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linguistica latina I.pdf - Lumsa

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l’ablativo assoluto equivale talora a un locativo (es. Caes. Gall. 1, 2, 1 M. Messālā, M.<br />

Pīsōnĕ consŭlĭbŭs), talora a uno strumentale (es. ibid. 4, 12, 6 incĭtātō ĕquō sē<br />

hostĭbŭs intŭlĭt).<br />

Del locativo rimangono soltanto tracce, nei nomi di città o piccola isola e in<br />

alcune espressioni avverbiali (es. dŏmī, hŭmī, dŏmī bellīquĕ, dŏmī mīlĭtĭaequĕ). Si<br />

trova Rōmae, ma ĭn urbĕ Rōmā; dŏmī ma ĭn dŏmō pătrĭs; rūrī ma in ămoenō rūrĕ;<br />

cfr. anche l’oscillazione tempĕrī [Plauto] / tempŏrĕ [Cicerone] / in tempŏrĕ<br />

[Livio]). La desinenza -ĭ fondendosi con la vocale tematica talora dà esito omofono<br />

a quello del genitivo (I e II declin.) e del dativo (I declin.); per es.:<br />

locativo Rōmā-ĭ > Rōmăĭ > Rōmai̯ > Rōmæ<br />

genitivo Rōmā-ī > Rōmăĭ > Rōmai̯ > Rōmæ<br />

dativo Rōmā-ĭ > Rōmăĭ > Rōmai̯ > Rōmæ.<br />

Il locativo dei nomi plurali e della terza declinazione è rappresentato<br />

dall’ablativo.<br />

Nella tendenza del latino alla riduzione riduzione dei dei casi casi si inquadra anche la<br />

confusione tra nominativo e vocativo, e l’unica forma plurale per il dativo e ablativo;<br />

l’evoluzione fonetica ha inoltre prodotto omofonia tra dativo e ablativo sing. nella<br />

seconda declinazione e tra genitivo e dativo sing. nella prima e quinta declinazione.<br />

Al deteriorarsi del sistema casuale si affianca la tendenza a precisare talora il<br />

valore del caso con l’aiuto della preposizione. In ordine alla chiarezza della<br />

comunicazione, i normali segnali morfologici possono infatti essere rafforzati<br />

mediante procedimenti sintattici: ad es. il dativo può essere espresso anche con ad +<br />

acc. (cfr. Plaut. capt. 40 s. numquid aliud uis patri nuntiari? = «vuoi che a tuo padre<br />

si riferisca altro?»; ibid. 359 s. Praecipe quae ad patrem uis nuntiari = «Ordina quel<br />

che vuoi che si riferisca a tuo padre»); ma il registro standard di età classica privilegia<br />

il semplice dativo.<br />

L’apofonia apofonia – derivante dalla mobilità dell’accento indoeuropeo – nell’ambito<br />

della flessione ha lasciato poche tracce in latino.<br />

Nell’ambito della declinazione si ha però talora alternanza di timbro (es. Ănĭō /<br />

gen. Ănĭēnĭs; *ĭ-ĕnt-s > ĭēns / acc. *ei̯-ŏnt-n̥ > ĕŭntem (vedi sotto, § 15.8.7); certō /<br />

certē (vedi sotto, p. 105); *lŭpŏs [> lŭpŭs] / lŭpĕ) e di quantità (es. părĭēs / părĭĕtĭs,<br />

arbōs / arbŏrĭs, pēs / pĕdĭs, sāl / sălĭs; pătĕr / pătrĭs [cfr. πατήρ / πατρός]; *cărōn ><br />

cărō / carnĭs; *hŏmōn > hŏmō / *hŏmŏnĕs > hŏmĭnĭs; gen. *mănou̯-ŏs > mănū-ŏs<br />

> mănŭŭs > mănūs / nom. mănŭs).<br />

8. 8.4. 8.<br />

4. Le desinenze e le le declinazioni<br />

Accanto ai pochi resti di alternanze vocaliche, il latino ha fatto invece largo<br />

uso di suffissi desinenziali che indicano le diverse funzioni casuali; ma le desinenze<br />

spesso si sono fuse con l’uscita del tema.<br />

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