Aspetti psicologico-clinici della malattia celiaca: un ... - Sara Stagni
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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA' DI BOLOGNA<br />
SEDE DI CESENA<br />
FACOLTA' DI PSICOLOGIA<br />
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN<br />
PSICOLOGIA CLINICA<br />
“<strong>Aspetti</strong> <strong>psicologico</strong> <strong>clinici</strong> <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>:<br />
<strong>un</strong>'indagine pilota”<br />
Tesi di laurea in<br />
Psicosomatica<br />
Relatore Presentata da<br />
prof.ssa E. Tossani <strong>Stagni</strong> <strong>Sara</strong><br />
Sessione I<br />
Anno Accademico 2009/2010<br />
1
Indice<br />
Introduzione pag. 4<br />
1. Nascita e sviluppo <strong>della</strong> medicina integrata pag. 8<br />
2. I sistemi fisiologici alla base <strong>della</strong> medicina integrata pag.12<br />
2.1 Il sistema nervoso centrale pag. 12<br />
2.2 Il del sistema nervoso centrale sul sistema endocrino pag. 13<br />
2.3 Il sistema imm<strong>un</strong>itario pag. 16<br />
3. Il contributo di G. Bateson: la mente come relazione pag. 26<br />
4. Il collegamento tra i sistemi pag. 29<br />
4.1. Il collegamento tra ormoni e imm<strong>un</strong>ità pag. 30<br />
4.2 Il collegamento tra imm<strong>un</strong>ità e sistema nervoso pag. 33<br />
4.3 Il collegamento tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso<br />
enterico pag. 40<br />
5. Le malattie autoimm<strong>un</strong>i pag. 42<br />
5.1 La <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> pag. 44<br />
5.1.1Evidenze scientifiche <strong>della</strong> celiachia: il ruolo dei geni e<br />
dell'ambiente pag. 44<br />
6. <strong>Aspetti</strong> <strong>psicologico</strong> <strong>clinici</strong> <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>: <strong>un</strong>'indagine pilota pag. 64<br />
6.1 Introduzione pag. 64<br />
6.2 Materiali e metodi pag. 64<br />
6.2.1 Descrizione degli strumenti psicometrici pag.65<br />
6.3 Analisi statistiche pag.69<br />
6.4 Risultati pag.70<br />
6.4.1 Correlazioni pag.70<br />
6.4.2 Test-t per campioni indipendenti tra celiaci e parenti pag.77<br />
6.4.3 Test-t per campioni indipendenti per sesso pag.79<br />
6.4.4 ANOVA: differenze significative tra celiaci e parenti pag.81<br />
6.4.5. Confronto con i dati normativi pag.81<br />
2
7. Discussione pag. 90<br />
8. Conclusioni pag. 96<br />
Bibliografia pag. 99<br />
3
INTRODUZIONE<br />
La domanda non è se il riduzionismo è utile.<br />
E' inevitabilmente tale. La domanda è: è l'<strong>un</strong>ica strada?<br />
I pazienti non esistono <strong>un</strong>icamente come <strong>un</strong>a collezione di<br />
organi, cellule, molecole, ioni ed altro ancora, ma anche come<br />
individui membri di diadi romantiche, famiglie, <strong>un</strong>ità geografiche,<br />
gruppi linguistici, religiosi, sessuali, etnici, nazionali, e così via.<br />
Inoltre apportano in ogni condizione di <strong>malattia</strong> le loro<br />
passate esperienze individuali, come organismi totali,<br />
le cui storie individuali non possono essere colte<br />
da <strong>un</strong> esclusivo approccio riduzionistico.<br />
(Joseph & Sapira, 1992)<br />
Dalla nascita <strong>della</strong> medicina psicosomatica come disciplina scientifica, è andata via<br />
via crescendo la consapevolezza dell'importanza che i fattori psicosociali rivestono<br />
nell'eziopatogenesi delle malattie somatiche. In particolare il concetto di<br />
multifattorialità restituisce dignità ad <strong>un</strong>a branca <strong>della</strong> medicina messa a dura prova<br />
da concezioni ormai logore e infruttuose, come quella relativa alla psicogenesi delle<br />
malattie somatiche. Superate certe visioni di tipo deterministico che intravedono nei<br />
conflitti psichici irrisolti la causa di alc<strong>un</strong>e malattie psicosomatiche, il concetto base<br />
<strong>della</strong> medicina psicosomatica moderna è che <strong>un</strong> insieme di fattori (biologici,<br />
psicologici, sociali), siano in grado di influenzare l'insorgenza, il decorso, e l'esito di<br />
ogni <strong>malattia</strong>, e non solo delle malattie cosidette psicosomatiche (Fava et al., 1998).<br />
Già trent'anni fa George L. Engel evidenziò le inadeguatezze e le limitazioni del<br />
tradizionale modello biomedico, sostenendo l'utilizzo di <strong>un</strong> approccio biopsicosociale<br />
[…]. Questo modello, permette alle malattie di essere viste come il risultato di<br />
meccanismi interagenti tra il livello cellulare, tissutale, organico, interpersonale e<br />
ambientale-contestuale. Di conseguenza, lo studio di ogni disturbo, deve includere<br />
l'individuo, il suo corpo, l'ambiente circostante, come componenti essenziali del<br />
sistema totale. I fattori psicosociali possono operare facilitando, sostenedo o<br />
modificando il corso <strong>della</strong> <strong>malattia</strong>,sebbene il loro peso relativo può variare da<br />
disturbo a disturbo, da <strong>un</strong> individuo all'altro, e persino tra due episodi differenti <strong>della</strong><br />
stessa <strong>malattia</strong> nello stesso individuo (Fava & Sonino, 2008). Tra i fattori che<br />
influenzano la vulnerabilità individuale in qualsiasi tipo di <strong>malattia</strong>, i seguenti sono<br />
stati evidenziati da ricerche recenti: precoci e recenti life events, stress cronico e<br />
carico allostatico, personalità, benessere <strong>psicologico</strong>, comportamenti e<br />
atteggiamenti di salute (Fava & Sonino, 2000).<br />
La chiave fondamentale delle scienze cliniche è la sua esplicita attenzione<br />
all'umanità, dove l'osservazione (visione esterna), l'introspezione (visione interna) e il<br />
dialogo (intervista) sono la basilare triade metodologica per gli studi <strong>clinici</strong> per<br />
4
endere scientifici i dati di ogni paziente. Engel auspicava che il passaggio dal<br />
modello biomedico a quello biopsicosociale fosse il maggior cambiamento per la<br />
medicina negli anni '70. Purtroppo il cambiamento, anche da come emerge dalla più<br />
recente monografia, non si è compiuto del tutto. Infatti, come 30 anni fa, l'approccio<br />
dominante ai disturbi, oggi, è quello biomedico, con la biologia molecolare come<br />
base delle discipline scientifiche e come conseguenza, <strong>un</strong> progressivo declino<br />
dell'osservazione clinica come sorgente primaria delle sfide scientifiche. D'altro canto<br />
però, le evidenze a supporto del modello biopsicosociale, sono considerabilmente<br />
aumentate nel corso degli anni. Un imponente corpo di ricerche ha documentato il<br />
ruolo degli eventi di vita stressanti e ripetuti o delle croniche sfide ambientali nella<br />
modulazione <strong>della</strong> vulnerabilità individuale alla <strong>malattia</strong> [….], inoltre i confini<br />
tradizionali, tra le diverse specializzazioni mediche, basate sui sistemi organici (es.<br />
cardiologia, gastroenterologia) appaiono sempre più inadeguati nel trattare problemi<br />
e sintomi che si sviluppano trasversalmente alle suddivisioni organiche, richiedendo<br />
quindi <strong>un</strong> approccio olisitico, come avrò modo di spiegare nei prossimi capitoli. Il<br />
benessere <strong>psicologico</strong>, è stato riconosciuto svolgere <strong>un</strong> ruolo protettivo nell'equilibrio<br />
dinamico salute-<strong>malattia</strong> disegnato da Engel. Il bisogno di includere la<br />
considerazione del f<strong>un</strong>zionamento nella vita giornaliera, la produttività, la prestazione<br />
nei ruoli sociali, la capacità intellettuale, la stabilità emozionale e il benessere, sono<br />
emersi come parti cruciali dell'investigazione clinica e <strong>della</strong> cura dei pazienti. Questi<br />
risultati sono diventati particolarmente importanti nei disturbi cronici, dove le cure non<br />
possono prendere da sole il posto degli operatori sanitari o dei familiari dei pazienti<br />
cronicamente ammalati, per i quali poi, il carico emozionale diventa via via più<br />
manifesto. Bisogna dire però, che i pazienti, sono diventati sempre più consapevoli di<br />
questi problemi. Le loro difficoltà nell'affrontare attivamente i disturbi e le loro<br />
conseguenze psicologiche, hanno infatti portato allo sviluppo e alla creazione di<br />
numerose associazioni. In diversi studi controllati per differenti disturbi psichiatrici,<br />
l'uso di strategie psicologiche terapeutiche ha prodotto <strong>un</strong> sostanziale miglioramento<br />
<strong>della</strong> qualità <strong>della</strong> vita, delle risorse di coping e nel decorso del disturbo. Attualmente,<br />
però, la maggior parte degli investimenti nell'ambito <strong>della</strong> salute sono diretti<br />
all'approccio di tipo biomedico e inoltre, la metà dei decessi occorsi in USA, possono<br />
essere attribuiti ad esposizioni e comportamenti largamente prevenibili, come il fumo<br />
di sigaretta, l'obesità e l'inattività fisica (Fava & Sonino, 2008).<br />
Sicuramente, però, negli ultimi 60 anni, la medicina psicosomatica ha posto<br />
numerose domande fondamentali, che hanno contribuito alla crescita di altre<br />
discipline collegate, come la psiconeuroendocrinologia, la psicoimm<strong>un</strong>ologia, la<br />
presa in considerazione <strong>della</strong> relazione tra psichiatra e paziente, la medicina<br />
5
comportamentale, la psicologia <strong>della</strong> salute e la ricerca in merito alla qualità <strong>della</strong> vita<br />
(Fava & Sonino 2000).<br />
Queste sono in relazione con lo studio dell' esordio, del mantenimento e del decorso<br />
del disturbo (allergia, asma, ,malattie autoimm<strong>un</strong>i, gastrointestinali, etc.) di<br />
caratteristiche psicologiche, comportamentali, ed emozionali.<br />
In questo campo, i progressi hanno ovviamente anche implicazioni per la prassi<br />
medica ed per la ricerca, con <strong>un</strong>a particolare attenzione al ruolo degli stili di vita, alla<br />
sfida riguardante i sintomi medici inspiegabili, i bisogni psicosociali che comportano<br />
le malattie croniche, la valutazione <strong>della</strong> terapia come superiore al riduzionismo<br />
farmaceutico, la f<strong>un</strong>zione del paziente in qualità di produttore di salute (Fava, 2009).<br />
Questa rivoluzione, ancora in corso d'opera nelle scienze biomediche è dovuta ad<br />
apporti provenienti da campi e discipline diversi e tradizionalmente separati, ed è<br />
proprio questa separazione che viene messa in discussione.<br />
Con il paradigma <strong>della</strong> psiconeuroendocrinoimm<strong>un</strong>ologia si è dimostrato che il<br />
cervello pur essendo la sede delle f<strong>un</strong>zioni intellettive umane, non solo non è<br />
paragonabile a <strong>un</strong> calcolatore, nel suo modo di leggere la realtà esterna, ma è al<br />
tempo stesso <strong>un</strong>a grande ghiandola endocrina. Così il sistema imm<strong>un</strong>itario, può<br />
essere definito <strong>un</strong> vero e proprio organo di senso, come <strong>un</strong> “occhio interno”,<br />
organizzato in <strong>un</strong> network per sorvegliare sia l'interno che l'esterno. E, in questa<br />
nuova concezione, le ghiandole endocrine, non sono semplici termostati, ma<br />
costituiscono <strong>un</strong> sistema strutturato a più vie, che, in collaborazione con il sistema<br />
endocrino e imm<strong>un</strong>itario, mette in atto le reazioni vitali di adattamento dell'organismo<br />
ai cambiamenti che vengono dall'esterno. E le reazioni vitali dell'organismo umano<br />
includono f<strong>un</strong>zioni cognitive a cui partecipano organi e molecole di origine non<br />
nervosa: per esempio, è ormai accertata la partecipazione di alc<strong>un</strong>i ormoni alla<br />
costruzione <strong>della</strong> memoria: perciò la com<strong>un</strong>icazione all'interno dell'organismo non è<br />
di tipo gerarchico ma bidirezionale e diffuso ( Bottaccioli, 2005).<br />
L'elaborato quindi, da <strong>un</strong>a descrizione dei meccanismi biologici a sostegno <strong>della</strong><br />
grande connessione tra più livelli e livelli di sistemi diversi, che incide sullo sviluppo,<br />
la progressione e il mantenimento dei disturbi, affronterà poi nello specifico, la<br />
<strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> secondo questa prospettiva, essendo questa classificata come <strong>un</strong>a<br />
<strong>malattia</strong> autoimm<strong>un</strong>e, e in particolare <strong>un</strong> disturbo di tipo multifattoriale, in cui<br />
l'alterazione tra fattori ambientali e genetici (HLA), può alterare la tolleranza <strong>della</strong><br />
mucosa verso antigeni alimentari, portando ad <strong>un</strong>a cronica infiammazione intestinale.<br />
Verranno poi esposti i risultati di <strong>un</strong>'indagine pilota, condotta su <strong>un</strong> campione di 120<br />
soggetti, celiaci o com<strong>un</strong>que appartenenti ad <strong>un</strong> nucleo familiare comprendente<br />
almeno <strong>un</strong> celiaco, attraverso la somministrazione di 4 test, il Family Assessment<br />
6
Device (FAD), il Temperament and Characyer Inventory (TCI), il Simptom<br />
Questionnaire (SQ) e l'Eating Disorder Inventory (EDI), svolta per trovare eventuali<br />
correlazioni tra presenza di questa <strong>malattia</strong> autoimm<strong>un</strong>e, in <strong>un</strong>ed eventuali costanti<br />
comportamentali, emozionali, familiari, di personalità, benessere ed eventuali sintomi<br />
di ansia, depressione, rabbia, e somatizzazione.<br />
7
1.NASCITA E SVILUPPO DELLA MEDICINA INTEGRATA<br />
Nel 1936, con <strong>un</strong> articolo pubblicato sulla già allora prestigiosa rivista britannica,<br />
“Nature”, il medico e scienziato canadese, Hans Seyle, descrisse <strong>un</strong>a sindrome<br />
prodotta da diversi agenti nocivi, caratterizzata da <strong>un</strong>a stessa reazione,<br />
indipendentemente dal tipo di sostanze iniettate nell'animale da esperimento. Seyle<br />
segnalò che essa era dovuta ad <strong>un</strong>'ipertrofia <strong>della</strong> corteccia surrenale e da <strong>un</strong>'atrofia<br />
del timo e delle ghiandole linfatiche, insieme alla ulteriore presenza di ulcere<br />
gastriche nell'animale esposto all'esperimento. Questo lavoro è importante perché<br />
chiude la prima fase <strong>della</strong> fisiologia moderna, sintetizzando il lavoro di C. Bernard e<br />
W. Cannon, che per descrivere il f<strong>un</strong>zionamento dell'organismo umano introdussero<br />
il concetto di omeostasi e di stress. Cannon in particolare, introdusse il termine<br />
stress, che significa sforzo, e che fino ad allora era stato utilizzato esclusivamente in<br />
ingegneria da R. Hooke. Lo stress può allora essere definito come lo sforzo messo in<br />
atto in conseguenza di <strong>un</strong> evento che ci impone delle richieste, davanti alle quali<br />
produciamo risposte emozionali, cognitive, comportamentali e fisiologiche a cui<br />
conseguono adattamenti psicologici e fisiologici. Questi adattamenti, altro non sono<br />
che <strong>un</strong> processo di regolazione dellʼambiente interno, in risposta allʼambiente<br />
esterno, ed avvengono per assicurare <strong>un</strong> f<strong>un</strong>zionamento corporeo ottimale, chiamato<br />
omeostasi ( Cannon, cit. in Bottaccioli 2007). Allora, per stress, si intende la risposta<br />
fisiologica, lo sforzo fisiologico, cioè, a ristabilire lʼomeostasi, mentre la causa di tale<br />
sforzo, la minaccia insomma, è chiamata stressor (Seyle 1956). Questa dinamica è<br />
utile agli individui per adattarsi alle nuove situazioni e, nei casi in cui questo avviene<br />
con successo, si può parlare di eustress, <strong>un</strong>o stress buono, costruttivo. Nel caso in<br />
cui però lo sforzo permanga perché la risposta dellʼindividuo non è stata<br />
soddisfacente per la situazione, si parla di distress e cioè di <strong>un</strong>o sforzo negativo che<br />
a l<strong>un</strong>go andare porta allʼesaurimento dellʼindividuo. Questo processo, definito da<br />
Seyle, come “Sindrome Generale di Adattamento” può essere diviso in tre fasi. Nella<br />
prima, la fase di allarme, l'organismo mobilita le sue difese attivando l'asse ipofisi-<br />
ipotalamo-surrene; nella seconda fase, quella di resistenza, se lo stress persiste,<br />
l'evento fondamentale è la sovrapproduzione di cortisolo, che ha come conseguenza,<br />
la soppressione delle difese imm<strong>un</strong>itarie; mentre nell'ultima fase, di esaurimento, si<br />
registra l'esaurimento <strong>della</strong> ghiandola surrenale, con la morte dell'animale da<br />
esperimento, che non più protetto dal cortisolo, presenta lacerazioni <strong>della</strong> mucosa<br />
gastrica. Questo meccanismo, ovviamente, non è da considerare <strong>un</strong>idirezionalmente<br />
dall'alto, cioè dal SNC, verso il basso, il neurovegetativo, ma anzi è da inserire entro<br />
8
<strong>un</strong>a rete orizzontale, in cui si incontrano fibre sensoriali, cellule imm<strong>un</strong>itarie e vasi<br />
sanguigni, ed è qui che si realizza <strong>un</strong> dialogo stretto tra questi sistemi.<br />
Successivamente, negli anni '70, Mason chiarisce il ruolo che riveste l'attivazione<br />
emozionale in caso di stress, cioè <strong>della</strong> processazione emozionale attuata da ogni<br />
individuo degli eventi stressanti. Questa riguarda soprattutto il sistema limbico, che<br />
concorre a determinare l'adattamento, e influenzando inoltre, i processi decisionali e<br />
di memorizzazione. Le emozioni fondamentali infatti, secondo Darwin, incarnano la<br />
nostra storia evolutiva come mammiferi sociali, fornendo schemi di risposta ancestrali<br />
alle sfide ambientali entrando a pieno titolo nei processi decisionali che producono i<br />
comportamenti. In questo senso è scientificamente assodato che l'uomo è<br />
<strong>un</strong>'impasto di emozioni e coscienza (Bottaccioli, 2005).<br />
E' negli anni '80 e '90 invece che Lazarus, analizza l'importanza <strong>della</strong> valutazione<br />
cognitiva degli stimoli stressanti. Infatti gli agenti stressanti di per sé non sono<br />
patologici, ma diventano tali a seconda <strong>della</strong> valutazione che ne dà il soggetto, in<br />
termini di controllabilità, di disponibilità delle risorse di coping, che, se mancanti,<br />
portano l'organismo all'esaurimento.<br />
Ciò che differenzia l'approccio di Seyle da quello di Lazarus, è la variabilità<br />
interindividuale rilevabile di fronte a <strong>un</strong>a situazione stressante. Infatti, per il primo la<br />
valutazione è di tipo aspecifico, cioè indipendente dal soggetto, mentre per il<br />
secondo, la valutazione è di tipo specifico e rappresentata da <strong>un</strong> continuum. Per<br />
questo, seguendo l'ottica di Lazarus, maggiore è la gravità oggettiva <strong>della</strong> situazione,<br />
minore è il peso che riveste la valutazione individuale, mentre è maggiore se la<br />
situazione rappresenta per il soggetto <strong>un</strong>a situazione estremamente importante per<br />
sé, in cui la valutazione oggettiva è minore, ma il processo cognitivo-emozionale è<br />
determinante. Nel caso di situazioni valutate da tutti allo stesso modo, cioè situazioni<br />
nelle quali c'è <strong>un</strong>a maggior condivisione sociale-culturale, in qualità di minacce<br />
socialmente acquisite, allora queste, vengono classificate come reazione sociale<br />
aspecifica allo stress.<br />
Un'ulteriore spinta, si ebbe anche in campo imm<strong>un</strong>ologico da Jerne, che descrisse il<br />
sistema imm<strong>un</strong>itario come <strong>un</strong> network, che riconosce sia gli elemeti estranei che<br />
l'organismo stesso di appartenenza. Il sistema imm<strong>un</strong>itario è descritto, perciò, come<br />
capace di autoregolarsi ed in continuo movimento, in modo da monitorare<br />
continuamente ogni organo, e partecipando attivamente alla regolazione<br />
dell'equilibrio dinamico dell'organismo umano (Bottaccioli, 2005). In tutto ciò è molto<br />
importante la tolleranza acquisita dal sistema imm<strong>un</strong>itario delle mucose e soprattutto<br />
<strong>della</strong> parte intestinale, come avremo modo di riprendere in seguito.<br />
Quasi contemporaneamente, in campo endocrinologico, iniziavano a essere scoperti<br />
9
i neuropeptidi, primo in assoluto fu il TRH, fattore ipotalamico stimolante l'ipofisi.<br />
Nel campo delle neuroscienze, invece, studi <strong>della</strong> fine degli anni '90 hanno<br />
dimostrato che l'assetto anatomico del cervello, al contrario di quanto si riteneva in<br />
precedenza, è variabile perché si possono modificare, in maniera reversibile, le<br />
sinapsi, per rispondere a stimoli diversi, e inoltre se ne possono formare<br />
continuamente di nuove, modificando così la mappa cerebrale di <strong>un</strong>'area. Inoltre si<br />
possono generare, e continuamente si formano, nuove cellule gliali e nuovi neuroni,<br />
che, in particolare nell'ippocampo, si è visto hanno, la f<strong>un</strong>zione di fissare nuove<br />
memorie. In particolare, è stato dimostrato che la neurogenesi è fortemente<br />
influenzata dagli stimoli ambientali, soprattutto lo stress, che è in grado di bloccare la<br />
produzione di nuove cellule nervose.<br />
Negli anni '70, è stato fondamentale l'apporto di G. Engel, che, con il modello<br />
biopsicosociale, descrive la <strong>malattia</strong>, come ho già detto, come risultato<br />
dell'interazione multifattoriale tra sistemi a vari livelli del f<strong>un</strong>zionamento umano, cioè,<br />
cellulare, tissutale, interpersonale, ambientale, organismico. Ogn<strong>un</strong>o di questi fattori<br />
è da soppesare nella sua determinazione dell'esito finale, abbandonando così<br />
definitivamente il modello lineare <strong>della</strong> <strong>malattia</strong>, poiché troppo limitativo. Questo è il<br />
passo decisivo che permette lo sviluppo <strong>della</strong> psicosomatica moderna, che<br />
svincolandosi da <strong>un</strong> approccio eterogeneo, cioè facente riferimento a più teorie di<br />
riferimento, passa a quello olistico, perciò a <strong>un</strong>a visione dell'essere umano<br />
omnicomprensiva. I p<strong>un</strong>ti chiave, del modello vengono esposti da Liposki e sono tre:<br />
il primo è l'importanza dell'indagine <strong>della</strong> relazione tra variabili psicologiche,<br />
biologiche e sociali <strong>della</strong> salute e <strong>della</strong> <strong>malattia</strong>; il secondo è la considerazione di <strong>un</strong><br />
approccio olistico alla clinica medica ed il terzo è l'importanza di tenere in<br />
considerazione i correlati psicologici e sociali che incidono sull'esordio, sul decorso e<br />
sull'esito delle malattie, comprendendo inoltre la valutazione di aspetti psichiatrici e<br />
<strong>clinici</strong>, come per esempio, il comportamento abnorme di <strong>malattia</strong> che può incidere<br />
sulla compliance.<br />
Di questa relazione tra ambiente sociale e salute, evidenziata anche da studi<br />
epidemiologici, conosciamo ormai anche i meccanismi patogenetici che la<br />
sostanziano, riferibili al sistema dello stress, studiato e oggettivato nel modello che<br />
descriverò nel prossimo capitolo. Da questa nuova visione dell'essere umano che<br />
non può non essere studiato nel suo contesto, cioè nel sistema delle relazioni che lo<br />
riguardano, emerge <strong>un</strong>a linea di ricerca, relativa all'evoluzione dell'individuo.<br />
Essendo ormai evidente che i fattori ambientali influenzano anche lo sviluppo<br />
prenatale producendo effetti sia f<strong>un</strong>zionali che strutturali che durano tutta la vita.<br />
Nella pancia <strong>della</strong> mamma, si realizza <strong>un</strong>a sorta di programmazione, di imprinting<br />
10
prenatale, dei principali sistemi di regolazione fisiologica dell'organismo: innanzitutto<br />
dell'asse dello stress. Una situazione di stress cronico in gravidanza, oppure <strong>un</strong><br />
trauma possono programmare il sistema dello stress del nascituro, in modo da<br />
favorire, da adulto, l'insorgenza di disordini in diversi ambiti: da quello psichico a<br />
quello imm<strong>un</strong>itario.<br />
I modelli appena spiegati permettono di vedere in modo nuovo malattie vecchie e<br />
nuove. Anche patologie distanti da <strong>un</strong>'approccio olistico, ma indagate da <strong>un</strong>'ottica<br />
rigidamente biologica, come l'ateriosclerosi, presentano dati scientifici indagabili nel<br />
modello <strong>della</strong> psiconeuroendocrinoimm<strong>un</strong>ologia. Infatti da <strong>un</strong>o studio effettuato sui<br />
macachi si è vista <strong>un</strong>a relazione inversa tra ispessimento <strong>della</strong> carotide e rango<br />
sociale, mentre sugli umani si è visto <strong>un</strong>a riduzione <strong>della</strong> placca ateriosclerotica in<br />
gruppi di pazienti trattati con tecniche antistress.<br />
Possiamo dire che <strong>un</strong>a teoria è superiore ad <strong>un</strong>'altra se è in grado di spiegare <strong>un</strong><br />
numero superiore di fatti. Adottando questo paradigma, i ricercatori sono in grado di<br />
spiegare <strong>un</strong> numero superiore di fatti, permettendo tra l'altro al medico di non vedere<br />
più la persona “a pezzi”, o ancora peggio, come contenitore di malattie o sintomi letti<br />
in chiave specialistica. Ma di vedere quella persona come <strong>un</strong> network in<br />
momentaneo disequilibrio, conoscendone i fattori di disequilibrio e riequilibrio. Sa che<br />
la rete umana può essere inflluenzata non solo da farmaci, ma anche<br />
dall'alimentazione, dalle tecniche psicologiche, dall'attività fisica, dalle tecniche di<br />
controllo dello stress, etc. In sostanza, si profila <strong>un</strong>a nuova sintesi terapeutica, la<br />
medicina integrata (Bottaccioli, 2005).<br />
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2. I SISTEMI FISIOLOGICI ALLA BASE DELLA MEDICINA INTEGRATA<br />
L'organismo risponde allo stress con modificazioni fisiologiche a livello centrale e<br />
periferico. A livello centrale, cioè del SNC, c'è <strong>un</strong>'alterazione dei principali sistemi<br />
neuropeptidergici e neurotrasmettitoriali, mentre a livello periferico, si trovano<br />
alterazioni del sistema neuroendocrino, neurovegetativo e imm<strong>un</strong>itario. I primi sono<br />
generalmente la base per l'innesco dei secondi, ma anche i sistemi periferici, con <strong>un</strong><br />
feedback retroattivo, vanno a modificare i sistemi centrali. Si è visto che situazioni in<br />
grado di suscitare <strong>un</strong>o stress puramente emozionale, e non necessariamente<br />
negativo, come può essere per esempio la gravidanza, determinano <strong>un</strong>'attivazione<br />
dei principali sistemi endocrini, misurabile attraverso <strong>un</strong> aumento dei livelli circolanti<br />
nel sangue di ACTH, cortisolo, catecolamine quali adrenalina, noradrenalina e<br />
dopamina, ormone <strong>della</strong> crescita e anche prolattina.<br />
2.1 Il sistema nervoso centrale<br />
A livello centrale, lo stress influenza i principali sistemi neurotrasmettitoriali, che<br />
sono: il sistema noradrenergico, il sistema serotoninergico, quello dopaminergico ed<br />
infine quello gabaergico e neuropeptidergico.<br />
Il sistema noradrenergico, è il sistema di distinzione tra stress acuto e stress cronico.<br />
L'effetto che si riscontra in caso di stress è <strong>un</strong> elevato turn-over <strong>della</strong> noradrenalina,<br />
ed <strong>un</strong> suo elevato utilizzo, provocandone <strong>un</strong>a ridotta concentrazione nei siti<br />
recettoriali. Questo aumento è dose-dipendente, infatti l'intensità, la frequenza, la<br />
durata dello stress acuto, determinano <strong>un</strong> aumento dell'utilizzo <strong>della</strong> noradrenalina<br />
direttamente proporzionale. Al contrario, nello stress cronico, vengono utilizzate<br />
anche le riserve di noradrenalina, situazione che può portare anche alla depressione<br />
o agli attacchi di panico secondari allo stress.<br />
Le alterazioni serotoninergiche, indotte dallo stress, invece, incidono maggiormente<br />
nelle zone ipotalamiche e del tronco dell'encefalo. I recettori post-sinaptici, del<br />
sistema serotoninergico, conseguentemente allo stress, sono ipersensibili, facilitando<br />
<strong>un</strong>a reazione di tipo depressivo, senza <strong>un</strong>a distinzione tra stress acuto e stress<br />
cronico.<br />
Anche il sistema dopaminergico, viene coinvolto dallo stress, ed in particolare,<br />
aumenta sia il rilascio che il turn-over <strong>della</strong> dopamina a livello ipotalamico.<br />
Solo nel sistema noradrenergico, quindi c'è <strong>un</strong>a distinzione tra stress cronico ed<br />
acuto.<br />
12
L'altro sistema coinvolto, è quello GABA-ergico, il cui complesso recettoriale,<br />
identificato come GABA-benzodiazepinico, è ritenuto alla base <strong>della</strong> gestione<br />
dell'ansia. Il GABA normalmente, inibisce a livello retroattivo, la produzione di<br />
acetilcolina, noradrenalina, serotonina, dopamina. E' però molto sensibile a<br />
condizioni acute di stress tanto da rilevare <strong>un</strong>a continua regolazione tonica per<br />
fronteggiare gli stati acuti, e cambia in base alla valutazione cognitiva che noi diamo<br />
all'evento stressante, in base cioè alla sua controllabilità-incontrollabilità. Nel caso<br />
che lo stressor sia giudicato controllabile, il sistema GABA-ergico agisce<br />
correttamente, aumentando l'inibizione <strong>della</strong> produzione dei neurotrasmettitori alla<br />
base dell'ansia. Al contrario, se la valutazione cognitiva è sul versante<br />
dell'incontrollabilità, l'inibizione dei neurotrasmettitori responsabili <strong>della</strong> gestione<br />
dell'ansia si riduce, provocando <strong>un</strong> aumento di quelli in circolazione, e producendo<br />
quindi, <strong>un</strong>a condizione di ansia elevata.<br />
Il quinto sistema, non perché diviso dagli altri ma per <strong>un</strong>a maggiore chiarezza<br />
espositiva, viene descritto nel seguente paragrafo.<br />
2.2 Il controllo del sistema nervoso centrale sul sistema endocrino<br />
E' ormai stabilito il ruolo che hanno gli ormoni ipotalamici, i peptidi, nello svolgere <strong>un</strong>a<br />
f<strong>un</strong>zione regolatrice sulla secrezione degli ormoni dell'ipofisi anteriore. Si può quindi<br />
sostenere e dimostrare come il cervello regoli l'ipofisi, e quindi, tramite essa, influenzi<br />
i sistemi endocrini. Inoltre è essenziale sottolinare nuovamente, il rapporto reciproco<br />
di questi assi che sto descrivendo, poiché è noto che anche gli stessi fattori<br />
ipotalamici sono a loro volta influenzati da altri fattori, da neurotrasmettitori o altri<br />
ormoni, ed è per questo che ultimamente, il concetto di asse viene via via a sostituirsi<br />
con l'idea di rete. Il sistema neuropeptidergico, dicevamo, è costituito da peptidi,<br />
ovvero sistemi presenti sia a livello centrale, con f<strong>un</strong>zioni di modulazione<br />
comportamentale e cognitiva superiori, sia a livello periferico, dove svolgono f<strong>un</strong>zioni<br />
di controllo endocrino-metabolico. Gli ormoni, non sono sostanze stimolatrici, ma<br />
sofisticati informatori tra cellule, prodotti non solo dalle ghiandole, ma anche da<br />
numerosi importanti organi, primo fra tutti il cervello, e anche da cellule specializzate.<br />
Importante anche il fatto che gli ormoni non agiscono mai da soli, ma in modo<br />
coordinato ed integrato. I neuropeptidi, in periferia, attivano meccanismi per attivare<br />
concretamente la risposta allo stress, messa a p<strong>un</strong>to e coordinata a livello centrale.<br />
Questo sistema comprende quattro diversi sistemi neuropeptidergici integrati a<br />
doppia rappresentazione, nel senso che la risposta, determinata a livello centrale, è<br />
supportata metabolicamente dal sistema neuroendocrino dai seguenti quattro<br />
13
sistemi: il sistema dell'azione, del piacere e del dolore, <strong>della</strong> riproduzione e del<br />
supporto vitale. Questi hanno <strong>un</strong>'origine genetica specie-specifica, ed hanno il<br />
compito di ottimizzare la sopravvivenza ottimizzando le reazioni allo stress, che sono<br />
inizialmente reversibili, con <strong>un</strong> significato perciò, adattivo. Ma nel l<strong>un</strong>go termine è<br />
possibile, che la risposta allo stress, rinforzando la resistenza di alc<strong>un</strong>i apparati, a<br />
