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Prefazione<br />

“UMBRIA DONNE E LAVORO: UNA SICUREZZA DA FAVOLA”<br />

VII EDIZIONE DEL CONCORSO “Umbria donne e lavoro 8 marzo 2012<br />

“Una sicurezza da favola” è <strong>il</strong> titolo della nuova edizione del concorso “Umbria <strong>Donne</strong> e <strong>Lavoro</strong>” che, giocando sul doppio senso della<br />

parola “favola”, quest’anno ha voluto proporre una peculiare chiave di lettura della “ prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro”.<br />

192 sono state le favole che hanno concorso. Tale partecipazione da tutt’Italia ci ha ancora una volta dato prova dei numerosi talenti<br />

nascosti e di come le tematiche affrontate stiano penetrando <strong>in</strong> profondità nel tessuto sociale, come valori fondamentali del vivere<br />

quotidiano.<br />

Il successo della formula narrativa prescelta, nonostante l’atipicità rispetto all’argomento trattato, dimostra come la fantasia aiuti ad<br />

<strong>in</strong>teragire con la realtà. Anche attraverso l’immag<strong>in</strong>ario si possano rendere emblematici attimi di vita, veicolare messaggi e trasmettere<br />

valori, che costituiscono un’arma v<strong>in</strong>cente nella lotta quotidiana dell’esistenza e nell’adozione di st<strong>il</strong>i di comportamento corretti.<br />

La sfida lanciata mira a creare un percorso virtuoso: partendo dall’autore si arriva al bamb<strong>in</strong>o che ascolta, all’adolescente che <strong>in</strong>izia a<br />

comprendere, all’ adulto che realizza e trasmette ai figli valori <strong>in</strong> grado di radicarsi nella coscienza <strong>in</strong>dividuale e dell’<strong>in</strong>tera collettività.<br />

Tutto ciò ci rafforza nella conv<strong>in</strong>zione che solo attraverso la circolazione delle idee ed <strong>il</strong> diffondersi della cultura della sicurezza sia<br />

possib<strong>il</strong>e l’adozione graduale, ma sistematica, di codici di comportamento <strong>in</strong>dividuali e sociali rispettosi del valore della vita e della salute.<br />

Il Concorso come sempre si è rivolto alle <strong>Donne</strong>, senza alcun <strong>in</strong>tento discrim<strong>in</strong>atorio: con loro, da diversi anni oramai, abbiamo <strong>in</strong>iziato<br />

un confronto ricco di esperienze e di contributi diversi, che ci ha determ<strong>in</strong>ato a cont<strong>in</strong>uare nel proporre questa <strong>in</strong>iziativa. Si è avviato<br />

così un dibattito che, ad ogni nuova edizione del concorso, arricchisce e apporta idee, proposte e fa sperare <strong>in</strong> un impegno sempre<br />

maggiore nella lotta contro <strong>il</strong> fenomeno degli <strong>in</strong>fortuni, dovuto spesso a violazione di norme di prevenzione, ma anche a comportamenti<br />

<strong>in</strong>adeguati e st<strong>il</strong>i di vita scorretti.<br />

Siamo pertanto riconoscenti a tutte coloro che hanno dato <strong>il</strong> loro contributo, perché l’impegno di tutte darà un valore aggiunto alle azioni<br />

che tutti i giorni realizziamo perché la sicurezza nei luoghi di lavoro non sia una “favola”.<br />

2


C’era una volta Biancaneve<br />

di Ingo Salv<strong>in</strong>a<br />

responsab<strong>il</strong>e della comunicazione INAIL<br />

C’era una volta una bella pr<strong>in</strong>cipessa, di nome Biancaneve ….<br />

“No no, fermati! Mi dispiace per te, ma io questa favola l’ho già sentita!”<br />

Aspetta, aspetta. Possib<strong>il</strong>e che tu non dia mai <strong>il</strong> tempo neanche di com<strong>in</strong>ciare! Questa storia non l’hai sentita perché l’ho scritta apposta<br />

per te, smett<strong>il</strong>a di brontolare e ascoltami.<br />

Dunque, dicevamo, c’era una volta una bella pr<strong>in</strong>cipessa, di nome Biancaneve, che se ne stava circondata dai suoi sette nani, tran<strong>qui</strong>lla<br />

e beata <strong>in</strong> un grande giard<strong>in</strong>o di una v<strong>il</strong>la alla periferia di una città dell’Italia centrale.<br />

Dovete sapere che la nostra bella pr<strong>in</strong>cipessa era una semplice statu<strong>in</strong>a di gesso, come i suoi compagni di favola, i sette nani, messi lì, sul<br />

prato ad ornamento del giard<strong>in</strong>o.<br />

Una scelta di dubbio gusto dirai tu, ma a Biancaneve andava bene così.<br />

La nostra pr<strong>in</strong>cipessa era di buon carattere; se ne stava estate ed <strong>in</strong>verno fuori <strong>in</strong> giard<strong>in</strong>o, al freddo o al sole, sotto l’acqua, anche <strong>in</strong><br />

mezzo ai temporali sempre serena e contenta.<br />

Certo la sua era una vita un po’ statica, ma lei si accontentava, andava d’accordo con i suoi compagni di avventura e gli faceva piacere<br />

quando la padrona veniva <strong>in</strong> giard<strong>in</strong>o e li spolverava, facendogli <strong>il</strong> solletico; <strong>in</strong> verità, ultimamente, veniva sempre di meno, ma si sa che<br />

<strong>in</strong> tutte le relazioni le cose con <strong>il</strong> tempo cambiano.<br />

Un bel giorno, però, le cose cambiarono molto velocemente nel loro giard<strong>in</strong>o.<br />

Una matt<strong>in</strong>a di primavera che c’era un bel sole e si stava veramente bene sul prato a schiacciare un pisol<strong>in</strong>o, arrivarono un sacco di<br />

persone, con attrezzature di vario genere; c’era anche una betoniera per impastare <strong>il</strong> cemento.<br />

Nel giro di mezz’ora nel loro tran<strong>qui</strong>llo giard<strong>in</strong>o c’era <strong>il</strong> f<strong>in</strong>imondo.<br />

Alcuni operai montavano delle impalcature, altri si davano da fare con materiale e strumentazione varia, altri prendevano misure e tutti<br />

erano coord<strong>in</strong>ati – veramente a Biancaneve sembrava che tutti andassero un po’ per conto proprio – da un tipo bassetto e rotondetto<br />

che non faceva altro che str<strong>il</strong>lare e dire parolacce.<br />

Biancaneve a vedere tutta quella confusione si preoccupò, sapeva che a volte ci vuole poco perché si verifichi un <strong>in</strong>cidente; dei sette<br />

3


nanetti, <strong>in</strong>vece, nessuno si preoccupò, f<strong>in</strong>o a quando un piccone non cadde pesantemente a fianco di Brontolo, sfiorandolo. A quel punto<br />

la padrona di casa, che guardava dalla f<strong>in</strong>estra tutto quel pandemonio, <strong>in</strong>tervenne e mise <strong>in</strong> salvo Biancaneve e i sette fratelli al riparo<br />

sotto una tettoia.<br />

Seguirono giorni strani per la nostra pr<strong>in</strong>cipessa, che, da una parte era sconvolta da tutto quel caos e dall’altra era anche curiosa di<br />

vedere come andava a f<strong>in</strong>ire quella faccenda. Lei non si <strong>in</strong>tendeva tanto di lavori (<strong>in</strong> fondo era solo una donna !) ma non gli sembrava<br />

tanto sicuro che quegli operai, molti stranieri e che non capivano bene la l<strong>in</strong>gua, giovani e <strong>in</strong>esperti – questo era chiaro – salissero sulle<br />

impalcature, così, senza protezione oppure che manovrassero la fiamma ossidrica senza alcuna precauzione.<br />

Secondo lei c’era <strong>il</strong> rischio che qualcuno si facesse male seriamente. Ne parlò anche con i suoi compagni di favola che, dopo l’<strong>in</strong>cidente<br />

di Brontolo, trovarono anche loro la cosa alquanto strana.<br />

In particolare <strong>il</strong> direttore dei lavori sembrava un tipo losco.<br />

Biancaneve aveva assistito a delle scene <strong>in</strong> cui ragazzi che si erano rifiutati di salire su quelle impalcature traballanti venivano licenziati,<br />

così, su due piedi. La pr<strong>in</strong>cipessa era un tipo dolce e tran<strong>qui</strong>llo, ma, a vedere come si metteva a rischio la vita umana, si sentiva una gran<br />

voglia di <strong>in</strong>tervenire. Ma non poteva. Devi sapere, <strong>in</strong>fatti, che c’è una legge, nel mondo delle statue da giard<strong>in</strong>o che impone ad ognuna<br />

di loro di non <strong>in</strong>tervenire negli affari degli umani; non che tecnicamente non possano, perché tutti i personaggi delle favole hanno poteri<br />

magici, anche quelli di gesso, solo non debbono.<br />

Biancaneve, <strong>qui</strong>ndi, se ne stava a guardare, temendo <strong>il</strong> peggio.<br />

Ed <strong>il</strong> peggio, un brutto giorno, accadde.<br />

Era una bella matt<strong>in</strong>a fresca e Belzebù – così avevano soprannom<strong>in</strong>ato <strong>il</strong> direttore dei lavori – chiamò un ragazzo moldavo, molto<br />

giovane, con la faccia pulita di chi non conosce ancora <strong>il</strong> mondo e gli fece cenno di salire sull’impalcatura a fare un lavoro di rif<strong>in</strong>itura<br />

delle grondaie, lassù <strong>in</strong> cima.<br />

Il ragazzo guardò spaventato verso l’alto, ma non osò obiettare nulla – e <strong>in</strong> che l<strong>in</strong>gua poi? – si fece <strong>il</strong> segno della croce e salì.<br />

Biancaneve stava là sotto con i nervi tesi; seguiva con lo sguardo <strong>il</strong> ragazzo salire adagio e con movimenti <strong>in</strong>sicuri, si vedeva che aveva<br />

paura.<br />

E poi lui cadde.<br />

Il grido di Biancaneve trafisse l’aria, <strong>il</strong> tempo si fermò.<br />

Nessuno vide la piccola statu<strong>in</strong>a di gesso muoversi velocemente verso l’impalcatura e, con la forza di un gigante, protendendosi verso <strong>il</strong><br />

volo del ragazzo, afferrarlo saldamente fra le braccia e bloccarne la caduta.<br />

Diventata enorme, lo tenne un attimo fra le braccia come una madre e poi lo depositò, ormai svenuto, dolcemente sull’erba.<br />

4


Nessuno, tranne i suoi amici nani, si accorse di nulla, perché lei <strong>in</strong> un baleno, ridiventò la statu<strong>in</strong>a di gesso che era sempre stata.<br />

In un attimo, <strong>il</strong> giovane fu circondato dagli altri lavoratori, che gli si accalcavano attorno dicendo:<br />

“E’ vivo! E’ un miracolo!”<br />

“Come ha fatto a salvarsi?”<br />

“Ma cosa è successo?”<br />

“A me è sembrato di sentire una voce di donna che gridava!”<br />

“E’ troppo pericoloso, non possiamo andare aventi così!”<br />

“Ragazzi, svegliamoci che <strong>qui</strong> ci rimettiamo la pelle!”<br />

In breve, fra gli operai circolò una volontà ed una forza nuova, quella di pretendere di lavorare <strong>in</strong> sicurezza, perché quello era un loro<br />

diritto!<br />

Loro non lo sapranno mai, ma, <strong>in</strong> fondo, fu <strong>il</strong> gesto di una piccola donna di gesso che salvò <strong>il</strong> ragazzo moldavo e aprì gli occhi a tutti.<br />

Ma quella piccola pr<strong>in</strong>cipessa di gesso adesso rischiava di brutto, per aver <strong>in</strong>franto le leggi delle statue da giard<strong>in</strong>o.<br />

I nanetti la fissavano severi; era loro dovere denunciarla, anche se sapevano che la pena per Biancaneve poteva essere addirittura la<br />

distruzione e lei ne era a conoscenza.<br />

Non disse nulla, non ce ne era bisogno, ma li guardò fiera, facendo capire con l’atteggiamento che non si pentiva affatto del suo gesto.<br />

Quelli, prima <strong>in</strong>dignati per la palese <strong>in</strong>subord<strong>in</strong>azione, non ce la fecero a sostenere <strong>il</strong> suo sguardo.<br />

Poi uno di loro - uno di quei nanetti di cui nessuno si ricorda <strong>il</strong> nome, perché tutti i nomi dei sette nani di f<strong>il</strong>a non li sa ripetere nessuno,<br />

neanche io – disse:<br />

“Ha fatto bene! In fondo ha salvato la vita di un uomo e noi non la dobbiamo denunciare!<br />

Gli altri lo guardarono dubbiosi, poi dentro i loro cuoric<strong>in</strong>i di gesso fecero spazio, piano piano ai sentimenti … <strong>in</strong> fondo gli sarebbe<br />

dispiaciuto essere privati della loro bella pr<strong>in</strong>cipessa a cui volevano così bene e lei aveva avuto <strong>il</strong> coraggio che loro non avevano tirato<br />

fuori.<br />

Con uno sguardo d’<strong>in</strong>tesa, senza bisogno di parlare, si misero d’accordo e la cosa f<strong>in</strong>ì li.<br />

Non f<strong>in</strong>ì li, <strong>in</strong>vece, per <strong>il</strong> direttore dei lavori che, denunciato dai lavoratori, fu licenziato dall’impresa che, assunse al suo posto un<br />

professionista serio e scrupoloso che fece assumere alla ditta dei lavori tutte le misure di sicurezza necessarie a prevenire gli <strong>in</strong>fortuni e a<br />

far lavorare <strong>in</strong> sicurezza gli operai.<br />

I lavori f<strong>in</strong>irono presto, la pace ritorno nel bel giard<strong>in</strong>o, Biancaneve e i suoi sette nani ricom<strong>in</strong>ciarono ad annoiarsi un po’… e io, <strong>in</strong> fondo,<br />

ti ho raccontato solo una favola.<br />

5


INDICE<br />

Prefazione 2<br />

C’era una volta Biancaneve 3<br />

Cartuscella 7<br />

M<strong>il</strong>a e i lamponi 12<br />

Re Ben Fatto e Carol<strong>in</strong>a 16<br />

Lucidastella <strong>il</strong> Galatticante 17<br />

La pr<strong>in</strong>cipessa che cuciva le borse 23<br />

L’albero di Fra’ Gol<strong>in</strong>o 30<br />

Una favola per vivere (Il gr<strong>il</strong>lo parlante) 34<br />

La bamb<strong>in</strong>a che sognava di salire 38<br />

sulle impalcature 38<br />

Sicurezza, la vera Reg<strong>in</strong>a sei tu 42<br />

Le avventure di Regol<strong>in</strong>a: 48<br />

tra <strong>in</strong>canto e fatalità alla ricerca della verità<br />

48<br />

Una favola da grandi 54<br />

Il vestito della Pr<strong>in</strong>cipessa 57<br />

Mio padre, Spiderman 63<br />

Occhi Di Legno 65<br />

Il Fantasma della stazione 68<br />

Castor<strong>in</strong>i al sicuro 72<br />

I terrestri sono strani 75<br />

La mossa del Falco Pescatore 80<br />

Una sicurezza da favola 84<br />

Mart<strong>in</strong>a e <strong>il</strong> capanno dei mostri rombanti 86<br />

Gaia l’ape operaia 91<br />

Rub<strong>in</strong>a e la festa di Primavera. 96<br />

Deliziosa Di<strong>scarica</strong> 100<br />

Una fiaba estremamente contemporanea 100<br />

La Scuolabus 108<br />

L’<strong>in</strong>contro di Carol<strong>in</strong>a 113<br />

Meglio metterci una foglia <strong>in</strong> più 115<br />

6


Cartuscella<br />

di L<strong>in</strong>da di Giacomo<br />

Prima Classificata sezione Favole solo testo<br />

Naturalmente non era <strong>il</strong> suo vero nome ma alla Balocchi&Brothers tutti la chiamavano così e lei ci aveva fatto l’abitud<strong>in</strong>e. Era<br />

stata ribattezzata con quel nomignolo perché sulla sua scrivania f<strong>in</strong>ivano tutte quelle carte che nessuno vuol mai leggere. Avvisi,<br />

lettere, raccomandate e reclami da decifrare, <strong>in</strong>terpretare e catalogare. Le altre impiegate non erano molto car<strong>in</strong>e con Cartuscella. Le<br />

rovesciavano distrattamente cumuli di corrispondenza sulla scrivania o semplicemente la ignoravano. Del resto non era certo <strong>il</strong> tipo<br />

che si faceva notare: magrol<strong>in</strong>a e pallida nascondeva <strong>il</strong> viso dietro grandi lenti da miope e i capelli <strong>in</strong> una treccia stretta avvolta dietro<br />

la nuca. Chantal e Chanel, le due perfide segretarie di direzione, r<strong>in</strong>caravano la dose chiamandola “Cartuscella Vel<strong>in</strong>a” alludendo alla<br />

sua personalità così poco prorompente. Si divertivano a tormentarla con lavoro extra e massicce quantità di fotocopie non sempre<br />

necessarie. Protestare era <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>e. Le loro parole erano più appuntite dei tacchi che portavano e i loro sguardi più aff<strong>il</strong>ati delle unghie<br />

che sfoggiavano ogni giorno <strong>in</strong> colori diversi.<br />

Comunque a Cartuscella non importava granché. Lavorare <strong>in</strong> quella fabbrica di giocattoli le piaceva. Amava i giocattoli, soprattutto<br />

le bambole. In pausa pranzo preferiva la loro compagnia. Le adorava tutte, dalle più tradizionali alle più moderne, le morbidone tutte<br />

boccoli e le f<strong>il</strong>iformi dalla chioma blu. Alle bambole raccontava tutto e i loro occhioni dolci parevano annuire e comprendere, soprattutto<br />

quando parlava dell’altra sua grande passione: Alberico Balocchi, <strong>il</strong> fasc<strong>in</strong>oso rampollo della d<strong>in</strong>astia Balocchi, erede designato della<br />

fabbrica e di tutto <strong>il</strong> patrimonio di famiglia. Alberico lavorava tutto <strong>il</strong> giorno nel suo ufficio all’ultimo piano, ma ogni sera scendeva <strong>in</strong><br />

produzione. Faceva un giro tra le macch<strong>in</strong>e e osservava ogni cosa commentando con <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e di fabbrica, poi andava via di corsa<br />

sulla sua Porche.<br />

Cartuscella lo immag<strong>in</strong>ava tornare a casa, certamente una v<strong>il</strong>la da sogno, vestirsi ancor più elegante di quanto non fosse già, e recarsi<br />

con la sua fuoriserie ai party più esclusivi della città, dove avrebbe <strong>in</strong>contrato ragazze come quelle che si vedono sulle riviste.<br />

“Cartuscella, faresti meglio lasciar perdere lo scapolo d’oro della città e a concentrarti su qualcuno alla tua portata, a meno che tu non<br />

voglia restare zitella!”. “Chiudi <strong>il</strong> becco tu.” Celest<strong>in</strong>o era <strong>il</strong> tuttofare dell’azienda, un burlone <strong>in</strong>stancab<strong>il</strong>e ma <strong>in</strong>nocuo. Cartuscella<br />

aveva <strong>il</strong> forte sospetto che quel soprannome l’avesse coniato lui. Ma non le era antipatico. Se non altro dimostrava di accorgersi di lei.<br />

Alberico Balocchi, <strong>in</strong>vece, <strong>in</strong> dieci anni non aveva mai dato segno di sapere della sua esistenza.<br />

7


Un giorno qualcuno lasciò sulla postazione di Cartuscella un plico piuttosto volum<strong>in</strong>oso. Lei lo aprì e com<strong>in</strong>ciò a leggere. Si trattava di<br />

una nuova normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. “Interessante” pensò Cartuscella, “non avevo mai pensato a quanti rischi si<br />

corressero lavorando.” Il documento <strong>in</strong>dicava chiaramente regole e direttive, e soprattutto obbligava l’azienda a designare uno dei suoi<br />

dipendenti come responsab<strong>il</strong>e della sicurezza. Il prescelto avrebbe dovuto seguire un corso specifico durante <strong>il</strong> quale avrebbe imparato<br />

tutto ciò che c’era da sapere <strong>in</strong> merito. Cartuscella si recò con <strong>il</strong> plico <strong>in</strong> mano dal responsab<strong>il</strong>e del personale, un omaccione burbero e<br />

scontroso.<br />

“Questa è materia del grande capo. Si rivolga a lui.” “Il grande…” “Sì, <strong>il</strong> dottor Balocchi. Vada, vada.” Cartuscella si sentì mancare le<br />

gambe. Mentre bussava alla porta di Alberico, Cartuscella temette tutta la fabbrica potesse udire i colpi furiosi del suo cuore impazzito.<br />

“Prego.”<br />

Alberico non alzò <strong>il</strong> volto dallo schermo del computer <strong>il</strong> che fu un sollievo per Cartuscella che non avrebbe retto <strong>il</strong> suo sguardo così<br />

ravvic<strong>in</strong>ato. Era bellissimo. La camicia bianca perfetta e la cravatta cerulea facevano risaltare la sua carnagione scura. Le dita lunghe<br />

e forti picchiettavano sulla tastiera con ritmo e vigore. Cartuscella sentì la voce morirle <strong>in</strong> gola. “Prego, mi dica.” “B…buongiorno<br />

dottore, avrei questo plico per lei. Si tratta…si tratta della nuova normativa <strong>in</strong> tema di sicurezza…” Alberico la guardò con quegli<br />

immensi occhi blu e le sorrise con aria confusa. “Ah… grazie. Accidenti, sì è vero. Sapevo di questa faccenda. Sfortunatamente non<br />

posso occuparmene al momento. Ma so che lei è brava con le carte, no? Se ne potrebbe occupare lei?” Cartuscella si sentì svenire.<br />

Sapeva di lei! “Io…io posso provarci ma… c’è un corso da seguire…” “Il fatto è che sono pieno di lavoro f<strong>in</strong>o al collo. Se c’è una<br />

cosa che non mi preoccupa <strong>in</strong> azienda è la sicurezza. Credo che nessuno si sia mai rotto un’unghia <strong>qui</strong> dentro. Comunque, se abbiamo<br />

l’obbligo di aderire a questa nuova normativa, facciamolo pure. Io la designo responsab<strong>il</strong>e della faccenda, segua questo benedetto corso<br />

e se la sbrighi lei.” “Ci proverò…” “Sono sicuro che ci riuscirà. Buon lavoro.” Cartuscella scese le scale <strong>in</strong> stato di trance. Chantal e<br />

Chanel le sib<strong>il</strong>arono dietro “Oggi qualcuno ha la faccia da sogliola!” Ma Cartuscella non le sentì neanche. Si sedette alla scrivania con<br />

<strong>il</strong> plico davanti e com<strong>in</strong>ciò a prender nota.<br />

Il corso si rivelò molto <strong>in</strong>teressante. Cartuscella si appassionò molto all’argomento. Soprattutto si rese conto che <strong>in</strong> tanti anni la<br />

Balocchi&Brothers aveva sottovalutato troppo l’aspetto della sicurezza. Non c’erano uscite d’emergenza, mancavano gli est<strong>in</strong>tori, gli<br />

operai non erano vestiti adeguatamente, <strong>il</strong> divieto di fumo non era rispettato. Insomma un disastro. Da allora <strong>in</strong> poi ora se ne sarebbe<br />

occupata lei. Alberico glie ne sarebbe stato grato, e avrebbero lavorato <strong>in</strong>sieme al problema, fianco a fianco. E poi chissà…magari…<br />

da cosa nasce cosa…<br />

Ma al suo ritorno <strong>in</strong> azienda, Cartuscella si rese conto nessuno le avrebbe prestato ascolto, men che mai Alberico. Tutta la fabbrica<br />

era <strong>in</strong> fibr<strong>il</strong>lazione per <strong>il</strong> Centenario. “Oddio è vero, <strong>il</strong> Centenario!” Quell’anno la Balocchi&Brothers compiva cento anni di attività<br />

8


e la direzione <strong>in</strong>tendeva festeggiare l’evento con una grande festa <strong>in</strong> azienda. Mancava un mese al grande giorno eppure <strong>il</strong> clima era<br />

già frizzante come una gazzosa. Chanel e Chantal erano <strong>in</strong> delirio. “Sono <strong>in</strong>decisa tra un Valent<strong>in</strong>o e un Prada” “Io tra un Mosch<strong>in</strong>o<br />

e un Armani” Cartuscella sorrise al pensiero che si potessero spendere tre stipendi per un abito. “Cosa ridi tu? Tanto trasparente sei<br />

e trasparente sarai anche quel giorno lì.” La cattiveria di quelle due serpi non la ferì. Dall’<strong>in</strong>contro con Alberico non si sentiva più<br />

trasparente. Peccato che negli ultimi giorni non riusciva a <strong>in</strong>contrarlo. Era talmente preso dall’organizzazione del Centenario che non<br />

aveva più fatto <strong>il</strong> suo consueto giro <strong>in</strong> produzione. Doveva assolutamente parlargli del piano d’ac<strong>qui</strong>sto della nuova attrezzatura e della<br />

formazione per <strong>il</strong> personale. C’era una scadenza improrogab<strong>il</strong>e da rispettare e se fossero arrivati dei controlli tutta l’azienda ne avrebbe<br />

fatto le spese, lei <strong>in</strong> prima persona. Trascorsi altri due giorni si decise a bussare al suo ufficio. Non c’era più tempo per titubare.<br />

“È permesso?” “Avanti.” “Salve dottore.” Alberico <strong>in</strong> doppiopetto grigio e cravatta lavanda era impeccab<strong>il</strong>e e irresistib<strong>il</strong>e come sempre<br />

“Ah, <strong>il</strong> mio angelo della sicurezza!” Cartuscella si sentì avvampare.<br />

Ist<strong>in</strong>tivamente si portò una mano ai capelli sperando fossero <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e. Abbozzò un timido sorriso e com<strong>in</strong>ciò: “Dottore, ci sarebbero<br />

degli ac<strong>qui</strong>sti da fare, l’azienda dovrebbe dotarsi di attrezzature f<strong>in</strong>alizzate alla sicurezza…” “Signor<strong>in</strong>a cara, mi creda non ho tempo<br />

davvero. Faccia una cosa, vada direttamente <strong>in</strong> ufficio ac<strong>qui</strong>sti e ord<strong>in</strong>i quello che serve.” “Non è solo una questione di ac<strong>qui</strong>sti, ci<br />

sarebbero delle regole che tutto <strong>il</strong> personale dovrebbe conoscere attraverso un’apposita formazione, per cui è necessar…” “Signor<strong>in</strong>a la<br />

prego. Ne riparleremo dopo <strong>il</strong> Centenario. Anzi, mi raccomando, non manchi alla festa. Indossi un bel vestito e venga con <strong>il</strong> suo miglior<br />

sorriso. La aspetto per un giro di valzer.” “Un valzer?” “Già, ci sarà un’orchestra che suonerà dal vivo. Sarà un evento fiabesco. Tutti<br />

i giornali ne parleranno.” Cartuscella era stordita. Alberico Balocchi le aveva chiesto un ballo.<br />

I giorni passavano e lei non stava più nella pelle. “Mi ha promesso un ballo… un valzer…!” Le bambole la guardarono s<strong>il</strong>enziose e<br />

benevole. “R<strong>il</strong>assati Cartuscella, l’avrà detto a tutte le impiegate.” “Uh! Celest<strong>in</strong>o…io stavo parlando con…” “Sì certo. Tieni, firma<br />

un po’ questa consegna.” “Ah! F<strong>in</strong>almente i nuovi est<strong>in</strong>tori.” E <strong>il</strong> gran giorno arrivò.<br />

Cartuscella chiese <strong>in</strong> prestito a sua cug<strong>in</strong>a un delizioso abito rosa cipria che le stava alla perfezione. Il ballo si sarebbe tenuto nel salone<br />

al piano superiore. La ditta <strong>in</strong>caricata degli addobbi aveva fatto le cose <strong>in</strong> grande. Non sembrava più la vecchia azienda ma un vero e<br />

proprio castello <strong>in</strong>cantato. Quella sera fu concesso ai dipendenti di tornare prima a casa per dar loro <strong>il</strong> tempo di prepararsi. Cartuscella<br />

tremando per l’eccitazione si vestì, sciolse i capelli, mise le lenti a contatto e si truccò leggermente. Guardandosi allo specchio sussultò.<br />

Era proprio sua quella sagoma sott<strong>il</strong>e ed elegante? “E<strong>il</strong>à che bambola!” nel parcheggio dell’azienda Celest<strong>in</strong>o rimase a bocca aperta.<br />

“Grazie! Anche tu sei niente male. Questo gessato ti sta benone.” “Andiamo e facciamo fav<strong>il</strong>le!” <strong>il</strong> giovane le offrì <strong>il</strong> braccio e <strong>in</strong>sieme<br />

si <strong>in</strong>camm<strong>in</strong>arono verso l’<strong>in</strong>gresso. Le porte si aprirono rivelando uno sbarluccichio fastidioso nell’atrio: erano Chanel e Chantal<br />

aggh<strong>in</strong>date come due lampadari. I loro occhi si riempirono di <strong>in</strong>vidia e sorpresa. Si scambiarono uno sguardo di <strong>in</strong>tesa ed esclamarono<br />

9


all’unisono “Dove credi di andare?” “Come voi, alla festa, perché?” Chanel strizzò gli occhi con perfidia: “Non hai visto i fascicoli che<br />

ti ho lasciato sulla scrivania? Devi farne trenta copie ciascuno entro stasera. È un lavoro U-R-G-E-N-T-I-S-S-I-M-O.” “Trenta copie<br />

ciascuno? Scherzi? Saranno migliaia e migliaia di fotocopie!” Chantal sorrise: “Che vuoi farci? Se com<strong>in</strong>ci ora, forse ce la farai a salire<br />

su per <strong>il</strong> br<strong>in</strong>disi f<strong>in</strong>ale. Forse.” Le due streghe si guardarono tra loro con velenosa soddisfazione. Celest<strong>in</strong>o provò a dir qualcosa: “Siete<br />

sicure sia così urgente? Magari possiamo chiedere al direttore…” “Sei matto a voler disturbare <strong>il</strong> direttore con queste sciocchezze proprio<br />

adesso?” Cartuscella si girò di colpo e com<strong>in</strong>ciò a correre. Non voleva che quelle due arpie vedessero le sue lacrime. E lì, nel s<strong>il</strong>enzio<br />

dello stab<strong>il</strong>imento buio, Cartuscella si abbandonò a un pianto disperato. Cosa credeva di fare, povera <strong>il</strong>lusa? Sarebbe sempre rimasta<br />

per tutti “Cartuscella, l’<strong>in</strong>sulsa impiegata occhialuta”. E <strong>il</strong> suo nuovo <strong>in</strong>carico come responsab<strong>il</strong>e della sicurezza non avrebbe cambiato<br />

nulla. “Perché piangi bella ragazza?” Cartuscella trasalì, si girò ma non vide nessuno “Chi ha parlato?” “Hai bisogno di una mano?”<br />

“Chi è?” Cartuscella cont<strong>in</strong>uava a non vedere nessuno. “Siamo noi!” “Oh santo cielo!” Le bambole stavano parlando. “Ma… voi…<br />

parlate?” “Certo che parliamo!” “Io credevo diceste solo mamma, pappa e ti voglio bene!” “Beh, con bamb<strong>in</strong>e dai tre ai sette anni<br />

cos’altro dovremmo dire?” “Non posso crederci, che mi prenda un colpo…” “Lascia stare i colpi e va a ballare con <strong>il</strong> tuo pr<strong>in</strong>cipe. Qui<br />

ci pensiamo noi. Sappiamo come si fa, ti abbiamo osservata tante volte alle prese con quest’aggeggio.” Cartuscella <strong>in</strong>credula lasciò un<br />

piccolo esercito di bambole <strong>in</strong>daffarate attorno alla fotocopiatrice e corse verso le scale urlando “Grazie! Grazie!”. Non appena varcò<br />

la soglia del salone tutti si girarono a guardarla ma pochi la riconobbero.<br />

Cartuscella avanzò leggiadra. Chanel e Chantal stavano avventandosi su di lei quando Celest<strong>in</strong>o le bloccò con gent<strong>il</strong>e fermezza: “Signore,<br />

<strong>il</strong> buffet è aperto, sono sicuro che preferite andarci da sole piuttosto che essere accompagnate.” Le due iene, prese alla sprovvista, si<br />

allontanarono tramortite. “Madame, so di non essere nel suo carnet, ma mi farebbe l’onore di concedermi <strong>il</strong> primo ballo?” Cartuscella<br />

sorrise a Celest<strong>in</strong>o e annuì divertita. Ma <strong>in</strong> quell’istante <strong>il</strong> suo sogno <strong>in</strong>iziò a prendere vita. Alberico si diresse verso di lei con sguardo<br />

diretto e <strong>in</strong>tenso, le prese la mano e la sfiorò leggermente con le labbra. “Il nostro ballo, signor<strong>in</strong>a.” Cartuscella si abbandonò tra le<br />

sue braccia e non vide più nulla. Non vide Celest<strong>in</strong>o che <strong>in</strong>dietreggiava lasciando <strong>il</strong> passo al capo, non vide Chanel e Chantal restare<br />

fulm<strong>in</strong>ate e spegnersi come vecchie lampad<strong>in</strong>e, non vide gli altri <strong>in</strong>vitati fermarsi ad ammirare la coppia. I suoi piedi volteggiavano sulle<br />

note del valzer e la sua testa era tra le nuvole. Alberico la guardò con passione e com<strong>in</strong>ciò a sussurrarle qualcosa all’orecchio. Ma lei non<br />

non riuscì a sentire perché le urla di alcuni presenti coprirono la sua voce. Il valzer cessò di colpo, Alberico si staccò da lei e la magia si<br />

ruppe come un piatto. “Che diam<strong>in</strong>e succede?” “AL FUOCO!” Cartuscella si sentì travolta dal fuggi fuggi generale, f<strong>in</strong>ché non vide le<br />

fiamme aggredire i tendaggi del salone. Probab<strong>il</strong>mente un fumatore distratto aveva <strong>in</strong>volontariamente appiccato <strong>il</strong> fuoco. La gente <strong>in</strong><br />

preda al panico non sapeva che direzione prendere, tutti urlavano ammassandosi contro le porte che parevano bloccate. Non appena<br />

si riebbe, Cartuscella corse verso Celest<strong>in</strong>o che tentava di domare <strong>il</strong> fuoco con la sua giacca. “Celest<strong>in</strong>o! Hai portato uno di quegli<br />

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est<strong>in</strong>tori anche <strong>qui</strong> come ti avevo chiesto?” “Sì! L’ho messo <strong>in</strong> quel ripostiglio laggiù!” Correndo vide Alberico che tossiva furiosamente<br />

per <strong>il</strong> fumo e sgomitava disperatamente per raggiungere l’uscita. Avrebbe voluto fermarsi ad aiutarlo ma proseguì, spalancò la porta del<br />

ripostiglio e afferrò l’est<strong>in</strong>tore. Si ricordò delle istruzioni <strong>in</strong> caso di <strong>in</strong>cendio ricevute durante <strong>il</strong> corso e staccò la l<strong>in</strong>guetta di sicurezza,<br />

poi si avvic<strong>in</strong>ò pericolosamente alle fiamme sempre più alte e premette la leva. Dall’est<strong>in</strong>tore fuoriuscì una valanga di schiuma che<br />

<strong>in</strong> pochi m<strong>in</strong>uti domò l’<strong>in</strong>cendio. “Caspita Cartuscella, vai forte con quell’arnese!” Celest<strong>in</strong>o aveva <strong>il</strong> volto nero di fuligg<strong>in</strong>e, l’abito<br />

bruciacchiato e una mano ferita. Fortunatamente gli altri dipendenti erano <strong>il</strong>lesi, solo molto spaventati, qualcuno tossiva ancora ma nulla<br />

di grave. Quando si accorsero che era stata Cartuscella a spegnere l’<strong>in</strong>cendio, esplosero <strong>in</strong> un fragoroso applauso liberatorio. Cartuscella<br />

era stordita, non era abituata a stare al centro dell’attenzione, men che mai vestita a quel modo e con un est<strong>in</strong>tore <strong>in</strong> mano! “Lo sapevo<br />

che eri <strong>il</strong> mio angelo della sicurezza” Alberico, riac<strong>qui</strong>state compostezza ed eleganza, la prese dolcemente per le spalle e la str<strong>in</strong>se <strong>in</strong> un<br />

lungo abbraccio. Cartuscella rimase immob<strong>il</strong>e. Tutto ciò cui riuscì a pensare fu che Alberico era passato dal “lei” al “tu” senza che la<br />

cosa la emozionasse. “Dottor Balocchi, con <strong>il</strong> dovuto rispetto, non esistono angeli della sicurezza ma solo regole e procedure da seguire.<br />

Soprattutto esistono delle priorità secondo cui la sicurezza dei suoi dipendenti dovrebbe essere al primo posto. Adesso se vuole scusarmi,<br />

accompagno al Pronto Soccorso l’unico vero angelo della situazione.” “Ma…” Alberico Balocchi non sembrava più tanto affasc<strong>in</strong>ante<br />

con quell’espressione smarrita e quel balbettio sulle labbra. “Celest<strong>in</strong>o, andiamo?” Mentre si allontanavo verso l’uscita, nel salone<br />

cadde <strong>il</strong> gelo a raffreddare la temperatura.<br />

“Caspita Cartuscella, quando dicevo che avremmo fatto fav<strong>il</strong>le non <strong>in</strong>tendevo certo questo!” “Sai che sei buffo con la faccia affumicata?<br />

Da oggi ti chiamerò Grigiol<strong>in</strong>o.” “A proposito, Cartuscella. Sai che non conosco <strong>il</strong> tuo vero nome?” “Se te lo dicessi non mi crederesti.”<br />

“Spara.” “Il mio vero nome è… Fiamma.”<br />

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M<strong>il</strong>a e i lamponi<br />

di Francesca Zazzera<br />

Seconda Classificata sezione Favole solo testo<br />

C’era una volta un’Isola, un’isola bellissima e selvaggia nel cuore del grande Mare Mediterraneo. Da ogni punto dell’Isola e soprattutto<br />

dall’alto Monte Acros, si vedeva proprio lui, <strong>il</strong> Mare, spumeggiante, dal colore blu <strong>in</strong>tenso e cristall<strong>in</strong>o al tempo stesso. Se appoggiavi<br />

all’orecchio una delle tante conchiglie madreperlate che si trovavano sulla spiaggia f<strong>in</strong>e e dorata, potevi davvero sentire la sua voce, la<br />

voce del Mare. L’Isola si chiamava Lamponia, e aveva questo nome perché nella vegetazione <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ata e verdissima sulla sommità<br />

del Monte Acros crescevano tutto l’anno delle piant<strong>in</strong>e piene di lamponi dal colore rosso rub<strong>in</strong>o, grandi proprio come gemme.Da<br />

lontano, <strong>in</strong> mezzo al blu <strong>in</strong>daco del Mare, tra le rocce delle scogliere su cui sorgevano casette bianche come neve, br<strong>il</strong>lavano i punt<strong>in</strong>i<br />

rossi dei lamponi di Lamponia. Il contrasto era davvero spettacolare, e <strong>il</strong> momento più bello e romantico era <strong>il</strong> tramonto, quando le<br />

barche dei pescatori rientravano e quando anche <strong>il</strong> Sole br<strong>il</strong>lava e sembrava un lampone gigante, che si tuffava nell’acqua dorata. Tutti<br />

gli abitanti dell’Isola di Lamponia erano particolarmente ghiotti di lamponi. Se mettevi <strong>in</strong> bocca uno di questi frutti, raccolti tutto<br />

l’anno tra i cespugli del Monte, si scioglievamo come una dolcissima gelat<strong>in</strong>a zuccherata ma non troppo. La gelat<strong>in</strong>a aveva anche dei<br />

magici poteri. E quali erano questi poteri? Beh, i lamponi magici di Lamponia allontanavano tutti i mali e donavano <strong>il</strong> sorriso, ma solo<br />

<strong>in</strong> pochi potevano usarli per curare le persone e, <strong>in</strong> particolare, i bamb<strong>in</strong>i. A Lamponia abitava una giovane dottoressa, la Dottoressa<br />

M<strong>il</strong>a, ma tutti la chiamavano semplicemente M<strong>il</strong>a. Era la figlia del pescatore Joe, un vecchio lupo di mare. E M<strong>il</strong>a, beh, era davvero<br />

una gran bellezza. Aveva lunghi capelli mossi e ramati, che si decorava con una piccola stella di mare e occhi a mandorla color oltremare.<br />

Le labbra erano proprio del colore rosso dei lamponi e si aprivano <strong>in</strong> un dolce, magico sorriso. M<strong>il</strong>a aveva anche un simpatico gatto,<br />

Miele, dal lungo pelo color miele appunto, e davvero cicciotto, molto goloso e, <strong>in</strong> particolare, adorava i lamponi. M<strong>il</strong>a aveva studiato<br />

lontano, <strong>in</strong> città, ma poi aveva deciso di tornare ad aiutare <strong>il</strong> suo popolo, perché all’Università aveva appreso la scienza, sì, ma lei aveva<br />

ereditato tutto <strong>il</strong> sapere della sua cara vecchia nonna Egea. Nonna Egea era una vera celebrità sull’Isola: ne conosceva ogni più <strong>in</strong>timo<br />

segreto. Conosceva <strong>il</strong> potere del mare, gli effetti di tutte le radici, le erbe, i segreti sussurrati dalle conchiglie, sapeva parlare con i pesci!<br />

Preparava delle creme miracolose con i ricci di mare, estraeva le perle dalle ostriche per farne orecch<strong>in</strong>i e collane che regalava alla sua<br />

nipote M<strong>il</strong>a. E, soprattutto, conosceva i segreti dei lamponi: preparava biscotti, crostate, marmellate, bignè, torte e perf<strong>in</strong>o m<strong>in</strong>estre!<br />

Spaghetti! Risotti! Con i magici lamponi. E alla giovane M<strong>il</strong>a la nonna Egea <strong>in</strong>segnò tutti questi segreti e tutte queste ricette. Tutta la<br />

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gente dell’Isola le conosceva, e se qualcuno stava male, aveva un problema, o si era lasciato con l’amata, si rivolgeva a loro. M<strong>il</strong>a adesso<br />

era una dottoressa, ma sapeva conc<strong>il</strong>iare la scienza con <strong>il</strong> sapere tradizionale dell’Isola. I bamb<strong>in</strong>i non avevano paura di lei. Se doveva<br />

fare loro una puntura al seder<strong>in</strong>o, con un sorriso porgeva un delizioso, soffice muff<strong>in</strong>, che al primo morso rivelava un cuore pulsante di<br />

lamponi. Così, quando <strong>il</strong> muff<strong>in</strong> era f<strong>in</strong>ito la puntura era già fatta! Una volta una bamb<strong>in</strong>a cadendo <strong>in</strong> tuffo si era fatta male al braccio:<br />

con una pomata all’aroma di lampone <strong>il</strong> dolore passò <strong>in</strong> un batter d’occhio. Una volta un bimbo pianse solo perché Miele, <strong>il</strong> gatto, si<br />

era tuffato <strong>in</strong> velocità e gli aveva sottratto lo zucchero f<strong>il</strong>ato al lampone per guarire <strong>il</strong> suo morb<strong>il</strong>lo. <strong>il</strong> Insomma, tutti i bamb<strong>in</strong>i dell’Isola<br />

volevano farsi visitare da lei, e non solo, anche i grandi la cercavano sempre. Il suo studio era situato <strong>in</strong> una casa di legno bianca, dalle<br />

tende sott<strong>il</strong>i e velate che ondeggiavano al soffio mare. Era tutta piena di conchiglie, cesti bianchi di vim<strong>in</strong>i ripieni di lamponi rossi. Dalla<br />

sua f<strong>in</strong>estra si vedeva un tramonto mozzafiato e, <strong>in</strong> lontananza, <strong>il</strong> vecchio faro. Le sue giornate scorrevano serene, tra le varie visite e<br />

le ricette da preparare. Passava le sere <strong>in</strong>sieme a suo padre, <strong>il</strong> vecchio lupo di mare Joe, che si sedeva <strong>in</strong> veranda dopo una lunga<br />

giornata <strong>in</strong> mare aperto, con un mezzo sigaro <strong>in</strong> bocca e la sua maglia a righe bianche e blu. Contemplava <strong>il</strong> mare al tramonto mentre<br />

M<strong>il</strong>a grigliava <strong>il</strong> pesce appena pescato e condiva con saporita salsa di lamponi, ovviamente. “Stanno tornando, dalla mia barca ne ho<br />

visti tanti stamatt<strong>in</strong>a, sai M<strong>il</strong>a”, fece Joe alla figlia. “Sempre loro, i ragazzi-venuti-dal-mare?”, chiese M<strong>il</strong>a e i suoi begli occhi si<br />

scurirono un po’. I ragazzi-venuti-dal-mare erano giovani, per lo più, ma <strong>in</strong> realtà c’erano anche anziani, donne e bamb<strong>in</strong>i stupendi,<br />

dagli occhioni neri come <strong>il</strong> carbone e la pelle nocciola. I-ragazzi- venuti-dal-mare sfuggivano al loro dest<strong>in</strong>o, perché abitavano <strong>in</strong> una<br />

terra piena di deserto sabbioso al di là del Mare. Una terra molto ricca, dove regnava però un tiranno che li costr<strong>in</strong>geva a lavorare<br />

duramente senza pagarli, lasciandoli <strong>in</strong> povertà. Per questo loro tentavano la fortuna e salivano su vecchie navi, molto pericolose, che<br />

a volte tragicamente affondavano quando c’era burrasca. Altre volte i ragazzi-venuti-dal-mare riuscivano a raggiungere le coste di<br />

Lamponia e la matt<strong>in</strong>a dopo la traversata M<strong>il</strong>a spesso li ha visti esausti, abbandonati a loro stessi, sulla spiaggia. M<strong>il</strong>a si avvic<strong>in</strong>ava e<br />

portava loro cest<strong>in</strong>i di lamponi aspettando pazientemente che aprissero gli occhi, per chiedere loro “Come state? Da dove venite? Volete<br />

un succo di lampone fresco? Vi rifoc<strong>il</strong>lerà dal viaggio!” M<strong>il</strong>a faceva semplicemente <strong>il</strong> suo dovere di medico, lo aveva giurato <strong>il</strong> giorno<br />

della laurea, quando pronunciò <strong>il</strong> famoso Giuramento di Ippocrate. Riusciva a dare a questi ragazzi-venuti-dal-mare un po’ di conforto,<br />

visto che erano totalmente spaesati e non capivano nemmeno una parola della l<strong>in</strong>gua di Lamponia. Una volta però arrivarono le<br />

guardie con un mandato di arresto proprio per M<strong>il</strong>a, voluto dal S<strong>in</strong>daco di Lamponia Jack Lo Scaltro. “E perché mai volete arrestarmi,<br />

sto solo facendo <strong>il</strong> mio lavoro di medico!”, disse M<strong>il</strong>a alle guardie davvero sorpresa. “Ci dispiace, M<strong>il</strong>a”, replicarono le Guardie, “ma si<br />

tratta di ord<strong>in</strong>e del S<strong>in</strong>daco: i ragazzi- venuti-dal-mare devono riprendere <strong>il</strong> largo e non possono restare a Lamponia!”. M<strong>il</strong>a pianse e<br />

si disperò, trovava davvero crudele questa decisione. Ma fu così che andò quella volta: i ragazzi-venuti-dal-mare dovettero far ritorno<br />

al paese di sabbia, senza che M<strong>il</strong>a poté offrire loro nemmeno delle cure di lamponi. Così, mentre <strong>il</strong> vecchio Joe le parlava dell’avvistamento<br />

