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L-FIL FIL FIL-LET/04 FIL LET/04 Lingua e e letteratura latina
LINGUISTICA INGUISTICA LATINA I I (6 CFU)
prof. prof. Elena Elena Malaspina
Malaspina
malaspina@lumsa.it
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FONETICA
FONETICA
FONETICA
FONETICA
Trattiamo qui di una fonetica storica, evolutiva, diacronica vs. fonetica descrittiva,
statica, sincronica.
Si tratta di trasformazioni spontanee (non riflesse e volute) e costanti, salvo
intervento di fatti analogici, come ad es. la ricomposizione (su cui cfr. § 3.5.2
e 4.1.4) o la contaminazione nella flessione grammaticale (es. acc. classīs
sostituito da classēs per analogia con i temi in consonante) o la
normalizzazione di hŏnōs in hŏnŏr per influsso del resto della declinazione;
dipendendo da fattori psicologici o culturali, questi fenomeni non sono
costanti come le leggi fonetiche;
fenomeni di interlinguismo, ad es. prestiti da altre lingue (cfr. la mancanza di
rotacismo in ăsĭnŭs, rŏsă, Mūsă);
eufonia (cfr. ad es. pp. 67 e 103).
1. 1. FONEMI FONEMI LATINI
LATINI
1.1. 1.1. L’alfabeto
L’alfabeto
Il latino, lingua indoeuropea, ebbe un suo alfabeto intorno al VII secolo,
ricavandolo - come gli Etruschi (la cui lingua però non è indoeuropea) - a partire
dall’alfabeto greco ionico usato nella colonia calcidese di Cuma.
L’alfabeto latino era costituito originariamente da 21 grafemi (A B C D E F Z H I
K L M N O P Q R S T V X). Assente nell’alfabeto greco come in quello latino è il san
etrusco (trascritto mediante il grafema M), che indicava la sibilante palatale (∫ = it. SC
+ vocale palatale): l’alfabeto latino non lo utilizzò perché, come le altre lingue
indoeuropee, anche la fonetica latina non aveva che un tipo di sibilante (sorda),
corrispondente al Σ greco.
1

Come gli alfabeti greci occidentali, l’alfabeto latino conserva il segno del
digamma (

IV sec. a.C. trovato presso Cerveteri (CIL I, 2903), ma tale grafema era ormai confuso
con la sibilante sonora.
In una fase in cui non aveva ancora subito rotacismo, la sibilante (S) sonora
poté servire a traslitterare antichi prestiti latini dal greco, pertinenti al linguaggio
tecnico e mercantile (es. sōnă < ζώνη); mediante la geminazione era evitato il
rotacismo 2 (es. massă < µᾶζα, obrussa < ὄβρυζα).
Soltanto più tardi le lettere Y e Z, ormai utilizzate per trascrivere parole greche
(es. zĕphyrŭs), furono aggiunte in fondo all’alfabeto latino 3, e talvolta Y fu adoperata
in latino per indicare il suono intermedio tra ŭ ed ĭ in sillaba interna, davanti a
labiale (es. lacryma come variante ortografica di lacrima).
Per l’uso vocalico o consonantico sia della I sia della U non vi era distinzione
grafica e il digamma (

Nell’epigrafia latina del II sec. a.C., come nell’osco, si usò indicare la quantità
lunga raddoppiando la vocale 6 , mentre talora la ī poteva essere indicata con il
grafema ei 7 . Successivamente si usò talvolta contrassegnare con un apice le vocali
lunghe 8 .
La vocale mista qui sopra indicata dal segno ü è intermedia intermedia tra ĭĭĭĭ ed ed ŭŭŭŭ, , , , davanti davanti a
a
labiale
labiale labiale. Quintiliano (inst. 1, 4, 8) parla di sonus medius non soltanto per tale vocale
mista, ma anche per una vocale intermedia fra ----ĭĭĭĭ ed ed -ĕĕĕĕ (in fine di parola), per cui
Quintiliano attesta che al tempo suo la grafia heri (cioè hĕrĭ – per correptio iambica
– da hĕrī : cfr. sotto, § 4.5), ancora presente in manoscritti di comici arcaici (ma
anche nelle lettere autografe di Augusto), nel registro corrente era ormai modificata
in here.
... medius est quidam U et I
litterae sonus (non enim sic
“optimum” dicimus ut “opimum”)
et “here” neque E plane neque I
auditur. An rursus aliae redundent:
praeter illam adspirationis ,
quae si necessaria est, etiam
contrariam sibi poscit, et K (quae et
ipsa quorundam nominum nota est)
et Q (cuius similis effectu specieque,
nisi quod paulum a nostris
obliquatur, coppa apud Graecos
nunc tantum in numero manet) et
nostrarum ultima 9, qua tam carere
potuimus, quam psi non quaerimus.
'Here' nunc e littera terminamus: at
ueterum comicorum adhuc libris
inuenio 'heri ad me uenit', quod
6 Cfr. Quint. inst. 1, 4, 10 e 7, 14.
7 Ibid. 7, 15.
8 Cfr. anche Scaur. gramm. VII, pp. 12-22.
9 Cioè la X.
Quint. inst. 1,4,8-9
Ibid. 1,7,22
... c’è un suono intermedio tra la
lettera U e la lettera I (infatti non
pronunciamo optimus allo stesso
modo di opimus) e in here non si
sente proprio E e nemmeno I. (Si
discute) se viceversa altre (lettere)
siano superflue: a parte il segno di
aspirazione (che, se è necessario,
richiede anche il suo contrario), K
(che anche da sola è abbreviazione
di certi nomi), Q (simile ad essa per
effetto e aspetto — solo che noi lo
scriviamo un po’ obliquo —, il
coppa presso i Greci rimane solo
come numerale) e l’ultima lettera del
nostro alfabeto, di cui avremmo
potuto fare a meno, così come non
andiamo in cerca della ps.
La parola here adesso la facciamo
terminare con e: invece ancora nei libri
degli antichi comici trovo heri ad me
4