svantaggio di altri, provochi <strong>un</strong>a rottura dell'equilibrio.<br />
Il primo sistema, quello dell'azione, coinvolge lʼipotalamo, che si può infatti<br />
considerare, come la struttura limite tra somatico e psichico, ed è infatti attraverso di<br />
esso, che le f<strong>un</strong>zioni istintuali (es. fame, sete) possono trovare <strong>un</strong>a loro espressione<br />
nel corpo, attraverso il controllo che lʼipotalamo stesso esercita sul sistema<br />
vegetativo ed endocrino. Gli studi sulle relazioni tra processi neuroendocrini,<br />
comportamento e fenomeni imm<strong>un</strong>itari hanno evidenziato la presenza di <strong>un</strong> flusso<br />
bidirezionale di informazioni tra il sistema neuroendocrino e il sistema imm<strong>un</strong>itario,<br />
responsabile <strong>della</strong> mutua regolazione delle loro rispettive f<strong>un</strong>zioni. Lʼintegrazione, a<br />
livello ipotalamico,di stimoli provenienti dal sistema nervoso, da quello endocrino e<br />
da quello imm<strong>un</strong>itario, avviene tramite lʼattivazione dellʼasse ipotalamo-ipofisi-<br />
surrene, la cui fondamentale importanza è dimostrata dallʼincompatibilità con la<br />
sopravvivenza di soggetti affetti da <strong>un</strong>a insufficienza surrenalica primaria (<strong>malattia</strong> di<br />
Addison), con la comparsa di <strong>un</strong>o stato di shock irreversibile.<br />
Gli stimoli (stressors), che sono stati recepiti, dal sistema nervoso centrale, arrivano<br />
allʼipotalamo, tramite afferenze neuronali, (lʼamigdala, lʼippocampo del sistema<br />
limbico e le regioni del tronco dellʼencefalo), veicolate da <strong>un</strong> gran numero di<br />
neurotrasmettitori, in grado di influenzare il rilascio di ormoni ipotalamici. In<br />
particolare, gli ormoni più importanti che vengono prodotti dallʼipotalamo, sono il CRH<br />
(corticotropina ormone di rilascio) e lʼAVP (anginovasopressina). Questi due fattori di<br />
rilascio vengono diretti allʼipofisi attraverso prol<strong>un</strong>gamenti assonici dellʼipotalamo, e<br />
qui stimolano la produzione di ACTH (ormone adrenocorticotropo). Questʼormone è<br />
quello che serve ad attivare lʼultimo passo dellʼasse ipotalamo-ipofisi-surrene. Infatti,<br />
lʼACTH e il CRH, sono gli ormoni regolatori <strong>della</strong> biosintesi e <strong>della</strong> secrezione del<br />
cortisolo a livello delle ghiandole surrenali. In condizioni di stress prol<strong>un</strong>gato <strong>un</strong><br />
ipercorticosurrenalismo, provoca alterazioni vascolari, ipertensione e alterazioni<br />
metaboliche utili a fronteggiare lo stress ma anche <strong>un</strong>a progressiva riduzione delle<br />
difese imm<strong>un</strong>itarie, portando man mano conseguenze lesive allʼorganismo. Infatti il<br />
cortisolo in condizioni ideali viene prodotto nella prima parte <strong>della</strong> giornata, mentre<br />
diminuisce la sera, inversamente proporzionali sono i livelli dei leucociti. Ad alti livelli<br />
di cortisolo corrisponde <strong>un</strong> abbassamento delle difese imm<strong>un</strong>itarie, mentre a bassi<br />
livelli di cortisolo corrisponde <strong>un</strong> innalzamento delle difese imm<strong>un</strong>itarie. Il problema<br />
14
sorge quando questa sincronia viene persa. Se lʼormone dello stress viene prodotto<br />
in continuazione, le difese imm<strong>un</strong>itarie rimangono alterate per tutto il giorno. Infatti,<br />
da dati di laboratorio è emersa la presenza di numerosi mediatori tramite i quali<br />
sistema nervoso e lʼasse ipotalamo-ipofisi-surrene possano modulare le risposte<br />
imm<strong>un</strong>itarie, come avrò modo di spiegare più avanti.<br />
Lo stress infatti non produce solo <strong>un</strong> aumento di cortisolo, ma attiva i principali<br />
sistemi endocrini. La risposta allo stress è quindi multiormonale.<br />
Il sistema del piacere e del dolore, regola, attraverso le endorfine e le encefaline, le<br />
situazioni emozionali legate al piacere e al dolore. Le endorfine agiscono a livello<br />
centrale sullo stress da separazione, sulle dipendenze comportamentali, e<br />
determinano analgesia da stress a livello periferico.<br />
Il sistema <strong>della</strong> riproduzione agisce attraverso LH, FSH, GNRH, ormoni sessuali,<br />
prolattina ed ossitocina. Quest'ultima ha per esempio, il ruolo importante di<br />
cementare la relazione madre bambino, mentre la prolattina, favorisce la produzione<br />
di latte materno.<br />
L'ultimo sistema, quello di supporto vitale, utilizza neuropeptidi quali, CCK e<br />
bombesina, dove quest'ultimo, per esempio, va a inibire a livello periferico, la<br />
produzione di acidità gastrica.<br />
Come accennato in precedenza, ricerche recenti, hanno demolito la tradizionale<br />
immagine gerarchica degli assi endocrini, innanzitutto perchè si è scoperto che i<br />
fattori ipotalamici per agire non devono necessariamente passare per l'ipofisi, ma<br />
possono saltarla, determinando direttamente i loro effetti. Tipico in questo senso è il<br />
ruolo dell'ormone ipotalamico dello stress il CRH, che oltre ad attivare, tramite<br />
l'ipofisi, l'asse ormonale dello stress, svolge <strong>un</strong> proprio ruolo di attivazione dello<br />
stress all'interno del cervello, ed in particolare del sistema limbico e dell'amigdala.<br />
L'amigdala, come sappiamo, è <strong>un</strong>a struttura fondamentale per le emozioni, e di<br />
conseguenza, nella formazione <strong>della</strong> memoria, emotiva, ma anche cognitiva, è dà<br />
persino <strong>un</strong> significato emotivo agli odori. Un'area importante, è l'area centromediale,<br />
che f<strong>un</strong>ge da collegamento con il circuito talamo-ipotalamo-sistema nervoso<br />
vegetativo, scaricando le emozioni, non solo negative, ma anche positive, in corpo.<br />
Inoltre, si è documentata, l'ubiquitarietà di ormoni tradizionalmente pensati come<br />
peculiari di <strong>un</strong> asse e la loro reattività all'azione di sostanze appartenenti ad assi<br />
diversi o, addirittura a sistemi generali diversi. Fondamentale in questo senso è la<br />
dimostrazione che la cellula imm<strong>un</strong>itaria, il linfocita, è in grado di produrre CRH,<br />
ACTH e, tramite i propri messaggeri, come l'interleuchina-1 influenzare direttamente<br />
il CRH ipotalamico.<br />
Gli assi neuroendocrini non sono quindi autostrade parallele e separate che <strong>un</strong>iscono<br />
15
cervello-ipofisi-ghiandole endocrine-tessuti bersaglio. Le autostrade certamente<br />
esistono, ma, come abbiamo visto, frequenti sono le scorciatoie e ancora più<br />
frequenti sono gli inserimenti laterali, collegamenti cioè non di tipo verticale, a<br />
cascata, ma di tipo orizzontale, tra assi ormonali diversi. Questo meccanismo di<br />
collegamento laterale si chiama feedsideward . La sua individuazione, oltre ad<br />
ampliare la possibilità di <strong>un</strong>a vasta gamma di patologie (poiché accresce i p<strong>un</strong>ti<br />
d'attacco: infatti non solo l'asse, ma anche i suoi collegamenti orizzontali possono<br />
essere il bersaglio di <strong>un</strong>'azione terapeutica), dà ragione a chi già negli anni '50<br />
parlava di network neuroendocrino (Bottaccioli, 2005).<br />
2.3 Il sistema imm<strong>un</strong>itario<br />
Pur essendo trascorsi più di due secoli dalla pubblicazione nel 1798 del lavoro di E.<br />
Jenner, con cui veniva presentato al mondo il primo vaccino che conferiva imm<strong>un</strong>ità<br />
contro il vaiolo, la scienza dell'imm<strong>un</strong>ologia è in realtà giovanissima. Le scoperte in<br />
campo imm<strong>un</strong>itario, sono dell'ultimo quarto di secolo, e per questo non sono ancora<br />
patrimonio <strong>della</strong> maggior parte dei medici. Infatti, in Italia, l'imm<strong>un</strong>ologia è diventata<br />
<strong>un</strong>a materia d'insegnamento nei corsi di laurea in Medicina, solo negli anni '80.<br />
Ovviamente ci sono medici (pochi), che nonostante questo hanno competenze in<br />
materia, in quanto anche l'imm<strong>un</strong>ologia è ancora pensata come <strong>un</strong>a specialità, e<br />
non, invece, come a <strong>un</strong> grande sistema di regolazione dell'organismo, deputato<br />
all'organizzazione delle sue difese, sia verso l'interno, che verso l'esterno.<br />
Dagli studi del 1980 di L Pasteur, che identificò il microrganismo responsabile del<br />
colera dei polli e si fornì <strong>un</strong>a spiegazione scientifica al lavoro di Jenner, iniziò quindi<br />
<strong>un</strong>a grande mole di ricerche. Queste, tentarono prima di spiegare la risposta<br />
imm<strong>un</strong>itaria, come <strong>un</strong>a chiave, l'antigene, cioè l'elemento estraneo, che “stampa” la<br />
propria serratura, l'anticorpo. In realtà successivamente si scoprì che erano la chiave<br />
e la serratura corrispondente ad incontrarsi casualmente. Inoltre, nel 1974 N.K.<br />
Jerne, introdusse <strong>un</strong>a nuova visione: il sistema imm<strong>un</strong>itario f<strong>un</strong>ziona come <strong>un</strong><br />
network, quindi non solo in relazione interno-esterno, ma anche dalla relazione<br />
interno-interno, in quanto <strong>un</strong> anticorpo può riconoscere ed essere riconosciuto in<br />
qualità di anticorpo, ma può anche essere <strong>un</strong> antigene per altri anticorpi. La rete<br />
viene quindi tenuta in equilibrio dinamico da questo complesso sistema di<br />
riconoscimenti. Inoltre Jerne, paragona giustamente il sistema imm<strong>un</strong>itario, al SNC,<br />
poiché “entrambi penetrano nella maggior parte dei tessuti corporei”, ma poi<br />
aggi<strong>un</strong>ge sbagliando che “i sistemi tendono ad evitarsi a vicenda” (Jerne, 1974).<br />
Infatti dalla seconda metà degli anni '50 inizia la rivoluzione scientifica in campo<br />
16
imm<strong>un</strong>ologico, che si sviluppa, grazie alle nuove acquisizioni in altri campi, come per<br />
esempio gli apporti di Cannon e Seyle.<br />
I cardini di questa rivoluzione sono: il sistema, pur composto da diverse classi di<br />
cellule, e da <strong>un</strong> numero sterminato di elementi, è capace di autoregolarsi ed è in<br />
continuo movimento; non c'è ness<strong>un</strong> organo che non venga monitorato dal sistema<br />
imm<strong>un</strong>itario; il sistema f<strong>un</strong>ziona come organo di senso interno e quindi partecipa<br />
attivamente alla regolazione dell'equilibrio dinamico dell'organismo umano, insieme<br />
agli altri sistemi regolatori, cioè il SNC e il sistema neuroendocrino; le normali attività<br />
di risposta imm<strong>un</strong>itaria hanno <strong>un</strong>a doppia polarità oscillante, denominati sistemi Th1<br />
e Th2, provviste di sofisticati sistemi di controllo; nella costruzione e nel<br />
mantenimento dell'equilibrio del sistema, fondamentale è la tolleranza acquisita del<br />
sistema imm<strong>un</strong>itario delle mucose e segnatamente <strong>della</strong> sua porzione intestinale;<br />
nella specie umana, il sistema, ha <strong>un</strong>a forte impronta sessuale.<br />
In generale dalle ossa l<strong>un</strong>ghe, dallo sterno, dalle costole, etc. tramite il flusso<br />
venoso, si immettono, a ritmo costante, nel torrente circolatorio, le cellule del sangue<br />
prodotte nel midollo osseo, gran parte di queste sono cellule imm<strong>un</strong>itarie. Queste<br />
sono dislocate in circuiti strategici che coinvolgono l'insieme dell'organismo umano:<br />
cute, mucose, sangue, linfa. Tutte derivano da <strong>un</strong> precursore com<strong>un</strong>e, la cellula<br />
staminale ematopoietica, HSC, da cui si formano i capostipiti delle due linee:<br />
mieloide e linfoide da cui poi derivano:<br />
-i macrofagi, che rappresentano il principale sistema di pulizia interna, tramite<br />
fagocitosi, ma hanno anche importanti f<strong>un</strong>zioni trofiche e regolatorie, sono com<strong>un</strong>que<br />
le cellule dell'infiammazione cronica;<br />
-i neutrofili,<br />
anch'essi fagociti, ma sono molto più numerosi dei macrofagi, ma hanno<br />
vita più breve, sono cellule di prima linea, dell'infiammazione acuta;<br />
- i basofili e i mastociti,<br />
di base molto simili, con la differenza che i primi viaggiano nel<br />
sangue, mentre i secondi nei tessuti. Contengono granuli di istamina, che possono<br />
essere rilasciati provocando infiammazione. Lo stimolo di rilascio può provenire dalle<br />
imm<strong>un</strong>oglobuline E (IgE), che possono provocare le classiche reazioni allergiche, o<br />
anche da stimoli nervosi, l'orticaria da stress ne è <strong>un</strong> esempio;<br />
- gli eosinofili, arrivano 24-48 ore dopo l'infiammazione, sono cellule molto potenti<br />
che producono grosse quantità di sostanze infiammatorie, contengono granuli tossici,<br />
la cui liberazione distrugge parassiti extracellulari, e sembra anche alc<strong>un</strong>i tipi di<br />
tumori, ma sono anche la causa di patologie delle mucose, bronchiali (asma), e<br />
gastrointestinali;<br />
- il sistema di complemento, è costituito da proteine, prodotte soprattutto dal fegato,<br />
ed è il sistema più semplice per distruggere microrganismi, p<strong>un</strong>to di raccordo<br />
17
essenziale tra imm<strong>un</strong>ità naturale (fagocitosi e infiammazione) e imm<strong>un</strong>ità acquisita<br />
(anticorpi prodotti da linfociti B). Difetti di questo sistema entrano nelle cause di<br />
numerose patologie, di tipo acuto (shock anafilattico) e cronico (malattie<br />
autoimm<strong>un</strong>i);<br />
- le natural killer, sono killer naturali, spontanei soprattuto delle cellule infettate da<br />
virus e delle cellule trasformate in senso maligno (tumori). Sono le cellule più<br />
sensibili allo stress fisico e psichico: <strong>un</strong>a notte insonne o <strong>un</strong> lutto possono ridurne<br />
significativamente l'attività;<br />
- le cellule dendritiche, costituiscono <strong>un</strong> complesso sistema di cellule, diffuse in tutto<br />
l'organismo, che condividono la capacità di presentare il potenziale patogeno<br />
(l'antigene) ai linfociti T, nei linfonodi, dopo <strong>un</strong> viaggio nel sangue di alc<strong>un</strong>i giorni.<br />
Sono quindi cellule mobili, che hanno la capacità di attivare la risposta imm<strong>un</strong>itaria,<br />
selezionandola in base alla loro capacità di produrre segnali, le citochine;<br />
- i linfociti T si suddividono tra T helper e T citotossici, i primi sono gli organizzatori<br />
<strong>della</strong> risposta, i secondi gli esecutori. Una particolarità interessante è che <strong>un</strong><br />
sottogruppo di linfociti T, i linfociti T gamma, hanno <strong>un</strong>'origine intestinale.<br />
Interessante e curioso è che, nel corso di tiroidite auoimm<strong>un</strong>e, si trovano nella tiroide<br />
grosse quantità di questi linfociti intestinali;<br />
- i linfociti B, sono produttori degli anticorpi, detti anche imm<strong>un</strong>oglobuline, sono divisi<br />
in varie classi IgA, tipiche delle mucose, IgE, allergia e e risposta antiparassitaria,<br />
IgM, risposta imm<strong>un</strong>itaria di prima linea, IgG, anticorpi a l<strong>un</strong>ga vita con f<strong>un</strong>zioni<br />
diverse e ridondanti, IgD, con f<strong>un</strong>zioni ignote;<br />
- i linfociti NKT stanno soprattutto nel fegato. Sono l'anello intermedio tra le natural<br />
killer e i linfociti T e la loro attività è stata collegata allo sviluppo di malattie<br />
autoimm<strong>un</strong>i. Se la loro attività è carente, sembrerebbe favorire malattie autoimm<strong>un</strong>i<br />
quali diabete di primo tipo e la sclerosi multipla, invece, se in eccesso, favorirebbe<br />
altre malattie autoimm<strong>un</strong>i quali il Lupus erimatoso sistemico.<br />
Nella precedente descrizione, si fa spesso riferimento a <strong>un</strong> passaggio fondamentale<br />
dell'attivazione del sistema, cioè alla cosidetta presentazione dell'antigene da parte di<br />
vari tipi di cellule (linfociti B, cellule dendritiche, macrofagi), al linfocita T, che può<br />
essere helper o citotossico. In questa presentazione, l'antigene non viene presentato<br />
da solo, ma legato a <strong>un</strong> complesso proteico, com<strong>un</strong>emente definito HLA. Questo<br />
complesso permette il corretto riconoscimento dell'antigene da parte dei linfociti,<br />
discriminandone la natura (pericolosa o innocua) e il tipo (virus o batterio).<br />
Costituisce quindi <strong>un</strong> aspetto fondamentale dell'organizzazione <strong>della</strong> risposta nel<br />
senso <strong>della</strong> tolleranza, se l'antigene fa parte dell'organismo stesso, cioè del self,<br />
oppure <strong>della</strong> reattività, cioè se l'antigene è estraneo. In sostanza, i linfociti, pur attivi<br />
18
contro il virus, per riconoscerlo, hanno bisogno <strong>della</strong> mediazione di <strong>un</strong> meccanismo<br />
legato alle proprie cellule, il maggior complesso di istocompatibilità, HLA, quindi il<br />
sistema imm<strong>un</strong>itario riconosce l'estraneo, solo riconoscendo se stesso e il suo<br />
organismo, il self. HLA esprimono due varianti fondamentali: di I e II tipo. Con HLA-I<br />
si presentano proteine normali, ma anche tumorali e virali, e praticamente tutte le<br />
cellule esprimono HLA-I. Sono i linfociti T che riconoscono HLA-I e sono soprattutto<br />
citotossici, perché sono loro che <strong>un</strong>a volta individuati antigeni estranei o strani,<br />
hanno la possibilità di distruggere cellule infettate. HLA-II, invece, viene espresso in<br />
modo più ristretto, e con esso si presenta materiale esogeno, cioè, batteri, virus e<br />
sostanze extracellulari, solo su alc<strong>un</strong>e cellule imm<strong>un</strong>itarie: linfociti B, macrofagi e<br />
cellule dendritiche. Ma nel caso di infiammazione, soprattutto in presenza di<br />
interferone-gamma (INF-γ), può ampliarsi l'arco delle cellule capaci di esprimere<br />
HLA-II e quindi estendersi l'attivazione imm<strong>un</strong>itaria. I linfociti che si legano ad HLA-II<br />
sono di tipo helper, che organizzano <strong>un</strong>a risposta adeguata all'antigene, cioè di tipo<br />
extracellulare: sollecitano i linfociti B a produrre anticorpi che neutralizzeranno<br />
batteri, virus, non ancora nascosti nelle cellule, nonché marchiando proteine che<br />
verranno fagocitate dai macrofagi.<br />
Da quanto detto emerge che il sistema HLA è <strong>un</strong>o snodo delicatissimo <strong>della</strong> risposta<br />
imm<strong>un</strong>itaria. Difetti nella presentazione possono dar vita a risposte non controllate: i<br />
linfociti possono non riconoscere correttamente il complesso HLA-I che presenta <strong>un</strong>a<br />
normale proteina, per esempio, <strong>della</strong> tiroide, oppure possono essere indotti in errore<br />
dalla presenza di HLA-II, dove normalmente non dovrebbe esserci. In entrambi i casi<br />
la conclusione sarà pericolosa: il sistema si attiverà contro <strong>un</strong>a struttura in realtà<br />
normale producendo danni. Sono molti i ricercatori che pensano che nelle differenze<br />
individuali dei geni che codificano per questi complessi ci sia <strong>un</strong>a delle chiavi che<br />
possono farci comprendere la genesi delle malattie autoimm<strong>un</strong>i. E' così ormai chiaro<br />
che il sistema imm<strong>un</strong>itario non è rivolto solo verso l'esterno, ma anche verso l'interno.<br />
Anzi, più cresce la comprensione del f<strong>un</strong>zionamento del sistema e più si rafforza<br />
l'idea che il controllo dell'interno è essenziale non solo per il mantenimento <strong>della</strong><br />
salute, ma anche per dare, per così dire, <strong>un</strong>'identità al sistema stesso. Inoltre dagli<br />
studi di S. Gallucci, emerge con chiarezza che il sistema imm<strong>un</strong>itario sia in grado di<br />
leggere, per così dire, anche lo stato di salute delle cellule, nel senso che sia in<br />
grado di recepire non solo segnali di morte ma anche di semplice sofferenza, di<br />
stress. In definitiva, <strong>un</strong>a forte identità dell'io imm<strong>un</strong>ologico, e quindi <strong>un</strong>a forte<br />
“centratura” sull'interno, è la condizione necessaria, per gestire al meglio l'enorme,<br />
continua e variegata stimolazione che viene dall'esterno.<br />
Le ricerche di D. Felten <strong>della</strong> Rochester University e di K. Bulloch <strong>della</strong> Stony Brook<br />
19
University di New York, (citato in Bottaccioli, 2005), hanno dimostrato con l'evidenza<br />
delle micorfotografie elettroniche lo stretto contatto che c'è tra fibre nervose che<br />
innervano tutti gli organi.<br />
20<br />
Fig. 1*il rischio relativo indica<br />
la frequenza <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> in<br />
<strong>un</strong>a persona con quel marker<br />
HLA paragonata a <strong>un</strong>a<br />
persona senza quel marker.<br />
Questo significa che, per<br />
esempio, il marker DR3 è<br />
quasi 11 volte più frequente in<br />
persone con <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong><br />
rispetto a persone senza la<br />
<strong>malattia</strong>: cio' vuol dire che la<br />
presenza di questo marker, in<br />
<strong>un</strong>a persona senza <strong>malattia</strong><br />
<strong>celiaca</strong>, indica il rischio di<br />
sviluppare, nel tempo, la<br />
<strong>malattia</strong> è superiore alla<br />
norma.<br />
Fig.2 Rappresenta<br />
parzialmente lo stato<br />
attuale delle conoscenze.
Alla luce delle conoscenze attuali, si può dire che la risposta all'antigene<br />
(all'aggressore) è fortemente condizionata dal sistema nervoso e da quello endocrino<br />
e che il suo automatismo dipende largamente dall'ambiente neuroendocrino nel<br />
quale si svolge la reazione imm<strong>un</strong>itaria. Il linfocita presenta recettori per i più<br />
importanti neurotrasmettitori nonché per numerosi recettori ipotalamici e ipofisari.<br />
Infatti gli scienziati concordano su <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to fondamentale: il cervello monitora<br />
costantemente l'attività del sistema imm<strong>un</strong>itario, e ciò è dimostrabile dalla<br />
misurazione delle modificazioni dell'attività dei neurotrasmettitori cerebrali. Quando si<br />
raggi<strong>un</strong>ge, per esempio, l'acme <strong>della</strong> risposta anticorpale, i livelli di noradrenalina<br />
nell'ipotalamo diminuiscono drasticamente, probabilmente per <strong>un</strong> aumentato<br />
consumo (turnover) di questo fondamentale neurotrasmettitore in seguito<br />
all'aumentata attività imm<strong>un</strong>itaria. Ma c'è di più. La Fig.2 mostra numerose frecce,<br />
destinate ad aumentare, che indicano gli ormoni e i neurotrasmettitori prodotti dal<br />
linfocita stesso. La cellula imm<strong>un</strong>itaria oltre ad essere <strong>un</strong>a stazione ricevente è quindi<br />
anche <strong>un</strong>a trasmittente. E' fonte di ormoni e neurotrasmettitori, che hanno il compito<br />
di modulare la risposta imm<strong>un</strong>itaria: la produzione di peptidi ormonali, al pari <strong>della</strong><br />
produzione di citochine, fa parte del linguaggio del sistema imm<strong>un</strong>itario. Ormoni<br />
come il TSH, prodotto dall'ipofisi, per stimolare la tiroide, viene prodotto anche dai<br />
linfociti per aumentare la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B, come l' ACTH<br />
ipofisario stimola la produzione di cortisolo nelle surrenali, mentre quello linfocitario<br />
serve a bloccare la produzione di anticorpi. Per J.E. Balock però il ruolo dei<br />
neurormoni linfocitari non si ferma qui, anzi ne sostiene <strong>un</strong> ruolo centrale nella<br />
com<strong>un</strong>icazione tra grandi sistemi. La ricerca ha infatti stabilito che questi ormoni<br />
linfocitari hanno effetti endocrini, al pari dei loro fratelli prodotti dalle cellule delle<br />
ghiandole endocrine. Come si evince infatti dalla Fig.3, stimoli cognitivi (stress<br />
emozionale) o non cognitivi, (batteri, tossine, virus), stimolano entrambi la<br />
produzione di CRH dal cervello (ipotalamo) o dal sistema imm<strong>un</strong>itario (linfociti). Il<br />
CRH, a sua volta, può stimolare il rilascio di ACTH dall'ipofisi e di IL-1 (interleuchina-<br />
1) dai macrofagi. L'IL-1, a sua volta, può determinare <strong>un</strong> aumento di produzione del<br />
CRH dall'ipotalamo e dell'ACTH dall'ipofisi o dai linfociti B. Alla fine arrivano i<br />
glucocorticoidi, prodotti dalle surrenali sollecitate dall'ACTH, a spegnere tutto.<br />
Com<strong>un</strong>que, il sistema imm<strong>un</strong>itario reagisce in modi diversi se deve fronteggiare virus<br />
(parassiti intracellulari in genere) piuttosto che batteri e tossine. I virus e in genere<br />
tutti i parassiti intracellulari, come il mycobatterio <strong>della</strong> tubercolosi, possono essere<br />
distrutti solo distruggendo la cellula infettata che f<strong>un</strong>ge da incubatrice per la loro<br />
sopravvivenza e riproduzione. Per questo il sistema mette in atto <strong>un</strong>a risposta basata<br />
21
sull'azione di linfociti T citotossici, che distruggono la cellula infettata. Invece, nel<br />
caso dell'infezione batterica e/o tossica, la fagocitosi e la successiva esposizione<br />
degli antigeni sulla superficie delle cosidette “cellule presentanti l'antigene” (APC),<br />
nducono <strong>un</strong>a produzione di anticorpi specifici tramite l'attivazione dei linfociti B da<br />
parte dei linfociti T helper.<br />
Fig. 3 Il gioco tra imm<strong>un</strong>ità e cervello<br />
Il primo tipo di risposta si chiama “cellulomediata”, il secondo “umorale”, e si ipotizzò<br />
che questa risposta, basata sui linfociti T, potesse essere influenzata da <strong>un</strong>a<br />
divisione f<strong>un</strong>zionale di <strong>un</strong>a particolare classe di linfociti T, i T helper. Mosmann,<br />
dimostrò che questa popolazione di cellule imm<strong>un</strong>itarie, poteva essere suddivisa in<br />
due sottoclassi: Th1 e Th2, legati a due diversi profili citochinici: il Th1 è collegato<br />
alla produzione di interleuchina-2 (IL-2), IL-12, INF-αINF-γ mentre il Th2 alla IL-4 e<br />
IL-13. Il Th1 produce <strong>un</strong>a forte risposta cellulomediata, sostenuta da <strong>un</strong>'altrettanto<br />
forte risposta infiammatoria, capace di distruggere virus e parassiti intracellulari;<br />
mentre il Th2 induce <strong>un</strong>a risposta anticorpale capace di attaccare e distruggere<br />
batteri e parassiti extracellulari in genere. Abbiamo detto che il tipo di stimolo<br />
antigenico (se virus attiverà Th1, se batterio/parassita extracellulare, il Th2), è il<br />
fattore che influenza l'attivazione di <strong>un</strong> circuito piuttosto che l'altro, ma è importante<br />
sottolineare che ancora <strong>un</strong>a volta è fondamentale il contesto, l'ambiente interno, in<br />
22
cui si realizza la risposta. E l'ambiente interno dipende sia da fattori genetici, sia da<br />
fattori ambientali, o meglio, dalla loro combinazione. Per esempio, <strong>un</strong> eccesso di<br />
cortisolo, può produrre <strong>un</strong> deficit di attivazione nella risposta Th1, mentre <strong>un</strong> deficit di<br />
vitamina D può produrre <strong>un</strong> deficit nella risposta Th2 che ha effetti sia in sé, come<br />
scarsa risposta anticorpale, sia in relazione al circuito Th1, che viene bilanciato e<br />
quindi frenato proprio dal Th2. La questione dell'equilibrio è veramente centrale, in<br />
quanto non c'è <strong>un</strong> circuito buono e <strong>un</strong>o cattivo, ma la risposta imm<strong>un</strong>itaria deve<br />
essere specifica e al tempo stesso, capace di non eccedere e ritrovare prontamente<br />
l'equilibrio. Se eccede si creano problemi: infatti, la polarizzazione eccessiva sulla<br />
risposta Th1 può portare alla comparsa di malattie autoimm<strong>un</strong>i da difetto di controllo<br />
di cloni di linfociti T reattivi e di citochine infiammatorie. Per esempio, il diabete di<br />
primo tipo, l'artrite reumatoide e la sclerosi multipla, sono malattie autoimm<strong>un</strong>i<br />
prodotte dal Th1. Mentre la polarizzazione opposta può portare ad <strong>un</strong> eccesso di<br />
risposta anticorpale soprattutto verso gli allergeni, con sovrapproduzione di IgE e di<br />
imm<strong>un</strong>ocoplessi. Le allergie e il Lupus erimatoso sistemico, si pensa siano da<br />
attribuire all'eccessiva polarizzazione del circuito Th2. Anche per ritrovare l'equilibrio<br />
del sistema è importante l'effetto contesto. Infatti la risposta Th1 ha i suoi reparti<br />
privilegiati nella cute e nel sangue, quella Th2 è tipica delle mucose. La risposta Th1,<br />
per esempio, viene accuratamente evitata nelle mucose, nell'occhio e nel cervello<br />
perché potrebbe produrre <strong>un</strong> danneggiamento degli stessi tessuti: non a caso il<br />
morbo di Chron per l'intestino, la sclerosi multipla per il sistema nervoso e l'uveite per<br />
l'occhio, rientrano nel quadro di malattie autoimm<strong>un</strong>i di tipo Th1. Inoltre i due circuiti<br />
si condizionano a vicenda.<br />
Il doppio circuito di risposta imm<strong>un</strong>itaria, Th1/Th2, come abbiamo visto, consente<br />
<strong>un</strong>a più efficace risposta alla diversità degli agenti patogeni, ma al tempo stesso<br />
l'oscillazione consente al sistema di autoregolarsi e quindi di evitare il<br />
danneggiamento delle strutture proprie dell'organismo a causa di <strong>un</strong> eccesso di<br />
polarizzazione <strong>della</strong> risposta. Il meccanismo di deviazione imm<strong>un</strong>itaria è <strong>un</strong>o dei<br />
mezzi fondamentali per produrre tolleranza imm<strong>un</strong>itaria, che può essere definita<br />
come quello stato fisiologico in cui il sistema imm<strong>un</strong>itario non reagisce<br />
distruttivamente contro le strutture dell'organismo che lo ospita o contro antigeni che<br />
vengono introdotti. Queste risposte distruttive vengono prevenute da <strong>un</strong>a varietà di<br />
meccanismi che agiscono sia nella fase dello sviluppo del sistema sia, a sistema<br />
maturo, durante ogni risposta imm<strong>un</strong>itaria. In passato si pensava operasse <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico<br />
meccanismo centrale di induzione <strong>della</strong> tolleranza: la cosiddetta “selezione timica”, e<br />
cioè l'eliminazione dei linfociti T reattivi, nei confronti degli antigeni self presentati al<br />
timo nella fase fetale. Ora è chiaro che la selezione timica seppure essenziale, non è<br />
23
l'<strong>un</strong>ico meccanismo. In primo luogo si è scoperto che opera anche <strong>un</strong>a selezione del<br />
midollo osseo verso i linfociti B, e inoltre è ormai chiaro che il timo è in grado di<br />
produrre linfociti particolari, che hanno <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione regolatoria. Inoltre, questa<br />
grande opera di taratura del sistema, con l'eliminazione (selezione negativa) dei<br />
linfociti T e B potenzialmente reattivi verso l'organismo, è solo il primo passo nella<br />
costruzione <strong>della</strong> tolleranza, che si presenta come <strong>un</strong> l<strong>un</strong>go processo, con fasi <strong>della</strong><br />
vita e luoghi privilegiati.<br />
La fase <strong>della</strong> vita cruciale per la costruzione <strong>della</strong> tolleranza è certamente l'infanzia.<br />
Infatti in pubertà il timo comincia <strong>un</strong> lento processo involutivo, come se avesse<br />
concluso il suo compito. I luoghi privilegiati sono i due reparti del sistema imm<strong>un</strong>itario<br />
delle mucose (MALT). I due reparti sono il nasofaringeo (NALT) e l'intestinale (GALT),<br />
dove il contatto con gli antigeni è costante e senza mediazioni: antigeni contenuti<br />
nell'aria nel primo caso e cibo nel secondo caso. Tra NALT e GALt c'è <strong>un</strong>a stretta<br />
com<strong>un</strong>icazione, per cui è possibile <strong>un</strong>a diffusione <strong>della</strong> risposta da <strong>un</strong> reparto all'altro<br />
e anche all'insieme dell'organismo tramite la circolazione linfatica e sanguigna. La<br />
gran parte delle sostanze potenzialmente reattive (antigeni) entra dal naso e dalla<br />
bocca, nel momento che svolgiamo f<strong>un</strong>zioni vitali primarie, come respirare e<br />
mangiare. Nel caso degli antigeni inalati con l'aria sono le tonsille e le adenoidi le<br />
stazioni del sistema imm<strong>un</strong>itario delle mucose che vengono interessate. Nel caso<br />
degli antigeni ingeriti col cibo, sono l'epitelio intestinale, con <strong>un</strong>a particolare classe di<br />