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della barca dei ragazzi-venuti-dal-mare, subito M<strong>il</strong>a pensò che le cose stavolta sarebbero andate diversamente, secondo <strong>il</strong> suo cuore e<br />

la sua coscienza di medico e donna. Per questo si mise subito all’opera e mandò Miele a chiamare i suoi due piccoli amici: Bea e Nico,<br />

due bamb<strong>in</strong>i abitanti dell’isola che le erano molto affezionati. Bea era una bellissima bamb<strong>in</strong>a bionda e birich<strong>in</strong>a di sei anni, Nico <strong>in</strong>vece<br />

aveva tanti riccioli neri e aveva sette anni; erano due fratell<strong>in</strong>i. Subito i due bimbi accorsero a casa di M<strong>il</strong>a e preparano <strong>in</strong>sieme la<br />

strategia per l’<strong>in</strong>domani matt<strong>in</strong>a, quando la barca sarebbe arrivata al porto di Lamponia. La matt<strong>in</strong>a all’alba, tutti <strong>in</strong>sieme erano là,<br />

pronti ad aspettare i ragazzi- venuti-dal-mare, M<strong>il</strong>a con Miele, Bea e Nico, con un sacco di sciroppo e biscotti di lampone per i<br />

naufraghi. Ed eccoli che piano piano i ragazzi- venuti-dal-mare sbarcarono, erano tanti! I loro occhi neri erano impauriti, ma fieri.<br />

Subito Bea e Nico distribuirono i biscotti ai lamponi, M<strong>il</strong>a <strong>in</strong>vece notò una donna bellissima dai capelli nerissimi con un grande pancione<br />

e sì, stava per nascere <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o! Nacque proprio lì sulla spiaggia, grazie all’aiuto del miracoloso olio di lampone, e lo chiamarono Joe,<br />

<strong>in</strong> segno di r<strong>in</strong>graziamento verso <strong>il</strong> vecchio Joe, papà di M<strong>il</strong>a. Proprio <strong>in</strong> quel momento magico però.. ecco sbucare dagli scogli le<br />

guardie e niente di meno che <strong>il</strong> S<strong>in</strong>daco Jack Lo Scaltro <strong>in</strong> persona! Miele fu fenomenale, abbandonò la sua pigrizia di gatto e saltò con<br />

uno scatto da ghepardo prima sulla faccia delle guardie, poi sulla testa del S<strong>in</strong>daco e gli strappò via <strong>il</strong> suo orrib<strong>il</strong>e parrucch<strong>in</strong>o f<strong>in</strong>to.<br />

Tutti ridevano a crepapelle e contemporaneamente Bea e Nico lanciavano a più non posso lamponi addosso a quelli. M<strong>il</strong>a si ritrovò<br />

faccia a faccia con Lo Scaltro e gli disse a chiare lettere senza alcun timore “Signor s<strong>in</strong>daco, mi stia a sentire! Lei non può impedirmi<br />

di dare le prime cure di lamponi a questi ragazzi-venuti- dal-mare. È contro la Scienza Medica e la tradizione di ospitalità dell’Isola di<br />

Lamponia. Tutti lo sanno! Dobbiamo pensare alla salute di tutti loro e anche alla nostra. Devono avere cure, lamponi e vacc<strong>in</strong>azioni,<br />

per prevenire ogni epidemia. Le guardie devono trovare i crim<strong>in</strong>ali, e arrestarli, ma a tutti gli altri ragazzi-venuti-dal-mare noi<br />

dobbiamo dare accoglienza e sicurezza! Allora, che dice?”. Il S<strong>in</strong>daco la guardava esterrefatto. Nel frattempo dietro M<strong>il</strong>a si era radunata<br />

una folla di ragazzi- venuti-dal-mare e abitanti dell’Isola di Lamponia. Il S<strong>in</strong>daco non poté fare altro che annuire, e tutti esultarono!<br />

“Urrààààààààà”, <strong>in</strong> un grido di gioia. Così M<strong>il</strong>a fece <strong>il</strong> vacc<strong>in</strong>o al lampone a tutti, grandi e picc<strong>in</strong>i, visitò tutti e diede una pasticca al<br />

lampone ai più anziani. Il piccolo Joe nato sulla spiaggia era bellissimo e stava benissimo, sotto la sua culla si appisolava sempre Miele.<br />

Bea e Nico fecero amicizia con i bamb<strong>in</strong>i-venuti-dal-mare e scambiarono giochi e biscotti ai lamponi e alla cannella. Mentre faceva le<br />

sue visite, M<strong>il</strong>a <strong>in</strong>contrò un ragazzo, aveva occhi nerissimi e le regalò una perla nera colpito dalla sua bellezza. Si chiamava Omar. M<strong>il</strong>a<br />

si <strong>in</strong>curiosì molto.. Un giorno, passeggiava sulla scogliera col suo bel cappello bianco e da lontano vide Omar, proprio lui, che si trovava<br />

<strong>in</strong> alto sul cantiere della nuova v<strong>il</strong>la favolosa di Jack Lo Scaltro, che sorgeva tra la vegetazione <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ata. Omar era lassù, <strong>in</strong> alto,<br />

su un’impalcatura, senza nemmeno un casco protettivo. Dal basso Jack Lo Scaltro gli dava ord<strong>in</strong>i col suo nuovo orrib<strong>il</strong>e parrucch<strong>in</strong>o:<br />

“Forza su, pi <strong>in</strong> alto! Più veloce!”. M<strong>il</strong>a si precipitò giù verso la v<strong>il</strong>la furiosa e m<strong>in</strong>acciò Jack Lo Scaltro “ Brutto del<strong>in</strong>quente dai capelli<br />

f<strong>in</strong>ti, sei vergognoso! Omar rischia di cadere lassù e tu non gli fornisci nemmeno una protezione, gli dai una paga bassissima e ti<br />

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comporti così con tutti i tuoi dipendenti!” . Il S<strong>in</strong>daco, viola <strong>in</strong> faccia, se la diede a gambe levate. Il Presidente dello Stato Napolitone<br />

ord<strong>in</strong>ò che non si facesse più vedere <strong>in</strong> giro, e qualcuno sa che Jack lo Scaltro vaga per <strong>il</strong> mondo perseguitato da un vento aliseo che gli<br />

fa volare dalla testa <strong>il</strong> ridicolo parrucch<strong>in</strong>o, e lui, <strong>in</strong>vano, cerca di riacchiapparlo. Alla notizia della cacciata di Jack Lo Scaltro grazie a<br />

M<strong>il</strong>a, i suoi amici Bea, Nico, Joe, Omar e Miele le organizzarono una splendida festa a sorpresa sulla spiaggia. Tutta l’isola partecipò:<br />

si arrostivano calamari e totani, si farcivano capesante e cozze, scorrevano fiumi di succo di lampone e si ballavano musiche mediterranee<br />

al chiaro di luna. E al chiaro di luna, Omar chiese a M<strong>il</strong>a di sposarlo. M<strong>il</strong>a accettò, e vissero <strong>in</strong> armonia, tolleranza e sicurezza nella<br />

favolosa e <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ata Isola di Lamponia.<br />

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Re Ben Fatto e Carol<strong>in</strong>a<br />

di Stefania Liccardo<br />

Terza Classificata sezione Favole solo testo<br />

C’era una volta un re leone, Ben Fatto era <strong>il</strong> suo nome. Si chiamava così perché nel suo regno tutto funzionava con ord<strong>in</strong>e ed <strong>in</strong>gegno:<br />

ogni idea era presa <strong>in</strong> considerazione e la scelta del re era sempre la migliore. Da un po’ di tempo però re Ben Fatto non riusciva a<br />

riposare affatto: “A chi andrà <strong>il</strong> mio regno saggio e sicuro? Il suo futuro, aimè, io vedo scuro!” Il re saggio non aveva eredi e <strong>il</strong> pensiero<br />

che <strong>il</strong> regno non restasse <strong>in</strong> piedi, lo faceva stare davvero male: dove avrebbe trovato un altro a lui eguale? Aveva già guardato leoni,<br />

pantere, tigri e anche un visone, ma nessuno gli era apparso all’altezza della situazione. Un giorno mentre passeggiava s’ imbatté <strong>in</strong><br />

una fattoria <strong>in</strong> cui duro si lavorava. Era quella della mucca Carol<strong>in</strong>a, giovane, rispettosa e anche car<strong>in</strong>a. “Maestà mi dica, cosa posso<br />

fare?” “La tua fattoria mi piacerebbe visitare”. Così ebbe <strong>in</strong>izio subito <strong>il</strong> sopralluogo e Ben Fatto notò una grande pace <strong>in</strong> ogni luogo.<br />

Vide un cavallo lavorare cantando ed un ciuch<strong>in</strong>o che non sembrava affatto stanco. Il re li <strong>in</strong>terrogò: ”cosa vi fa così felici?” “Stiamo<br />

bene- risposero <strong>in</strong> coro- siamo amici e lavoriamo duro, ma vediamo roseo <strong>il</strong> nostro futuro. Siamo tutti rispettati e ben pagati, gratificati<br />

e anche assicurati.” Le gall<strong>in</strong>e allegre covavano le uova e si faceva festa ad ogni luna nuova. I maiali, molto emozionati, al passaggio<br />

del re si <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>arono educati e mentre i pulc<strong>in</strong>i giocavano scanzonati, altri animali che erano al lavoro gli sorrisero comunque con<br />

decoro. Poi vide <strong>il</strong> fatturato della produzione e <strong>il</strong> ricavato era davvero da gran soddisfazione! Il Re si rivolse allora a Carol<strong>in</strong>a: “questa<br />

fattoria funziona alla perfezione non ti credevo tanto padrona della situazione.” “Maestà- rispose la mucca felice- sono orgogliosa<br />

di quello che mi dice, ma io seguo solo l’esempio che lei dà trattando ogni suo suddito con la dovuta onestà. Ci ha sempre garantito<br />

averi , pace, leggi giuste e ha messo ad ogni posto la persona più capace. Ha <strong>in</strong>oltre rispettato ogni lavoratore, da quello più importante<br />

all’ultimo servitore, garantendo rispetto e sicurezza: ho imparato da lei, ad essere all’altezza!” “Ecco –rispose Ben fatto- ho trovato a<br />

chi lasciare <strong>il</strong> regno: sono sicuro che lo guiderai con lo stesso mio impegno”. Fu così che una mucca divenne reg<strong>in</strong>a ma restò sempre<br />

la stessa di prima. Um<strong>il</strong>e, saggia e gran lavoratrice, rese quel regno ancora più felice. Perché se si produce <strong>in</strong> onestà e sicurezza <strong>il</strong><br />

guadagno e <strong>il</strong> buon umore, sono una certezza! Questa è proprio una favola, direte, non è la verità perché molto diversa è la nostra<br />

realtà; è vero, ma si può sperare, partendo da una favola, di <strong>in</strong>iziare a cambiar le carte <strong>in</strong> tavola per arrivare con più umanità a<br />

lavorare tutti nella legalità.<br />

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Lucidastella <strong>il</strong> Galatticante<br />

di Tania Giacomello<br />

Prima Classificata sezione Favole <strong>il</strong>lustrate<br />

Questa è la storia di un galatticante che un giorno...un momento.<br />

Immag<strong>in</strong>o che nessuno di voi sappia chi siano i galatticanti, è<br />

diffic<strong>il</strong>issimo vederne uno.<br />

Bene, dovete sapere che si tratta di om<strong>in</strong>i molto molto speciali, che<br />

attraversano l’Universo da una parte all’altra per mantenerlo sempre<br />

pulito e ord<strong>in</strong>ato, aff<strong>in</strong>ché tutto funzioni alla perfezione.<br />

Io vi racconterò la storia di Lucidastella, un galatticante che trascorreva<br />

le sue giornate a lustrare gli astri, per farli risplendere e br<strong>il</strong>lare come<br />

pietre preziose.<br />

Lucidastella era di animo buono, amava stare <strong>in</strong> compagnia, e<br />

proprio per questo aveva molti amici tra i galatticanti: Guidameteore,<br />

Girapianeta, Guardiacometa....<br />

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...ma <strong>il</strong> suo migliore amico era Spostaluna, che, sera dopo sera,<br />

trasc<strong>in</strong>ava la Luna attorno alla Terra con delle robuste corde<br />

d’argento, perché portasse <strong>il</strong> riposo e i sogni a tutte le genti del<br />

mondo.<br />

Accadeva spesso che Lucidastella si confidasse con Spostaluna, e<br />

gli raccontasse quanto <strong>il</strong> suo lavoro fosse noioso e <strong>in</strong>term<strong>in</strong>ab<strong>il</strong>e:<br />

-Mai un momento <strong>in</strong> cui io possa dire:<br />

“Aaahh, mi riposo”,<br />

non appena f<strong>in</strong>isco di lucidare una stella ne vedo una tutta opaca<br />

alle sue spalle e...via! Si ricom<strong>in</strong>cia!<br />

18<br />

E poi, stare attenti alle stelle <strong>in</strong>candescenti, che seccatura!!-<br />

brontolava.<br />

- Amico mio- gli diceva Spostaluna con premura- devi fare più<br />

attenzione a queste cose, <strong>in</strong>vece. Non sai che dovresti <strong>in</strong>dossare<br />

sempre i guanti cosmici per evitare di farti male?<br />

- Bah!! - rispondeva ogni volta Lucidastella, e aggiungeva- a<br />

quale scopo? Se mi facessi male nessuno si accorgerebbe della<br />

mia mancanza, <strong>il</strong> mio è un lavoro così INUTILE!<br />

Ma Lucidastella era dest<strong>in</strong>ato a cambiare idea...<br />

Un bel giorno... anzi, dovremmo dire un brutto giorno...


...mentre stava spazzolando la superficie di una stella molto<br />

vanitosa, Lucidastella fu distratto da una cometa che sfrecciava<br />

<strong>in</strong> quel momento dietro di lui. Si girò per osservare quello<br />

spettacolo meraviglioso e...sfrishhh!! Urtò con <strong>il</strong> braccio la<br />

superficie <strong>in</strong>candescente della stella. Il Lucidastella gridò così<br />

forte che gli altri galatticanti accorsero subito per vedere cos’era<br />

accaduto.<br />

Il poveretto piangeva e si lamentava:<br />

19<br />

-Ahiahi, sapevo che prima o poi sarebbe successo!<br />

Giunse <strong>in</strong> quel momento tutto svolazzante <strong>il</strong> Dottor Nebuloso, <strong>il</strong><br />

medico più autorevole di tutte le galassie.<br />

Esam<strong>in</strong>ò <strong>il</strong> braccio di Lucidastella e borbottò:<br />

- Per tutte le aurore boreali, una gran bella scottatura...- e disse ai<br />

galatticanti- Presto, chiamate l’Astrobulanza e fatelo trasportare<br />

d’urgenza al Centro Grandi Ustionati Cosmici!


E fu così che <strong>il</strong> povero Lucidastella trascorse molte<br />

settimane all’ospedale, senza poter nemmeno uscire per<br />

una passeggiata spaziale.<br />

Un giorno, mentre guardava fuori dalla f<strong>in</strong>estra, diede<br />

un’occhiata alla Terra e si accorse che i suoi abitanti, umani<br />

e animali, erano disperati, e che i telescopi puntati sul cielo<br />

erano aumentati a dismisura. Chiese all’Astro<strong>in</strong>fermiera<br />

che lo accudiva cosa fosse successo e lei, un po’ esitante,<br />

rispose che i terrestri erano preoccupatissimi perché non<br />

riuscivano più a vedere le stelle che stavano diventando<br />

sempre più opache. Lucidastella si fece triste triste, chiuse<br />

la f<strong>in</strong>estra e decise che da quel giorno non avrebbe più<br />

voluto sapere nulla di ciò che accadeva fuori di lì.<br />

20


Quando fu guarito non poté fare a meno di correre subito a vedere<br />

cos’era successo <strong>in</strong> sua assenza e...sorpresa!<br />

Le stelle erano tornate a risplendere come sempre, e gli abitanti della<br />

Terra festeggiavano con canti e balli <strong>il</strong> ritorno della notte stellata. Ma...<br />

com’era possib<strong>il</strong>e tutto questo? Pensò di cercare Spostaluna e chiedergli<br />

se ne sapeva qualcosa. Lo trovò mentre stava traghettando la Luna sopra<br />

un grande oceano azzurro. L’amico lo accolse con gioia e con grandi<br />

abbracci ma...”Strano” pensò Lucudastella “sembra molto stanco.”<br />

- Pensavi che <strong>il</strong> tuo lavoro fosse <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>e- gli disse Spostaluna- e <strong>in</strong>vece,<br />

senza di te, era come se le stelle non esistessero più. Questo è un regalo<br />

per te.<br />

21


Lucidastella scartò <strong>in</strong> fretta <strong>il</strong> pacchetto che gli porse Spostaluna,<br />

ed esclamò:<br />

- I guanti cosmici!! Grazie, sei davvero un amico!<br />

Spostaluna sorrise compiaciuto, poi assunse un’espressione seria<br />

e disse:<br />

- Beh, adesso vado a riposare un po’...domani ho un’eclissi da<br />

organizzare e sarà molto impegnativo. Sai, <strong>il</strong> Sole ha un bel<br />

caratteraccio!<br />

22<br />

Lucidastella si guardò <strong>in</strong>torno, l’Universo risplendeva attorno a<br />

lui... era davvero felice che tutto fosse tornato come prima...un<br />

momento. Ancora non aveva capito chi avesse fatto <strong>il</strong> lavoro al<br />

posto suo.<br />

Poi si ricordò la faccia stanca di Spostaluna.<br />

- Anche tu ti sei accorto della mia assenza vero? - gli disse.<br />

Spostaluna non rispose, ma sorrise, mentre si allontanava nella<br />

notte stellata.


La pr<strong>in</strong>cipessa che cuciva le borse<br />

di Roberta Masci<br />

Seconda Classificata sezione Favole <strong>il</strong>lustrate<br />

C’era una volta una pr<strong>in</strong>cipessa…<br />

ma quella volta, purtroppo,<br />

c’era anche la crisi economica,<br />

nel castello giravano pochi sold<strong>in</strong>i e,<br />

se voleva ancora scarp<strong>in</strong>e di cristallo,<br />

materassi di piume, vaporosi vestiti di tulle<br />

e squadre di top<strong>in</strong>i che portassero<br />

la carrozza (<strong>il</strong> formaggio costa),<br />

anche la nostra pr<strong>in</strong>cipessa avrebbe<br />

dovuto rimboccarsi le maniche<br />

come tutti.<br />

- “Vai a lavorare!<br />

Invece di stare tutto <strong>il</strong> giorno davanti al computer,<br />

a comprare stupidagg<strong>in</strong>i onl<strong>in</strong>e!”<br />

aveva urlato la Reg<strong>in</strong>a matrigna,<br />

buttandola fuori di casa un giorno che<br />

<strong>il</strong> Re era fuori a pescare.<br />

23


La pr<strong>in</strong>cipessa, allora, triste e addolorata, aveva girato per tutto<br />

<strong>il</strong> reame e alla f<strong>in</strong>e aveva trovato una casetta <strong>in</strong> periferia,<br />

quasi ai marg<strong>in</strong>i del bosco,<br />

da dividere con sette studenti universitari fuori corso,<br />

un po’ bassi di statura,<br />

che erano iscritti a m<strong>in</strong>eralogia,<br />

e tutti i giorni uscivano<br />

di casa con grossi picconi<br />

(non sembravano avere troppa fretta di f<strong>in</strong>ire gli studi,<br />

e <strong>in</strong>fatti avevano già lunghe barbe grigie).<br />

L’affitto era vantaggioso, sì, ma doveva fare lei da sola tutte le<br />

faccende, senza nemmeno uccell<strong>in</strong>i e scoiattol<strong>in</strong>i che la aiutassero a<br />

stendere i panni.<br />

Nel frattempo, una strega malvagia, pentita della sua vecchia<br />

vita, si era adattata anche lei al momento di crisi economica<br />

e aveva <strong>in</strong>vestito i guadagni di anni e anni di f<strong>il</strong>tri magici, <strong>in</strong>cantesimi<br />

e malocchi <strong>in</strong> una piccola fabbrica di borsette da sera,<br />

che però non faceva ancora grandi affari.<br />

La nostra pr<strong>in</strong>cipessa, che non sapeva fare niente di ut<strong>il</strong>e e<br />

per questo faticava a trovare un lavoro, dopo aver cercato tanto,<br />

alla f<strong>in</strong>e, visto che un poch<strong>in</strong>o sapeva cucire<br />

(anche se f<strong>in</strong>o a quel momento lo aveva fatto solo per passare <strong>il</strong> tempo),<br />

si era rassegnata ad un lavoro modesto ed<br />

era andata a bussare alla<br />

fabbrica della ex-strega<br />

con <strong>il</strong> suo misero curriculum <strong>in</strong> mano.<br />

24


25<br />

- “È fac<strong>il</strong>e. Ma attenta agli aghi. Se ti pungerai, tutto <strong>qui</strong> cadrà <strong>in</strong><br />

un sonno di cento anni, perché arriveranno i controlli e mi faranno<br />

chiudere bottega, e andremo tutti <strong>in</strong> mezzo ad una strada!” la<br />

aveva ammonita la strega-imprenditrice.<br />

Ma la pr<strong>in</strong>cipessa, che oltre a non saper fare niente era anche un<br />

po’ presuntuosetta, aveva pensato:<br />

- “Figurati se mi pungo. Ma per chi mi ha preso?” e non prestava<br />

moltaattenzione a quello che faceva, distraendosi spesso a<br />

fantasticare.<br />

I giorni passavano, la pr<strong>in</strong>cipessa cuciva borsette su borsette si sentiva un po’ scoraggiata, perché ricordava i bei tempi <strong>in</strong> cui le comprava<br />

soltanto. Lavorava tante ore, e non aveva tempo per divertirsi. Si chiedeva se magari avesse potuto provare a tornare a casa, e magari<br />

essere più buona e d<strong>il</strong>igente con la matrigna, ma poi ci ripensava e preferiva rimettersi a lavorare.<br />

- “Quella donna sì che è una strega!” pensava spesso.


Un giorno, dopo che i sette co<strong>in</strong><strong>qui</strong>l<strong>in</strong>i avevano organizzato<br />

l’ennesima festa e a lei, come al solito, era toccato rimettere tutto <strong>in</strong><br />

ord<strong>in</strong>e, era andata a lavorare particolarmente stanca e assonnata.<br />

Gli occhi le si chiudevano, e <strong>in</strong>anellava uno sbadiglio dopo<br />

l’altro, cont<strong>in</strong>uando a fantasticare di magnifici balli ai quali avrebbe potuto<br />

sfoggiare quella splendida borsetta di perl<strong>in</strong>e che stava cucendo.<br />

Stava giusto pensando a quali scarp<strong>in</strong>e avrebbe potuto abb<strong>in</strong>arla,<br />

quando, sovrappensiero, una mano le scappò sotto gli aghi della macch<strong>in</strong>a per cucire!<br />

La strega (non ex, perché <strong>in</strong> quel momento la rabbia l’aveva fatta tornare arcigna e <strong>il</strong>lividita come ai bei tempi andati,<br />

quando era davvero malvagia) si avventò sulla sua postazione di lavoro come un fulm<strong>in</strong>e,<br />

artigliando lo schienale della sedia della pr<strong>in</strong>cipessa.<br />

26


27<br />

- “Stupida oca!<br />

Ragazz<strong>in</strong>a viziata che non ascolta mai nessuno!<br />

Ti avevo avvertito!<br />

Ora saremo tutti nei guai per colpa tua!”<br />

e cont<strong>in</strong>uava a urlare,<br />

strattonandola,<br />

senza rendersi conto che la pr<strong>in</strong>cipessa<br />

non aveva fatto una piega,<br />

e si limitava a guardare<br />

con aria imbambolata la man<strong>in</strong>a,<br />

tesa davanti a sé<br />

e lievemente sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>lante.<br />

- “Wow, allora funzionano!<br />

È stato un buon ac<strong>qui</strong>sto,<br />

altro che perdere tempo davanti al computer,<br />

come diceva sempre quell’acidona della<br />

matrigna!”.


Perché la pr<strong>in</strong>cipessa, ok, non sapeva fare niente ed era presuntuosa,<br />

ma non era stupida e dopo i primi giorni di lavoro si era resa<br />

conto che non avrebbe retto quei ritmi a lungo e che prima o poi si<br />

sarebbe distratta, non essendo abituata a faticare così tanto.<br />

Girovagando sulla rete, aveva<br />

trovato per caso, sul sito www.<br />

fatamadr<strong>in</strong>a.com (che aveva un<br />

vastissimo assortimento di oggetti<br />

magici per pr<strong>in</strong>cipesse <strong>in</strong>capaci<br />

<strong>in</strong> difficoltà), dei guanti<br />

fatati, trasparentissimi ma fatti<br />

di diamante, e <strong>qui</strong>ndi praticamente<br />

<strong>in</strong>vulnerab<strong>il</strong>i, e li aveva<br />

subito comprati, anche perchè<br />

non aveva nessuna voglia di<br />

rov<strong>in</strong>arsi le man<strong>in</strong>e.<br />

La strega si calmò, capì quello che era successo e tutti vissero felici e contenti.<br />

Anche perché la strega, che non se ne <strong>in</strong>tendeva per niente di computer e tecnologie<br />

(anni prima <strong>il</strong> massimo della tecnologia, per lei, era stato comprare <strong>il</strong> fornello a gas, <strong>in</strong>vece del focolare a legna,<br />

per mettere a cuocere le pozioni nel calderone),<br />

aveva proprio bisogno di qualcuno che si occupasse di queste cose, nella sua azienda.<br />

Perciò assunse la pr<strong>in</strong>cipessa come responsab<strong>il</strong>e amm<strong>in</strong>istrativa nella fabbrica, e come prima cosa<br />

le fece ac<strong>qui</strong>stare una grossa quantità di guanti magici per tutte le altre lavoratrici,<br />

poi le fece prendere contatto con lo staff del sito www.fatamadr<strong>in</strong>a.com perché diventasse sponsor dei suoi prodotti.<br />

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Le borsette della ormai ex-strega divennero molto popolari e<br />

vendute <strong>in</strong> tutti i negozi più lussuosi del reame,<br />

e la pr<strong>in</strong>cipessa, con un lavoro meno faticoso e meglio remunerato,<br />

salutò i sette co<strong>in</strong><strong>qui</strong>l<strong>in</strong>i bassetti e visse più tran<strong>qui</strong>lla <strong>in</strong> una casetta tutta per lei<br />

(f<strong>in</strong>ché poi non arrivò <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipe e le chiese di andare a convivere,<br />

ma questa è un’altra storia).<br />

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L’albero di Fra’ Gol<strong>in</strong>o<br />

di Nadia Ceccarelli<br />

Seconda Classificata sezione Favole <strong>il</strong>lustrate<br />

A Ronchiol<strong>in</strong>o, m<strong>in</strong>uscolo paese dell’Appenn<strong>in</strong>o Luggiano, talmente m<strong>in</strong>uscolo che google maps lo sta ancora cercando, esisteva un albero<br />

<strong>in</strong>solitamente alto e svettante su tutti gli altri: sovrastava cipressi, abeti, e pers<strong>in</strong>o <strong>il</strong> baobab gigante che <strong>il</strong> farmacista aveva portato con<br />

sé al ritorno di uno dei suoi viaggi esotici. L’ albero sp<strong>il</strong>ungone si trovava nel chiostro del convento e la sua altezza sovrastava quella<br />

del campan<strong>il</strong>e della chiesa dove ogni domenica si raccoglievano a pregare i ronchiol<strong>in</strong>i. Tutti erano abituati a quella stramberia della<br />

natura e ne erano particolarmente affezionati, anche se non faceva ombra e non produceva frutti era considerato un grande talismano<br />

portafortuna, e per la sua vic<strong>in</strong>anza al cielo, una presenza tangib<strong>il</strong>e della benevolenza div<strong>in</strong>a.<br />

I ronchiol<strong>in</strong>i formavano una comunità tran<strong>qui</strong>lla e particolarmente laboriosa, le famiglie vivevano <strong>in</strong> graziose casette con orticello<br />

annesso, i bamb<strong>in</strong>i andavano a scuola sempre dalla stessa maestra che era rimasta uguale negli anni: stessa pett<strong>in</strong>atura, stessi occhiali,<br />

stessa camicetta a fiorell<strong>in</strong>i rosa e stesso neo peloso al lato del naso. Da cento anni <strong>in</strong>segnava a leggere, scrivere e far di conto a <strong>in</strong>tere<br />

generazioni di scolaretti.<br />

Tutti gli abitanti lavoravano nella fabbrica del paese che produceva saponette e nel tempo libero vi collaboravano anche la maestra,<br />

<strong>il</strong> s<strong>in</strong>daco, <strong>il</strong> farmacista (quello del baobab) e l’<strong>in</strong>gegnere elettronico che era disoccupato perché aveva una laurea troppo avanti coi<br />

tempi. Per essere precisi, Ronchiol<strong>in</strong>o è <strong>il</strong> paese che <strong>in</strong>ventò le saponette. Alcuni storici del costume sostengono che la classica saponetta<br />

profumata sia frutto della ricerca francese nella cosmesi: niente di più sbagliato! Le saponette di Ronchiol<strong>in</strong>o partivano su carretti tirati<br />

da muli <strong>in</strong> direzione di Parigi già dai tempi di Napoleone e ancor prima erano arrivate sulle tolette di re, imperatori, sultani e faraoni.<br />

Con l’avanzare della tecnologia anche gli <strong>in</strong>gredienti venivano sostituiti e perfezionati. Le nuove saponette erano fatte con l’uso della<br />

soda caustica che ne rendeva migliore la qualità. La creatività dei ronchiol<strong>in</strong>i non conosceva limiti: saponette trasparenti con fiori e<br />

conchiglie <strong>in</strong>castonate, contenenti pietre preziose o anelli di fidanzamento, colorate, sfumate, a righe, di ogni forma e grandezza, come<br />

quella di dimensioni reali che volle fabbricare zio Patroclo a immag<strong>in</strong>e e somiglianza della bella croceross<strong>in</strong>a che tanti anni prima<br />

gli curò le ferite <strong>in</strong> guerra. Saponette al profumo di colonia, ai fiori, alla cioccolata e pers<strong>in</strong>o al baccalà (versione poco richiesta per la<br />

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verità). I bamb<strong>in</strong>i si erano divertiti a creare m<strong>in</strong>uscole sfere di sapone tanto richieste ed apprezzate all’estero dove venivano chiamate<br />

‘perle’ ma che <strong>in</strong> realtà erano ispirate alla forma del porro della maestra.<br />

Ogni domenica la collettività si riuniva tutta <strong>in</strong> chiesa per pregare e ritrovarsi tra parenti e amici. I ronchiol<strong>in</strong>i erano molto religiosi<br />

e affidavano alla bontà celeste la protezione di tutta la comunità. Le funzioni religiose della domenica erano officiate a turno dai tre<br />

fraticelli del convento, <strong>il</strong> cui ord<strong>in</strong>e orig<strong>in</strong>ario era andato perso nel trascorrere degli eventi storici. Una vecchia targa di marmo murata<br />

su un lato del convento e parzialmente ricoperta di piselli rampicanti recava la scritta ‘ora et labora’. Era stata scolpita tanti anni prima<br />

da un precedente <strong>in</strong>sediamento di monaci cistercensi ma rappresentava ancora bene lo spirito del convento e di tutto <strong>il</strong> paese.<br />

La chiesa del convento era gremita ogni domenica di gente proveniente da ogni angolo del paese, non mancavano i bamb<strong>in</strong>i e tutti gli<br />

animali domestici considerati parte della famiglia, compreso <strong>il</strong> pappagallo esotico del farmacista e l’as<strong>in</strong>o di nonno Geppo. Le funzioni<br />

si svolgevano nel pieno raccoglimento religioso e <strong>in</strong> gran rispettoso s<strong>il</strong>enzio eccetto qualche sporadico raglio e qualche ‘bella culona’<br />

proveniente dal pappagallo parlante.<br />

Tuttavia da qualche mese ormai, <strong>il</strong> rituale veniva disturbato da sempre più frequenti colpi di tosse. Iniziò la bronchite di Reg<strong>in</strong>aldo lo<br />

sm<strong>il</strong>zo che ansimava afono e sfiatato, si unì la settimana successiva la tosse can<strong>in</strong>a della povera Giuditta, mamma dei gemelli L<strong>in</strong>o e<br />

Lana anche loro alle prese con colpett<strong>in</strong>i di tosse s<strong>in</strong>cronizzati. Zio Castaldo veniva scosso da prorompenti tremori toracici che f<strong>in</strong>ivano<br />

sempre col produrre viscide secrezioni. Tra tossi,fischi,raspi e affanni, <strong>in</strong> breve tempo la chiesa si trasformò <strong>in</strong> un auditorium di cori<br />

sconcertanti: un’orchestra di rantolii dai toni bassi alternati da colpetti di tosse soprana, <strong>il</strong> tutto accompagnato dal sottofondo dei sib<strong>il</strong>i<br />

asmatici dei bamb<strong>in</strong>i. Padre Appio dall’altare cercava di dirigere i fragori polmonari coord<strong>in</strong>ando un coro più strutturato e melodioso<br />

possib<strong>il</strong>e, mettendo i sib<strong>il</strong>i <strong>in</strong> fondo, le tossi stizzose al centro e quelle grasse a s<strong>in</strong>istra, vic<strong>in</strong>o alle sputacchiere. Tuttavia più di un<br />

viandante forestiero, trovatosi a passare nei pressi della chiesa, si d<strong>il</strong>eguò a gambe levate pensando ad un rito di esorcismo <strong>in</strong> atto.<br />

I ronchiol<strong>in</strong>i avevano perso la salute per cause da loro stessi def<strong>in</strong>ite misteriose e, avendo la farmacia da tempo esaurito gli sciroppi per<br />

la tosse, le caramelle balsamiche e perf<strong>in</strong>o le zigulì, dopo essersi scolati tutte le scorte di tantum verde e anche di tantum rosa, non restò<br />

che aggrapparsi alla preghiera, chiedendo un <strong>in</strong>tervento div<strong>in</strong>o che facesse ristab<strong>il</strong>ire i poveri bronchi ansimanti.<br />

Com<strong>in</strong>ciò a girare la voce <strong>in</strong> paese, che l’albero del chiostro stava fiorendo di piccoli fiorell<strong>in</strong>i rosa e tutti accorsero con b<strong>in</strong>ocoli e<br />

cannocchiali ad osservare <strong>il</strong> fenomeno che a tanti parve f<strong>in</strong>almente un segno del div<strong>in</strong>o. Si formarono gruppi di preghiera <strong>in</strong>torno<br />

al’aiuola da dove partiva <strong>il</strong> lungo tronco. Ai fiori successero piccoli frutt<strong>in</strong>i verdi che crebbero maturando f<strong>in</strong>o a diventare sim<strong>il</strong>i a c<strong>il</strong>iegie<br />

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osse. Dopo tante pene, f<strong>in</strong>almente una risposta alle preghiere, ovvio che quei frutti rappresentavano la cura miracolosa che tutti<br />

stavano trepidamente aspettando!<br />

Si decise di raccogliere i c<strong>il</strong>iegioni per farne <strong>in</strong>fusi e decotti per tutti. Si levavano già laudi di r<strong>in</strong>graziamento, alla base della pianta si<br />

radunò tutto <strong>il</strong> paese a fare festa tra canti balli e sputazzi. Una fune legata ad un arpione fu sparata <strong>in</strong> cielo, attraversò i rami dell’albero<br />

ricadendo <strong>in</strong> terra. dall’altro capo della corda una capiente cesta di vim<strong>in</strong>i penzolava <strong>in</strong>vitante, pronta all’ascesa. Si trattava soltanto<br />

di scegliere chi dovesse salire per <strong>il</strong> raccolto. Si fece avanti <strong>il</strong> vices<strong>in</strong>daco che con i suoi centoventi ch<strong>il</strong>i di peso fece gemere la cesta già<br />

prima di salire, si presentò poi zio Castaldo, dall’espettorato fac<strong>il</strong>e e frequente, non gli fu consentito di salire perché nessuno aveva<br />

portato l’ombrello, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e fu scelto fra’ Gol<strong>in</strong>o, un giovane es<strong>il</strong>e fraticello che , con l’approvazione dei presenti entrò festoso nel canestro<br />

grande abbastanza per accogliere lui e i frutti del prodigio. Il farmacista e <strong>il</strong> barbiere fecero a gara per mostrare davanti alle signore<br />

la propria forza nel tirare la fune,tanto era lo sforzo delle loro esibizioni che ad ogni strappo emettevano fragorose pernacchie, e non<br />

sempre di rauced<strong>in</strong>e. Il risultato della disputa era che fra’ Gol<strong>in</strong>o riceveva repent<strong>in</strong>i scossoni, la cesta saliva a scatti e lui rimbalzava sul<br />

fondo, si doveva aggrappare ai bordi del recipiente per non venire catapultato.<br />

Improvvisamente <strong>il</strong> cielo si <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ò di una luce più <strong>in</strong>tensa e dorata. Dalle foglie dell’albero f<strong>il</strong>travano alcuni raggi lum<strong>in</strong>osissimi e<br />

tutti smisero di tossire mentre a bocca aperta guardavano <strong>in</strong> alto. La cesta, f<strong>in</strong>o a poco prima brutalmente strattonata, prese a salire<br />

dolcemente, senza che nessuno dei presenti issasse la fune. Lentamente e con leggerezza fra’ Gol<strong>in</strong>o si allontanava da terra diventando<br />

sempre più piccolo mentre con la mano salutava la folla sottostante. Il prescelto era ad un passo dalle prime foglie e già <strong>in</strong>travedeva i<br />

grossi frutti rossi anche se lo stupore che provava per la sorpresa gli stava facendo dimenticare lo scopo della missione. Arrivato che fu<br />

tra le fronde com<strong>in</strong>ciò a cogliere i frutti prodigiosi ma poco dopo fu tirato f<strong>in</strong>o alla sommità della chioma. L’<strong>in</strong>tero paese che lo sosteneva<br />

da sotto ora non lo vedeva più e restò <strong>in</strong> trepida attesa col fiato sospeso.<br />

Nel frattempo, adagiato sulla chioma, <strong>il</strong> fraticello sbalordito, si mimetizzava tra i rossi c<strong>il</strong>iegioni appena colti raggomitolandosi nel fondo<br />

della cesta. Una luce accecante lo colpì per qualche secondo, f<strong>in</strong>o a quando riuscì a dist<strong>in</strong>guere sempre più nitida la figura famigliare di<br />

un religioso dall’aria bonaria e paterna. ‘Figghiu caru apperchè volessito ascendere cum scarsa comoditate f<strong>in</strong> su la guspide de l’ arborea<br />

criatura? Favellame de la cagione de siffatta visita’.<br />

Mentre l’anziano frate parlava, fra Gol<strong>in</strong>o riconosceva <strong>in</strong> lui i l<strong>in</strong>eamenti di san Celest<strong>in</strong>o, protettore dei lavoratori, ritratto nell’affresco<br />

della cappella del convento. Balbettando con grande emozione, <strong>il</strong> fraticello raccontò dei malanni polmonari dei fratelli ronchiol<strong>in</strong>i e di<br />

come avessero riposto nei frutti del gigantesco albero, la speranza di un rimedio portentoso ai loro malanni. ‘Ma fussi tu <strong>in</strong>erpicato f<strong>in</strong><br />

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su lo ceppo per profferirme ridicula facezzia? Volissi afferrar me per<br />

li posteriori?’ rise, san Celest<strong>in</strong>o, e fra Gol<strong>in</strong>o appresso a lui, anche<br />

se non ne capiva <strong>il</strong> senso ‘Fratelli cari, curriggiete più tosto li loculi di<br />

laboro, protiggete le nari dai perigliosi effluvi della soda causticam che<br />

non solo fete tanto, ma arruv<strong>in</strong>a et currode le visceri! Arricuordate<br />

:Per sanar li mali non abbasta <strong>in</strong>vuocar provvidenza!<br />

F<strong>in</strong>ito che ebbe di parlare, <strong>il</strong> vecchio aureolato accarezzò<br />

affettuosamente la chierica di fra Gol<strong>in</strong>o prima di riprendere la fune<br />

ed <strong>in</strong>iziare la discesa del cesto. Quando apparve <strong>il</strong> prezioso fagotto<br />

spuntare dai rami da sotto si levò un boato festoso di urla gioiose:<br />

così come era salito, gradualmente <strong>il</strong> cesto ridiscese f<strong>in</strong>o a toccare<br />

dolcemente terra. Una folla festante circondò <strong>il</strong> giovane trasognato, ci<br />

volle un bel po’ di tempo prima che si riuscisse a cavargli una parola<br />

di bocca.<br />

Ma <strong>il</strong> messaggio di Celest<strong>in</strong>o era forte e chiaro e i ronchiol<strong>in</strong>i furono<br />

presto avvertiti dei provvedimenti concreti da prendere per la salute<br />

di tutta la comunità. Frate Appio rispolverò la vecchia targa di marmo<br />

‘ora et labora’ ‘<strong>in</strong> sicurtà’ aggiunse con lo scalpello. Tranne l’ost<strong>in</strong>ato<br />

farmacista, sostenitore del rimedio miracoloso, che si preparò nel<br />

laboratorio una marmellata di frutti rossi, tutti gli altri confezionarono<br />

guanti, attrezzi e mascher<strong>in</strong>e per evitare al massimo l’esposizione con<br />

gli agenti nocivi e quando f<strong>in</strong>almente la protezione com<strong>in</strong>ciò a dare<br />

gli attesi risultati, i ronchiol<strong>in</strong>i festeggiarono una domenica <strong>in</strong>tera,<br />

imbandendo un banchetto di prelibatezze proprio nel chiostro del<br />

convento, sotto l’albero gigante. Con voce di nuovo ferma e limpida<br />

cantarono e ballarono f<strong>in</strong>o a notte fonda: c’erano tutti, ma proprio<br />

tutti, tranne <strong>il</strong> farmacista, impossib<strong>il</strong>itato a partecipare perché l’effetto<br />

purgante dei c<strong>il</strong>iegioni lo aveva <strong>in</strong>trattenuto a casa!<br />

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Una favola per vivere (Il gr<strong>il</strong>lo parlante)<br />

di Maria Graziella Comanducci<br />

Riconoscimento della Critica<br />

Erano già passati c<strong>in</strong>que anni da quando mia<br />

moglie Karima, assieme a sua sorella, erano<br />

andate <strong>in</strong> Italia, e precisamente a Perugia. I<br />

miei figli, Aisha di 12 anni e Jabr<strong>il</strong> di 7 erano<br />

con loro. Anzi, per essere precisi, mia cognata<br />

era partita dal Marocco otto anni fa con un<br />

contratto da “badante” e, dopo tre anni, alla<br />

morte del suo anziano assistito, aveva chiamato<br />

la sorella. Assieme ad altri 4 immigrati conosciuti<br />

<strong>in</strong> Italia, avevano costituito una società per le<br />

pulizie di case o istituti. Il lavoro non mancava;<br />

avevano affittato un quartier<strong>in</strong>o dove abitare<br />

con i bamb<strong>in</strong>i e, come mi scriveva mia moglie,<br />

se io fossi stato con loro, sarebbero stati sereni.<br />

I ragazzi crescevano <strong>in</strong>serendosi bene nella<br />

scuola, prendendo abitud<strong>in</strong>i italiane e parlavano<br />

con accento perug<strong>in</strong>o.<br />

Io ero tornato a vivere con i miei anziani<br />

genitori ed un fratello con la sua famiglia e<br />

cercare di raccontarvi quanto mi mancasse la<br />

mia, sarebbe <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>e: non riuscirei ad esprimere<br />

tutta la mia tristezza. Jabr<strong>il</strong> aveva appena due<br />

anni alla partenza ed ora frequentava la prima<br />

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elementare, Aisha era <strong>in</strong> prima media, ragazz<strong>in</strong>a allegra e matura per la sua età. Per seguire la loro crescita mi aiutavano le foto<br />

che mia moglie mi mandava assieme alle lettere piene di notizie e particolari della loro vita, capivo che escludeva i problemi per non<br />

allarmarmi. Anche mia figlia mi scriveva tutte le settimane lunghe lettere, <strong>in</strong> italiano (che aveva preteso che studiassi) perché “così ci<br />

capirai subito appena vieni da noi e ti sentirai a casa” . Mi spediva libri di favole così nelle lettere parlavamo dei personaggi, quello che<br />

mi era piaciuto di più ecc . P<strong>in</strong>occhio mi aveva affasc<strong>in</strong>ato, l’avevo letto tante volte da impararlo quasi a memoria, riuscendo con una<br />

favola a viverle un’altra assieme ai miei cari. Tutta la corrispondenza di mia figlia f<strong>in</strong>iva: “ti voglio bene papà, quando vieni?” Ad essere<br />

s<strong>in</strong>cero avevo provato a raggiungerle clandest<strong>in</strong>amente, spendendo quei pochi soldi risparmiati con tanta fatica lavorando nei campi,<br />

ma oltre ad aver avuto paura di morire nella traversata, non ero riuscito ad andare oltre Lampedusa. Sono stato due mesi nel centro di<br />

accoglienza (brutta esperienza) poi sono stato rimpatriato.<br />

Ora sembra che la mia solitud<strong>in</strong>e stia per f<strong>in</strong>ire: mia cognata sposerà un italiano, un impresario ed<strong>il</strong>e di venti anni più grande di lei<br />

ma (come dice mia moglie) “le vuole tanto bene.” Così questo perug<strong>in</strong>o che <strong>il</strong> prossimo mese diventerà mio cognato, sta <strong>in</strong>oltrando la<br />

richiesta per annoverarmi fra i suoi operai. Non è una favola? Ho <strong>in</strong> mano <strong>il</strong> passaporto, mi aspetta un appartamento dove abitare, un<br />

lavoro e mia moglie e i miei figli! Nei primi giorni a Perugia mi pareva che <strong>il</strong> cuore mi scoppiasse per la felicità: mia moglie è bellissima<br />

(più di quanto ricordassi) ed aveva cresciuto bene i nostri figli che erano svegli, ma obbedienti. Tutte e due potevano dirsi italiani per<br />

le abitud<strong>in</strong>i, essere cattolici e di l<strong>in</strong>gua francese li aveva aiutati. Ciò non mi è dispiaciuto perché volevo che avessero una vita normale,<br />

come gli altri bamb<strong>in</strong>i. Aisha mi dedicava tutto <strong>il</strong> suo tempo libero per farmi conoscere la città, l’idioma e lei stessa. Era alta per la<br />

sua età e si <strong>in</strong>travedeva la bella ragazza che sarebbe sbocciata fra poco. Rivedevo <strong>in</strong> lei mia moglie quando eravamo giovanissimi ed<br />

avevamo scoperto di amarci sognando un futuro felice .Vista la miseria del nostro Paese dicevamo: “Dove non importa, ma assieme<br />

costruiremo una bella famiglia.” Con l’aiuto di Dio e lo spirito di sacrificio di mia moglie forse c’eravamo riusciti.<br />

