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Si muore generalmente perché si è soli o perché si ... - Progetto Melo

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una famiglia non facente parte dell'organizzazione, ma che cerca di impor<strong>si</strong>. Tutte cose destinate a<br />

costare un buon numero di morti e di distruzioni.<br />

Quel che accade a Gela, nel Sud della <strong>Si</strong>cilia, <strong>è</strong> quanto mai istruttivo: quarantacinque morti<br />

in pochi me<strong>si</strong>, sono qua<strong>si</strong> <strong>si</strong>curamente segno che la presenza di Cosa Nostra in quel centro non <strong>è</strong><br />

ancora del tutto con<strong>soli</strong>data. Quando cesserà la mattanza, questo <strong>si</strong>gnificherà che Cosa Nostra <strong>è</strong><br />

riuscita a sopraffare le organizzazioni marginali ed <strong>è</strong> la sola a controllare le fonti di reddito, gli<br />

appalti, gli aiuti comunitari, i traffici locali. Finché <strong>si</strong> uccide, <strong>è</strong> segno che la <strong>si</strong>tuazione <strong>è</strong> instabile. E<br />

gli individui vulnerabili. Dopo... .<br />

Da quanto detto non bisogna concludere che tutto <strong>è</strong> prevedibile e stabilito per l'eternità<br />

nell'ambito di Cosa Nostra. La mafia <strong>è</strong> composta di esseri umani, con le loro e<strong>si</strong>genze, i loro<br />

de<strong>si</strong>deri, i loro comportamenti che <strong>si</strong> evolvono nel tempo. Mi <strong>è</strong> capitato di notare segni di irritazione<br />

di fronte alla durezza di alcune regole. Ho constatato che uomini come Buscetta, Mannoia e<br />

Calderone, diventando pentiti, rivendicavano in qualche modo una certa qualità di vita<br />

incompatibile con i princìpi mafio<strong>si</strong>. Molti mafio<strong>si</strong> <strong>si</strong> sono rivelati sen<strong>si</strong>bili al consumismo. Alfredo<br />

Bono, condannato anche in appello in quanto membro della famiglia di Bolognetta (Palermo),<br />

giocava regolarmente nei ca<strong>si</strong>nò e nelle bische clandestine quando <strong>si</strong> trovava al Nord, anche se la<br />

pratica viene riprovata da Cosa Nostra; Gaetano Grado, della famiglia di Santa Maria di Gesù, ha<br />

corso il rischio di essere ucciso dal suo capo Stefano Bontate <strong>perché</strong>, dopo aver partecipato al<br />

massacro di viale Lazio (1969), era partito per divertir<strong>si</strong> a Milano con le puttane.<br />

Quando Buscetta, per giustificare il suo pentimento, mi ha detto che i suoi compagni<br />

avevano « violato le regole più elementari di Cosa Nostra e che con il loro comportamento<br />

avrebbero portato l'organizzazione alla rovina», ho avuto la sensazione di vivere un grande<br />

momento, un momento storico. Una cosa che nel profondo del cuore speravo da lungo tempo.<br />

Devo dire che fin da bambino avevo respirato giorno dopo giorno aria di mafia, violenza, estor<strong>si</strong>oni,<br />

assas<strong>si</strong>nii. C'erano stati poi i grandi proces<strong>si</strong> che <strong>si</strong> erano conclu<strong>si</strong> regolarmente con un nulla di<br />

fatto. La mia cultura progres<strong>si</strong>sta mi faceva inorridire di fronte alla brutalità, agli attentati, alle<br />

aggres<strong>si</strong>oni; guardavo a Cosa Nostra come all'idra dalle sette teste: qualcosa di magmatico, di<br />

onnipresente e invincibile, responsabile di tutti i mali del mondo. Avevo letto anche di Cesare Mori,<br />

il « prefetto di ferro » inviato da Mus<strong>soli</strong>ni a dare il colpo di grazia all'organizzazione mafiosa, e il<br />

sociologo Henner Hess.<br />

Nell'atmosfera di quel tempo respiravo anche una cultura « istituzionale » che negava<br />

l'e<strong>si</strong>stenza della mafia e respingeva quanto vi faceva riferimento. Cercare di dare un nome al<br />

malessere sociale <strong>si</strong>ciliano equivaleva ad arrender<strong>si</strong> agli « attacchi del Nord »! La confu<strong>si</strong>one<br />

regnava sovrana: da una parte chi diceva: «Tutto <strong>è</strong> mafia», dall'altra chi sosteneva: «La mafia non<br />

e<strong>si</strong>ste». Tutto in un contesto, per dirla con Sciascia, di attentati, assas<strong>si</strong>nii, avvenimenti gravis<strong>si</strong>mi<br />

che hanno scandito la mia formazione giovanile.<br />

Massacro dei carabinieri di Ciaculli, 1963; strage di viale Lazio a Palermo, 1969; scomparsa<br />

del giornalista Mauro de Mauro, 1970; assas<strong>si</strong>nio del procuratore della Repubblica Scaglione, 1971;<br />

processo dei « 114» a Palermo, 1974; conclu<strong>si</strong>one dei lavori della commis<strong>si</strong>one antimafia che, nel<br />

1976, fecero sperare chissà quali rivelazioni poi completamente sgonfiate<strong>si</strong>. Questa l'atmosfera dei<br />

miei primi anni in magistratura.<br />

Ma sono convinto che anche allora chi voleva capire e aveva voglia di lavorare poteva<br />

farcela. Ho sempre saputo che per dare battaglia bisogna lavorare a più non posso e non mi erano<br />

necessarie particolari illuminazioni per capire che la mafia era una organizzazione criminale.<br />

Mi sono fatto le ossa a Trapani come sostituto procuratore.<br />

La mafia <strong>è</strong> entrata subito nel raggio dei miei interes<strong>si</strong> profes<strong>si</strong>onali con uno dei grandi<br />

proces<strong>si</strong> del dopoguerra. Dieci assas<strong>si</strong>nii e la mafia di Marsala dietro le sbarre. Mi indicarono un<br />

armadio pieno di pratiche, dicendomi: « Leggile, tutte! ». Era il novembre 1967 e puntuali come un

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