12.01.2013 Views

Scarica il PDF - Settimanale Tempi

Scarica il PDF - Settimanale Tempi

Scarica il PDF - Settimanale Tempi

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

I tre imprenditori calabresi Gaetano Saffioti<br />

(a sinistra), Armando Caputo (qui sopra,<br />

durante la visita del console tedesco che vuole<br />

portare in Germania la sua idea di una rete di<br />

aziende antiracket), Rocco Mangiardi (in alto)<br />

ria commerciale della cittadina, ed è pure<br />

<strong>il</strong> regno della ’ndrina Giampà. È su questa<br />

strada che nel 2000 Mangiardi ha aperto<br />

<strong>il</strong> suo negozio; all’inizio lavorava solo lui,<br />

oggi è arrivato a sei dipendenti. È un calabrese<br />

“low prof<strong>il</strong>e”: frasi secche, tanti fatti.<br />

«Ho molto lavoro, devo sbrigarmi», ripete<br />

mentre racconta a <strong>Tempi</strong> di come è diventato<br />

<strong>il</strong> primo imprenditore in Calabria che<br />

in un’aula di tribunale ha accusato <strong>il</strong> boss<br />

che gli chiedeva <strong>il</strong> pizzo. Non aspirava a<br />

diventare un eroe, quando ha denunciato:<br />

«Ho pensato a mio padre», spiega come<br />

nulla fosse. «Lui era emigrato a Torino, perché<br />

nel suo paese anche per avere la farina<br />

si doveva chiedere favori al sindaco mafioso.<br />

Lui non ha voluto cedere, e perciò mi<br />

ricordo che quando ero piccolo siamo finiti<br />

a vivere, insieme ad altri operai, in una<br />

mansarda piemontese. Siccome i soldi erano<br />

pochi, <strong>il</strong> cibo lo mettevamo in comune.<br />

Poi sono tornato in Calabria, ma quello<br />

che mio padre mi ha lasciato in eredità<br />

è <strong>il</strong> disprezzo per la prepotenza, ed è quello<br />

che voglio lasciare ai miei tre figli. Ecco<br />

a cosa pensavo quando ho denunciato. Che<br />

io non pagherò mai le ’ndrine, perché preferisco<br />

usare i miei soldi per assumere un<br />

nuovo dipendente». Testardo orgoglio calabrese.<br />

«Penso che vivere nella paura semplicemente<br />

non porti da nessuna parte».<br />

«Da mio padre ho<br />

L’odissea di Mangiardi è ini-<br />

ereditato <strong>il</strong> disprezzo ziata nel 2000: la prima volta<br />

che i Giampà gli chiesero <strong>il</strong> piz-<br />

per la prepotenza, ed è<br />

zo pretendevano 40 m<strong>il</strong>ioni di<br />

quello che voglio lasciare lire. «Era un modo per impressio-<br />

ai miei tre figli. Non narmi. Poco dopo una persona<br />

pagherò mai le ’ndrine, passò in negozio e pretese una<br />

perché preferisco usare fornitura gratuita per una Golf<br />

da 350 m<strong>il</strong>a lire. Dovevo piegar-<br />

i miei soldi per assumere<br />

mi, e io stavo zitto. La settimana<br />

un nuovo dipendente»<br />

successiva, arrivò una specie di<br />

armadio di 35 anni. Si fece consegnare<br />

l’incasso della giornata: “Se non mi<br />

dai i soldi, brucio tutto”, e via altre 250 m<strong>il</strong>a<br />

lire. Finché, nell’estate del 2006, non ricomparve<br />

un tizio. Stavolta mi chiese una tangente<br />

mens<strong>il</strong>e: “Per metterti a posto, sono<br />

1.200 euro al mese”. Uno stipendio». All’inizio<br />

Mangiardi voleva solo prendere tempo.<br />

Chiese addirittura di incontrare <strong>il</strong> boss<br />

Pasquale Giampà, gli contropropose 250<br />

euro al mese. «Mi rispose: “Vedi che io non<br />

ne chiedo elemosina. In via del Progresso<br />

pagano tutti, dalla a alla z”». Il commerciante<br />

in quel periodo ricevette una lettera anonima:<br />

qualcuno gli diceva che altri commercianti<br />

della zona si riunivano per discutere<br />

dei loro problemi. Alla fine andò a vedere,<br />

con un amico. «Ancora oggi sono “riunioni<br />

carbonare”, in posti sempre diversi, un po’<br />

di nascosto…», scherza Mangiardi.<br />

Il primo dei “carbonari”<br />

Quella prima volta si è trovato di fronte a 30<br />

commercianti che come lui non ne potevano<br />

più. Non gli è parso vero: dentro di sé aveva<br />

già deciso di denunciare, la riunione è stata<br />

decisiva per arrivare a fare <strong>il</strong> passo. Oggi<br />

vive sotto scorta, perché è anche grazie a lui<br />

che Pasquale Giampà è stato arrestato, processato<br />

e condannato (in due gradi di giudizio).<br />

Fino al caso Mangiardi non era mai<br />

successo che le accuse di racket risuonassero<br />

in un’aula di tribunale, ma all’imprenditore<br />

non piace parlare di date storiche o di<br />

eroismi. Quel giorno lo ricorda per un altro<br />

motivo: «Vennero gli amici dell’associazione<br />

antiracket, si portarono pure le famiglie,<br />

per esprimermi sostegno. Erano 60 persone,<br />

lì con me. Tante volte penso a chi si trova di<br />

fronte ai suoi aguzzini, da solo. Io giro con la<br />

scorta, ma mi sento libero. È piegare la testa<br />

a quelli che ti vogliono portare via quel che<br />

sei, che toglie la libertà».<br />

Non è che Mangiardi abbia i paraocchi:<br />

dice che ci sono tanti commercianti che<br />

pagano per connivenza. Ma anche che qualcosa<br />

si muove. Non è <strong>il</strong> numero delle denunce.<br />

È quella curiosa catena di “carbonari”, di<br />

imprenditori che si incontravano di nascosto<br />

e ora non hanno più paura di sostenersi.<br />

Una novità che emerge anche dal racconto<br />

di Armando Caputo, che sempre a Lamezia<br />

è proprietario di un’azienda agricola insieme<br />

ai fratelli. Da quei 35 ettari di terra ereditati<br />

dal padre, ogni anno i Caputo pro-<br />

| | 2 febbraio 2011 | 23

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!