Dopo un po’ di giorni di vacanza ho <strong>in</strong>iziato <strong>il</strong> lavoro di manovale <strong>in</strong> un palazzo che costruiva l’impresa di mio cognato. Il giorno<br />

prima mi aveva fatto visitare <strong>il</strong> cantiere, spiegandomi non solo <strong>il</strong> lavoro, presentandomi <strong>il</strong> caposquadra, ma anche chiarito che c’erano<br />

delle regole di sicurezza che bisognava rispettare. Erano importantissime non solo perché altrimenti erano previste sanzioni per me e<br />

l’impresa , ma più che altro importanti per la nostra vita. Questo scheletro di palazzone, le gru, mi avevano impressionato e tutti quei<br />

cartelli di divieto o imposizione mi lasciarono sconcertato. Aisha venne <strong>in</strong> mio aiuto, si era segnata la dicitura di tutti i cartelli, ne aveva<br />

fatto dei biglietti, così dopo cena, pazientemente, come per gioco, mi metteva sotto <strong>il</strong> naso ora l’uno ora l’altro <strong>in</strong>terrogandomi sul suo<br />

significato.<br />

“Papà, io sono <strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo parlante di P<strong>in</strong>occhio, domani e sempre quando lavori io sarò con te e ti darò buoni consigli e suggerimenti, non<br />

aver paura. Tu non disobbedire, sai bene che poi lo sconteresti.”<br />

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Il primo giorno, anche se con un po’ di apprensione, è andato bene e così le giornate a venire. Il lavoro era duro, ma ero giovane e<br />

robusto, poi avevo chi mi consigliava! Ogni tanto quando stavo per fare qualcosa di sbagliato sentivo la voc<strong>in</strong>a di Aisha che diceva:<br />

“attento papà, metti l’elmetto, non stare sotto la gru.” “Va bene- rispondevo ridendo – tutto secondo le regole. Un mio collega un giorno<br />

non poté trattenersi dal domandarmi: - Oh con chi parli, a questo piano siamo solo noi due .-Ascolto <strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo parlante di P<strong>in</strong>occhio –<br />

L’altro mi lanciò uno sguardo compassionevole e scrollando la testa. Io non conosco e non vedo questo gr<strong>il</strong>lo, ma se a te fa compagnia,<br />

ognuno ha le sue fissazioni. –<br />

Trascorsero due anni velocemente, senza grossi problemi. Certo non furono id<strong>il</strong>liaci come i primi mesi, eravamo diventati zii e quel<br />

frugoletto ci calmava la nostalgia per <strong>il</strong> nostro Paese ed i nostri cari che avevamo lasciato. A Perugia avevamo stretto delle amicizie, a<br />

dir la verità erano tutte della nostra comunità, però avevamo un buon rapporto con i genitori dei compagni di scuola dei nostri figli.<br />

Mia moglie lavorava molto, delle rughe com<strong>in</strong>ciavano a segnare <strong>il</strong> suo volto, avrei voluto poterla mantenere a casa, ma la vita era<br />

cara, Aisha frequentava <strong>il</strong> liceo scientifico (era bravissima a matematica) perciò seguitavamo a lavorare duro, del resto come faceva la<br />

maggior parte delle famiglie italiane. In casa con noi “abitava” <strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo parlante di P<strong>in</strong>occhio, era diventata ormai un’abitud<strong>in</strong>e la sera<br />

domandarci quante volte <strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo ci aveva parlato. Era un modo per sapere quante volte i miei figli (e anch’io) avevamo avuto un dubbio<br />

fra cose fatte bene o male. Jabr<strong>il</strong> all’<strong>in</strong>izio si arrabbiava: - Non lo vedo dov’è? Perché voi lo sentite ed io no? -Si era poi adattato al gioco<br />

prendendoci gusto: - Guarda stasera non ha niente da dirci, si è messo sopra <strong>il</strong> televisore. Ha cambiato giacchetta, questa è rossa:-<br />

Quella matt<strong>in</strong>a, appena arrivato <strong>in</strong> cantiere, <strong>il</strong> caposquadra mi chiese se me la sentivo di aiutare a montare l’impalcatura al quarto<br />

piano. Il ragazzo che mi aiutata, un rumeno, era svelto, saltava dal terzo al quarto piano con ag<strong>il</strong>ità. Non mise la corda di sicurezza e<br />

glielo feci notare. – Il capo vuole che f<strong>in</strong>iamo presto questi ponteggi, è <strong>in</strong> ritardo per la consegna del palazzo e queste corde rallentano<br />

<strong>il</strong> lavoro, dai non fare <strong>il</strong> pauroso. – Quel momento non era tempo di favole ed <strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo tacque. Arrivammo alla pausa di mezzogiorno, <strong>il</strong><br />

caposquadra dal basso non poteva vedere che non stavamo rispettando le regole. Dopo un pranzo frugale lì <strong>in</strong> cantiere, risalimmo fra<br />

i ferri dell’impalcatura. Non so se fu colpa della troppa sicurezza che avevo ac<strong>qui</strong>stato, se della stanchezza, fatto sta che misi un piede<br />

nel vuoto, cercai di riprendermi ma tutto <strong>il</strong> ponteggio non ancora assicurato tremò sotto di me, persi l’e<strong>qui</strong>librio e volai giù. Per fortuna<br />

l’impalcatura del terzo piano fermò la mia caduta. In quegli attimi provai paura, dolore, sentii le urla dei miei compagni, poi più nulla.<br />

Aisha vi racconterà quest’altra parte della favola perché io sono rimasto <strong>in</strong> coma un mese, non ricordo niente di quei lunghi giorni.<br />

Avvisarono la mamma che <strong>il</strong> papà aveva avuto un <strong>in</strong>cidente ed era all’ospedale di S. Maria delle Grazie di Perugia. A noi ragazzi non<br />

disse niente, era un pomeriggio come gli altri: i nostri genitori al lavoro e noi a casa a fare i compiti, a divertirci. Venne poi la zia con <strong>il</strong><br />

piccol<strong>in</strong>o dicendoci che i nostri genitori quella notte dovevano lavorare, sarebbe rimasta lei a farci compagnia. Non era normale, era<br />

perciò agitata, vedevo mia zia strana, ma alle mie domande rispondeva: - Vedrai domatt<strong>in</strong>a tutto tornerà come prima.-<br />

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Ero grande e quella notte feci morire <strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo parlante. Mi fu sufficiente vedere mia madre per capire che era successo qualcosa di grave,<br />

lei fra le lacrime, mi <strong>in</strong>formò dell’accaduto. I medici avevano riscontrato una commozione celebrale e delle costole rotte, era <strong>in</strong> coma ma<br />

c’era una speranza che si riprendesse. Con mia mamma ci organizzammo per essere sempre presenti al suo capezzale, io <strong>il</strong> pomeriggio<br />

dopo la scuola. Mi faceva male vedere mio padre steso su quel lett<strong>in</strong>o ad occhi chiusi, senza colore, attaccato a delle macch<strong>in</strong>e, ma<br />

dicevano i medici : -Parlategli, gli farà bene. – Com<strong>in</strong>ciarono le grandi chiacchierate un<strong>il</strong>aterali di tre, quattro ore al giorno. In pr<strong>in</strong>cipio<br />

gli raccontavo di me, di mio fratello, della scuola, poi lo brontolavo perché non si era assicurato con le corde e tornò a farci compagnia<br />

<strong>il</strong> gr<strong>il</strong>lo di P<strong>in</strong>occhio. – Dai papà, non è così grave se quel giorno non gli hai dato retta, io avevo <strong>il</strong> compito <strong>in</strong> classe e non ti ho pensato<br />

abbastanza. Lo sai che P<strong>in</strong>occhio erano più le volte che disobbediva che quando ascoltava i consigli del gr<strong>il</strong>lo. Eppure la fata Turch<strong>in</strong>a<br />

ha capito che era buono, lo scusava e lo ha fatto diventare un bamb<strong>in</strong>o. Vedrai perdonerà anche te e guarirai. Adesso stai scontando<br />

l’errore. Dove sei adesso? Nella pancia della balena o sei un ciuch<strong>in</strong>o? E’ tanto che non sfogliamo <strong>il</strong> <strong>libro</strong>, domani te lo leggerò.-<br />

Così sono passati tanti giorni, <strong>in</strong> camera del mio papà facevo i compiti a voce alta, gli leggevo dei libri. La mamma non voleva più<br />

che passassi lì i miei pomeriggi, diceva che compromettevo la mia salute, purtroppo <strong>il</strong> papà non sentiva e non reagiva. Io credevo ai<br />

miracoli, e, dopo un mese, mentre stavo leggendo l’ennesimo <strong>libro</strong> tenendogli una mano, ho sentito un movimento come se volesse<br />

str<strong>in</strong>germela. L’ho guardato sobbalzando dalla sedia e…. meraviglie delle meraviglie, ha aperto un po’ gli occhi sussurrando: E’ <strong>qui</strong><br />

la mia fata Turch<strong>in</strong>a? –<br />

P.S. Aisha l’anno scolastico successivo all’<strong>in</strong>cidente (per fortuna<br />

conclusosi bene), aiutata dai professori e da suo zio, ha scritto questa<br />

storia divulgandola nelle scuole e nei cantieri. Voleva che i giovani<br />

crescessero con l’educazione alla sicurezza sul lavoro e gli operai<br />

applicassero quelle regole che difendono la loro vita.<br />

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La bamb<strong>in</strong>a che sognava di salire<br />

sulle impalcature<br />

di Marianna Sauro<br />

Premi della Critica<br />

Anya è una bamb<strong>in</strong>a dagli occhi grandi; ciò<br />

che ama di più è guardare le cose dall’alto.<br />

Appena può, sale su un albero e si diverte<br />

ad osservare le persone che passano senza<br />

essere vista. Sogna di scalare alte montagne,<br />

f<strong>in</strong>o al cielo. Però nella sua città ci sono pochi<br />

alberi e nessuna monta- gna, così i suoi<br />

restano soltanto sogni. Un giorno la mamma<br />

la porta a vedere la cattedrale della sua<br />

città; è davvero una costruzione maestosa,<br />

sormontata da guglie e campa- n<strong>il</strong>i che<br />

si slanciano f<strong>in</strong>o al cielo. In quel momento<br />

la parte esterna della chiesa è coperta da<br />

impalcature, pali di ferro e ballatoi di assi che<br />

portano <strong>in</strong> alto, su, su, f<strong>in</strong> sulla cupola e poi<br />

ancora si snodano girando <strong>in</strong>torno alla guglia<br />

più alta come un gigantesco serpente. Lassù,<br />

sopra di tutto, si appoggia, un grande angelo<br />

dorato con la tromba <strong>in</strong> mano. Anya lo vede<br />

girare su se stesso sp<strong>in</strong>to dal vento, e capisce<br />

che è lì che vorrebbe essere, è lì che vorrebbe<br />

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39<br />

arrivare più di qualsiasi altra cosa al<br />

mondo. Gli anni sono passati e Anya è<br />

cresciuta. Non ha scalato monta- gne<br />

ma ha studiato Arte e Restauro, poi si<br />

è sposata ma non ha dimenticato <strong>il</strong><br />

sogno di salire <strong>in</strong> alto. Ora può <strong>in</strong>iziare<br />

a lavora- re ed è pronta a salire sulle<br />

impalcature. Deve restaurare i di-<br />

p<strong>in</strong>ti sul soffitto di una chiesa e può<br />

f<strong>in</strong>almente affrontare le scalette <strong>in</strong><br />

ferro una dopo l’altra f<strong>in</strong>o su. Anya<br />

fa atten- zione, sa che non cadrà e<br />

non le importa se <strong>il</strong> suo capo non le<br />

ha imposto di mette- re le scarpe anti<br />

<strong>in</strong>fortunio e <strong>il</strong> ca- schetto <strong>in</strong> testa,<br />

d’altronde è così diffic<strong>il</strong>e dip<strong>in</strong>gere<br />

un soffitto con un caschetto che ti<br />

disturba la vista. Anya guarda <strong>in</strong> giù e<br />

non ha pau- ra dell’altezza. Così passa<br />

<strong>il</strong> tem- po, Anya diventa più brava e<br />

ama <strong>il</strong> suo lavoro so- speso tra terra e<br />

cielo, anche se la sera è molto stan- ca<br />

e le è più diffi- c<strong>il</strong>e fare attenzio- ne<br />

a non cadere. Un giorno f<strong>in</strong>almente <strong>il</strong><br />

suo sogno si avvera: <strong>il</strong> suo capo le an-<br />

nuncia che <strong>il</strong> prossimo lavoro sarà<br />

<strong>il</strong> restauro dell’angelo dorato sulla<br />

grande cattedrale della città. Ad Anya


non sembra vero, ed è fuori di sé dalla gioia.<br />

Ma Anya aspetta un bamb<strong>in</strong>o. Una piccola<br />

creatura nella sua pancia. Ha paura di dirlo al<br />

suo capo altrimenti perderebbe <strong>il</strong> lavoro. “Posso<br />

aspettare un altro pò” pensa “Il bamb<strong>in</strong>o è così<br />

piccolo che la pancia non è cresciuta ancora<br />

e nessuno se ne ac- corgerà”. Ma sul lavoro<br />

Anya non è più quella di prima; ha comprato le<br />

scarpe anti <strong>in</strong>fortunio e mette sempre i guanti<br />

per maneggiare le sostanze chimiche che le<br />

servono per restaurare, ha preteso anche che<br />

<strong>il</strong> suo capo le procuri un caschetto e ha sp<strong>in</strong>to<br />

i suoi colleghi a fare altrettanto. Ora <strong>in</strong> ogni<br />

movimento sull’impalca- tura ci mette la<br />

massima attenzione e quando è molto <strong>in</strong> alto<br />

usa anche un imbraco di sicurezza con una corda<br />

che la tiene legata al ponteggio. Sa che, se si<br />

farà male, farà male anche al suo bamb<strong>in</strong>o. Un<br />

freddo giorno di sole si trova ad <strong>in</strong>traprendere<br />

la “scalata” della grande cattedrale f<strong>in</strong>o alla<br />

guglia più alta. Ed eccola lì, davanti all’angelo<br />

dorato. Anya sta <strong>in</strong> piedi, a cen- to metri da<br />

terra ad osservare tutto senza essere vista. Le<br />

per- sone dall’alto sembrano tante formich<strong>in</strong>e,<br />

le auto sono piccoli giocattoli e tra le case<br />

del centro si scorgono meravigliosi giar- d<strong>in</strong>i<br />

nascosti, impossib<strong>il</strong>i a vedersi dalle strade a<br />

terra. Anya guarda <strong>in</strong> alto, <strong>in</strong>torno a lei <strong>il</strong> vuoto<br />

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41<br />

immenso, la testa le gira e <strong>il</strong> piede scivola<br />

sull’orlo del ponteggio... Anya chiude gli<br />

occhi e sogna di volare. Il vento freddo le<br />

scom- piglia i capelli, le braccia aperte e<br />

l’aria fra le dita, sulla schiena ha delle ali<br />

dorate come quelle dell’angelo. Sotto di<br />

lei non c’è so- lo la sua città, ma <strong>il</strong> mondo<br />

<strong>in</strong>tero e, come se avesse occhi d’a<strong>qui</strong>- la,<br />

può vederetutte le creature che lo abitano.<br />

Quando riapre gli occhi è <strong>in</strong> un letto di<br />

ospedale, molti visi sono ch<strong>in</strong>i su di lei. I<br />

medici le spiegano che è svenuta per un<br />

calo di pressione, ha battuto la testa sul<br />

bordo dell’impalcatura ma <strong>il</strong> caschetto ha<br />

parato <strong>il</strong> colpo e la corda di sicurezza l’ha<br />

te- nuta sospesa nel vuoto impedendole<br />

di cadere. Il bamb<strong>in</strong>o nella sua pancia<br />

sta bene, non ha subito nessun danno.<br />

Anya ricorda <strong>il</strong> suo sogno, <strong>il</strong> caschetto<br />

e l’imbrago di sicurezza so- no state le<br />

sue ali dorate. Ora Anya è una mamma<br />

e non sale più sulle impalca- ture, <strong>il</strong><br />

suo tempo lo pas- sa a fare at- tenzione<br />

che la sua bimba non cada. Sua figlia si<br />

chiama Iride e ha diffic<strong>il</strong>- mente i piedi<br />

per terra, anche lei so- gna di scalare<br />

f<strong>in</strong>o al cielo.


Sicurezza, la vera Reg<strong>in</strong>a sei tu<br />

di Paola Gottardo<br />

Favola solo testo più votata e commentata sul Web<br />

Mi chiamo Pericula e sono l’Ape Reg<strong>in</strong>a di Melissopoli, un v<strong>il</strong>laggio di cera abitato da migliaia di api. F<strong>in</strong>o a qualche tempo fa regnava a<br />

Melissopoli Sicurezza, un’ape reg<strong>in</strong>a ormai vecchia, venerata da tutti per la sua saggezza e per <strong>il</strong> suo grande cuore. Con lei, nell’alveare,<br />

tutto funzionava al meglio. Sicurezza aveva istruito personalmente le prime maestre dell’alveare aff<strong>in</strong>chè i saperi e le tecniche fossero<br />

tramandati di generazione <strong>in</strong> generazione e ciascuna potesse svolgere <strong>il</strong> proprio lavoro a regola d’arte e senza alcun pericolo per la salute.<br />

Le api più giovani si occupavano della pulizia delle celle, per garantire la massima igiene all’<strong>in</strong>terno dei favi, sia per quanto riguarda<br />

le abitazioni che i magazz<strong>in</strong>i. Dal terzo giorno di vita potevano secernere la prima pappa reale e diventare nutrici occupandosi delle<br />

piccole larve che avevano bisogno del loro pane, fatto di miele e poll<strong>in</strong>e.<br />

Dopo due settimane era compito delle istruttrici addestrare le api perché fossero <strong>in</strong> grado di diventare bott<strong>in</strong>atrici per procacciare<br />

nettare, poll<strong>in</strong>e, acqua e propoli.<br />

L’addestramento era molto duro, durava c<strong>in</strong>que <strong>in</strong>teri giorni durante i quali venivano effettuati i voli di orientamento, prima vic<strong>in</strong>o<br />

all’alveare e poi sempre più lontano. Le api immagazz<strong>in</strong>atrici ricevevano dalle bott<strong>in</strong>atrici le prelibatezze raccolte e si occupavano di<br />

depositarle all’<strong>in</strong>terno dei favi. Quelle vent<strong>il</strong>atrici si occupavano della deidratazione del miele. C’erano poi le api architetti, le esploratrici,<br />

e le api guardiane, che impedivano l’accesso all’alveare da parte degli estranei.<br />

Melissopoli era un v<strong>il</strong>laggio ben organizzato, efficiente e produttivo quando Sicurezza <strong>in</strong>iziò ad avere i primi acciacchi: <strong>il</strong> tempo era<br />

passato anche per lei, le sue ali non avevano più la forza di reggerla <strong>in</strong> volo e la vista peggiorava di giorno <strong>in</strong> giorno. Sicurezza teneva<br />

nel cuore un’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita amarezza al solo pensiero di non potersi più dedicare alle sue figlie e al suo regno. Così chiamò nella cella reale le<br />

api più fidate che erano a capo delle diverse squadre di lavoro: Mirella l’ancella, Lucia per la pulizia, Berenice la nutrice, Cuoric<strong>in</strong>o per<br />

<strong>il</strong> magazz<strong>in</strong>o, Orione per la vent<strong>il</strong>azione, Beatrice la bott<strong>in</strong>atrice, Fiocchetto l’architetto, Morgana la guardiana e Iter l’esploratrice.<br />

“Figlie mie, vi ho fatte chiamare perché <strong>il</strong> mio tempo è giunto al term<strong>in</strong>e. Sono ormai vecchia e malandata e ho deciso di <strong>in</strong>dire a breve<br />

uno sciame: è arrivato <strong>il</strong> momento di avere una nuova e giovane ape Reg<strong>in</strong>a. Chiedo <strong>il</strong> vostro aiuto e la vostra collaborazione perché<br />

tutte noi amiamo questo alveare e teniamo al fatto che cont<strong>in</strong>ui ad essere <strong>il</strong> migliore. I fuchi sono già stati avvertiti, ho selezionato i più<br />

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forti aff<strong>in</strong>ché le uova possano essere le migliori che siano mai state deposte. Vi chiedo di organizzare la miglior cella reale e di nutrire le<br />

predest<strong>in</strong>ate con la miglior pappa reale che mai sia stata fatta.”<br />

Le api ascoltarono <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio non potendo credere alle loro orecchie. Nessuna aveva <strong>il</strong> coraggio di <strong>in</strong>terrompere Sicurezza. Qualcuna<br />

piangeva ma tutte sapevano quale fosse <strong>il</strong> loro <strong>in</strong>grato compito: appena la nuova reg<strong>in</strong>a fosse nata, dovevano raggomitolarsi attorno alla<br />

vecchia e ucciderla. Non potevano esistere due reg<strong>in</strong>e nello stesso alveare. “Non abbiate paura”- cont<strong>in</strong>uò Sicurezza – “Ho avuto un<br />

regno fantastico grazie al vostro aiuto e alla vostra obbedienza. Ora basta perdere tempo, tornate ai vostri lavori e preparate quanto vi<br />

ho chiesto.” Sicurezza volò via commossa, barcollando per la poca stab<strong>il</strong>ità che ormai era garantita dalle sue ali.<br />

Mirella pensava a quanto era stato bello servire Sicurezza. Pensava a tutte le cose che le aveva <strong>in</strong>segnato. La fedeltà, <strong>il</strong> rispetto per<br />

le altre lavoratrici, <strong>il</strong> coord<strong>in</strong>amento con tutte le maestranze, cose di cui nessuno prima le aveva parlato. Lucia rimug<strong>in</strong>ava sulle ore<br />

che la sua Reg<strong>in</strong>a aveva personalmente perso per mostrarle come pulire le celle, usando correttamente i prodotti e senza <strong>in</strong>tralciare <strong>il</strong><br />

lavoro delle altre. A quanto fosse fissata sul farle usare gli occhial<strong>in</strong>i, terrorizzata dal fatto che potesse rimanere cieca a causa di qualche<br />

schizzo di detersivo. Berenice ricordava come le avesse pazientemente mostrato come dare miele e poll<strong>in</strong>e alle larve, ut<strong>il</strong>izzando le<br />

precauzioni e le norme igieniche atte a non far prendere loro le peggiori malattie che erano la più frequente causa di morte delle larve;<br />

Cuoric<strong>in</strong>o scuoteva la testa piangendo: <strong>il</strong> suo magazz<strong>in</strong>o aveva preso <strong>il</strong> premio come “Magazz<strong>in</strong>o dell’anno di tutti gli alveari della<br />

terra” grazie ai suggerimenti e agli <strong>in</strong>segnamenti della sua Reg<strong>in</strong>a. Orione, Fiocchetto, Beatrice, Iter e Morgana si str<strong>in</strong>sero <strong>in</strong> un grande<br />

abbraccio di zampe e di ali. Un’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita tristezza aveva pervaso i loro cuori e presto la stessa tristezza d<strong>il</strong>agò di cella <strong>in</strong> cella e di ape <strong>in</strong><br />

ape. L’<strong>in</strong>domani Sicurezza si allontanò con i suoi fuchi.. A mal<strong>in</strong>cuore tutte le api cont<strong>in</strong>uarono <strong>il</strong> loro lavoro e misero <strong>in</strong> atto quanto<br />

richiesto dall’ape Reg<strong>in</strong>a. Le celle reali erano ormai pronte, grandi e confortevoli, atte ad ospitare le larve delle future reg<strong>in</strong>e. Passarono<br />

velocemente i giorni, le uova furono deposte e si schiusero.<br />

Le larve di reg<strong>in</strong>a pupa erano con la testa all’<strong>in</strong>giù e le operaie, come di rito, chiusero la parte superiore della cella con la cera. Presto,<br />

una giovane reg<strong>in</strong>a aprì con i denti un varco circolare sulla parte superiore della cella. Fece capol<strong>in</strong>o, si orientò, <strong>in</strong>iziò a cantare per<br />

farsi sentire dalle altre reg<strong>in</strong>e, poi subito vide le api operaie avvic<strong>in</strong>arsi e capì immediatamente quale fosse <strong>il</strong> loro <strong>in</strong>tento: impedirle di<br />

uccidere le rivali. Così con un colpo violento le stordì tutte, poi via a destra e di nuovo a s<strong>in</strong>istra verso le cellette delle altre verg<strong>in</strong>i. Si<br />

avvic<strong>in</strong>ò e colpendo le celle le aprì di lato, uccidendo le pretendenti al trono. Subito arrivarono le ancelle per conoscere la nuova Reg<strong>in</strong>a.<br />

“Stupide ancelle muovetevi, portatemi uno specchio, non voglio che nessuno mi veda senza trucco!” Mirella s’<strong>in</strong>ch<strong>in</strong>ò e con un f<strong>il</strong>o<br />

di voce disse “Maestà, le api vi stanno aspettando per ricevere <strong>il</strong> Gran Saluto Reale e per la Tavola delle Leggi Sicure senza le quali <strong>il</strong><br />

Regno non può sopravvivere.” “E tu chi sei vecchia irrispettosa?” – urlò la nuova Reg<strong>in</strong>a. “Devi tacere al mio cospetto e parlare solo<br />

se <strong>in</strong>terpellata! Preparatemi un bagno caldo e chissenefrega del Gran Saluto e Vattelapesca. La nuova Reg<strong>in</strong>a sono io e dovete ascoltare<br />

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i miei ord<strong>in</strong>i! Non m’<strong>in</strong>teressa delle leggi! Se sono la Reg<strong>in</strong>a, le priorità sono la mia bellezza e <strong>il</strong> mio aspetto per far girare la testa a tutti<br />

i fuchi!” – urlò vanesia. “E non mi bastate solo voi come ancelle” – aggiunse – “Ne voglio m<strong>il</strong>le al mio cospetto, e voglio <strong>qui</strong> le più<br />

esperte, altrimenti non sarò mai la più bella tra le Reg<strong>in</strong>e. E poi…”<br />

La Reg<strong>in</strong>a <strong>in</strong>fastidita cont<strong>in</strong>uò l’elenco delle sue priorità, accarezzandosi le zampe con fare spocchioso. Le ancelle <strong>in</strong>credule ch<strong>in</strong>arono<br />

<strong>il</strong> capo e si allontanarono per preparare quanto richiesto. Iter, nascosta dietro ad un ramo vide la scena e si allontanò repent<strong>in</strong>amente.<br />

Sicurezza era r<strong>in</strong>chiusa nella sua cella, distesa aspettando con onore e tran<strong>qui</strong>llità l’arrivo delle api che avrebbero messo f<strong>in</strong>e alla sua<br />

vita. Pensava a quanto fosse orgogliosa del lavoro fatto, a quanto tutto fosse funzionato <strong>in</strong> quei due anni di regno, senza problemi,<br />

senza <strong>in</strong>cidenti, senza malesseri. La vecchiaia era arrivata lenta ed <strong>in</strong>esorab<strong>il</strong>e, con essa un gran senso di pace e soddisfazione. Pregava<br />

r<strong>in</strong>graziando <strong>il</strong> cielo per quanto le era stato dato e concesso. “Sicurezza, Sicurezza!” – gridò una voce all’improvviso. “Sicurezza, dove<br />

sei? Sicurezza, posso entrare?”<br />

Sicurezza si ridestò dai suoi pensieri alzandosi velocemente per vedere chi avesse fatto irruzione nella sua cella. “Iter che ci fai <strong>qui</strong> da<br />

sola? Dove sono le altre? Perché sei così agitata?”<br />

“Per m<strong>il</strong>le api, mia Reg<strong>in</strong>a, non sai cosa sta succedendo! E’ nata la nuova Reg<strong>in</strong>a, l’ho sentita parlare con le sue ancelle! E’ pazza<br />

Sicurezza, è una pazza!”<br />

“Ma che stai dicendo Iter?” sussurrò la vecchia Reg<strong>in</strong>a senza capire. “Ha detto che non gliene importa nulla della Tavola delle Leggi<br />

e che l’unica cosa che le sta a cuore è essere bella e attraente per i suoi fuchi. Vuole che le api più esperte abbandon<strong>in</strong>o i loro lavori<br />

per essere sue ancelle e dedicarsi alla bellezza! E vuole che...” “Calmati!” gridò questa volta Sicurezza. “Devi calmarti e starmi a<br />

sentire. Lei è la vostra Reg<strong>in</strong>a adesso, io non sono più nessuno per voi, anzi, mi meraviglio di non essere già stata uccisa. Come al solito<br />

stai esagerando, vedrai che fra qualche tutto si sistemerà.” “No mia Reg<strong>in</strong>a, ti prego di ascoltarmi. Devi conoscere la nuova Reg<strong>in</strong>a e<br />

parlarci, ti prego Sicurezza non abbandonarci o rischieremo di morire tutte!” Sicurezza rimase ad ascoltare attentamente le preghiere di<br />

Iter. Non era mai successo che una vecchia Reg<strong>in</strong>a <strong>in</strong>contrasse quella nuova. Era un rischio che valeva la pena di correre per la salvezza<br />

del regno. “E va bene piccola testarda. In un modo o nell’altro devo morire perché questo alveare non è più mio, tanto vale che veda<br />

con i miei occhi quello che sta accadendo.” Iter si avvic<strong>in</strong>ò, abbracciò la sua vecchia Reg<strong>in</strong>a e le fece segno di seguirla. Sicurezza ormai<br />

non aveva più forze, dovette appoggiarsi alle ali di Iter per spiccare <strong>il</strong> volo e più di qualche volta, facendo per staccarsi da lei, rischiò<br />

di precipitare nel vuoto. Sicurezza si vergognò di non essere più l’ape di un tempo, quell’ape forte e sana, piena di vigore e di energia<br />

che tutti avevano conosciuto. Volando sul dorso di Iter si accorse dell’<strong>in</strong>solita calma che aleggiava nell’alveare. Le api guardiane non<br />

erano all’<strong>in</strong>gresso delle celle né del magazz<strong>in</strong>o. Le immagazz<strong>in</strong>atrici non si scambiavano gli alimenti con le bott<strong>in</strong>atrici. Ma dove erano<br />

tutte? Come mai le impalcature per la costruzione delle nuove celle erano abbandonate e malmesse? E perché le larve si lamentavano?<br />

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Qualcosa di strano <strong>in</strong> effetti stava accadendo. Arrivarono vic<strong>in</strong>o alla cella reale: di fronte alla portic<strong>in</strong>a un cent<strong>in</strong>aio di api facevano<br />

la guardia. Dall’<strong>in</strong>terno si sentiva un coro di api cantare melodie a più voci. Iter e Sicurezza si fecero strada. Nessuna delle guardie<br />

tentò di fermarle riconoscendo la vecchia Reg<strong>in</strong>a e provando vergogna per non essere al proprio posto di lavoro. Mirella l’ancella la<br />

riconobbe e si avvic<strong>in</strong>ò: “Mia Reg<strong>in</strong>a che ci fai <strong>qui</strong>? Lo sai che la nuova Reg<strong>in</strong>a ti ucciderà?” “Mirella, non sono la tua Reg<strong>in</strong>a, non<br />

più. Non preoccuparti per me, questo è <strong>il</strong> dest<strong>in</strong>o. Portami dalla tua nuova Reg<strong>in</strong>a.” Mirella ubbidì e volò veloce verso la sala reale per<br />

annunciare i nuovi ospiti. Iter e Sicurezza la seguirono e subito sentirono un urlo fragoroso seguito da un s<strong>il</strong>enzio improvviso. Cent<strong>in</strong>aia<br />

di api smisero immediatamente di cantare. Nessuno più si mosse.<br />

“Che ci fai tu ancora viva? Chi sono le operaie che hanno disobbedito e non hanno provveduto alla tua uccisione?<br />

La vecchia Reg<strong>in</strong>a si avvic<strong>in</strong>ò noncurante di quelle parole e disse: “Ti prego mia Reg<strong>in</strong>a, ascoltami, poi sarai libera di fare di me ciò<br />

che vorrai. Ho sentito dire che stai concentrando la forza lavoro delle tue api nella cella reale e per i tuoi servizi. Ti prego, ascolta<br />

le mie parole, non far cadere <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a questo alveare. Ha bisogno di te, della tua guida, delle tue leggi, ha bisogno di regole ferree<br />

aff<strong>in</strong>ché tutto possa funzionare senza <strong>in</strong>cidenti e problemi. Se non istruirai e addestrerai le api, se non farai capire loro l’importanza di<br />

un ambiente di lavoro sicuro, presto ci sarà <strong>il</strong> caos. Ascoltami Reg<strong>in</strong>a, sei già bellissima e avrai comunque tutti i fuchi ai tuoi piedi, non<br />

rov<strong>in</strong>arti con le tue stesse zampe.” La nuova Reg<strong>in</strong>a sembrava non aver ascoltato quelle parole, cont<strong>in</strong>uò imperterrita a guardare la sua<br />

immag<strong>in</strong>e riflessa sullo specchio, sistemandosi la chioma appena cotonata.<br />

“Uccidetela!” urlò all’improvviso. Nessuno si mosse.<br />

“Vi ho detto: Uccidetela! Uccidetela o la pagherete con la vostra stessa vita!”<br />

Ancora nessuno si fece avanti. La Reg<strong>in</strong>a diventò paonazza <strong>in</strong> volto per la rabbia, era furiosa. Così si alzò, appoggiò velocemente<br />

lo specchio e <strong>in</strong> un secondo si scagliò contro la vecchia Reg<strong>in</strong>a che con un sol colpo stramazzò a terra senza vita. Le api presenti<br />

com<strong>in</strong>ciarono a piangere e ad urlare. Mirella, noncurante degli avvertimenti della Reg<strong>in</strong>a di stare lontane dal cadavere, si avvic<strong>in</strong>ò per<br />

abbracciare Sicurezza e pagò la disobbedienza con la sua stessa vita.<br />

Faceva molto caldo. Il s<strong>il</strong>enzio era calato nella cella reale mentre la Reg<strong>in</strong>a aveva ricom<strong>in</strong>ciato a sistemarsi la chioma. Iter ne approfittò<br />

per d<strong>il</strong>eguarsi. Non poteva credere ai suoi occhi. L’alveare stava cadendo <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a. Sicurezza aveva ragione. Le api non stavano più<br />

lavorando e quelle poche che lavoravano lo facevano <strong>in</strong> modo pericoloso e scoord<strong>in</strong>ato. Alcune cantavano, altre danzavano altre ancora si<br />

abbuffavano di pappa reale. Le più piccole giocavano sulle impalcature senza l’imbragatura, qualcuna già era precipitata non sapendo<br />

volare, altre erano rimaste impigliate sulla ragnatela di Mastro Ragno e urlavano a squarciagola.<br />

Cumuli di sporco si ammucchiavano all’entrata delle celle e pers<strong>in</strong>o i segnali erano stati <strong>in</strong>vertiti. Le api più anziane non abituate a<br />

questa gestione arrivavano precipitosamente nelle loro celle schiantandosi su cumuli di cera secca che occludevano <strong>il</strong> passaggio, altre<br />

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scivolavano sul miele spaccandosi le zampe. Le celle più vecchie che non avevano avuto alcuna manutenzione, <strong>in</strong>iziarono a crollare,<br />

facendo cadere, per effetto dom<strong>in</strong>o, anche quelle più nuove e con esse, anche le api che vi si trovavano all’<strong>in</strong>terno.<br />

Molte larve stavano per soccombere perché le nutrici non si erano curate di loro. Ragni, calabroni, cimici <strong>in</strong>iziarono ad entrare nell’alveare<br />

attirati dal canto delle api e dal ghiotto profumo di miele e pappa reale. Le api di altri alveari furono attirate dallo stesso profumo e non<br />

trovando nessuno di guardia davanti agli accessi <strong>in</strong>iziarono a depredare tutto ciò che trovavano.<br />

Era <strong>il</strong> caos più totale. Il messaggio di vanità e superficialità della nuova Reg<strong>in</strong>a si era diffuso <strong>in</strong> tutto l’alveare e dopo la sciamatura delle<br />

ultime api sagge, quelle rimaste erano <strong>in</strong>esperte e guidate solo dalla frivolezza della Reg<strong>in</strong>a.<br />

Avevano portato grandi frammenti di specchi ed erano tutte riunite davanti ad essi: chi per aggiustarsi la pett<strong>in</strong>atura, chi per mettere<br />

<strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e le zampe, noncuranti di ciò che stava accadendo <strong>in</strong>torno. Iter disperata chiamava le sue sorelle, ma <strong>in</strong>vano. Vide <strong>il</strong> corpo<br />

senza vita di Morgana che aveva combattuto per difendere <strong>il</strong> suo alveare. Un cumulo di macerie era crollato addosso a Fiocchetto<br />

l’architetto: aveva d<strong>il</strong>igentemente messo <strong>il</strong> suo caschetto sul capo ma non aveva trovato l’imbragatura per la confusione lasciata dalle<br />

altre. Cuoric<strong>in</strong>o era annegato <strong>in</strong> una cella di miele poiché <strong>il</strong> c<strong>in</strong>tur<strong>in</strong>o d’aggancio della sua imbragatura era stato manomesso. Lucia<br />

giaceva <strong>in</strong> un angolo ricoperta di macchie e abrasioni: non aveva trovato i guanti e la tuta da lavoro, qualche sostanza tossica stava<br />

reagendo sulla sua pelle e respirava a fatica. Di Orione, Beatrice e Berenice nessuna traccia, forse avevano deciso di sciamare altrove<br />

o forse erano anch’esse vittime del caos. Iter volava sconsolata e sola quando decise di tornare <strong>in</strong>dietro. Il quadro che le si dip<strong>in</strong>geva<br />

davanti agli occhi era sempre peggiore, ormai la maggior parte delle api giaceva al suolo, sotto all’alveare. Il sole era alto <strong>in</strong> cielo e <strong>il</strong><br />

calore rendeva ancor più diffic<strong>il</strong>e <strong>il</strong> volo. Ad un certo punto si accorse che dalle stanze reali usciva del fumo.<br />

Decise di avvic<strong>in</strong>arsi e più lo faceva più i suoi occhi lacrimavano e le sue narici erano pervase da un <strong>in</strong>tenso odore di bruciato. Capì<br />

immediatamente quanto era accaduto: i raggi del sole riflessi sulle schegge degli specchi procurati dalle api avevano fatto scoppiare<br />

un <strong>in</strong>cendio. L’alveare stava andando letteralmente a fuoco, migliaia di api, proprio quelle che si erano d<strong>il</strong>ettate nel canto <strong>in</strong>vece che<br />

lavorare, giacevano carbonizzate. Iter cercò di entrare, non si diede per v<strong>in</strong>ta, voleva raggiungere quel debole lamento che sentiva <strong>in</strong><br />

lontananza. Una volta varcata la soglia riconobbe sotto una grande trave di legno la sua Reg<strong>in</strong>a.<br />

“Stupida ape esploratrice” sussurrò, “vieni a salvare la tua Reg<strong>in</strong>a, non vedi che è <strong>in</strong> pericolo?”<br />

Iter si precipitò su di lei, l’<strong>in</strong>cendio divampava, era necessario liberarla dalla trave per impedire che le fiamme potessero raggiungerla.<br />

Fece leva sull’estremità della trave con tutte le sue forze, ma era troppo leggero <strong>il</strong> suo peso per riuscire a spostarla. Così vide uno scaffale<br />

per la raccolta del miele <strong>in</strong> b<strong>il</strong>ico a qualche centimetro di distanza, veloce si precipitò su di esso e lo fece scivolare sulla trave che si<br />

sollevò per qualche istante permettendo alla Reg<strong>in</strong>a di liberarsi e spiccare a fatica <strong>il</strong> volo. Iter era a terra, con le ali bruciate e le sei<br />

zampe rotte. Non c’era scampo. Le fiamme stavano divampando e <strong>in</strong> pochi secondi divorarono <strong>il</strong> corpo di Iter che aveva sacrificato la<br />

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sua vita per salvare quello della sua Reg<strong>in</strong>a.<br />

Sono <strong>qui</strong>, appoggiata su questo ramoscello e guardo <strong>il</strong> mio alveare cadere a pezzi. E’ morte, è distruzione tutto attorno a me. Perdo<br />

molto sangue, <strong>il</strong> dolore che sento nel corpo è prova del fatto che sono ancora viva e non sto sognando. Ho pensato alla mia bellezza,<br />

ho creduto che essere la più corteggiata tra i fuchi facesse onore ad una Reg<strong>in</strong>a. Ho deriso Sicurezza per i suggerimenti che aveva<br />

cercato di impartirmi. Sicurezza, la vera Reg<strong>in</strong>a sei tu. Sto morendo e ho portato alla morte migliaia di api per una stupida chioma.<br />

Ti prego, almeno tu che hai letto questa storia non sottovalutare i rischi. Se io avessi preso sul serio <strong>il</strong> mio ruolo, se avessi impartito alle<br />

mie api i giusti <strong>in</strong>segnamenti su come comportarsi, se le avessi edotte e addestrate a vivere <strong>in</strong> un ambiente di lavoro sicuro e protetto,<br />

tutto questo non sarebbe accaduto e migliaia di vite sarebbero state salvate. Forse se la mia vita ha avuto un senso, quel senso era di<br />

raccontare questa storia perché potesse aprire gli occhi ad altri. Mi chiamo Pericula, ero la Reg<strong>in</strong>a dell’alveare di Melissopoli, sono una<br />

stupida e la mia vita f<strong>in</strong>isce per salvare la tua.<br />

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Le avventure di Regol<strong>in</strong>a:<br />

tra <strong>in</strong>canto e fatalità alla ricerca della verità<br />

Di Rosita Giulian<br />

Favola solo testo più votata e commentata sul Web<br />

48<br />

C’era una volta una dolce e graziosa fanciulla venuta sulla<br />

terra da un mondo <strong>in</strong>cantato molto lontano e a cui piacevano<br />

tanto le favole del terzo m<strong>il</strong>lennio. Il suo nome era Regola<br />

ma tutti la chiamavano Reggy, o meglio ‘Regol<strong>in</strong>a’. La<br />

piccola aveva un cappell<strong>in</strong>o di paia che portava sempre con<br />

sé per ripararsi dal sole cocente e due lunghe trecc<strong>in</strong>e dorate<br />

dove, <strong>in</strong> ogni nodo, era custodito un segreto particolare.<br />

Ogni nod<strong>in</strong>o, avvolto da un fiocchett<strong>in</strong>o dalla sua mamma<br />

(quando era ancora bimba e viveva nel regno delle fate),<br />

conteneva un codice misterioso da decifrare soltanto al<br />

fatidico compimento della maggiore età. Un traguardo<br />

ambito che determ<strong>in</strong>ava l’<strong>in</strong>gresso nel mondo dei grandi<br />

lavoratori. Quella formula assai magica poi tradotta con<br />

l’aiuto degli amici del cuore ’Intelletto e Sapienza’, garantiva<br />

uno sv<strong>il</strong>uppo prolifico e tanto benessere, e rappresentava<br />

un elisir raro e prezioso per tutta la vita, come <strong>il</strong> tesoro!<br />

Tutti gli abitanti del nuovo mondo ne erano sprovvisti e lo<br />

cercavano <strong>in</strong> maniera assidua ma solo autentiche qualità,<br />

eccelse come la dea Saggezza, la dea Previdenza e la dea<br />

Sicurezza permettevano di <strong>in</strong>contrarle lungo <strong>il</strong> proprio<br />

camm<strong>in</strong>o.