cellule chiamate cellule M, e ammassi di tessuto linfoide distribuiti <strong>un</strong> pò in tutto<br />
l'intestino, ma soprattutto a livello <strong>della</strong> porzione finale del tenue (ileo), chiamate<br />
placche di Peyer. Quando <strong>un</strong> antigene entra in contatto con la mucosa intestinale,<br />
l'antigene è costretto a seguire <strong>un</strong>a strada obbligata, quella delle cellule M, sotto le<br />
quali sono presenti le placche di Peyer con il set completo delle cellule imm<strong>un</strong>itarie<br />
adatte a rispondere, in modo particolare le cellule che presentano l'antigene (APC),<br />
linfociti T helper e linfociti B. Questi ultimi sono le cellule regine del sistema delle<br />
mucose, sono loro che producono <strong>un</strong>a particolare classe di anticorpi: la<br />
imm<strong>un</strong>oglobulina A secretoria, (sIgA), che è il principale strumento difensivo delle<br />
mucose. La risposta imm<strong>un</strong>itaria però, non avviene all'interno delle placche di Peyer;<br />
in questa sede i linfociti conoscono l'antigene, vengono sensibilizzati (priming), si<br />
moltiplicano (espansione clonale) e migrano seguendo la via linfatica (i linfonodi<br />
mesenterici); torneranno poi all'intestino, tramite la circolazione sanguigna, a livello<br />
dell'epitelio, ed esattamente a livello <strong>della</strong> cosidetta lamina propria, dove produrranno<br />
<strong>un</strong>a risposta imm<strong>un</strong>itaria specifica, preferenzialmente di tipo Th2, caratterizzata<br />
generalmente dalla produzione di Iga secretoria che neutralizzerà l'antigene. Questa<br />
raffinata risposta consente di scovare intrusi, che hanno gli stessi requisiti di quelli<br />
24
incontrati, per esempio, nell'intestino, anche in aree del corpo distanti ma<br />
accom<strong>un</strong>ate dalla presenza delle mucose. E' intuibile che il circuito può essere usato<br />
anche a fini patologici: cellule e sostanze infimmatorie possono accasarsi in <strong>un</strong>a<br />
zona mucosale distante ma adatta a ricevere la segnalazione infiammatoria<br />
(Bottaccioli, 2005).<br />
25
3. IL CONTRIBUTO DI G. BATESON: la mente come relazione<br />
Fin qui sono stati descritti i principali sistemi biologici e le loro interrelazioni. Come<br />
però tutto ciò può essere collegato, secondo l'approccio integrato, alla psicologia lo<br />
chiarisce G. Bateson.<br />
G. Bateson fondatore <strong>della</strong> Scuola di Palo Alto, in California, è esponente<br />
dell'approccio sistemico-relazionale, e seguendo le sue parole, ha sempre indagato<br />
“la struttura che connette”...l'uomo alle margherite, alle montagne, al pianeta, al<br />
cosmo. Ovviamente il p<strong>un</strong>to di partenza è olistico, basato sulla cibernetica di<br />
L.Bertalanffy, ma innanzitutto sulla com<strong>un</strong>icazione umana. Ogni com<strong>un</strong>icazione ha<br />
bisogno di <strong>un</strong> contesto: senza contesto non c'è significato. E' il contesto, dice<br />
Bateson, che determina il significato di <strong>un</strong>a struttura, e questo è vero per la<br />
grammatica , come per l'anatomia. L'uomo scrive Bateson “è imprigionato in <strong>un</strong>a<br />
trama di premesse epistemologiche ed ontologiche. La sua epistemologia, cioè le<br />
convinzioni consce e inconsce sul mondo, condizionano i comportamenti e il suo<br />
essere, cioè l'ontologia che a sua volta condiziona la sua epistemologia. L'insieme<br />
delle premesse, epistemologiche ed ontologiche, sono le regole con le quali <strong>un</strong><br />
individuo costruisce la sua esperienza. Le convinzioni epistemologiche più che<br />
provenire dalla ragione, sono impasti di emozione e ragione, forgiati dalle<br />
esperienze. Questa trama di premesse, che costituisce l'essere umano, è il frutto<br />
delle relazioni tra livello mentale e quello biologico. La mente sta nella relazione, non<br />
sta nell'Io. Sta nel sistema nella sua totalità, laddove per sistema totale va inteso:<br />
cervello-corpo-azione sull'ambiente.<br />
E' indubbio com<strong>un</strong>que che l'attività psichica emerga dal cervello, anche se<br />
tradizionalmente, la difficoltà ad accettare questa relazione è legata all'idea che<br />
l'emergenza di <strong>un</strong>o stato mentale, giudicato immateriale, non possa provenire da <strong>un</strong><br />
substrato biologico, cioè materiale per antonomasia. Per la tradizione aristotelica e<br />
anche secondo il ragionamento cartesiano, la causa di <strong>un</strong> fenomeno “deve contenere<br />
almeno tanta realtà quanta c'è nel suo effetto”. C'è quindi <strong>un</strong>a relazione quantitativa e<br />
qualitativa tra la causa e il suo effetto, il quale deve contenere almeno alc<strong>un</strong>e delle<br />
caratteristiche <strong>della</strong> causa che l'ha generato. Invece, negli ultimi cinquant'anni è<br />
diventato chiaro che modificazioni che intervengono in <strong>un</strong> livello possono far<br />
emergere realtà, le cui caratteristiche non sono contenute nel livello in cui sono<br />
emerse. E' il principio <strong>della</strong> complessità. Il livello psichico però, non è <strong>un</strong> semplice<br />
epifenomeno, ha <strong>un</strong>a sua potente articolazione strutturale, complessità, relativa<br />
autonomia e capacità di azione a livello nervoso, nonché sugli altri grandi sistemi di<br />
26
egolazione fisiologica. Le vie tramite cui il cervello psichico influenza gli altri livelli<br />
sono raggruppate nel sistema dello stress, con le sue correlazioni neuroendocrine,<br />
nervose e imm<strong>un</strong>itarie, e nel sistema nervoso centrale e periferico. Come propone<br />
Bateson, l'immagine è forse il modo più economico con cui il cervello dei mammiferi<br />
ha per far passare rapidamente informazioni tramite varie interfaccia cerebrali.<br />
Nell'immagine c'è <strong>un</strong>'informazione sintetica, capace di attivare vari circuiti, ma<br />
soprattutto quelli che collegano il sistema limbico (amigdala, ippocampo e ipotalamo)<br />
con le aree corticali elaborative ed esecutive. Queste immagini, che attivano modelli<br />
di comportamento e interpretativi sono strettamente personali. Vengono costruite<br />
dando il nostro segno al vasto materiale proveniente dal contesto storico evolutivo,<br />
sociale e interpersonale. Il livello psichico non è influenzato solo dal SNC, ma anche<br />
dagli altri sistemi, che reagiscono a stimoli ambientali e a comportamenti individuali.<br />
La psiche può essere influenzata dall'alimentazione, dall'attività fisica, dal sistema<br />
imm<strong>un</strong>itario. Per quanto riguarda il sistema limbico, l'interpretazione delle emozioni<br />
come modalità di collegamento bidirezionale (andata e ritorno) tra mente e corpo con<br />
il fine di orientare rapidamente l'organismo verso stimoli ambientali, è stata proposta<br />
inizialmente da Darwin. Questo modello ha ricevuto <strong>un</strong>'importante conferma da studi<br />
su soggetti alessitimici. Queste persone, pur provando emozioni, sono infatti presenti<br />
e misurabili i segnali fisici dell'emozione, ma sono incapaci di riconoscerle, dando<br />
loro <strong>un</strong>a rappresentazione mentale. In pratica le sensazioni corporee, i messaggi che<br />
manda il corpo , non vengono associati a stati mentali o lo sono scarsamente e<br />
questa dissociazione mente-corpo, che conferma il ruolo dei segnali corporei nella<br />
formazione dei sentimenti emozionali, è stata rilevata anche dal p<strong>un</strong>to di vista<br />
neurologico. Le immagini del cervello di queste persone mostrano <strong>un</strong>'alterazione del<br />
circuito che connette l'amigdala alla corteccia tramite il giro del cingolo. Questi difetti<br />
di “collegamento”, non sono innati, ma anzi determinati dal contesto ambientale, e<br />
familiare soprattutto, essendo come sappiamo, le relazioni tra genitori e loro figli <strong>un</strong><br />
modello fondamentale per la corretta interpretazione delle emozioni.<br />
E' stato nel 1937 che J. Papez ipotizzò, per via assolutamente deduttiva <strong>un</strong> circuito<br />
emozionale che lega <strong>un</strong>'area corticale profonda con l'ipotalamo e l'ippocampo. La<br />
sostanziale esattezza dei due poli del circuito, cioè le strutture del sistema limbico<br />
(ipotalamo, ippocampo e amigdala) da <strong>un</strong>a parte e le aree corticali dall'altra (giro del<br />
cingolo, corteccie sensoriali e associative), sono state essenzialmente confermate<br />
dalla risonanza magnetica f<strong>un</strong>zionale. Sono emerse anche novità, riguardanti<br />
l'amigdala e le peculiarità che ogni emozione sembra avere, nel senso che non è<br />
corretto parlare di <strong>un</strong> solo circuito emozionale, ma di <strong>un</strong> circuito che presenta diverse<br />
vie parallele, in entrata e in uscita.<br />
27
Nel 2003, H. Barbas, dell'<strong>un</strong>iversità di Boston, ha mostrato, con l'uso di traccianti, in<br />
scimmie Rhesus, le vie, che in parallelo connettono le cortecce prefrontali<br />
all'amigdala e all'ippocampo e da qui, tramite il neurovegetativo, agli organi interni.<br />
Studi su umani hanno confermato che la via breve, quella che va dalle cortecce<br />
sensoriali all'amigdala, è rapida e automatica, consente cioè <strong>un</strong>'attivazione<br />
emozionale inconscia e veloce. L'altra, quella che coinvolge le cortecce orbitofrontali<br />
e mediali, il giro del cingolo e l'ipotalamo, passando o no per l'amigdala, produce<br />
<strong>un</strong>'elaborazione più complessa, lenta e cosciente. E' ovvio, che nella realtà, spesso<br />
le due vie f<strong>un</strong>zionano insieme, ma può anche accadere che non siano sincrone e che<br />
quella rapida prenda il comando trascinando tutto l'organismo in <strong>un</strong>a risposta<br />
automatica. Per esempio, nel caso <strong>della</strong> paura e dell'ansia ad essa collegata<br />
producono <strong>un</strong>'attivazione dell'amigdala, che può avvenire sia in forma conscia che<br />
inconscia. L'attivazione inconscia può avvenire in due forme: o in modo del tutto<br />
incosciente, come nel caso <strong>della</strong> ricezione di messaggi subliminali di paura e di<br />
violenza, o come attivazione semicosciente, di tipo automatico, per la rapida<br />
individuazione di segnali pericolosi. Una volta attivata, l'amigdala, ha diverse vie per<br />
allertare l'insieme dell'organismo: quando il segnale di paura attiva l'amigdala<br />
laterale, da qui al nucleo centrale, il quale attiva tre aree <strong>della</strong> risposta di stress, la<br />
sostanza grigia centrale, che produce la reazione di freezing, l'ipotalamo laterale che<br />
attiva il simpatico causando <strong>un</strong> rialzo <strong>della</strong> pressione arteriosa, l'ipotalamo<br />
paraventricolare, che attiva l'asse surrenalico e altri assi neuroendocrini con<br />
produzione di ormoni. Ma l'amigdala, come abbiamo visto, non lavora mai da sola,<br />
anzi è sottoposta al controllo delle aree corticali, le prefrontali e il giro del cingolo. In<br />
quest'ultima area, si integrano f<strong>un</strong>zioni per il comportamento volontario e le emozioni.<br />
Da qui partono le proiezioni all'ipotalamo laterale e ai centri di comando del simpatico<br />
collocati nel tronco. E' l'area <strong>della</strong> corteccia che riceve il massimo di proiezione<br />
dopaminergica, e si attiva sia quando siamo gratificati che nello sforzo cognitivo, sia<br />
nella maturazione dell'autocontrollo (come si evince dell'ADHD). Questo ruolo<br />
centrale viene svolto proprio grazie alla robusta connessione bidirezionale che<br />
stabilisce con l'amigdala. E' da questa connessione che deriva <strong>un</strong>a buona o cattiva<br />
gestione delle emozioni e delle loro conseguenze sull'organismo (Bottaccioli, 2005).<br />
28
4. IL COLLEGAMENTO TRA I SISTEMI<br />
La psicosomatica tradizionale, nonostante la notevole mole di studi e di esperienze<br />
sugli effetti che lo stress ed eventi a forte carica emotiva, come <strong>un</strong> lutto o <strong>un</strong>a<br />
separazione, hanno sulla salute umana, non è potuta andare al di là <strong>della</strong><br />
descrizione di <strong>un</strong>a concomitanza tra eventi stressanti e <strong>malattia</strong>. Non è riuscita cioè a<br />
dare spiegazioni scientificamente soddisfacenti dei legami tra emozioni, vissuto<br />
psichico e <strong>malattia</strong>. Ciò non ovviamente a causa <strong>della</strong> medicina psicosomatica, ma a<br />
causa di <strong>un</strong>a generale arretratezza e distorsione delle scienze biomediche,<br />
incatenate nel modello meccanicista, incapaci di pensare in termini di regolazione<br />
integrata dei sistemi fisiologici fondamentali dell'organismo umano.<br />
D. Felten è lo scopritore delle connessioni materiali tra fibre nervose e organi e<br />
cellule del sistema imm<strong>un</strong>itario. Oggi infatti, è <strong>un</strong> dato di fatto la scoperta scientifica<br />
che cervello e imm<strong>un</strong>ità hanno questa via di connessione forte, costituita da fibre<br />
nervose di tipo adrenergico e peptidergico che fuoriescono dal midollo spinale e<br />
tramite il sistema simpatico, vanno a innervare il timo, il midollo osseo, la milza, i<br />
linfonodi, il tessuto linfoide dell'intestino. Una volta entrate in questi organi, le fibre<br />
nervose si allargano come <strong>un</strong>a chioma di <strong>un</strong> albero, e vanno a <strong>un</strong>irsi strettamente ai<br />
linfociti. Vengono così a formarsi delle vere e proprie sinapsi, che sono anche state<br />
chiamate “gi<strong>un</strong>zioni neuroimm<strong>un</strong>itarie”. A cavallo del XXI secolo, è stato compiuto <strong>un</strong><br />
ulteriore passo in avanti, che ha dimostrato che non soltanto il simpatico e il<br />
parasimpatico, bensì è tutta la rete nervosa periferica a intessere <strong>un</strong> fitto dialogo con<br />
le cellule imm<strong>un</strong>itarie. L'estesa rete delle fibre nervose sensoriali, che avvolge larga<br />
parte dei tessuti, entra in intimo contatto con linfociti e altre cellule imm<strong>un</strong>itarie,<br />
rilasciando neuropeptidi e neurotrasmettitori proprio là dove si realizza la risposta<br />
imm<strong>un</strong>itaria e infiammatoria. Nella complessa rete di stimoli e reazioni che va a<br />
determinare la risposta infiammatoria, la sua entità e la sua estensione, vanno inseriti<br />
anche gli stimoli che provengono dal sistema nervoso periferico (vegetativo e<br />
sensoriale). E' <strong>un</strong> cambiamento di prospettiva davvero rilevante, che, tra l'altro fa<br />
cadere <strong>un</strong> dogma classico: l'idea che senza antigene, cioè senza il riconoscimento di<br />
<strong>un</strong>a molecola estranea o ritenuta tale, non ci possa essere <strong>un</strong>'attivazione delle<br />
cellule imm<strong>un</strong>itarie. In realtà è ormai chiaro che, per esempio, i linfociti T possono<br />
essere attivati anche in modo indipendente dall'antigene. E gli attivatori sono proprio<br />
le sostanze del sistema nervoso: noradrenalina, dopamina, la sostanza P (SP), il<br />
neuropeptide Y (NPY), la somatostatina (SOM), il peptide vasoattivo intestinale<br />
(VIP), per citare le più studiate. Anche se sono studi ancora iniziali, possiamo dire<br />
29
che alc<strong>un</strong>i neuropeptidi svolgono <strong>un</strong>'azione infiammatoria, mentre altri hanno effetti<br />
antinfiammatori e di controllo <strong>della</strong> risposta imm<strong>un</strong>itaria. Tra i primi vanno inseriti la<br />
SP e il NPY, tra i secondi il VIP e la SOM. Ma anche <strong>un</strong> neuropeptide come il Fattore<br />
di crescita nervoso (NGF), in realtà è <strong>un</strong> potente stimolante del sistema imm<strong>un</strong>itario.<br />
Nella pelle, per esempio, l'NGF, viene prodotto sia dalle fibre nervose, sia da tutte le<br />
cellule del sistema imm<strong>un</strong>itario cutaneo, sia dai cheratinociti, che sono le cellule dello<br />
strato superficiale dell'epidermide. Una superproduzione di NGF induce <strong>un</strong>a forte<br />
infiammazione, che favorisce la formazione di placche erimatose, tipiche <strong>della</strong><br />
psoriasi. Sul fronte antinfiammatorio, è stato dimostrato che la somatostatina ha <strong>un</strong><br />
ruolo infiammatorio intestinale, poiché inibisce la secrezione di citochine<br />
infiammatorie. Il peptide vasoattivo intestinale, che a dispetto del nome è <strong>un</strong> peptide<br />
presente praticamente in tutti gli organi, può essere rilasciato sia da cellule nervose<br />
che imm<strong>un</strong>itarie. Agisce in particolar modo sui macrofagi, inducendoli a produrre IL-<br />
10, fondamentale citochina infiammatoria. Per queste f<strong>un</strong>zioni, <strong>un</strong>ite alla<br />
constatazione che, in persone con asma o con altre malattie allergiche respiratorie, il<br />
VIP si trova in concentrazioni ridotte, si sta sperimentando la somministrazione del<br />
peptide in svariati quadri infiammatori acuti (shock) e cronici.<br />
4.1 Il collegamento tra ormoni e imm<strong>un</strong>ità<br />
Come descritto precedentemente, il cervello ha <strong>un</strong>a serie di vie di collegamento con<br />
il resto del corpo, che sono rappresentate dai cosiddetti assi neuroendocrini: tramite<br />
questi circuiti ormonali, il cervello influenza l'insieme delle attività dell'organismo, e, in<br />
particolare, il sistema imm<strong>un</strong>itario. L'asse dello stress è il centro dei circuiti<br />
neuroendocrini, e f<strong>un</strong>ge da p<strong>un</strong>to di snodo essenziale per la regolazione fisiologica<br />
dell'organismo. E' organizzato in due bracci, <strong>un</strong>o chimico, l'altro nervoso. Il braccio<br />
chimico è già stato descritto nel (cfr. 2.2), mentre quello nervoso, accennato in<br />
precedenza (cfr. 2.1) è così organizzato: i nuclei ipotalamici parvocellulari sono<br />
strettamente collegati, tramite fasci di fibre nervose, a nuclei collocati nella parte<br />
iniziale del midollo spinale, nell'area del ponte e <strong>della</strong> medulla. Questi nuclei<br />
definiscono <strong>un</strong>'area, chiamata locus coeruleus, che produce soprattutto<br />
noradrenalina. Il locus coeruleus e i nuclei parvocellulari ipotalamici sono<br />
reciprocamente intrecciati, nel senso che fasci di fibre nervose entrano ed escono<br />
dalle due aree. Dal locus coeruleus parte quindi <strong>un</strong>a segnalazione che, tramite il<br />
sistema nervoso simpatico, arriva a stimolare la parte interna delle surrenali, la<br />
cosiddetta midollare del surrene, a produrre <strong>un</strong>a miscela di sostanze eccitanti:<br />
adrenalina, noradrenalina e dopamina (catecolamine), in quantità variabili secondo<br />
30
<strong>un</strong> ordine decrescente. La midollare del surrene è capace di produrre<br />
neurotrasmettitori, dal momento che contiene <strong>un</strong>a popolazione di cellule, le<br />
cosiddette cromaffini, che hanno la stessa origine embriologica del tessuto nervoso.<br />
Al tempo stesso, dai nuclei paraventricolari ipotalamici parte <strong>un</strong>a innervazione verso<br />
il cosiddetto nucleo arcuato, che contiene neuroni che producono <strong>un</strong>a grande<br />
molecola POMC, <strong>un</strong>a molecola precursore, da cui derivano diverse importanti<br />
molecole, tra cui le endorfine, sostanze antidolorifiche.<br />
Quindi, per riassumere dai nuclei paraventricolari dell'ipotalamo, parte <strong>un</strong>a<br />
segnalazione chimica che, tramite l'ipofisi e la corteccia <strong>della</strong> surrenale, ha come<br />
esito finale la produzione di cortisolo. Al tempo stesso, arriva <strong>un</strong>a segnalazione<br />
nervosa che, tramite il locus coeruleus e il simpatico, determina la liberazione di<br />
catecolamine da parte <strong>della</strong> midollare. L'<strong>un</strong>ità del sistema dello stress è data dal fatto<br />
che il CRH ipotalamico e la noradrenalina prodotta dal locus coeruleus si stimolano<br />
reciprocamente. L'asse ipotalamo-ipofisi-surrene è autoregolantesi, attraverso <strong>un</strong><br />
feedback negativo, nel senso che i livelli circolanti di cortisolo vengono letti<br />
dall'ipotalamo e anche dall'ipofisi tramite recettori specifici, che consentono così<br />
l'attivazione e l'inibizione del sistema, a seconda dei livelli di cortisolo circolanti.<br />
Infine, va segnalato il fatto che numerosi sistemi neurotrasmettitoriali attivano o<br />
inibiscono il sistema dello stress. In particolare serotonina e acetilcolina lo attivano,<br />
mentre le endorfine e il GABA lo inibiscono.<br />
A partire dai lavori di H. Besedowsky, negli anni '70, (citato in Bottaccioli, 2005), <strong>un</strong>a<br />
quantità notevole di studi ha documentato il ruolo imm<strong>un</strong>osoppressivo del cortisolo.<br />
Negli anni '90 si è visto che la sovrapproduzione di cortisolo, conseguente<br />
all'attivazione del sistema dello stress, inibisce la risposta Th1 e colloca il sistema su<br />
<strong>un</strong> profilo Th2. Al tempo stesso, in tempi recenti, è stata documentata <strong>un</strong>'azione<br />
analoga da parte delle catecolamine. E' quindi assodato che i prodotti <strong>della</strong> reazione<br />
di stress hanno <strong>un</strong> effetto generalmente soppressivo <strong>della</strong> risposta imm<strong>un</strong>itaria, in<br />
particolare quella del tipo Th1, che è il circuito di risposta imm<strong>un</strong>itaria che ci protegge<br />
dai virus e dalla trasformazione maligna delle cellule. Viene però da domandarsi,<br />
come mai venga soppressa la risposta imm<strong>un</strong>itaria, essendo <strong>un</strong>a risposta biologica<br />
fondamentale. Una spiegazione di questo è possibile se si osserva lo stress sotto il<br />
profilo temporale. Uno stress acuto, che dura quindi <strong>un</strong> tempo limitato, ha<br />
normalmente <strong>un</strong> effetto stimolante l'attività imm<strong>un</strong>itaria. Ciò è dimostrabile,<br />
sperimentalmente, con la somministrazione di basse dosi di cortisone e<br />
catecolamine. Il cortisone, a “dosi fisiologiche”, incrementa la produzione anticorpale<br />
e la produzione dei linfociti T. Anche le catecolamine, nel breve periodo, stimolano<br />
soprattutto le natural killer e i linfociti B. Nel medio e l<strong>un</strong>go periodo, quindi in corso di<br />
31
stress cronico, invece, sia il cortisolo sia le catecolamine sopprimono l'attività<br />
imm<strong>un</strong>itaria o più esattamente, dislocano il sistema su <strong>un</strong>a posizione Th2. Il cortisolo<br />
ottiene questo risultato alternado il profilo delle citochine e le catecolamine hanno lo<br />
stesso effetto, perché i recettori beta-adrenergici che recepiscono il segnale non<br />
sono espressi sui linfociti precursori Th1, ma solo sui Th2. Da questo p<strong>un</strong>to di vista,<br />
lo stress cronico, ha sull'imm<strong>un</strong>ità gli stessi effetti <strong>della</strong> terapia farmacologica a base<br />
di cortisone.<br />
Sembrava anche, inizialmente, che nelle prime fasi <strong>della</strong> reazione di stress, fosse<br />
riscontrabile <strong>un</strong>a diminuzione dei globuli bianchi nel sangue. In realtà, si è visto che<br />
non è <strong>un</strong>a riduzione assoluta del numero dei leucociti, ma <strong>un</strong>a loro ridislocazione nei<br />
posti di combattimento. Le cellule imm<strong>un</strong>itarie, infatti, nel corso di <strong>un</strong>a reazione di<br />
stress, passano dal sangue, dalla milza e dal timo alle superfici cutanee, a quelle<br />
mucosali respiratorie, intestinali, genitourinarie e ai linfonodi. Se invece lo stress dura<br />
nel tempo, i leucociti vengono sequestrati nella milza.<br />
La relazione tra stress e imm<strong>un</strong>ità è quindi a doppia faccia, possiamo dire che<br />
dipende dal tempo e dalla quantità di ormoni dello stress immersi nella circolazione.<br />
In corso di stress acuto la risposta imm<strong>un</strong>itaria può essere fortemente esaltata.<br />
Questo legame tra stress e infiammazione è stato indagato da vari p<strong>un</strong>ti di vista, e H.<br />
Black, ha raccolto numerose prove, gi<strong>un</strong>gendo alla conclusione che l'infiammazione<br />
è parte integrante <strong>della</strong> reazione di stress. Numerosi sono i meccanismi, incentrati<br />
sulle citochine infiammatorie in conseguenza <strong>della</strong> reazione di stress. L'interleuchina-<br />
6, in particolare, può essere rilasciata dall'endotelio dei vasi sanguigni e dal grasso<br />
sottocutaneo e viscerale, come conseguenza dell'attivazione del simpatico e <strong>della</strong><br />
produzione di cortisolo, che costringe i vasi e mobilita i depositi di grasso. Del resto,<br />
va anche considerato che, l'eccesso di cortisolo squilibra l'assetto del sistema<br />
imm<strong>un</strong>itario, collocandolo su <strong>un</strong> profilo Th2, che è com<strong>un</strong>que <strong>un</strong>a modalità<br />
infiammatoria, anche se inefficace su virus e tumori.<br />
Come è intuibile, anche il CRH e l'AVP hanno <strong>un</strong> generale effetto antinfiammatorio,<br />
poiché sollecitano la produzione di ACTH, e quindi di cortisolo. Direttamente e<br />
localmente, però questi due ormoni hanno <strong>un</strong>'azione infiammatoria. Il CRH viene<br />
prodotto localmente nei tessuti infiammati, soprattutto dai nervi periferici, ma può<br />
anche essere prodotto dalle cellule imm<strong>un</strong>itarie. E' stato riscontrato in tessuti<br />
infiammati di persone con artrite reumatoide, tiroiditi e colite ulcerosa. Ha <strong>un</strong>'azione<br />
vasodilatativa e ipotensiva ed è capace di far degranulare le cellule mastoidi, con<br />
liberazione di istamina e conseguenti allergie, cioè <strong>un</strong>a risposta di tipo Th2. Al<br />
contrario l'AVP sembrerebbe avere <strong>un</strong> effetto di stimolazione <strong>della</strong> produzione di<br />
interferone-gamma, e quindi <strong>della</strong> risposta Th1. L'effetto infiammatorio complessivo<br />
32
<strong>della</strong> AVP dipenderebbe anche dalla sua capacità di stimolare la produzione<br />
ipofisaria di prolattina. Un eccesso di AVP ipotalamico e plasmatico sembrerebbe alla<br />
base di malattie autoimm<strong>un</strong>i come il Lupus erimatoso sistemico, la sclerodermia, la<br />
sindrome di Sjogren e la spondilite anchilosante.<br />
Anche endorfine ed encefaline vengono prodotte in molte regioni del cervello e nel<br />
tessuto nervoso in genere, ma anche nelle cellule imm<strong>un</strong>itarie. Sotto stress, per<br />
azione di CRH e AVP, soprattutto del nucleo arcuato, vengono liberati oppiodi con<br />
f<strong>un</strong>zioni analgesiche. Al tempo stesso, gli oppiodi attivano il sistema dello stress sia<br />
dal lato dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene,sia dal lato nervoso del simpatico. Il ruolo<br />
analgesico di questi ormoni viene garantito anche localmente dalle cellule<br />
imm<strong>un</strong>itarie, le quali accorrono nel luogo dell'infiammazione e qui liberano oppioidi,<br />
che vengono recepiti dai neuroni delle fibre sensitive, i cui recettori vengono<br />
sovraregolati dagli stimoli infiammatori. Lo stress cronico agisce sull'imm<strong>un</strong>ità come<br />
<strong>un</strong>a droga, narcotizzando le difese (Bottaccioli, 2005).<br />
4.2 Il collegamento tra imm<strong>un</strong>ità e sistema nervoso<br />
Anche le cellule imm<strong>un</strong>itarie sono in grado di far sentire i loro effetti sul sistema<br />
nervoso. A livello cerebrale, le citochine, prodotte dal sistema imm<strong>un</strong>itario, sono in<br />
grado di segnalare tutti i reparti del cervello, ma, in particolare, nelle aree<br />
ipotalamiche e ippocampali. Nel 1975, H. Besedowsky, dimostrò che nel corso di <strong>un</strong>a<br />
reazione imm<strong>un</strong>itaria, si hanno modificazioni endocrine. L'ipotesi formulata fu che<br />
dalle cellule imm<strong>un</strong>itarie partissero segnali capaci di gi<strong>un</strong>gere fino al cervello. Gli<br />
anni successivi hanno ampiamente dimostrato che il gruppo delle citochine<br />
infiammatorie, IL-1, IL-6 e TNF-α, sono in grado di indurre modificazioni biologiche<br />
rilevanti sia a carico dei principali assi neuroendocrini, soprattutto l'asse dello stress,<br />
sia a carico dei più importanti sistemi di neurotrasmissione cerebrale. L'IL-1 è <strong>un</strong><br />
potente attivatore dell'asse dello stress, di quello <strong>della</strong> crescita e <strong>della</strong> prolattina,<br />
mentre inibisce l'asse tiroideo e gonadico. Al tempo stesso è documentata l'azione<br />
<strong>della</strong> IL-10 sui principali neurotrasmettitori, con <strong>un</strong> buon incremento del metabolismo<br />
e quindi del consumo di noradrenalina, dopamina e serotonina. Inoltre, rilevante è<br />
l'azione eccitatoria dell'INF-γ, recentemente confermata, sul recettore del<br />
glutammato: la citochina Th1 entra così nei meccanismi patogenetici <strong>della</strong><br />
neurodegenerazione, a conferma del pieno coinvolgimento del sistema imm<strong>un</strong>itario<br />
nella degenerazione dei neuroni.<br />
Per arrivare al cervello le citochine seguono due vie: <strong>un</strong>a umorale, che viaggia con la<br />
circolazione sanguigna, l'altra nervosa, il cui segnale viene raccolto e convogliato nel<br />
33
cervello dalle grandi vie di collegamento nervoso, soprattutto dal sistema del nervo<br />
vago. La via nervosa è rilevante per la segnalazione citochinica che parte<br />
dall'apparato gastrointestinale, dal fegato in particolare, come luogo cruciale <strong>della</strong><br />
risposta infiammatoria. Sono numerose le prove sperimentali che dimostrano la<br />
possibilità di bloccare la trasmissione <strong>della</strong> segnalazione citochinica nel cervello,<br />
recidendo il vago sotto il diaframma. Questo vuol dire che la via vagale è<br />
fondamentale per la segnalazione rapida al cervello di quello che accade in periferia.<br />
Al tempo stesso, il vago, dopo aver portato il messaggio al cervello, retroagisce sulla<br />
fonte. Ci sono numerosi studi che segnalano il ruolo antinfiammatorio del vago<br />
epatico efferente. La via umorale è quella che porta le citochine circolanti a contatto<br />
con la barriere ematoencefalica, che però, se non è infiammata, non le fa passare.<br />
L'aggiramento <strong>della</strong> barriera può avvenire entrando in aree cerebrali in cui la barriera<br />
è scarsa o assente, come l'ipofisi e gli organi circumventricolari. Queste strutture<br />
nervose sono collocate in posizione strategica, in quanto possiamo dire che le<br />
terminazioni dei neuroni sono “immerse” nel sangue e nel fluido cerebrospinale, che<br />
circola nei ventricoli. Sono in grado di recepire quindi i segnali contenuti nei fluidi. Per<br />
esempio, l'eminenza mediana è l'area dove i neuroni rilasciano il CRH, che verrà poi<br />
assorbito dai capillari dell'ipofisi. Ma è possibile anche la strada inversa: dal sangue<br />
ai neuroni CRH. Al tempo stesso gli organi circumventricolari sono strettamente<br />
interconnessi con l'ipotalamo e sono quindi in grado di rispedire, via fibre nervose, il<br />
messaggio ricevuto con il sangue alla centrale di comando dello stress. Oppure<br />
l'aggiramento <strong>della</strong> barriera ematoencefalica si può ottenere inducendo la produzione<br />
di mediatori infiammatori, come la prostaglandina E2 (PGE2). Evidenze di studi<br />
scientifici su “Nature”, hanno confermato questa via, affermando inoltre l'importanza<br />
di questa via di ingresso al cervello. L'ultima modalità è l'induzione <strong>della</strong> sintesi di<br />
citochine nel cervello. Infatti le cellule microgliali e degli astrociti producono citochine,<br />
e soprattutto l'ipotalamo, l'ippocampo, il talamo e i gangli <strong>della</strong> base esprimono<br />
normalmente bassi livelli di citochine infiammatorie, che rientrano nei normali<br />
processi di attivazione cerebrale. Se però arrivano robusti segnali citochinici di tipo<br />
infiammatorio dall'esterno del cervello, è plausibile che la normale produzione<br />
endogena di citochine possa aumentare. La gravità delle conseguenze, ovviamente,<br />
dipenderà dal grado di intensità e dalla persistenza <strong>della</strong> segnalazione infiammatoria<br />
nel cervello. P. Chrousos, ha descritto la sickness sindrome, i cui sintomi sono tutti<br />
riferibili all'azione delle citochine e degli altri mediatori infiammatori nel cervello, con<br />
sintomi quali anoressia, nausea, fatica, depressione, sonnolenza, mal di testa,<br />
