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UN ALTRO MONDO<br />

è POSSIBILE<br />

DOPO L’ALLUVIONE<br />

L’Immacolata<br />

è stata più forte<br />

dello tsunami<br />

di Aldo Trento<br />

In questi giorni sono stato in Bras<strong>il</strong>e, in<br />

compagnia dei miei amici, i coniugi Zerbini,<br />

Julián, Bracco e Alexandre, per aiutarci<br />

a capire cosa rappresenta per la nostra vita<br />

la tragedia che ha colpito m<strong>il</strong>ioni di persone,<br />

<strong>il</strong> d<strong>il</strong>uvio che ha causato la morte di 750 persone<br />

lasciandone altre migliaia senza un tetto.<br />

Nello spazio di questa amicizia ogni cosa viene<br />

abbracciata: sia l’allegria che la sofferenza<br />

dell’altro. Per noi è stato un dolore nel dolore,<br />

perché un mese fa in una di quelle case, affittata<br />

da alcuni amici, abbiamo trascorso alcuni giorni<br />

di riposo. Ora dobbiamo fare i conti col fatto<br />

che quel luogo è stato seppellito dal fango, che<br />

l’ha stritolato trasformandolo in una tomba per<br />

le quattordici persone che stavano passando lì<br />

le loro vacanze. Anche per questo mi sono commosso<br />

ascoltando le testimonianze di Marco<br />

Montrasi e di monsignore F<strong>il</strong>ippo Santoro, del<br />

vescovo di Petropólis, vescovo di una diocesi duramente<br />

colpita da un’alluvione che non ha avuto<br />

compassione di niente. Le condivido con voi.<br />

padretrento@rieder.net.py<br />

La realtà di questo disastro è molto più<br />

dura di come appare nelle immagini della<br />

televisione e dei giornali. È tutto distrutto,<br />

come se a colpire la Valle de Cuiabà fosse stato<br />

un terremoto. Più di 750 persone hanno perso<br />

la vita e moltissimi sono dispersi. Le analisi<br />

più immediate accusano l’occupazione irresponsab<strong>il</strong>e<br />

degli argini dei fiumi e la mancanza di pianificazione<br />

urbana per gli alloggi dei poveri, che<br />

vivono in luoghi a rischio. Siamo davanti al peggior<br />

disastro della storia del Bras<strong>il</strong>e.<br />

Ma queste osservazioni non ci consolano e non<br />

ci soddisfano. È fac<strong>il</strong>e identificare i colpevoli<br />

e mettersi la coscienza a posto, tornando alla<br />

routine di tutti i giorni e scartando la possib<strong>il</strong>ità<br />

di un cambiamento reale. Il dramma è<br />

profondo, ci mette davanti al mistero della nostra<br />

esistenza e della nostra frag<strong>il</strong>ità, dei nostri<br />

limiti e del nostro male. Il dramma ci scuote,<br />

suscita solidarietà, solleva le domande più<br />

radicali che la nostra società censura. Durante<br />

<strong>il</strong> disastro, tutte le chiese e le cappelle della regione<br />

sono rimaste in piedi, anche se invase dal<br />

fango. Si tratta di un segno della croce di Cristo<br />

che vive in mezzo al dramma degli uomini,<br />

partecipe della loro sofferenza. Gesù è entrato<br />

nell’abisso della morte facendosi compagno di<br />

60 | 2 febbraio 2011 | |<br />

POST<br />

APOCALYPTO<br />

Qui a fianco,<br />

Nossa Senhora<br />

das Graças,<br />

la statua<br />

della Madonna<br />

sommersa<br />

dall’acqua fino<br />

alle mani,<br />

ma rimasta<br />

in piedi.<br />

Nell’altra pagina,<br />

una chiesa<br />

distrutta<br />

dall’alluvione<br />

che ha colpito<br />

<strong>il</strong> Bras<strong>il</strong>e nel<br />

gennaio 2011<br />

tutti coloro che hanno perso la vita, aprendo le<br />

porte della speranza. Nel mondo, solo Gesù Cristo,<br />

crocefisso e resuscitato, ha attraversato la<br />

morte e la vita per portarci la speranza. «Io sono<br />

infatti persuaso che né morte né vita, né angeli<br />

né principati, né presente né avvenire, né<br />

potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra<br />

creatura potrà mai separarci dall’amore di<br />

Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (san Paolo<br />

ai Romani 8,38).<br />

Nella notte, nel fango e sotto la pioggia Lui non<br />

ci abbandona. Nella ferita dolorosa di questi<br />

giorni Lui rimane presente, come balsamo di un<br />

amore infinito, che sostiene. Pensiamo allo slancio<br />

grandioso di solidarietà che si è reso così evidente<br />

in questi giorni. Ho visitato i sopravvissuti<br />

di questa regione ed è chiaro che è la loro fede<br />

a sostenere <strong>il</strong> dolore. Una chiesa è stata invasa<br />

dall’acqua: era arrivata fino al tabernacolo. Un<br />

giovane chierichetto, nuotando, ha recuperato<br />

<strong>il</strong> Santissimo, e tenendolo stretto in una mano,<br />

mentre con l’altra nuotava, lo ha portato in salvo.<br />

Assieme alla grazia di Dio, infatti, è necessaria<br />

la nostra iniziativa per riconoscere <strong>il</strong> Signore<br />

e aiutare tutti, dando un significato nuovo alle<br />

nostre vite normali. Il compito della ricostruzione<br />

è chiesto a tutti, e in collaborazione con lo<br />

Stato e le autorità pubbliche dobbiamo prevenire<br />

altri disastri e provvedere a una pianificazione<br />

urbana che sia responsab<strong>il</strong>e. Ma la ferita delle<br />

nostre perdite, chi la curerà? Quella ferita è<br />

abbracciata dall’amore di Cristo, che vive nel<br />

tabernacolo come nel suo corpo, che è la Chiesa,<br />

e ci insegna a lasciarci provocare dalle cose<br />

per annunciare la sua presenza. Sarebbe triste<br />

lasciarsi fermare dalla valanga dell’abitudine e<br />

voltare pagina, magari aspettando <strong>il</strong> prossimo<br />

carnevale. La prova di questi giorni ci insegna<br />

a ricostruire le città devastate e a tornare con<br />

un senso nuovo alla vita quotidiana.<br />

Monsignor F<strong>il</strong>ippo Santoro<br />

vescovo di Petrópolis<br />

Foto: AP/LaPresse

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