Regol<strong>in</strong>a viveva <strong>in</strong> un’ampolla di cristallo argentato dalle molteplici perle ant<strong>in</strong>fortunio e rub<strong>in</strong>i <strong>in</strong>castonati attorno che ne assicuravano<br />

la staticità e l’e<strong>qui</strong>librio fisico. Aveva pure le catene di acciaio, <strong>in</strong>ossidab<strong>il</strong>e e antirugg<strong>in</strong>e, per difendere dai ladri la sua tanto cara<br />

proprietà, ereditata dai suoi amati antenati. Il suo scrigno segreto aveva trovato una posizione stab<strong>il</strong>e <strong>in</strong> un luogo tran<strong>qui</strong>llo e colmo di<br />

fert<strong>il</strong>ità terrena al lato opposto dell’<strong>in</strong>fedele e rumorosissima città di Follia, ed era stata ristrutturata ad arte e certificata con <strong>il</strong> boll<strong>in</strong>o<br />

dello stato, apposta per lei dal suo defunto papà, di nome Mastro muratore.<br />

Con Regol<strong>in</strong>a (questo fu <strong>il</strong> suo soprannome, così<br />

la volle chiamare sempre <strong>il</strong> papà dopo che la sua<br />

mamma di nome ‘Reg<strong>in</strong>adellacasa’ era spirata per<br />

un <strong>in</strong>cidente domestico quando la bimba aveva<br />

solo due anni) vivevano con lei anche due gatt<strong>in</strong>e.<br />

L’<strong>in</strong>contro con i due simpatici animaletti avvenne<br />

<strong>in</strong> un giorno speciale, dove al posto della pioggia<br />

scesero tante fitte gocciol<strong>in</strong>e di cuori rossi, a poche<br />

ore prima del suo diciottesimo compleanno. Le due<br />

bestiol<strong>in</strong>e (imbarcate dal pianeta Giudizio) erano<br />

appena atterrate con una chiara e precisa missione<br />

speciale da portare a term<strong>in</strong>e e vagavano <strong>in</strong>sieme,<br />

solidali e <strong>in</strong>freddolite, per la strada opposta, dove<br />

Reggy si stava recando per andare a fare una<br />

salutare passeggiata. Era anche la vig<strong>il</strong>ia del suo<br />

primo giorno di lavoro! Eh sì, perché sul pianeta<br />

Follia per con<strong>qui</strong>starsi la dignità e garantirsi una<br />

fett<strong>in</strong>a di torta di mele bisogna lavorare sodo per<br />

<strong>il</strong> bene del paese. I loro occhioni limpidi e s<strong>in</strong>ceri<br />

<strong>il</strong> loro cuoric<strong>in</strong>o caldo e pieno d’amore l’avevano<br />

commossa e conv<strong>in</strong>ta, tanto da portarli a vivere<br />

con lei nel suo piccolo tempio s<strong>il</strong>ente. Si organizzò<br />

subito per andare a comprargli due collar<strong>in</strong>i con la<br />

49


50<br />

medaglietta con <strong>in</strong>cisi i nuovi nomi delle cucciole: “Vi chiamerò<br />

Norma e Tiva! Siete contente?” Gli disse con entusiasmo e felicità.<br />

“Miaaaao! Miao!” Risposero saltellanti le bestiol<strong>in</strong>e. Poi passò dal<br />

veter<strong>in</strong>ario per fargli la visita e <strong>il</strong> libretto sanitario e, di conseguenza,<br />

<strong>il</strong> primo vacc<strong>in</strong>o! La ragazz<strong>in</strong>a era difatti cresciuta con <strong>il</strong> celebre<br />

proverbio: ‘Chi da bimbo e previdente da grande non si pente!’.<br />

Tornata a casa Regol<strong>in</strong>a gli preparò un angol<strong>in</strong>o spazioso per<br />

sistemarle <strong>in</strong> una calda cuccia, vic<strong>in</strong>o al termosifone e alla f<strong>in</strong>estra,<br />

dove avrebbero potuto giocare, <strong>in</strong> sua assenza, tran<strong>qui</strong>lle e allegre<br />

per tutto <strong>il</strong> giorno. Certa della loro discreta presenza al suo fianco,<br />

Regol<strong>in</strong>a da quel giorno non si sentì più sola. Scese lentamente<br />

la sera. Il sole stava calando e l’ultimo raggio di sole stava per fare<br />

l’occhiol<strong>in</strong>o al v<strong>il</strong>laggio per appisolarsi su un bellissimo tramonto a<br />

fondo valle. Regol<strong>in</strong>a decise, dopo aver dato da mangiare crocchette<br />

nutrienti, appetitose e genu<strong>in</strong>e alle sue ospiti, di prepararsi una<br />

calda tisana. Aggiustò le lancette dell’orologio a muro e s’<strong>in</strong>f<strong>il</strong>ò<br />

sotto le coperte seguita dalle due <strong>in</strong>separab<strong>il</strong>i gatt<strong>in</strong>e. L’<strong>in</strong>domani<br />

la sveglia tr<strong>il</strong>lò alle sette. Norma e Tiva si stropicciarono anche loro<br />

gli occhietti e di nascosto s’<strong>in</strong>f<strong>il</strong>trarono, ben bene <strong>in</strong> fondo allo<br />

za<strong>in</strong>etto di Reggy, pronta a recarsi verso l’agenzia del nuovo lavoro.<br />

“Toc toc!” - La porta della ditta ‘Senza Diritti’ era senza campanello<br />

– “Chi è che bussa, come ti chiami?” – Risposero dall’altra parte<br />

della barricata. “Sono Regol<strong>in</strong>a per <strong>il</strong> nuovo lavoro!”. Il modo<br />

<strong>in</strong>usuale di ricevere <strong>il</strong> personale di servizio pareva strano alle gatt<strong>in</strong>e che già sentivano puzza di bruciato… “Vieni con me” apostrofo<br />

a Reggy una ragazzetta con gli occhiali e l’espressione annoiata. Il pavimento dello stretto e angusto corridoio era appena stato lavato<br />

con la varech<strong>in</strong>a (da una vecchietta che si accontentava di pochi ‘spicciol<strong>in</strong>i’ e senza ricevute fiscali di sorta), e ancora bagnato e<br />

nauseante portava le impronte delle scarpe delle segretarie che si alternavano avanti e <strong>in</strong>dietro tra le scrivanie delle operatrici. Reggy ci


scivolò sopra f<strong>in</strong>endo con <strong>il</strong> sedere sbattuto per terra. Per giunta<br />

sbucciandosi rov<strong>in</strong>osamente un g<strong>in</strong>occhio tra la punta di una<br />

piastrella rotta. “Aglio, che botta!” Esclamò. E In un istante<br />

una figura massiccia si abbassò alla sua altezza, e sgranandole<br />

<strong>in</strong> viso gli occhi piastrellati di nero e spalancandogli come un<br />

tunnel la bocca dip<strong>in</strong>ta rosso fuoco, le disse: “Regol<strong>in</strong>a, piccola<br />

cara non è niente! Vieni con me che ti ci metto una pomat<strong>in</strong>a,<br />

così ti passa tutto!” Reggy la segui e anche Norma e Tiva che<br />

da due forell<strong>in</strong>i della borsa avevano assistito all’<strong>in</strong>cidente,<br />

sbattendoci anche loro violentemente la coda e i dent<strong>in</strong>i da<br />

latte. La signora che l’aveva, diciamo così, ‘soccorsa’ era la<br />

dirigente dell’ufficio dove le ragazze assunte con contratti fasulli<br />

e ‘pro forma’ avevano <strong>il</strong> ruolo di stare tutto <strong>il</strong> giorno ai telefoni.<br />

Senza pause, senza fisso, senza contributi versati e senza giorni<br />

di malattia pagati. Dopo averla medicata con una polver<strong>in</strong>a<br />

misteriosa e averla tamponata <strong>in</strong> maniera sbrigativa con un<br />

fazzoletto personale usato (<strong>qui</strong>ndi non ster<strong>il</strong>e), arrotolato e<br />

fissato con <strong>il</strong> nastro adesivo la signora, che si chiamava Lady<br />

Furbizia, <strong>in</strong>iziò a spiegarle per f<strong>il</strong>o e per segno le sue mansioni<br />

e i doveri facendogli firmare poi una carta straccia che doveva essere, niente di meno che, ‘<strong>il</strong> contratto di lavoro’! Naturalmente, senza<br />

fargli leggere una riga e senza consegnarle una copia. Il contratto non riportava né la data, né la cifra concordata del compenso, niente<br />

fisso mens<strong>il</strong>e e niente provvigioni. Si diresse alla sua postazione di lavoro <strong>in</strong> una stanz<strong>in</strong>a semibuia e disadorna, dove ci sostavano altre<br />

tre sventurate colleghe con una sola, vecchia e fioca lampad<strong>in</strong>a a centro tavolo come fonte di luce, due matite spuntate e un foglietto<br />

di quaderno riciclato strappato <strong>in</strong> quattro parti per gli appunti personali. Le sedie erano poltronc<strong>in</strong>e sfonde e bucate senza braccioli<br />

e schienale che non si adattavano per niente alla scrivania di legno marcio. Per Reggy furono nove ore massacranti di chiamate a un<br />

vecchio telefono analogico per una vendita di prodotti per la casa, senza certificato e privi autenticazioni della Comunità Europea.<br />

Man mano che i giorni passavano la piccola Reggy era sempre più stanca e logorata da lavoro. Era costretta a passare nove ore seduta<br />

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con <strong>il</strong> g<strong>in</strong>occhio ancora dolorante e la ferita ancora aperta. La luce solare non f<strong>il</strong>trava quasi per niente dalle<br />

grate fitte, sistemate al posto delle f<strong>in</strong>estre per paura che qualcuna scappasse via. Il mal di testa, la vista<br />

debole e affaticata e la gobba erano i pr<strong>in</strong>cipali fastidi fisici di tutte le colleghe e, di conseguenza, i motivi<br />

di malattia e delle assenze non pagate.<br />

Un giorno capitò a far visita alle lavoratrici <strong>il</strong> presidente della ditta Senza Diritti. Le convocò <strong>in</strong> una<br />

riunione, dicendo loro da un piedistallo: “Mi chiamo Rovescio e sono <strong>il</strong> vostro padrone! Qui dentro le<br />

cose devono andare come voglio io. Se vi succede qualche cosa, dovete chiamare solo me e nessun altro,<br />

capito? Non dovete dire a nessuno che le prese della corrente non funzionano e sono rotte con i f<strong>il</strong>i esterni<br />

e penzolanti. Non dovete raccontare che dal water non funziona lo sciacquone e dal lavand<strong>in</strong>o esce acqua<br />

gialla, e che dall’unico portone di entrata pr<strong>in</strong>cipale la guarnizione e la serratura della porta sono difettose.<br />

Non dovete fare la spia dicendo che non ci sono uscite secondarie e sistemi di allarmi e ant<strong>in</strong>cendio.<br />

E, soprattutto, non dovete rivelare che a fare le pulizie dell’ufficio è la signora ros<strong>in</strong>a, l’ottantenne del piano<br />

di sopra”. Detto questo, obbligò a far firmare a tutte una ‘dichiarazione di segretezza’.<br />

Un patto diabolico come garanzia del posto di lavoro.<br />

Una matt<strong>in</strong>a, come tante altre, Regol<strong>in</strong>a si svegliò piangendo perché gli faceva tanto male<br />

<strong>il</strong> g<strong>in</strong>occhio. Sì, proprio quello che aveva sbattuto <strong>il</strong> primo giorno di lavoro. Non riusciva<br />

a trattenere le lacrime dal dolore. La ferita al g<strong>in</strong>occhio non si era mai guarita. E <strong>il</strong> pus,<br />

oramai, fuoriusciva sgorgando rigoglioso dal punto dell’<strong>in</strong>fezione. Chiese a Lady Furbizia,<br />

su consiglio delle gatt<strong>in</strong>e, un giorno di permesso di riposo. La signora, <strong>in</strong>sospettita, non la<br />

rivolle più a lavorare con lei. Di punto <strong>in</strong> bianco, la licenziò senza giusta causa.<br />

Norma e Tiva entrarono <strong>in</strong> azione e profittando dell’accaduto decisero, di comune accordo,<br />

di accompagnare Reggy alla città degli ‘Angeli degli <strong>in</strong>fortunati.” Un’isola speciale dove<br />

delle presenze angeliche aiutano i lavoratori <strong>in</strong> difficoltà con i propri datori di lavoro.<br />

L’ufficio dei neoassunti si trovava al primo piano. La cattedra era una rec<strong>in</strong>zione dorata<br />

con tanti luccichii. “Buongiorno, sono Angelo Assunto qual è <strong>il</strong> tuo problema?”<br />

“Mi sono fatta male al lavoro mi hanno mandato via…e non so come fare per guarire<br />

la mia ferita.” L’angelo gli pose una lente sopra <strong>il</strong> g<strong>in</strong>occhio e dopo averlo visto, gli<br />

suggerì di recarsi al più presto dal dottor Medic<strong>in</strong>a del <strong>Lavoro</strong> che esercitava la sua<br />

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53<br />

<strong>il</strong>lustrissima professione nell’Isola del tesoro chiamata ‘INAIL’.<br />

La strada per arrivarci era piena di prove e ostacoli da superare.<br />

Il f<strong>in</strong>e ultimo era quello di forgiare e saggiare i buoni propositi<br />

degli ospiti benvenuti. Infatti, non tutti erano <strong>in</strong> buona fede!<br />

Le sent<strong>in</strong>elle del Palazzo reale riconobbero e lasciarono passare<br />

Regol<strong>in</strong>a. F<strong>in</strong>almente entrata a Palazzo, prese l’ascensore per<br />

salire. Ad aspettarla, all’ultimo piano, c’era <strong>il</strong> dottor Medic<strong>in</strong>a del<br />

<strong>Lavoro</strong> con <strong>il</strong> suo assistente occhialuto, di nome ‘Losapevoio’.<br />

Nel frattempo, <strong>il</strong> telegiornale locale annunciava che nella ditta<br />

Senza Diritti c’era stato un pr<strong>in</strong>cipio d’<strong>in</strong>cendio. I soccorritori<br />

erano ancora all’opera e <strong>il</strong> personale e i lavoranti erano ancora<br />

<strong>in</strong>castrati e <strong>in</strong>trappolati dentro l’ufficio. Come ben si sapeva,<br />

non c’erano porte secondarie per le uscite di sicurezza, le grate<br />

delle f<strong>in</strong>estre erano fissate strette e al portone d’<strong>in</strong>gresso le si era bloccata la serratura! Per di più, la bombola anti<strong>in</strong>cendio non si<br />

sganciava perché era scaduta la revisione! Che grosso guaio, davvero. Il dottor Medic<strong>in</strong>a, appena apprese la notizia, mandò subito<br />

una sua squadra speciale per ispezionare <strong>il</strong> luogo dell’<strong>in</strong>cidente, e dopo poco tempo riuscirono a portare tutti <strong>in</strong> salvo. Tanta è stata la<br />

paura, con qualche livido e <strong>in</strong>tossicazione, per le donne operatrici dell’azienda, che da quel giorno smisero di sentirsi ‘ <strong>in</strong> ostaggio’ . Una<br />

settimana dopo testimoniarono tutte unite, grazie all’aiuto di Regol<strong>in</strong>a, davanti alla corte<br />

del ‘<strong>Lavoro</strong> è uguali per tutti’ presso <strong>il</strong> ‘Tribunale del malato’ per le condizioni degradanti<br />

<strong>in</strong> cui lavoravano. La verità era saltata fuori, l’azienda fu chiusa e <strong>il</strong> presidente multato<br />

e arrestato. Le ragazze tornarono <strong>in</strong>sieme a lavorare , ma questa volta per una ditta che<br />

le volle premiare assumendole come responsab<strong>il</strong>i <strong>in</strong>terne della sicurezza. Regol<strong>in</strong>a, per la<br />

prima volta <strong>in</strong> vita sua, si sciolse i lunghi capelli certa che le ‘regole’, che prima vi erano<br />

all’<strong>in</strong>terno prigioniere, ora erano tutte state reimpostate <strong>in</strong> loro favore, per volare <strong>in</strong> libertà<br />

e librarsi nell’aria pulita e trasparente.<br />

E da quel giorno vissero così tutti sani, felici, sicuri e contenti!


Una favola da grandi<br />

di Laura Fornaroli<br />

Nel bosco delle querce dormienti, <strong>il</strong> Gran Maestro delle selve produttive stava riord<strong>in</strong>ando la sua scrivania <strong>in</strong> attesa di ricevere a<br />

privato collo<strong>qui</strong>o <strong>il</strong> Consigliere del sottobosco per <strong>il</strong> consueto b<strong>il</strong>ancio annuale. Essendo ormai al suo novantanovesimo mandato, era<br />

consapevole che la puntualità non fosse tra le virtù proprie di un Elfo s<strong>il</strong>vano, <strong>in</strong> particolare quando i suoi spostamenti dipendevano dal<br />

servizio di trasporto locale, gestito da <strong>in</strong>dolenti Gnomi Barbuti, più <strong>in</strong>tenti a far legna per l’<strong>in</strong>verno che ad ottimizzare le risorse. Afferrò<br />

<strong>qui</strong>ndi la sua panciuta clessidra, la girò <strong>in</strong> un gesto deciso e, quasi compiaciuto per quella <strong>in</strong>efficiente rappresentazione, pr<strong>in</strong>cipiò ad<br />

osservare la sabbia che scorreva attraverso lo stretto foro.<br />

Era <strong>in</strong>fatti op<strong>in</strong>ione diffusa che gli Elfi fossero creature capricciose per naturale <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azione e che, seppur <strong>in</strong>vestiti di significative<br />

responsab<strong>il</strong>ità all’<strong>in</strong>terno del microcosmo s<strong>il</strong>vestre, tendessero a non curarsi granché degli aspetti formali e si attivassero soltanto se<br />

costantemente richiamati all’ord<strong>in</strong>e da un’autorità gerarchicamente superiore. Lui lo sapeva bene, essendo un Leprecauno di m<strong>il</strong>lenaria<br />

esperienza ed avendo da sempre rivestito <strong>in</strong>carichi di altissima dirigenza, che ben si accordavano con l’ <strong>in</strong>dole autoritaria e con la<br />

maniacale propensione all’accumulo di ricchezze di tali esseri fatati.<br />

sentenziò seccato. .<br />

Ciò detto, anche <strong>in</strong> considerazione del fatto che la sua posizione lo legittimava a far seguire un’azione sanzionatoria a fronte di un atto di<br />

potenziale <strong>in</strong>subord<strong>in</strong>azione all’ ord<strong>in</strong>e costituito, estrasse dall’ultimo cassetto della scrivania <strong>in</strong> superba radica un penn<strong>in</strong>o d’ argento,<br />

lo <strong>in</strong>f<strong>il</strong>ò <strong>in</strong> una variop<strong>in</strong>ta piuma di pappagallo sudamericano e lo <strong>in</strong>t<strong>in</strong>se m<strong>in</strong>uziosamente nel raff<strong>in</strong>atissimo calamaio. Predispose i<br />

timbri ufficiali, prese una candela ed un pezzetto di ceralacca rossa e distese <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e con cura un foglio di carta pecud<strong>in</strong>a. Ma nel preciso<br />

momento <strong>in</strong> cui si acc<strong>in</strong>se a dare forma al suo ultrapedagogico proposito, fu giustappunto <strong>in</strong>terrotto dal suono dei passi dell’atteso<br />

visitatore, ormai prossimo all’uscio di quella riparata ed <strong>in</strong>solitamente s<strong>il</strong>enziosa sede istituzionale.<br />

disse <strong>in</strong> tono perentorio, senza che quello avesse avuto neppure <strong>il</strong> tempo di sfiorare le campanelle a vento che<br />

di norma annunciavano la presenza di un ospite.<br />

Il m<strong>in</strong>uscolo funzionario entrò, si levò <strong>il</strong> cappello di feltro marrone e <strong>in</strong>iziò a pizzicarsi nervosamente la punta delle lunghe orecchie.<br />

Venne fatto accomodare su una moderna poltronc<strong>in</strong>a di giunchi - dono del Folletto agreste, segretario di legazione della radura, <strong>il</strong> quale<br />

aveva recentemente presentato un’apprezzata relazione sull’andamento del censimento dei licheni - ed attese con ansia la concessione<br />

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di quel prezioso e rarissimo bene che era, <strong>in</strong> una primitiva compag<strong>in</strong>e sociale, la libertà di parola.<br />

L’attempato Leprecauno lo scrutò con aria circospetta, si sfregò ripetutamente le tozze mani e proseguì la pantomima sollevando <strong>il</strong><br />

mento e le folte sopracciglia come un giudice nell’atto di accordare l’ultimo desiderio al misero condannato.<br />

L’Elfo si schiarì la voce: Ma <strong>in</strong> quel preciso istante, l’espressione del Leprecauno si fece<br />

torva e malevola. scandì con sguardo ormai irrimediab<strong>il</strong>mente patibolare. E fece un cenno con la mano destra<br />

che <strong>in</strong>timava al mal capitato di proseguire con sollecitud<strong>in</strong>e le sue osservazioni.<br />

.<br />

>lo corresse prontamente <strong>il</strong> vecchio Leprecauno, visib<strong>il</strong>mente alterato.<br />

.<br />

Il vecchio tamburellava sulla scrivania con le dita. Aprì un pesantissimo polveroso <strong>libro</strong> e fece scorrere l’<strong>in</strong>dice della mano destra lungo<br />

le righe fittissime, scritte <strong>in</strong> un carattere <strong>in</strong>credib<strong>il</strong>mente piccolo.<br />

>. E chiosò: .<br />

attaccò nuovamente l’Elfo, deciso a non subire ulteriori tentativi di distrazione dal punto nodale della sua<br />

versione dei fatti


I Pesci poi sono tutti muti: Cipr<strong>in</strong>i, Scardole e T<strong>in</strong>che del laghetto. Nessuno di loro parlerà mai più. Troppe le scorie venefiche immesse<br />

nelle sorgenti dai Troll e dalle Streghe Boriose. E <strong>il</strong> pesciame preferisce non commentare, muoversi <strong>in</strong> gruppo e scivolare via con guizzi<br />

lesti, aff<strong>in</strong>ché nessun curioso possa avvic<strong>in</strong>arsi, ponendo scomode domande. Ne muoiono stuoli ogni mese, per la mancanza di controlli,<br />

a causa di sconosciute <strong>in</strong>fermità o semplicemente per disperazione >>. All’Elfo vennero gli occhi lucidi. Per un attimo pensò di trovare<br />

conforto <strong>in</strong> quelli del suo superiore, <strong>qui</strong>ndi sollevò <strong>il</strong> capo e lo cercò. Il Gran Maestro si trastullava distrattamente con la sua clessidra.<br />

> affermò ammiccando alla sabbia residua, e proseguì imperturbab<strong>il</strong>e : .<br />

Sf<strong>il</strong>ò <strong>il</strong> penn<strong>in</strong>o dal calamaio, lo alleggerì con un colpetto dall’eccesso di <strong>in</strong>chiostro e si affrettò a mettere nero su bianco l’<strong>in</strong>iziativa<br />

appena prof<strong>il</strong>ata. L’Elfo ripose mestamente <strong>il</strong> documento nella sua bisaccia di iuta e si congedò senza dire una parola. Mentre<br />

percorreva sconsolato la strada verso casa, gli venne l’idea di raccontare agli amici l’amaro ep<strong>il</strong>ogo di quell’<strong>in</strong>contro, evidenziandone<br />

prodromi e decorso.<br />

In quella circostanza apprese che <strong>in</strong> molti non condividevano quel genere di condotta, tantomeno un sistema arcaico che <strong>in</strong>ibiva la<br />

propensione al confronto. Capì che l’unione poteva renderli tenaci ed <strong>in</strong>faticab<strong>il</strong>i nel raggiungimento della Giustizia e che un apparato<br />

sano avrebbe apportato seri vantaggi, assicurando a tutti un concreto benessere. Fondò così l’Ord<strong>in</strong>e dei Custodi delle selve, che presto<br />

ottenne l’approvazione e <strong>il</strong> sostegno di moltissimi abitanti del bosco, che con impegno e devozione riportarono all’orig<strong>in</strong>aria prosperità<br />

<strong>il</strong> luogo che amavano più di ogni altra cosa al mondo.<br />

Ad ogni creatura regolarmente occupata <strong>in</strong> un servizio boschivo fu assicurata la tutela della salute e dai rischi propri del suo <strong>in</strong>carico.<br />

Qualificate Fate Dalla Vista Acuta furono poste a sorvegliare ed ispezionare i luoghi, con l’obbligo di segnalare disfunzioni ed eventuali<br />

violazioni delle regole.<br />

A tutti <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e fu garantito <strong>il</strong> diritto al riposo notturno sotto l’egida di una Civetta Fulva e al letargo <strong>in</strong>vernale sotto la custodia della S<strong>il</strong>fide<br />

Madre.<br />

Ecco dimostrato come i cattivi costumi si possano combattere tutti <strong>in</strong>sieme attraverso piccoli ma decisivi aggiustamenti.<br />

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Il vestito della Pr<strong>in</strong>cipessa<br />

di Pamela Sarac<strong>in</strong>i<br />

C’era una volta, <strong>in</strong> un tempo molto lontano, una pr<strong>in</strong>cipessa di nome Ambrosia, l’adorata figlia del re Gualtiero di Orchidea e di sua<br />

moglie, la reg<strong>in</strong>a F<strong>il</strong>ippa Catr<strong>in</strong>a Zaffiro di Melacotta.<br />

Ambrosia, però, non era una pr<strong>in</strong>cipessa qualunque, di una bellezza rara e quasi fatata, capelli rossi, pelle di cipria, perle di lentigg<strong>in</strong>i e<br />

uno sguardo al retrogusto di miele e d’ambra, aveva per sé una grande sensib<strong>il</strong>ità ed una <strong>in</strong>telligenza senza pari. F<strong>in</strong> da piccolissima <strong>il</strong><br />

suo più grande divertimento era frugare tra i libri del padre e ficcare <strong>il</strong> naso nei grandi volumi impolverati degli artisti di bottega e degli<br />

<strong>in</strong>ventori che lavoravano a palazzo.<br />

Voleva capire <strong>il</strong> meccanismo delle cose, e questo suo grande <strong>in</strong>teresse l’aveva portata ad avere amore per ogni forma di vita, per ogni<br />

oggetto <strong>in</strong>animato e per tutto ciò che la circondava.<br />

Ogni alito di vento, ogni c<strong>in</strong>guettio di uccello, ogni nitrito di cavallo aveva un sigificato per lei, che avrebbe voluto studiare e conoscere<br />

<strong>il</strong> mistero del mondo. Nel regno di Orchidea si era diffusa f<strong>in</strong> da subito la voce che questa pr<strong>in</strong>cipessa bellissima e molto strana, sempre<br />

dedita ai libri ed allo studio era poco attenta alle feste ed ai balli.<br />

La reg<strong>in</strong>a Zaffiro vedeva crescere sua figlia giorno dopo giorno e si preoccupava che, proprio per questo suo <strong>in</strong>teresse particolare, e per<br />

questa sua sensib<strong>il</strong>ità estrema, lei non sarebbe riuscita ad avere quelle doti necessarie per essere a capo di un regno e soprattutto che<br />

non avrebbe dedicato tempo all’amore e al trovare per sè un pr<strong>in</strong>cipe che volesse sposarla.<br />

Ma così non fu, perché la div<strong>in</strong>a bellezza di Ambrosia non poteva passare di certo <strong>in</strong>osservata.<br />

Il pr<strong>in</strong>cipe Romeo, erede al trono del limitrofo Regno di Fogliarossa, <strong>in</strong>fatti, la notò e, colpo del dest<strong>in</strong>o, proprio mentre lei, <strong>in</strong>tenta <strong>in</strong> una<br />

ricerca sulla sostanza dell’acqua, ch<strong>in</strong>a al ruscello di conf<strong>in</strong>e fra i due regni, ne raccoglieva un po’ dentro un ampolla. Tra la pr<strong>in</strong>cipessa<br />

Ambrosia e <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipe Romeo fu amore a prima vista, un colpo di fulm<strong>in</strong>e li aveva uniti e non li avrebbe mai più separati, conducendoli<br />

appassionati ed <strong>in</strong>namorati f<strong>in</strong>o al giorno delle nozze.<br />

La reg<strong>in</strong>a era radiosa per <strong>il</strong> matrimonio della sua unica figlia e tutti ad Orchidea erano <strong>in</strong> fermento per l’evento imm<strong>in</strong>ente.<br />

“Bisogna assicurarsi che tutto sia perfetto!” cont<strong>in</strong>uava a ripetere <strong>il</strong> re Gualtiero, “bisogna assicurarsi che tutto sia perfetto!” gli faceva<br />

eco da dietro sua moglie Zaffiro, correndo <strong>in</strong> su e <strong>in</strong> giù per i corridoi del palazzo e parlando con questo e con quello.<br />

Mentre i preparativi per l’organizzazione procedevano e i cuochi di palazzo sfornavano un dolce dopo l’altro per proporlo <strong>in</strong> assaggio a<br />

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sua maestà, che lo scegliesse come dolce per le nozze, la vera perla dei preparativi era l’abito da sposa.<br />

Come tradizione ad Orchidea, la reg<strong>in</strong>a Zaffiro doveva occuparsi del vestito. Per questo, si era <strong>in</strong>caricata di far disegnare e creare un<br />

abito per sua figlia, richiedendo che fosse <strong>il</strong> più bello mai <strong>in</strong>dossato tra tutti gli abiti mai avuti non solo ad Orchidea, ma anche nei regni<br />

limitrofi.<br />

L’abito sarebbe stato color <strong>in</strong>cantesimo, con grandi tulle, perle, pietre e diamanti applicati, ed uno starscico di ben dodici metri. Per <strong>il</strong><br />

velo, <strong>in</strong>vece, la reg<strong>in</strong>a aveva scelto un tessuto particolare, fatto con frammenti di pietre preziose ricavate dalla foresta di Olctroz, che<br />

avrebbero donato al volto di sua figlia una luce unica ed <strong>in</strong>imitab<strong>il</strong>e.<br />

Fiera del modello presentato su carta dal fidato sarto di corte Sebastian, la reg<strong>in</strong>a si era recata personalmente al laboratorio di sartoria<br />

dove le operaie aspettavano già da qualche giorno <strong>il</strong> nuovo lavoro.<br />

Aveva passato un’<strong>in</strong>tera giornata a spiegare come doveva essere cucito l’abito, quali f<strong>il</strong>i usare, dove applicare le pietre e, solo a notte<br />

sopraggiunta, quando ormai era sicura che tutto fosse chiaro, era tornata al castello, soddisfatta. Da lì a una settimana si sarebbero<br />

f<strong>in</strong>almente visti i primi risultati e Ambrosia sarebbe stata chiamata per la prima prova.<br />

I giorni scorrevano felici e i preparativi andavano a gonfie vele.<br />

Mentre <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipe Romeo completava degli ultimi procedimenti burocratici per poter convolare a nozze, Ambrosia si dedicava allo<br />

studio. Prima del matrimonio, si era detta, voleva portare a term<strong>in</strong>e la sua ricerca sulle querce del bosco fatato perché altimenti chissà<br />

poi per quanto tempo avrebbe dovuto sospenderla.<br />

In un pomeriggio assolato era scesa nelle scuderie e si era fatta sellare Orfeo, suo fidato destriero, per galoppare tra gli alberi secolari del<br />

bosco e poter raccogliere tutti i dati per term<strong>in</strong>are <strong>il</strong> suo studio.<br />

A passo fiero Orfeo la conduceva, contento di queste scorribande che la sua padrona lo portava a fare e, dopo ben due ore di camm<strong>in</strong>o<br />

Ambrosia era f<strong>in</strong>almente giunta al centro della radura fatata.<br />

Legato Orfeo ad un tronco d’albero si apprestava ad esplorare. Si diceva che proprio li, nella grande stella che si creava tra le querce<br />

potessero apparire delle fate.<br />

Ambrosia non ne aveva mai vista una e, mordendosi <strong>il</strong> labbro, aveva fatto un passo avanti, f<strong>in</strong>o al centro di quella stella che si componeva<br />

sul selciato, con nel cuore un grande desiderio: vedere una di quelle fate prima del giorno del suo matrimonio, perché si diceva che<br />

vederne una era di buon auspicio per le future spose.<br />

Braccia aperte e sguardo rivolto verso <strong>il</strong> cielo, Ambrosia aspettava, pronta a vedere se succedesse qualcosa da un momento all’altro.<br />

Fu proprio allora che, all’improvviso, fu colta da uno sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>lio e, proprio per magia le era comparsa davanti la fata.<br />

“O, ma allora è vero” si era lasciata sfuggire la pr<strong>in</strong>cipessa.<br />

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“Uh, ma guarda un po’ te se devo apparire proprio ad una giovane malfidata” le aveva risposto la fata, che girandosi, stava per<br />

scomparire <strong>in</strong> una nuvola di br<strong>il</strong>lant<strong>in</strong>i.<br />

“No, no…scusami, aspetta…non volevo essere scortese – aveva detto di fretta la pr<strong>in</strong>cipessa - io non avevo mai visto una fata…sono…<br />

sono la pr<strong>in</strong>cipessa Ambrosia del regno di Orchidea”<br />

“So chi sei, mia cara - le aveva detto la fata – e so che tra qualche tempo dovresti sposarti, avermi visto ti porterà di certo fortuna”<br />

“si…grazie, fata, ti r<strong>in</strong>grazio di cuore, ma, dimmi, come sai che sto per sposarmi?” aveva chiesto Ambrosia <strong>in</strong>curiosita.<br />

“Oh bè, lo so perché conosco Dorotea…<br />

” “Dorotea?”<br />

“Si, Dorotea, una delle giovani fanciulle che sta lavorando per confezionare <strong>il</strong> tuo vestito” Ambrosia sembrava piuttosto curiosa.<br />

“Sai, Ambrosia – aveva cont<strong>in</strong>uato la fata – sei una pr<strong>in</strong>cipessa bellissima e molto <strong>in</strong>telligente ma non serve studiare e condurre ricerche<br />

se non sai guardar più <strong>in</strong> la del tuo naso”<br />

“Cosa vuoi dire fata? Non ti capisco” le aveva risposto Ambrosia. “<br />

Voglio dire che devi avere occhi, cervello e cuore per guardare <strong>il</strong> mondo e che mentre ci sono cose che forse scoprirai, e altre che non è<br />

dato a voi umani sapere, tuo compito è quello di operarti aff<strong>in</strong>chè tutto quanto <strong>in</strong> tuo potere possa essere fatto”<br />

“Questo è <strong>il</strong> compito della reg<strong>in</strong>a, forse?”<br />

“Non solo Ambrosia, questo è <strong>il</strong> compito dell’essere umano”<br />

“Ma di cosa parli? – ribatteva la pr<strong>in</strong>cipessa – io non capisco”<br />

Ma la fata non aveva più detto altro e come era comparsa era sparita.<br />

“Orfeo, l’hai vista anche tu non è vero?” aveva detto Ambrosia, <strong>in</strong>terpellando <strong>il</strong> suo fedele compagno di cavalcate.<br />

“HIHIHI” aveva annuito <strong>il</strong> destriero. “Lo sapevo…non ho sognato…ma sai questo cosa significa Orfeo? Che per <strong>il</strong> momento la nostra<br />

ricerca è sospesa perché devo risolvere questo importante enigma”.<br />

Le parole della fata le erano rimaste <strong>in</strong> testa. Cont<strong>in</strong>uava a sentirle vive, come vic<strong>in</strong>o a lei. Ambrosia era diventata pensierosa, ancora<br />

più strana di quanto mai fosse stata, perché non riusciva a cogliere <strong>il</strong> segreto di quanto le era stato detto <strong>in</strong> quella radura.<br />

La reg<strong>in</strong>a e <strong>il</strong> re temevano che si trattasse di un maleficio lanciato da qualche strega lontana che volesse rov<strong>in</strong>are le nozze e non<br />

volevano parlare del cambiamento della loro figlia per non diffondere <strong>il</strong> panico nel regno e per non rov<strong>in</strong>are <strong>il</strong> tanto atteso matrimonio.<br />

Intanto i giorni scivolavano e la pr<strong>in</strong>cipessa era stata f<strong>in</strong>almente chiamata per la prova dell’abito. Stanca e distratta Ambrosia si era<br />

recata alla sartoria del regno, si era lasciata <strong>in</strong>f<strong>il</strong>are le maniche e sistemare i buffetti della gonna, guardandosi allo specchio, f<strong>in</strong>o a che<br />

all’improvviso, si era accorta che riflessa <strong>in</strong> quel grande specchio ovale dalla cornice <strong>in</strong>tarziata non c’era solo la sua immag<strong>in</strong>e. Girando<br />

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lo sgaurdo, aveva notato la piccola sarta che le appuntava sp<strong>il</strong>li all’orlo delle maniche. E poi, si accorta delle ferite che quella piccola<br />

ragazza aveva alle mani. Si era guardata <strong>in</strong>torno, le altre giovani cucitrici portavano anche loro garze macchiate di sangue alle mani e,<br />

a quel punto, una sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>la le si era accesa nella mente. Scesa dal piedistallo su cui era salita per la prova dell’abito aveva preso le mani<br />

della giovane sarta e le aveva detto “tu sei Dorotea, non è vero?”. Dorotea si era ritirata spaventata, impraparata a quel comportamento<br />

da parte della pr<strong>in</strong>cipessa.<br />

In un attimo Ambrosia si era accorta che anche le altre sarte si erano spaventate e avevano di corsa lasciato la stanza.<br />

“Parlami, rispondimi…sei Dorotea, non è vero?”<br />

le aveva detto fermandola, per evitare che se ne andasse anche lei.<br />

“Si, vostra maestà” aveva risposto timida la giovane<br />

“Non avevo dubbi…adesso ho capito…allora dimmi Dorotea, cosa hai fatto alle mani? E cosa hanno fatto le altre ragazze? A quanto<br />

ho visto portavano delle garze ed erano macchiate di sangue”<br />

Dorotea la guardava spaventata e dubbiosa. “Vostra maestà…ma…” aveva detto, e non rusciva a rispondere oltre.<br />

“Oh, non chiamarmi Vostra maestà…sono Ambrosia, e adesso dimmi, Dorotea…cosa avete voi sarte, alle mani?”<br />

“Mia signora, niente, non abbiamo niente alle mani, questi sono solo i segni del nostro lavoro” aveva risposto f<strong>in</strong>alemente la piccola<br />

Dorotea. Così Ambrosia si era seduta, con la giovane sarta al suo fianco, e si era fatta raccontare per f<strong>il</strong>o e per segno <strong>in</strong> cosa consisteva<br />

<strong>il</strong> loro lavoro. Aveva dato uno sguardo al laboratorio, una scorsa veloce ai fusi e ai vecchi telai che venivano usati per fare la stoffa e<br />

alle macch<strong>in</strong>e per cucire. Tutti strumenti vecchi, mal ridotti e senza protezioni. Aveva scoperto che le sarte lavoravano la polvere delle<br />

pietre, e respirandola avevano sempre una gran tosse. Con la poca luce che c’era <strong>in</strong> sartoria avevano male agli occhi e <strong>in</strong>oltre non<br />

avevano via di fuga nel caso che gli Orchi di Orch<strong>il</strong>andia avessero fatto irruzione ed appiccato un <strong>in</strong>cendio, come era loro solito fare per<br />

disturbare i regni vic<strong>in</strong>i.<br />

Tutto quello per lei era abbastanza. “Ord<strong>in</strong>o la sospensione del lavoro” aveva detto decisa “ma Vostra maestà, voi dovete sposarvi…<br />

non…non potete sospendere la produzione del vostro abito” ribatteva Dorotea “lo so, lo so…e mi sposerò Dorotea, non temere…ma<br />

non prima che <strong>in</strong> questa sartoria sia stato messo tutto a posto – aveva detto la pr<strong>in</strong>cipessa Ambrosia – i diritti dei sudditi del Regno di<br />

Orchidea, i vostri diritti, vengono prima del mio vestito, e io voglio, anzi esigo, che siano rispettati, così come devono essere rispettate la<br />

salute e la sicurezza sul luogo di lavoro”<br />

Dorotea ascoltava <strong>in</strong>credula e aveva le lacrime agli occhi. Anche lei aveva sentito parlare di quanto fosse strana la pr<strong>in</strong>cipessa e delle<br />

sue manie per i libri, per lo studio e per le ricerche. Dalle chiacchiere delle cortigiane aveva saputo anche dei dubbi che la reg<strong>in</strong>a aveva<br />

sulle qualità della figlia come erede al trono, ma <strong>in</strong> quel momento vedeva da vic<strong>in</strong>o la diversità della pr<strong>in</strong>cipessa ed era sicura che<br />

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davanti a lei non c’era una giovane sprovveduta con la testa tra le nuvole ma una donna testarda e fiera che con <strong>il</strong> suo carattere e la sua<br />

determ<strong>in</strong>azione era perfetta per diventare reg<strong>in</strong>a. Tornata a palazzo Ambrosia aveva convocato suo padre e sua madre, comunicando la<br />

sua decisione: far <strong>in</strong>terrompere la cucitura del vestito f<strong>in</strong>o a quando la situazione <strong>in</strong> sartoria non fosse cambiata e non fossero garantite<br />

alle sarte salute e sicurezza. Certa di aver f<strong>in</strong>almente capito <strong>il</strong> significato di quanto le era stato detto dalla fata del bosco, Ambrosia aveva<br />

già preparato un piano di <strong>in</strong>tervento per la sartoria del regno da portare a term<strong>in</strong>e quanto prima.<br />

Il re e la reg<strong>in</strong>a contrariati, cercarono di farla ragionare e di spostare queste sue ipotesi di miglioramenti dopo le nozze, ma Ambrosia, che<br />

aveva fatto della sua testardagg<strong>in</strong>e una virtù, non volle saperne e si mise a lavoro, <strong>in</strong> prima persona, per gestire al meglio la situazione.<br />

Passando tutte le giornate alla sartoria era f<strong>in</strong>almente riuscita a capire quali fossero i pericoli nascosti per le giovani sarte e a casa,<br />

di notte, mentre tutti dormivano aveva scritto un grande <strong>libro</strong> dove erano elencati tutti i rischi con tutta una serie di regole che le<br />

ragazze avrebbero dovuto seguire per lavorare senza farsi male e un piano di emergenza per fronteggiare le situazioni più pericolose.<br />

Le protezioni agli strumenti erano state <strong>in</strong>serite, così come allo spazio di lavoro era stata data più luce e alle sarte delle mascher<strong>in</strong>e<br />

protettive per lavorare con la polvere delle pietre senza respirarla.<br />

I meccanismi ant<strong>in</strong>cendio erano stati preparati, con un sofisticato congegno che Ambrosia aveva progettato nelle sue ultime ricerche, e<br />

che collegava direttamente dei tubi presenti nello stanzone della sartoria all’acqua del vic<strong>in</strong>o ruscello mentre, <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipe Romeo, aveva<br />

collaborato direttamente per creare delle uscite di sicurezza per permettere alle lavoratrici di uscire più <strong>in</strong> fretta e senza pericolo <strong>in</strong> caso<br />

di emergenza. A controllare i telai più vecchi fu chiamato uno scienziato esperto di questi macch<strong>in</strong>ari che si mise lì con pazienza a fare<br />

tutta una serie di prove a campione di pezzetti m<strong>in</strong>uscoli e troppo consumati che nessuno aveva notato.<br />

Alle forbici poi, la pr<strong>in</strong>cipessa ord<strong>in</strong>ò che fossero messi dei nastr<strong>in</strong>i rossi, per ricordare alle sarte di usarle con attenzione mentre alle<br />

macch<strong>in</strong>e per cucire venne messo dell’olio speciale, perché fossero più morbide nell’uso e sopra ognuna di esse Ambrosia appese un<br />

grosso cartello con su scritto “le vostre dita sono più preziose di ciò che state cucendo”.<br />

Dorotea era stata nom<strong>in</strong>ata addetta ant<strong>in</strong>cendio e addetta al primo soccorso, dopo aver frequentato dei corsi tenuti dalle guardie e<br />

dal medico di palazzo. A quel punto la pr<strong>in</strong>cipessa, fiera per <strong>il</strong> lavoro svolto, aveva chiesto alle giovani sarte se se la sarebbero sentita<br />

di proseguire <strong>il</strong> lavoro al suo vestito, ma <strong>il</strong> matrimonio era ormai troppo vic<strong>in</strong>o e, anche lavorando giorno e notte, non ce l’avrebbero<br />

comunque fatta. Fu <strong>in</strong> quel momento che comparve la fata del bosco che, per premiare Ambrosia per <strong>il</strong> lavoro svolto, con un <strong>in</strong>cantesimo<br />

rallentò <strong>il</strong> flusso del tempo, così che le sarte poterono riprendere a lavorare e riuscirono a f<strong>in</strong>ire <strong>il</strong> tanto atteso abito, che era bellissimo,<br />

perfetto, <strong>il</strong> più bello tra tutti i vestiti avuti e creati ad Orchidea e nei regni limitrofi, ma soprattutto cucito <strong>in</strong> sicurezza.<br />

Naturalmente, <strong>il</strong> matrimonio di Ambrosia di Orchidea e del pr<strong>in</strong>cipe Romeo di Fogliarossa, fu talmente bello che se ne parlò per lungo<br />

tempo ma, anche la sartoria di corte, così moderna e bene organizzata fece tanto parlare di sé a tal punto che i re e le reg<strong>in</strong>e dei Paesi<br />

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conf<strong>in</strong>anti si recavano a far visita al Regno di Orchidea, chiedendo di poterla ammirare.<br />

Le tecnologie ut<strong>il</strong>izzate e le sicurezze poste <strong>in</strong> atto erano talmente ben pensate che ogni visitatore non poteva fare a meno di esprimere<br />

i propri complimenti.<br />

Allora, la reg<strong>in</strong>a F<strong>il</strong>ippa Zaffiro di Melacotta rispondeva solo con un “grazie”, ma dal suo sorriso e dagli sguardi delle piccole sarte si<br />

vedeva che sotto sotto c’era molto di più.<br />

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Mio padre, Spiderman<br />

Giovanna Iorio<br />

Lo vedi quel palazzo, alto come una montagna e grande come lo scheletro di un d<strong>in</strong>osauro addormentato? Vedi come sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>la la sua<br />

armatura? A me fa paura ma so che un giorno anche io riuscirò a scalarlo, me l’ha promesso <strong>il</strong> mio papà.<br />

Io lo so che mio padre <strong>in</strong> realtà è Spiderman. Certo ha <strong>il</strong> costume un po’ diverso. Non si mette quella tuta rossa e blu perché mia madre<br />

odia <strong>il</strong> rosso e blu. A lei piace l’arancio e <strong>il</strong> giallo. E <strong>qui</strong>ndi ha scelto una tuta arancione e un casco giallo con la visiera di plastica.<br />

Quando esce di casa non si vede ancora <strong>il</strong> sole. Io me ne vado nel letto con mamma e lei mi racconta la vera storia di mio padre. Mio<br />

padre, Spiderman. Mi racconta le sue avventure, da quando si sono <strong>in</strong>contrati, <strong>in</strong> cima ad un grande palazzo di cristallo.<br />

Mio padre torna sempre alla stessa ora la sera. Tutto sporco come se avesse fatto a pugni con l’Uomo Sabbia. Ed è proprio quello che fa<br />

ogni giorno. C’è una macch<strong>in</strong>a piena di sabbia che non fa che girare e lui deve stare attento perché se si ferma, l’Uomo Sabbia diventa<br />

un pezzo di cemento armato che cadendo schiaccerebbe i passanti e anche lui. Mio padre sta su <strong>in</strong> cima, attaccato alle sue ragnatele<br />

di ferro. Fa tutto da solo, perché lassù ci sa arrivare solo lui con un salto e un sorriso. Il d<strong>in</strong>osauro potrebbe com<strong>in</strong>ciare ad avanzare da<br />

un momento all’altro se non mette tutto come si deve, e lui ha <strong>il</strong> compito di tenerlo a bada.<br />

Mio padre è un uomo speciale ma io non posso raccontarlo a nessuno. Se qualcuno sapesse che mio padre è Spiderman potrebbero<br />

rapire me e mia madre, e così lo avrebbero <strong>in</strong> pugno. E’ per questo che non posso andare a trovarlo f<strong>in</strong>o a quando <strong>il</strong> palazzo non sarà<br />

term<strong>in</strong>ato. E quel giorno è quasi arrivato. Oggi mio padre deve salire f<strong>in</strong> quasi al cielo, raggiungerà con la ragnatela l’ultimo piano e<br />

poi mi ci potrà portare.<br />

Mia madre non è mai felice quando lui va fuori a lottare per <strong>il</strong> bene dell’umanità. Anch’io <strong>in</strong> realtà vorrei un padre normale, magari un<br />

padre post<strong>in</strong>o che porti le lettere a Babbo Natale (e io potrei essere sicuro che la riceva, perché a quanto pare non gli arriva mai). Ma<br />

lui è nato così, mio padre è Spiderman, con quella bellissima tuta arancione, <strong>il</strong> casco giallo e la visiera di plastica.<br />

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Stasera però non è ancora tornato. E fuori sta diventando troppo buio anche per Spiderman. Mia madre fa avanti e <strong>in</strong>dietro nella stanza<br />

come Anne Jane quando aspetta nel piccolo appartamento di Peter Parker.<br />

Però <strong>qui</strong> ci sono io a farle compagnia e devo dire che <strong>il</strong> figlio di un eroe ha una vita diffic<strong>il</strong>e...se dovesse accadere qualcosa a mio padre,<br />

ci devo pensare io a tenere a bada l’uomo sabbia e <strong>il</strong> d<strong>in</strong>osauro. Questo l’ho promesso a mio padre.<br />

Fra un po’ la pasta s’<strong>in</strong>collerà e io non vorrò più mangiarla. Mia madre mi dice che posso com<strong>in</strong>ciare. Ma io non faccio che pensare<br />

a domani, quando mio padre mi porterà <strong>in</strong> cima al palazzo. Mia madre ha acceso <strong>il</strong> televisore ma non mi lascia guardare i cartoni<br />

animati. Dice che vuole guardare <strong>il</strong> telegiornale. Non credo ai miei occhi! Sullo schermo c’è l’uomo di sabbia e ai piedi del d<strong>in</strong>osauro<br />

c’è mio padre che lotta con lui. Come sempre tutti se ne stanno fermi a guardare. Mia madre si mette a gridare, le mani nei capelli<br />

e <strong>il</strong> viso pallido. E’ arrivato <strong>il</strong> momento che aspettavo. Ora tocca a me. Le dico, mamma non temere, papà v<strong>in</strong>cerà anche questa<br />

battaglia.<br />

Stanotte all’ospedale mio padre ha cont<strong>in</strong>uato a lottare. Io e mia madre l’abbiamo visto da dietro un vetro. Non è più tutto <strong>in</strong>tero.<br />

L’uomo di sabbia deve averlo tradito. Saprò come è andata quando tornerà a casa. Spero solo che i dottori gli regal<strong>in</strong>o un braccio di<br />

metallo perché <strong>il</strong> suo non l’hanno più trovato.<br />

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Occhi Di Legno<br />

di Giulia Proietti Timperi<br />

Non ho mai pensato di essere diversa. No, questo no. Peccherei di presunzione.<br />

Mi sono sempre sentita… distante. Qualcuno lassù ha voluto dotarmi di occhi per guardare e di una bocca per raccontare. Tuttora mi<br />

chiedo se questo sia stato un dono, o la mia più grande condanna.<br />

Non posso dire di aver vissuto una vita felice, affatto. La mia esistenza è stata dolorosa. Non per quello che ho subito, ma per quello<br />

che ho visto.<br />

Ricordo poche cose dei miei primi istanti di vita, ho solo qualche flash vago e confuso. Non so dove sono nata, ignoro <strong>in</strong> quale luogo ho<br />

trascorso la mia vita. So solo che un giorno sono entrata a far parte di una costruzione che non avevo mai visto, né sentito. Da subito<br />

non mi aveva conv<strong>in</strong>to. La chiamavo “La prigione di ferro”. Vi erano tutta una serie di tubi d’acciaio <strong>in</strong>crociati tra loro.<br />

Con <strong>il</strong> tempo ho imparato che <strong>il</strong> suo nome era “Impalcatura, ponteggio”. E <strong>il</strong> mio nome era Asse. Asse di legno. Ero <strong>in</strong>castrata <strong>in</strong> mezzo<br />

ad altre come me, dovevamo fare da terreno solido per chi ci camm<strong>in</strong>ava sopra.<br />

Inizialmente, credevo che i miei pregiudizi su quella strana costruzione fossero dati dal fatto che ero appena arrivata. “Prima o poi mi<br />

abituerò”, mi dicevo. Volevo chiedere alle altre se anche loro erano nuove <strong>qui</strong>, ma loro erano assi senza occhi né bocca. Ero sola. Sola e<br />