aumentata sensibilità dolorifica e aumento <strong>della</strong> temperatura. E' <strong>un</strong> quadro molto<br />
interessante sia per l'elevata frequenza nella popolazione, sia perché segnala la<br />
34
compresenza di alterazioni neurologiche centrali, neurovegetative e umorali. Il<br />
legame tra alterazioni infiammatorie e depressione è stato indagato dagli anni '90 dal<br />
gruppo di M. Maes, che ha ipotizzato che l'IL-1 e l'IL-6 potessero contribuire alle<br />
modificazioni umorali <strong>della</strong> depressione maggiore (Bottaccioli, 2005). Viene quindi<br />
spontaneo chiedersi che differenza ci sia tra tessuto nervoso e cellule imm<strong>un</strong>itarie.<br />
“In effetti, la distinzione tra <strong>un</strong> neurotrasmettitore e <strong>un</strong>a citochina è diventata meno<br />
chiara, poiché i nervi possono sintetizzare e rilasciare sostanze infiammatorie, come<br />
l'istamina e citochine, come IL-1 e IL-6; d'altra parte cellule del sistema imm<strong>un</strong>itario<br />
possono sintetizzare e rilasciare neurotrasmettitori e neurormoni, come CRH, ACTH,<br />
endorfine, VIP, etc.” (Felten, 2001). Insomma, il linguaggio che usa il nostro<br />
organismo è <strong>un</strong>itario ed è fondato sulla riconoscibilità da tutti gli organismi del<br />
network. Questo ci spiega come la psiche possa influenzare ed essere influenzata<br />
dagli altri grandi sistemi di regolazione dell'organismo.<br />
Quest'analisi minuziosa dei collegamenti tra i grandi sistemi di regolazione<br />
fisiologica, emerge chiaramente che l'organismo umano f<strong>un</strong>zioni come <strong>un</strong> network di<br />
sistemi in equilibrio. E questo emerge anche, come abbiamo visto dalle teorie di<br />
Cannon e Seyle. Cannon però dubitava che esistesse <strong>un</strong>a sindrome generale di<br />
adattamento. Seyle, invece, ritiene che l'adattamento dell'organismo agli stressor<br />
ambientali è il principio stesso <strong>della</strong> vita. L'adattamento è governato dall'asse dello<br />
stress, che attivandosi, libera non solo ormoni infiammatori, ma anche<br />
proinfiammatori. E' da questa bilancia che sorge l'adattamento più o meno riuscito<br />
dell'organismo. Le malattie sono il frutto di <strong>un</strong> cattivo adattamento, che non è<br />
semplicemente <strong>un</strong>a carenza di risposta, ma anche da eccesso di risposta. L'eccesso<br />
di cortisolo da stress cronico, ha effetti rilevanti sulla pressione arteriosa, sull'attività<br />
cardiaca, renale, sull'equilibrio glicemico e anche sul sistema nervoso e mentale.<br />
Non c'è quindi <strong>un</strong> generale e <strong>un</strong>iversale meccanismo omeostatico che ripristina le<br />
condizioni di partenza. L'adattamento può sfociare in <strong>malattia</strong>, e persino può anche<br />
modificare qualitativamente le strutture biologiche, in questo caso Seyle parla di<br />
“transadattamento”. Vengono quindi rimarcati gli esiti diversi che deriva anche<br />
dall'individualità delle risposte, che non sono completamente determinate dal<br />
patrimonio ereditario. Fondamentale è la gestione dello stress, che non è <strong>un</strong>a<br />
modalità <strong>un</strong>ica per tutti. Se c'è maladattamento, l'organismo viene segnato da <strong>un</strong><br />
accumulo di prodotti secondari delle attività biologiche, depositi di calcio, proteine<br />
alterate, etc.<br />
Questo concetto viene ripreso, negli anni '90 da B. Mc Ewen, che parla di allostasi,<br />
che a differenza dell'omeostasi, implica <strong>un</strong> ritrovamento dell'equilibrio non ritornando<br />
alla situazione di partenza, ma trovandosi in <strong>un</strong>a nuova, in <strong>un</strong>'altra (allòs) condizione.<br />
35
Questo carico allostatico, dipende da <strong>un</strong>a pluralità di fattori, in cui sono essenziali le<br />
caratteristiche individuali e gli stili di vita che mettiamo in campo.<br />
L'individualità quindi è essenziale per determinare gli esiti <strong>della</strong> reazione di stress, e<br />
anche in questo caso troviamo riscontri a livello biologico, per quanto riguarda l'asse<br />
surrenalico. Sono degli anni '90 studi che hanno collegato alc<strong>un</strong>e malattie<br />
autoimm<strong>un</strong>i al tipo di f<strong>un</strong>zionalità dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Una scarsa<br />
reattività di questo sistema può essere collegata alle patologie autoimm<strong>un</strong>i da scarso<br />
controllo dell'infiammazione di tipo Th1, come l'artrite reumatoide. Infatti come<br />
dicevamo in precedenza, l'eccesso di cortisolo attiva Th2, mentre la carenza<br />
dell'ormone attiva Th1. Un'eccessiva attivazione del circuito Th2 proteggerà da<br />
tipiche malattie autoimm<strong>un</strong>i causate da <strong>un</strong>a polarizzazione in senso Th1, ma non<br />
proteggerà dalle infezioni, soprattutto virali, competenza del Th1. Al contrario, lo<br />
sbilanciamento sul Th1 proteggerà dai virus, ma non consentirà il controllo<br />
dell'infiammazione autoimm<strong>un</strong>e causata da Th1.<br />
Questa diversità, oltre che dalla variabilità genetica e dalla persistenza ereditaria,<br />
proviene, come è stato dimostrato all'inizio del secolo, anche dal mo<strong>della</strong>mento nelle<br />
prime fasi <strong>della</strong> vita. Sono le prime esperienze, che già iniziano quando ancora<br />
siamo nel grembo di nostra madre, che mo<strong>della</strong>no i sistemi di regolazione fisiologica,<br />
e tra essi soprattutto il sistema dello stress. J. Seckel e M. Meaney, chiariscono il<br />
concetto di programmazione fisiologica precoce, che può spiegarci l'associazione tra<br />
eventi che si realizzano nell'utero e alterazioni nella crescita e dello sviluppo del feto,<br />
con successiva comparsa di malattie nell'età adulta. I periodi critici dello sviluppo<br />
variano da tessuto a tessuto. In queste finestre temporali si realizzano eventi che<br />
durano tutta la vita. Un campo di studio di nostra pertinenza, riguarda gli effetti degli<br />
ormoni dello stress. Viene infatti ipotizzato che l'eccesso di cortisolo materno riduca il<br />
peso del bambino alla nascita perché generalmente, il feto è protetto dai livelli di<br />
cortisolo materno circolante, che sono in gravidanza più elevati del normale, da <strong>un</strong><br />
enzima placentare, che converte la forma attiva (cortisolo) in forma inerte (cortisone).<br />
Un relativo deficit dell'enzima o anche <strong>un</strong> eccesso di cortisolo da convertire<br />
potrebbero causare <strong>un</strong>a scarsa inattivazione del cortisolo materno, con <strong>un</strong>a<br />
conseguente sovraesposizione del feto agli effetti deleteri dell'eccesso di cortisolo,<br />
che a dosi normali f<strong>un</strong>ziona da promotore del metabolismo, e quindi <strong>della</strong> crescita,<br />
ma che, a dosi eccessive, causa il blocco <strong>della</strong> crescita e anche la morte <strong>della</strong><br />
cellula. Da qui il basso peso alla nascita e la programmazione di malattie<br />
cardiovascolari, metaboliche, ipertensione, diabete di II tipo e mortalità<br />
cardiovascolari.<br />
Inoltre situazioni stressanti, vissute dalla madre o dal feto, alterano le traiettorie di<br />
36
sviluppo di specifiche strutture cerebrali, con effetti che persistono nel tempo.<br />
L'esposizione al cortisolo in utero ha effetti sulla struttura dei neuroni e sulla<br />
formazione delle sinapsi. Questo è stato dimostrato sperimentalmente<br />
somministrando a scimmie Rhesus del cortisone, che causa degenerazione e<br />
riduzione del volume dell'ippocampo, e che permane per 20 mesi di età. Piccole dosi<br />
ripetute, che mimano lo stress cronico, hanno effetti più deleteri di <strong>un</strong>a singola dose<br />
elevata. E' stata inoltre dimostrata <strong>un</strong>a programmazione dell'asse dello stress da<br />
parte del cortisolo, nel senso che sia l'ipotalamo che il suo regolatore, l'ippocampo,<br />
sono sensibili all'ormone. L'eccesso di cortisolo induce, infatti, <strong>un</strong>a riduzione dei<br />
recettori, che legano l'ormone. Ma anche, in questo caso, il fatto più inquietante è<br />
che questa alterazione dei recettori, realizzata in fasi precoci, tende a diventare<br />
permanente, e questo causerà difetti di regolazione dell'asse. Com<strong>un</strong>que, al di là dei<br />
difetti, possiamo dire, che il sistema viene configurato, dal primo ambiente di vita.<br />
Questa configurazione, conferirà all'individuo, la sua specificità biologica, che si<br />
tradurrà nella sua reattività individuale agli stimoli stressanti e che quindi influenzerà<br />
anche i suoi comportamenti. Una sovraesposizione al cortisolo in utero, infatti può<br />
condurre a <strong>un</strong>'alterazione nel comportamento da adulto. Alc<strong>un</strong>i studi, per esempio,<br />
hanno associato eventi stressanti nel secondo trimestre <strong>della</strong> gravidanza a <strong>un</strong><br />
aumento <strong>della</strong> schizofrenia. D'altra parte, studi su animali dimostrano che lo stress<br />
prenatale programma <strong>un</strong> aumento dei comportamenti d'ansia, con incremento del<br />
CRH nell'amigdala, che ha effetti stimolanti l'asse dello stress. Anche questa è la<br />
dimostrazione di <strong>un</strong> imprinting che porterà a <strong>un</strong>a sovrapproduzione di cortisolo da<br />
adulto. Questo vuol dire che l'amigdala, cuore <strong>della</strong> risposta emozionale, sarà<br />
programmata per attivarsi più rapidamente e con maggiore forza agli stimoli<br />
stressanti. Un ulteriore dimostrazione, viene da <strong>un</strong>o studio stat<strong>un</strong>itense,<br />
dell'<strong>un</strong>iversità di Madison, hanno condotto <strong>un</strong>'indagine su 430 donne incinte, studiate<br />
per 4 anni e mezzo dopo il parto, sulle quali si è valutata la presenza dello stress e<br />
<strong>della</strong> depressione, mentre nei bambini la presenza di cortisolo salivare a 1, 4, 12<br />
mesi e a 4 anni e mezzo. Lo studio dimostra che lo stress e la depressione materni<br />
incrementano il cortisolo nei bambini. Dimostra anche, che all'età di 4 anni e mezzo,<br />
lo stress materno è in grado di far salire notevolemente il cortisolo dei bambini solo<br />
se questi erano stati programmati, cioè se nelle prime fasi <strong>della</strong> loro vita avevano<br />
subito lo stress materno. Infatti, bambini di 4 anni e mezzo che, nei primi mesi di vita,<br />
non hanno subito lo stress materno non incrementano il cortisolo, anche se si<br />
trovano in <strong>un</strong>a situazione familiare fortemente stressante. Questo vuol dire che è<br />
fondamentale l'imprinting dei primi mesi di vita. I bambini di 4 anni e mezzo con il<br />
cortisolo elevato presentano anche maggiori difficoltà emotive e comportamentali,<br />
37
che diventano pesanti se la famiglia è in condizioni economiche precarie, e quindi<br />
stressanti. Ci sono però anche effetti positivi del comportamento materno e<br />
genitoriale in genere. E' da tempo dimostrato che l'accarezzamento dei neonati di<br />
ratto, quindici minuti al giorno per due settimane, incrementa permanentemente<br />
l'espressione dei recettori ippocampali per i glucocorticoidi; questo potenzia la<br />
capacità di feedback e quindi il controllo dell'asse dello stress, che garantisce <strong>un</strong><br />
buon adattamento allo stress ambientale. D'altra parte, è stato osservato, sempre<br />
nell'animale, che madri con diverso comportamento danno <strong>un</strong> diverso imprinting<br />
all'asse dello stress. Sembra che la strada seguita, sia che le carezze cutanee<br />
attivano nel piccolo vie nervose ascendenti, produttrici di serotonina e ossitocina che<br />
provocano <strong>un</strong> aumento dell'espressione dei recettori per cortisolo e glucocorticoidi in<br />
genere. Inoltre, si è visto che <strong>un</strong> neonato accarezzato ed accudito, lo sarà a sua<br />
volta da adulto, con i suoi piccoli, poiché viene trasmesso <strong>un</strong> comportamento che<br />
modifica l'espressione dei geni. Questo significa, che non è questione di<br />
trasmissione dei geni, bensì di selezione dell'espressione genica nel neonato da<br />
parte di <strong>un</strong> comportamento materno. Il fatto che il meccanismo sia realmente tale, è<br />
dimostrato dal fatto che il meccanismo è potenzialmente reversibile. Infatti se i piccoli<br />
nati da femmine a basso livello di cura vengono poi allevati da femmine ad alto livello<br />
di cura, essi, pur essendo nati da madri poco amorevoli, e quindi possessori di <strong>un</strong><br />
patrimonio genetico simile a quello delle madri, diventano da adulti, com<strong>un</strong>que,<br />
genitori ad alto livello di cura. Questo meccanismo è possibile, attraverso <strong>un</strong><br />
meccanismo chiamato “epigenetico”, che consiste nell'aumento <strong>della</strong> cosidetta<br />
“metilazione”, cioè del trasferimento di gruppi metilici sulla porzione genica<br />
interessata dal fenomeno. Ci troviamo di fronte alla prima dimostrazione<br />
sperimentale di <strong>un</strong>a programmazione ambientale dell'espressione genica. E' la prova<br />
<strong>della</strong> trasmissione intergenerazionale di <strong>un</strong> comportamento adattivo, e bisogna<br />
considerarli tali entrambi, sia quello a elevato che basso livello di cura, poiché come<br />
sappiamo, da autori come Stern e Bowlby, il piccolo è come che registri, nelle prime<br />
fasi di vita <strong>un</strong>a sorta di previsione delle condizioni ambientali che dovrà affrontare<br />
nella vita adulta, costruendosi modelli di “attaccamento” e rappresentazionali, e<br />
mo<strong>della</strong>ndo di conseguenza anche il suo sistema dello stress in modo confacente<br />
alle condizioni.<br />
Come abbiamo appena visto, il network, comincia a configurarsi precocemente<br />
all'interno <strong>della</strong> rete di input che invia l'ambienta naturale, familiare e sociale, che<br />
nella prima fase di vita, si presenta, come ambiente materno. Il target privilegiato in<br />
questo processo è il sistema dello stress, che f<strong>un</strong>ziona come <strong>un</strong> regolatore centrale<br />
<strong>della</strong> risposta adattiva. Negli umani e nei primati in genere, gli agenti stressanti di tipo<br />
38
sociale sono particolarmente rilevanti. R. Sapolsky in collaborazione con B. Mc<br />
Ewen, hanno dimostrato che la competizione sociale è il principale attivatore del<br />
sistema dello stress nei macachi. Altri hanno studiato gli effetti dello stress sociale sui<br />
vasi sanguigni. Da questi studi è emersa la relazione tra stress psichico e<br />
ateriosclerosi e cardiopatie, che è poi stata anche confermata da studi su umani. In<br />
particolare si è visto <strong>un</strong>a differenza significativa nell'aumento <strong>della</strong> placca<br />
ateriosclerotica nei maschi subordinati rispetto a quelli dominanti, mentre nelle<br />
femmine, si è notata <strong>un</strong>a differenza significativa di cicli anovulatori in quelle<br />
subordinate rispetto alle dominanti.<br />
Queste e altre ricerche di fine secolo, hanno fornito le evidenze necessarie per<br />
comprendere le conseguenze di questa risposta sul cervello e sul sistema<br />
imm<strong>un</strong>itario. Sul cervello, dopo ricerche ventennali sull'animale, si è avuta la prova<br />
che il cortisolo causa apoptosi (suicidio cellulare) anche nell'ippocampo umano,<br />
andando quindi a danneggiare <strong>un</strong> sistema chiave legato a f<strong>un</strong>zioni correlate alla<br />
memoria, alla cognizione e alla regolazione neurofisiologica. Sul sistema<br />
imm<strong>un</strong>itario, si ha la prova che l'ipercortisolemia moderata di tipo cronico, sposta la<br />
reattività del sistema su <strong>un</strong>a polarità (Th2) inadatta a contrastare patologie infettive e<br />
neoplastiche. Inoltre, la visione contemporanea <strong>della</strong> reazione di stress evidenzia<br />
che i diversi tipi di stressor, siano essi psichici (che subiscono <strong>un</strong>a valutazione<br />
emozionale-cognitiva) o biologici (che subiscono <strong>un</strong>a valutazione da parte del<br />
sistema imm<strong>un</strong>itario), seguono vie finali com<strong>un</strong>i. Infine abbiamo la la dimostrazione<br />
che al SNC arriva <strong>un</strong>a fitta segnalazione periferica, ormonale e imm<strong>un</strong>itaria, che è in<br />
grado di modificare l'equilibrio fisiologico del cervello e, per suo tramite,<br />
dell'organismo nel suo insieme. Dalla neurobiologia contemporanea, infatti,<br />
sappiamo che anche la coscienza è radicata nel corpo. L'attività mentale non solo<br />
sorge da <strong>un</strong> certo livello di complessità dell'attività cerebrale, ma è anche in grado di<br />
cambiare la configurazione dei circuiti nervosi, come dimostrano gli studi sulla<br />
plasticità cerebrale. Al tempo stesso, cervello e attività mentale sono fortemente<br />
condizionati dall'assetto dell'organismo nel suo insieme. Ciò è vero innanzi tutto da<br />
dal p<strong>un</strong>to di vista evolutivo. In definitiva, la visione dell'organismo umano come rete<br />
strutturata e interconnessa, in reciproca relazione con l'ambiente fisico e sociale,<br />
costituisce <strong>un</strong> modello scientifico solido e sempre più attraente per la ricerca<br />
scientifica avanzata e, al tempo stesso, può rappresentare <strong>un</strong>a guida per riorientare<br />
interventi di prevenzione e terapia, efficaci a costi contenuti. La modulazione del<br />
network umano, infatti, non segue la via solo farmacologica.<br />
39
4.3 Il collegamento tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso enterico<br />
Il collegamento tra intestino e cervello è più stretto di quello che si possa<br />
immaginare, infatti nell'intestino troviamo <strong>un</strong>a rete nervosa costituita da oltre cento<br />
milioni di neuroni che gestiscono le attività intestinali e che si collegano al cervello<br />
tramite il sistema nervoso vegetativo. L'apparato gastrointestinale è <strong>un</strong> l<strong>un</strong>go tubo,<br />
che dalla bocca gi<strong>un</strong>ge all'ano, dove il cibo viene spinto continuamente in basso,<br />
subendo trasformazioni, assimilazione e alla fine espulsione. La parete del tubo, con<br />
qualche variazione dall'inizio alla fine, presenta quattro strati che, procedendo<br />
dall'interno all'esterno, sono: la mucosa, la sottomucosa, la muscolare e la sierosa. I<br />
due strati interni, la sottomucosa e la muscolare, presentano, ogn<strong>un</strong>a, due strati di<br />
cellule muscolari lisce non comandabili dalla volontà. E' questo apparato che contrae<br />
il tubo e sospinge il cibo nel suo l<strong>un</strong>go viaggio. Inoltre, quasi cent'anni fa Meissner e<br />
Auerbach scoprirono, in pochi anni, che tra la mucosa e lo strato muscolare <strong>della</strong><br />
sottomucosa e anche all'interno <strong>della</strong> muscolare ci sono grossi plessi di tessuto<br />
nervoso, chiamati il primo plesso submucoso di Meissner e il secondo, plesso<br />
mienterico di Auerbach. Gli studiosi considerarono questi plessi nervosi<br />
gastrointestinali come semplici “rice-trasmettitori” degli impulsi nervosi che gi<strong>un</strong>gono<br />
dal SN simpatico e parasimpatico, tramite il nervo vago. In realtà, negli ultimi<br />
vent'anni è emerso che questo sistema ha <strong>un</strong>a sua autonoma organizzazione, e<br />
soprattutto non riceve solo comandi dal cervello, ma ne invia e anche con effetti<br />
significativi sulla salute e sull'umore. Infatti, se su <strong>un</strong> paziente, venisse operata <strong>un</strong>a<br />
vagotomia, il riflesso peristaltico continuerebbe, poiché è generato e governato dal<br />
cervello enterico. Così le secrezioni dei succhi gastrici e pancreatici necessari alla<br />
digestione vengono governati dalla rete nervosa enterica. Ma anche gli ormoni e i<br />
neuropeptidi prodotti da vari organi e tessuti e la rete delle citochine, prodotte dalle<br />
cellule imm<strong>un</strong>itarie di cui abbondano le mucose <strong>della</strong> nostra pancia, entrano in diretta<br />
relazione con il cervello enterico. Viene così a configurarsi <strong>un</strong> potente, strutturato,<br />
complesso neuroendocrinoimm<strong>un</strong>itario, che gestisce il normale f<strong>un</strong>zionamento<br />
dell'apparato gastrointestinale, che ne garantisce l'equilibrio e lo difende da patogeni,<br />
che verranno dal cibo, dal sangue, ma anche dall'altro cervello (sotto forma di stress<br />
emotivo).<br />
Autonomia di f<strong>un</strong>zionamento non vuol dire che il cervello enterico è autarchico. Anzi<br />
è in stretto collegamento con il cervello centrale. E' <strong>un</strong>a relazione, quella tra i due<br />
cervelli, che va in entrambe le direzioni, infatti è noto quanto possano pesare lo<br />
stress e le emozioni negative sulla salute dello stomaco e dell'intestino. Il primo<br />
40
cervello può alterare il normale f<strong>un</strong>zionamento del secondo, interferire con i suoi ritmi<br />
e per questa via, disturbare la peristalsi, la produzione di acidi, di enzimi, di ormoni,<br />
di citochine. Ma è vero anche il contrario. Anzi stando all'anatomia, le connessioni del<br />
cervello enterico vanno a quello centrale sono più numerose di quelle che fanno il<br />
viaggio inverso. Questo vuol dire che disordini intestinali possono produrre i loro<br />
effetti sul cervello centrale. E' stato dimostrato che <strong>un</strong> disordine <strong>della</strong> pancia può<br />
produrre <strong>un</strong> disturbo dell'umore. Il centro <strong>della</strong> scena lo tiene la serotonina, molecola<br />
che svolge <strong>un</strong> ruolo fondamentale nella depressione. Il 95% <strong>della</strong> serotonina del<br />
nostro cervello viene prodotto dalle cellule cromaffini dell'intestino. Qui serve per<br />
iniziare il riflesso peristaltico, a mantenere il tono vascolare, a regolare i movimenti e<br />
l'attività digestiva. Al tempo stesso, f<strong>un</strong>ge da segnale al cervello: segnali positivi<br />
come la sazietà, o negativi, come la nausea. La serotonina circolante deve essere<br />
tenuta sotto controllo, perché <strong>un</strong> suo eccesso può risultare molto pericoloso, fino allo<br />
shock anafilattico, quindi le cellule possiedono meccanismo di riassorbimento <strong>della</strong><br />
molecola. In caso di infiammazione intestinale si produce <strong>un</strong> eccesso di serotonina<br />
che satura i sistemi di riassorbimento e desensibilizza i recettori: questo può<br />
provocare <strong>un</strong> blocco <strong>della</strong> peristalsi con costipazione. Al tempo stesso<br />
l'infiammazione attiva enormemente l'enzima che demolisce la serotonina e quindi si<br />
può avere, nel tempo, a livello cerebrale, <strong>un</strong> forte deficit <strong>della</strong> molecola, con<br />
conseguente depressione. Infiammazione, alterazione intestinale e depressione<br />
possono essere quindi manifestazioni dello stesso processo. Questi studi aprono<br />
prospettive che permettono di sottrarre disordini come la sindrome dell'intestino<br />
irritabile, dal terreno dei disturbi f<strong>un</strong>zionali (Bottaccioli, 2005).<br />
41
5. LE MALATTIE AUTOIMMUNI<br />
Ad oggi, sono 80 le malattie autoimm<strong>un</strong>i identificate e classificate come entità<br />
autonome. Sono malattie molto diverse tra loro nelle manifestazioni cliniche, ma che<br />
hanno <strong>un</strong>a base com<strong>un</strong>e, il cattivo controllo dell'infiammazione.<br />
L'infiammazione, rappresenta il principale mezzo di difesa che l'organismo ha contro<br />
le infezioni e le trasformazioni tumorali delle nostre cellule. Questo perché il<br />
meccanismo infiammatorio, comprendendo la liberazione da parte delle cellule<br />
imm<strong>un</strong>itarie di sostanze che determinano la rottura <strong>della</strong> parete cellulare<br />
dell'aggressore o delle cellule infette o trasformate in senso tumorale, rappresenta il<br />
miglior sistema per spazzare via batteri, virus, tossine, aggregazioni tumorali.<br />
Microprocessi infiammatori avvengono d<strong>un</strong>que costantemente nel nostro organismo,<br />
sollecitati dalle continue modificazioni dell'ambiente esterno e di quello interno. Essi<br />
fanno parte <strong>della</strong> normalità fisiologica del nostro organismo. D'altra parte, però,<br />
l'infiammazione è dotata di <strong>un</strong> eccezionale potere distruttivo dei tessuti del nostro<br />
organismo, sia di quelli <strong>della</strong> prima linea di difesa (le mucose) sia degli organi interni<br />
(il fegato innanzi tutto). Nell'infiammazione è fondamentale il controllo <strong>della</strong> reazione<br />
imm<strong>un</strong>itaria infatti, anche il tipo di stimolo non è secondario, ma ciò che è veramente<br />
basilare è se la risposta che l'organismo attua è controllata, e quindi capace di<br />
sopprimere lo stimolo infiammatorio senza danneggiare le strutture proprie<br />
dell'organismo o sregolata, cioè potenzialmente dannosa all'organismo ben più dello<br />
stimolo in sé. Perciò stimoli infiammatori sia interni che esterni per produrre effetti<br />
pertinenti devono raggi<strong>un</strong>gere i vasi sanguigni. E' la parete interna dei vasi,<br />
l'endotelio vasale, che costituisce la sede di attivazione infiammatoria. Quando<br />
l'endotelio vasale è attivato, i fosfolipidi <strong>della</strong> membrana cellulare, primo fra tutti<br />
l'acido arachidonico, acido grasso polinsaturo <strong>della</strong> serie omega 6, generano <strong>un</strong>a<br />
miriade di sostanze infiammatorie, collettivamente chiamate ecosanoidi. Diversi studi<br />
dimostrano che <strong>un</strong>a sovrapproduzione di derivati dell'acido arachidonico è implicata<br />
in numerosi disordini infiammatori: dall'artrite reumatoide alle malattie infiammatorie<br />
intestinali e cardiovascolari, fino a quelle neurodegenerative. Occorre inserire in<br />
questo contesto anche l'azione di incremento del danno infiammatorio prodotta dalle<br />
specie reattive dell'ossigeno, del cloro e dell'azoto. Queste sostanze rappresentano<br />
le principali armi di cui dispongono le cellule imm<strong>un</strong>itarie per distruggere i patogeni,<br />
ma al tempo stesso, possono costruire <strong>un</strong> rischio di ossidazione dei tessuti<br />
dell'organismo, le cui cellule, per difendersi, mettono in campo sistemi di tipo<br />
antiossidativo. Ma perché l'infiammazione venga spenta davvero, l'organismo deve<br />
42
mettere in moto circuiti imm<strong>un</strong>oneuroendocrini di segno generale: produzione di<br />
peptidi e attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene con produzione finale di<br />
cortisolo. Negli ultimi anni sono stati indagati soprattutto i difetti nell'attivazione<br />
dell'asse surrenalico, con risultati davvero sorprendenti. Anzi tali da comportare la<br />
presentazione di <strong>un</strong> nuovo paradigma scientifico, che per la prima volta propone<br />
l'interpretazione di malattie molto diverse alla luce di <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico modello. Alla fine del<br />
1992 la rivista “Annals of Internal Medicine” ha pubblicato la sintesi di <strong>un</strong>a<br />
conferenza del National Institue of Health sullo stress e la regolazione <strong>della</strong> <strong>malattia</strong><br />
infiammatoria. In questa, E.M. Sternberg del NIMH, propone che sia le emozioni sia<br />
l'infiammazione sono in grado di mettere in moto la reazione di stress tramite<br />
l'attivazione del CRH ipotalamico. L'asse ipotalamo-ipofisi-surrene ha due uscite: <strong>un</strong>a<br />
nel cervello, rappresentata del CRH, l'altra che agisce sul sistema imm<strong>un</strong>itario,<br />
rappresentata dai glucocorticoidi secreti dalle surrenali. Alterazioni nella<br />
com<strong>un</strong>icazione tra sistema imm<strong>un</strong>itario e cervello potrebbero produrre malattie<br />
infiammatorie o psichiatriche o sindromi “miste”, aventi cioè sia componenti<br />
comportamentali che infiammatorie. Queste ipotesi, sono poi state ampiamente<br />
confermate, come si è precedentemente visto dal rilascio di citochine infiammatorie<br />
nel caso di stress.<br />
E' noto, che lo stress esacerba la <strong>malattia</strong>, al pari di <strong>un</strong>'infiammazione, portando<br />
entrambi alla produzione di citochine infiammatorie, tanto più in persone affette da<br />
<strong>un</strong>a <strong>malattia</strong> cronica. E' stato effettuato <strong>un</strong>o studio su ragazzi <strong>un</strong>iversitari in buona<br />
salute, sottoposti ad <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico stress acuto: parlare, rispondere rapidamente a<br />
domande e fare calcoli aritmetici in pubblico. Prima e dopo la prova, sono stati<br />
misurati nei ragazzi i livelli degli ormoni dello stress, cortisolo e noradrenalina, e<br />
all'interno del monocita, i livelli del NfkB, che è <strong>un</strong>o dei principali fattori di trascrizione<br />
nucleare, cioè fa parte di quella classe di sostanze che trasmettono l'informazione<br />
dalla superficie cellulare al nucleo dei geni ivi contenuti. Su 19 ragazzi, 2 non hanno<br />
mostrato alc<strong>un</strong> aumento significativo degli ormoni dello stress, ma gli altri 17 hanno<br />
mostrato nel loro sangue i segni, cioè la presenza di più cortisolo e noradrenalina, e<br />
nelle cellule imm<strong>un</strong>itarie analizzate, addirittura triplicazione dei livelli di NfkB. Questa<br />
sostanza porta l'emozione stressante all'interno del nucleo <strong>della</strong> cellula imm<strong>un</strong>itaria e<br />
attiva <strong>un</strong>a sessantina di geni infiammatori, che quindi daranno istruzioni per<br />
sintetizzare citochine e altre proteine infiammatorie. E' evidente che a questi ragazzi<br />
non è successo niente di particolare, ma in <strong>un</strong> soggetto affetto da sclerosi multipla o<br />
altra <strong>malattia</strong> autoimm<strong>un</strong>e o infiammatoria cronica sarà come aver gettato benzina<br />
sul fuoco. Il controllo dello stress in queste malattie è <strong>un</strong> fattore terapeutico<br />
fondamentale.<br />
43
5.1 La <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong><br />
La storia <strong>della</strong> celiachia (CD) è possibile farla risalire all'antica Grecia, quando Areteo<br />
di Cappadocia, nel 250 d.C. Scriveva dei keiliakos, “coloro che soffrono negli<br />
intestini” senza peraltro capire la correlazione tra patologia e ass<strong>un</strong>zione di glutine.<br />
Nel 1856 il termine viene tradotto da Francis Adams dal greco all'inglese in coeliacs,<br />
e pochi anni dopo nel 1888, <strong>un</strong> medico olandese, S. Gee, descrisse i sintomi<br />
dettagliati di questa condizione. Alla metà del XX° secolo fu chiarito in modo<br />
definitivo come la celiachia provocasse la lesione dei villi intestinali e il conseguente<br />
malassorbimento e come questo fosse alla base dei sintomi. Da allora, e fino alla fine<br />
degli anni '80, poco era cambiato. La celiachia era considerata <strong>un</strong>a patologia<br />
relativamente rara, con <strong>un</strong>a prevalenza di <strong>un</strong> caso ogni 2000-3000, con esordio<br />
quasi esclusivamente pediatrico e chiare manifestazioni intestinali legate al<br />
malassorbimento (diarrea cronica, arresto <strong>della</strong> crescita, malnutrizione). Oggi<br />
sappiamo che la frequenza <strong>della</strong> celiachia, in tutti i paesi europei, ma anche negli<br />
stati <strong>un</strong>iti e pure nei paesi non occidentali, è molto più elevata <strong>della</strong> stessa frequenza<br />
riportata negli anni '70 in Irlanda (1: 450). Da studi recenti, e dalla nuova possibilità<br />
data dalla diagnostica sierologica, si è gi<strong>un</strong>ti a stimarne l'epidemiologia come<br />
all'incirca 1: 100, non solo in Occidente, ma anche nei paesi in via di sviluppo come<br />
l'Africa del Nord, il Brasile, l'Iran, L'India e la Turchia, dove purtroppo il problema<br />
<strong>della</strong> celiachia si sovrappone a quello <strong>della</strong> malnutrizione endemica e delle infezioni<br />
gastrointestinali, oltre che al quasi impossibile reperimento dei cibi senza glutine.<br />
5.1.1 Evidenze scientifiche <strong>della</strong> celiachia: il ruolo dei geni e dell'ambiente<br />
La celiachia è <strong>un</strong>a condizione caratterizzata da intolleranza permanente al glutine di<br />
frumento e alle proteine corrispondenti di segale e orzo. Sebbene i fattori<br />
responsabili non siano ancora completamente chiariti, è ormai evidente che il danno<br />
