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Renato Mambor

RENATO MAMBOR - cds art & visibility

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Le vie di mezzodi <strong>Renato</strong> <strong>Mambor</strong>Gianluca Ranzi<strong>Renato</strong> <strong>Mambor</strong> è una delle voci più significative della culturafigurativa e del dibattito intellettuale italiano della secondametà del XX secolo, nato e formatosi artisticamentea Roma alla fine degli anni Cinquanta quando per la primavolta sperimenta una visione e una pratica dell’arte cheattraverso l’uso della bidimensionalità della pittura e dellesuccessive e più recenti sagome in legno verniciato, riducel’opera a principio mentale ed elegge l’essere umano e lemodalità percettive del suo relazionarsi al mondo come ilsuo oggetto di indagine, rinverdendo il detto di Leonardo daVinci secondo cui “la pittura è il più alto discorso mentale”.Il progetto messo a punto da <strong>Renato</strong> <strong>Mambor</strong> per la sededell’Istituto Italiano di Cultura di Praga fonde insieme pittura,scultura e installazione, pensate e disposte per favorireun dialogo aperto e luminoso con l’antica architettura delpalazzo, con i suoi affreschi e i partiti decorativi, secondoun disegno complessivo che opera sullo spazio dell’architetturaattraverso l’incrociarsi dello sguardo e il suo allacciarsiin relazioni inedite con le installazioni. E’ uno sguardoelastico e pronto a spiccare il volo, letteralmente capacedi passare attraverso la consistenza materiale dell’operatramite le aperture a rosone che si aprono nelle due nuovesagome dei Riguardanti e che si diffonde nell’ambientesecondo le direttrici eccentriche e centrifughe dei Mandaladipinti nell’inedita serie di sei dipinti, che a loro volta incrocianoe relazionano gli sguardi vivi e mobili dei visitatori.“Conosci te stesso in rapporto alla moltitudine che ti circonda”è una dichiarazione di <strong>Renato</strong> <strong>Mambor</strong> che rendeperfettamente non solo lo spirito di questa mostra e dellasua ambientazione così speciale, ma anche quello di tuttoil lavoro che da più di cinquant’anni accompagna la ricercadell’artista e che ha toccato ambiti disciplinari tanto diversi.Lo spirito del Globetrotter, come è nel titolo di alcune operepittoriche degli anni Novanta, rivive qui smaterializzato nelleperipezie dello sguardo che i rosoni-mandala, che hannolo stesso significato pur appartenendo a geografie umanee culturali differenti, mettono in moto. Essi costituisconoquindi le direttrici di fuga o le traiettorie che accompagnanolo sguardo dello Spettatore-Riguardante per il mondo,“arrivando alla coscienza di una nuova preghiera laica”. Losguardo è così libero e non più imprigionato nella gabbiadella piramide ottica del sistema proporzionale, è eccentricoe coesistente, tende a risalire all’origine senza tuttaviadirigersi in un solo punto, poiché l’origine di cui si parla quiè in ogni punto, dispersa e multi-presente.La sua produzione, così come appare da quest’ultimo progetto,non è mai stata semplicemente una sintesi di linguaggidifferenti, ma ha cercato di riflettere la totalità, problematicae difficile, del linguaggio e dell’altro del linguaggio,della costruzione e della vita che la intesse. Oltrepassarei confini delle architetture intessendo lo spazio con ungioco di rimandi e di rispecchiamenti che riflettono la complessitàdel mondo, dai Riguardanti alle Ombre Immutabilifino ai Raccoglitori di Pioggia, dimostra infatti l’intenzionedi riflettere su ciò che trasgredisce i confini del logos e sulleesperienze che aprono al confine o all’origine, rilevandoquel senso del sacro che trova nuove aperture prendendospunto proprio dall’ambientazione della mostra praghese.Il risultato è ancora una volta la messa a punto di un percorso,l’indicazione di una nuova avventura esperienzialee spirituale capace di mettere in connessione mondi lontanissimi,sconfessando finte certezze, aprendo varchi nellasuperficie apparentemente liscia e continua del reale.<strong>Mambor</strong> rompe la cornice, lo fa da cinquant’anni, limite che,ricorda Simmel, separa l’arte dalla vita e garantisce intattal’integrità astratta e separata dell’opera. In questi momentidi rottura e di illuminazione suggeriti da <strong>Mambor</strong> prendeposto il sacro, il cui accento cade sulla coabitazione delledifferenze e sull’interagenza culturale, sull’ineludibilità diquello che Derrida ha chiamato “l’estraneità dell’estraneo”.Arte sacra in quanto pubblica, dando a questa parola lamassima estensione di significato che implica condivisionee partecipazione, secondo una visione che dalle esperienzeteatrali del gruppo Trousse fino ad oggi significa per118 119

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