<strong>in</strong>trappolata <strong>in</strong> una ragnatela di tubi freddi. Che esistenza amara.<br />

Quando <strong>il</strong> ponteggio fu f<strong>in</strong>ito, arrivarono loro: gli uom<strong>in</strong>i. I lavoratori. Creature dalle mani sporche, dalle facce vissute e stanche, dagli<br />

occhi giovani ma spenti. I lavori com<strong>in</strong>ciarono verso la f<strong>in</strong>e dell’estate, credo. Dovevano essere gli ultimi giorni d’agosto. I raggi del<br />

sole picchiavano sul mio corpo, e sentivo le mie fibre d<strong>il</strong>atarsi a quel calore. Gli uom<strong>in</strong>i sudavano, ansimavano. Ma non si fermavano,<br />

mai. Nemmeno <strong>il</strong> tempo di una sigaretta. Spesso, la tenevano <strong>in</strong> bocca mentre si davano da fare. Un paio di volte, qualcuno di loro ha<br />

buttato la cicca ancora fumante su di me. Non vi nascondo che ho sentito un po’ di dolore: bruciava.<br />

I giorni passavano, e loro erano <strong>in</strong>stancab<strong>il</strong>i. Sentivo i loro piedi attraversarmi, e guardavo dal basso i loro volti, sempre più tirati e<br />

stanchi. Avrei tanto voluto aiutarli, ma loro non potevano sentirmi. Per loro ero solo un pezzo di legno. Cosa potevano saperne, povere<br />

creature, che io raccoglievo i loro passi, i loro discorsi, i loro movimenti. Con <strong>il</strong> tempo, mi ci ero molto affezionata. Avevo imparato i loro<br />

nomi, e sapevo che molti avevano figli e mogli a casa che li aspettavano. Quando ne parlavano, i loro occhi si <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>avano.<br />

Capii allora quanto erano pronti a mesi di duro lavoro, pur di sfamare le bocche delle loro famiglie. Li stimavo davvero, quegli uom<strong>in</strong>i.<br />

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Però, avevo tanta paura per loro. Mi sembravano sempre… <strong>in</strong> b<strong>il</strong>ico. Si arrampicavano sul ponteggio che a volte traballava, senza<br />

protezioni, senza niente. A volte mi chiedevo: “ Ma non viene mai nessuno a controllare se stanno bene, se hanno bisogno di qualcosa,<br />

se questo ponteggio è costruito a norma?”. Nessuno arrivò mai. Venne l’autunno. Loro erano sempre lì. I lavori procedevano, ma credo<br />

ci fosse ancora tanto da fare. I giorni si erano accorciati: le tiepide giornate stavano lasciando <strong>il</strong> posto a quelle più fredde. Lo capivo<br />

perché le mie fibre si stavano restr<strong>in</strong>gendo sempre di più e com<strong>in</strong>ciavo a scricchiolare. Anche io avevo freddo. Ricordo che un giorno<br />

scoppiò una lite tra gli operai. Uno di loro era particolarmente nervoso.<br />

Parlava di un salario mai arrivato, e si lamentava di me. O meglio, sosteneva che noi assi com<strong>in</strong>ciavamo ad essere troppo rov<strong>in</strong>ate,<br />

andavamo sostituite. Si, è vero: per mesi avevo sopportato i loro pesi addosso, e anche sacchi pesanti e materiali di vario genere.<br />

Però non mi sembrava di essere da buttare. Uno di loro la pensava esattamente come me, diceva che <strong>il</strong> legno regge bene anche ai cambi<br />

di temperatura, e che era impensab<strong>il</strong>e sostituirci, perché si sarebbero dovuti fermare i lavori, e tanti altri problemi che non capivo.<br />

Alla f<strong>in</strong>e decisero di proseguire, tanto mancavano solo un paio di settimane alla f<strong>in</strong>e di quel lavoro. Si poteva fare. Nei giorni seguenti<br />

si alternarono giornate meravigliose, ad altre <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> cielo era nero, e <strong>il</strong> freddo congelava i loro corpi. Ma loro erano sempre lì. Sempre<br />

più stanchi, ma anche sempre più contenti: tra poco sarebbero potuti stare con i loro bamb<strong>in</strong>i, e con le loro mogli. Quanto ero felice<br />

per loro. Un giorno ci fu un acquazzone mai visto, un temporale spaventoso, acqua e grand<strong>in</strong>e a fiumi. La sentivo, la grand<strong>in</strong>e.<br />

Mi batteva addosso per poi sciogliersi <strong>in</strong> acqua gelida. Gli operai non sapevano cosa fare. La tempesta sarebbe cont<strong>in</strong>uata per molto,<br />

e loro non avevano voglia di aspettare. Volevano f<strong>in</strong>ire, a tutti i costi. Sotto quella cascata, c<strong>in</strong>que uom<strong>in</strong>i lavoravano, senza tregua.<br />

Volevo dirgli:”Basta, aspettate un momento. Copritevi, riparatevi”. Ma ero solo un’asse di legno, muta.<br />

Quelle ore furono terrib<strong>il</strong>i: la pioggia era talmente tanta che mi aveva completamente <strong>in</strong>zuppata, e di conseguenza mi sentivo strana.<br />

Più debole. Quando loro mi passavano sopra, li sentivo più pesanti che mai. Il loro peso mi piegava.<br />

“Ma no, è impossib<strong>il</strong>e. E’ solo una mia impressione” – mi dicevo – “Il legno non si rompe mai!”<br />

Poi, si sono messi <strong>in</strong> tre sopra di me, credo stessero facendo qualcosa di abbastanza complicato. Pesavano tantissimo.<br />

Volevo urlargli di spostarsi, non ce la facevo più. Ad un certo punto, mi sono lasciata andare.<br />

Non l’ho fatto apposta, lo giuro. Mi sono spezzata a metà. Ho visto quei tre corpi precipitare da un’altezza immensa.<br />

Non avevo mai guardato giù, eravamo altissimi. Abbastanza da permettere al cemento, non appena toccarono terra, di fermare i loro<br />

respiri. In un istante.<br />

Giacevo accanto ai loro corpi.<br />

Quanto avrei voluto udire ancora le loro voci, i loro respiri affannati. E <strong>in</strong>vece no, sentivo solo le urla lontane dei due operai lassù, che<br />

avevano assistito alla tragedia che aveva portato via i loro fratelli, compagni di sudore e fatiche.<br />

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Vallo a spiegare ai loro figli. Raccontalo alle loro mogli.<br />

Tempo dopo, arrivarono i soccorsi e la polizia: era chiaro che era troppo tardi, ormai. Un’orda di persone si era radunata tutta <strong>in</strong>torno,<br />

sconvolta.<br />

“ Se solo avessero fatto più attenzione!”;”Se solo fossero stati maggiormente tutelati”;”Se…Se…Se…”.<br />

E’ fac<strong>il</strong>e dire dopo, come sarebbe dovuta andare.<br />

Credo che quando si facciano cose pericolose, ognuno pensa che: “Non potrà mai succedere a me”.<br />

Invece, tutto può succedere a tutti. Nessuno è immortale, nessuno è <strong>in</strong>v<strong>in</strong>cib<strong>il</strong>e.<br />

Vorrei sapere chi era <strong>il</strong> capo di queste povere anime. Doveva pensarci lui. Ma di sicuro anche lui si sarà detto:<br />

”Perché dovrebbe succedere proprio a loro?”<br />

Che mondo superficiale. Che terra della noncuranza. Se avessi un cuore, anche lui sarebbe spezzato a metà. Invece io, sono di legno.<br />

Ora legno marcio, corroso, distrutto.<br />

Cont<strong>in</strong>uava a piovere a dirotto. Il cielo piangeva loro.<br />

Addio piccoli uom<strong>in</strong>i. Sulla mia corteccia porterò <strong>il</strong> peso delle vostre morti, e i passi delle vostre vite. Per sempre.<br />

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Il Fantasma della stazione<br />

di Lucia T<strong>il</strong>de Ingrosso<br />

Quelle notti, <strong>in</strong> stazione, <strong>in</strong> compagnia di un fantasma<br />

«Papi, mi racconti la storia di come avete scelto <strong>il</strong> mio nome?» «E va bene. Tutto com<strong>in</strong>cia perché papà è una guardia giurata. Ti ricordi<br />

che cosa fanno le guardie giurate, vero?»<br />

«Hanno la pistola e sparano ai maldidenti!»<br />

«Malviventi. Be’, non fanno solo questo. Mantengono l’ord<strong>in</strong>e e la sicurezza nei posti dove ci sono tante persone. Io ero appena stato<br />

trasferito nella stazione della metropolitana di Garibaldi e lavoravo di notte».<br />

«E quando dormivi?»<br />

«Di giorno. Ma…»<br />

«E la mamma stava sola nel letto? Non si cercava un altro marito?»<br />

«Spero di no! Anche a me dispiaceva di non stare con lei, però era solo per pochi giorni e ho accettato. Era anche bello: di giorno la<br />

stazione era affollata e piena di confusione, mentre di notte è tran<strong>qui</strong>lla e s<strong>il</strong>enziosa. Tutto è andato bene f<strong>in</strong>o alla quarta notte, quando<br />

è successa una cosa strana…»<br />

«Quella della scala mob<strong>il</strong>e?»<br />

«Sì, ma fammi raccontare! Il matt<strong>in</strong>o dopo ne ho parlato con <strong>il</strong> collega che mi ha dato <strong>il</strong> cambio. Non mi sembrava una cosa tanto<br />

importante, ma quando gliel’ho raccontato, lui è diventato pallido e mi ha detto: “Qu<strong>in</strong>di è successo anche a te?” Io avevo solo visto<br />

che la scala mob<strong>il</strong>e, a un certo punto, si era messa <strong>in</strong> moto da sola, senza che nessuno si fosse avvic<strong>in</strong>ato. Ed era strano, perché le scale<br />

mob<strong>il</strong>i funzionano se c’è qualcuno che deve salire o scendere e stanno ferme se non c’è nessuno. A quel punto, <strong>il</strong> collega mi ha detto:<br />

“Lui è tornato”».<br />

«Ti ha detto proprio così?» «<br />

Già. Poi mi ha ricordato la brutta storia di un operaio che l’anno prima, ad agosto, lavorando proprio lì sotto, era rimasto fulm<strong>in</strong>ato ed<br />

era mor… volato <strong>in</strong> cielo».<br />

«Che poi “volare <strong>in</strong> cielo” poi alla f<strong>in</strong>e significa “morire”, no?»<br />

«Ehm, sì. Poi andammo ai piedi della scala mob<strong>il</strong>e che era partita da sola e lui mi disse che era successo proprio lì. In quel momento<br />

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mi sembrò di sentire qualcosa, nell’aria. Non so bene dirti cosa: un ronzio, una musica lontana…»<br />

«Papi, è chiarissimo: era <strong>il</strong> suo fantasma!»<br />

«Un fantasma, un angelo o solo una fantasia. Non so bene che cos’era, però tutte le notti che passavo lì, aspettavo con ansia <strong>il</strong> momento<br />

del clac, del rumore della scala mob<strong>il</strong>e che partiva da sola. E allora mi avvic<strong>in</strong>avo e stavo lì, <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio. Sentivo sempre quel ronzio<br />

lontano e provavo la sensazione che stesse accadendo qualcosa. E poi sentivo un odore strano, <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ib<strong>il</strong>e. Provai anche a fargli delle<br />

domande, ma lui non rispondeva mai…»<br />

«E certo, papi: i fantasmi mica se ne vanno <strong>in</strong> giro a chiacchierare come se nulla fosse!»<br />

«Hai ragione! Poi feci anche qualche ricerca sull’operaio e scoprii che era stato fulm<strong>in</strong>ato da un f<strong>il</strong>o elettrico rimasto chissà perché<br />

scoperto. Aveva la mia stessa età, e anche una moglie e un bamb<strong>in</strong>o piccolo. Ci fu anche un processo, ma…»<br />

«Papi, che cos’è un professo?»<br />

«Processo. E’ tutta una cosa <strong>in</strong> cui… Vabbè, non importa. Il concetto però è che la colpa di quello che era successo non se la prese<br />

nessuno. Misero solo una piccola targa di metallo e tante grazie».<br />

«Ma perché se si dice tante grazie, poi non si dice molti prego?»<br />

«Ma che c’entra? Comunque, dopo un po’, mi cambiarono sede e orario di lavoro. Così tornai a lavorare di giorno e a dormire a casa».<br />

«E così arrivai io!»<br />

«Be’, quasi. Stavi nella pancia della mamma, quando successe quest’altra cosa. Uno dei colleghi del gruppo andava <strong>in</strong> pensione e così<br />

ci ritrovammo tutti <strong>in</strong> un bar a festeggiare. Simpatizzammo parecchio e così lui mi raccontò una storia. Era successo <strong>il</strong> mese prima,<br />

sempre a Garibaldi, ma questa volta alla stazione ferroviaria. Una matt<strong>in</strong>a prima delle c<strong>in</strong>que, guardando <strong>in</strong> uno dei monitor, aveva<br />

visto una donna e un bamb<strong>in</strong>o <strong>in</strong> attesa sulla banch<strong>in</strong>a. Era stranissimo, perché a quell’ora la stazione era ancora chiusa al pubblico.<br />

Da dove potevano essere arrivati? Il collega li guardò bene nello schermo <strong>in</strong> bianco e nero: lei era giovane e car<strong>in</strong>a, con i capelli raccolti<br />

e <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o era sui c<strong>in</strong>que anni. L’altra cosa strana era che avevano abiti estivi, anche se si era a metà novembre. Così <strong>il</strong> collega si<br />

preoccupò che potessero avere freddo e poi avvisò <strong>il</strong> collega che stava facendo l’ispezione: “V<strong>in</strong>icio, sulla banch<strong>in</strong>a del terzo b<strong>in</strong>ario ci<br />

sono una donna e un bamb<strong>in</strong>o: vai a vedere”».<br />

«Questa è la mia parte preferita: mi si cappona la pelle!»<br />

«Il collega cont<strong>in</strong>uava a guardare <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o e la donna nel monitor, per mano, come se stessero aspettando qualcuno. Poi ha visto<br />

arrivare V<strong>in</strong>icio, che camm<strong>in</strong>ava verso di loro, ma sembrava che non li vedesse. E poi ci è passato attraverso».<br />

«Com’è possib<strong>il</strong>e?»<br />

«Proprio così mi ha detto lui: “Cascassi fulm<strong>in</strong>ato se non dico la verità: V<strong>in</strong>icio è passato attraverso a quei due e poi è arrivato f<strong>in</strong> sotto<br />

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alla telecamera e mi ha fatto segno che non c’era nessuno”. La storia a me sembrò parecchio strana e cont<strong>in</strong>uai a discuterne con <strong>il</strong><br />

collega. Cercavo una spiegazione logica, che però non mi veniva <strong>in</strong> mente. Alla f<strong>in</strong>e, per curiosità, mi feci descrivere la mamma e <strong>il</strong><br />

bamb<strong>in</strong>o e li disegnai sul retro di un menu del locale. Lo sai che <strong>il</strong> papà è bravo a disegnare…»<br />

«Sì, ma io sono più bravo!»<br />

«Ma Certo! Qualche giorno dopo, mi chiesero di tornare per un paio di settimane alla stazione Garibaldi. “Farò gli auguri al mio<br />

fantasma preferito!” dissi a tua madre, ma lei mi sgridò, dicendomi che con queste cose non si scherza. La prima notte la passai con<br />

l’orecchio teso, f<strong>in</strong>ché non sentii clac. A quel punto, mi avvic<strong>in</strong>ai alla scala mob<strong>il</strong>e. C’era solo s<strong>il</strong>enzio, ma io avevo voglia di parlare e gli<br />

raccontai di me, di tua mamma, del bamb<strong>in</strong>o <strong>in</strong> arrivo…»<br />

«Che poi sarei io!»<br />

«Infatti. Gli dissi che era diffic<strong>il</strong>e andare avanti, di M<strong>il</strong>ano, dei soldi che non bastano mai e di Natale <strong>in</strong> arrivo. Alla parola Natale, la<br />

scala ripartì. In quel preciso istante sentii l’odore fam<strong>il</strong>iare, adesso più forte. E capii f<strong>in</strong>almente che cos’era: carne bruciata. E così<br />

immag<strong>in</strong>ai quel ragazzo folgorato mentre faceva <strong>il</strong> suo lavoro. Potevo esserci io, al suo posto. Poteva capitare a chiunque. E <strong>in</strong> quel<br />

momento decisi».<br />

«Che cosa, papi?»<br />

«Decisi che sarei andato a trovare la sua famiglia, almeno per dire che mi dispiaceva…»<br />

«E che lui era diventato un fantasma…»<br />

«No, quello come facevo a dirlo?»<br />

«Così: “Lui adesso è un fantasma!”»<br />

«Non è tanto fac<strong>il</strong>e. E anche tua madre era contraria. “Che cosa ci vai a fare, da quei poveretti?” mi diceva. Ma alla f<strong>in</strong>e si conv<strong>in</strong>se<br />

e mi mise anche <strong>in</strong> mano un vassoio di dolci fatti da lei. Avevo telefonato prima, alla moglie, dicendo che ero un collega, così lei mi<br />

aspettava. Suonai timidamente, lei mi aprì quasi subito. Aveva per mano <strong>il</strong> suo bamb<strong>in</strong>o. Io rimasi a bocca aperta e…»<br />

«Anche <strong>in</strong> questo punto mi si cappona la pelle!»<br />

«Insomma, era come avere di fronte l’identikit che avevo disegnato: a parte i vestiti, erano identici alle due figure viste sulla banch<strong>in</strong>a<br />

della stazione. E così mi resi conto che <strong>il</strong> mio collega era mor… ehm, volato <strong>in</strong> cielo…»<br />

«Papà: morto!»<br />

«Già, <strong>in</strong>somma, era morto ad agosto, quando a M<strong>il</strong>ano fa tanto caldo, quando si <strong>in</strong>dossano vestiti leggeri. E con quei vestiti loro due<br />

erano tornati a cercarlo, sulla banch<strong>in</strong>a. Ora però si era <strong>in</strong> <strong>in</strong>verno, con <strong>il</strong> Natale alle porte. Detti i dolci alla signora e riuscii a dire solo<br />

“auguri”. Poi <strong>in</strong>crociai lo sguardo del bamb<strong>in</strong>o. Feci per accarezzargli la testa, ma non ci riuscii. Scappai via».<br />

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«Ed è per questo che mi avete chiamato Angelo?»<br />

«Sì, è proprio per questo, tesoro mio».<br />

Ispirato a una storia vera.<br />

O a una leggenda metropolitana molto conv<strong>in</strong>cente.<br />

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Castor<strong>in</strong>i al sicuro<br />

di S<strong>il</strong>via Favaretto<br />

Nella scuola di Pier<strong>in</strong>o e Marco la maestra Rosa voleva <strong>in</strong>segnare ai suoi alunni dei comportamenti sicuri <strong>in</strong> caso di pericolo. Pier<strong>in</strong>o<br />

e Marco erano della stessa classe, la seconda A, ed erano loro due quelli che alzavano sempre la mano per rispondere. Pier<strong>in</strong>o però<br />

prendeva sempre brutti voti e Marco le azzeccava tutte: la maestra però li chiamava sempre tutti e due, perché pensava che fosse giusto<br />

sentire l’op<strong>in</strong>ione di entrambi.<br />

“Vediamo un po’” – disse la maestra – “Chi di voi mi sa dire che com’è una persona prudente!”<br />

“Io lo so! Io lo so!”- urlava alzando la mano Pier<strong>in</strong>o, e da dietro faceva capol<strong>in</strong>o anche <strong>il</strong> braccio grac<strong>il</strong><strong>in</strong>o di Marco.<br />

“Va bene, Pier<strong>in</strong>o, prova a dirlo tu!”- approvava la maestra Rosa.<br />

“Prudente è uno che ha tanto prurito e si gratta sempre!!”-diceva tutto d’un fiato Pier<strong>in</strong>o, e poi si guardava <strong>in</strong>torno a vedere i compagni<br />

che ridevano, sorridendo anche lui-<br />

“No, Pier<strong>in</strong>o, ma almeno ci hai provato! Dai, Marco, prova a dirlo tu!”<br />

“Un uomo prudente è una persona che sta attenta a non fare dei danni agli altri e a non farsi male”- disse calmo Marco.<br />

“Bravo!! E’ proprio così. Oggi parliamo di si sicurezza: è un discorso da grandi, ma è importante che sappiate qualcosa al riguardo<br />

anche voi bamb<strong>in</strong>i!”<br />

“Io lo so! Io lo so cos’è la sicurezza!!”- <strong>in</strong>terrompeva Pier<strong>in</strong>o- “E’ la c<strong>in</strong>tura che ci si mette nella macch<strong>in</strong>a quando si parte!”<br />

“Sì, Pier<strong>in</strong>o, quella <strong>in</strong>fatti si chiama c<strong>in</strong>tura di sicurezza, perché ci tiene al sicuro: da cosa, secondo te??”<br />

“Dalla multa del vig<strong>il</strong>e!!” -sbottò Pier<strong>in</strong>o- “Mio papà ne ha prese tre e gli hanno tolto due punti dalla patente, ma non per la c<strong>in</strong>tura..”<br />

– cont<strong>in</strong>uava Pier<strong>in</strong>o che già stava per raccontare tutti gli aneddoti personali del padre sviando <strong>il</strong> discorso dal tema che la maestra<br />

proponeva. Allora Rosa si affrettò a riprendere <strong>il</strong> bandolo della matassa spiegando a tutti: “No, Pier<strong>in</strong>o, la c<strong>in</strong>tura di sicurezza non serve<br />

ad evitare la multa, serve a tenerci attaccati al sed<strong>il</strong>e se sfortunatamente abbiamo un <strong>in</strong>cidente con la macch<strong>in</strong>a: se non la mettiamo<br />

potremmo f<strong>in</strong>ire contro <strong>il</strong> parabrezza e farci molto male”.<br />

“Anche col sangue??” <strong>in</strong>terruppe impressionata la piccola Mar<strong>in</strong>a dal primo banco.<br />

“Sì, anche col sangue se la macch<strong>in</strong>a va molto forte. Ma anche per la velocità dell’auto ci sono delle regole di sicurezza.<br />

Qualcuno le sa??”.<br />

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Mar<strong>in</strong>a non ascoltava più, roteava gli occhi immag<strong>in</strong>ando la scena dell’<strong>in</strong>cidente col sangue, poi scosse la testa come per mandar via<br />

l’immag<strong>in</strong>e e si dispose ad ascoltare Marco, che aveva com<strong>in</strong>ciato a rispondere: “Non bisogna superare una certa velocità, perché se si<br />

va troppo veloce è pericoloso, tipo quando c’è la nebbia o la strada ghiacciata”.<br />

“Sì, e poi” – <strong>in</strong>tervenne <strong>il</strong> solito Pier<strong>in</strong>o – “c’è un apparecchio che si chiama autovelox che ti manda a casa la multa, mio papà ne ha<br />

prese tante..”<br />

“Ecco” - <strong>in</strong>calzò la maestra Rosa- “secondo voi i vig<strong>il</strong>i che danno le multe sono cattivi e ci vogliono rubare i soldi, oppure <strong>il</strong> loro lavoro<br />

serve a tutti noi?”. L’<strong>in</strong>segnante si guardò <strong>in</strong>torno per vedere se qualcun altro voleva rispondere, <strong>in</strong>vece di chiamare sempre i soliti, ma<br />

alla f<strong>in</strong>e andò sul sicuro scegliendo Marco: “I vig<strong>il</strong>i sono buoni perché fanno rispettare le regole, altrimenti le persone farebbero come<br />

vogliono mettendo a rischio la loro vita e anche quella degli altri”. “Sì”- si <strong>in</strong>tromise Pier<strong>in</strong>o- “<strong>in</strong>fatti hanno fermato mio fratello <strong>in</strong><br />

motor<strong>in</strong>o che non aveva <strong>il</strong> casco e lui ha detto una parolaccia al vig<strong>il</strong>e, che l’ha riportato a casa con la macch<strong>in</strong>a blu e poi mia mamma<br />

gli ha tolto <strong>il</strong> telefon<strong>in</strong>o per una settimana”. I bamb<strong>in</strong>i ridevano, ma avevano capito esattamente cosa <strong>in</strong>tendesse la loro <strong>in</strong>segnante e<br />

anche i commenti dei compagni avevano aiutato a chiarire la questione.<br />

“Bene”- seguitò la maestra Rosa- “Adesso che abbiamo capito come si fa ad essere prudenti, cosa sono le regole che sono state fatte per<br />

<strong>il</strong> nostro bene e chi sono quelli che le fanno rispettare, pensiamo all’importanza della sicurezza nel lavoro. Qual è <strong>il</strong> vostro ambiente<br />

di lavoro, ad esempio?”<br />

“La scuola!!” – risposero <strong>in</strong> coro gli alunni.<br />

“Esatto” – cont<strong>in</strong>uò la maestra- come anche per i castor<strong>in</strong>i del v<strong>il</strong>laggio di montagna”. La parola “castor<strong>in</strong>i” funzionò come una parola<br />

d’ord<strong>in</strong>e e immediatamente gli alunni della classe capirono che stava per partire una delle favole della maestra Rosa che avevano per<br />

protagonisti sempre dei piccoli castori dai quali c’era molto da imparare. Perciò <strong>in</strong>crociarono le braccia sul banco, appoggiarono la testa<br />

sulla mano, alcuni si reggevano <strong>il</strong> mento sul diario, e <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio si disposero ad ascoltare.<br />

“Il lavoro dei castor<strong>in</strong>i era fare gli studenti, così come voi. Andavano a scuola tran<strong>qui</strong>lli perché sapevano che i castori grandi si erano<br />

occupati della loro sicurezza: con i grossi dentoni avevano scelto per costruire l’edificio scolastico solo i tronchi d’albero più resistenti,<br />

avevano costruito delle profonde fondamenta, avevano scelto un terreno stab<strong>il</strong>e dove posizionare la struttura e avevano fatto delle<br />

f<strong>in</strong>estre sufficientemente grandi da fare respirare bene i cuccioli di castoro ma senza che fossero troppo basse da farli cadere fuori. I<br />

castor<strong>in</strong>i erano tran<strong>qui</strong>lli anche perché le maestre castoro erano brave e avevano fatto dei corsi per proteggerli. Ad esempio, <strong>in</strong> caso<br />

di <strong>in</strong>cendio, c’era una cart<strong>in</strong>a attaccata sulla porta con <strong>il</strong> percorso da fare per uscire e le maestre lo sapevano a memoria. I castor<strong>in</strong>i<br />

sapevano che, se la bidella suonava la sirena, bisognava uscire calmi, uno alla volta e c’era un castor<strong>in</strong>o con <strong>il</strong> compito di aprire la f<strong>il</strong>a<br />

e uno di chiuderla. Le maestre uscivano dopo tutti, portando con sé <strong>il</strong> registro e controllavano che tutti fossero presenti e stessero bene.<br />

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Anche quando pioveva forte la struttura era salda ma i castor<strong>in</strong>i avevano fatto delle prove di evacuazione dalla scuola come quelle che<br />

avete fatto voi con <strong>il</strong> preside la prima settimana ”.<br />

Mar<strong>in</strong>a <strong>in</strong>terrupe per un attimo alzando la mano- “Avevano anche quelle bottiglie grandi rosse che ci sono da noi <strong>in</strong> corridoio??”.<br />

La maestra pensò un attimo: “Gli est<strong>in</strong>tori? Sì, certo, li avevano anche loro, ma molto più piccoli naturalmente”. A questo punto la<br />

maestra, come sempre, cercò di co<strong>in</strong>volgerli nella costruzione della fiaba: “Ma un giorno.. chi mi dice cosa successe?? Uno alla volta<br />

partendo dalla Giulia, andando da destra a s<strong>in</strong>istra, ognuno di voi mi dica come cont<strong>in</strong>ua la storia!”<br />

“Ehm.. ehm.. un giorno si è rotto un tubo, come quando qua si è allagata la palestra!” - com<strong>in</strong>ciò Giulia prendendo coraggio. “Brava<br />

Giulia, vai avanti tu, Andrea, e poi collegatevi tutti, non aspettate che vi dica io di andare avanti, come facciamo sempre”.<br />

“Allora l’acqua andava <strong>in</strong> giro per la classe e i castor<strong>in</strong>i avevano un sacco di paura”, “battevano i denti per la paura!”, “e pensavano<br />

di annegare”, “ma la maestra aveva fatto un corso su come non farli annegare”, “e poi la classe era costruita bene e i castori grandi<br />

avevano fatto dei buchi sui fianchi della classe, piccoli così i castor<strong>in</strong>i non cadevano, ma abbastanza grandi da far uscire l’acqua”, “poi<br />

la maestra diceva a tutti di stare tran<strong>qui</strong>lli e di non farsi venire gli attacchi di panico”, “i castor<strong>in</strong>i poi erano educati e ubbidienti”,<br />

“stavano attenti, non come Pier<strong>in</strong>o che chiacchiera quando <strong>il</strong> preside ci spiega le regole!!” “Elisa!” – <strong>in</strong>terruppe la maestra, frenando<br />

subito <strong>il</strong> litigio che stava per com<strong>in</strong>ciare perché Pier<strong>in</strong>o <strong>in</strong>iziava già a rispondere male alla compagna – “Pier<strong>in</strong>o non c’entra con la<br />

storia dei castor<strong>in</strong>i, andiamo avanti che vi stava venendo bene, forza, Roberta, cont<strong>in</strong>ua, che mancano ancora 3 bamb<strong>in</strong>i e poi conclude<br />

Marco”.<br />

“Dunque, i castor<strong>in</strong>i stavano attenti e ascoltavano la maestra e i genitori”, “e sapevano che <strong>il</strong> preside e i vig<strong>il</strong>i facevano le regole per <strong>il</strong><br />

loro bene”, “così dopo aver osservato la situazione <strong>il</strong> castor<strong>in</strong>o capoclasse com<strong>in</strong>ciò la f<strong>il</strong>a per uscire ord<strong>in</strong>atamente dall’aula”, “tutti si<br />

misero <strong>in</strong> coda uno dietro l’altro aspettando <strong>il</strong> proprio turno, senza urlare e dire le parolacce” “e per ultima – concluse Marco- uscì la<br />

maestra castoro con <strong>il</strong> registro che accompagnò gli alunni al punto di ritrovo sul sasso vic<strong>in</strong>o alla grande quercia, dove arrivarono tutti<br />

sani e salvi!”.<br />

“Bravissimi, sono proprio orgogliosa di voi! I castor<strong>in</strong>i sono salvi perché voi li avete aiutati, costruendo la loro storia, a mettere <strong>in</strong> atto i<br />

comportamenti giusti: hanno fronteggiato l’imprevisto mantenendo l’autocontrollo, hanno ascoltato la maestra, hanno riconosciuto <strong>il</strong><br />

rischio e con un comportamento prudente hanno seguito le istruzioni per mettersi <strong>in</strong> salvo”.<br />

La maestra Rosa era soddisfatta mentre suonava la campanella della ricreazione e vedeva che sulla porta alcuni alunni si erano<br />

soffermati a controllare la cart<strong>in</strong>a con <strong>il</strong> percorso di evacuazione.<br />

“Maestra!” – la fermò Pier<strong>in</strong>o sulla soglia- “Se c’è un <strong>in</strong>cendio la salvo io! Scappiamo con la bicicletta! Ho anche <strong>il</strong> caschetto!”.<br />

Rosa sorrise-“Grazie Pier<strong>in</strong>o, ora sono più tran<strong>qui</strong>lla!”.<br />

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I terrestri sono strani<br />

di Sara Guidi Colombi<br />

Penelope ha appena compiuto vent’anni. Vive su Plutone da quando è venuta al mondo. Lì ha frequentato tutte le scuole, ha stretto le<br />

prime amicizie ed è diventata donna. Lì, per la prima volta, si è <strong>in</strong>namorata.<br />

Lui si chiama Lippo, è un alieno dall’aspetto particolarmente affasc<strong>in</strong>ante, gli occhi blu come <strong>il</strong> cielo e quell’aria da eterno Peter Pan.<br />

I due ragazzi si conobbero fra i banchi di scuola, prima diventarono compagni di studio, poi amici ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sbocciò l’amore. Un amore<br />

pulito, sereno, un amore acerbo quanto vero. Lippo, appena f<strong>in</strong>iti gli studi, andò a lavorare nell’azienda di suo padre ed essendo un<br />

ragazzo molto <strong>in</strong> gamba, si fece subito notare per <strong>il</strong> suo spirito d’<strong>in</strong>iziativa.<br />

Penelope, <strong>in</strong>vece, volendo posticipare <strong>il</strong> suo <strong>in</strong>gresso nel mondo del lavoro, decise di prendersi un anno sabbatico per esplorare <strong>il</strong> mondo<br />

che la circondava e per capire chi volesse diventare. Nonostante le loro vite avessero <strong>in</strong>trapreso strade diverse, Penelope e Lippo<br />

cont<strong>in</strong>uarono a stare <strong>in</strong>sieme, arricchendosi l’un l’altra delle reciproche esperienze. Dopo qualche tempo dall’<strong>in</strong>izio della sua carriera,<br />

Lippo venne convocato dal Gran Consiglio dei Saggi che gli chiese di compiere una importante missione :<br />

scoprire la formula segreta del “theobroma cacao” (<strong>in</strong> greco “cibo degli dei”) Avevano ricevuto notizia che fosse <strong>il</strong> più buono del mondo<br />

e volevano produrlo anche su Plutone.<br />

La missione prevedeva che Lippo si trasferisse per qualche tempo sulla Terra e andasse a lavorare <strong>in</strong> una fabbrica di cioccolata. Lippo,<br />

di primo acchito, rimase spiazzato. Avrebbe dovuto lasciare <strong>il</strong> pianeta dove era nato e cresciuto, avrebbe dovuto rivoluzionare la propria<br />

vita, avrebbe dovuto allontanarsi da Penelope. Dopo un breve momento di sconforto, non si fece prendere dal panico ed <strong>in</strong>iziò a<br />

ragionare. A chi non poteva r<strong>in</strong>unciare?<br />

La risposta fu ovvia: Penelope. Lippo corse a casa della sua ragazza. Le raccontò tutto e le propose di trasferirsi con lui, di vivere con<br />

lui, di <strong>in</strong>iziare <strong>in</strong>sieme una nuova vita, un’avventura senza pari. Anche Penelope, all’<strong>in</strong>izio, fu presa alla sprovvista. Pensò che avrebbe<br />

dovuto abbandonare tutto, casa, famiglia, amici, tutto tranne lui: <strong>il</strong> suo compagno di vita. Alla f<strong>in</strong>e decise di accettare, non era mai stata<br />

sulla Terra e quel pianeta la <strong>in</strong>curiosiva non poco; ne aveva sentito parlare tante volte, le era arrivata voce che i terrestri sono strani,<br />

simpatici ma un po’ complicati. Dopo aver sistemato tutto l’occorrente, i due ragazzi partirono.<br />

Il viaggio non fu certo lungo. Su Plutone <strong>il</strong> progresso scientifico aveva fatto passi da gigante e si era scoperta la chiave per compiere <strong>il</strong><br />

teletrasporto. Pochi m<strong>in</strong>uti e i due si ritrovarono <strong>in</strong> un pianeta completamente sconosciuto di cui, però, avevano molto sentito parlare.<br />

75


Lippo seguì le <strong>in</strong>dicazioni per raggiungere l’appartamento ed entrarono nella loro nuova casa, dove non si sentirono veramente a casa<br />

ma, conv<strong>in</strong>ti di abituarsi presto, andarono tran<strong>qui</strong>llamente a dormire.<br />

La matt<strong>in</strong>a seguente Lippo si svegliò, si preparò ed uscì per andare al lavoro. Penelope rimase da sola e cercò di ambientarsi nel suo<br />

nuovo mondo. Voleva trovarsi un’occupazione, lo stipendio di Lippo sarebbe bastato per entrambi ma lei era quel tipo di aliena che<br />

non vuole farsi mantenere, un’aliena con una grande voglia d’<strong>in</strong>dipendenza. Dopo aver fatto colazione, uscì a visitare la città : Siena.<br />

Girovagò per un’oretta e poi si fermò <strong>in</strong> un bar del centro storico per gustarsi un buon caffè. Aveva sentito meraviglie del famoso caffè<br />

italiano e non vedeva l’ora di assaggiarlo. Mentre sorseggiava <strong>il</strong> suo primo espresso, notò un annuncio scritto a penna affisso ad una<br />

parete del bar. Si cercava una cameriera, anche senza esperienza, da <strong>in</strong>serire nella caffetteria. Niente lavoro <strong>in</strong> nero, contratto regolare.<br />

Andò da Francesco, <strong>il</strong> proprietario del bar, e si candidò. Fecero due parole, lei gli raccontò come era f<strong>in</strong>ita lì, lui le spiegò i dettagli del<br />

lavoro. Penelope chiese chiarimenti riguardo l’annuncio. Domandò all’uomo che cosa fosse <strong>il</strong> lavoro <strong>in</strong> nero e lui la <strong>in</strong>formò che, quando<br />

<strong>il</strong> lavoratore gode di un regolare contratto, può usufruire di una serie di benefici, della prevenzione e della sicurezza sul luogo di lavoro.<br />

Penelope sì fermò un attimo a riflettere: su Plutone le cose funzionano diversamente, non esistono contratti o cose sim<strong>il</strong>i, <strong>il</strong> lavoratore<br />

s’impegna onestamente nei confronti di chi gli offre un impiego e quest’ultimo si prende cura del proprio dipendente, dalla malattia<br />

agli <strong>in</strong>cidenti sul luogo di lavoro.<br />

Lì, su Plutone, ci si affida alla parola che vale più di qualsiasi foglio di carta. La ragazza non disse nulla di tutto ciò e si limitò ad<br />

ascoltare Francesco. Fissarono una prova per la matt<strong>in</strong>a seguente. Penelope fece un’altra passeggiata prima di tornare a casa per pranzo<br />

e, mentre percorreva quelle strade sconosciute, pensò che l’universo è unico ma custodisce al suo <strong>in</strong>terno luoghi completamente diversi.<br />

Per lei era strano sentire parlare di contratti, di carte da firmare e di obblighi lavorativi. Una volta tornata al suo appartamento, mossa<br />

dalla curiosità, <strong>in</strong>iziò a fare qualche ricerca per capire qualcosa di più <strong>in</strong> merito al mondo del lavoro sul pianeta Terra. Navigò un po’<br />

su Internet e scoprì, con sua enorme sorpresa, che esiste un Testo Unico Sicurezza sul <strong>Lavoro</strong>, una sorta di volume che raccoglie tutta<br />

la legislazione relativa al tema. In questo manuale sono elencate tutte le misure di prevenzione e protezione che devono essere adottate<br />

dal datore di lavoro, da chi collabora con questo, dal medico aziendale e dai lavoratori stessi. Penelope si chiese chi, degli abitanti della<br />

Terra, avesse letto questo testo.<br />

Non sapeva esattamente da quante pag<strong>in</strong>e fosse costituito ma le sembrava davvero pieno di leggi e di codici. Si chiese anche perché<br />

fossero state scritte così tante parole su un solo argomento. Dove abitava lei, era sufficiente fare attenzione mentre si svolgeva <strong>il</strong> proprio<br />

lavoro, osservare le norme di sicurezza, non mettersi nei pericoli, <strong>in</strong>somma, avere un po’ di buon senso, niente di più.<br />

Secondo le sue ricerche, tutte quelle parole erano state scritte per migliorare la vita dei lavoratori e dei loro dirigenti, per dim<strong>in</strong>uire gli<br />

<strong>in</strong>fortuni, per vivere meglio all’<strong>in</strong>terno dell’azienda. In quel manuale si poteva trovare di tutto: le procedure che riguardano <strong>il</strong> primo<br />

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soccorso, le normative ant<strong>in</strong>cendio e l’evacuazione dal luogo di lavoro nel caso dovesse verificarsi una situazione di emergenza.<br />

Penelope pensò che chi aveva scritto quel testo avesse <strong>in</strong>vestito molto tempo ed energie. Pensò che, di conseguenza, fosse necessario<br />

esseri <strong>in</strong>formati e preparati riguardo tutte le misure di sicurezza. Si chiese se anche lei avrebbe dovuto imparare a memoria tutte quelle<br />

leggi, se <strong>il</strong> proprietario del bar le avrebbe fatto una sorta di <strong>in</strong>terrogazione per misurare la sua preparazione <strong>in</strong> materia.<br />

Iniziò <strong>qui</strong>ndi a studiare <strong>il</strong> testo, cercando di carpirne le <strong>in</strong>formazioni più importanti. Voleva essere pronta a tutto per <strong>il</strong> suo primo lavoro<br />

sulla Terra. Penelope rimase su quelle pag<strong>in</strong>e per ore, si scordò di pranzare e non si rese conto del passare del tempo. Arrivò l’ora <strong>in</strong> cui<br />

Lippo tornò a casa e solo allora la ragazza alzò lo sguardo dal manuale. Accolse <strong>il</strong> suo compagno con un bacio e gli chiese come fosse<br />

andato <strong>il</strong> suo primo giorno di lavoro.<br />

Lippo le disse che l’ambiente gli sembrava positivo, che i colleghi erano simpatici e le mansioni da svolgere <strong>in</strong>teressanti. Poi, un po’<br />

perplesso, le raccontò che <strong>il</strong> dirigente aziendale gli aveva parlato di un testo che raccoglieva tutte le norme relative alla sicurezza nei<br />

luoghi di lavoro. Penelope lo guardò e sorrise compiaciuta. Poi <strong>in</strong>iziò a preparare la cena e, nel frattempo, gli riferì tutto quello che aveva<br />

appreso dal manuale. Lippo pensò esattamente quello che Penelope aveva pensato quando Francesco le aveva parlato del Testo Unico:<br />

era strano. I terrestri s’impegnavano tanto sulla carta per prevenire i disastri e gli <strong>in</strong>cidenti sul luogo di lavoro ma non aveva ancora<br />

capito cosa facessero di concreto per prevenire le situazioni di rischio.<br />

I due passarono l’<strong>in</strong>tera serata a discutere dell’argomento, entrambi si erano conv<strong>in</strong>ti del fatto che, nei giorni seguenti, li aspettasse una<br />

sorta di <strong>in</strong>terrogazione a riguardo. Andarono a dormire presto, la matt<strong>in</strong>a seguente si svegliarono per tempo e, prima di uscire di casa,<br />

si augurarono reciprocamente buona fortuna per la giornata di lavoro. Ad entrambi, sembrava un po’ di essere tornati a scuola, quando<br />

dovevano essere preparati ad affrontare ogni giorno compiti <strong>in</strong> classe ed <strong>in</strong>terrogazioni orali. Penelope arrivò al bar e, dopo un caffè<br />

offerto dalla casa, Francesco le diede alcune <strong>in</strong>dicazioni riguardo al lavoro che avrebbe dovuto svolgere, le disse dove si trovava tutto<br />

ciò che serviva e le consegnò <strong>il</strong> grembiule. Penelope lo guardò per un attimo e poi gli chiese: “Prima di <strong>in</strong>iziare a servire ai tavoli, non<br />

dovresti chiedermi cosa so del manuale di cui mi hai parlato ieri?” Francesco la osservò stranito, poi sorrise e le rispose: “Ma che dici?!<br />

Non c’è bisogno di questo, ero solo tenuto a parlartene ma tu non devi fare nulla.”<br />

Penelope annuì, <strong>in</strong>iziò a lavorare e rimug<strong>in</strong>ò su quanto tutto ciò non avesse senso.<br />

Si chiese a che servisse scrivere qualcosa di così importante se poi nessuno era tenuto a leggerla. A Lippo accadde più o meno la stessa<br />

cosa. I due ex abitanti di Plutone rimasero stupiti dell’atteggiamento dei loro datori di lavoro nei confronti dell’argomento.<br />

Quando tornarono a casa, si raccontarono tutto e si accorsero che le cose erano andate allo stesso modo per entrambi. Decisero però<br />

di non dare troppa importanza all’accaduto e di provare ad adattarsi agli usi e costumi della Terra, poi passarono <strong>in</strong>sieme una serata<br />

r<strong>il</strong>assante con una buona cena e delle chiacchiere molto piacevoli.<br />

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La matt<strong>in</strong>a dopo Penelope e Lippo si svegliarono, fecero colazione <strong>in</strong>sieme e, sempre <strong>in</strong>sieme, uscirono di casa per recarsi al lavoro.<br />

Penelope arrivò alla caffetteria, <strong>in</strong>dossò <strong>il</strong> suo grembiule e com<strong>in</strong>ciò a servire ai tavoli. Il bar era pieno e, visto <strong>il</strong> gran da fare, le due<br />

ore successive passarono rapidamente. Appena f<strong>in</strong>ito di servire l’ultimo tavolo, la ragazza andò sul retro per godere della piccola pausa<br />

che si era meritata, guardò <strong>il</strong> cellulare distrattamente e trovò ben tre chiamate da un numero sconosciuto. Non sapendo chi potesse<br />

averle telefonato così <strong>in</strong>sistentemente, richiamò subito. Le rispose la voce di un uomo che si presentò come <strong>il</strong> dirigente dell’azienda <strong>in</strong><br />

cui lavorava Lippo.<br />

Penelope <strong>in</strong>iziò a preoccuparsi. L’uomo le spiegò che c’era stato un <strong>in</strong>cidente <strong>in</strong> ditta, un <strong>in</strong>cidente provocato dal malfunzionamento di<br />

un macch<strong>in</strong>ario. Il fuoco era stato domato ma alcune persone, tra cui Lippo, erano rimaste ferite. Il sangue di Penelope si gelò nelle<br />

vene. “Sta bene? È ancora vivo?” chiese angosciata. L’uomo le disse che Lippo aveva riportato alcune ferite e ustioni superficiali, che<br />

l’avevano portato <strong>in</strong> ospedale ma che stava bene, era cosciente e l’aspettava. “Arrivo all’istante !” Gli gridò lei. Si precipitò fuori dallo<br />

spogliatoio, corse da Francesco a riferire l’accaduto, si strappò di dosso <strong>il</strong> grembiule ed uscì dal bar. Cercò subito un posto nascosto per<br />

teletrasportarsi velocemente all’ospedale: era troppo <strong>in</strong> ansia per ut<strong>il</strong>izzare i mezzi pubblici. Arrivò <strong>in</strong> un m<strong>in</strong>uto e chiese al primo medico<br />

che <strong>in</strong>contrò dove fosse ricoverato <strong>il</strong> suo compagno. Giunta nella sua stanza, lo vide e gli sorrise cercando di trattenere le lacrime.<br />

Lippo, pallido e ancora spaventato, la guardò e ricambiò <strong>il</strong> sorriso. Le fece cenno di avvic<strong>in</strong>arsi. I due si abbracciarono e, per qualche<br />

istante, rimasero <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio, felici di essere ancora <strong>in</strong>sieme. Poco dopo, lui <strong>in</strong>iziò a raccontare cosa fosse successo.<br />