<strong>della</strong> mucosa intestinale e le conseguenti manifestazioni cliniche rappresentano il<br />
risultato finale di complesse interazioni tra geni e ambiente. Infatti pur esistendo <strong>un</strong>a<br />
chiara predisposizione familiare (il 10% dei parenti di primo grado dei pazienti celiaci<br />
sono loro volta affetti da celiachia), la <strong>malattia</strong> non segue il classico pattern<br />
mendeliano, a conferma dell'ipotesi di <strong>un</strong>a eziopatogenesi poligenica multifattoriale.<br />
Come nel diabete di tipo II e l'ipertensione, molteplici geni interagiscono con<br />
l'ambiente, aprendo <strong>un</strong> varco allo sviluppo <strong>della</strong> <strong>malattia</strong>.<br />
Per comprendere il differente contributo dei geni e dell'ambiente si è esaminata la<br />
44
concordanza <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> in gemelli monozigotici (MZ) e diziogotici (DZ), cresciuti<br />
nello stesso ambiente o in ambienti diversi. Dai risultati è emersa <strong>un</strong>a concordanza<br />
<strong>della</strong> <strong>malattia</strong> in gemelli MZ dell' 80%, superiore addirittura al diabete di tipo I. Questo<br />
dato pur confermando l'assoluta rilevanza dell'aspetto genetico, dimostra anche che<br />
fattori esterni o ambientali sono com<strong>un</strong>que necessari per lo sviluppo <strong>della</strong> celiachia.<br />
Per quanto riguarda l'aspetto genetico è noto che la celiachia è strettamente<br />
correlata ad alc<strong>un</strong>i geni HLA. Questi geni fanno parte del maggior sistema di<br />
istocompatibilità, localizzato sul cromosoma 6, in <strong>un</strong>a regione di considerevole<br />
interesse dal p<strong>un</strong>to di vista imm<strong>un</strong>ologico, denominata CELIAC1. Due geni HLA, in<br />
particolare, appaiono indispensabili per lo sviluppo <strong>della</strong> celiachia: il DQ2 e il DQ8.<br />
DQ2 e DQ8 sono glicoproteine espresse sulla superficie delle cellule APC (antigen<br />
presenting cells, vd. Prima) del sistema imm<strong>un</strong>itario. L'importanza <strong>della</strong> stretta<br />
associazione tra celiachia e antigeni di istocompatibilità di classe II risiede nel fatto<br />
che antigeni di natura peptidica, specie di piccole dimensioni, sono riconosciuti dai<br />
linfociti solo quando complessati con antigeni HLA. L'interazione tra questi e i<br />
frammenti <strong>della</strong> gliadina determina l'attivazione dei linfociti T , i cui prodotti di<br />
secrezione, come abbiamo visto precedentemente, svolgono <strong>un</strong> ruolo fondamentale<br />
nel determinismo delle lesioni mucosali. Altri geni sono com<strong>un</strong>que certamente<br />
coinvolti nell'eziopatogenesi <strong>della</strong> celiachia. A sostegno di ciò sta l'osservazione che<br />
in gemelli DZ ma identici per ciò che concerne i geni HLA, la concordanza <strong>della</strong><br />
<strong>malattia</strong> è soltanto del 35% circa. Quindi è possibile immaginare che i geni HLA<br />
esercitino <strong>un</strong> ruolo preminente,necessario ma non sufficiente, per lo sviluppo <strong>della</strong><br />
celiachia; gli altri geni, di volta in volta segnalati in singoli studi ma non replicati in<br />
altri, potrebbero essere invece implicati, a seconda delle popolazioni interessate, nel<br />
determinare aspetti <strong>clinici</strong> peculiari nella celiachia (Martelossi, 2008).<br />
I meccanismi di <strong>malattia</strong> prevedono che il glutine, contenente sequenze in grado di<br />
stimolare specificamente i linfociti T infiltranti la mucosa intestinale, facendoli poi<br />
proliferare e produrre sostanze con attività infiammatoria, in particolare l'IFN-γ .<br />
Inoltre, i diversi frammenti <strong>della</strong> catena aminoacidica del glutine attivano la risposta<br />
imm<strong>un</strong>itaria adattiva, cioè i linfociti T <strong>della</strong> polarità Th1; inoltre vengono rilasciate<br />
citochine, da entrambe le modalità, innata e adattiva. Normalmente il nostro<br />
organismo, come abbiamo spiegato in precedenza, possiede dei meccanismi in<br />
grado di attenuare i forti processi infiammatori dovute a incontrollate reazioni<br />
imm<strong>un</strong>itarie, onde evitare danni irreparabili ai tessuti e agli organi, resta da stabilire<br />
se nell'intestino del celiaco esiste <strong>un</strong> primitivo difetto di regolazione(Gianfrani &<br />
Troncone, 2008).<br />
Sulla base delle considerazioni sopra esposte i geni sembrano svolgere <strong>un</strong> ruolo<br />
45
fondamentale nella eziopatogenesi <strong>della</strong> celiachia, ma ancor più importante è il<br />
contributo di fattori esterni o ambientali, intesi come tutti gli elementi in grado di<br />
influenzare lo sviluppo <strong>della</strong> <strong>malattia</strong>. Questo è dimostrato dal fatto che ness<strong>un</strong><br />
individuo, anche il più profondamente suscettibile dal p<strong>un</strong>to di vista genetico,<br />
svilupperebbe la celiachia, se non assumesse glutine per tutta la durata <strong>della</strong> vita.<br />
Oltre ad agenti quali il glutine, o agenti infettivi quali l'adenovirus, l'infezione da<br />
Candida Albicans, da rotavirus o da mononucleosi infettiva, bisogna prendere in<br />
considerazione fattori come lo stress, peraltro di maggiore nostra pertinenza. E' infatti<br />
<strong>un</strong>'osservazione com<strong>un</strong>e che la <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> spesso esordisce in concomitanza<br />
oppure subito dopo <strong>un</strong>o stress, che non dobbiamo assolutamente considerare solo in<br />
accezione negativa, ma anzi come <strong>un</strong> evento al quale l'organismo è messo di fronte<br />
e deve reagire, mettendo in atto tutti i meccanismi basilari di risposta allo stress fin<br />
qui descritti, ed ovviamente anche altri a seconda del tipo di evento. Anche eventi<br />
come la gravidanza, in linea di massima <strong>un</strong> evento che anche se valutato<br />
positivamente dalla donna, comporta <strong>un</strong>a enorme modificazione dei sistemi organici<br />
nella loro totalità, rende indispensabile <strong>un</strong> fronteggiamento da parte dell'organismo<br />
del disequilibrio indotto dalla nuova condizione. Per quanto concerne il concetto di<br />
stress, è importante sottolineare che alc<strong>un</strong>e molecole coinvolte nei più fini<br />
meccanismi responsabili del danno <strong>della</strong> mucosa intestinale nel soggetto celiaco (ad<br />
esempio MIC-A ), sono tipicamente indotte dallo stress, inteso nella sua accezione<br />
più ampia (Martelossi, 2008).<br />
Essendo stato finora, largamente indagato il ruolo dello stress, passiamo ora alla<br />
rassegna dei dati disponibili in letteratura riguardanti la <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, di stampo<br />
più prettamente <strong>psicologico</strong>.<br />
Il fattore maggiormente indagato, è la qualità <strong>della</strong> vita, e la probabile comorbilità con<br />
disturbi psichiatrici in pazienti già diagnosticati come celiaci, e quindi a dieta<br />
aglutinata. La celiachia è infatti <strong>un</strong>a condizione cronica, non tanto grave da richiedere<br />
medicinali o trattamenti medici invasivi, ma come <strong>un</strong>ica terapia utile, efficace ed<br />
obbligatoria, richiede l'aderenza a vita a <strong>un</strong>a dieta priva di glutine, in cui non solo è<br />
fondamentale reperire gli alimenti privi di glutine (prevalentemente nelle farmacie),<br />
ma anche evitare qualsiasi tipo di contaminazione tra il cibo del paziente celiaco, e<br />
quello di altri sani, poiché la soglia di glutine consentita, per non scatenare reazioni<br />
autoimm<strong>un</strong>itarie, è veramente bassa, e richiede quindi <strong>un</strong>'attenzione costante. Gli<br />
specialisti raccomandano com<strong>un</strong>que che l'attenzione venga posta, per esempio, non<br />
cuocendo la pasta con il glutine nella stessa acqua di cottura in cui si è cotta la pasta<br />
“normale”, o usando lo stesso cucchiaio, o lo stesso colapasta per i due tipi di paste<br />
(molti celiaci si trovano infatti in gruppi familiari “misti”, dove ogni giorno si cucinano<br />
46
sia portate senza glutine che con il glutine), ma al tempo stesso raccomandano di<br />
non far diventare queste attenzioni veri e propri “parossismi”, cioè ossessioni, che<br />
condizionerebbero e peggiorerebbero sensibilmente, la vita di questi pazienti.<br />
Tutto ciò naturalmente, induce, prima il paziente, poi la stessa famiglia ad<br />
<strong>un</strong>'operazione parziale di ridefinizione <strong>della</strong> propria identità, nei termini <strong>della</strong><br />
rappresentazione mentale che <strong>un</strong>a persona ha di sé e del modo in cui gli altri la<br />
percepiscono. Questa operazione di rideterminazione dei propri confini psicologici è<br />
<strong>un</strong>a normale, non evitabile conseguenza di qual<strong>un</strong>que crisi e non comporta<br />
necessariamente a disturbi psicologici e psichiatrici di alc<strong>un</strong>a natura(Cimma, 2008).<br />
Questi aspetti però, sono stati largamente indagati, e verranno presentati di seguito.<br />
G. Keitner ha indagato l'importante ruolo <strong>della</strong> famiglia giocato nel corso di disturbi<br />
cronici, per evidenziare l'importanza di includere le famiglie nell'assessment e nel<br />
trattamento. La famiglia ha <strong>un</strong>'importante ruolo nell'assessment e nel trattamento. Le<br />
famiglie hanno <strong>un</strong>a potente influenza sulla salute. La famiglia e i fattori relazionali<br />
interagiscono con i sistemi biologici per produrre o mantenere il disturbo. Le famiglie<br />
hanno il potere di influenzare la salute. La qualità delle relazioni influenza i risultati<br />
dei disturbi medici come le aritmie, il diabete, i disturbi cardiovascolari, l'epilessia,<br />
l'asma e i disturbi gastrointestinali. I fattori di rischio familiari incidono sia<br />
sull'espressione che sull'aggravamento del disturbo e sono: il perfezionismo, la<br />
rigidità, il conflitto intrafamiliare, il criticismo o il biasimo, lo stress esterno, <strong>un</strong>a<br />
com<strong>un</strong>icazione povera, e capacità di problem solving. Fattori familiari protettivi sono:<br />
<strong>un</strong>a buona com<strong>un</strong>icazione, l'adattabilità, chiari ruoli nella famiglia, raggi<strong>un</strong>gimento dei<br />
compiti di sviluppo <strong>della</strong> famiglia, mutuo supporto, aperte espressioni di<br />
apprezzamento, impegno verso la famiglia, legami sociali extra-familiari, passare del<br />
tempo insieme, orientazione spirituale e religiosa. L'intervento sulle famiglie può<br />
essere effettuato in qualsiasi fase di <strong>un</strong> disturbo, per prevenire la progressione del<br />
disturbo in questione, per ridurre la cronicità, e migliorare il f<strong>un</strong>zionamento. Le<br />
famiglie possono essere aiutate a gestire lo stress, imparare in merito alla <strong>malattia</strong>,<br />
sviluppare la com<strong>un</strong>icazione e la vicinanza, aumentare le interazioni mutualmente<br />
supportive, minimizzare l'ostilità intrafamiliare e il criticismo e costruire supporto<br />
extrafamiliare. Per contro, le famiglie possono aiutare la gestione del disturbo<br />
assicurando la compliance medica, monitorare la <strong>malattia</strong>, e come effetto collaterale<br />
del trattamento, l'aderenza agli app<strong>un</strong>tamenti prefissati, e promuovendo il<br />
mantenimento di strategie di salute come <strong>un</strong> buon sonno, esercizio e dieta. Il medico<br />
è in <strong>un</strong>'insostituibile posizione per sviluppare e prendere parte a <strong>un</strong>a formulazione<br />
biopsicosociale con il paziente e la sua famiglia. Il medico dovrebbe stabilire <strong>un</strong>a<br />
buona relazione con la famiglia del paziente, discutere con loro il significato <strong>della</strong><br />
47
<strong>malattia</strong>, spiegare il modello biopsicosociale, attraverso <strong>un</strong> corretto e accurato<br />
modello esplicativo <strong>della</strong> <strong>malattia</strong>, allontanando il senso di colpa e il biasimo <strong>della</strong><br />
famiglia, identificando il tipico modo di gestione del disturbo da parte <strong>della</strong> famiglia,<br />
normalizzare le reazioni emotive alla <strong>malattia</strong>, delineare il trattamento con i pro e i<br />
contro e raggi<strong>un</strong>gere l'accordo in merito al trattamento. Vedere le famiglie come<br />
collaboratrice nella gestione del disturbo migliora la qualità <strong>della</strong> vita del paziente,<br />
<strong>della</strong> famiglia e del medico (Keitner, 2009).<br />
Anche Miller & Wood, affrontano il “reame” familiare in <strong>un</strong>'ottica biopsicosociale, in<br />
cui i bambini e le loro famiglie sono visti come <strong>un</strong> complesso e dinamico sistema<br />
relazionale. Questo sistema è incastrato in <strong>un</strong> contesto sociale-ambientale che è in<br />
costante interazione con, e influenza prepotentemente, la psiche e il soma del<br />
sistema bambino-famiglia. Questo sistema è caratterizzato da <strong>un</strong>' interattiva e mutua<br />
influenza. La ricerca ha dimostrato che i vari elementi interagiscono e si influenzano<br />
a vicenda, perciò se <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione è compromessa in <strong>un</strong> elemento, può incidere e<br />
influenzare la f<strong>un</strong>zione e lo sviluppo nelle altre. Gli autori, ipotizzano inoltre, che<br />
l'asma pediatrica rappresenti <strong>un</strong> prototipo di f<strong>un</strong>zionamento familiare secondo il<br />
modello psicosomatico, a causa delle evidenze dirette sul f<strong>un</strong>zionamento<br />
psicobiologico dello stress e <strong>della</strong> depressione, creando così implicazioni anche per<br />
l'assistenza sanitaria (Miller & Wood, 2009).<br />
Un recente studio ha indagato il legame tra il f<strong>un</strong>zionamento familiare e il benessere<br />
<strong>psicologico</strong>. A 233 soggetti <strong>della</strong> popolazione generale sono stati somministrati il<br />
FAD, Family Assessment Device, il PWB, Psychological Well-Being Scale, e SQ,<br />
Symptom Questionnaire. E' stato poi calcolata l' r di Pearson, come indice di<br />
correlazione tra i test e anche l'analisi fattoriale. Le 7 scale del FAD risultano essere<br />
significativamente correlate con le 6 scale del PWB, e con le 4 scale dell' SQ.<br />
L'analisi fattoriale mostra <strong>un</strong>a struttura a 4 fattori che spiegano il 61% <strong>della</strong> varianza<br />
totale, dove il f<strong>un</strong>zionamento familiare, il benessere <strong>psicologico</strong> e lo stress sono<br />
rappresentate separatamente. Questi dati evidenziano <strong>un</strong>'interessante tendenza che<br />
mostra che le difficoltà nella famiglia non sono solo correlate al maggior stress<br />
individuale, ma anche a minori livelli di benessere <strong>psicologico</strong> (Fabbri et al., 2009).<br />
Nella <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, recentemente, sono state descritte, in associazione ad essa,<br />
manifestazioni neurologiche com<strong>un</strong>i quali l'ipotonia, i disturbi del comportamento, il<br />
ritardo mentale o la sindrome da iperattività-deficit d'attenzione. Tra i disturbi del<br />
comportamento, l'autismo, in associazione alla celiachia è la <strong>malattia</strong> più studiata.<br />
Pavone e al. hanno valutato 120 pazienti con <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> per identificare aspetti<br />
autistici, in più hanno fatto lo screening per la celiachia in 11 soggetti autistici:<br />
ness<strong>un</strong>o dei celiaci presentava tratti autistici e ness<strong>un</strong>o tra gli autistici è risultato<br />
48
affetto da <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> (Francavilla et al, 2008).<br />
Mentre per quanto riguarda l'ADHD è stata svolta <strong>un</strong>'indagine su <strong>un</strong> campione di 132<br />
soggetti affetti da CD, e con la possibilità di <strong>un</strong>a sintomatologia associata tipo<br />
ADHD., valutandoli sia prima che iniziassero la dieta aglutinata, che 6 mesi dopo<br />
l'inizio <strong>della</strong> dieta. I dati hanno mostrato che la sintomatologia tipica dell'ADHD è<br />
marcatamente sovra-rappresentata nei soggetti celiaci non trattati, ma questi sintomi<br />
si sono rivelati migliorare marcatamente dopo l'inizio <strong>della</strong> dieta aglutinata, dopo <strong>un</strong><br />
breve periodo di tempo. Questo studio suggerisce che la CD possa essere<br />
annoverata tra i disturbi che mostrano <strong>un</strong>a sintomatologia tipo ADHD. (Niederhofer,<br />
2006).<br />
Uno dei più recenti studi è stato condotto nel 2005 da <strong>un</strong> gruppo di ricercatori<br />
svedesi che hanno intervistato alc<strong>un</strong>e persone celiache approfondendo quali fossero<br />
i loro tratti emotivi caratteristici. E' rappresentativo ciò che <strong>un</strong> uomo dice nel corso<br />
<strong>della</strong> sua intervista: aspetti psicologici in questo campo, significa maneggiare<br />
continuamente piccole differenze, che“Ci devo pensare tutto il tempo. Non puoi<br />
scordartene mai. Non è consueto essere intollerante al glutine. Semplicemente a<br />
causa <strong>della</strong> mancanza di consapevolezza delle persone che ti circondano o perché<br />
c'è il pane nelle vetrine dei negozi o nei bar”. Occuparsi degli tuttavia diventano<br />
grandi nell'emotività di chi le vive (Cimma, 2008).<br />
Un altro studio, ha voluto verificare l'incidenza di disordini psichiatrici in pazienti con<br />
<strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> in dieta aglutinata per valutare: il peso <strong>psicologico</strong> di <strong>un</strong> disturbo<br />
cronico che coinvolge <strong>un</strong>a dieta restrittiva e <strong>un</strong>o stile di vita limitativo; l'accettazione<br />
del disturbo; gli effetti sia del disturbo che <strong>della</strong> dieta sulla qualità di vita. Tre gruppi<br />
da 100 pazienti ciasc<strong>un</strong>o (pazienti con <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, pazienti diabetici, e controlli<br />
sani, rispettivamente) sono stati valutati mediante <strong>un</strong>'intervista diagnostica semi-<br />
strutturata basata sui criteri del DSM-IV, insieme a specifici questionari psichiatrici. I<br />
risultati mostrano che i p<strong>un</strong>teggi del Self-Rating Depression Scale e dello STAI-II,<br />
erano significativamente più alti sia nei pazienti celiaci che diabetici, rispetto ai<br />
controlli. La durata <strong>della</strong> restrizione al glutine era correlata con <strong>un</strong>a maggiore<br />
differenza significativa dei p<strong>un</strong>teggi nella scala per la depressione, nei pazienti con<br />
<strong>un</strong>a diagnosi più recente. La qualità <strong>della</strong> vita era povera sia nei diabetici che nei<br />
celiaci rispetto ai controlli, e significativamente correlata con l'ansia. L' Illness<br />
Behaviour Questionnaire mostrava <strong>un</strong>a percezione di <strong>malattia</strong> psicologica e somatica<br />
più alta sia nei celiaci che nei pazienti diabetici. I p<strong>un</strong>teggi delle subscale erano<br />
significativamente correlate con i sintomi ansiosi e depressivi. Nella <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>,<br />
quindi, i disturbi affettivi potrebbero essere ascritti alle difficoltà di adattamento alla<br />
natura cronica del disturbo, più che al disturbo in sé e per sé, dando com<strong>un</strong>que<br />
49
<strong>un</strong>'indicazione per <strong>un</strong> intervento psichiatrico preventivo (Fera et al, 2003).<br />
Un'alta prevalenza dei sintomi depressivi, ipoteticamente correlati ad <strong>un</strong>a disf<strong>un</strong>zione<br />
serotoninergica, sono stati riportati tra gli adulti con <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>. P. A. Pynnonen<br />
e al. usando delle interviste psichiatriche semi-strutturate e delle scale per la<br />
misurazione dei sintomi, per studiare i disturbi mentali in 29 adolescenti con <strong>malattia</strong><br />
<strong>celiaca</strong> confrontandoli con 29 soggetti di controllo. In confronto al gruppo di controllo,<br />
tra i soggetti con <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> era significativamente più elevata la prevalenza del<br />
disturbo depressivo maggiore e il disturbo da comportamento dirompente. Nella<br />
maggior parte dei casi il disturbo aveva preceduto la diagnosi di <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> e il<br />
conseguente trattamento a dieta aglutinata. Mentre la prevalenza di altri disturbi<br />
mentali in corso, era simile in entrambi i gruppi. La <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, negli adolescenti,<br />
è associata con <strong>un</strong>'aumentata prevalenza di disturbi depressivi e del comportamento<br />
dirompente, in particolare nella fase precedente l'inizio <strong>della</strong> dieta aglutinata<br />
(Pynnonen, 2003).<br />
Russo et. al. (2003) sostengono che molte patologie somatiche sono associate con<br />
<strong>un</strong> f<strong>un</strong>zionamento emozionale disturbato. La comorbilità con depressione, ansia, o<br />
irritabilità con diversi disturbi è stata largamente documentata. Classicamente,<br />
questa tipo di psicopatologia è considerata essere <strong>un</strong>a reazione psicopatologica ad<br />
<strong>un</strong> grave life event. Una forte correlazione tra compromissione fisica ed umore<br />
dovrebbe quindi essere prevista. Numerosi studi <strong>clinici</strong>, com<strong>un</strong>que, indicano <strong>un</strong>a<br />
debole o assente relazione. Una debole correlazione può implicare che altri fattori<br />
giocano <strong>un</strong> ruolo nel precipitare i disturbi psichiatrici in pazienti che hanno malattie<br />
somatiche. Questa rassegna vuole identificare il meccanismo sottostante che può<br />
contribuire allo sviluppo dei disturbi psichiatrici. Gli autori quindi, propongono che<br />
l'aminoacido essenziale triptofano (TRP) sia il legame essenziale tra le patologie<br />
somatiche e psichiatriche. Tramite questa f<strong>un</strong>zione la via serotoninergica è modulata.<br />
Molti studi riportano il ruolo del metabolismo del triptofano nei disturbi psichiatrici.<br />
Anche se la possibile relazione tra la f<strong>un</strong>zionalità serotoninergica e i disturbi<br />
psichiatrici è stata investigata per più di quattro decadi, sorprendentemente poca<br />
attenzione è stata posta alle possibili conseguenze <strong>della</strong> modulazione del triptofano<br />
durante i disturbi somatici. Quest'articolo mette in evidenza la significatività <strong>della</strong><br />
fluttuazione del triptofano in diversi disturbi e trattamenti somatici, e l'occorenza di<br />
comorbidità psichiatrica. Inoltre sarà discusso il possibile significato biologico <strong>della</strong><br />
disponibilità del triptofano ed di conseguenza <strong>della</strong> serotonina. Il triptofano è <strong>un</strong><br />
aminoacido essenziale, la cui ass<strong>un</strong>zione con la dieta giornaliera si aggira attorno a<br />
20 mol. In condizioni non patologiche, il triptofano è sottoposto a tre principali vie<br />
metaboliche. Circa l'1% del triptofano assimilato con l'alimentazione giornaliera, è<br />
50
convertito in serotonina. Il primo passo, responsabile anche di limitarne la quantità, in<br />
questo processo, è l'idrolazione in 5-HTP tramite l'enzima TRP-5-idrossilasi. Questo<br />
viene poi decarbossilato dall'acido aromatico decarbossilasi. Gran parte <strong>della</strong> sintesi<br />
<strong>della</strong> serotonina prende luogo nelle cellule cromaffini che si trovano in maniera<br />
predominante nell'intestino. Com<strong>un</strong>que, dal 10 al 20% <strong>della</strong> conversione del<br />
triptofano in serotonina , com<strong>un</strong>que, si verifica dopo che è stata attraversata la<br />
barriera cerebrospinale. La disponibilità centrale del TRP dipende marginalmente<br />
dalla richiesta cerebrale, ma è invece determinato dal trasporto del triptofano<br />
attraverso la barriera ematoencefalica, dove compete con altri larghi aminoacidi.<br />
Questi includono fenilalanina, tirosina, tereonina, leucina, isoleucina e valina. In<br />
circostanze fisiologiche, l'enzima cerebrale triptofano idrossilasi è insaturo. La<br />
somministrazione orale di TRP porta all'aumento del metabolita <strong>della</strong> serotonina, 5-<br />
HIAA nel fluido cerebrospinale sia negli studi <strong>clinici</strong> che su animali. Al contrario, la<br />
rapida deplezione di triptofano, attraverso l'ingestione di bevande aminoacidiche<br />
prive di triptofano provoca <strong>un</strong>a compromissione nella formazione cerebrale <strong>della</strong><br />
serotonina. I livelli plasmatici di triptofano erano com<strong>un</strong>que ridotti circa del 10%<br />
rispetto al baseline poche ore dopo l'ingestione. Studi su ratti in microdialisi indicano<br />
che la deplezione dalla dieta di triptofano diminuisce il rilascio cerebrale di 5-HT sia<br />
nelle fasi acute che croniche. Questi esperimenti mostrano che la deplezione<br />
dietetica di triptofano portano ad <strong>un</strong>a rapida riduzione dell sintesi cerebrale di 5-HT. Il<br />
catabolismo ossidativo del TRP può essere indotto da diversi meccanismi, sia interni<br />
che esterni. Per esempio, l'attività ossidativa del TRP da parte del fegato, è indotta<br />
dal cortisolo, come sappiamo, ormone dello stress. Il catabolismo avviene anche<br />
tramite l'enzima IDO. La sua attività in condizioni non patologiche è minima, ma<br />
l'enzima è altamente inducibile in diversi tessuti dalle citochine proinfiammatorie,<br />
come l'interferone […..]. I paradigmi in merito alla deplezione del TRP sono stati<br />
largamente usati nei disturbi psichiatrici. Durante la depressione, l'umore è<br />
negativamente influenzato dalla deplezione di TRP, sia nei pazienti non curati che<br />
quelli in remissione in seguito alla terapia con SSRI. Nei pazienti autistici, la<br />
deplezione di TRP provoca ansia e rabbia, mentre negli individui bulimici, sono stati<br />
evidenziati l'alimentarsi in modo abnorme e l'aumentata irritabilità. Nei pazienti con<br />
disturbi di panico, i sintomi ansiosi aumentano, o com<strong>un</strong>que rimangono uguali dopo<br />
la deplezione di TRP. I pazienti con sindrome premestruale e con deplezione di TRP<br />
mostrano <strong>un</strong>'aumentata irritabilità. Nei pazienti con DOC, i comportamenti compulsivi<br />
si è visto che aumentano dopo la deplezione di TRP. Negli individui sani, sono stati<br />
riportati effetti medi dopo la deplezione di Trp, sull'umore, l'ostilità e l'irritabilità. Presi<br />
insieme, la maggior parte degli esperimenti sulla deplezione di TRP enfatizzano il<br />
51
uolo <strong>della</strong> serotonina nei disturbi emozionali. Com<strong>un</strong>que non <strong>un</strong> solo sintomo, ma<br />
<strong>un</strong>a gran varietà di sintomi veniva provocata, indicando che variabili confondenti,<br />
come la diagnosi e il metodo di assessment possano svolgere <strong>un</strong> ruolo. Quindi la<br />
deplezione di TRP può provocare sintomi, che dipendono dalla suscettibilità degli<br />
individui. Il dato più consistente riportato in questo contesto è il collegamento con<br />
l'aggressività. Deve essere enfatizzato che la deplezione di TRP negli esperimenti è<br />
breve (alc<strong>un</strong>e ore) e può quindi avere solo conseguenze negli individui vulnerabili,<br />
mentre la deplezione a l<strong>un</strong>go termine può precipitare anche gli altri sintomi. Nella<br />
<strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, in sette pazienti, è stata trovata <strong>un</strong>a relazione tra i minori livelli di<br />
TRP nel fluido cerebrospinale la presenza di sintomi depressivi. Sia i problemi<br />
biochimici che <strong>clinici</strong> erano reversibili dopo che i pazienti avevano seguito la dieta<br />
aglutinata per <strong>un</strong> anno. Si ritiene che questo sia a causa del povero assorbimento<br />
intestinale di TRP. In 12 pazienti con CD,sono stati riportati gli effetti benefici di 6<br />
mesi di trattamento con 80 mg/die di vitamina B6. Com<strong>un</strong>que il meccanismo<br />
sottostante non è chiaro. I bassi livelli plasmatici di TRP in 15 bambini con CD non<br />
trattati sono stati confrontati con quelli di 12 bambini trattati e con 12 controlli sani.<br />
Bassi livelli di TRP sono stati trovati anche nel 40% di 32 pazienti con il morbo di<br />
Chron. In conclusione, molti disturbi gastrointestinali sono associati con problemi<br />
psicologici. TRP è particolarmente vulnerabile al malassorbimento intestinale,<br />
probabilmente perché TRP è il meno abbondante ma anche <strong>un</strong>o tra i più essenziali<br />
aminoacidi. Com<strong>un</strong>que la deplezione di TRP può avere le maggiori conseguenze<br />
nella pratica medica. In primis, può spiegare il precipitare di disturbi psichiatrici in<br />
alc<strong>un</strong>i disturbi e terapie somatiche, come abbiamo visto. Il primo passo nel<br />
trattamento è fornire informazioni sulla natura dei sintomi al paziente e ai suoi<br />
parenti, che possono aiutarlo ad affrontare questi comportamenti indesiderabili. Il<br />
monitoraggio regolare del TRP può aiutare a comprendere la co-occorenza di <strong>un</strong>a<br />
non riconosciuta comorbilità psicopatologica, come la depressione, l'irritabilità e<br />
l'aggressività. La normalizzazione del metabolismo del TRP o la cura con<br />
antidepressivi (come la terapia con SSRI), può aumentare la qualità <strong>della</strong> vita in<br />
diverse sindromi somatiche e anche in casi in cui la patofisiologia dei sintomi<br />
psichiatrici non è chiara poiché la serotonina non è eziologicamente collegata con<br />
ness<strong>un</strong> disturbo specifico (Russo et. al. 2003).<br />
Un altro studio sugli adolescenti ha voluto indagare gli aspetti psicologici<br />
dell'aderenza alla dieta aglutinata, in <strong>un</strong> periodo <strong>della</strong> vita in cui è fondamentale la<br />
ridefinizione del sé anche attraverso l'opposizione agli altri. Un gruppo di 39 bambini<br />
e adolescenti affetti da <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> ha partecipato a <strong>un</strong>o studio controllato. Dai<br />
risultati emerge che l'accettazione <strong>della</strong> dieta aglutinata è problematica per la<br />
52
maggior parte dei bambini e degli adolescenti affetti da <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>; in particolare<br />
nei soggetti di 12 ai 17 anni, periodo <strong>della</strong> vita nel quale i ragazzi tendono ad opporsi<br />
al mondo degli adulti, ricercando <strong>un</strong>a personalità individuale. Questa ricerca è<br />
problematica nella maggior parte dei pazienti celiaci. Il sentimento di difficoltà<br />
collegato con la dieta aglutinata, appare essere assente in famiglia, mentre emerge<br />
significativamente nei momenti di incontro con gli amici (Cinquetti et al., 1997).<br />
Altri studi hanno suggerito che i problemi di alimentazione e di peso nell'infanzia<br />
possono essere fattori di rischio per i disturbi alimentari, soprattutto in adolescenza.<br />
Anche se manca ancora <strong>un</strong>a forte evidenza.<br />
A. Karwautz e al. hanno svolto <strong>un</strong>o studio sistematico sui disturbi alimentari nella<br />
celiachia. I pazienti con <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, sono stati valutati per i disturbi alimentari<br />
attraverso <strong>un</strong> questionario, e inoltre, anche l'indice di massa corporea è stato<br />
registrato. Dai risultati emerge <strong>un</strong> tasso più alto di quanto ci si aspettasse di disturbi<br />
alimentari in pazienti celiaci, e soprattutto di bulimia nervosa. Questo sottogruppo<br />
riportava <strong>un</strong>a minore compliance alla dieta aglutinata e aveva i p<strong>un</strong>teggi più alti nel<br />
questionario sui disturbi dell'alimentazione. Nella maggior parte dei casi la diagnosi di<br />
celiachia precedeva l'esordio dei disturbi alimentari (Karwautz et al., 2008).<br />
Uno studio di follow-up ha seguito 10 soggetti affetti sia da celiachia che da disturbi<br />
dell'alimentazione, dimostrando le complesse vie d'interazione dei disturbi,<br />
comprendendo anche importanti implicazioni cliniche, prognostiche e del<br />
trattamento. Conclusioni importanti che suggeriscono ai <strong>clinici</strong> che trattano i pazienti<br />
