<br />
di raddrizzare ogni stortura,<br />
denunciando a pieni polmoni<br />
ogni battuta, sketch o opera<br />
artistica che si permetta di<br />
ironizzare o fare satira su una<br />
qualche minoranza etnica o di<br />
altro genere.<br />
Una prima perplessità rispetto<br />
ai “ragazzi woke” è questa:<br />
la cosiddetta generazione Z<br />
vanta oggettività e capacità di<br />
analisi tali da permetterle di<br />
separare la fuffa dalla sostanza?<br />
In breve, è sveglia abbastanza<br />
per arrogarsi un tale<br />
fardello ma, soprattutto, lo è<br />
nei fatti imprescindibili e non<br />
di superficie?<br />
La questione è complessa e<br />
delicata sicché, per meglio<br />
eviscerarne i punti salienti,<br />
abbiamo chiesto alla regista<br />
e attrice di origini vicentine<br />
Giuliana Musso, autrice di un<br />
teatro della compassione che<br />
scandaglia fatti della contemporaneità<br />
con originalità e<br />
pluripremiato talento, di darci<br />
il suo punto di vista.<br />
L’opinione di Giuliana Musso<br />
«I linguaggi della comicità<br />
e della satira vanno difesi,<br />
questo è certo. Ma va fatta una<br />
considerazione: chi ride dei<br />
deboli, delle vittime, sta prendendo<br />
una posizione precisa a<br />
fianco ai loro carnefici» attacca<br />
lapidaria.<br />
La “cancel culture” imperante,<br />
però, non si limita a rimuovere<br />
le statue e i simboli del male<br />
conclamato (pensiamo alle<br />
statue di sanguinari dittatori<br />
abbattute alla caduta dei loro<br />
regimi); sta prendendo piede<br />
infatti l’intenzione di censurare<br />
quelle opere artistiche del<br />
passato che non rispettano la<br />
già citata sensibilità moderna.<br />
L’iterazione della parola<br />
“negro”, ad esempio, fa sì che<br />
gli studenti afroamericani negli<br />
States condannino il capolavoro<br />
della lettura picaresca<br />
di Mark Twain Le avventure di<br />
Huckleberry Finn, così come<br />
alcuni storici cartoni animati di<br />
Walt Disney. Per Disney si parla<br />
addirittura di rimuovere le scene<br />
incriminate dalle prossime<br />
edizioni in dvd, modificando<br />
così un’opera senza il volere<br />
del suo creatore, avvalendosi<br />
al massimo dell’autorizzazione<br />
di quelle società che ne detengono<br />
i diritti e non vogliono rischiare<br />
un calo di gradimento.<br />
«Certo, possiamo rimuovere la<br />
statua di un dittatore, poiché<br />
si tratta di un simbolo negativo<br />
ben preciso - prosegue la<br />
Musso - Se lei vedesse in una<br />
piazza una statua di Hitler,<br />
cosa penserebbe? Rimuoviamo<br />
uno di quei simboli perché è<br />
chiaro che ci ricorda l’omaggio<br />
a qualcosa che non vogliamo<br />
omaggiare. Credo si possa<br />
modificare l’iconografia, a<br />
patto che la ragione per cui<br />
si fa sia una ragione compresa<br />
e condivisa, motivata e<br />
rispettosa. Però mi chiedo:<br />
è più importante rimuovere<br />
una statua o osservarla con lo<br />
sguardo giusto? Il problema va<br />
spostato sulla consapevolezza,<br />
sul rispetto delle vittime della<br />
Storia. È questo che deve essere<br />
assurto come punto zero».<br />
E anche sulla questione della<br />
censura a opere d’arte del passato,<br />
l’attrice espone una posizione<br />
non scontata: «Si tratta<br />
di un falso problema. L’unica<br />
forma di censura che dobbiamo<br />
temere è quella che viene<br />
imposta da chi ha il potere. Il<br />
resto possono essere discorsi<br />
aperti, il vero problema non<br />
sta lì. Pensiamo all’Huckleberry<br />
Finn: è più importante bandire<br />
un testo dove compare iterata<br />
la parola ‘negro’ o passare il<br />
messaggio di cosa sia significata<br />
questa parola in un epoca<br />
di terribili violenze, mancanza<br />
di diritti e sfruttamento della<br />
popolazione di colore?».<br />
E l’artista? Come si dovrebbe<br />