Disse che l’allarme ant<strong>in</strong>cendio, non si sa per quale motivo, era scattato <strong>in</strong> ritardo, quando <strong>il</strong> fuoco era già divampato. Stava per correre<br />

verso l’uscita di sicurezza ma si era fermato sentendo una voce chiedere aiuto. Aveva così scoperto un suo collega, bloccato sotto<br />

un armadio caduto e, facendo leva con una trave, era riuscito a liberarlo, poi, mentre stavano per guadagnare l’uscita, qualcosa era<br />

scoppiato colpendoli con schegge roventi.<br />

Penelope e Lippo si chiesero come fosse potuto succedere un <strong>in</strong>cidente sim<strong>il</strong>e. Pensarono a quel manuale tanto decantato e si resero<br />

conto che ci vuole ben più di alcune normative per essere al sicuro. Capirono che, sulla Terra, situazioni come quella che aveva<br />

vissuto Lippo erano all’ord<strong>in</strong>e del giorno. Compresero che, probab<strong>il</strong>mente, molte persone perdono la vita sul luogo di lavoro a causa<br />

di malfunzionamenti, di scarsa attenzione e <strong>in</strong>sufficiente <strong>in</strong>formazione. I dottori stab<strong>il</strong>irono che Lippo avrebbe dovuto rimanere <strong>in</strong><br />

ospedale solo per qualche giorno e così, alla f<strong>in</strong>e della settimana, Penelope poté riportarlo a casa.<br />

Nel pomeriggio guardarono un f<strong>il</strong>m divertente cercando di rasserenarsi. Una volta scesa la sera, cenarono e poi andarono subito a<br />

dormire. Si rifugiarono sotto le coperte, la stanchezza cancellò tutti i loro pensieri e li portò nel mondo dei sogni. La matt<strong>in</strong>a seguente<br />

Penelope si svegliò, si guardò <strong>in</strong>torno e si ritrovò nella sua cameretta, a casa dei suoi genitori, di nuovo su Plutone. Andò alla f<strong>in</strong>estra<br />

e ciò che vide fu <strong>il</strong> panorama di sempre, quello che da vent’anni aveva ammirato ogni matt<strong>in</strong>a. Piuttosto frastornata si alzò e andò<br />

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<strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a dove trovò sua madre che preparava la colazione. La fissò <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio, poi, commossa, la abbracciò. Sua madre ricambiò<br />

l’abbraccio, dopodiché guardò negli occhi Penelope e le disse:<br />

“Tesoro, sembra che tu non mi veda da giorni! Che ti è successo?”<br />

In quel preciso istante Penelope si rese conto che era stato tutto un sogno, che non era mai andata sulla Terra, né da sola, né con Lippo.<br />

Si chiese se quello che aveva sognato a proposito del lavoro sulla Terra fosse vero. Corse <strong>in</strong> camera, si collegò con un flusso cibernetico<br />

astrale alla rete Internet terrestre e ritrovò tutto ciò che aveva imparato sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.<br />

Sì, aveva sognato tutto, ma quel manuale esisteva davvero.<br />

Penelope pensò che la Terra è un luogo particolare e che i terrestri sono davvero degli esseri molto strani.<br />

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La mossa del Falco Pescatore<br />

di Catia Ciof<strong>in</strong>i<br />

Pocograno era un paese dentro una valle perfettamente circolare <strong>in</strong>teramente circondato da dolci coll<strong>in</strong>e oltre la cui sommità gl’abitanti<br />

non s’erano mai avventurati conv<strong>in</strong>ti che dall’altra parte non vi fosse nulla. Tutt’<strong>in</strong>torno alla valle s’estendeva una f<strong>il</strong>a <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotta di<br />

40 casette con certe f<strong>in</strong>estre strette e profonde, con vetri m<strong>in</strong>uscoli e telai enormi, e col tetto rivestito di moltissime tegole dagli orli<br />

arricciati. Tutte erano rivolte verso <strong>il</strong> centro della conca dove <strong>in</strong>vece c’era <strong>il</strong> Palazzo del Re. Di fronte ad ogni casa c’era un piccolo<br />

giard<strong>in</strong>o con un sentiero circolare e un campo di grano e <strong>in</strong> una delle 40 casette c’era una volta un contad<strong>in</strong>o e sua moglie. Non avevano<br />

avuto figli e ogni matt<strong>in</strong>a dopo che <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o s’era <strong>in</strong>f<strong>il</strong>zato dalla testa 7 maglie di lana e s’era imbracato con 2 paia di pantaloni<br />

lunghi e 3 corti e messo un cappello così enorme che gli ricadeva di cont<strong>in</strong>uo sugl’occhi, <strong>in</strong>sieme alla moglie lasciavano la loro casetta<br />

e passavano tutto <strong>il</strong> tempo a scavare e sem<strong>in</strong>are <strong>il</strong> loro campo di grano dove però <strong>il</strong> grano non cresceva mai. Di tanto <strong>in</strong> tanto la moglie<br />

<strong>in</strong>terrompeva la sem<strong>in</strong>a e allora str<strong>in</strong>geva sotto la gola <strong>il</strong> fazzolettone messo alla ventitrè sulla testa e sopra la lunga veste <strong>in</strong>f<strong>il</strong>zava 1<br />

giacca che le arrivava f<strong>in</strong> quasi alle g<strong>in</strong>occhia cui aveva rimboccato le maniche. Era una giacca azzurra e dal panciotto a righe che si<br />

teneva sotto, spuntava la pieghettatura di una camicia bianca tagliata <strong>in</strong> due da una catena dove teneva appeso un grosso orologio che<br />

segnava sempre la stessa ora. D’improvviso appena aveva f<strong>in</strong>ito di mettersi <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e a quel modo, camm<strong>in</strong>ava con le sue gambe non<br />

proprio dritte f<strong>in</strong>o ai campi dei vic<strong>in</strong>i e pian pian<strong>in</strong>o entrava a sbirciare dentro i granai ormai vuoti e ammuffiti da tanto tempo. Il Re<br />

aveva fatto una grida: aveva regalato le terre ai contad<strong>in</strong>i ma l’unica cosa che dovevano far crescere era solo <strong>il</strong> grano. Ma a Pocograno<br />

di grano non cresceva. Un bel giorno di gran caldo mentre <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o ormai rassegnato affondava nella terra secca i pochi semi di<br />

grano rimasti, proprio sotto <strong>il</strong> platano della civetta delle nevi, trovò una Bimba addormentata. Piegata come stava con le mani congiunte<br />

tra le g<strong>in</strong>occhia che teneva ben strette, formava uno spicchio di luna. Sopra i suoi capelli nero corv<strong>in</strong>o spett<strong>in</strong>ati e dritti come le spighe<br />

mature, stava appollaiato un Falco. Ad un certo punto quando <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o vic<strong>in</strong>issimo a Bimba fece per raccoglierla da terra, <strong>il</strong> Falco<br />

com<strong>in</strong>ciò a svolazzare. Spalancate le ali pennute allargava <strong>il</strong> suo corpo tozzo e lungo e mostrava le piume morbide e dorate del petto.<br />

Il contad<strong>in</strong>o s’abbassò tirandosi le braccia sopra <strong>il</strong> suo cappello più grande di 4 misure. Improvvisamente <strong>il</strong> Falco com<strong>in</strong>ciò a battere la<br />

lunga coda larga e scura sulle mani del contad<strong>in</strong>o. Intanto apriva e chiudeva <strong>il</strong> becco unc<strong>in</strong>ato e <strong>il</strong> verso che ne usciva faceva eco dentro<br />

la vallata di Pocograno. In quel preciso momento <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o ricacciò <strong>in</strong>dietro con un movimento spavaldo <strong>il</strong> cappello e vide <strong>il</strong> Falco<br />

fare una certa mossa. In poco tempo stava sopra <strong>il</strong> torrente. Non s’era fermato sull’acqua né manco aveva rallentato. Con le ali<br />

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spalancate cont<strong>in</strong>uava nel suo volo e quando i pesci guizzanti sul pelo dell’acqua pensavano d’averlo fregato, allora d’improvviso <strong>il</strong><br />

Falco ruotava con un solo colpo <strong>il</strong> lungo collo e col becco schiacciava la testa dello sventurato pesce che così gli faceva da cena. Intanto<br />

<strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o che aveva visto tutto raccolse tra le braccia Bimba ancora addormentata e pensò che siccome anche <strong>il</strong> Falco doveva<br />

mangiare, quella mossa magica altro non era che la mossa del Falco Pescatore. Camm<strong>in</strong>a camm<strong>in</strong>a venne notte quando f<strong>in</strong>almente <strong>il</strong><br />

contad<strong>in</strong>o arrivò alla porta di casa. La moglie tirò fuori dalla faccia grossa e grassa come la luna i suoi occhi bov<strong>in</strong>i e con le gambotte<br />

com<strong>in</strong>ciò a fare una specie di danza vic<strong>in</strong>o al cam<strong>in</strong>o dove <strong>il</strong> fuoco s’era messo a stizzare sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>le grandi come noci. Impietrita si bloccò.<br />

Tirò l’orologio del panciotto che faceva sempre la stessa ora f<strong>in</strong> dentro l’orecchio e lasciò cadere le tazze della m<strong>in</strong>estra. Bimba-Bimba.<br />

Com<strong>in</strong>ciò a dire. Allora <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o decise che quello doveva essere <strong>il</strong> nome della bamb<strong>in</strong>a perché la moglie che la chiamava a quel<br />

modo era riuscita anche a svegliarla. I capelli neri ricoprivano la testa di Bimba formando ciuffi aggrovigliati che le lasciavano scoperta<br />

la fronte alta e pallidissima come <strong>il</strong> resto del viso che allungava sul mento a punta e leggermente all’<strong>in</strong>fuori portandosi <strong>in</strong> mezzo un<br />

naso schiacciato con una strana larghezza delle narici mentre lo spazio che lo separava dalla bocca non c’era quasi per niente. Il<br />

contad<strong>in</strong>o e sua moglie mai avevano visto <strong>in</strong> una bamb<strong>in</strong>a labbra tanto grandi e poi gl’occhi cari miei, erano proprio <strong>il</strong> cielo puro.<br />

Bimba bella-bella non era, ma quando spalancò le labbra la sua risata fece eco nella vallata di Pocograno proprio come aveva fatto <strong>il</strong><br />

verso del Falco. Intanto dal panciotto della moglie <strong>il</strong> tic-tac dell’orologio aveva portato <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o a fissarla negl’occhi. D’improvviso<br />

Bimba, <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la moglie stretti abbracciati <strong>in</strong> un girotondo scomposto ridevano a crepapelle. Passò del tempo. Bimba vedeva <strong>il</strong><br />

contad<strong>in</strong>o e la moglie, che nel frattempo erano diventati <strong>il</strong> suo papà e la sua mamma, sempre piegati sul loro campo di grano dove di<br />

grano non cresceva mai. Un bel giorno allora li prese per mano e tanto disse e tanto fece che c’avrebbe pensato lei a loro due. Così <strong>il</strong><br />

giorno dopo tutti e 3 per tutta la matt<strong>in</strong>a giocarono <strong>in</strong> giard<strong>in</strong>o a nascond<strong>in</strong>o, ai 4 cantoni, a magomangiafrutti senza più andare a<br />

piantar grano. Appena notte, quando <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la moglie dormivano, Bimba se n’andava a dormire <strong>in</strong> mezzo al loro campo di<br />

grano, dove grano non cresceva mai, proprio sotto <strong>il</strong> platano della civetta delle nevi. Da quel giorno dove Bimba dormiva cresceva<br />

grano e la matt<strong>in</strong>a dopo <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la moglie lo falciavano e lo portavano al Re. Tutte le notti la stessa storia: Bimba s’addormentava<br />

sul campo e <strong>il</strong> grano fioriva mentre quatto quatto <strong>il</strong> Falco le stava vic<strong>in</strong>o. Il grano era così tanto che <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la moglie c’avevano<br />

riempito tutto e anche <strong>il</strong> Re ne aveva fatto buona scorta e tutte le sere <strong>in</strong>vitava a Palazzo <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o la moglie e Bimba. I vic<strong>in</strong>i <strong>in</strong>vidiosi<br />

del grano del contad<strong>in</strong>o per un po’ erano stati zitti poi com<strong>in</strong>ciarono a metter male. Senza neanche un chicco di grano, una bella<br />

matt<strong>in</strong>a alzati per tempo, 3 di loro vestiti a punt<strong>in</strong>o andarono a Palazzo dal Re. Dopo <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>i e reverenze si misero a dire che <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o<br />

andava <strong>in</strong> giro a vantarsi che conosceva <strong>il</strong> segreto per conservare <strong>il</strong> grano prima che s’ammuffisse, ma non voleva dirlo al Re perché<br />

così solo lui e la moglie ne sarebbero stati i padroni. Il giorno dopo <strong>il</strong> Re lo mandò a chiamare e gl’ord<strong>in</strong>ò di rivelargli <strong>il</strong> segreto per<br />

mantenere <strong>il</strong> grano sempre buono o sarebbe stato cacciato da Pocograno <strong>in</strong>sieme alla moglie. Il contad<strong>in</strong>o che non sapeva cosa <strong>il</strong> Re<br />

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volesse dire, cont<strong>in</strong>uava tutte le matt<strong>in</strong>e a raccogliere Bimba addormentata sul campo di grano e arrabbiato com’era un brutto giorno<br />

prese a fuc<strong>il</strong>ate <strong>il</strong> Falco che da quel giorno sparì. Una notte più buia e fredda delle altre, Bimba pian- pian<strong>in</strong>o quando stava sulla porta<br />

di casa sentì <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o piangere. Tornò <strong>in</strong>dietro e vide la moglie che preso <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o per le spalle lo faceva muovere tutto e lui allora<br />

s<strong>in</strong>ghiozzava e lei poi gli diceva che l’avrebbe lasciato se non diceva al Re <strong>il</strong> segreto per mantenere <strong>il</strong> grano sempre buono. Allora Bimba<br />

liberò <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o dagli scossoni della moglie e dopo averli baciati disse loro di non preoccuparsi e se n’andò a dormire nel campo di<br />

grano. Il matt<strong>in</strong>o dopo <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la moglie dai vetri m<strong>in</strong>uscoli della f<strong>in</strong>estra stretta e profonda della loro camera, videro due grosse<br />

ombre giganti e scure che <strong>il</strong> sole allungava proprio sull’aia. In altezza superavano <strong>il</strong> platano della civetta delle nevi e di forma rotonda<br />

erano ricoperti d’argento per tutta la loro grandezza. Tutt’e due parevano sospesi <strong>in</strong> aria ma <strong>in</strong>vece a guardarli bene se ne stavano<br />

appoggiati su lunghe aste sempre argentate e tutt’e due <strong>in</strong> basso erano precisi sputati a 2 grossi imbuti. In poco tempo <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la<br />

moglie stavano sull’aia e caso strano lì c’era anche Bimba. Impietriti da quella specie di distributori di caramelle <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e la moglie<br />

guardavano Bimba senza manco vederla. In mano teneva un grande scrigno di cristallo con grosse guarnizioni di legno br<strong>il</strong>lante e lucido<br />

per via delle pietre sparse che ci stavano sopra. “ Prendi – disse Bimba allungando lo scrigno al contad<strong>in</strong>o – ascolta bene: da oggi tutto<br />

<strong>il</strong> grano che crescerà nel campo devi metterlo dentro quelle due torri argentate. Ma mi raccomando apri questo scrigno solo quando<br />

decidi d’<strong>in</strong>f<strong>il</strong>zare <strong>il</strong> grano dentro le torri e quando lo farai, per carità, usa tutte le cose che ci stanno dentro. Mi raccomando non aprirlo<br />

prima.” Il contad<strong>in</strong>o afferrò lo scrigno che così vic<strong>in</strong>o pareva più grande di prima e traballò sulle gambe per quanto fosse pesante. Sul<br />

lato che gli dava <strong>in</strong> faccia c’era un sig<strong>il</strong>lo che portava 3 lettere: DPI. D’improvviso qualcosa aveva fatto tremare la terra e un grosso<br />

rospo atterrò sull’aia. La gola grassa come una palla si muoveva cont<strong>in</strong>uamente avanti e <strong>in</strong>dietro alla bocca larga come uno squarcio.<br />

Schiudeva gl’occhi facendone due fessure schiacciate come quelle dove ci si deve <strong>in</strong>f<strong>il</strong>zare la chiave per aprire una qualche porta segreta.<br />

Le narici allargavano ai lati sf<strong>il</strong>ando la verde pelle umidiccia <strong>in</strong> 2 fosse da cimitero. Le guanciotte rigonfie strabuzzavano f<strong>in</strong> sotto<br />

gl’occhi. Quella grossa faccia a palla poggiava sulle zampe di davanti mentre quelle di dietro a tratti ondeggiavano dandogli l’aspetto<br />

d’una carriola. Sul gobbone 10 o forse 25 le macchie scuro- verde sparse alla r<strong>in</strong>fusa. Sembrava un soprammob<strong>il</strong>e quando tutt’a un<br />

tratto la sua l<strong>in</strong>gua dardeggiò nell’aia pescando una zanzara o chissà quale altro <strong>in</strong>setto. Un attimo dopo con un’altra l<strong>in</strong>guata caricò<br />

Bimba sul gobbone, che nel frattempo s’era addormentata, e <strong>il</strong> Falco comparso dal nulla svolazzò sopra <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o e col becco<br />

agganciò una delle catenelle che teneva chiuso lo scrigno. Allora <strong>il</strong> rospo com<strong>in</strong>ciò a dire: Se di grano ne vuol di più al contad<strong>in</strong> dentro<br />

la torre tocca calarsi giù. Dall’alto e non dall’imbuto che sta <strong>in</strong> basso lo farà: senza la veste special la pelle gli brucerà, senza bloccar<br />

valvole, senza misurar l’aria tra <strong>il</strong> grano, senza maschera né respirator col naso nudo a tirar su velen, senza funi né c<strong>in</strong>ture si calerà e<br />

quando l’aria sparirà avvelenato <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o morirà. Poi d’improvviso <strong>il</strong> Falco, Bimba e <strong>il</strong> rospo <strong>in</strong> un puff sparirono via. Il contad<strong>in</strong>o<br />

e la moglie disperati volevano lasciare Pocograno e andare oltre le coll<strong>in</strong>e per cercare Bimba. Prima però <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o aveva deciso<br />

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d’<strong>in</strong>f<strong>il</strong>are <strong>il</strong> grano dentro le 2 torri specchiose. Lo scrigno di cristallo <strong>il</strong> Falco se l’era portato via e Bimba s’era tanto raccomandata che<br />

per mettere <strong>il</strong> grano dentro le torri avrebbe dovuto usare tutte le cose che ci stavano dentro. Intanto <strong>in</strong> mezzo al bosco Bimba era stata<br />

r<strong>in</strong>chiusa dal rospo <strong>in</strong> uno scavo sotto terra. Il rospo dal gozzo grosso altro non era che la sua matrigna che <strong>in</strong>vidiosa dei poteri magici<br />

di Bimba, le aveva fatto l’<strong>in</strong>cantesimo di trasformarle l’anima <strong>in</strong> Falco quando veniva notte, mentre <strong>il</strong> suo corpo s’addormentava 7<br />

<strong>in</strong> un campo ster<strong>il</strong>e e arido f<strong>in</strong>ché con le sembianze da Falco avrebbe salvato una persona amata. Un giorno che pioveva <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o<br />

andò dal Re e dopo avergli raccontato tutta la storia di Bimba gli disse che avrebbe messo tutto <strong>il</strong> grano dentro 2 torri giganti ch’erano<br />

comparse nell’aia e così non sarebbe più ammuffito ma che per farlo doveva recuperare lo scrigno. Il Re arrabbiato gli disse che doveva<br />

farlo lo stesso anche senza scrigno, che non c’era più tempo e che se no gl’avrebbe fatto tagliare la testa. Nel frattempo Bimba nel buco<br />

sotto terra vede lo scrigno e siccome aveva <strong>il</strong> potere di vedere lontano, scorge nell’aia <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o che presa una scala stava per calarsi<br />

nella torre specchiosa che lei gl’aveva fatto comparire l’ultima notte ch’era stata da loro. Ad un certo punto s’addormenta e trasformata<br />

<strong>in</strong> Falco, per via dell’<strong>in</strong>cantesimo della matrigna, <strong>in</strong>f<strong>il</strong>za <strong>il</strong> becco sull’apertura dello scrigno e volando via dalla f<strong>in</strong>estra piombò stremata<br />

sull’aia del contad<strong>in</strong>o dove la moglie correva a destra e a s<strong>in</strong>istra e piangeva. Il Falco aprì lo scrigno. Ne prese <strong>il</strong> contenuto e con quella<br />

sua mossa da Falco pescatore che era, si calò dentro la torre ignorando l’odore di tutto quel grano e <strong>in</strong>f<strong>il</strong>ò la maschera col tubo per<br />

respirare sulla faccia del contad<strong>in</strong>o e l’imbracò sotto le ascelle con la corda e volò via da dove era entrato. All’improvviso fuori era giorno<br />

e la moglie del contad<strong>in</strong>o vide Bimba uscire dalle ali del Falco che scomparì via. Bimba tirò così forte la fune f<strong>in</strong>o a svenire e al suo<br />

risveglio <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o le stava vic<strong>in</strong>o ancora col respiratore che gli copriva tutta la faccia. Da quel giorno quando <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o puliva le<br />

torri specchiose o c’<strong>in</strong>f<strong>il</strong>zava dentro <strong>il</strong> grano apriva lo scrigno che gl’aveva dato Bimba e usava la lunga fune <strong>in</strong>sieme alle imbracature<br />

che non lo facevano schiantare dentro la torre; la tuta speciale per non bruciarsi la pelle che dentro la torre sarebbe stata vic<strong>in</strong>a vic<strong>in</strong>a<br />

a tutto <strong>il</strong> grano; e la maschera con un tubo speciale da dove poteva respirare senza che la polvere del grano gli togliesse tutta l’aria. Poi<br />

ancora un grosso caccia vite per bloccare le valvole che se restano aperte va a f<strong>in</strong>ire che uno ci rimette le penne. Tutti i giorni Bimba<br />

portava un po’ di grano al Re che giorno dopo giorno s’era <strong>in</strong>namorato di lei. La matrigna rimasta nel bosco se ne stava lontana da<br />

Pocograno per via che l’odore di tutto quel grano la stordiva. La moglie del contad<strong>in</strong>o teneva lo scrigno <strong>in</strong> bella vista e tutti i giorni<br />

quando l’orologio del suo panciotto, che dall’arrivo di Bimba aveva ripreso a funzionare, segnava le 3 <strong>in</strong> punto, correva ad aprire lo<br />

scrigno e puliva le cose preziose che servivano al contad<strong>in</strong>o per calarsi giù nelle torri. Il giorno delle nozze di Bimba col Re, <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o<br />

chiese a Bimba delle 3 lettere <strong>in</strong>cise sullo scrigno. Bimba lo baciò sulla guancia e gli sussurrò: D come Dispositivo, P come Protezione,<br />

I come Individuale. Da quel giorno tutte le volte che <strong>il</strong> contad<strong>in</strong>o puliva le torri di grano usava le cose dello scrigno di cristallo e fu così<br />

che vissero per sempre tutti felici e contenti.<br />

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Una sicurezza da favola<br />

di Eleonora Favor<strong>in</strong>i<br />

Un bel giorno Dio convocò l’Angelo Hezabel per affidarle un <strong>in</strong>carico: osservare la vita quotidiana degli esseri femm<strong>in</strong><strong>il</strong>i terrestri.<br />

Hezabel era <strong>in</strong>curiosita e da tempo aspettava questa occasione: vivere un giorno sulla Terra e soprattutto osservare la vita di una donna<br />

come lei; con le colleghe si annoiava, voleva vedere da vic<strong>in</strong>o cosa facevano le donne della Terra.<br />

Così, L’Angelo Hezabel scese tra gli uom<strong>in</strong>i , <strong>in</strong> una cittad<strong>in</strong>a di prov<strong>in</strong>cia. C’era molto traffico per le strade di quella città quel giorno:<br />

le automob<strong>il</strong>i suonavano e passavano veloci, le persone camm<strong>in</strong>avano frenetiche senza nemmeno guardarsi <strong>in</strong> faccia; Hezabel era un<br />

poco stordita ma affasc<strong>in</strong>ata da questo mondo nuovo, così prese una direzione seguendo un gruppo e si <strong>in</strong>camm<strong>in</strong>ò.<br />

Passò le strisce pedonali e si trovò dall’altra parte della strada.<br />

Camm<strong>in</strong>ava lungo <strong>il</strong> marciapiede guardando le cose <strong>in</strong>torno a lei quando si trovò davanti una grande impalcatura di ferro che si<br />

<strong>in</strong>nalzava su su <strong>in</strong> alto lungo la facciata di un vecchio edificio maestoso.<br />

E lassù tra le lamiere spiccava un elmetto giallo, e una tuta bianca .<br />

“- Un altro angelo !- esclamò Hezabel e si alzò <strong>in</strong> volo per guardare più vic<strong>in</strong>o.<br />

Una donna piccola e giovane con secchio e pennelli si dava da fare <strong>in</strong>torno all’<strong>in</strong>tonaco di calce.<br />

“Amo questo lavoro, ma vorrei sentirmi più al sicuro e più tutelata”<br />

L’angelo lesse questi pensieri nella giovane e annuì considerando anch’esso i pericoli a cui poteva essere esposta : una caduta, ferirsi con<br />

delle tegole ecc. “- … e poi lei non ha neanche le ali..- concluse con un po’ di tristezza e scese giù rituffandosi nella folla .<br />

Riprese <strong>il</strong> tragitto giungendo un poco fuori dal centro urbano e si trovò davanti a un cancello verde dietro al quale c’era l’<strong>in</strong>gresso di un<br />

elegante edificio <strong>in</strong> pietra e piastrelle di maiolica dip<strong>in</strong>ta. Hezabel entrò e si fermò ad ammirare i putti alati <strong>in</strong>castonati nel marmo ,poi,<br />

la sua attenzione venne catturata da un via vai di persone <strong>in</strong> camice bianco che come una f<strong>il</strong>a di formiche andavano avanti e <strong>in</strong>dietro<br />

da un furgone parcheggiato sul retro , trasportando dei grossi blocchi di un materiale scuro.<br />

Incuriosita Hezabel si accodò e si trovò all’<strong>in</strong>terno di un laboratorio : c’erano macch<strong>in</strong>ari <strong>in</strong> funzione, rumore, polvere, i blocchi scuri<br />

erano tutti accantonati da una parte , una signora ne prendeva uno e lo tagliava con un f<strong>il</strong>o metallico <strong>in</strong> tanti strati poi li gettava dentro<br />

una impastatrice <strong>in</strong>sieme ad acqua , che mescolava quell’impasto f<strong>in</strong>o a farlo diventare morbidissimo. Da un’altra macch<strong>in</strong>a <strong>in</strong>vece,<br />

uscivano serpenti di impasto che venivano tagliati da una lama automatica sorvegliata da una giovane .<br />

84


Subito L’angelo Hezabel còlse i suoi pensieri<br />

“ Qui dentro si dovrebbero rispettare le norme di sicurezza per le donne : siamo spesso costrette a fare <strong>il</strong> lavoro degli uom<strong>in</strong>i: prendere<br />

e sollevare oggetti pesanti, ut<strong>il</strong>izzare macch<strong>in</strong>ari pericolosi …. Non è giusto.”<br />

Hezabel approvò e ..”_ AHIII!- gridò scostandosi dalla bocca aperta di un enorme forno dal cui sportello usciva un forte calore! “-<br />

Accipicchia!potevo f<strong>in</strong>ire arrosto_- disse stropicciandosi le ali e si allontanò seguendo due signore che entravano <strong>in</strong> un’altra stanza ampia<br />

e lum<strong>in</strong>osa con grandi f<strong>in</strong>estre ,occupata al centro da otto lunghi tavoli <strong>in</strong>torno ai quali erano sedute delle donne <strong>in</strong>tente alla pittura.<br />

Su un lato alle pareti c’erano alti scaffali sui quali erano <strong>in</strong> mostra oggetti di tutti i tipi :<br />

vasi, anfore, piatti , ornati da fiori e frutti variop<strong>in</strong>ti, paesaggi bellissimi, animali stravaganti, motivi geometrici…<br />

L’Angelo si avvic<strong>in</strong>ò ad osservare da vic<strong>in</strong>o <strong>il</strong> lavoro delle pittrici ; una signora con una mascher<strong>in</strong>a bianca aveva aperto un barattolo<br />

che portava un etichetta con su scritto<br />

ATTENZIONE: CONTIENE PIOMBO E SOLVENTI CHIMICI: EVITARE IL CONTATTO CON OCCHI E NASO.<br />

Ne travasò una polvere rossa f<strong>in</strong>issima , Hezabel si avvic<strong>in</strong>ò ad annusare e.<br />

“_ ETCCIUUUU!”- “Sono proprio una sciocca distratta – disse strof<strong>in</strong>andosi <strong>il</strong> naso – Meglio uscire a prendere un po’ d’aria fresca!”<br />

e uscì ritrovandosi <strong>in</strong> strada.<br />

Camm<strong>in</strong>ando giunse a un rione tran<strong>qui</strong>llo e dove non passavano automob<strong>il</strong>i.<br />

Era giorno di mercato e la via era un firmamento di tende,colori, voci. L’Angelo si aggirò tra i banchi che esponevano le loro merci,<br />

quando si trovò davanti una ragazza con una cassetta di frutta <strong>in</strong> mano e due occhi grandi e puliti ; questa attraversò l’angelo che<br />

pensò sorridendo “-aspetta un bamb<strong>in</strong>o , diventerà madre!”- e vide la giovane sparire dietro un bancone mentre un omone con un<br />

grembiule scuro le dava ord<strong>in</strong>i con tono severo .<br />

“Vorrei scappare da questo posto ma ho bisogno di lavorare e per <strong>il</strong> momento devo resistere, spero solo di non fare del male al mio<br />

bamb<strong>in</strong>o” Hezabel colse i pensieri della ragazza e scosse la testa con stizza “-<br />

Quell’uomo avrebbe bisogno di una lezione!- poi aggiunse con un sospiro “- Il mio lavoro è f<strong>in</strong>ito , ho visto abbastanza : <strong>qui</strong> la vita<br />

delle donne che lavorano non è fac<strong>il</strong>e, farò un bel rapporto dettagliato ai miei Superiori!”- concluse tra sé e, spiegate le sue grandi ali ,<br />

com<strong>in</strong>ciò a salire.<br />

“…EHI! ATTENTO!!!! - gridò a un altro angelo che stava scendendo e quasi per travolgerla<br />

“- Non si può stare sicuri nemmeno <strong>in</strong> Paradiso! “-<br />

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Mart<strong>in</strong>a e <strong>il</strong> capanno dei mostri rombanti<br />

di Crist<strong>in</strong>a Costa<br />

Alcuni anni fa nei verdi prati di un piccolo paes<strong>in</strong>o di montagna, viveva Mart<strong>in</strong>a, una bamb<strong>in</strong>a sott<strong>il</strong>e e leggera come una gazzella, gli<br />

occhi marroni come due grosse castagne, i capelli corti e dritti come le setole di una scopa, e un sorriso lum<strong>in</strong>oso come uno squarcio<br />

di luce nella notte. Era d<strong>il</strong>igente e ubbidiente e amava giocare per ore ed ore nei campi sconf<strong>in</strong>ati che circondavano la sua casa, <strong>in</strong><br />

compagnia degli animali al pascolo e del suo fedelissimo Bollo, un grosso cane bianco con una macchia nera sull’occhio s<strong>in</strong>istro sim<strong>il</strong>e<br />

all’impronta di un timbro postale. Mart<strong>in</strong>a aveva un sogno, un sogno <strong>in</strong>solito per una bamb<strong>in</strong>a di sette anni, ma sul quale era più che<br />

risoluta: voleva diventare un’ero<strong>in</strong>a, una di quelle amate dalla gente, una palad<strong>in</strong>a del bene e della giustizia, che avrebbe salvato <strong>il</strong><br />

mondo <strong>in</strong>tero. Troppe volte, <strong>in</strong>fatti, aveva sentito i suoi genitori dire che <strong>il</strong> mondo stava andando <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a e che occorreva fare qualcosa<br />

per salvarlo. E allora aveva deciso che ci avrebbe pensato lei, perchè sarebbe stato un peccato se <strong>il</strong> mondo fosse davvero f<strong>in</strong>ito. Era così<br />

bello vivere!<br />

Gli amici la prendevano <strong>in</strong> giro per quella sua aspirazione, ma lei non badava alle loro critiche perchè i suoi genitori dicevano sempre<br />

che i bamb<strong>in</strong>i erano <strong>il</strong> futuro del mondo e loro avrebbero potuto far qualcosa per migliorarlo. E allora perché non poteva farlo lei? E<br />

poi chi diceva che gli eroi dovessero essere sempre e solamente maschi? Mart<strong>in</strong>a lo trovava <strong>in</strong>giusto; c’erano Superman e Batman,<br />

Spiderman e Flash Gordon, ed era stufa che fossero sempre i pr<strong>in</strong>cipi a salvare le povere fanciulle <strong>in</strong>difese. Di ero<strong>in</strong>e ce n’erano sempre<br />

troppo poche, ma lei avrebbe dato l’esempio perché altre seguissero la sua strada.<br />

Per quanto fosse determ<strong>in</strong>ata, tuttavia l’impresa le sembrava piuttosto diffic<strong>il</strong>e, perché a dire <strong>il</strong> vero le mancavano alcuni <strong>in</strong>gredienti<br />

essenziali per essere come uno degli eroi che conosceva. Innanzitutto occorreva un nome ad effetto, un costume o un simbolo, ma<br />

soprattutto un potere speciale e siccome non sapeva volare, né lanciare ragnatele, né razzi, veleni, boomerang o altro, la cosa si<br />

faceva piuttosto diffic<strong>il</strong>e. La mamma le diceva che per essere eroi non occorrono poteri straord<strong>in</strong>ari, ma straord<strong>in</strong>ario coraggio e<br />

l’<strong>in</strong>telligenza per fare le cose giuste anche quando sembra diffic<strong>il</strong>e. Le diceva che ci sono m<strong>il</strong>le occasioni nella vita quotidiana per essere<br />

eroici, perché la vita è piena di <strong>in</strong>sidiosi pericoli e grandi difficoltà che mettono alla prova.<br />

Dunque la chiave era <strong>in</strong> coraggio. Beh, allora era fac<strong>il</strong>e, perché a Mart<strong>in</strong>a quello di certo non mancava. Non temeva di camm<strong>in</strong>are nel<br />

buio, affrontava le <strong>in</strong>terrogazioni senza paure, si avvic<strong>in</strong>ava agli animali selvatici senza timore e non piangeva mai se si feriva giocando<br />

<strong>in</strong> campagna, né temeva la vista del sangue.<br />

86


Però….. a pensarci bene…. Qualcosa che le faceva un po’ paura c’era….forse…anche più di un po’ a dire <strong>il</strong> vero. C’era un enorme<br />

capanno ai piedi della vallata, un luogo nel quale erano r<strong>in</strong>chiusi dei terrib<strong>il</strong>i mostri rombanti. Un mostro sim<strong>il</strong>e a uno di quelli aveva<br />

ucciso nonno Giovanni. Lei non ricordava tanto bene nonno Giovanni, perché, quando lui morì, lei aveva c<strong>in</strong>que anni appena fatti, però<br />

ricordava la sua risata rumorosa e allegra e la sua grossa mano dentro la quale quella di lei si perdeva quando passeggiavano <strong>in</strong>sieme<br />

<strong>in</strong> giard<strong>in</strong>o a controllare se i gelsi erano maturi. Il nonno lavorava <strong>in</strong> campagna da quando era appena un ragazz<strong>in</strong>o. Mart<strong>in</strong>a ricordava<br />

che quando lui era morto, papà diceva alla mamma che non c’era modo di salvarsi quando si veniva travolti da bestione come quello<br />

che aveva travolto <strong>il</strong> nonno. Mart<strong>in</strong>a quel mostro non lo aveva mai visto, ma sapeva che uno uguale a quello stava chiuso nel capanno<br />

<strong>in</strong>sieme ad altri suoi sim<strong>il</strong>i. Però a volte ne aveva sentito <strong>il</strong> boato rombante, quando la matt<strong>in</strong>a i mostri si svegliavano e uscivano dal<br />

capanno aggirandosi per i boschi.<br />

Mart<strong>in</strong>a pensò che sarebbe stata una bella prova di coraggio entrare nel capanno per dare una sbirciat<strong>in</strong>a.<br />

Una sera, prima di andare a letto, chiese a suo padre: “Papà, mi parli del nonno?”<br />

Il papà le accarezzò la fronte mentre le rimboccava le coperte e com<strong>in</strong>ciò a raccontare alcuni aneddoti che lei già conosceva ma che<br />

amava ascoltare ancora e ancora. “Raccontami del mostro che lo ha ucciso, papà”disse ad un tratto la bamb<strong>in</strong>a.<br />

Il papà le sorrise dolcemente e si sedette sul bordo del letto.<br />

“Il nonno non è stato ucciso da un mostro, amore mio, perché pensi questo?” “Ti ho sentito quando ne parlavi con la mamma; hai detto<br />

che era un enorme bestione impossib<strong>il</strong>e da fermare”.<br />

Papà sorrise amaramente. “Ma no, amore, non <strong>in</strong>tendevo quel genere di mostro. Il nonno ha avuto un <strong>in</strong>cidente sul lavoro; <strong>il</strong> mostro di<br />

cui parlavo era un enorme trebbiatrice che lo ha <strong>in</strong>vestito lungo un pendio.”<br />

“Ma come è accaduto, papà?”<br />

Il papà spiegò a Mart<strong>in</strong>a che tutto era accaduto perché <strong>il</strong> nonno non aveva rispettato alcune norme di sicurezza.<br />

“Norme di sicurezza?” chiese la bamb<strong>in</strong>a.<br />

Papà spiegò che ci sono delle regole per evitare che accadano degli <strong>in</strong>cidenti mentre si lavora. “Qualunque lavoro può essere potenzialmente<br />

pericoloso se non vengono rispettate queste regole e questo può fare del male alla salute di chi lavora, <strong>in</strong> alcuni casi può anche uccidere,<br />

come è accaduto a mio padre.”<br />

“Quel terrib<strong>il</strong>e giorno <strong>il</strong> nonno lavorava già da parecchie ore, <strong>qui</strong>ndi doveva essere molto stanco, così aveva pensato di prendere una<br />

scorciatoia per arrivare prima al capanno, piuttosto che seguire <strong>il</strong> percorso abituale. Nel far questo non aveva considerato che la pendenza<br />

era eccessiva e aveva sopravvalutato la sua ab<strong>il</strong>ità nel controllare <strong>il</strong> mezzo. Invece una volta <strong>in</strong> discesa perse <strong>il</strong> controllo del macch<strong>in</strong>ario<br />

che urtò contro un grosso albero. Il nonno fu scaraventato fuori dal mezzo e cadde battendo violentemente la testa. Purtroppo però non<br />

87


<strong>in</strong>dossava <strong>il</strong> casco di protezione. Se lo avesse fatto……oggi sarebbe ancora <strong>qui</strong>….”<br />

Mart<strong>in</strong>a lo guardava atterrita. Le sembrava di vedere la scena. “Ma come si possono evitare questi <strong>in</strong>cidenti?”<br />

“Bisogna essere prudenti, non sottovalutare i pericoli credendo di avere sempre tutto sotto controllo E quando si è molto stanchi <strong>il</strong> rischio<br />

aumenta. Come quando la sera sei stanca ma ti ost<strong>in</strong>i a correre e saltare fra i divani f<strong>in</strong>o a che ti capita di <strong>in</strong>ciampare e farti male.”<br />

Mart<strong>in</strong>a annuì. In effetti tante volte le erano capitati dei piccoli <strong>in</strong>cidenti <strong>in</strong> casa per disattenzione. E anche la mamma era un po’<br />

pasticciona, perché a volte, per fare troppe cose contemporaneamente, f<strong>in</strong>iva con l’andare <strong>in</strong>contro a qualche guaio: si scottava toccando<br />

le teglie senza mettere <strong>il</strong> guantone, lasciava lo strof<strong>in</strong>accio troppo vic<strong>in</strong>o ai fornelli accesi, facendo preoccupare papà, che <strong>in</strong>vece era<br />

molto attento a questo tipo di cose.<br />

“La fretta <strong>in</strong>duce la mamma a fare più azioni contemporaneamente facendole dimenticare che alcune vanno fatte con particolare<br />

attenzione.”Mentre papà parlava, Mart<strong>in</strong>a cont<strong>in</strong>uava a immag<strong>in</strong>are la scena di quel terrib<strong>il</strong>e mostro che disarcionava <strong>il</strong> suo povero<br />

nonno, ma adesso sapeva che era un mostro diverso da come lo aveva immag<strong>in</strong>ato. Decise che l’<strong>in</strong>domani sarebbe andata nel capanno<br />

ad affrontarlo. Doveva farcela! Che razza di ero<strong>in</strong>a sarebbe mai potuta diventare se non avesse saputo superare quell’ ostacolo.<br />

L’<strong>in</strong>domani dopo la colazione, Mart<strong>in</strong>a, saltò sulla bicicletta e si avviò verso <strong>il</strong> capanno. Occorreva una lunga pedalata per arrivare.<br />

Passò davanti alla casa di Lorenzo, un bamb<strong>in</strong>o con cui spesso condivideva le sue esplorazioni <strong>in</strong> giro per la campagna. Lorenzo le<br />

domandò dove si stesse recando così di buon ora. All’<strong>in</strong>izio Mart<strong>in</strong>a cercò di essere vaga, perché pensava di dover affrontare da sola<br />

le sue paure per dirsi davvero coraggiosa, ma siccome lui non si arrese fac<strong>il</strong>mente, non potè fare a meno di rivelargli le sue <strong>in</strong>tenzioni.<br />

Senza aspettare alcun <strong>in</strong>vito, Lorenzo saltò <strong>in</strong> bici e disse<br />

“Vengo con te”.<br />

Lungo <strong>il</strong> sentiero Mart<strong>in</strong>a gli svelò <strong>il</strong> suo piano. Voleva entrare nel capanno mentre gli operai erano lontani per avvic<strong>in</strong>arsi ai mostri f<strong>in</strong>o<br />

a toccarli. In effetti la presenza di Lorenzo la confortava; non era certa che sarebbe riuscita ad andar <strong>in</strong> fondo a quell’impresa da sola.<br />

Ad un tratto Lorenzo lasciò <strong>il</strong> sentiero pr<strong>in</strong>cipale per entrare nella boscaglia. “Scendiamo da <strong>qui</strong>. Così arriveremo prima.” Le disse<br />

<strong>in</strong>citandola a seguirlo. Mart<strong>in</strong>a si fermò sul ciglio della strada.<br />

“No, aspetta, di lì è pericoloso. La strada è ripida e piena di ostacoli e le nostre bici non sono adatte a questo tipo di percorso….sono<br />

solo bici da passeggio…..e poi mio padre dice per questo tipo di percorsi occorre <strong>in</strong>dossare <strong>il</strong> casco…Dov’è <strong>il</strong> tuo?”<br />

“Ma dai, Mart<strong>in</strong>a, sei noiosa, l’ho già fatto altre volte e non è successo nulla…..”<br />

“Sei stato fortunato ma è sbagliato rischiare…”<br />

“Che femm<strong>in</strong>uccia che sei….” “<br />

Almeno <strong>in</strong>dossa <strong>il</strong> mio casco, tanto io da quella parte non ci vengo….”<br />

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Lorenzo provò a resistere ma Mart<strong>in</strong>a non volle ascoltare ragioni. Pensò alle parole della mamma sull’avere <strong>il</strong> coraggio di fare la cosa<br />

giusta, poi raccontò a Lorenzo della conversazione con <strong>il</strong> padre e di come era morto <strong>il</strong> nonno. Lorenzo ascoltò <strong>il</strong> suo racconto ma non<br />

r<strong>in</strong>unciò all’idea di passare per la boscaglia. Tuttavia, sebbene con r<strong>il</strong>uttanza, accettò <strong>il</strong> casco dell’amica.<br />

“Torna <strong>in</strong>dietro” cont<strong>in</strong>uava a ripetere Mart<strong>in</strong>a mentre Lorenzo procedeva sul suo camm<strong>in</strong>o. E poi successe ciò che aveva temuto;<br />

sentì un tonfo e le grida di Lorenzo. Scese dalla bici e si <strong>in</strong>oltrò <strong>in</strong> cerca dell’amico. Lo trovò a terra, gridava tenendosi una gamba. Non<br />

riusciva a muoverla. “Credo sia rotta. Devi andare a cercare aiuto.”<br />

Mart<strong>in</strong>a si guardò <strong>in</strong>torno. Il capanno era <strong>il</strong> luogo più vic<strong>in</strong>o.<br />

Corse più che poteva e <strong>in</strong> pochi m<strong>in</strong>uti era davanti al grande padiglione aperto. Seduto alla guida di un grosso trattore un uomo si accorse<br />

di Mart<strong>in</strong>a; senza spegnere <strong>il</strong> motore le chiese che cosa ci facesse lì. La bamb<strong>in</strong>a terrorizzata aveva una gran voglia di allontanarsi <strong>in</strong><br />

fretta ma Lorenzo aveva bisogno di soccorsi, non poteva lasciarlo solo. Parlò urlando per farsi sentire dall’uomo e gli spiegò cosa era<br />

successo. L’uomo spense <strong>il</strong> mezzo e saltò giù. “Andiamo a prenderlo” disse dopo che Mart<strong>in</strong>a f<strong>in</strong>ì di parlare. Poi aggiunse. “Anzi, tu resta<br />

<strong>qui</strong> e chiama i soccorsi. Ho lasciato <strong>il</strong> cellulare sul sed<strong>il</strong>e della mototrebbiatrice, laggiù.” Disse <strong>in</strong>dicando <strong>il</strong> più alto e grosso mezzo dentro<br />

<strong>il</strong> capanno. “Pensi di riuscire a prenderlo?”<br />

Mart<strong>in</strong>a non esitò a dire di sì, nonostante rabbrividisse all’idea di affrontare <strong>il</strong> mostro da sola. Quando l’uomo si fu allontanato, raccolse<br />

tutto <strong>il</strong> suo coraggio ed entrò. I tre mostri metallici dormivano. Sembravano grossi come i d<strong>in</strong>osauri che aveva visto nei documentari<br />

<strong>in</strong> tv. Le gambe le tremavano e la fronte si imperlava di sudore. Mart<strong>in</strong>a avanzò <strong>in</strong> punta di piedi quasi volesse evitare <strong>il</strong> risveglio<br />

dei tre giganti. Quando fu davanti a quello più alto si accorse che non sarebbe stato fac<strong>il</strong>e montare sul primo grad<strong>in</strong>o senza un punto<br />

d’appoggio. Si guardò <strong>in</strong>torno e vide una sedia. Si accertò che fosse un appoggio stab<strong>il</strong>e, poi l’avvic<strong>in</strong>ò al gigante con prudenza.<br />

Raggiunto <strong>il</strong> primo grad<strong>in</strong>o si sentì felice di essere es<strong>il</strong>e; forse <strong>il</strong> mostro non si sarebbe accorto del suo modesto peso. Arrivata al sed<strong>il</strong>e<br />

Mart<strong>in</strong>a frugò nella tasca e afferrò <strong>il</strong> telefono. Poi chiamò <strong>il</strong> numero di emergenza come le aveva detto quell’uomo. Tirò un profondo<br />

sospiro di sollievo. Ce l’aveva fatta. Guardò dritto davanti a sé. Che magnifica sensazione stare così <strong>in</strong> alto! E chissà come doveva essere<br />

bello guardare la campagna da lassù. D’un tratto <strong>il</strong> mostro le sembrò un po’ meno m<strong>in</strong>accioso.<br />

Poco dopo l’ambulanza arrivò e portò via <strong>il</strong> povero Lorenzo che piangeva dolorante.<br />

La sera Mart<strong>in</strong>a raccontò al padre quanto accaduto. Il papà la lodò per la sua prudenza e per <strong>il</strong> buon consiglio che aveva saputo dare<br />

all’amico, <strong>il</strong> quale, <strong>in</strong>vece, aveva sottovalutato <strong>il</strong> rischio di fare quel percorso senza l’attrezzatura idonea.<br />