affetti da disturbi alimentari o da <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> di essere consapevoli delle<br />
implicazioni insite in entrambe le condizioni, per sviluppare <strong>un</strong> piano di trattamento<br />
adeguato ed efficace (Leffler et al., 2007).<br />
P. A. Pynnonen indaga invece, l'incidenza dei disturbi psichiatrici nella <strong>malattia</strong><br />
<strong>celiaca</strong> non trattata, in bambini e adolescenti. Sintomi neurologici come l'atassia,<br />
sono com<strong>un</strong>i nella CD e possono essere l'<strong>un</strong>ica manifestazione del disturbo in alc<strong>un</strong>i<br />
individui con suscettibilità genetica, persino con l'evidenza sierologica <strong>della</strong><br />
sensibilità al glutine, possono non esserci sintomi gastrointestinali o lesioni mucosali.<br />
Di fianco ai sintomi neurologici, i disturbi psichiatrici sono stati evidenziati come<br />
prevalenti nella CD non trattata. Uno studio, ha riportato la precedente storia di<br />
trattamento psichiatrico in <strong>un</strong>'alta percentuale di pazienti con CD, persino anni prima<br />
<strong>della</strong> diagnosi; il 21% (9 su 42) è stato utente di cliniche psichiatriche, per disturbi<br />
nevrotici, ma soprattutto depressivi, 6 di questi hanno ricevuto <strong>un</strong>a pensione di<br />
disabilità per depressione cronica. Solo il 5% (2 su 42) del gruppo di controllo ha <strong>un</strong>a<br />
storia di trattamento psichiatrico. Usando <strong>un</strong>a versione modificata <strong>della</strong> Z<strong>un</strong>g-SDS,<br />
Ciacci e al. hanno trovato che i soggetti con CD hanno significativamente più sintomi<br />
53
depressivi, paragonati con pazienti con epatite cronica e con soggetti normali.<br />
Questi risultati suggeriscono <strong>un</strong>a crescente prevalenza di sintomi mentali tra gli adulti<br />
con CD. Com<strong>un</strong>que poiché ness<strong>un</strong>o di questi studi ha applicato criteri diagnostici<br />
attuali o interviste psichiatriche strutturate, la validità delle diagnosi resta non chiara.<br />
Il meccanismo coinvolto nell'eziologia e nella patogenesi dei disturbi mentali e<br />
comportamentali collegati al CD non è chiaro. Hallert e Sedvall riportano <strong>un</strong> aumento<br />
del 33% nel maggior metabolita <strong>della</strong> monoamine, il 5-HIAA e <strong>un</strong> aumento del 10%<br />
nella concentrazione del triptofano nel fluido cerebrospinale (CSF) in pazienti adulti<br />
con CD dopo <strong>un</strong> anno di dieta senza glutine. Hernanz e Polanco hanno trovato <strong>un</strong><br />
significativo decremento <strong>della</strong> concentrazione plasmatica del triptofano, <strong>della</strong> tirosina,<br />
dell'isoleucina, e <strong>un</strong> tasso significativamente più basso di triptofano nei bambini con<br />
CD, incuranti del trattamento dietetico. Nei bambini non trattati, il TRP plasmatico era<br />
l' 84% in meno, mentre nel gruppo trattato il 62% in meno rispetto ai bambini senza<br />
CD. Quindi il tasso di tiptofano è stato trovato essere significativamente più basso nel<br />
gruppo non trattato, rispetto al gruppo trattato e ai controlli. 9 dei 15 bambini con CD<br />
non trattata mostravano segni di disturbi comportamentali ed erano irritabili e apatici.<br />
In alc<strong>un</strong>i di questi pazienti, i problemi comportamentali e affettivi, incominciavano<br />
dopo l'inizio <strong>della</strong> dieta aglutinata. Com<strong>un</strong>que questi dati non sono stati confermati<br />
altrove. Pynnonen poi, descrive due adolescenti, <strong>un</strong> maschio e <strong>un</strong>a femmina, che<br />
hanno sofferto di episodi di depressione maggiore e altri disturbi mentali, prima di<br />
ricevere <strong>un</strong>a diagnosi di CD. Il maschio, aveva severi sintomi psichiatrici anni prima<br />
dell'adolescenza. Presto dopo l' inizio <strong>della</strong> dieta aglutinata, in coincidenza con il<br />
decremento dei parametri sierologici, entrambi i giovani, migliorano<br />
considerabilmente senza l'aiuto di ness<strong>un</strong> trattamento psichiatrico, e ed entrambi<br />
rimangono in remissione per almeno 1 anno e mezzo di follow-up. Sebbene il<br />
possibile ruolo di fattori psicosociali non indagati nello spiegare la remissione e che<br />
quindi non possono essere esclusi, sembra similmente che in questi casi di DDM e<br />
severi problemi comportamentali, insieme ai miglioramenti, erano causalmente<br />
correlati alla CD e al suo trattamento con dieta aglutinata. Ci sono molti possibili<br />
percorsi attraverso i quali la CD può influenzare il SNC (come abbiamo visto in<br />
precedenza) e predisporre i pazienti ai disturbi mentali. Il malassorbimento di<br />
importanti nutrienti come l'acido folico, la vitamina B6 e gli aminoacidi, specialmente il<br />
triptofano, possono portare a problemi nella f<strong>un</strong>zionalità serotoninergica associati<br />
con i maggiori disturbi depressivi e comportamenti aggressivi. L'effetto<br />
dell'abbassamento dell'umore per <strong>un</strong>a rapida deplezione del triptofano, è stata<br />
dimostrata sperimentalmente, per esempio, in donne che non assumevano farmaci<br />
con sintomi depressivi ricorrenti. La diminuzione dei livelli di TRP trovata nei bambini<br />
54
con CD non trattati sono simili a quelle trovate in questi soggetti sperimentali.<br />
Secondo Van Praag i problemi serotoninergici trovati in alc<strong>un</strong>i individui depressi,<br />
particolarmente quelli con più bassi livelli di 5-HIAA, sono collegati all'ansia e a<br />
componenti aggressive dei sintomi depressivi e all'aumentata sensibilità agli eventi di<br />
vita stressanti. La f<strong>un</strong>zionalità serotoninergica non è correlata linearmente con i livelli<br />
di depressione, e l'esatta natura <strong>della</strong> compromissione serotoninergica non è ancora<br />
conosciuta. Delgado e al. hanno suggerito che livelli più bassi di serotonina possono<br />
influenzare la patofisiologia <strong>della</strong> depressione, anche come fattori predisponenti o<br />
come <strong>un</strong> effetto del deficit post-sinaptico nell'utilizzazione <strong>della</strong> serotonina.<br />
Com<strong>un</strong>que il ruolo dell'attivazione imm<strong>un</strong>itaria nella patogenesi <strong>della</strong> celiachia è<br />
largamente accettato. La sensibilità al glutine e la CD latente si riferiscono allo stato<br />
dell'aumentata responsività nell'ingestione di glutine in individui geneticamente<br />
suscettibili, con <strong>un</strong>a normale morfologia <strong>della</strong> mucosa intestinale. Laha e al. hanno<br />
studiato il profilo citochinico nella CD attiva e hanno confermato l'intensificazione<br />
<strong>della</strong> produzione dell'interferone-gamma. Maes e Smith (citati in Pynnonen, 2002),<br />
hanno proposto <strong>un</strong>'eccessiva secrezione citochinica dovuta alla cronica attivazione<br />
del sistema imm<strong>un</strong>itario come <strong>un</strong>a fondamentale patologia sottostante ai sintomi<br />
depressivi. Le citochine in quanto tali non possono attraversare la barriera<br />
ematoencefalica, ma <strong>un</strong>a mole crescente di evidenze (come dicevamo nei capitoli<br />
precedenti), suggeriscono che specifiche citochine possono segnalare al cervello di<br />
produrre cambiamenti neurochimici, neuroendocrini, neuroimm<strong>un</strong>itari e<br />
comportamentali. L'attivazione citochinica è risaputo che accresce l'iperattività<br />
dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene associata con la depressione maggiore.<br />
L'aumentata produzione dell'interferone-gamma può sopprimere la f<strong>un</strong>zionalità<br />
serotoninergica sia direttamente che indirettamente, come aumentando sia il<br />
riassorbimento <strong>della</strong> serotonina che del triptofano. Più del 90% <strong>della</strong> soppressione<br />
dei livelli plasmatici di triptofano, possono essere prodotti dalla gestione<br />
dell'interferone, o dalla deplezione sperimentale di triptofano. Qualche meccanismo<br />
simile deve essere coinvolto nella CD non trattata, causando problemi alla<br />
f<strong>un</strong>zionalità serotoninergica, predisponendo i pazienti a problemi comportamentali e<br />
affettivi. Poiché la CD latente può predisporre i pazienti a seri disturbi mentali e<br />
comportamentali, deve essere tenuto in considerazione nella diagnosi differenziale di<br />
tutte le età. Il meccanismo coinvolto nell'eziologia e nella patogenesi di questi disturbi<br />
collegati con la CD ed anche con la sensibilità al glutine dei soggetti celiaci deve<br />
ancora essere spiegata (Pynnonen et al., 2002).<br />
P. Collin e al. hanno valutato la presenza di depressione, problemi psicologici e il<br />
danneggiamento <strong>della</strong> qualità <strong>della</strong> vita, poiché sono condizioni riportate come<br />
55
facilmente verificabili nella CD non trattata. L'alessitimia è associata con diversi<br />
disordini gastrointestinali. Lo scopo dello studio era di valutare se i pazienti con CD<br />
soffrono anche di sintomi psiconevrotici o di alessitimia e, se la dieta aglutinata ha<br />
<strong>un</strong> impatto sui sintomi. La Crown-Crisp Experimental Index (CCEI) e le sue sei<br />
subscale sono state utilizzate per misurare la psicopatologia nevrotica, mentre la<br />
TAS-20, nella versione a 20 item, è stat utilizzata per misurare l'alessitimia.<br />
L'assessment è stato utilizzato in 20 pazienti adulti con CD, comprovata <strong>della</strong> biopsia<br />
intestinale, sia prima che dopo <strong>un</strong> anno di dieta aglutinata. Diversamente, la dieta<br />
non ha avuto <strong>un</strong> impatto significativo sui p<strong>un</strong>teggi <strong>della</strong> CCEI. I pazienti non erano<br />
affetti da alessitimia, ma i p<strong>un</strong>teggi <strong>della</strong> TAS-20 erano cresciuti significativamente<br />
durante il follow-up. I problemi psicologici, sembrano quindi non essere com<strong>un</strong>i in<br />
pazienti CD adulti. La dieta aglutinata ha solo <strong>un</strong>a piccola influenza sui sintomi. La<br />
conoscenza com<strong>un</strong>e in merito alla CD e la pronta reperibilità dei prodotti senza<br />
glutine, possono aver avuto <strong>un</strong> impatto su questi risultati (Collin et al, 2008).<br />
Anche L. Nagy e al. hanno effettuato <strong>un</strong>o studio per misurare il grado <strong>della</strong><br />
depressione e dell'ansia in pazienti con disturbi autoimm<strong>un</strong>i. I sintomi psichiatrici<br />
sono com<strong>un</strong>i in molti disturbi autoimm<strong>un</strong>i. I soggetti erano stati selezionati da <strong>un</strong><br />
database <strong>della</strong> Clinica Universitaria di Imm<strong>un</strong>ologia e Reumatologia di Pécs. A 220<br />
donne frequentanti la clinica venne chiesto di partecipare come gruppo di controllo.<br />
Come strumenti di assessment diagnostico, tre questionari standardizzati, la CES-D,<br />
l'HADS e MMPI-2-D scale, sono stati usati per misurare il grado di depressione e<br />
ansia nei pazienti con sclerodermia sistemica, artrite reumatoide e lupus erimatoso<br />
sistemico. Questi gruppi sono stati confrontati per età e qualificazione al gruppo di<br />
donne sane, usando il metodo statistico dell'ANOVA. I tre strumenti comprese le<br />
subscale dell'MMPI-2-D hanno <strong>un</strong>'alta consistenza sia per la popolazione medica che<br />
per quella sana di controllo. HADS è molto adatta per la popolazione con disordini<br />
autoimm<strong>un</strong>i, differenziandosi così dagli altri strumenti per la depressione. I pazienti<br />
con disturbi autoimm<strong>un</strong>i hanno <strong>un</strong> tasso significativamente più alto per l'ansia clinica<br />
e per la depressione in confronto al gruppo di controllo. Questi risultati indicano che i<br />
pazienti con patologia autoimm<strong>un</strong>e spesso hanno disturbi dell'umore, che possono<br />
influire sullo loro qualità <strong>della</strong> vita. Riconoscendo accuratamente le componenti<br />
psichiatriche e generare così <strong>un</strong>a diagnosi differenziale è <strong>un</strong> compito arduo per i<br />
medici che hanno in cura questi pazienti. Ma il trattamento delle componenti<br />
psichiatriche del disturbo è essenziale (Nagy et al., 2009).<br />
W. Hauser e al. hanno effettuato <strong>un</strong>o studio per valutare la frequenza di sintomi tipici<br />
<strong>della</strong> sindrome dell'intestino irritabile (IBS) e i consecutivi comportamenti di ricerca di<br />
assistenza sanitaria, il loro impatto sulla qualità <strong>della</strong> vita correlata con la salute, e le<br />
56
loro possibili determinanti biopsicosociali in pazienti adulti con CD. Un totale di 1000<br />
pazienti adulti con CD appartenenti all'associazione dei celiaci tedesca hanno<br />
completato <strong>un</strong> questionario medico e sociodemografico, il Short Health Survey (SF-<br />
36), e l'Ospital Anxiety and Depression Scale attraverso <strong>un</strong>'indagine via posta. Dei<br />
412 pazienti che hanno risposto, tutti con la comprovata diagnosi di CD data dalla<br />
biopsia intestinale e con la maggior aderenza alla dieta aglutinata per più di <strong>un</strong> anno,<br />
96 soddisfacevano i criteri per l'IBS. Di questi 96, 76 hanno cercato aiuto, sia medico<br />
che non, dovuto ai sintomi dell'IBS. I sintomi tipici dell'IBS inoltre, hanno avuto <strong>un</strong><br />
impatto negativo sui p<strong>un</strong>teggio totale del SF-36. I disturbi mentali, il sesso femminile<br />
e l'occasionale non aderenza alla dieta aglutinata, sembrano essere fattori di rischio<br />
per i sintomi tipici dell'IBS. Secondo gli autori i dati supportano il modello<br />
biopsicosociale dell'IBS: i sintomi tipici dell'IBS in pazienti adulti con CD possono<br />
essere spiegati attraverso <strong>un</strong>'interazione tra meccanismi <strong>clinici</strong> e sociopsicologici<br />
(Hauser et al, 2006).<br />
Un altro studio ha valutato la personalità in pazienti con la sindrome dell'intestino<br />
irritabile (IBS), e il disturbo infiammatorio intestinale (IBD). Infatti gli stati emozionali e<br />
i tratti di personalità possono influenzare la fisiologia intestinale e l'esperienza dei<br />
sintomi conseguenti. A causa dei risultati contrastanti riguardo la personalità e le<br />
caratteristiche affettive nei pazienti con IBS e IBD, lo scopo del seguente studio è<br />
confrontare 5 dimensioni di personalità come anche l'ansia e la depressione tra i<br />
pazienti con IBS, con IBD e i controlli sani. 127 pazienti del Dipartimento di<br />
Gastroenterologia <strong>della</strong> Clinica Ospedaliera di Rijeka hanno partecipato a questo<br />
studio. 32 pazienti avevano la colite ulcerosa, 28 il morbo di Chron, 66 avevano l'IBS<br />
e 27 erano controlli sani (di età compresa tra 19 e 75 anni). I partecipanti hanno<br />
compilato i seguenti questionar: Big Five Inventory, Beck Depression Inventory (BDI),<br />
e lo Spielberg's Trait-Anxiety Inventory (STAI). Dai risultati emerge <strong>un</strong>a differenza<br />
significativa nel nevroticismo e l'ansia tra i 3 gruppi di partecipanti. I pazienti con IBS<br />
mostrano <strong>un</strong> livello significativamente più alto di ansia e nevroticismo confrontato con<br />
i controlli sani. I pazienti con IBS hanno mostrato <strong>un</strong> livello significativamente più<br />
basso di piacevolezza confrontato ai pazienti con IBD, ma non con le persone sane.<br />
In conclusione, questo studio dimostra che sia i pazienti con IBS che con IBD<br />
differiscono significativamente in alc<strong>un</strong>i aspetti di personalità (livello di ansia e<br />
nevroticismo) confrontati con i controlli sani. Questo conferma i precedenti risultati a<br />
proposito del fatto che il nevroticismo opera come <strong>un</strong> fattore di rischio generico in<br />
diversi disturbi cronici (Tkalcic et al., 2009).<br />
Anche le caratteristiche socio-economiche sono state valutate in bambini con CD. In<br />
<strong>un</strong>o studio prospettico, sono stati considerati 16.286 bambini nati dal 1° ottobre 1997<br />
57
al 1° ottobre 1999. Otto diversi dipartimenti pediatrici hanno registrato tutti i bambini<br />
con CD nel sud-est <strong>della</strong> Svezia. La <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> è stata confermata dalla biopsia.<br />
Le caratteristiche socio-economiche (impiego materno, stato civile, se i genitori erano<br />
nati in Svezia, istruzione dei genitori, luogo di residenza prima e durante la<br />
gravidanza, abitazione affollata), sesso del bambino, fratelli prematuri, età dei<br />
genitori, consumo materno di alcol durante la gravidanza, sono state analizzate con<br />
la regressione. Tutti i dati, accetto quelli relativi alla CD, erano stati ottenuti con <strong>un</strong><br />
questionario somministrato alla nascita. Dai risultati emerge che la CD era meno<br />
com<strong>un</strong>e tra i figli <strong>della</strong> madri che avevano lavorato meno di tre mesi durante la<br />
gravidanza. Ness<strong>un</strong> altro fattore socio-economico era correlato alla CD. Gli autori<br />
quindi concludono che i principali fattori socio-economici non sembrano essere<br />
responsabili nello sviluppo <strong>della</strong> CD (Ludvigsson, 2005).<br />
Dallo stesso autore è' stato anche valutato se la presenza di eventi stressanti subito<br />
prima del concepimento o durante la gravidanza, possono incidere negativamente<br />
sullo sviluppo e aumentare il rischi o di disturbi nella prole. L'obiettivo del seguente<br />
studio è di esaminare i life event, il supporto materno e sociale, la speranza durante<br />
la gravidanza e il rischio <strong>della</strong> CD nella prole. Il campione e la metodologia di<br />
indagine è esattamente quella dello studio precedente. Il questionario utilizzato in<br />
questo caso includeva domande su eventuali disturbi dei genitori, fattori socio-<br />
economici, il fumo, ass<strong>un</strong>zione di alcol e infezioni durante la gravidanza. Dai risultati<br />
emerge che i life event, la mancanza di supporto sociale e di speranza nelle donne<br />
incinte non era correlato con lo sviluppo <strong>della</strong> CD nella prole (Ludvigsson, 2003).<br />
Lo stesso autore ha valutato il fumo di sigaretta dei genitori e il rischio correlato per<br />
la prole di sviluppare la CD. Tra gli adulti, il fumo sembra dare protezione contro la<br />
CD. Ma solo <strong>un</strong>o studio finora ha investigato l'associazione tra il fumo materno<br />
durante la gravidanza e il rischio di CD nella prole. Com<strong>un</strong>que, questo studio non era<br />
adattato alla durata dell'allattamento al seno esclusivo e non valutava il fumo passivo<br />
dopo la nascita. Anche questo studio, fa parte del primo dello stesso autore qui<br />
sopra esposto, quindi anche il campione è lo stesso. I dati sull'allattamento al seno<br />
esclusivo e sul fumo sono stati ottenuti da questionari distribuiti alla nascita dei<br />
bambini e all'età di <strong>un</strong> anno. CD era stata confermata dalla biopsia intestinale. Un<br />
sottogruppo di analisi sono state svolte secondo l'indice di massa corporea materno.<br />
I risultati mostrano che 9 su 53 bambini con CD, opposti a 1699 su 15344 non CD<br />
avevano madri che avevano fumato durante la gravidanza. Le madri che avevano<br />
fumato durante la gravidanza non avevano quindi aumentato il rischio di avere <strong>un</strong><br />
bambino con la CD. Aggiustando la valutazione anche sulla durata dell'allattamento<br />
al seno esclusivo e il sesso dei bambini, in 9585 bambini l'allattamento al seno<br />
58
esclusivo riduceva l'esordio <strong>della</strong> CD nelle madri che avevano fumato. Inoltre i<br />
genitori che avevano fumato durante il primo anno di vita dei bambini, non avevano<br />
aumentato il rischio di sviluppare la CD nella prole. L'autore conclude dicendo che<br />
non sono state trovate correlazioni significative tra il fumo di sigaretta e la CD, ma si<br />
auspica in studi futuri con <strong>un</strong> maggior numero di studi di soggetti celiaci (Ludvigsson,<br />
2005).<br />
Ciacci e al, hanno invece, più generalmente valutato la dimensione psicologica <strong>della</strong><br />
CD, utilizzando <strong>un</strong> approccio integrato. Lo scopo del loro studio è di valutare l'impatto<br />
emozionale <strong>della</strong> diagnosi di CD in età adulta, la relazione paziente/dottore, e la<br />
cooperazione dei pazienti con il trattamento e specialmente con la dieta. I pazienti<br />
erano 114 pazienti adulti con CD a dieta aglutinata, tra cui c'erano 25 pazienti non<br />
trattati. Diversi questionari self-report sono stati utilizzati con lo scopo di valutare il<br />
livello di conoscenza del disturbo, l'impatto emozionale al momento <strong>della</strong> diagnosi, e i<br />
sentimenti durante il follow-up. I pazienti mostrano <strong>un</strong>a buona conoscenza del<br />
disturbo, direttamente correlato con il loro livello socio-economico. Alla diagnosi, il<br />
sollievo è il sentimento più intenso, e fattori demografici, il tempo di latenza prima<br />
<strong>della</strong> diagnosi e la durata del disturbo non hanno effetti sull'intensità di tutti i<br />
sentimenti. I p<strong>un</strong>teggi auto-valutativi delle emozioni sono stati inserti in <strong>un</strong>a analisi<br />
fattoriale esplorativa e hanno generato tre fattori: il 1° comprendeva paura-rabbia-<br />
ansia-tristezza, il 2° rassicurazione-rassegnazione e il 3° sollievo; inoltre i pazienti<br />
hanno giudicato la spiegazione medica come fatta nel giusto modo. Quest'ultimo<br />
aspetto correlava con il secondo fattore. Al follow-up, la rabbia era l'emozione<br />
predominante che induceva i pazienti a trasgredire. Una correlazione positiva era<br />
stata osservata tra <strong>un</strong> sentimento diverso e il primo fattore. Gli autori concludono<br />
dicendo che nei pazienti con CD adulti, gli aspetti adattivi e psicologici devono<br />
essere presi in considerazione per capire il paziente celiaco e per <strong>un</strong>a migliore<br />
gestione clinica (Ciacci et al., 2002).<br />
Dane G. e Prugh M.D. hanno invece effettuato <strong>un</strong>'indagine preliminare sul ruolo dei<br />
fattori emotivi nella <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> idiopatica. Osservazioni cliniche accidentali<br />
hanno portato allo studio di 14 casi di <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> idiopatica secondo <strong>un</strong><br />
approccio <strong>psicologico</strong>. Dati pregressi sono stati combinati con lo studio clinico <strong>della</strong><br />
struttura di personalità e le reazioni emotive di bambini di diverse età e stadi di<br />
<strong>malattia</strong>, nonché dei genitori, hanno prodotti alc<strong>un</strong>e conclusioni descrittive e<br />
apparenti correlazioni. Un consistente e non specifico tipo di personalità di natura<br />
ansiosa, rigida, moderatamente compulsiva è stat rilevata tra le madri di questi<br />
bambini. Inoltre, <strong>un</strong>a basilare distorsione nella relazione madre-bambino, è sembrata<br />
evidente, derivanti da sentimenti inconsci e ambivalenti da parte <strong>della</strong> madre verso il<br />
59
figlio, sentimenti che erano frequentemente riflessi nella sua gestione del bambino,<br />
specialmente in relazione alle pratiche alimentari. Le evidenze sono state ottenute da<br />
<strong>un</strong> coerente anche se non specifico problema emozionale da parte di ogni bambino,<br />
anteriore alla comparsa <strong>della</strong> sintomatologia clinica risultanti dalla relazione<br />
disturbata madre-bambino. Questo problema, persistente fino all'adolescenza, è<br />
stato caratterizzato dal conflitto tra gli inaccettabili e non espressi sentimenti di<br />
risentimento e rabbia verso la madre da <strong>un</strong>a parte, e il crescente bisogno di<br />
dipendenza di affetto e supporto dall'altra, che si sono verificati entro <strong>un</strong>a struttura di<br />
personalità passiva e inibita. In 13 casi, sono state evidenti delle acute circostanze<br />
precipitanti, quale stress emotivo direttamente sul bambino, o in molti casi,<br />
producendo <strong>un</strong> intenso stress emotivo sulla madre, così da portare a <strong>un</strong>a più rigida<br />
gestione del bambino e <strong>un</strong>a conseguente intensificazione dell'ansia nel bambino, con<br />
<strong>un</strong>a risultante disregolazione dell'alimentazione e delle abitudini intestinali<br />
immediatamente precedenti all'esordio dei sintomi <strong>clinici</strong>. Circostanze simili si è visto<br />
precedano l'esordio, mentre la risoluzione delle situazioni stressanti ha mostrato<br />
qualche evidenza di correlazione con <strong>un</strong>'apparente remissione spontanea. Un<br />
approccio psicoterapeutico supportivo alle madri di questi bambini, in combinazione<br />
con la terapia dietetica, ha mostrato affrettare il recupero, come risultato del<br />
miglioramento delle abilità materne nel gestire le difficoltà di alimentazione. La<br />
componente emozionale così delineata sembra operare in congi<strong>un</strong>zione con altri<br />
fattori stressanti, influenzando il decorso clinico. Tra questi emergono le infezioni,<br />
<strong>un</strong>a dieta inappropiata, <strong>un</strong>a possibile allergia gastrointestinale. Evidenze indicative<br />
sono state addotte nell'implicazione di <strong>un</strong> fattore genetico predisponente a problemi<br />
gastrointestinali f<strong>un</strong>zionali, che coinvolge probabilmente <strong>un</strong> modello ereditario <strong>della</strong><br />
risposta autonomica verso diversi stress. Studi paralleli e concomitanti <strong>della</strong> f<strong>un</strong>zione<br />
autonomica, surrenale e ipotalamica-ipofisaria sono state mostrate come chiarificanti<br />
la natura delle problematiche interrelazioni tra i meccanismi adattivi psicologici e<br />
psicofisiologici (Dane G., Prugh M.D., 1951). Questo è l'<strong>un</strong>ico studio, peraltro<br />
abbastanza datato che parla esplicitamente di <strong>un</strong> ruolo importante dei problemi<br />
relazionali ed emozionali con il caregiver primario, addirittura ipotizzando, e non<br />
asserendo con certezza, di <strong>un</strong>a chiara predisposizione genetica. Sicuramente, come<br />
abbiamo più volte ripetuto, essendo la celiachia in particolare, ma anche tutti gli altri<br />
tipi di disturbi psicologici-psichiatrici o medici, da affrontare secondo <strong>un</strong> approccio<br />
multifattoriale, olisitco, integrato, secondo <strong>un</strong>'ottica auspicabilmente biopsicosociale,<br />
anche fattori stressanti come eventi di vita o stress emozionale o altro sono da<br />
tenere presenti nella valutazione diagnostica di ogni paziente. Questo, sia perché<br />
implicati nella patogenesi <strong>della</strong> CD, ma anche di qualsiasi disturbo, e perché <strong>un</strong><br />
60
p<strong>un</strong>to di vista di tal fatta permette anche <strong>un</strong>a programmazione del trattamento più<br />
efficace e completa, permettendo di migliorare il decorso di <strong>un</strong> disturbo che seppur<br />
cronico, necessita da parte del soggetto celiaco, <strong>un</strong>'assoluta compliance al<br />
trattamento dietetico, determinata anche dall'avere buone risorse di coping, buone<br />
relazioni con gli altri, familiari inclusi, ed anche fiducia nel futuro, nonostante la<br />
cronicità di questa <strong>malattia</strong>.<br />
Dalla letteratura, di disturbi simili alla CD, cioè disturbi neuroendocrini,<br />
gastrointestinali o autoimm<strong>un</strong>i, emerge infatti la sempre maggiore consapevolezza<br />
del bisogno di affrontare anche i disturbi tradizionalmente categorizzati come di<br />
interesse esclusivamente “medico” secondo <strong>un</strong>'ottica integrata. I disturbi di <strong>un</strong><br />
paziente, non possono mai essere inseriti entro confini specialistici tout court, perché<br />
si va a togliere da essi gran parte del significato di quel paziente che ha <strong>un</strong> disturbo.<br />
Il soggetto deve diventare il paziente nella sua totalità, non il disturbo e basta, o<br />
ancora peggio quella specifica disf<strong>un</strong>zione di quello specifico organo che determina<br />
quei sintomi. Un professore, parlando di psicosomatica, in maniera molto efficace<br />
diceva che anche <strong>un</strong>a gamba rotta ha <strong>un</strong> risvolto <strong>psicologico</strong>, da tenere in<br />
considerazione, ed anche <strong>un</strong> disturbo dell'umore ha <strong>un</strong> risvolto fisico, insomma è mio<br />
parere che la frammentarietà tolga significato e di conseguenza efficacia di<br />
trattamento. Per esempio, negli anni recenti c'è stata <strong>un</strong> crescente interesse verso gli<br />
aspetti psicosociali dei disturbi endocrini, come il ruolo dello stress nella patogenesi<br />
di alc<strong>un</strong>e condizioni, la loro associazione con i disturbi affettivi, e la presenza di<br />
sintomi residui dopo <strong>un</strong> trattamento adeguato. Nella clinica endocrinologica,<br />
l'esplorazione degli antecedenti può spiegare la relazione temporale tra i life event e<br />
l'esordio dei sintomi, come è stato mostrato sia rilevante per le condizioni ipofisarie<br />
( sindrome di Cushing, iperprolattinemia) o tiroidee ( sindrome di Grave), come del<br />
resto il ruolo del carico allostatico, collegato con lo stress cronico, nello scoprire la<br />
vulnerabilità individuale. Dopo che sono state provate anormalità endocrine, sono<br />
state associate frequentemente con <strong>un</strong> largo corpo di sintomi psicologici: qualche<br />
volta, questi sintomi raggi<strong>un</strong>gono il livello di disturbo psichiatrico (soprattutto disturbi<br />
d'ansia e dell'umore); altre volte, com<strong>un</strong>que, possono essere individuate come forme<br />
subcliniche di questi, come dall'assessment effettuato tramite i Diagnostic Criteria of<br />
Psychosomatic Research (DCPR). Sicuramente, in <strong>un</strong>a popolazione in studio, la<br />
maggior parte dei pazienti soffriva di almeno <strong>un</strong>o tra le tre sindromi dei DCPR<br />
considerate: umore irritabile,demoralizzazione, somatizzazione persistente. In<br />
particolare, l'umore irritabile è stato trovato nel 46% dei 146 pazienti trattati con<br />
successo per i disturbi endocrini, <strong>un</strong> tasso simile è stato rilevato anche nei disturbi<br />
cardiologici e <strong>un</strong>o ancora maggiore in oncologia e gastroenterologia. Una l<strong>un</strong>ga<br />
61
durata dei disturbi endocrini, può implicare <strong>un</strong>a tendenza di irreversibilità del<br />
processo patologico e induce <strong>un</strong>'elevata risposta affettiva individualizzata. Nei<br />
pazienti che mostrano persistenza o persino <strong>un</strong> peggioramento dello stress<br />
<strong>psicologico</strong> sotto <strong>un</strong> opport<strong>un</strong>o trattamento endocrino, il valore di <strong>un</strong> intervento<br />
psichiatrico era sottostimato. Come è accaduto in altri campi <strong>della</strong> medicina, <strong>un</strong> salto<br />
concettuale da <strong>un</strong>a mera ottica biomedica a <strong>un</strong>a considerazione psicosomatica<br />
dell'individuo e <strong>della</strong> sua qualità di vita appare essere necessario, per aumentare<br />
l'efficacia nel settore endocrinologico. I DCPR si sono dimostrati essere <strong>un</strong> valido<br />
strumento per l'assessment <strong>psicologico</strong>, in diverse fasi <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> endocrina, dalla<br />
diagnosi al periodo di follow-up ( Sonino et al., 2007).<br />
Anche la fibromialgia (FM), è tra quei disturbi classicamente definiti come f<strong>un</strong>zionali,<br />
poiché è <strong>un</strong>a sindrome dalla patogenesi sconosciuta, caratterizzata dal dolore<br />
muscolare cronico. Questa sindrome, include anche altri sintomi, come povera<br />
qualità del sonno, rigidezza giornaliera, fatica, ansia, depressione e risposta<br />
endocrinologica alterata. Lo scopo del seguente studio è di investigare le anormalità<br />
nel cortisolo salivare, il dolore come riportato dal paziente, e le caratteristiche<br />
psicologiche in pazienti con FM confrontati con controlli sani durante il giorno e<br />
durante la provocazione di <strong>un</strong>o stress. 29 pazienti donne con FM e 29 donne sane<br />
<strong>della</strong> stessa età, come controllo, sono state reclutate. I questionari, somministrati ai<br />
partecipanti, misuravano il livello di dolore, i problemi del sonno, lo stress percepito e<br />