muovere un artista, sospeso<br />
sulla tela di ragno della sensibilità<br />
moderna? E se la censura<br />
del potere avesse educato le<br />
nuove generazioni a una prudente<br />
autocensura, per scansare<br />
seccature e rischi più grandi?<br />
«Nell’arte, l’autenticità di un<br />
artista non è un lusso - replica<br />
netta la Musso - è un fattore<br />
organico e indispensabile. Il<br />
problema non è dell’arte ma<br />
della società, che può consentire<br />
o non consentire l’espressione<br />
artistica per ciò che è.<br />
Ciò che stiamo perdendo, a<br />
ben guardare, è la capacità di<br />
tenere insieme nella società le<br />
posizioni diverse. Questo è un<br />
momento drammatico. In una<br />
società veramente democratica,<br />
non ci dovrebbe preoccupare<br />
così tanto se viene espresso<br />
qualcosa che non ci trova<br />
d’accordo: anzi, ci dovrebbe<br />
preoccupare l’opposto, e cioè<br />
che quel qualcosa in cui non<br />
siamo d’accordo non possa essere<br />
esposto. E invece stiamo<br />
solo stringendo le maglie».<br />
Mel Brooks in una foto di Angela George, CC BY-SA 3.0<br />
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10257010<br />
Una celebre massima, erroneamente<br />
attribuita a Voltaire,<br />
recita: «Non la penso come<br />
te ma darei la vita per farti<br />
dire quello che pensi». È quel<br />
che accade nell’Italia multiculturale<br />
del <strong>2023</strong>? «È esattamente<br />
l’opposto - conclude<br />
l’attrice -. Oggi a teatro ciò<br />
che è lievemente disturbante<br />
o perturbante fa fatica a<br />
trovare spazio. Sono decenni<br />
che la cosa va avanti e adesso<br />
noi artisti la sentiamo più che<br />
mai e riguarda ogni settore,<br />
dalla prosa alla satira e fino alla<br />
scrittura per la televisione. È<br />
questo che ci deve preoccupare.<br />
Filosoficamente parlando,<br />
il punto è che troviamo molto<br />
conforto nell’adattamento e<br />
nell’adeguamento alla struttura<br />
gerarchica della società:<br />
per fare contenti i capi, siamo<br />
disposti a tutto. E, di conseguenza,<br />
pretendiamo la stessa<br />
cosa da chi ci sta sotto. Il diritto<br />
alla Parola, dunque al Pensiero,<br />
non è più un diritto naturale<br />
ma acquisito, a seconda della<br />
nostra posizione gerarchica.<br />
In una situazione del genere<br />
l’unico antidoto, a mio avviso,<br />
è tenersi saldi al nostro cuore.<br />
Sembra una risposta assurda,<br />
ma in realtà ho molta fiducia<br />
nel sentimento, quel sentimento<br />
che è legato alla verità<br />
dei corpi e che è più forte del<br />
pensiero».<br />
Per chiudere il cerchio su una<br />
situazione a oggi irrisolta,<br />
torniamo alle dichiarazioni di<br />
Brooks. Il regista, denunciata<br />
«la società del politically<br />
correct che sarà la morte<br />
della commedia», aggiunge<br />
nella già citata intervista una<br />
postilla che ribalta la situazione.<br />
Quando il giornalista gli<br />
chiede se esiste un soggetto<br />
che non impiegherebbe per<br />
scopi comici egli evidenzia<br />
che, sì, temi come le camere<br />
a gas e la tragedia degli ebrei<br />
per mano dei nazisti dovrebbero<br />
essere intoccabili. E qui,<br />
crolla l’effcacia della denuncia<br />
brooksiana: perché se ogni<br />
artista rivendicasse paletti etici<br />
e morali in base alla propria<br />
appartenenza a una qualche<br />
etnia o gruppo specifico (nel<br />
caso di Brooks, le origini ebraiche),<br />
ci ritroveremmo al punto<br />
di partenza, nell’immobilismo<br />
di una società globalizzata in<br />
cui ogni passo solleva il polverone<br />
di un’indignazione vicina<br />
o lontana, gettando l’artista<br />
nell’incapacità di raccontare<br />
la propria storia senza una<br />
mordacchia che, giorno dopo<br />
giorno, lo ridurrà incapace di<br />
pensare liberamente.<br />
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