“Visto?!- disse la mamma- sei stata molto eroica, perché hai avuto <strong>il</strong> coraggio di fare le cose giuste anche se sembrava diffic<strong>il</strong>e. Non hai avuto<br />

paura di dire no a Lorenzo anche se ti ha preso <strong>in</strong> giro per la tua prudenza e non ti sei tirata <strong>in</strong>dietro nell’affrontare qualcosa che ti spaventava<br />

perché sapevi che era più importante <strong>in</strong> quel momento essere d’aiuto. Poteva f<strong>in</strong>ire molto peggio, se non avesse <strong>in</strong>dossato <strong>il</strong> casco.”<br />

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Mart<strong>in</strong>a sorrise soddisfatta.<br />

Adesso sapeva come diventare un’ero<strong>in</strong>a.<br />

Non c’era bisogno di avere poteri speciali per salvare <strong>il</strong> mondo da catastrofi <strong>in</strong> corso, <strong>il</strong> modo migliore era imparare i modi efficaci per<br />

prevenire i pericoli.<br />

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Gaia l’ape operaia<br />

di Alessia Conti<br />

Honeyv<strong>il</strong>le è un piccolo e delizioso v<strong>il</strong>laggio, immerso <strong>in</strong> una vasta campagna, e come ogni anno <strong>in</strong> primavera<br />

essa diventa un vero e proprio spettacolo per gli occhi, fatto di fiori e colori.<br />

Gli abitanti di Honeyv<strong>il</strong>le sono molto laboriosi, ognuno di loro <strong>in</strong>fatti svolge un’attività ben precisa ed è per<br />

questo motivo che essi sono assai fieri di poter contribuire all’andamento del v<strong>il</strong>laggio.<br />

Diciamo che <strong>il</strong> senso del lavoro, unito ai buoni frutti che da esso ne derivano, costituiscono una caratteristica di<br />

questo, ma non molto distante da <strong>qui</strong>, nell’aperta campagna, c’è qualcuno che lavora altrettanto come loro.<br />

Su di una quercia dal tronco enorme e dalla chioma rigogliosa, si trova un grande alveare;<br />

esso ospita <strong>in</strong> media circa ventim<strong>il</strong>a api operaie,<br />

ma ora che la bella stagione è alle porte esso dovrà riceverne ben più del doppio,<br />

perché la richiesta di miele è aumentata e,<br />

come ogni anno <strong>in</strong> questo periodo, nell’alveare c’è un gran fermento.<br />

Frida: “ Per favore Agata ho le zampette appiccicose,<br />

mi passeresti dei barattoli vuoti?<br />

Agata: “Certo, ma fai presto che tra c<strong>in</strong>que m<strong>in</strong>uti<br />

l’Ape Reg<strong>in</strong>a ci ha convocate tutte per la riunione, ricordi?”<br />

Frida: “Si, si! Completo l’ultima cassett<strong>in</strong>a e ho f<strong>in</strong>ito.<br />

Sai già di che cosa vuole parlarci?”<br />

Agata: “Bhè, te sei entrata da poco tempo,<br />

ma devi sapere che nei prossimi mesi ci attenderà un periodo di gran<br />

lavoro! Sicuramente ci parlerà di questo.<br />

Vado a prendere mia figlia Gaia, ci vediamo alla riunione!”<br />

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L’Ape Reg<strong>in</strong>a sapeva essere generosa ed al tempo stesso rigorosamente severa, per questo era sia amata che<br />

rispettata dalle sue operaie, le quali non tardarono all’appuntamento nell’ARNIA MAGNA, conoscendo<br />

assai bene <strong>il</strong>rispetto per la puntualità che la Reg<strong>in</strong>a esigeva.<br />

“Mie care” – aprì <strong>il</strong> discorso l’Ape Reg<strong>in</strong>a – “ penso che già immag<strong>in</strong>iate <strong>il</strong> motivo di questa convocazione.<br />

Come diconsueto, con l’arrivo della primavera , la richiesta di miele viene aumentando e, mai come<br />

quest’anno abbiamoricevuto così tante richieste. Pensate solamente che la scorsa settimana mi hanno<br />

chiamata perf<strong>in</strong>o dalla città per commissionarci diecim<strong>il</strong>a cassette di miele!”<br />

- Le api operaie non poterono trattenere l’entusiasmo e ruppero <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio tra applausi ed urla di gioia.<br />

“Indubbiamente” –cont<strong>in</strong>uò l’ape Reg<strong>in</strong>a, facendo segno di calmarsi –<br />

“sono davvero soddisfatta degli ottimi risultati e, se <strong>il</strong> nostro alveare è uno dei migliori della zona,<br />

<strong>il</strong> merito va soprattutto al vostro prezioso lavoro e al vostro grandissimo impegno!<br />

Sono orgogliosa di ognuna di voi!”.<br />

Improvvisamente, si sentì un velocissimo frusciò d’ali che si avvic<strong>in</strong>ava ed una voce sempre più<br />

forte:<br />

”eccomi, eeeeccooomiii, sto arrivaaando !!“-<br />

e poi sempre più affannata ma frettolosa–“sono <strong>qui</strong>, sono <strong>qui</strong>!!<br />

Agata: ”Ci risiamo, è <strong>in</strong> ritardo anche stavolta!”<br />

Gaia: “Mamma chi è <strong>in</strong> ritardo?”<br />

Agata: “ E’ Elide, un’ape fattor<strong>in</strong>a, ed è quasi sempre fuori per le consegne!”<br />

“Wow! “ - rispose Gaia entusiasta – “Ma come mai è così <strong>in</strong> ritardo? L’Ape Reg<strong>in</strong>a si arrabbierà??!!”<br />

“ No” – sorrise dolcemente Agata –<br />

“ormai siamo abituate ai suoi ritardi, vedi Elide, s<strong>in</strong> dal primo giorno che è entrata nell’alveare, è stata subito notata per le sue doti, gran<br />

velocità e resistenza, praticamente ciò che serve per consegnare <strong>il</strong> miele, proprio come te!<br />

Il suo unico difetto però è sempre stato quello di essere un pò troppo vanitosa, per questo, quando usciva per lavoro, non voleva mai<br />

<strong>in</strong>dossare <strong>il</strong> casco, diceva che le si piegavano le antenne!! Poi un giorno, durante una consegna accadde una brutta cosa, Elide ebbe<br />

un <strong>in</strong>cidente, si scontrò con un grosso calabrone.. e da quel giorno, ogni tanto, perde <strong>il</strong> senso dell’orientamento e impiega un po’ più<br />

di tempo prima di ritrovare la strada del ritorno…è questo <strong>il</strong> motivo dei suoi ritardi! Ma l’Ape Reg<strong>in</strong>a non dice più nulla ormai, anche<br />

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perché sa che Elide è davvero molto brava nel suo lavoro.”<br />

“Elide per favore prendi posto con le altre” – ord<strong>in</strong>ò l’Ape Reg<strong>in</strong>a alzando gli occhi <strong>in</strong> senso di rassegnazione – “ devo ancora f<strong>in</strong>ire di<br />

<strong>il</strong>lustrarvi alcune cose” – disse la Reg<strong>in</strong>a con tono più deciso – “ dovremo anzitutto aumentare la produzione e ciò significa che<br />

assumeremo più api operaie, <strong>qui</strong>ndi ho già predisposto uno tabella con nomi e rispettivi ruoli da ricoprire :le api esploratrici segnaleranno<br />

la via da seguire agli sciami; le api bott<strong>in</strong>atrici raccoglieranno <strong>il</strong> nettare, e saranno la maggior parte di voi date le abbondanti distese di<br />

fiori; <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, ma non meno importanti, le api fattor<strong>in</strong>e, che consegneranno come al solito nei d<strong>in</strong>torni del v<strong>il</strong>laggio di Honeyv<strong>il</strong>le ma<br />

anche nella lontana città. Le nuove arrivate saranno affiancate da un’ape esperta nelle prime settimane, detto questo auguro buon<br />

lavoro a tutte!”. L’Ape Reg<strong>in</strong>a, f<strong>in</strong>ito <strong>il</strong> discorso scese dal trono e si avvic<strong>in</strong>ò alla bacheca dove erano esposti i nomi ed i ruoli assegnati<br />

alle nuove arrivate. Notò tra tutte che Agata aveva un’aria un po’ pensierosa e capì subito <strong>il</strong> perché. L’ape esperta, segnata accanto al<br />

nome di sua figlia, era proprio Elide. “Non devi essere preoccupata” – disse la Reg<strong>in</strong>a avvic<strong>in</strong>andosi ad Agata per rassicurarla – “Lo sai<br />

che Elide è bravissima e tua figlia Gaia è <strong>in</strong> gamba, è stata promossa con voti altissimi e nel consiglio scolastico le <strong>in</strong>segnanti mi hanno<br />

parlato molto bene della piccola e della sua capacità di apprendere <strong>in</strong> fretta. Vedrai che <strong>in</strong> pochissime settimane diverrà un’ape fattor<strong>in</strong>a<br />

eccellente!!”. Agata sospirò, e cercò di scacciare via dalla mente le preoccupazioni, confidando nel buon senso che sua figlia aveva da<br />

sempre dimostrato. Gaia d’altro canto era emozionantissima di <strong>in</strong>traprendere questo nuovo lavoro, aveva sempre desiderato volare<br />

lontano ed ora,che f<strong>in</strong>almente stava per farlo, poteva realizzare anche un altro suo grande sogno: vedere la città. Nei giorni successivi<br />

l’alveare divenne affollatissimo, c’era un gran viavai, ma allo stesso tempo tutto veniva svolto con estremo ord<strong>in</strong>e ed organizzazione.<br />

Le api si svegliavano presto per la raccolta del poll<strong>in</strong>e, e nonostante la paura della concorrenza (che era sempre alle porte), le api post<strong>in</strong>e<br />

consegnavano puntualmente le richieste di miele, <strong>il</strong> che significava quanto le cose andassero bene! I barattoli vuoti venivano riempiti<br />

<strong>in</strong> fretta e con estrema collaborazione venivano confezionati a gran velocità, pronti per essere chiusi e consegnati. L’attività <strong>in</strong>somma<br />

era veramente frenetica e nell’alveare si respirava un’aria di entusiasmo e positività, oltre che naturalmente un dolce profumo di miele!!<br />

Anche Gaia stava apprendendo molto <strong>in</strong> fretta, i suoi primi voli naturalmente erano di brevi distanze, ma le sue qualità erano emerse<br />

da subito ed Elide sapeva che a breve la piccola fattor<strong>in</strong>a non avrebbe più avuto bisogno di lei. Un giorno però accadde qualcosa .<br />

Elide: “ Buongiorno Gaia! Stamatt<strong>in</strong>a dobbiamo fare una consegna urgente <strong>in</strong> città, te la senti di volare un po’ più a lungo oggi? Gli<br />

occhi di Gaia si accesero improvvisamente di una luce che lasciava trasparire quanto entusiasmo ci fosse <strong>in</strong> quella semplice richiesta e,<br />

armando la sua bocca di un meraviglioso sorriso gridò: “Non vedevo L’ora!!!” – Le due api fattor<strong>in</strong>e uscirono così dall’alveare,<br />

imbracciando ciascuna due grossi barattoli di miele, si misero i guanti e Gaia si allacciò stretto stretto <strong>il</strong> suo caschetto. Era una splendida<br />

giornata, <strong>il</strong> sole <strong>in</strong>iziava a scaldare l’aria; Elide e Gaia stavano godendosi l’armonia di quel paesaggio <strong>in</strong>cantevole e quando sorvolarono<br />

le immense distese di fiori, salutarono le loro compagne operaie che erano già a lavoro. Era trascorsa qualche ora da che erano <strong>in</strong> viaggio<br />

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- “Come va Gaia? Sei stanca?” – disse Elide quando ormai mancava poco per arrivare – “mai stata meglio, davvero! E poi <strong>il</strong> pensiero<br />

di vedere la città è un toccasana, anche per la stanchezza!”. Sorrisero entrambe e nel frattempo, davanti a loro, <strong>in</strong>iziarono a spuntare<br />

i tetti delle prime case. Era una vista talmente nuova e talmente grande che Gaia rimase un po’ <strong>in</strong>dietro, quasi lo stupore le avesse fatto<br />

dimenticare di battere le ali! “Dai che siamo arrivate!!E’ quel negozio con le tende verdi” – <strong>in</strong>dicò Elide facendo segno di girare – “<br />

Lasciamo <strong>il</strong> miele, ci riposiamo un po’ e poi ripartiamo, che ne dici?” “Perfetto!” rispose Gaia – “ma prima mangiamo qualcosa che<br />

ho una fame terrib<strong>il</strong>e!!!” Le due si sedettero su di un balcone fiorito, divorarono <strong>in</strong> pochissimi m<strong>in</strong>uti <strong>il</strong> loro pranzo ed Elide parlò per<br />

diverso tempo di tutto ciò che sapeva sulla città, raccontò delle sue esperienze e rispose alle tante domande che Gaia le faceva, saziando<br />

così, unitamente alla fame, anche la sua vivace curiosità. Dopo essersi riposate, decisero di ripartire. Nonostante <strong>il</strong> sole fosse sceso, esso<br />

riusciva ancora ad <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>are <strong>il</strong> cielo e le due fattor<strong>in</strong>e sarebbero rientrate all’alveare sicuramente prima del tramonto. Gaia seguiva<br />

Elide con grande ammirazione, pensava ancora a tutte le cose che le aveva raccontato e già fantasticava sui numerosi viaggi che<br />

l’avrebbero attesa negli anni a venire. Ad un certo punto Gaia si accorse che Elide <strong>in</strong>iziava a rallentare, si guardava cont<strong>in</strong>uamente<br />

<strong>in</strong>torno, quasi come fosse disorientata, girava prima a destra e immediatamente dopo a s<strong>in</strong>istra, formando ripetuti zig-zag. Gaia<br />

all’<strong>in</strong>izio non riusciva a starle dietro e s<strong>in</strong>ceramente non capiva cosa stesse accadendo alla sua guida, poi però, all’improvviso, si ricordò<br />

di ciò che le aveva detto sua madre. Si ricordò dell’<strong>in</strong>cidente di cui era stata vittima Elide e dei suoi improvvisi vuoti di memoria. La<br />

piccola fattor<strong>in</strong>a era spaventata. Quella era forse la prima volta che provava veramente paura, paura di non riuscire a trovare la strada,<br />

paura del buio e paura di non poter più tornare a casa. D’altronde, per lei quel percorso era del tutto nuovo, non poteva certo orientarsi<br />

alla perfezione ed oltretutto, si sentì <strong>in</strong>capace di non saper fronteggiare quell’imprevisto, e si tormentava, pensando alla preoccupazione<br />

che poteva dare a sua madre e a tutte le sue compagne operaie. “Elide ci siamo perse?” – timidamente e con voce tremante disse Gaia.<br />

“Allora…dunque..adesso dovrei girare <strong>qui</strong>, poi là..no no tran<strong>qui</strong>lla Gaia ci sono quasi, non preoccuparti! Ci metteremo un po’ più del<br />

previsto, ma troveremo la strada. Fidati!!!” – rispose con fare sicura Elide. Nel frattempo, nell’alveare <strong>in</strong>iziava ad aleggiare una certa<br />

aria di preoccupazione, <strong>il</strong> sole era ormai calato da un pezzo e tutte le operaie erano rientrate, ma all’appello mancavano due fattor<strong>in</strong>e.<br />

L’Ape Reg<strong>in</strong>a andò subito da Agata, che stava cont<strong>in</strong>uamente affacciata alla sua celletta, con la speranza di poter vedere la sua piccol<strong>in</strong>a<br />

che rientrava. “Su Agata” – fece l’Ape Reg<strong>in</strong>a –“non piangere, vedrai che torneranno, un po’ tardi si, ma torneranno” –sorrise timidamente<br />

la Reg<strong>in</strong>a, cercando di sdrammatizzare. Poi riprese – “ Sai che Elide a volte porta un po’ di ritardo, ma alla f<strong>in</strong>e è sempre riuscita a<br />

trovare la strada”. “Si lo so” – rispose Agata cercando di trattenere le lacrime – “però Gaia è ancora piccola <strong>in</strong> fondo, e questo era <strong>il</strong> suo<br />

primo viaggio così lungo”- s<strong>in</strong>ghiozzò - “le ho sempre <strong>in</strong>segnato a stare attenta alla strada e spero solo che <strong>in</strong> questo momento faccia<br />

buon uso dei miei <strong>in</strong>segnamenti”. Le api operaie si str<strong>in</strong>sero tutte <strong>in</strong>torno ad Agata, e aspettarono tristemente ed <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio cha da là<br />

fuori arrivasse anche <strong>il</strong> più piccolo rumore. Passarono diverse ore e l’attesa si faceva sempre più pesante. Alcune api non riuscirono a<br />

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esistere al sonno e si addormentarono, altre, con la sicurezza che Elide e Gaia tornassero, prepararono qualcosa da mangiare e Agata<br />

era sempre fissa alla f<strong>in</strong>estra, raccolta nel suo dolore. All’improvviso un’ape si alzò di colpo perché sentì che qualcosa stava vibrando<br />

nel s<strong>il</strong>enzio. “si, si” – disse –“sento un frusciò d’ali, sempre più forte!” . In un attimo le api operaie si addossarono alle f<strong>in</strong>estrelle delle<br />

loro cellette e cercarono di scorgere qualcosa nel buio della campagna circostante. Agata, che nel frattempo aveva perso qualsiasi<br />

speranza, si precipitò di corsa fuori dall’alveare, <strong>in</strong> preda a quel fremito che solo la fede e le sorprese riescono a regalare. In lontananza<br />

Elide e Gaia si stavano avvic<strong>in</strong>ando, avevano l’aria stanca ovviamente, ma entrambe erano sane e salve. Quando raggiunsero l’alveare<br />

ci fu un’esplosione di gioia ed un applauso fragoroso accolse <strong>il</strong> rientro delle due fattor<strong>in</strong>e. Agata abbracciò immediatamente la sua<br />

piccol<strong>in</strong>a e se la str<strong>in</strong>se al petto, ancora <strong>in</strong>credula di averla vic<strong>in</strong>a.<br />

Gaia pianse di felicità, e trascorse qualche m<strong>in</strong>uto prima che riuscisse a pronunciare parola. Quando f<strong>in</strong>almente si<br />

calmò e nonostante la stanchezza, <strong>in</strong>iziò a raccontare alle altre questa spiacevole avventura. Elide era seduta vic<strong>in</strong>o<br />

a lei, si sentiva tremendamente <strong>in</strong> colpa per quello che era successo, e non f<strong>in</strong>iva mai di chiedere scusa alla piccola<br />

Gaia, ad Agata e a tutte le compagne operaie. Nessuna di loro <strong>in</strong> fondo ce l’aveva con Elide, né tanto meno le<br />

portava rancore, però le diedero un piccolo e prezioso consiglio per i viaggi futuri. “Mamma” – disse Gaia prima<br />

di andare a dormire – “mi dispiace tanto di averti fatto stare <strong>in</strong> pensiero. Però ho capito una cosa importante” “<br />

Cioè?” – rispose Agata accarezzandola . “Che non voglio fare la f<strong>in</strong>e di Elide, è terrib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> solo pensiero di non poter<br />

tornare a casa. Ogni volta che uscirò per le consegne ricorderò sempre di <strong>in</strong>dossare <strong>il</strong> mio caschetto! Promesso!”.<br />

Agata era commossa da quelle parole, perché dimostravano che Gaia aveva capito <strong>il</strong> senso di ciò che era<br />

successo ed era diventata un’ape <strong>in</strong> gamba e responsab<strong>il</strong>e. “sei una bravissima ape operaia” – le disse<br />

Agata sottovoce prima della buonanotte. Quella sera Gaia si addormentò all’istante, stremata dalla fatica<br />

e dormì serenamente, sicura di trovarsi a casa. L’<strong>in</strong>domani si svegliò piena di energia, ciò che le era<br />

successo <strong>il</strong> giorno prima non aveva cambiato affatto l’amore per <strong>il</strong> suo lavoro. In quanto ad Elide fece<br />

tesoro del consiglio delle sue compagne e non uscì più una sola volta a consegnare <strong>il</strong> miele senza <strong>il</strong> suo<br />

<strong>in</strong>separab<strong>il</strong>e navigatore! Gaia guardò <strong>il</strong> cielo, mise <strong>il</strong> caschetto, prese <strong>il</strong> miele e volò via lontano, piena di<br />

vita e di entusiasmo per <strong>il</strong> suo nuovo viaggio.<br />

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Rub<strong>in</strong>a e la festa di Primavera.<br />

di Eliana Bassetti<br />

C’era una volta, al limitare del bosco, una casetta dai m<strong>il</strong>le colori: tetto rosa, mura blu, f<strong>in</strong>estre arancioni, porte gialle… <strong>in</strong>somma era<br />

una casetta che metteva tanta allegria… Questa gioiosa casetta era abitata da una bimba di nome Rub<strong>in</strong>a, dalla sua mamma Ametista<br />

e dalla nonna Agata.<br />

Rub<strong>in</strong>a era una bamb<strong>in</strong>a sempre allegra. Il sorriso, che non le mancava mai, le <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ava <strong>il</strong> volto; i ridenti occhi color cioccolata,<br />

sempre curiosi di novità, assieme ai riccioli ramati che le <strong>in</strong>corniciavano la fronte, trasmettevano buonumore a chiunque la guardasse.<br />

La bimba era sempre affettuosa con la mamma e la nonna, adorava giocare con gli animaletti del bosco e con gli altri bimbi dello<br />

strano v<strong>il</strong>laggio <strong>in</strong> cui abitava. Strano sì, perché <strong>in</strong> quel v<strong>il</strong>laggio tutti lavoravano per preparare la Primavera: c’era chi si occupava di<br />

costruire piccole sveglie da <strong>in</strong>serire poi nelle tane degli animali caduti <strong>in</strong> letargo, chi provvedeva con sofisticati mezzi segreti a riscaldare<br />

l’aria, chi studiava come far restare più a lungo <strong>il</strong> sole nel cielo per rendere le giornate più lum<strong>in</strong>ose e ancora chi dosava gli <strong>in</strong>gredienti<br />

per ottenere <strong>il</strong> giusto grado di dolcezza tipico del venticello primaver<strong>il</strong>e.<br />

Ametista, la mamma di Rub<strong>in</strong>a, aveva un lavoro molto particolare: tessendo trame con f<strong>il</strong>i fatati di m<strong>il</strong>le diversi colori, creava i vestiti<br />

dei Fiori. Era un lavoro molto bello, ma anche faticoso che Ametista svolgeva con tante amiche <strong>in</strong> un casetta lontana dalla sua, proprio<br />

dall’altra parte del bosco, <strong>in</strong> quella che tutti chiamavano la Fabbrica dei Fiori. Ogni matt<strong>in</strong>a si alzava molto presto, preparava lo<br />

za<strong>in</strong>etto di Rub<strong>in</strong>a per la scuola (senza mai dimenticare di mettervi dentro una bella dose di baci per quando non si sarebbero viste) e,<br />

mangiata una deliziosa ciambella di Agata, andava <strong>in</strong>contro alla sua nuova giornata <strong>in</strong>camm<strong>in</strong>andosi nel bosco.<br />

Erano ormai anni che faceva lo stesso percorso, conosceva a memoria tutte le radici degli alberi, i massi, i cespugli, ma un giorno, chissà<br />

come, chissà perché, quasi giunta alla Fabbrica dei Fiori, <strong>in</strong>ciampò, scivolò e cadde battendo la testa su una pietra. “Presto! Presto!”<br />

gridarono gli animaletti del bosco “dobbiamo aiutarla!”. Farfalle e passerotti volarono ad avvisare Agata mentre i cerbiatti corsero<br />

a chiamare aiuto all’ospedale del v<strong>il</strong>laggio. Poco dopo arrivò anche la piccola Rub<strong>in</strong>a, accompagnata dalla maestra: Ametista giaceva<br />

sul letto bianco, con gli occhi chiusi, e non rispondeva a nessuno, neanche alla figlioletta che, <strong>in</strong>credula e spaventata, la chiamava<br />

chiedendole “mamma dormi?”. La dottoressa Perla, dopo aver visitato la donna, parlò con Agata e Rub<strong>in</strong>a e disse: “la signora ha<br />

bisogno di cure lunghe e di tanto riposo, resterà con noi f<strong>in</strong>ché non si sarà ripresa”. Il volto di Rub<strong>in</strong>a si oscurò e la piccola scoppiò <strong>in</strong><br />

lacrime abbracciando la nonna. Agata, pur sapendo che la situazione era grave, la rassicurò… la mamma si sarebbe ripresa e tutto<br />

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sarebbe tornato come prima.<br />

Rub<strong>in</strong>a, però, voleva sapere cosa era successo, perché la sua mamma stava così male. Allora la nonna fece sedere la bimba sul divanetto<br />

bianco accanto al letto della mamma e, tenendole la mano, <strong>in</strong>iziò a spiegarle: “Vedi, Rub<strong>in</strong>a, la tua mamma ha avuto un <strong>in</strong>cidente<br />

mentre andava a lavorare perché <strong>il</strong> terreno era sconnesso, proprio lì davanti all’<strong>in</strong>gresso della Fabbrica dei Fiori”. “Anche a me è successo<br />

una volta” disse Corall<strong>in</strong>a, una collega di Ametista, “sono caduta nello stesso punto ma sono stata più fortunata ed ho avuto soltanto<br />

una fasciatura alla gamba”. “Ma allora” esclamò Rub<strong>in</strong>a “perché non facciamo nulla per aggiustare questo terreno? Sì, io voglio che<br />

la mia mamma sia al sicuro quando va a lavorare!”. “Certo, hai ragione“ le rispose nonna Agata con gli occhi lucidi “sistemeremo <strong>il</strong><br />

sentiero ed oggi stesso andremo alla grande quercia secolare al centro del bosco. E’ lì, all’<strong>in</strong>terno dell’albero cavo, che sono conservate<br />

le norme e le regole del nostro v<strong>il</strong>laggio, comprese quelle che riguardano la sicurezza sui luoghi di lavoro. Le r<strong>il</strong>eggeremo, verificheremo<br />

che siano rispettate e, se necessario, ne scriveremo altre per far sì che tutti coloro che lavorano siano protetti, siano al sicuro e si sentano<br />

al sicuro!”. Rub<strong>in</strong>a, a quelle parole, si tran<strong>qui</strong>llizzò e, con lei, gli abitanti del v<strong>il</strong>laggio e gli animaletti del bosco, tutti, sentirono nel<br />

proprio cuore un misto di speranza e determ<strong>in</strong>azione.<br />

Ametista era molto amata nel v<strong>il</strong>laggio per la sua bontà e la sua simpatia, ma anche per sua competenza: solo lei era a conoscenza dei<br />

segreti per creare i meravigliosi abiti che i Fiori avrebbero <strong>in</strong>dossato a Primavera. Il mese di Febbraio, <strong>in</strong>fatti, era quasi alla f<strong>in</strong>e, dunque<br />

poco mancava alla bellissima Festa di Primavera che ogni anno si svolgeva nel v<strong>il</strong>laggio. Così, mentre Ametista era affidata alle sapienti<br />

cure della dottoressa Perla, tutti, ma proprio tutti, anche le formich<strong>in</strong>e e i castori, come <strong>in</strong> un vero gioco di squadra, si davano da fare<br />

per far sì che più nessuno si facesse male mentre era a lavoro.<br />

La casetta gialla che si trovava accanto alla grande quercia divenne un ufficio a capo del quale fu messa la saggia Topazia, esperta<br />

di leggi e di buon senso. A lei sarebbe spettata la direzione di un compito non fac<strong>il</strong>e: far rispettare le norme di sicurezza sui luoghi<br />

di lavoro. Si <strong>in</strong>iziò, dunque, una serie di controlli. Topazia e i suoi aiutanti si recarono <strong>in</strong> pasticceria e, seppur distratti dall’<strong>in</strong>vitante<br />

profumo di zucchero f<strong>il</strong>ato, cioccolato e vaniglia, com<strong>in</strong>ciarono una vera e propria perlustrazione del locale. Subito notarono varie cose<br />

da migliorare: <strong>il</strong> pavimento, ad esempio, era molto scivoloso, proprio davanti ai fornelli. Nonna Agata, che anni addietro aveva lavorato<br />

lì, si ricordò dello scivolone che aveva preso mentre teneva tra le mani la grossa pentola con l’acqua <strong>in</strong> cui bollivano bucce di limoni,<br />

arance ed altri profumatissimi agrumi. Sì, quella volta le era andata bene perché l’acqua bollente non le era f<strong>in</strong>ita addosso, altrimenti<br />

avrebbe avuto una terrib<strong>il</strong>e scottatura ed i segni ancora sulla pelle! Per questo motivo, decisero di mettere, ben fissata al pavimento,<br />

una griglia antiscivolo: un’<strong>in</strong>iziativa di cui tutti coloro che lavoravano nella pasticceria furono molto contenti.<br />

Fu poi proprio Rub<strong>in</strong>a, elogiata dalla saggia Topazia, ad accorgersi di un’altra cosa che non andava: la nonna le aveva spiegato che <strong>in</strong><br />

quel locale c’era un’uscita di emergenza che si chiamava così proprio perché <strong>in</strong> caso di pericolo, ad esempio un <strong>in</strong>cendio, sarebbe stato<br />

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più sicuro e fac<strong>il</strong>e uscire attraverso quella porta. “Ma, nonna” disse Rub<strong>in</strong>a “come si può uscire da lì se davanti alla porta ci sono tutti<br />

quei sacchi?”. Il passaggio era, <strong>in</strong>fatti, ostruito dalle riserve di zucchero di canna e cacao amaro che servivano per preparare torte e<br />

dolc<strong>in</strong>i.<br />

Il “corteo dei contollori” si diresse poi <strong>in</strong> molti altri luoghi del v<strong>il</strong>laggio: ovunque si trovarono cose da migliorare e violazioni delle norme<br />

conservate nel tronco di quercia.<br />

Anche nella scuola frequentata dalla bimba le regole non erano del tutto rispettate: Topazia notò la mancanza di cartelli che <strong>in</strong> caso di<br />

<strong>in</strong>cendio avrebbero <strong>in</strong>dicato cosa fare e da dove scappare , <strong>in</strong>oltre un solo est<strong>in</strong>tore non sarebbe mai bastato! Anche le porte di <strong>in</strong>gresso<br />

e uscita non erano sicure; erano a dir la verità bellissime, con i colori dell’arcobaleno, molto allegre, ma <strong>in</strong>credib<strong>il</strong>mente piccole;<br />

come avrebbero fatto i bimbi ad uscire <strong>in</strong> tanti, tutti <strong>in</strong>sieme, <strong>in</strong> caso di emergenza? Topazia spiegò a Rub<strong>in</strong>a che anche lei e gli altri<br />

bamb<strong>in</strong>i dovevano essere protetti perché secondo le leggi alunni e maestre erano i “lavoratori” della scuola.<br />

Rub<strong>in</strong>a era molto contenta perché capiva che tutto ciò che stava facendo con la nonna e con Topazia , gli animaletti del bosco e gli<br />

abitanti del v<strong>il</strong>laggio avrebbe portato più benessere e sicurezza alla sua mamma, ma anche a tutti gli altri… La sicurezza sui luoghi<br />

di lavoro riguardava tutti e preservare la salute ed <strong>il</strong> benessere di uno significava proteggere tutti, sentendosi sicuri, <strong>in</strong>oltre, si poteva<br />

lavorare meglio… e anche di più! I controlli di Topazia proseguirono <strong>in</strong> tutto <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio e sarebbe troppo lungo elencarli tutti, diciamo<br />

soltanto che un grandissimo elogio venne fatto al capo della casetta blu, quella dove si lavorava per creare <strong>il</strong> giusto grado di dolcezza<br />

del venticello primaver<strong>il</strong>e… Tutti i lavoratori, che maneggiavano sostanze segrete ma un po’ pericolose, erano dotati di guanti e tute,<br />

così come previsto dalle norme conservate nella grande quercia; un clima di grande serenità si respirava <strong>in</strong> quel laboratorio!<br />

Intanto Ametista si stava riprendendo; ogni giorno, <strong>in</strong>fatti, tra un controllo e l’altro, la figlioletta la andava a trovare, la riempiva di<br />

coccole e le sussurrava all’orecchio la sua canzone preferita, quella che la mamma cantava sempre mentre era <strong>in</strong>tenta al suo lavoro: “Di<br />

primavera tenera brezza, un dolce vento che ti accarezza, un’aria dolce che fa vibrare della tua arpa le corde mute e l’entusiasmo ti sa<br />

donare per cose nuove o già vissute…”. Ametista, ormai guarita grazie alle cure della dottoressa Perla e all’affetto di Rub<strong>in</strong>a ed Agata,<br />

lasciato l’ospedale, fu accompagnata a vedere le tante novità del v<strong>il</strong>laggio: fu sorpresa, felice ed orgogliosa della sua bamb<strong>in</strong>a che aveva<br />

contribuito tanto a quella grande impresa e si complimentò con la bravissima Topazia. Anche <strong>il</strong> terreno davanti alla sua fabbrica era<br />

stato spianato e dei bei grad<strong>in</strong>i avevano preso <strong>il</strong> posto di quella brutta buca di prima; la “distratta” proprietaria, la signora Ossidiana,<br />

aveva anche dovuto provvedere a r<strong>in</strong>novare tutti i macch<strong>in</strong>ari più vecchi e pericolosi.<br />

Piena di entusiasmo, Ametista si rimise a lavoro. Era già <strong>in</strong>iziato <strong>il</strong> mese di Marzo e la festa della Primavera era ormai alle porte…<br />

con rocca e fuso, tanta fantasia e i suoi magici f<strong>il</strong>i ideava e creava meravigliosi abiti per i Fiori ma nessun particolare rivelava alla sua<br />

bamb<strong>in</strong>a per rendere ancor più bella la sorpresa…<br />

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F<strong>in</strong>almente arrivò <strong>il</strong> grande giorno: tutti gli abitanti si riunirono nel grande prato centrale, Rub<strong>in</strong>a e gli altri bimbi erano <strong>in</strong> prima f<strong>il</strong>a.<br />

Ad un tratto si levò una brezza leggera che accarezzò i riccioli ramati della bamb<strong>in</strong>a, un profumo soave ed <strong>in</strong>ebriante <strong>in</strong>iziò a spandersi<br />

nell’aria e poi un turb<strong>in</strong>io di colori apparve agli occhi <strong>in</strong>creduli di Rub<strong>in</strong>a e di tutti gli abitanti. Non si può spiegare a parole ciò che<br />

videro. Era un <strong>in</strong>canto, dovunque meravigliosi Fiori…<br />

Elegantissime Rose rosse al braccio di nob<strong>il</strong>i candidi Gigli aprirono la sf<strong>il</strong>ata, Violette, Ciclam<strong>in</strong>i e Margherite danzavano allegri e<br />

numerosi coi loro abit<strong>in</strong>i colorati, Gerbere arancioni e Peonie rosa antico si muovevano a passi di valzer mentre i Glic<strong>in</strong>i con bellissimi<br />

mantelli l<strong>il</strong>la si <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>avano vanitosi a raccogliere gli applausi…. Poi, d’improvviso, una leggera pioggia di chicchi gialli <strong>in</strong>iziò a cadere<br />

dal cielo; coi loro vestit<strong>in</strong>i spiritosi dal tessuto <strong>in</strong>confondib<strong>il</strong>e, erano le Mimose, le preferite di Rub<strong>in</strong>a: la bimba le adorava per quel<br />

profumo così particolare, <strong>in</strong> grado di portare dolcezza, entusiasmo e buonumore anche nel cuore più grigio e triste… Chicchi di<br />

mimosa si posarono ovunque: sul verde br<strong>il</strong>lante del prato, sui tetti colorati delle case, sui rami possenti della quercia, sui lucenti capelli<br />

ramati di Rub<strong>in</strong>a. Sembravano quasi stelle cadenti… ma <strong>il</strong> desiderio di Rub<strong>in</strong>a si era già avverato: la sua mamma, <strong>il</strong> bene più prezioso<br />

che avesse al mondo, era, sana, lì accanto a lei.<br />

Fu quella senza dubbio la più bella festa di Primavera mai organizzata nel v<strong>il</strong>laggio.<br />

Rub<strong>in</strong>a, Ametista e Agata rimasero a lungo abbracciate sotto lo sguardo commosso di Topazia e degli altri abitanti.<br />

E tutti vissero felici, sicuri e contenti.<br />

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Deliziosa Di<strong>scarica</strong><br />

Una fiaba estremamente contemporanea<br />

di Patrizia Bessi<br />

C’era una volta una bella biblioteca, Sunesis, posta nel centro della grande città di Glossa. Credo proprio che tutti voi, cari bamb<strong>in</strong>i,<br />

sappiate bene cosa <strong>in</strong>tendo quando parlo di “biblioteca”. Sapete? Quel luogo comune dove vanno di tanto <strong>in</strong> tanto le persone che<br />

amano la conoscenza e la lettura dei libri. La nostra Sunesis era stata progettata da sole donne e per la verità era veramente bell<strong>in</strong>a,<br />

modernissima, una vera digitbookmultimediale. Nuovissimi computer erano disposti su sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>lanti consolle a disposizione del pubblico,<br />

bellissimi f<strong>il</strong>m, CD musicali, e-book, tutto materiale, che oltre i classici libri, i ragazzi potevano addirittura portare a casa.<br />

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Tutto <strong>il</strong> popolo di Glossa amava frequentare quel magnifico luogo; all’ultimo piano<br />

nonni e genitori portavano i loro bamb<strong>in</strong>i nello spazio- ludoteca allestito con giochi<br />

e libri per i più piccoli. Dalla ludoteca si accedeva ad una meravigliosa terrazza,<br />

affacciata sui tetti di antichi e prestigiosi palazzi; da lassù si provava una sensazione<br />

<strong>in</strong>credib<strong>il</strong>e, sembrava di poter toccare con mano la bella palla d’oro zecch<strong>in</strong>o posta<br />

sulla cima della cupola del Duomo della città di Glossa.<br />

Tutta la terrazza era piena zeppa di tavol<strong>in</strong>i su cui le persone studiavano bevendo<br />

cockta<strong>il</strong> di frutta e verdura. Insomma, cari bamb<strong>in</strong>i, avrete capito che <strong>il</strong> posto era<br />

<strong>in</strong>cantevole; un’oasi nella vita frenetica della città. Le organizzatrici della nostra<br />

Sunesis, erano donne davvero eccezionali, avevano capito subito come accontentare i<br />

ragazzi che venivano da tutto <strong>il</strong> mondo per visitare Glossa, ma naturalmente chiunque<br />

entrasse <strong>in</strong> biblioteca doveva rigorosamente rispettare determ<strong>in</strong>ate regole del vivere<br />

civ<strong>il</strong>e, cioè del vivere bene tutti <strong>in</strong>sieme senza prevaricazioni. All’entrata era<br />

posto questo cartello <strong>in</strong> bella vista<br />

REGOLE PER LA SICUREZZA DI TUTTI<br />

(Chi disturba <strong>il</strong> regolare svolgimento dei servizi della biblioteca sarà allontanato dalla struttura)<br />

1) Ut<strong>il</strong>izzare le prese elettriche della biblioteca senza <strong>in</strong>tralciare i passaggi<br />

2) Impostare la suoneria s<strong>il</strong>enziosa dei cellulari<br />

3) Vietato fumare<br />

4) Consumare cibo e bevande solo fuori dagli spazi di lettura,<br />

poi depositare tutti i rifiuti negli appositi contenitori per la raccolta differenziata<br />

5) Non sdraiarsi sul prato del chiostro<br />

6) Parcheggiare le bici e i motor<strong>in</strong>i solo negli appositi spazi<br />

7) I cani sono ammessi solo al gu<strong>in</strong>zaglio<br />

8) Parlare a bassa voce e tenere comportamenti rispettosi degli altri<br />

La biblioteca di Sunesis decl<strong>in</strong>a ogni responsab<strong>il</strong>ità per gli oggetti smarritie augura a tutti .<br />

Buona permanenza<br />

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Ora entriamo nel vivo del nostro racconto, perché quello che successe durante le vacanze natalizie a Sunesis, fu veramente memorab<strong>il</strong>e.<br />

Dovete sapere, che la biblioteca, organizzava tante belle <strong>in</strong>iziative per accontentare grandi, picc<strong>in</strong>i e <strong>in</strong> particolare le ragazze, che<br />

francamente con la fauna che girava <strong>in</strong> città, non avevano molti posti dove sentirsi più sicure. Tra le <strong>in</strong>iziative più prestigiose, tutti gli<br />

anni da un po’ di tempo a questa parte, veniva organizzata una mostra per giovani artisti i quali ut<strong>il</strong>izzavano per le loro opere d’arte<br />

tutti i materiali riciclati possib<strong>il</strong>i e immag<strong>in</strong>ab<strong>il</strong>i. Quando dico materiali riciclati, mi riferisco a tutte quelle cose che di solito si buttano<br />

via, o al massimo si mettono <strong>in</strong> cant<strong>in</strong>a o <strong>in</strong> soffitta perché non piacciono più. I nostri artisti, pensate, costruivano opere bellissime<br />

con gli scarti, tanto che riuscivano perf<strong>in</strong>o a venderle. Si trattava di un vero e proprio riconoscimento al rifiuto e al riciclo. > Come diceva la signora Guendal<strong>in</strong>a, l’organizzatrice pr<strong>in</strong>cipale della manifestazione.<br />

Natale si avvic<strong>in</strong>ava, e tra tutti i preparativi, le nostre bibliotecarie, pensarono bene di allestire anche DELIZIOSA DISCARICA, la mostra<br />

di cui vi ho appena parlato. Chiamare tutti gli artisti e ricordare loro le regole della mostra, fu un gioco da ragazzi per le brave signore;<br />

<strong>in</strong> fretta da tutto <strong>il</strong> paese arrivarono giovani pittori, scultori, architetti e design di oggetti e moda con le loro meraviglie pronte per essere<br />

esposte alla mostra DELIZIOSA DISCARICA, <strong>in</strong> realtà la mostra, consisteva <strong>in</strong> una vera e propria gara alla v<strong>in</strong>cita del famoso primo<br />

premio: un meraviglioso viaggio<br />

nel cuore dell’Africa nera.<br />

Ogni artista collocò la sua opera <strong>in</strong><br />

bella mostra nel cort<strong>il</strong>e di Sunesis:<br />

ad esempio, ventole, radiatori<br />

caffettiere, lamiere, erano state<br />

trasformate dall’architetto Rubirosa<br />

che presentò la sua lampada.<br />

La st<strong>il</strong>ista Luisa Greco, creò per<br />

l’occasione un bellissimo abito da<br />

sera st<strong>il</strong>e romanticismo con ampia<br />

gonna a doppia ruota, realizzato<br />

con sacchi per l’immondizia.<br />

102


Che dire della fantastica sedia del design Leonard Ball? Pensate<br />

che era realizzata sopra un paio di sci.<br />

Nell’angolo, sulla destra, la scultrice Giusepp<strong>in</strong>a Sparta, aveva<br />

esposto una tenerissima pecor<strong>in</strong>a realizzata con tanti fogli di<br />

carta bianca appallottolati.<br />

103<br />

In fondo al cort<strong>il</strong>e, Samantha Rend aveva appoggiato<br />

su di un piccolo tavol<strong>in</strong>o la sua collezione di gioielli,<br />

realizzata con fiocchi di scarto e bottoni,


Appena si entrava, su due manich<strong>in</strong>i erano esposte le<br />

sculture di Elisabetta Biondi, l’<strong>in</strong>ventrice delle<br />

parrucche floreali, create con i fiori ormai appassiti.<br />

e accanto troneggiava<br />

appeso, l’enorme quadro<br />

della celebre pittrice Luis<strong>in</strong>a<br />

del Mond, realizzato<br />

<strong>in</strong>teramente con splendidi<br />

bottoni di tutte le fogge.<br />

104


Su è giù per <strong>il</strong> chiostro girava freneticamente un piccolo<br />

robott<strong>in</strong>o canoro, Lulli, costruito con scarti di metallo e<br />

vecchi meccanismi che <strong>il</strong> giovane <strong>in</strong>geniere Prioreschi aveva<br />

assemblato <strong>in</strong> modo fantastico, così Lulli <strong>in</strong>cantava tutti<br />

gorgheggiando con voce metallica<br />

><br />

Insomma cari bamb<strong>in</strong>i, avrete capito che DELIZIOSA<br />

DISCARICA era proprio una magnifica <strong>in</strong>iziativa, e così un bel<br />

giorno, quando sembrava tutto pronto per l’<strong>in</strong>augurazione con<br />

<strong>il</strong> pubblico, alla signora Guendal<strong>in</strong>a venne un’idea geniale.<br />

pensò la signora Guendal<strong>in</strong>a<br />

<br />

105


Qualche anno fa, <strong>in</strong> pieno furore creativo, Gian Paul costruì un cent<strong>in</strong>aio di scarafaggi <strong>in</strong> gomma nera, ed <strong>in</strong>vase letteralmente le scale<br />

che portavano al sem<strong>in</strong>terrato della sua galleria di Glossa. Eh sì cari bamb<strong>in</strong>i, la signora non ci pensò su due volte, estrasse <strong>il</strong> cellulare<br />

dalla borsetta e chiamò Merufion <strong>in</strong> un balletto. Del resto a Gian Paul non parve <strong>il</strong> vero di esporre una sua opera a Sunesis, magari<br />

qualche ricco americano l’avrebbe potuta anche comprarla. In fretta e furia i due si trovarono d’accordo e <strong>in</strong> un batter baleno un grande<br />

camion arrivò a Sunesis per <strong>scarica</strong>re una bellissima e gigantesca scultura: “l’uomo volante”.<br />

106<br />

L’uomo volante era già da anni chiuso nello studio di Merufion,<br />

e nessuno mai aveva avuto la possib<strong>il</strong>ità di vederlo, per esporlo,<br />

era necessario co<strong>in</strong>volgere un vero e proprio team di persone, era<br />

così pesante che necessitava di cavi di acciaio per stare sospeso<br />

dal soffitto <strong>in</strong> aria. Inoltre, mai Gian Paul aveva trovato un posto<br />

così grande e importante per allestire la sua opera Per la verità,<br />

io che ora vi posso confessare, sono la dott.ssa Commoni, una<br />

delle organizzatrici di Sunesis, ero un po’ preoccupata all’idea che<br />

quella gigantesca scultura stesse sospesa nel cort<strong>il</strong>e della biblioteca,<br />

sopra le teste di migliaia di persone che avrebbero visitato la<br />

mostra. Il Natale <strong>in</strong>calzava, le cose da fare erano cent<strong>in</strong>aia e poi<br />

alla sicurezza era stato designato <strong>il</strong> vecchio architetto Mansueto<br />