la personalità. I campioni di cortisolo salivare sono stati prelevati 8 volte: nel<br />
pomeriggio quando i soggetti sono arrivati all'ospedale, di sera dopo aver visto <strong>un</strong><br />
video neutro, dopo il test di Stroop ed <strong>un</strong>o aritmetico (provocanti lo stress), prima di<br />
andare a dormire, al risveglio, 30 minuti più tardi, e ancora 60 minuti dopo e infine nel<br />
pomeriggio del secondo giorno. I risultati mostrano che i pazienti con FM hanno <strong>un</strong><br />
livello significativamente più basso di cortisolo durante il giorno, specialmente la<br />
mattina (Risposta del cortisolo al risveglio), rispetto ai controlli sani. Anche i<br />
questionari self-report hanno rivelato delle differenze significative quali la percezione<br />
del dolore, problemi del sonno, ansia e depressione tra i pazienti con FM. Questo<br />
fornisce supporto all'ipotesi di <strong>un</strong>a disf<strong>un</strong>zione nell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene nei<br />
pazienti con FM, con bassi livelli di cortisolo durante il giorno e aumentati problemi<br />
del sonno e maggiore percezione del dolore (Riva et al., 2009).<br />
Anche i disturbi gastrointestinali f<strong>un</strong>zionali, devono essere concettualizzati all'interno<br />
del modello biopsicosociale <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> come <strong>un</strong>a disregolazione dell'asse<br />
cervello-reni e le sue relazioni con le variabili psicosociali (psicopatologia, ricerca di<br />
assistenza sanitaria, life events, amplificazione somatosensoriale). La psicopatologia<br />
può non essere osservata con i criteri psichiatrici standard, particolarmente a livello<br />
62
subclinico. Usando la nuova classificazione di DCPR per valutare le componenti<br />
psicosociali delle malattie somatiche, le sindromi psicosomatiche sono state rilevate<br />
avere <strong>un</strong>a prevalenza 2,5 volte superiore alle diagnosi DSM-IV. In particolare,<br />
l'alessitimia, la somatizzazione persistente, sintomi somatici f<strong>un</strong>zionali secondari a <strong>un</strong><br />
disturbo psichiatrico, e la demoralizzazione erano le sindromi prevalenti. Inoltre, la<br />
severità delle sindromi psicosomatiche (misurata attraverso la presenza di più di <strong>un</strong>a<br />
condizione dei DCPR) prediceva fortemente l'esito del trattamento in pazienti con<br />
sintomi somatici gastrointestinali. In particolare, l'alessitimia e la somatizzazione<br />
persistente erano predittori indipendenti del non miglioramento (e dell'aumento<br />
dell'ansia per la salute), dopo 6 mesi di trattamento standard, dopo aver controllato al<br />
baseline i sintomi gastrointestinali. I DCPR possono pertanto essere suggeriti come<br />
<strong>un</strong> affidabile strumento per l'assessment per le condizioni psicologiche che sono<br />
rilevanti nella pratica psicosomatica e nella ricerca, ma non sono inclusi nel DSM-IV<br />
(Porcelli & Todarello, 2007).<br />
63
6. ASPETTI PSICOLOGICO CLINICI DELLA MALATTIA CELIACA: UN'INDAGINE<br />
PILOTA<br />
6.1 Introduzione<br />
Purtroppo l'approccio medico, ancora oggi, spesso non considera nella valutazione,<br />
né tantomeno nella diagnosi e nell'approccio terapeutico variabili di tipo psicosociale.<br />
E' inevitabile che questo incida fortemente sull'esito del trattamento che sia<br />
farmacologico, dietetico, in particolare nel caso <strong>della</strong> celiachia. Anche lʼaderenza al<br />
trattamento in questione può risentirne fortemente. Tanto più in disturbi cronici, che<br />
richiedono <strong>un</strong> adattamento e <strong>un</strong>a ridefinizione di sé sia al momento <strong>della</strong> diagnosi,<br />
che durante tutto l'arco di vita, <strong>un</strong> approccio di tipo integrato che prenda in<br />
considerazione anche variabili psicosociali sarebbe essenziale. Non solo per aiutare<br />
gli individui ad eliminare i problemi, ma anche nell'aiutarli a riconoscere e rinforzare<br />
le loro potenzialità, <strong>un</strong> approccio, come quello <strong>della</strong> Well-Being Therapy essenziale<br />
per promuovere il benessere anche in malati cronici.<br />
Lo scopo del nostro lavoro è stato indagare, secondo <strong>un</strong> approccio biopsicosociale,<br />
con strumenti psicometrici specifici, <strong>un</strong> campione di soggetti celiaci e loro familiari, la<br />
presenza o meno di benessere <strong>psicologico</strong> e di sintomi psicopatologici (ansia,<br />
depressione, ostilità, sintomi somatici, condotte alimentari disf<strong>un</strong>zionali),<br />
f<strong>un</strong>zionamento familiare e caratteristiche di personalità. Questo per supportare l'idea<br />
di <strong>un</strong> necessario approccio integrato sì in tutte le malattie classicamente definite<br />
come “mediche”, ma ancora di più in malattie croniche.<br />
6.2 Materiali e metodi<br />
Sono stati reclutati 119 soggetti, afferenti alle due assemblee regionali dell'AIC<br />
(Associazione Italiana Celiachia), dell'Emilia-Romagna, a Bologna (N=80), e delle<br />
Marche, a Jesi (N=40), durante le quali, veniva chiesto tra i partecipanti, celiaci o loro<br />
familiari chi volesse compilare la batteria di test.<br />
Ciasc<strong>un</strong> partecipante edotto sugli scopi e le modalità <strong>della</strong> ricerca ha acconsentito a<br />
parteciparvi (consenso informato). Dopo aver rilevato variabili psicosociali come<br />
sesso, età, peso, altezza ed occupazione, si passava alla compilazione <strong>della</strong> batteria<br />
di test.<br />
La batteria di questionari, comprendeva il Family Assessment Device (FAD), il<br />
Symptom Questionnaire (SQ), il Temperament and Character Inventory (TCI), e<br />
64
l'Eating Disorders Inventory (EDI). Si trattava quindi di <strong>un</strong> protocollo che richiedeva<br />
all'incirca mezz'ora. Su 200 copie consegnate, solo 120 sono state restituite, cioè il<br />
60%. Di queste 119, in particolare, non tutte si sono poi rivelate completate: il FAD,<br />
che era il primo test, è stato compilato da tutti 120 i soggetti, mentre il Symptom<br />
Questionnaire è stato compilato da 119 soggetti su 120, il TCI da 102 su 120, ed<br />
infine l'EDI da 98 su 120. Al momento <strong>della</strong> riconsegna dei questionari, hanno<br />
lasciato il loro indirizzo e-mail per poter avere <strong>un</strong>a restituzione dei risultati sia<br />
individuale che generale 56 soggetti su 120 soggetti (46,7 %).<br />
6.2.1 Descrizione degli strumenti psicometrici<br />
Family Assessment Device (FAD) (versione italiana di Grandi et al., 2007)<br />
Il Family Assessment Device (FAD), si basa sul presupposto che le problematiche<br />
interpersonali siano associate all'esordio e alle ricadute in disturbi medici e<br />
psichiatrici, e dell'importanza<br />
<strong>della</strong> valutazione del clima familiare nella valutazione <strong>psicologico</strong>-clinica. Il FAD è<br />
basato sul Modello di Mc Master del F<strong>un</strong>zionamento Familiare, che fornisce <strong>un</strong>a<br />
cornice teorico concettuale per la valutazione, la diagnosi e il trattamento <strong>della</strong><br />
famiglia. La caratteristica distintiva di questo approccio è quella di incorporare,<br />
all'interno di <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico modello, <strong>un</strong>a teoria multidimensionale del f<strong>un</strong>zionamento<br />
familiare, le sei dimensioni del f<strong>un</strong>zionamento familiare di Mc Master sono: problem<br />
solving, com<strong>un</strong>icazione, ruoli, coinvolgimento emotivo, risposta affettiva e controllo<br />
comportamentale. Il FAD di conseguenza, è composto da sette scale, delle quali, sei<br />
corrispondono alle dimensioni del modello di Mc Master, mentre la settima valuta il<br />
f<strong>un</strong>zionamento familiare generale. Il FAD è <strong>un</strong>o strumento autovalutativo carta e<br />
penna che può essere compilato da ciasc<strong>un</strong> membro <strong>della</strong> famiglia che abbia<br />
compiuto i 12 anni di età, ed è costituito da 60 item che descrivono i vari aspetti del<br />
f<strong>un</strong>zionamento familiare, e ogni scala comprende <strong>un</strong> numero di item che varia da 6 a<br />
12. Ciasc<strong>un</strong> membro <strong>della</strong> famiglia attesta il suo grado di concordanza o di<br />
discordanza ad ogni affermazione inerente la propria famiglia, scegliendo tra 4<br />
possibili alternative l<strong>un</strong>go <strong>un</strong> continuum di <strong>un</strong>a scala likert a 4 p<strong>un</strong>ti: fortemente<br />
d'accordo (1), d'accordo (2), disaccordo (3), fortemente disaccordo (4), i p<strong>un</strong>teggi<br />
vengono invertiti nel caso che la domanda sia posta in forma negativa. E' <strong>un</strong>o<br />
strumento che può essere utilizzato per screening, per valutare il p<strong>un</strong>to di vista di<br />
ciasc<strong>un</strong> membro, valuta le problematiche ma anche le risorse presenti.<br />
65
Symptom Questionnaire (SQ) (versione italiana di G.A. Fava, 1983)<br />
Il Symptom Questionnaire, di R. Kellner (1978) è <strong>un</strong> questionario autovalutativo che<br />
è stato sviluppato a partire da <strong>un</strong> elenco di sintomi che costituiva il Symptom Rating<br />
Test, ed è stato realizzato originariamente con il fine di rendere le scale più sensibili<br />
nella ricerca clinica. E' composto da item dicotomici, invece che da domande, e si<br />
caratterizza per la notevole facilità di comprensione e per la brevità di esecuzione. Il<br />
questionario è composto da 4 scale: ansia, depressione, sintomi somatici, rabbia-<br />
ostilità, ogn<strong>un</strong>a di queste scale è suddivisa in due sottoscale, cioè quella dei sintomi<br />
e quella del benessere. Tra i suoi 92 item, 68 indicano quindi i sintomi che vanno a<br />
comporre le sottoscale dei sintomi, mentre 24 riferiscono di situazioni che indicano<br />
benessere e vanno a mo<strong>della</strong>re la sottoscala del benessere. Alle risposte del<br />
soggetto verrà dato <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to per ogni sintomo a cui avrà dato risposta sì oppure vero<br />
e per ogni affermazione di benessere a cui verrà data risposta no oppure falso. Il<br />
p<strong>un</strong>teggio massimo per ogni sottoscala dei sintomi è 17, del benessere 6 e per ogni<br />
scala 23. P<strong>un</strong>teggio alto in ogni sottoscala dei sintomi e del benessere indica<br />
maggiore distress (o carenza di benessere) rispetto a <strong>un</strong> p<strong>un</strong>teggio più basso. Se il<br />
p<strong>un</strong>teggio in <strong>un</strong>a scala supera di <strong>un</strong>a o due deviazioni standard la media per i<br />
soggetti non <strong>clinici</strong> (“normali”) il distress viene considerato moderato, mentre se<br />
supera le due deviazioni standard si può ipotizzare la presenza di marcato distress,<br />
ma può anche indicare la presenza di psicopatologia. Lo strumento che prevede<br />
anche la possibilità di tre tipi diversi di somministrazione, oraria, giornaliera e<br />
settimanale, si è rivelato efficace in ambito psichiatrico e psicosomatico,<br />
maggiormente per quanto riguarda l'osservazione del cambiamento. Data la sua<br />
brevità di compilazione e la facilità di comprensione è <strong>un</strong>o strumento utile, usato<br />
insieme ad altri, per la raccolta di dati finalizzati allo screening di <strong>un</strong>a popolazione,<br />
permettendo di discriminare tra pazienti psichiatrici e soggetti non <strong>clinici</strong>, gruppi di<br />
pazienti con diversi disturbi fisici, sottogruppi di pazienti psichiatrici e vari gruppi di<br />
soggetti <strong>della</strong> popolazione generale, per discriminare gli effetti di <strong>un</strong>o psicofarmaco<br />
rispetto a <strong>un</strong> placebo.<br />
Temperament and Character Inventory (TCI) (Cloninger, 1994), versione<br />
italiana<br />
Per quanto riguarda il secondo strumento, il TCI, nel 1987 Cloninger, ha proposto <strong>un</strong><br />
metodo sistematico per la descrizione clinica e la classificazione delle diverse<br />
66
caratteristiche, normali ed abnormi, di personalità, basato su di <strong>un</strong>a teoria biosociale<br />
generale <strong>della</strong> personalità. Gli approcci al problema a quel momento più accettati<br />
avevano, a suo giudizio, molteplici limiti concettuali e pratici, come, ad esempio: il<br />
fatto che <strong>un</strong> soggetto potesse avere tratti caratteristici di più di <strong>un</strong> DP nonostante che<br />
le categorie diagnostiche del DSM-III fossero specifiche e separate tra di loro; la<br />
difficoltà e lʼarbitrarietà <strong>della</strong> distinzione clinica fra tratti maladattivi di personalità e<br />
DP; la dipendenza da variabili situazionali e temperamentali dellʼadattamento per cui<br />
lo stesso temperamento può portare al successo in <strong>un</strong> ambiente ed al<br />
disadattamento fino al DP in <strong>un</strong> altro; i criteri e le categorie usate per valutare la<br />
personalità variano più in rapporto alle idee prevalenti del momento che non a dati di<br />
fatto; i diversi DP possono essere definiti più come prototipi o esempi che non come<br />
entità patofisiologiche distinte con naturali confini diagnostici, eccetera. La sua teoria<br />
si fonda sui dati derivati da <strong>un</strong>a serie di studi longitudinali sullo sviluppo degli<br />
individui, psicometrici sulla struttura <strong>della</strong> personalità, neurofarmacologici e<br />
neuroanatomici. Secondo tale modello, la personalità può essere suddivisa in due<br />
distinte dimensioni psico-biologiche: il temperamento, che si riferisce alle diverse<br />
risposte automatiche agli stimoli emozionali che ogn<strong>un</strong>o di noi ha, è ereditato, innato<br />
e stabile nel tempo, presente già dall'infanzia; il carattere, cioè ciò che noi facciamo<br />
di noi stessi intenzionalmente, e le differenze sono dovute all'interazione ambientale,<br />
come nel caso dell'apprendimento. All'interno del temperamento, ipotizza lʼesistenza<br />
di tre dimensioni geneticamente indipendenti che presentano prevedibili pattern di<br />
interazione nelle loro risposte adattive a specifici stimoli ambientali. Queste tre<br />
dimensioni sono state definite come: Novelty Seeking - NS (ricerca <strong>della</strong> novità), <strong>un</strong>a<br />
tendenza verso lʼallegria o lʼeccitamento marcati in risposta a stimoli nuovi o a<br />
prospettive di gratificazioni o di evitamento delle p<strong>un</strong>izioni, tendenza allʼattività<br />
esplorativa, alla ricerca di potenziali gratificazioni così come allʼevitamento attivo<br />
<strong>della</strong> monotonia e <strong>della</strong> potenziale p<strong>un</strong>izione, allʼimpulsività decisionale, alla scarsa<br />
resistenza alle frustrazioni; Harm Avoidance - HA (evitamento del danno), la<br />
tendenza a rispondere intensamente a segnali di stimoli avversivi, così come ad<br />
imparare ad inibire il comportamento per evitare la p<strong>un</strong>izione, le novità (paura<br />
dellʼignoto) e la frustrante mancanza di gratificazione, scarsa resistenza agli stress<br />
fisici, tendenza allʼanticipazione pessimistica; Reward Dependence - RD (dipendenza<br />
dalla ricompensa), <strong>un</strong>a tendenza ereditaria a rispondere intensamente a segnali di<br />
gratificazione (come segnali verbali di approvazione sociale, affettiva, di aiuto), a<br />
mantenere (o ad evitare lʼestinzione) comportamenti che sono stati associati a<br />
gratificazioni o allʼevitamento <strong>della</strong> p<strong>un</strong>izione, tendenza al sentimentalismo, ai<br />
comportamenti abitudinari; eccessivo attaccamento sociale, dipendenza<br />
67
dallʼapprovazione. Ogn<strong>un</strong>a di queste dimensioni riflette lʼattività di tre sistemi<br />
cerebrali che regolano, rispettivamente, il comportamento di attivazione, di<br />
evitamento e di mantenimento e che sono espressione, rispettivamente, di attività<br />
dopaminergica, serotoninergica e noradrenergica.<br />
Gli studi normativi, oltre a confermare la struttura del temperamento proposta di<br />
Cloninger, sembravano indicare la presenza di <strong>un</strong>a quarta dimensione distinta,<br />
indicata come Persistence (Persistenza). Questa dimensione, valutata in termini di<br />
"perseveranza nonostante la fatica e la frustrazione", successivamente non è<br />
risultata correlata con gli altri aspetti ed <strong>un</strong> ampio studio condotto su gemelli, ha<br />
confermato che ciasc<strong>un</strong>o di questi quattro fattori temperamentali avevano<br />
<strong>un</strong>ʼereditabilità compresa fra il 50 ed il 65% ed erano geneticamente omogenei ed<br />
indipendenti tra loro (Cloninger et al., 1991). Temperamento e sviluppo del carattere<br />
si influenzano reciprocamente e motivano il comportamento. Tre sono gli aspetti<br />
principali dello sviluppo del concetto di sé che corrispondono a tre dimensioni del<br />
carattere: la Self-directedness (Autodirettività) in rapporto allʼidentificazione di se<br />
stesso come individuo autonomo, la Cooperativeness (Cooperatività) in rapporto<br />
allʼidentificazione di se stesso come parte integrante dellʼumanità o <strong>della</strong> società e la<br />
Self-transcendence (Trascendenza) in rapporto allʼidentificazione di se stesso come<br />
parte integrante dellʼinsieme di tutte le cose (ad esempio, lʼ<strong>un</strong>iverso) (Cloninger et al.,<br />
1993). Ogn<strong>un</strong>a delle 7 dimensioni è suddivisa in ulteriori sottoscale, esclusa la<br />
persistenza: nella ricerca <strong>della</strong> novità troviamo per esempio impulsività, eccitabilità,<br />
eccentricità, sregolatezza, oppure nell'autotrascendenza troviamo altruismo creativo,<br />
identificazione transpersonale, accettazione spirituale. Per la valutazione di questo<br />
nuovo modello è stato messo a p<strong>un</strong>to il Temperament and Character Inventory -<br />
TCI (Cloninger et al., 1994), <strong>un</strong> questionario di autovalutazione che, nella sua<br />
versione più completa (versione 9), è composto da 240 item a risposta dicotoma<br />
(vero-falso). Di questi, 116 (di cui 89 ripresi direttamente dal TPQ e 27 aggi<strong>un</strong>ti ex<br />
novo per migliorare lʼaffidabilità delle scale) esplorano i 4 tratti temperamentali (NS,<br />
HA, RD e P), 119 valutano i 3 tratti del carattere (SD, C ed ST) e 5 sono indicatori<br />
<strong>della</strong> presenza di DP. La somma degli item segnati come “vero” fornisce il p<strong>un</strong>teggio<br />
grezzo delle sette scale; i p<strong>un</strong>teggi grezzi vengono trasformati in p<strong>un</strong>teggi<br />
standardizzati T che, riportati su di <strong>un</strong> grafico, forniscono <strong>un</strong> profilo di personalità del<br />
soggetto.<br />
Eating Disorder Inventory (EDI) (Garner, 1991), versione italiana<br />
L'Eating Disorder Inventory, è stato sviluppato da Garner (1991) partendo dalla<br />
consapevolezza che i disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono disturbi<br />
68
multidimensionali, con marcata variabilità degli aspetti psicologici e comportamentali<br />
fra popolazioni eterogenee di pazienti, per cogliere meglio le caratteristiche dei<br />
diversi sottogruppi di pazienti, per gi<strong>un</strong>gere a <strong>un</strong>a migliore comprensione del<br />
problema e per consentire <strong>un</strong>a più mirata impostazione del trattamento, <strong>un</strong>o<br />
strumento per la loro valutazione doveva essere necessariamente multidimensionale.<br />
La scala non è mirata a <strong>un</strong>a specifica diagnosi di DCA, ma alla valutazione di tratti<br />
che si ritengono rilevanti per la comprensione di questi disturbi.<br />
L'EDI è composto da 64 item che vanno a comporre le 8 dimensioni che possiamo<br />
così sintetizzare: spinta verso la magrezza, cioè eccessiva preoccupazione per la<br />
dieta, desiderio di perdere peso e paura di acquistarlo; bulimia, tendenza alle<br />
abbuffate e vomito autoindotto; scontentezza per il corpo, convinzione che alc<strong>un</strong>e<br />
parti del corpo siano troppo grasse/grosse; inadeguatezza, sentimenti di<br />
inadeguatezza, insicurezza, autosvalutazione, sensazione di non avere il controllo<br />
sulla propria vita; perfezionismo, aspettative personali eccessive, spinta al successo;<br />
sfiducia interpersonale, senso di alienazione e riluttanza a stabilire rapporti stretti;<br />
consapevolezza interocettiva, difficoltà a riconoscere e identificare le emozioni e le<br />
sensazioni legate alla fame e alla sazietà; paura <strong>della</strong> maturità, timore di lasciare la<br />
sicurezza <strong>della</strong> preadolescenza e di caricarsi delle responsabilità dell'adulto. Le 8<br />
dimensioni hanno dimostrato <strong>un</strong>a larga concordanza con il giudizio clinico e con<br />
criteri oggettivi esterni. Le risposte agli item valutano la frequenza con cui il soggetto<br />
sperimenta quel comportamento o quel sintomo: sempre, molto spesso, spesso,<br />
talvolta, raramente, mai e i p<strong>un</strong>teggi assegnati sono rispettivamente 3, 2, 1 e 0 per le<br />
ultime tre risposte; comprende com<strong>un</strong>que 29 item codificati al contrario, e quindi<br />
anche i p<strong>un</strong>teggi sono invertiti. Infine, le dimensioni esplorate dalla scala si sono<br />
dimostrate valide e affidabili e dotate di <strong>un</strong>a buona capacità di discriminazione.<br />
Queste scale permettono di effettuare <strong>un</strong>a valutazione dimensionale delle diverse<br />
dimensioni.<br />
6.3 ANALISI STATISTICHE<br />
Sono state calcolate le consuete statistiche descrittive e il confronto tra le variabili<br />
continue è stato effettuato mediante test t di Student. Per il calcolo delle correlazioni<br />
è stato utilizzato il coefficiente r di Pearson. Nel raffrontare il campione sperimentale<br />
con i dati normativi relativi alla popolazione generale, è stato utilizzato il test T di<br />
Student per campione <strong>un</strong>ico.<br />
Al fine di verificare lʼesistenza di differenze statisticamente significative tra il gruppo<br />
69
celiaci e quello famigliari è stata utilizzata lʼanalisi <strong>della</strong> varianza <strong>un</strong>i variata<br />
(ANOVA).<br />
I risultati sono espressi in medie e deviazione standard.<br />
Le analisi statistiche sono state elaborate mediante lʼutilizzo del software statistico<br />
Statistical Package for Social Sciences (SPSS) for Windows, versione 15.0<br />
6.4 RISULTATI<br />
Il campione ottenuto è costituito da 119 individui, che così composto:<br />
Celiaci Parenti Totale<br />
Femmine 54 31 85<br />
Maschi 14 19 33<br />
Totale 68 50 119<br />
Età media 39,25 42,28 40,53<br />
Errore standard 13 7,51 11,07<br />
6.4.1 Correlazioni<br />
Variabili Sociodemografiche<br />
Caratteristiche demografiche del campione<br />
(n=119).<br />
Nel campione totale si evidenziano correlazioni significative (p
sottoscale del TCI <strong>della</strong> Paura dell'Incertezza e del Perfezionismo e delle<br />
sottoscale del FAD del Problem Solving e <strong>della</strong> Responsività Affettiva. Inoltre<br />
si evidenziano correlazioni positive, anche se meno stringenti (p
L'assenza di Benessere Fisico, invece sembra maggiormente correlato<br />
(p
al sesso, in particolare che i p<strong>un</strong>teggi più elevati si riscontrino nelle donne.<br />
Inoltre sembra che all'aumentare dei p<strong>un</strong>teggi nell'evitamento del pericolo,<br />
aumenti il distress rilevato dell'SQ, come la maggiore presenza di sintomi<br />
ansiosi, depressivi, minore Socievolezza, Benessere Fisico, Rilassatezza.<br />
Anche i p<strong>un</strong>teggi dell'EDI, aumentano di pari passo ai p<strong>un</strong>teggi dell'EP, in<br />
particolare l'Inadeguatezza e la Paura <strong>della</strong> Maturità, ed anche i p<strong>un</strong>teggi<br />
del FAD, cioè il Controllo Comportamentale, i Ruoli, la Responsività<br />
Affettiva e il F<strong>un</strong>zionamento Familiare Globale. Tra le correlazioni meno<br />
stringenti (p
L'ultima dimensione del TCI, l'Autotrascendenza, è direttamente correlata<br />
(p
posseggano bassa Autodeterminazione e Pienezza di Risorse.<br />
P<strong>un</strong>teggi alti <strong>della</strong> Rilassatezza, corrispondono (p
anoressia, ed anche del dato che spesso nelle famiglie di soggetti con disturbo<br />
alimentare, è evidente <strong>un</strong> ipercoinvolgimento dei familiari. Inoltre p<strong>un</strong>teggi alti<br />
dell'EDI, corrispondono a p<strong>un</strong>teggi bassi nell'Autodeterminazione, nella Cooperatività<br />
e nell'Autotrascendenza.<br />
Family Assessment Device<br />
Si evidenziano correlazioni nelle scale:<br />
del Problem Solving, che risulta positivamente correlato (p
Interpersonale e Consapevolezza Interocettiva e a p<strong>un</strong>teggi bassi<br />
nell'Empatia. Anche in questo caso le correlazioni allo 0,05 sono<br />
equivalenti a quelle delle dimensioni precedenti.<br />
Il Coinvolgimento Affettivo, risulta negativamente correlato (p
superiori.<br />
Totale TCI<br />
si evidenzia <strong>un</strong>a differenza significativa (p
2 39 4,79 2,858 ,458<br />
Totale Autotrascenza (TCI) 1 62 16,10 5,349 ,679<br />
2 39 13,15 5,329 ,853<br />
TCI Totale 1 62 130,92 11,481 1,458<br />
2 39 124,03 13,840 2,216<br />
Spinta verso la magrezza 1 60 4,98 5,595 ,722<br />
2 37 1,86 2,810 ,462<br />
Scontentezza x corpo 1 60 7,33 6,111 ,789<br />
Consapevolezza Interocettiva<br />
(EDI )<br />
2 37 4,41 4,252 ,699<br />
1 60 4,23 4,969 ,641<br />
2 37 1,65 2,831 ,465<br />
Paura maturità (EDI) 1 60 7,95 5,067 ,654<br />
2 37 5,95 4,190 ,689<br />
Controllo comportamentale 1 68 18,21 3,704 ,449<br />
2 51 16,55 3,152 ,441<br />
6.4.3 Test-t per campioni indipendenti per sesso<br />
Per quanto rigurada l'SQ si evidenzia <strong>un</strong>a differenza significativa (p
Totale del TCI: (p
(* 1=maschi; 2=femmine)<br />
6.4.4ANOVA: differenze significative tra celiaci e parenti<br />
Tra il gruppo di celiaci e parenti emerge <strong>un</strong>a differenza significativa per quanto<br />
riguarda il sesso, infatti le donne celiache sono molte di più delle donne parenti,<br />
mentre il numero dei maschi nei due sottogruppi si equivale. Le altre dimensioni in<br />
cui si rilevano differenze significative, sono le stesse emerse dal t-test ed elencate<br />
sopra.<br />
Somma dei<br />
quadrati<br />
df<br />
Media dei<br />
quadrati<br />
F Sig.<br />
Sesso ,874 1 ,874 4,425 ,038<br />
Sregolatezza 13,504 1 13,504 4,103 ,045<br />
Sentimentalismo 22,249 1 22,249 6,575 ,012<br />
Totale DR (TCI) 53,659 1 53,659 4,192 ,043<br />
Compassione (TCI) 24,000 1 24,000 4,340 ,040<br />
Accettazione<br />
spirituale (TCI)<br />
Tot. autotrascenza<br />
(TCI)<br />
42,614 1 42,614 5,964 ,016<br />
207,345 1 207,345 7,268 ,008<br />
Totale TCI 1137,736 1 1137,736 7,352 ,008<br />
Spinta verso la<br />
magrezza (EDI)<br />
Scontentezza per<br />
corpo (EDI)<br />
Consapevolezza<br />
interocettiva (EDI)<br />
Paura maturità<br />
(FAD)<br />
Controllo Comport.<br />
(FAD)<br />
222,569 1 222,569 9,921 ,002<br />
196,201 1 196,201 6,530 ,012<br />
152,896 1 152,896 8,323 ,005<br />
91,918 1 91,918 4,068 ,047<br />
80,003 1 80,003 6,612 ,011<br />
6.4.5 Confronti con i dati normativi <strong>della</strong> popolazione generale<br />
Degli strumenti psicometrici utilizzati, sono state pubblicate norme relative alla<br />
popolazione generale italiana esclusivamente per il questionario di personalità TCI.<br />
Si sono confrontati i p<strong>un</strong>teggi del TCI del nostro campione con quelli del campione<br />
normativo al Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ), strumento di<br />
81
autovalutazione <strong>della</strong> personalità, sempre di Cloninger, che è la versione<br />
antecedente del TCI. Nel TPQ sono presenti tre dimensioni del temperamento:<br />
Ricerca <strong>della</strong> Novità, Evitamento del Pericolo, Dipendenza <strong>della</strong> Ricompensa.<br />
Dal calcolo <strong>della</strong> statistica T di Student per campione <strong>un</strong>ico, per il confronto dei dati<br />
ottenuti dal nostro campione con quanto riportato per la popolazione generale<br />
Simptom Questionnaire<br />
Per quanto riguarda il Symptom Questionnaire si evidenziano differenze significative<br />
in tutte le dimensioni del questionario, tra i valori dei dati normativi e quelli del nostro<br />
campione sperimentale complessivo, composto sia dai soggetti celiaci che dai<br />
parenti, mostrano p<strong>un</strong>teggi più alti <strong>della</strong> popolazione generale (con p
Totale<br />
ansia<br />
Totale sintomi<br />
somatici<br />
Totale<br />
sintomi<br />
somatici<br />
t df<br />
Test Value = 4.0<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
2,120 117 ,036 ,75 4,96E-02 1,46<br />
t df<br />
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
118 7,42 4,46 ,41<br />
Test Value = 3.0<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
10,780 117 ,000 4,42 3,61 5,24<br />
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
Totale ostilità 118 5,25 4,51 ,42<br />
Totale<br />
ostilità<br />
t df<br />
Test Value = 4.1<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
2,777 117 ,006 1,15 ,33 1,98<br />
83
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
Socievolezza 118 1,15 1,44 ,13<br />
Socievolez<br />
za<br />
Benessere<br />
fisico<br />
Benesser<br />
e fisico<br />
t df<br />
Test Value = 3.4<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
-16,931 117 ,000 -2,25 -2,51 -1,9<br />
t df<br />
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
118 2,92 1,91 ,18<br />
Test Value = 3.5<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
-3,324 117 ,001 -,58 -,93 -,24<br />
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
Contentezza 118 1,29 1,62 ,15<br />
84
Contentez<br />
za<br />
t df<br />
Test Value = 5.0<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
-24,924 117 ,000 -3,71 -4,01 -3,42<br />
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
Rilassatezza 118 2,13 1,54 ,14<br />
Rilassatez<br />
za<br />
t df<br />
Test Value = 3.6<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
-10,397 117 ,000 -1,47 -1,75 -1,19<br />
Temperament and Character Inventory (TCI)<br />
I risultati al TCI del nostro campione con i risultati del campione normativo al<br />
Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ), strumento di autovalutazione <strong>della</strong><br />
personalità, sempre di Cloninger, che è la versione antecedente del TCI. Nel TPQ<br />
sono presenti solo tre dimensioni del temperamento: Ricerca <strong>della</strong> Novità,<br />
Evitamento del Pericolo, Dipendenza <strong>della</strong> Ricompensa. Abbiamo confrontato quindi<br />
solo queste tre dimensioni con i valori <strong>della</strong> normativa italiana di riferimento , e<br />
riportiamo solo quelle che presentano differenze significative: Evitamento del<br />
Pericolo (con p< 0,05) e <strong>della</strong> Dipendenza dalla Ricompensa (con p
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
Tot EP 101 16,31 6,70 ,67<br />
t df<br />
Test Value = 17.76<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
Tot EP -2,178 100 ,032 -1,45 -2,78 -,13<br />
N Mean<br />
Std.<br />
Deviation<br />
Std. Error<br />
Mean<br />
Tot DR 101 13,97 3,63 ,36<br />
t df<br />
Test Value = 15<br />
Sig. (2tailed)<br />
Mean<br />
Differen<br />
ce<br />
95% Confidence<br />
Interval of the<br />
Difference<br />
Lower Upper<br />
Tot DR -2,847 100 ,005 -1,03 -1,75 -,31<br />
Eating Disorder Inventory<br />
Tra tutte le dimensioni dell'EDI, il nostro campione mostra valori significativamente<br />
più bassi in confronto ai valori normativi in 3 di esse: Scontentezza per il Corpo,<br />
Inadeguatezza e Sfiducia Interpersonale<br />
86
Scontentezza<br />
per corpo<br />
Scontentez<br />
za per<br />
corpo<br />
Inadeguatez<br />
za<br />
Inadeguatez<br />
za<br />
Sfiducia<br />
interpersonale<br />
N Media<br />
t df<br />
Inferio<br />
re<br />
Deviazione<br />
std.<br />
Errore std.<br />
Media<br />
97 6,22 5,637 ,572<br />
Superior<br />
e<br />
Valore oggetto del test = 12.87<br />
Sig. (2code)<br />
Differen<br />
za fra<br />
medie<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Intervallo di<br />
confidenza per la<br />
differenza al 95%<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
-11,625 96 ,000 -6,654 -7,79 -5,52<br />
N Media<br />
t df<br />
Inferi<br />
ore<br />
-<br />
4,267<br />
Deviazione<br />
std.<br />
Errore std.<br />
Media<br />
97 3,19 5,065 ,514<br />
Superior<br />
e<br />
Valore oggetto del test = 5.38<br />
Sig. (2code)<br />
Differen<br />