Robiglio, un vero esperto dei DVR (documento valutazione dei<br />

rischi sui luoghi di lavoro). Tutti sappiamo che <strong>in</strong> qualsiasi azienda<br />

o luogo pubblico, ogni cosa deve essere estremamente controllata<br />

per fare <strong>in</strong> modo di evitare le tante disgrazie che succedono e noi<br />

a Sunesis, con l’architetto Robiglio che controllava tutto, stavamo veramente tran<strong>qui</strong>lli. Il giorno dell’<strong>in</strong>augurazione arrivò e quando <strong>il</strong><br />

s<strong>in</strong>daco della città di Glossa, Rusconi tagliò <strong>il</strong> fiocco che legava le tende, usate per nascondere la mostra, <strong>il</strong> pubblicò emise all’unisono<br />

un ohhhh! di meraviglia. Sul soffitto, a cielo aperto, troneggiava imperioso <strong>il</strong> gigantesco uomo volante, e sotto tutte le opere di cui vi<br />

parlavo prima, esposte, con accanto gli autori che <strong>in</strong>trattenevano la gente estremamente curiosa che aveva affollato la biblioteca per<br />

l’occasione. Il cicaleccio della folla che br<strong>in</strong>dava contenta con spumante biologico venne improvvisamente sovrastato da un terrib<strong>il</strong>e


cigolio; i tantissimi cavi di acciaio che sostenevano l’uomo volante si stavano pericolosamente spezzando. Fu un attimo <strong>in</strong> cui pensai<br />

immediatamente all’architetto Robiglio:> Gridai con tutto <strong>il</strong> fiato che mi era rimasto:> Fortunatamente la signora Guendal<strong>in</strong>a che era accanto a me, ebbe la prontezza di mettersi subito a<br />

str<strong>il</strong>lare, e come per <strong>in</strong>canto le nostre grida si moltiplicarono, via via <strong>in</strong> più persone si accorsero di quanto stava per succedere e come<br />

un tam-tam africano ci passammo l’appello di scappare <strong>il</strong> più <strong>in</strong> fretta possib<strong>il</strong>e fuori da Sunesis. Neanche qualche dec<strong>in</strong>a di secondi<br />

dopo <strong>il</strong> crollo orrib<strong>il</strong>e sul chiostro e sulle opere esposte dell’uomo volante, ammutolì tutti. Immag<strong>in</strong>atevi pure che disastro, quell’omone<br />

gigante spiaccicato sull’esposizione delle opere che si erano davvero tutte rov<strong>in</strong>ate, altro che rifiuti, ora tutto sembrava una vera e<br />

propria di<strong>scarica</strong> di immondizia, ferri, legni, vetri, tutto accartocciato e <strong>in</strong> m<strong>il</strong>le pezzi sotto <strong>il</strong> peso dell’uomo volante, che cadendo si era<br />

anche sgonfiato e ora sembrava un gigante abbattuto. Cari miei, alla f<strong>in</strong> f<strong>in</strong>e possiamo ben dire che fu un miracolo che quel giorno a<br />

Sunesis non morì nessuno, qualche persona adulta era rimasta ferita dalle schegge di materiale vario che si era frantumato a causa della<br />

caduta dell’uomo volante, ma niente di serio. Si venne poi a sapere che l’architetto Robiglio, <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e della sicurezza, era stato <strong>in</strong><br />

preda all’<strong>in</strong>fluenza e non aveva potuto fare i sopraluoghi di controllo prima dell’<strong>in</strong>augurazione; tutti credevano di essere al sicuro, ma<br />

non avevano fatto i conti con la supervisione del vero tecnico responsab<strong>il</strong>e. Vi dico solo questo per concludere:


La Scuolabus<br />

di Catia del Furia<br />

“Ti va di ascoltare una storia?”<br />

F<strong>in</strong>almente tutte le macch<strong>in</strong>e si sono fermate e gli uom<strong>in</strong>i hanno lasciato <strong>il</strong> lavoro. Nessuno sembra avermi sentito compresa la grande<br />

Gru, vic<strong>in</strong>o alla quale mi hanno parcheggiato. A me, <strong>il</strong> troppo s<strong>il</strong>enzio, non piace e la mia storia, anche se nessuno mi ascolta, la racconto<br />

lo stesso. La racconto alle stelle che stanno facendo la loro timida comparsa <strong>in</strong> questo cielo di f<strong>in</strong>e estate.<br />

Ho fatto un lavoro bellissimo, ho accompagnato i bamb<strong>in</strong>i a scuola e sono uno splendido esemplare di femm<strong>in</strong>a a quattro ruote. È strano<br />

che lo sia <strong>in</strong> effetti perché, nel mio mestiere, sono quasi tutti maschi e anch’io avrei dovuto esserlo. L’<strong>in</strong>gegnere che mi ha progettato,<br />

tuttavia, ha commesso un errore ed eccomi qua, scuolabus femm<strong>in</strong>a per difetto di fabbrica.<br />

Gli uom<strong>in</strong>i, nei confronti dei quali ho prestato servizio, ignorano questo particolare; del resto gli uom<strong>in</strong>i ragionano solo per categorie e<br />

articoli. La vettura è femm<strong>in</strong>a, come la moto. Lo scuolabus è maschio come lo spazzaneve. Se solo sapessero quante eccezioni stanno<br />

dietro questa regola, arrossirebbero della propria ignoranza.<br />

Ho vestito un fiammante abito giallo che negli ultimi anni era un po’ meno br<strong>il</strong>lante a causa della rugg<strong>in</strong>e che sul cofano, un tempo<br />

liscio come un tappeto da b<strong>il</strong>iardo, si era <strong>in</strong>sidiata <strong>in</strong> macchie irregolari. Ho considerato quelle macchie come segni del tempo, come le<br />

rughe cioè, che solcano <strong>in</strong> piccoli ricami <strong>il</strong> viso di Betta, la storica accompagnatrice. Betta è <strong>in</strong>vecchiata con me <strong>in</strong> tanti viaggi di onorato<br />

mestiere fatti per loro, i signori bamb<strong>in</strong>i.<br />

Ho prestato servizio tutte le matt<strong>in</strong>e, dal lunedì al sabato con una corsa per l’andata e una per <strong>il</strong> ritorno. Mi sono <strong>in</strong>erpicata <strong>in</strong> strade<br />

tortuose e pers<strong>in</strong>o <strong>in</strong> sentieri divertendomi a giocare con la neve, apprezzando <strong>il</strong> sole di primavera e litigando con <strong>il</strong> ghiaccio. Conosco<br />

bene le strade con le quali a poco a poco sono diventata amica e nei confronti delle quali nutro rispetto. Ho diciotto posti a sedere<br />

per i bamb<strong>in</strong>i, più uno, speciale, per Betta e uno per l’autista, un ragazzo che ha sostituito Nello lasciando un po’ d’amaro nel mio<br />

carburatore.<br />

Nello, <strong>il</strong> vecchio autista, mi adorava. Eravamo una coppia speciale: mai un problema, una lite. Nello lavorava come spazz<strong>in</strong>o quando la<br />

Pro-Loco del Comune mi ha ac<strong>qui</strong>stato. Quanta strada abbiamo fatto <strong>in</strong>sieme e che avventure! Poi, un giorno, Nello non è più venuto.<br />

Lo spazzaneve mi ha detto che Nello era risultato positivo ad un controllo. “Ma se era positivo” ho chiesto “Perché se n’è andato?” Ha<br />

riso di me quel ciccione presuntuoso sputa fumo senza aggiungere altro.<br />

108


Io questa storia non l’ho capita ma, di fatto, da allora, Nello non c’è più e ha com<strong>in</strong>ciato a guidarmi Fabio che non sarà positivo ma<br />

è tanto antipatico. Mai una volta che Fabio mi abbia controllato l’olio, <strong>il</strong> li<strong>qui</strong>do dei freni o semplicemente la tappezzeria. Guida, senza<br />

curarsi del resto, e questo non va bene. Sono pur sempre una signora, <strong>in</strong> età avanzata d’accordo, ma una signora! E meno male Betta<br />

<strong>in</strong> tutti questi anni si è presa cura di me: pulendo i sed<strong>il</strong>i, aprendo i f<strong>in</strong>estr<strong>in</strong>i per dare aria all’<strong>in</strong>terno e raccogliendo le sozzure che i<br />

bamb<strong>in</strong>i lasciano per terra.<br />

Ho trascorso <strong>il</strong> mio tempo libero nella rimessa del Comune con la signora Panda e suo marito, uno scanzonato Gatto delle nevi. Che<br />

dire; fra animali si <strong>in</strong>tendono. La rimessa è un porto di mare, credo si dica così perché io vivo <strong>in</strong> montagna e <strong>il</strong> mare l’ho visto solo da<br />

lontano, per la precisione quando ho portato gli anziani dalla casa di riposo al pensionato estivo. Un porto di mare perché tanti mezzi<br />

vanno e vengono dato che la rimessa è vic<strong>in</strong>a all’offic<strong>in</strong>a.<br />

Ho molti amici e altrettanti conoscenti. Fra i primi, Angelo; un nome, una garanzia. Angelo è <strong>il</strong> mio migliore amico. È <strong>il</strong> carro attrezzi<br />

del Comune e anche se io non ho mai avuto bisogno di lui e del suo efficiente servizio, <strong>il</strong> solo sapere che c’è mi fa stare bene. Angelo è<br />

stato l’animatore delle nostre serate; per <strong>il</strong> tipo di lavoro che fa conosce un sacco di mezzi e ha sempre una nuova storia da raccontare.<br />

Ogni volta che Angelo rimaneva nella rimessa era festa grande; anche Panda <strong>in</strong> queste occasioni smetteva di lamentarsi e ascoltava<br />

rapita le avventure di Angelo.<br />

È stato proprio Angelo <strong>il</strong> primo a parlarmi di Max perché, e questo davvero non l’ho mai capito, Angelo sa tutto di tutti e sa sempre quello<br />

che accade o deve accadere. Max è un bamb<strong>in</strong>o speciale, di quelli che io non avevo mai trasportato perché non attrezzata per farlo. A<br />

me questa cosa è sembrata subito fantastica. Dei bamb<strong>in</strong>i ho raccolto umori, desideri e sogni. Max mi avrebbe consentito di raccogliere<br />

un bisogno. Angelo <strong>in</strong>vece era molto contrariato. “Non devi essere tu a preoccuparti di Max.” Mi aveva prontamente ammonito. Poi,<br />

dopo qualche giorno da quell’episodio, Angelo era tornato; sarebbe rimasto nella rimessa un po’ di tempo a causa mia. Avevo giusto<br />

appreso da Fabio - che non aveva fatto altro che lamentarsi mentre Betta cercava di calmarlo, che mi avrebbero fatto un <strong>in</strong>tervento<br />

ut<strong>il</strong>e ad accogliere Max. Io non capivo <strong>il</strong> perché di tanta agitazione. Solo Betta sembrava essere dalla mia parte; del resto è una donna<br />

come me e sa come affrontare le situazioni, anche quelle che al primo sguardo sembrano senza soluzione.<br />

Alla rimessa, nel frattempo, era arrivato un nuovo scuolabus - giovane prestante maschio a noleggio - che mi avrebbe sostituito f<strong>in</strong>tanto<br />

che non fossi stata pronta. Ho spiegato al giovane cosa lo aspettava, gli ho <strong>il</strong>lustrato le strade e gli ho presentato i bamb<strong>in</strong>i uno a uno.<br />

Tutto era pronto o almeno così sembrava. E una bella matt<strong>in</strong>a d’<strong>in</strong>verno, d’improvviso, Angelo è entrato a tutta velocità nella rimessa<br />

e mi ha detto senza convenevoli: “Domani ti accompagno <strong>in</strong> offic<strong>in</strong>a.” “E perché?” gli ho risposto seccata dal fatto che non mi avesse<br />

neppure augurato <strong>il</strong> buongiorno “Posso andare da sola.” Ha com<strong>in</strong>ciato a soffiare forte sugli ammortizzatori e a piangere lacrime di<br />

rabbia dal tergicristallo. Brutto segno. E poi ha aggiunto, gridando più del necessario “Ma allora non capisci! Ti trasformeranno!” Nella<br />

109


imessa è sceso un gelido s<strong>il</strong>enzio e tutti si sono fermati. “Faranno di te uno scuolabus sociale.” Panda a quelle parole ha com<strong>in</strong>ciato<br />

a piangere e <strong>il</strong> Gatto delle nevi ha tossito rumorosamente per nascondere <strong>il</strong> suo imbarazzo. Lo scavatore, parcheggiato nella rimessa<br />

<strong>in</strong> attesa di collaudo, è uscito di corsa. E questo mi ha dato da pensare perché lo scavatore non è famoso per preoccuparsi degli altri.<br />

“Ma <strong>in</strong> pratica questa trasformazione, <strong>in</strong> che consiste? Che significa?” Ho chiesto ad Angelo che per tutto <strong>il</strong> tempo di queste manovre<br />

era rimasto fermo e zitto. “Che ti apriranno uno sportello sul fianco e ti monteranno un sollevatore.” Se solo gli avessi chiesto qual’era<br />

<strong>il</strong> problema, conoscendolo, si sarebbe arrabbiato. E allora, <strong>in</strong> s<strong>il</strong>enzio, sono rimasta io, mentre lui ha cont<strong>in</strong>uato: “Ma ti rendi conto?”<br />

No. Io non mi rendevo conto ma se tutti erano così preoccupati, forse avrei dovuto preoccuparmi anch’io. Meno male è stato Angelo a<br />

cont<strong>in</strong>uare: “Tu non sei nata per fare questo tipo di trasporto. Non hai <strong>il</strong> corridoio sufficientemente ampio e la porta laterale è fatta su<br />

misura per te, non ne possono aprire un’altra, più grande, senza che questo ti arrechi danno. Gli uom<strong>in</strong>i progettano sulla carta secondo<br />

i loro bisogni. Ci credono semplici macch<strong>in</strong>e e non considerano che anche noi abbiamo un cuore. Quante volte hai rischiato per tutelare<br />

i tuoi bamb<strong>in</strong>i?” Non serviva che gli rispondessi. Tutti lo sanno che per prima cosa ho pensato al bene dei miei piccoli pr<strong>in</strong>cipi. “Ti<br />

ricordi quando hai aperto <strong>il</strong> tappo per far uscire <strong>il</strong> carburante e non <strong>in</strong>oltrarti nella strada che la frana aveva ridotto a sentiero? E<br />

quella volta che Nello si era addormentato alla guida e tu hai preso <strong>il</strong> comando accompagnando i bamb<strong>in</strong>i nell’aria di servizio? E potrei<br />

cont<strong>in</strong>uare.”<br />

Ma non lo ha fatto per fortuna. Angelo si è azzittito e io non riuscivo a far ord<strong>in</strong>e nella confusione che albergava nel mio cuore. “A che<br />

serve quello che mi devono fare?” Ho chiesto dopo una lunga pausa. “A portare a scuola Max.” “E allora, se è per questo, per me va<br />

bene.”<br />

Non ci ho pensato un momento e la risposta è giunta spontanea. Sono uno scuolabus e se per accompagnare a scuola un bamb<strong>in</strong>o<br />

speciale, serviva che <strong>in</strong>tervenissero su di me, io ero pronta. In barba alle chiacchiere di Angelo e alle lacrime di Panda che ora mi<br />

sussurrava: “Ribellati. Lascia che ci pens<strong>in</strong>o i mezzi del servizio sociale.”<br />

Ho passato una notte d’<strong>in</strong>ferno funestata da <strong>in</strong>cubi. Quando mi sono svegliata, lo zelante scuolabus a noleggio, faceva bella mostra di<br />

se a Fabio sp<strong>in</strong>gendo sull’acceleratore. Panda, preceduta dal marito, mi ha strizzato l’occhio con complicità per uscire dalla rimessa di<br />

gran carriera. Il tutto mentre Angelo mi agganciava borbottando: “Sei una vecchia, <strong>in</strong>guarib<strong>il</strong>e testona.”<br />

Quello che è successo <strong>in</strong> offic<strong>in</strong>a non me lo ricordo. Di sicuro mi hanno staccato la batteria e quando mi sono svegliata avevo un forte<br />

dolore al fianco destro. Angelo mi ha riaccompagnato alla rimessa, non ha detto una parola durante <strong>il</strong> viaggio di ritorno ma ha tradito<br />

un forte disappunto brontolando all’<strong>in</strong>dirizzo ora del S<strong>in</strong>daco che aveva ord<strong>in</strong>ato quell’<strong>in</strong>tervento, ora del capoffic<strong>in</strong>a che l’aveva fatto.<br />

Quando mi ha parcheggiato, prima di andarsene, mi ha f<strong>in</strong>almente sorriso. “Ti hanno tolto la rugg<strong>in</strong>e. Quelle macchie mi mancheranno.<br />

Abbi cura di te.” Rimasta sola nella rimessa ho avuto tempo di adattarmi alla mia nuova condizione di scuolabus sociale senza macchie<br />

110


di rugg<strong>in</strong>e. Poi ho aspettato Fabio per <strong>il</strong> giro di prova e <strong>il</strong> capoffic<strong>in</strong>a per <strong>il</strong> collaudo. Panda e suo marito sono stati car<strong>in</strong>i con me <strong>in</strong> quel<br />

periodo e anche lo spazzaneve, a ripensarci, era meno <strong>in</strong>disponente del solito. Panda guardava ammirata <strong>il</strong> mio cofano e cont<strong>in</strong>uava<br />

a ripetermi che, senza rugg<strong>in</strong>e, sembravo davvero una ragazz<strong>in</strong>a. A me questa cosa non importava, mi importava solo essere adatta<br />

ad accogliere Max. Dopo qualche giorno, mi hanno f<strong>in</strong>almente collaudata. Non li ho visti molto conv<strong>in</strong>ti sulla chiusura della nuova<br />

porta ma nessuno ha chiesto <strong>il</strong> mio parere. Ho anche provato a fare maggiore resistenza per sp<strong>in</strong>gerli a controllare meglio ma alla f<strong>in</strong>e<br />

hanno deciso che andava bene così anche perché <strong>in</strong>dietro non si poteva tornare. Ero <strong>in</strong><strong>qui</strong>eta. Non mi sentivo <strong>in</strong> gran forma e dovevo<br />

riprendere servizio e allora ho approfittato della notte e <strong>in</strong> sogno è riaffiorata la voce della locomotiva che mi ha portato <strong>in</strong> questo paese<br />

fresca di montaggio.<br />

“Sei <strong>il</strong> re, o meglio, la reg<strong>in</strong>a, dei mezzi di trasporto perché tu hai <strong>in</strong> mano <strong>il</strong> futuro degli uom<strong>in</strong>i di domani. Sii felice per ogni giorno<br />

che riaccompagnerai a casa i bamb<strong>in</strong>i sani e salvi. E ricorda: non fare niente, anche quando ti sembrerà giusto, di diverso da ciò per<br />

cui sei stata costruita.”<br />

Al risveglio quelle parole mi risuonavano nel vano motore. Che avrà voluto dire quella vecchia? Perché me lo ricordavo solo ora che non<br />

ero più un semplice scuolabus? Non ho avuto molto tempo per pensare a questo sogno e ai dubbi che mi <strong>in</strong>generava. Fabio, arrivato<br />

alla rimessa con un umore nero come <strong>il</strong> carbone, mi aveva già messo <strong>in</strong> moto e Betta era salita al solito posto non senza imbarazzo e<br />

agitazione. Anche i bamb<strong>in</strong>i sembravano sorpresi dalla mia trasformazione e faticavano a stare calmi. Era come se ci conoscessimo<br />

di nuovo e io, nel mio <strong>in</strong>timo, me ne rallegravo. F<strong>in</strong>almente, per ultimo, sale Max. A lui ho aperto tutta la mia nuova porta; per lui ho<br />

azionato i pistoni della piattaforma elevatrice che ha fatto molto rumore ma che gli ha consentito di prendere posto fra gli altri senza<br />

fatica. Max è salito con una sedia a due ruote con la quale ho trovato subito aff<strong>in</strong>ità. Stava andando tutto bene.<br />

La prima settimana del nuovo lavoro era passata; Max era sempre più ab<strong>il</strong>e a salire e scendere e anche Fabio sembrava r<strong>il</strong>assato.<br />

Peccato quel dolore al fianco. A volte avevo pers<strong>in</strong>o la sensazione che la porta non si chiudesse. Anche la piattaforma mi dava qualche<br />

problema ma speravo che col tempo migliorasse. Angelo, <strong>in</strong> visita alla rimessa con un fuoristrada tutto muscoli e niente batteria, mi<br />

aveva suggerito di non mettermi <strong>in</strong> moto così mi avrebbero portato <strong>in</strong> offic<strong>in</strong>a e avrebbero revisionato <strong>il</strong> montaggio. “Li conosci gli<br />

uom<strong>in</strong>i.” Mi ripeteva con tono da fratello maggiore “Non si curano di noi.” Forse aveva ragione ma io pensavo a Max e alla sua fedele<br />

sedia. Pensavo che senza di me Max avrebbe perso la scuola e allora ho tenuto duro nella speranza che prima o poi tutto quel dolore<br />

passasse. Ma mi sbagliavo.<br />

“E che è successo?”<br />

Qualcuno ha ascoltato la mia storia. Non mi <strong>in</strong>teressa sapere chi. La Gru ruota verso di me <strong>il</strong> suo gancio arrugg<strong>in</strong>ito e <strong>il</strong> rimorchio, che<br />

raccoglie <strong>il</strong> lavoro della pressa, si avvic<strong>in</strong>a di un quarto di ruota. Cont<strong>in</strong>uo <strong>il</strong> mio racconto, compiaciuta e meno sola.<br />

111


“Dopo circa due mesi dacché ho cambiato forma, quella porta, difettosa dalle orig<strong>in</strong>i e mai aggiustata, si è aperta, d’improvviso, sul<br />

secondo tornante del Pizzo Alto. La piattaforma è scesa con un tonfo sordo e ha fatto leva sull’asfalto. Io mi sono ritrovata adagiata<br />

sul fianco s<strong>in</strong>istro e li, ho f<strong>in</strong>ito la mia corsa con una bizzarra colonna sonora: quella della vecchia locomotiva che ha sferrato <strong>in</strong> aria un<br />

sib<strong>il</strong>o <strong>in</strong> tutto sim<strong>il</strong>e a un grido.”<br />

“E i bamb<strong>in</strong>i?”<br />

“Tutti salvi. Molto spaventati e con qualche escoriazione. Ma tutti salvi.”<br />

Poi, l’elegante Gru, che per ascoltarmi si è abbassata di qualche metro, mi chiede:<br />

“Perché mi hai raccontato questa storia?”<br />

“Perché domani, quando mi solleverai con <strong>il</strong> tuo gancio per mettermi nella pressa, vorrei potermi trattenere un po’ nell’aria e salutare<br />

le strade che ho percorso per tanti anni per l’ultima volta. Pensi di poterlo fare?”<br />

Aspetta un m<strong>in</strong>uto prima di rispondere:<br />

“Non è previsto dal regolamento ma credo di si. Credo proprio di si.”<br />

Con questo garbato congedo, mi da un buffetto sul cofano ormai senza rugg<strong>in</strong>e ma piuttosto malmesso, e mi augura buon riposo.<br />

Il cielo ora è trapunto di stelle e tutti i rumori del paese si sono def<strong>in</strong>itivamente spenti. I miei bamb<strong>in</strong>i a quest’ora dormono. Max domani<br />

andrà a scuola con quell’auto speciale che mi ha sostituito e <strong>il</strong> baldo scuolabus che ha preso <strong>il</strong> mio posto, starà <strong>in</strong>trattenendo Panda e<br />

marito col racconto di una mirabolante avventura.<br />

Perché i mezzi non dormono mai di notte. Quando hanno f<strong>in</strong>ito di prestare servizio per gli umani si scambiano esperienze, si tengono<br />

compagnia, si raccontano storie. Proprio come ho fatto io <strong>in</strong> questa notte dove, all’apparenza, tutto scorre lieto.<br />

E lieta, alla f<strong>in</strong>e della corsa, sono anch’io, la scuolabus, che ha fatto un lavoro bellissimo: ha accompagnato tanti bamb<strong>in</strong>i a scuola e<br />

forse, se avesse tenuto fede alla sua natura e avesse accettato i propri limiti, avrebbe potuto cont<strong>in</strong>uare a farlo.<br />

112


L’<strong>in</strong>contro di Carol<strong>in</strong>a<br />

di Monica Tusconi<br />

C’era una volta e forse c’è ancora , ai marg<strong>in</strong>i di un piccolo paese ,proprio alla f<strong>in</strong>e della strada pr<strong>in</strong>cipale che lo attraversava come un<br />

fiume grigio d’asfalto, un grande edificio di mattoni rossi ormai dismesso e cadente , protetto da un giard<strong>in</strong>o di rovi e sterpaglie che lo<br />

avvolgevano quasi ad impedirne la vista ,lo schermavano tanto che dalla strada lo si <strong>in</strong>travedeva appena. Sulla r<strong>in</strong>ghiera arrugg<strong>in</strong>ita e<br />

sgangherata penzolava un cartello,ormai logoro anch’esso , sbiadito dal passare degli anni e delle stagioni che a caratteri cubitali diceva<br />

: “Fabbrica di.. ” e poi non si riusciva più a leggere nulla. Carol<strong>in</strong>a quella domenica era <strong>in</strong>tenta a cercare un vivaio, le avevano detto<br />

che da quelle parti ce n’era uno dove certo avrebbe trovato f<strong>in</strong>almente l’albero giusto da piantare nel suo giard<strong>in</strong>o, dopo la curva<br />

rallentò appena ma tanto quanto bastò a <strong>in</strong>travedere delle grandi f<strong>in</strong>estre spalancate come gli occhi di un gatto nascosto tra i cespugli<br />

ed ebbe un brivido nel riconoscere <strong>in</strong> quel vecchio edificio qualcosa di fam<strong>il</strong>iare ,fu una sensazione di mal<strong>in</strong>conia e piacere <strong>in</strong>sieme<br />

come quando si <strong>in</strong>contra un amico e si comprende con una sola occhiata la sua evidente malattia. La ragazza aveva ormai superato la<br />

lunga r<strong>in</strong>ghiera arrugg<strong>in</strong>ita che delimitava la proprietà quando risentì nella sua testa, a chiare lettere ,la voce di sua nonna. Quando<br />

era bamb<strong>in</strong>a la nonna alle sue domande <strong>in</strong>calzanti di Carol<strong>in</strong>a sul perché non la potesse tenere <strong>in</strong> braccio sulle g<strong>in</strong>occhia, aveva sempre<br />

risposto raccontandole una storia e così Carol<strong>in</strong>a si accoccolava ai suoi piedi mentre la nonna ,accarezzandole la testa riccioluta poggiata<br />

sul suo grembo ,<strong>in</strong>iziava <strong>il</strong> suo racconto, sempre nello stesso modo e sempre preceduto da una specie di f<strong>il</strong>astrocca:<br />

“ Lavorare è una benedizione per un uomo una donna e <strong>in</strong> ogni nazione, ma per poter lavorare <strong>il</strong> cuore tran<strong>qui</strong>llo devi avere, lavorare<br />

non è un avventura , non si lavora con la paura..”<br />

Da grande Carol<strong>in</strong>a aveva capito che quello che a lei da bamb<strong>in</strong>a era parsa una f<strong>il</strong>astrocca <strong>in</strong> realtà era stato una specie di “slogan” di<br />

protesta dopo la sciagura della fabbrica dove aveva lavorato la nonna . Così la def<strong>in</strong>iva suo padre , “la sciagura” e poi aggiungeva: “<br />

Tua nonna è stata una miracolata ad aver lasciato solo una gamba <strong>in</strong> quell’<strong>in</strong>ferno, una vera miracolata….” Ecco, ne era sicura ,la<br />

fabbrica dei racconti della nonna e della sciagura alla quale si riferiva suo padre doveva essere proprio quella che lei aveva appena<br />

<strong>in</strong>travisto, le l<strong>in</strong>gue di fuoco uscite dalle f<strong>in</strong>estre che avevano annerito la facciata disegnando strani arabeschi neri sui mattoni rossi<br />

erano esattamente le stesse che aveva visto nelle fotografie tenute <strong>in</strong>sieme da un elastico che la nonna custodiva nel cassetto della<br />

113


credenza. Carol<strong>in</strong>a fece retromarcia e tornò <strong>in</strong>dietro ,restò per un po’ davanti al cancello che pareva chiuso ma appena lo toccò bastò<br />

una leggera pressione per farlo spalancare scricchiolando lamentosamente. Carol<strong>in</strong>a varcò la soglia senza pensarci e percorse <strong>il</strong> viale ,<br />

non voleva certo entrare nel grande edificio , sapeva bene che non ci si deve avventurare <strong>in</strong> posti del genere, nemmeno se la curiosità ti<br />

implora di fare <strong>il</strong> contrario, è davvero troppo pericoloso . Si bloccò davanti alla lunga f<strong>il</strong>a di f<strong>in</strong>estre con i vetri f<strong>il</strong>ati quasi fossero stati<br />

percorsi da m<strong>il</strong>le ragnatele <strong>in</strong> tutte le direzioni, poi rimase immob<strong>il</strong>e per un tempo <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito davanti al portone, quell’unico portone<br />

che era stata la sola via di fuga per chi aveva cercato di uscire di lì <strong>in</strong> quel terrib<strong>il</strong>e giorno . Per un attimo le parve di sentire voci e grida<br />

venire fuori a tratti dagli squarci delle assi di legno, voci portate dagli spifferi di vento ancora imprigionate. Spostando lo sguardo d’un<br />

tratto <strong>in</strong>contrò l’albero, un albero alto e fiero , con i rami allungati verso l’edificio, protesi f<strong>in</strong>o ad entrarci dentro , ma sì era senz’altro<br />

lui ,quello del quale parlava la nonna e che aveva salvato lei e molte sue colleghe dal rogo della fabbrica. Uno dei macch<strong>in</strong>ari non<br />

revisionato si era <strong>in</strong>ceppato e <strong>in</strong> qualche modo era partita la sc<strong>in</strong>t<strong>il</strong>la che aveva fatto divampare l’<strong>in</strong>cendio,<strong>in</strong> tanti ,sopratutto tante<br />

donne ,erano morti <strong>in</strong> quel rogo. La sua nonna era riuscita a scappare, anche se ferita gravemente ad una gamba , si era salvata<br />

scendendo giù attraverso i rami di quell’albero che ancora ne mostrava i segni . L’albero, proprio come la nonna,aveva sacrificato<br />

parte di sé ma era ancora vivo e adesso era divenuto tutt’uno con <strong>il</strong> grande edificio di mattoni, parevano sostenersi a vicenda <strong>in</strong> una<br />

specie di abbraccio consolatorio. La storia che raccontava la nonna era la storia di questo terrib<strong>il</strong>e evento ma pur essendo una storia<br />

tristissima lei gliel’ aveva sempre raccontata come una favola dalla quale trarre un <strong>in</strong>segnamento. Carol<strong>in</strong>a tornò sui suoi passi,diede<br />

un’ultima occhiata all’edificio di mattoni rossi e al vecchio albero pensando che loro avevano compreso davvero la lezione, ognuno<br />

nella vita deve fare la sua parte ma si ha sempre bisogno gli uni degli altri. Ora sapeva quale albero avrebbe piantato nel suo giard<strong>in</strong>o<br />

e sapeva anche che quella sera si sarebbe accoccolata ai piedi della nonna e le avrebbe chiesto ancora una volta di raccontarle quella<br />

favola che purtroppo non f<strong>in</strong>iva con un rassicurante : “..e vissero tutti felici e contenti ” ma f<strong>in</strong>iva esattamente così come era <strong>in</strong>iziata:<br />

“ Lavorare è una benedizione per un uomo una donna e <strong>in</strong> ogni nazione, ma per poter lavorare <strong>il</strong> cuore tran<strong>qui</strong>llo devi avere, lavorare<br />

non è un avventura , non si lavora con la paura..”<br />

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Meglio metterci una foglia <strong>in</strong> più<br />

testo Lisa Mazzieri, <strong>il</strong>lustrazioni Chiara Pasqualotto<br />

Meglio metterci una foglia <strong>in</strong> più testo Lisa Mazzieri <strong>il</strong>lustrazioni Chiara Pasqualotto In una piccola valle, tra le montagne, c’è<br />

uno stagno chiamato “Stagno Azzurro” per <strong>il</strong> colore br<strong>il</strong>lante che le sue acque prendono all’alba. Sulle rive dello stagno vive una<br />

comunità di rane. Dall’<strong>in</strong>izio della primavera f<strong>in</strong>o all’arrivo dei primi freddi autunnali, le rane abitano <strong>in</strong> piccole capanne costruite fra<br />

gli arbusti. Poi, con l’arrivo dell’autunno, si rifugiano tutte sotto terra. Già dalla f<strong>in</strong>e dell’estate, le ranocchie com<strong>in</strong>ciano a darsi un gran<br />

da fare per costruire i loro ripari <strong>in</strong>vernali: scavano delle piccole stanze nel terreno molle, r<strong>in</strong>forzano le pareti con ramoscelli impastati<br />

e fango e ricoprono <strong>il</strong> tutto di nuovo con canne di bambù legate fra loro.<br />

Diana è nata alla f<strong>in</strong>e dell’estate. È ancora troppo<br />

piccola per aiutare le altre quando <strong>in</strong>iziano a<br />

costruire i ripari per l’<strong>in</strong>verno.<br />

“A primavera” si dice “sarò grande e forte e potrò<br />

costruire <strong>il</strong> nuovo v<strong>il</strong>laggio anche io”.<br />

Le piace guardare le sue compagne passarsi<br />

ramoscelli e foglie, impastare <strong>il</strong> fango e saltellare<br />

qua e là a tappare buchi e r<strong>in</strong>forzare pareti, ma<br />

più di tutto la affasc<strong>in</strong>a <strong>il</strong> trasporto delle canne di<br />

bambù e, nelle lunghe serate <strong>in</strong>vernali, quando le<br />

ranocchiette si radunano tutte <strong>in</strong>torno al cam<strong>in</strong>o<br />

e le nonne <strong>in</strong>iziano a raccontare, è sempre la più<br />

curiosa e quella che fa più domande.<br />

«Nonna S<strong>il</strong>vana?» «Sì cara, dimmi.»<br />

«Nonna, nonna, raccontaci ancora delle zattere e<br />

dei bambù!»<br />

E così la nonna <strong>in</strong>izia a raccontare di come, tanti<br />

anni prima, le rane dovessero compiere lunghe<br />

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spedizioni alla ricerca di canne e altri arbusti prima di <strong>in</strong>iziare a costruire i piccoli rifugi per l’<strong>in</strong>verno. Poi un giorno, Pall<strong>in</strong>a, la rana<br />

esploratrice della comunità, durante un viaggio sulla sua zattera vede, <strong>in</strong> lontananza, una distesa di canne di bambù e papiri grande<br />

come non ne ha mai viste. “Che bello” si dice “da ora <strong>in</strong> poi non ci sarà bisogno di fare lunghi viaggi alla ricerca di arbusti e fronde,<br />

potremmo venire direttamente <strong>qui</strong> ogni volta che ci serviranno e risparmieremo tanto tempo!” «Mah…»<br />

A questo punto del racconto la nonna si ferma sempre e si avvic<strong>in</strong>ava alle ranocchiette che la fissano <strong>in</strong>curiosite.<br />

«Ma c’è un grande pericolo!» prosegue qualcuna, spesso Diana.<br />

Infatti, dall’altra parte del lago, proprio sul tragitto che le rane devono percorrere una volta prese le canne per ritornare nella loro<br />

comunità, ci sono dei mul<strong>in</strong>elli. Degli enormi vortici che risucchiano sott’acqua tutto ciò che si avvic<strong>in</strong>a e che, per complicare la<br />

situazione, non si trovano sempre nello stesso punto, ma si spostano leggermente ogni volta.<br />

«E <strong>qui</strong>ndi avete <strong>in</strong>ventato le zattere?» chiede Diana. «<br />

Sì» risponde la nonna e prosegue <strong>il</strong> suo racconto. Per schivare <strong>il</strong> pericolo, le rane hanno <strong>in</strong>ventato un sistema. Innanzitutto costruiscono<br />

delle zattere fatte di foglie di n<strong>in</strong>fee <strong>in</strong>trecciate tra loro con le quali trasporteranno i bambù. Poi, con una cordicella, legano le zattere tra<br />

di loro creando una carovana di almeno c<strong>in</strong>que o sei zattere. Inf<strong>in</strong>e, costruiscono una piccola zattera molto leggera e la legano davanti<br />

a tutte le altre. Le zattere robuste e cariche di canne di bambù procedono unite dalla corda e molto vic<strong>in</strong>e, <strong>in</strong>vece, la piccola zattera<br />

vuota va avanti più distanziata dalle altre.<br />

«E perché?» chiede a questo punto qualche ranocchia.<br />

«Perché così se la zattera leggera si avvic<strong>in</strong>a a qualche mul<strong>in</strong>ello» risponde nonna S<strong>il</strong>vana «nessuna di noi è <strong>in</strong> pericolo perché la zattera<br />

è vuota, ma tutte, tirando <strong>in</strong>sieme, possono riportarla <strong>in</strong>dietro.»<br />

«E così via f<strong>in</strong>o a che non si torna tutte a casa sane e salve, vero?» chiede Diana.<br />

«Bravissima cara, è proprio così. Si procede sempre mandando avanti la zatter<strong>in</strong>a leggera e con cautela e si provano diverse strade f<strong>in</strong>o<br />

a trovare quella sicura, dove non ci sono mul<strong>in</strong>elli.»<br />

«Non vedo l’ora che arrivi la primavera per costruire la mia zattera anche io» dice Diana tra uno sbadiglio e l’altro. «Certo certo,<br />

cara, quest’anno sarai grande abbastanza per costruire la tua zattera e andare con le altre, ma ora su, a letto che è già tanto tardi.»<br />

Diana va sempre a dormire di mal<strong>in</strong>cuore ma poi, appena sotto le coperte com<strong>in</strong>cia a pensare come sarà bello a primavera costruire la<br />

sua zattera e andare con le altre e così si addormenta sorridente, notte dopo notte.<br />

Quest’anno l’<strong>in</strong>verno è stato molto freddo, la neve ha ghiacciato la superficie dello stagno e <strong>il</strong> vento ha spazzato via <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio delle<br />

rane. F<strong>in</strong>almente, una matt<strong>in</strong>a, la neve <strong>in</strong>izia a sciogliersi liberando le piccole gemme frettolose di schiudersi sui rami degli alberi. E<br />

così, anche le ranocchie <strong>in</strong>iziano pian pian<strong>in</strong>o a risvegliarsi.<br />

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Le prime ad aprire gli occhi sono, come sempre, Imola e S<strong>il</strong>vana, le nonne-ranocchie della comunità. Fanno <strong>il</strong> giro nelle piccole stanze<br />

sotterranee dove dormono le altre per controllare che tutto sia <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e. Alle più piccol<strong>in</strong>e rimboccano le coperte di petali di n<strong>in</strong>fee<br />

mentre le più grandi poco a poco già si stiracchiano. Il sole f<strong>il</strong>tra attraverso le fessure delle canne che le rane hanno usato per costruirsi <strong>il</strong><br />

riparo <strong>in</strong>vernale, le più pigre si tirano su le coperte f<strong>in</strong>o agli occhi per non lasciarsi svegliare dal sole mentre altre già saltellano qua e là.<br />

«C’è da preparare la colazione! Su, forza, dormiglione!» gracida la rana Pall<strong>in</strong>a saltellando di letto <strong>in</strong> letto.<br />

«Forza, sveglia! Dobbiamo rimetterci <strong>in</strong> forze e ricostruire le nostre capanne!» le fa eco qualche altra.<br />

E così, tra un raggio di sole dispettoso e una coperta volata via nel trambusto, tutte le ranocchie si svegliano. Diana, per ultima.<br />

Ora la primavera è arrivata e, dopo un faticoso risveglio, Diana e le altre piccole rane stanno f<strong>in</strong>almente costruendo le loro zattere sotto<br />

la supervisione di Pall<strong>in</strong>a. Diana è sempre la più eccitata di tutte.<br />

«Non vedo l’ora di andare con la mia zattera nello stagno!» ripete <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uazione.<br />

Così passano i giorni e la zattera di Diana è quasi pronta.<br />

«Brava Diana.» Si congratula Pall<strong>in</strong>a. «Ormai hai quasi f<strong>in</strong>ito, tra poco potrai usare la tua zattera.»<br />

«Anche domani?»<br />

«Anche domani, se per stasera riuscirai a <strong>in</strong>trecciare e legare<br />

un’ ultima foglia di n<strong>in</strong>fea.» «<br />

Certo che ci riuscirò!» risponde Diana che ormai non sta più<br />

nella pelle, ma non fa <strong>in</strong> tempo a f<strong>in</strong>ire la frase che un rumore<br />

fortissimo <strong>in</strong>terrompe <strong>il</strong> lavoro delle ranocchie. Il cielo <strong>in</strong><br />

lontananza si fa tutto nero e i fulm<strong>in</strong>i precipitano dalle nuvole<br />

f<strong>in</strong>o quasi a toccare la superficie dello stagno.<br />

«Presto! Presto!» Si sente gridare. «Mettiamo al riparo le<br />

zattere prima che si alzi <strong>il</strong> vento e le porti via e mettiamoci<br />

al riparo anche noi!» Tutte le rane arrivano saltellando e<br />

portano le zattere al riparo, poi, quando anche l’ultima zattera<br />

è stata sistemata, si rifugiano tutte <strong>in</strong> una grande capanna di<br />

emergenza. «Pall<strong>in</strong>a» chiede Diana quando ormai la tempesta<br />

è scoppiata «credi che domani smetterà di piovere?»<br />

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«Sì, probab<strong>il</strong>mente sarà solo un acquazzone, vedrai che domani ci sarà <strong>il</strong> sole e potremo riprendere <strong>il</strong> nostro lavoro.»<br />

«E… credi che potrò uscire con la mia zattera nello stagno?»<br />

«No, Diana. La tua zattera non è ancora pronta. Stasera non hai potuto f<strong>in</strong>irla per <strong>il</strong> temporale, potrai f<strong>in</strong>irla domani e <strong>il</strong> giorno dopo<br />

sarà pronta e potrai usarla.» «<br />

Ma mi avevi detto che domani sarebbe stata pronta!»<br />

«Ti avevo detto che se avessi aggiunto un’ultima foglia sarebbe stata pronta, ma così è ancora troppo leggera. Non è abbastanza sicura.»<br />

«Ma Pall<strong>in</strong>a! È tutto l’<strong>in</strong>verno che aspetto… uff!»<br />

«Diana, non fare i capricci, è importante che la tua zattera sia resistente, non ti ricordi i racconti delle nonne? Meglio metterci una foglia<br />

<strong>in</strong> più. Fidati.»<br />

«Uff…»<br />

Così, per tutta la notte, la nostra Diana non fa che rigirarsi di qua e di là cont<strong>in</strong>uando a pensare e ripensare f<strong>in</strong>ché, all’alba, decide di<br />

uscire dalla capanna mentre le altre stanno ancora dormendo e si avvia saltellando verso la riva dello stagno. L’aria della primavera è<br />

tiepida e non sembra, guardandosi <strong>in</strong>torno, che ci sia stata una violenta bufera solo poche ore prima.<br />

“Certo però” si dice tra sé e sé “ma cosa potrà cambiare una foglia <strong>in</strong> più o <strong>in</strong> meno? E poi, io sono così leggera, sicuramente la zattera<br />

mi sosterrà anche così… quasi quasi potrei fare solo un giretto prima che le altre si svegl<strong>in</strong>o.” Presto fatto, tra un pensiero e un saltello,<br />

Diana si ritrova proprio di fronte alla rimessa delle zattere. Senza difficoltà apre la portic<strong>in</strong>a fatta di arbusti <strong>in</strong>trecciati e lì, <strong>in</strong> mezzo alle<br />

altre, riconosce la sua zattera. La prende e, cercando di non fare rumore, la porta verso la riva dello stagno.<br />

All’<strong>in</strong>izio fatica un po’ a condurla aiutandosi con i piccoli remi poi, una volta preso <strong>il</strong> via, com<strong>in</strong>cia a prenderci gusto e si allontana. Lo<br />

stagno, all’alba, è veramente di un colore cristall<strong>in</strong>o. Le montagne lontane si riflettono sulla superficie colorandola di azzurro e sul pelo<br />

dell’acqua libellule dalle ali arcobaleno lasciano piccoli cerchietti tremolanti. Diana si guarda <strong>in</strong>torno a bocca spalancata. Non aveva<br />

mai visto farfalle dalle ali così variop<strong>in</strong>te e n<strong>in</strong>fee così grandi.<br />

“Che bello!” si dice. Una libellula le passa così vic<strong>in</strong>a che quasi la fa scivolare dalla zattera. Nel girarsi per guardarla volare via, Diana<br />

si rende conto di essersi allontanata troppo dalla riva. Le tornano <strong>in</strong> mente i racconti delle nonne sui mul<strong>in</strong>elli dello stagno e com<strong>in</strong>cia<br />

a pensare di non avere avuto una buona idea a prendere la zattera e allontanarsi così tanto.<br />

“Avrei dovuto ascoltare Pall<strong>in</strong>a” si dice. Un’altra libellula la sfiora, Diana si appiattisce sulla zattera appena <strong>in</strong> tempo, un attimo ancora<br />

e sarebbe caduta. La zattera trema. “E se <strong>il</strong> mul<strong>in</strong>ello fosse proprio sotto di me?” pensa. “Meglio tornare <strong>in</strong>dietro”.<br />

Com<strong>in</strong>cia a manovrare con i remi per ritornare verso la riva, ma sente una resistenza.<br />

Non riesce ad avanzare poi addirittura <strong>in</strong>dietreggia. «Oh no!” esclama mentre la zattera gira su stessa.<br />

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«Aiuto! Aiutatemi!» grida aggrappandosi alla zattera con tutte<br />

le sue forze.<br />

Cerca ancora di allontanarsi aiutandosi con i remi ma<br />

la corrente è troppo forte ormai e <strong>il</strong> mul<strong>in</strong>ello la sta per<br />

risucchiare. «Aiuto!»<br />

«Diana ci sono io! Afferra la corda!» Poco lontano, Pall<strong>in</strong>a, a<br />

bordo di una zattera sta cercando di raggiungere Diana.<br />

Ha <strong>in</strong> mano una corda molto lunga e la getta all’amica. Diana<br />

riesce a prenderne un’estremità con fatica.<br />

«Brava!» le grida Pall<strong>in</strong>a. «Forza, ora tuffati dalla zattera e io<br />

ti tirerò f<strong>in</strong>o a me.» Diana fa come le dice l’amica e si lancia<br />

giù dalla zattera proprio un attimo prima che <strong>il</strong> vortice la<br />

risucchi.<br />

«Mi hai fatto prendere un bello spavento, Diana.»<br />

«Mi dispiace» risponde Diana ancora tremante.<br />

«Non importa, ormai è tutto passato.»<br />

Sulla riva dello stagno tutta la comunità attende le due amiche. Nonna Imola e nonna S<strong>il</strong>vana si sono preoccupate più di tutte perché<br />

sanno bene quanto siano pericolosi i mul<strong>in</strong>elli e hanno aspettato abbracciate per farsi forza che Pall<strong>in</strong>a e Diana rientrassero.<br />

Le ranocchie più piccole, amiche di Diana, si sono radunate tutte sul ponticello di attracco delle zattere e, non appena la zattera con le<br />

due amiche arriva, si str<strong>in</strong>gono tutte <strong>in</strong>torno a Diana saltellando.<br />

«Calme, calme!» prova a dire Pall<strong>in</strong>a. «Se cont<strong>in</strong>uate così, f<strong>in</strong>iremo tutte <strong>in</strong> acqua!».<br />

Ma le ranocchie, contente di riabbracciare la loro amica sana e salva, <strong>in</strong>vadono la piccola zattera che si capovolge e si ritrovano tutte <strong>in</strong><br />

acqua e com<strong>in</strong>ciano a giocare e a saltellare tra le n<strong>in</strong>fee. Anche nonna Imola e nonna S<strong>il</strong>vana ormai si sono tran<strong>qui</strong>llizzate. «Mi dispiace<br />

di avervi fatto spaventare» dice a un certo punto Diana avvic<strong>in</strong>andosi alle due nonn<strong>in</strong>e.<br />

«Non preoccuparti cara, l’importante è che sia andato tutto bene» le risponde nonna Imola.<br />

«Ricordati,» riprende nonna S<strong>il</strong>vana «non bisogna avere fretta e fare le cose con cura.» «Eh già, meglio metterci una foglia <strong>in</strong> più!» dice<br />

Diana guardando Pall<strong>in</strong>a che gioca con le altre.<br />

«Giusto Diana. E meglio anche imbarcarsi sempre tutte <strong>in</strong>sieme per aiutarsi l’una con l’altra.»<br />

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