za fra<br />
medie<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Intervallo di<br />
confidenza per la<br />
differenza al 95%<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
96 ,000 -2,194 -3,22 -1,17<br />
N Media<br />
Deviazione<br />
std.<br />
Errore std.<br />
Media<br />
96 3,85 3,822 ,390<br />
87
Sfiducia<br />
interperso<br />
nale<br />
t df<br />
Inferior<br />
e<br />
Superior<br />
e<br />
Valore oggetto del test = 5.31<br />
Sig. (2code)<br />
Differen<br />
za fra<br />
medie<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Intervallo di<br />
confidenza per la<br />
differenza al 95%<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
-3,732 95 ,000 -1,456 -2,23 -,68<br />
Family Assessment Device<br />
Il campione sperimentale mostra p<strong>un</strong>teggi significativamente maggiori (con p
t df<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Valore oggetto del test = 2.03<br />
Sig. (2code)<br />
Differen<br />
za fra<br />
medie<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Intervallo di<br />
confidenza per la<br />
differenza al 95%<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Ruoli 2,795 118 ,006 ,09452 ,0275 ,1615<br />
Responsività<br />
affettiva<br />
Responsi<br />
vità<br />
affettiva<br />
Coinvolgimen<br />
to affettivo<br />
Coinvolgi<br />
mento<br />
affettivo<br />
t df<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
N Media<br />
Deviazione<br />
std.<br />
Errore std.<br />
Media<br />
119 1,8151 ,49279 ,04517<br />
Valore oggetto del test = 1.64<br />
Sig. (2code)<br />
Differen<br />
za fra<br />
medie<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Intervallo di<br />
confidenza per la<br />
differenza al 95%<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
3,877 118 ,000 ,17513 ,0857 ,2646<br />
t df<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
N Media<br />
Deviazione<br />
std.<br />
Errore std.<br />
Media<br />
119 1,9484 ,51967 ,04764<br />
Valore oggetto del test = 1.82<br />
Sig. (2code)<br />
Differen<br />
za fra<br />
medie<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
Intervallo di<br />
confidenza per la<br />
differenza al 95%<br />
Inferiore Superior<br />
e<br />
2,695 118 ,008 ,12838 ,0340 ,2227<br />
89
7. Discussione<br />
Dal confronto con i dati normativi del FAD, emerge che nelle dimensioni del Problem<br />
Solving, Ruoli, Responsività affettiva e Coinvolgimento Affettivo, il nostro campione<br />
complessivo mostra p<strong>un</strong>teggi più alti. In particolare, inoltre, dalle correlazioni sembra<br />
evidenziarsi <strong>un</strong> “iperf<strong>un</strong>zionamento familiare protettivo”. Questo sembra indicare che<br />
nei soggetti con minore benessere ci sia <strong>un</strong>a maggiore attivazione psicofisiologica<br />
con <strong>un</strong>a maggiore attenzione ai segnali somatici, <strong>un</strong>'internalizzazione <strong>della</strong> rabbia ed<br />
anche minore socievolezza, forse anche a causa dei sentimenti di inadeguatezza,<br />
che probabilmente alla base <strong>della</strong> maggiore connessione familiare le correlazioni<br />
meno forti.<br />
Troviamo che a elevati livelli di Persistenza corrispondono anche maggiori risorse e<br />
coinvolgimento attivo nella vita, ma anche minor Problem Solving familiare. In<br />
individui che mostrano ampiamente di possedere delle risorse “l'iperf<strong>un</strong>zionamento<br />
familiare” è possibile che non entri in gioco perché non necessario.<br />
Sembra inoltre che gli individui che presentino maggiori indici sintomatologici,<br />
abbiano anche nel FAD p<strong>un</strong>teggi più alti, come che la famiglia attuasse <strong>un</strong>a sorta di<br />
protezione maggiore verso questi soggetti più vulnerabili.<br />
E' interessante anche evidenziare che confrontando i risultati delle dimensioni tra<br />
celiaci e loro parenti, siano quasi tutti prive di differenze statisticamente significative.<br />
Questo può sottolineare nuovamente, come è emerso del resto dai risultati delle<br />
correlazioni, che in queste famiglie sembra spesso presente <strong>un</strong> alto f<strong>un</strong>zionamento<br />
familiare soprattutto quando il familiare celiaco presenta più distress, meno<br />
benessere e meno risorse personali. La famiglia agirebbe in questo modo, come<br />
elemento “protettivo” del soggetto in questione, ma potrebbe anche sembrare, come<br />
dicevamo a più riprese <strong>un</strong> “iperf<strong>un</strong>zionamento familiare”.<br />
Abbiamo anche visto che quando il paziente celiaco non presenta distress eccessivo,<br />
ma si mostra più autodeterminato, con maggiore benessere, cooperativo ed anche<br />
con <strong>un</strong>o scopo nella vita più alto, è più autonomo e svincolato dalla famiglia, tanto<br />
che si riducono anche i p<strong>un</strong>teggi di dipendenza e attaccamento e anche i p<strong>un</strong>teggi<br />
del FAD si riducono. Com<strong>un</strong>que, in qualsiasi di questi due casi, la celiachia, implica<br />
<strong>un</strong>'attenzione e l'attuazione di determinate routine e comportamenti di evitamento per<br />
tutto il nucleo familiare, implicando probabilmente che non è possibile scorgere<br />
differenze tra i soggetti celiaci e i suoi familiari all'interno delle dimensioni di<br />
f<strong>un</strong>zionamento familiare, poiché queste famiglie tendono a f<strong>un</strong>zionare <strong>un</strong> po' come<br />
<strong>un</strong> tutt'<strong>un</strong>o.<br />
L'<strong>un</strong>ica differenza, come abbiamo visto, si riscontra nel Controllo Comportamentale<br />
90
in cui i soggetti celiaci hanno p<strong>un</strong>teggi più alti dei loro familiari. Forse perché<br />
all'interno di queste famiglie, che abbiamo a più riprese chiamato “iperf<strong>un</strong>zionanti”,<br />
cercano di minimizzare il loro disagio che questa condizione può provocare. Sembra<br />
quindi, che gli individui con più Sintomi Ansiosi, Depressivi e mancanza di<br />
benessere, sono anche quelli con minori risorse personali, come per esempio<br />
l'Autodeterminazione e le sue sottodimensioni quali avere <strong>un</strong>o Scopo nella Vita,<br />
Pienezza di Risorse, Responsabilità, Autoaccettazione Congruente e<br />
Corrispondenza Obiettivi-Valori, e presentano anche bassi livelli di Estroversione ed<br />
alti di Evitamento dell'Estraneo, quindi meno legami e supporto sociale , presentano<br />
anche p<strong>un</strong>teggi più elevati nella Spinta verso la Magrezza, Bulimia, Inadeguatezza,<br />
Perfezionismo, Consapevolezza Interocettiva, Paura <strong>della</strong> Maturità ed anche<br />
p<strong>un</strong>teggi più elevati nel FAD. Quindi <strong>un</strong> alto f<strong>un</strong>zionamento familiare sembra essere<br />
presente quando gli individui presentano più distress, meno benessere e meno<br />
risorse personali, come elemento “protettivo” del soggetto in questione, ma potrebbe<br />
anche sembrare, come dicevamo a più riprese <strong>un</strong> “iperf<strong>un</strong>zionamento familiare”.<br />
Keitner (2009), ha studiato il ruolo <strong>della</strong> famiglia nel corso di disturbi organici cronici,<br />
per evidenziare l'importanza di includere le famiglie nel trattamento. Miller e Wood<br />
(2009), invece hanno ipotizzato che <strong>un</strong> disturbo cronico come l'asma in età pediatrica<br />
corrisponda a <strong>un</strong> determinato prototipo di f<strong>un</strong>zionamento familiare, questo a causa<br />
delle evidenze dirette sul f<strong>un</strong>zionamento psicobiologico dello stress e <strong>della</strong><br />
depressione, creando così implicazioni per l'assistenza sanitaria.<br />
Fabbri (2009), ha invece mostrato come il FAD e il Symptom Questionnaire, siano<br />
significativamente correlati tra loro. Questi dati evidenziano <strong>un</strong>'interessante tendenza<br />
che mostra che le difficoltà nella famiglia non sono correlate solo a maggiore stress<br />
individuale, ma anche a minori livelli di benessere <strong>psicologico</strong>. Questo emerge<br />
chiaramente anche dai nostri dati. Infatti, dal confronto con i normativi emergono<br />
p<strong>un</strong>teggi significativamente più alti nel nostro campione , nella maggior parte delle<br />
dimensioni dell'SQ.<br />
In diversi studi presenti in letteratura emerge l'importanza di considerare nella<br />
patologia <strong>celiaca</strong> (CD) gli aspetti adattivi e psicologici (Ciacci, 2002), poiché emerge<br />
che per esempio, i sintomi somatici, ed in particolare i sintomi tipici <strong>della</strong> sindrome<br />
dell'intestino irritabile, sono com<strong>un</strong>i e possono essere spiegati attraverso l'interazione<br />
tra meccanismi <strong>clinici</strong> e sociopsicologici (Hauser et al., 2006). Anche Nagy e<br />
collaboratori (2009), riportano che i pazienti con patologie autoimm<strong>un</strong>i hanno spesso<br />
tassi significativamente più alti per l'ansia e la depressione in confronto alla<br />
popolazione generale; come Sonino e collaboratori (2007) riportano che la maggior<br />
parte dei pazienti con disturbi endocrini cronici presentano almeno <strong>un</strong> disturbo<br />
91
compreso dei Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research ( DCPR ).<br />
Al contrario in <strong>un</strong>o studio di Collin e colleghi (2008), sono riportati risultati opposti: i<br />
problemi psicologici non sembrano com<strong>un</strong>i in pazienti adulti con CD, infatti la<br />
conoscenza <strong>della</strong> <strong>malattia</strong> e la pronta reperibilità dei prodotti senza glutine possono<br />
avere avuto <strong>un</strong> impatto su questi risultati.<br />
Fera e collaboratori, (2003), riportano invece p<strong>un</strong>teggi più alti per ansia e<br />
depressione. La depressione sembra correlata con la durata di restrizione al glutine,<br />
mentre l'ansia sembra correlata con indici più bassi <strong>della</strong> Qualità <strong>della</strong> Vita (QdV).<br />
Nella nostra valutazione non è stato incluso <strong>un</strong>o strumento specifico per verificare i<br />
livelli di Qualità <strong>della</strong> Vita, ma possiamo dire che essendo la QdV direttamente<br />
correlata con il Benessere, i p<strong>un</strong>teggi delle sottoscale dell'SQ del Benessere nel<br />
nostro campione sono più alti rispetto al campione normativo, indicando <strong>un</strong> distress<br />
più elevato rispetto alla popolazione generale. Inoltre dalle correlazioni tra i nostri<br />
dati emerge anche, come abbiamo già detto, <strong>un</strong> dato importante, che l'SQ presenta<br />
p<strong>un</strong>teggi più elevati quando anche le scale del TCI dell'Evitamento dell'Estraneo,<br />
dell'Evitamento del Pericolo (indici di introversione) sono più alti, mentre sono più<br />
bassi i p<strong>un</strong>teggi di Autodetrminazione, Scopo nella vita, Compassione (indice di<br />
Coscienziosità). Sappiamo dagli apporti <strong>della</strong> Positive Psychology, che il Benessere<br />
ottimale è correlato con tratti di personalità quali alta estroversione e alta<br />
coscienziosità, come del resto sappiamo anche, dalla teoria di C. Ryff l'importanza<br />
per il benessere di dimensioni quali avere Obiettivi nella Vita, la Padronanza<br />
Ambientale, Relazioni Positive con gli altri, Autonomia, Crescita Personale e<br />
Autoaccettazione. Potremmo quindi supporre, che i soggetti del nostro campione che<br />
mostrano p<strong>un</strong>teggi bassi nelle dimensioni del TCI concettualmente sovrapponibili alle<br />
dimensioni <strong>della</strong> Ryff, è normale che siano anche quelli che mostrano meno<br />
Benessere nelle scale dell'SQ, ed anche p<strong>un</strong>teggi più alti nell'EDI riguardo<br />
all'Inadeguatezza, Scontentezza per il Corpo, Spinta verso la Magrezza e alla Paura<br />
<strong>della</strong> Maturità. Bisogna notare però che il nostro campione rispetto ai normativi,<br />
mostra livelli più bassi di distress nella scala <strong>della</strong> Contentezza. Questa sottoscala è<br />
inversamente correlata alle scale di Pienezza delle Risorse, Coerenza abitudini<br />
obiettivi, Premurosità e Cooperatività, mostrando che a bassi livelli di distress, gli<br />
individui più propositivi, autodeterminati, indipendenti, mostrando quindi maggiore<br />
benessere. Dai dati fin qui emersi sembra che queste tre dimensioni del carattere del<br />
TCI possano f<strong>un</strong>gere da fattore protettivo verso problemi psicopatologici come<br />
l'ansia, la depressione e disturbi alimentari, e soprattutto tra i fattori protettivi,<br />
l'Autodeterminazione, e soprattutto lo Scopo nella Vita e la Pienezza delle Risorse<br />
sembrano i fattori preponderanti. Sembra inoltre che gli individui che presentino<br />
92
maggiori indici sintomatologici, abbiano anche nel FAD p<strong>un</strong>teggi più alti.<br />
Nel TCI si evidenziano differenze significative con i dati normativi nelle scale di<br />
Evitamento del Pericolo e Dipendenza dalla Ricompensa, scale in cui però il nostro<br />
campione mostra p<strong>un</strong>teggi significativamente più bassi. Come del resto accade per i<br />
valori dell'EDI, in cui il campione mostra risultati più bassi rispetto al campione<br />
normativo.<br />
Andando invece a vedere quali differenze emergono dividendo il campione nei due<br />
sottogruppi, celiaci e parenti si riscontra <strong>un</strong>a differenza significativa nella<br />
Sregolatezza. Probabilmente il dover rispettare <strong>un</strong>a dieta molto rigida, a vita, può<br />
incidere su questa dimensione, per vari motivi. Uno di questi potrebbe essere la<br />
necessità di estroversione di alc<strong>un</strong>i di questi soggetti, poiché come abbiamo visto,<br />
dalle correlazioni emergevano due principali pattern comportamentali: <strong>un</strong>o più<br />
internalizzante ed <strong>un</strong>o più esternalizzante. Quest'ultimo gruppo, più impulsivo, con<br />
maggiori entusiasmo, ed esplorazione, probabilmente cerca nuove esperienze per il<br />
bisogno di sentirsi meno vincolato di quanto gli permetta l'essere continuamente a<br />
dieta aglutinata. Questa condizione implica anche <strong>un</strong> restringimento delle relazioni<br />
sociali, poiché il celiaco non può accedere in qualsiasi ristorante, per esempio, per<br />
passare <strong>un</strong>a serata con gli amici, e spesso si verifica <strong>un</strong> restringimento o “selezione”<br />
tra le conoscenze precedenti.<br />
I soggetti celiaci soggetti mostrano p<strong>un</strong>teggi maggiori, anche nel Sentimentalismo e<br />
nella Dipendenza dalla Ricompensa. Una motivazione potrebbe essere come ho<br />
riportato in precedenza “Ci devo pensare tutto il tempo. Non puoi scordartene mai.<br />
Non è consueto essere intollerante al glutine. Semplicemente a causa <strong>della</strong><br />
mancanza di consapevolezza delle persone che ti circondano o perché c'è il pane<br />
nelle vetrine dei negozi o nei bar”. Occuparsi di piccole differenze che tuttavia<br />
diventano grandi nell'emotività di chi le vive (Cimma, 2008). E' normale che questo<br />
possa significare essere maggiormente dipendenti dai segnali sociali e alle reazioni<br />
delle altre persone al proprio comportamento. Anche nell'autodeterminazione, i<br />
celiaci mostrano p<strong>un</strong>teggi inferiori dei loro parenti, forse perchè l'essere affetti da <strong>un</strong>a<br />
condizione cronica, anche se possiamo dire non gravemente invalidante può<br />
provocare <strong>un</strong> piccolo cedimento nelle certezze e nell'interezza individuale. Ma<br />
bisogna anche dire che per quanto l'adattamento a <strong>un</strong>a nuova condizione, quale la<br />
celiachia, non porta necessariamente ad esiti negativi, in quanto caratteristiche quali<br />
la Compassione, evidenziano p<strong>un</strong>teggi maggiori rispetto ai loro parenti. Potremmo<br />
ricordare che negli ultimi decenni sono nate moltissime associazioni di volontariato,<br />
delle quali l'AIC ne è <strong>un</strong> esempio, in cui persone affette o in altro modo coinvolte in<br />
<strong>un</strong>a patologia o in altra condizione invalidante, si aggregano per aiutarsi<br />
93
vicendevolmente aiutando gli altri. Il fatto che i soggetti celiaci presentino valori<br />
maggiori dei loro parenti nella Compassione e di conseguenza nella Cooperatività,<br />
potrebbe essere la base per la creazione di questi movimenti. Come del resto si<br />
potrebbe dire per i risultati esposti qui di seguito per l'Autotrascendenza, dove i<br />
celiaci mostrano p<strong>un</strong>teggi maggiori nell'Accettazione Spirituale e nel Totale<br />
dell'Autotrascendenza. Potremmo dire che tra i soggetti del nostro campione si è<br />
mostrata in generale <strong>un</strong>a suddivisione tra due modalità di adattamento dei soggetti<br />
alla celiachia: soggetti con autodeterminazione, cooperatività, persistenza,<br />
autotrascendenza maggiori e p<strong>un</strong>teggi di distress, di condotte alimentari disf<strong>un</strong>zionali<br />
e f<strong>un</strong>zionamento familiare minori. Al contrario i soggetti che mostrano maggiore<br />
attaccamento, dipendenza dalla ricompensa, evitamento del pericolo, hanno anche<br />
maggiori p<strong>un</strong>teggi nell'EDI, nel FAD e nel Symptom Questionnaire.<br />
In particolare, nell'EDI, che com<strong>un</strong>que sembra mostri risultati inferiori dei valori<br />
normativi, si evidenzia nei celiaci <strong>un</strong> p<strong>un</strong>teggio maggiore nella Spinta verso la<br />
Magrezza e Scontentezza per il Corpo. Questo può essere spiegato dal fatto che la<br />
celiachia implica che <strong>un</strong>a volta iniziata la dieta aglutinata, e quindi interrotta<br />
l'esposizione al glutine, i villi intestinali si ricostituiscono lentamente, e questo incide<br />
in maniera preponderante con il peso corporeo. Inoltre, i cibi confezionati per celiaci<br />
(pane in cassetta, cracker, biscotti, merendine, snack) sono ad elevato contenuto<br />
calorico e contengono anche ingredienti dannosi come grassi saturi (es. olio di<br />
palma). Tutto ciò incide fortemente sul peso corporeo e anche nell'arco di <strong>un</strong> solo<br />
anno <strong>un</strong> adulto può prendere anche dieci chili. Questo fatto, pur coesistendo con <strong>un</strong>a<br />
salute generale sensibilmente migliorata, com<strong>un</strong>que, va ad inserirsi in <strong>un</strong> processo di<br />
complicata ridefinizione di sé in qualità di paziente affetto da <strong>un</strong>a <strong>malattia</strong> cronica,<br />
obbligato a rispettare delle ristrettezze a vita, ma anche in termini di percezione <strong>della</strong><br />
propria immagine corporea.<br />
Anche nella Consapevolezza Interocettiva, i celiaci mostrano p<strong>un</strong>teggi maggiori dei<br />
loro parenti. La celiachia è <strong>un</strong>a <strong>malattia</strong> che colpisce l'apparato gastrointestinale, e<br />
spesso passa molto tempo prima che venga riconosciuta. Questo vuol dire per il<br />
paziente celiaco non diagnosticato convivere con disturbi e malesseri eterogenei non<br />
ben classificati e riconosciuti. Ciò può significare essere portati a sviluppare <strong>un</strong>a<br />
grande consapevolezza e sensibilità dei segnali del proprio corpo. Inoltre anche<br />
successivamente, il paziente celiaco, è consapevole che anche <strong>un</strong>a piccola<br />
contaminazione involontaria da glutine può sviluppare sintomi gastrointestinali o<br />
corporei più o meno forte, sviluppando così probabilmente <strong>un</strong>'ulteriore attenzione<br />
verso i propri segnali corporei. E' importante rilevare anche che questa scala è<br />
positivamente correlata con le scale <strong>della</strong> Contentezza, <strong>della</strong> Rilassatezza e<br />
94
dell'Affaticabilità. Quindi a <strong>un</strong> distress maggiore e alla mancanza di benessere,<br />
corrisponde <strong>un</strong>a maggiore preoccupazione e attenzione verso i segnali corporei.<br />
Infine p<strong>un</strong>teggi significativamente maggiori si rilevano anche nella Paura <strong>della</strong><br />
Maturità. Soffrire di <strong>un</strong>a <strong>malattia</strong> cronica sicuramente incide sulla paura a proposito<br />
<strong>della</strong> propria salute e anche a proposito dell'invecchiamento. Come dicevo prima,<br />
alc<strong>un</strong>e certezze possono incrinarsi e al tempo stesso la percezione di sé deve<br />
essere ridefinita, compreso il modo in cui questa condizione può o meno incidere sul<br />
futuro. I risultati quindi non evidenziano <strong>un</strong>a coesistenza tra patologia <strong>celiaca</strong> e<br />
disturbi alimentari, al contrario di quanto emerge in letteratura . Cinquetti et al.<br />
(1997), hanno dimostrato la problematica accettazione <strong>della</strong> dieta aglutinata in<br />
bambini e adolescenti. Karwautz et al., (2007) hanno invece documentato l'esordio<br />
precedente di <strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong> rispetto alla bulimia nervosa. Bisogna com<strong>un</strong>que<br />
evidenziare che nella compilazione <strong>della</strong> batteria di test, la maggior parte dei soggetti<br />
del campione ha manifestato evidenti resistenze durante la compilazione dell'EDI, ci<br />
si può quindi chiedere quanto siano attendibili i risultati, dato inoltre la non<br />
adeguatezza del campione normativo trovato.<br />
I dati qui riportati presentano vari limiti quali l'esiguità numerica del campione, non<br />
rappresentativo <strong>della</strong> popolazione dei celiaci in generale, poiché composto<br />
soprattutto da donne, e in cui i soggetti in generale avevano <strong>un</strong>'età compresa tra i 35<br />
e 45 anni. Mancano dati numericamente significativi di uomini, di bambini,<br />
adolescenti e persone anziane. Anche l'utilizzo esclusivo di strumenti psicometrici<br />
autovalutativi è limitante, come la mancanza di variabili cliniche generali (eventuali<br />
trattamenti in corso, patologie organiche pregresse e attuali), di dati sul quadro<br />
clinico <strong>della</strong> celiachia (sintomi isolati intestinali e extra-intestinali) e degli indici<br />
biomedici di laboratorio e lʼanamnesi farmacologica.<br />
95
8. CONCLUSIONI<br />
Finora è stato ampiamente documentato come fattori stressanti possano essere<br />
associati a conseguenze negative sulla salute e sull'indebolimento <strong>della</strong> risposta<br />
imm<strong>un</strong>itaria, ma bisogna tenere ben presente che anche le emozioni positive<br />
possono produrre effetti benefici, come affermano i dati scientifici sull'efficacia <strong>della</strong><br />
“well-being therapy”. Uno studio di Steptoe e collaboratori (2001), ha considerato <strong>un</strong><br />
campione di oltre 200 adulti, maschi e femmine, in buona salute. I soggetti sono stati<br />
valutati sia in normali giorni di lavoro che in quelli festivi. Per stabilire la qualità delle<br />
emozioni, è stato chiesto ai volontari di dire quali pensieri e sentimenti si erano<br />
affacciati alla loro mente cinque minuti prima, per ogni giorno dello studio. Inoltre nei<br />
soggetti sono stati valutati indici fisiologici quali: cortisolo, frequenza cardiaca,<br />
pressione arteriosa e fibrinogeno (coinvolti nel sistema dello stress). I risultati emersi<br />
sono stati netti: le persone più felici sono anche quelle con frequenza cardiaca e<br />
livelli di cortisolo più bassi. Il fatto interessante, è che poste sotto stress in<br />
laboratorio, anche le persone felici hanno attivato i sistemi dello stress, con aumento<br />
di cortisolo, pressione arteriosa e frequenza cardiaca, ma a differenza di quelle meno<br />
felici, non hanno presentato alterazioni del fibrinogeno, che è <strong>un</strong> fondamentale<br />
fattore di rischio trombotico. In definitiva le persone felici, hanno avuto <strong>un</strong>a normale<br />
reazione di stress senza aumento del rischio cardiovascolare. In conclusione si può<br />
dire che c'è <strong>un</strong>a relazione tra benessere <strong>psicologico</strong> e f<strong>un</strong>zionamento dei sistemi<br />
biologici. Questo perchè, come è stato ampiamente mostrato l'organismo umano<br />
f<strong>un</strong>ziona come <strong>un</strong> network, <strong>un</strong>a rete integrata che <strong>un</strong>ifica i vari organi e sistemi. I<br />
codici sono gli stessi, il linguaggio <strong>della</strong> rete è com<strong>un</strong>e a tutto il sistema. Sia che<br />
siano circuiti cerebrali attivati da emozioni, pensieri, oppure circuiti nervosi vegetativi<br />
attivati da sollecitazioni o da feeback di organi e sistemi, endocrini o imm<strong>un</strong>itari,<br />
questi verranno riconosciuti da tutte le componenti <strong>della</strong> rete. Il linguaggio è <strong>un</strong>ico, il<br />
collegamento è stringente e a doppio senso di marcia. I modelli terapeutici devono<br />
quindi tenerne conto, <strong>un</strong>iformandosi a questa nuova concezione scientifica del<br />
f<strong>un</strong>zionamento dell'organismo umano, anche se purtroppo oggi la cura delle malattie<br />
è ancora basata su <strong>un</strong>a rigida separazione delle specialità.<br />
In questa prospettiva, ciasc<strong>un</strong> disturbo è visto come la strada finale com<strong>un</strong>e tra i<br />
livelli cellulare, tissutale, organismico, interpersonale e ambientale, così che ogn<strong>un</strong>o<br />
di questi fattori possiede il proprio peso relativo nel facilitare, sostenere o modificare<br />
il decorso dei disturbi, diverso da disturbo a disturbo, da <strong>un</strong> individuo ad <strong>un</strong> altro o<br />
addirittura tra episodi diversi <strong>della</strong> stessa <strong>malattia</strong> nello stesso individuo.<br />
Quest'approccio risulta necessario anche in patologie come la celiachia o altri<br />
96
disturbi gastrointestinali, classicamente definiti come “f<strong>un</strong>zionali”. Nel caso <strong>della</strong><br />
celiachia, come sappiamo, avere la predisposizione genetica, non indica con<br />
certezza che l'individuo svilupperà la <strong>malattia</strong>, ma dipenderà da complesse e<br />
sconosciute interazioni tra i vari sistemi più volte citati. Per questo diventa importante<br />
l'utilizzo di <strong>un</strong> approccio che prenda in considerazione questi diversi sistemi coinvolti,<br />
sia nella prevenzione delle malattie, come avrò modo di spiegare in seguito in merito<br />
all'approccio degli stili di vita, utilizzato tra l'altro di recente in USA per effettuare <strong>un</strong>a<br />
vera e propria prevenzione, sia in merito ad approcci nuovi come la Well-Being<br />
Therapy, che durante il decorso di malattie croniche come la celiachia, che anche se<br />
curate e curabili, in ottica biomedica, semplicemente da <strong>un</strong>a dieta, o come nel caso<br />
di altre malattie croniche, da farmaci, necessitano <strong>un</strong> trattamento di più largo respiro.<br />
Come è stato ampiamente riportato in letteratura, è fondamentale in ogni disturbo<br />
prendere in considerazione la famiglia, l'ambiente, lo stile di vita, il sostegno sociale,<br />
in quanto si è visto questi fattori possano ricoprire il ruolo sia di fattori precipitanti che<br />
di fattori di protezione. In <strong>un</strong>a <strong>malattia</strong> cronica come la celiachia, sarebbe essenziale<br />
che questi elementi venissero presi in considerazione, per lo scopo non secondario<br />
di compliance alla dieta, ma anche perché i disturbi psichiatrici nei contesti medici<br />
sono com<strong>un</strong>i, aggravando i disturbi medici, quindi la loro identificazione e trattamento<br />
è importante. La compromissione nella qualità <strong>della</strong> vita collegata alla salute e<br />
l'adattamento richiesto ai pazienti con disturbi cronici è considerabile. Non è pertanto<br />
sorprendente che i pazienti con disturbi intestinali infiammatori, per esempio, provino<br />
<strong>un</strong> danneggiamento più grande delle f<strong>un</strong>zioni psicologiche che fisiche. Le principali<br />
disf<strong>un</strong>zioni si verificano nel lavoro, durante il sonno, nelle interazioni sociali e negli<br />
stati emozionali. Per l'adattamento del paziente è fondamentale il sostegno del<br />
medico nel raggi<strong>un</strong>gere il benessere <strong>psicologico</strong> e il decorso clinico. Non è<br />
sorprendente che alc<strong>un</strong>i pazienti malati cronicamente regrediscano e si comportino<br />
in modo dipendente. I sintomi continui, la restrizione nelle attività, la custodia a cui il<br />
paziente deve essere sottoposto, mettono a dura prova la famiglia, gli amici, ed<br />
anche i medici, tutti quelli che possono sentirsi incapaci di fornire <strong>un</strong>'adeguata<br />
assistenza medica e affettiva. Com<strong>un</strong>que, nonostante l'incertezza riguardo il grado in<br />
cui i processi psicologici influenzano l'esordio, il decorso e le complicazioni dei<br />
disturbi, come abbiamo visto il substrato patofisiologico per questa associazione<br />
esiste chiaramente (Fava, 1998). Per questo l'introduzione di metodi strutturati per<br />
raccogliere e valutare le informazioni e dei gruppi di controllo, ha evidenziato il<br />
legame tra life event e diversi disturbi medici (endocrini, cardiovascolari, respiratori,<br />
gastrointestinali, autoimm<strong>un</strong>i e disturbi <strong>della</strong> pelle e neoplastici). All'interno <strong>della</strong><br />
cornice multifattoriale di riferimento, eventi di vita stressante possono influenzare<br />
97
negativamente il meccanismo regolatorio delle f<strong>un</strong>zioni neuroendocrine e<br />
imm<strong>un</strong>itarie in diversi modi, come abbiamo visto. Non solo eventi gravi come lutti o la<br />
perdita del lavoro possono influenzare, ma come abbiamo precedentemente<br />
spiegato anche il carico allostatico può provocare <strong>un</strong>a disregolazione di questi<br />
sistemi. Il contesto sociale diviene allora importante sia come <strong>un</strong>a delle cause che<br />
provocanti, ma è anche rilevante per il concetto di benessere <strong>psicologico</strong>.<br />
Quest'ultimo dipende dall'interazione di diverse dimensioni intercorrecolate (che<br />
fanno riferimento al modello di C. Ryff), e gioca <strong>un</strong> ruolo nel respingere lo stress<br />
attraverso le risorse di coping, con <strong>un</strong> impatto favorevole nel corso del disturbo. E,<br />
spesso i medici non prendono in considerazione questi fattori psicosociali, che hanno<br />
il forte potenziale di influenzare la vulnerabilità individuale, la <strong>malattia</strong> e di<br />
conseguenza la qualità <strong>della</strong> vita, in particolare per quanto riguarda i disturbi cronici.<br />
Per questo è necessario che la medicina psicosomatica sia incorporata alla pratica<br />
clinica perché elementi come il f<strong>un</strong>zionamento individuale, la produttività, la<br />
prestazione nei ruoli sociali, la capacità intellettuale, la stabilità emozionale e il<br />
benessere sono emersi essere elementi cruciali di valutazione. D'altra parte c'è <strong>un</strong>a<br />
crescente enfasi sulla promozione <strong>della</strong> salute piuttosto che semplicemente sulla<br />
prevenzione dei disturbi. Il successo commerciale di libri sulla medicina<br />
complementare e la pratica “positiva”, come lo slancio di interesse nella medicina<br />
mente-corpo, semplifica la ricezione da parte del pubblico in merito alla prevenzione<br />
<strong>della</strong> salute e di <strong>un</strong> modello medico alternativo. L'intervento psicosomatico può<br />
rispondere a questi bisogni emergenti e giocare <strong>un</strong> ruolo fondamentale nel processo<br />
di guarigione (Fava, 2007).<br />
Ciò che a tuttʼoggi emerge con chiarezza è la necessità di <strong>un</strong> approccio<br />
biopsicosociale, di tipo integrato multifattoriale alla <strong>malattia</strong> in generale e tanto più<br />
alle malattie croniche. Risulta fondamentale riuscire ad attuare ulteriori studi che<br />
valutino lʼefficacia di interventi su più fronti, come il coinvolgimento nellʼéquipe<br />
curante di figure professionali psicologiche esperte delle dimensioni psicosociali <strong>della</strong><br />
<strong>malattia</strong> <strong>celiaca</strong>, sia investendo in termini di prevenzione di com<strong>un</strong>ità sul ruolo<br />
protettivo delle reti sociali. La coesione sociale infatti, oltre che fornire <strong>un</strong> sostegno<br />
tangibile, f<strong>un</strong>ge da meccanismo <strong>psicologico</strong> che fortifica anche la reazione<br />
dellʼorganismo alle malattie e allo stress.<br />
98
Bibliografia<br />
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