idem in epistulis Augusti, quas sua
manu scripsit aut emendauit,
deprenditur.
uenit, cosa che si coglie identica nelle
lettere di Augusto scritte o corrette di
sua mano.
Anche per il suono suono suono intermedio intermedio tra tra ĭĭĭĭ ed ed ed ŭŭŭŭ la grafia latina arcaica preferiva il
segno U ma rimaneva un certo margine di oscillazione dovuto probabilmente a
criteri di eufonia; osserva Velio Longo, all’inizio del II secolo d.C.:
“Aurifex” melius per I sonat,
quam per U. At “aucupare” et
“aucupium” mihi rursus melius
uidetur sonare per U quam per I; et
idem tamen “aucipis” malo quam
“aucupis” 10, quia scio sermonem et
decori seruire et aurium uoluptati.
Vel. gramm. VII, p. 75, 12-15
Aurifex suona meglio con la I che
con la U. Ma aucupare e aucupium
viceversa mi sembra suonino meglio
con la U che con la I ; e tuttavia
preferisco aucipis piuttosto che
aucupis, perché so che il linguaggio
si adatta all’eufonia e al gradimento
acustico.
Tuttavia sulla base di un criterio di normalizzazione analogica tale sonus
medius venne generalmente espresso da -ĭ- in conformità all’uso attestato già nel
testo dell’arbitrato dei Minuci (ILLR 517, r. 6 infimo), del 117 a.C., e diffuso da
Cesare (cfr. Varro in Cassiod. orthogr., p. 150 K.); in particolare Quintiliano (inst.
1,7,21) precisa che della grafia optĭĭĭĭmŭs maxĭĭĭĭmŭs anziché optŭŭŭŭmŭs maxŭŭŭŭmŭs la
normalizzazione si era affermata a partire dal modo di scrivere (scriptio) di Cesare.
Rimase invece senza sèguito il progetto dell’imperatore Claudio di far sostituire quel
grafema con l’H dimezzata (Ⱶ).
In prestiti provenienti dal greco ionico, inoltre, la ῠ non è palatalizzata
(nell’attico invece compare la vocale mista ü ) e venne quindi dapprima assimilata a
ŭŭŭŭ; soltanto dal I secolo a.C. è presente nei grecismi il grafema yyyy (cfr. Quint. inst.
12,10,28). Così ad es. Burrus e Bruges sono forme arcaiche per Pyrrus e Phryges
(cfr. Quint. inst. 1,4,15; cfr. anche Cic. orat. 160, qui sotto, p. 7); ma la pronuncia e
la grafia popolare oscillarono sempre tra ŭ ed ĭ.
In latino ĕ ed ŏ erano pronunciate aperte, ē ed ō erano pronunciate chiuse.
In età tarda il sistema vocalico si semplificò, e vennero unificate – nella
pronuncia – ĭ ed ē, ŭ ed ō.
Nella trasmissione orale verso l’italiano, pertanto, generalmente ĭ ed ē si
unificano in e chiusa, ŭ ed ō si unificano in o chiusa; ĕ ed ŏ erano pronunciate
aperte, e nei dialetti toscani (e quindi in italiano), specialmente in sillaba tonica
aperta, ĕ (ma anche il dittongo ae, pronunciato ē aperta nel latino tardoantico) si
dittonga in ie, ŏ in uo:
10 Vedi anche sotto, § 4.1.
5

i ī ū u
ĭ ŭ
ẹ ọ
ē ō
ę / i̯ę ĕ ŏ ǫ / u̯ǫ
a
Tra gli esiti italiani (i sostantivi derivano dall’accusativo latino), cfr. ad es.
mĭĭĭĭtto > mẹtto, pĭĭĭĭrum > pẹro, nĭĭĭĭgrum > nẹro, uĭĭĭĭdet > vẹde, fĭĭĭĭdem > fẹde, uĭĭĭĭtium >
vẹzzo (l’ital. “vizio” è esito dotto), dĕĕĕĕcem > die ie ieci, ie fĕĕĕĕrum > fie ie iero, ie pĕĕĕĕdem > pie ie iede, ie
dĕĕĕĕdit > die ie iede, ie pĕĕĕĕtram > pie ie ietra, ie nŏŏŏŏuum > nuo uo uovo, uo bŏŏŏŏnum > buo uo uono, uo mŏŏŏŏuet > muo uo uove, uo
fŏŏŏŏcum > fuo uo uoco, uo mŏŏŏŏrit(ur) > muo uo uore, uo dŏŏŏŏlum (acc. del lat. volg. dŏŏŏŏlŏ[r]) > duo uo uolo uo (ital.
antico; “dolore” è esito dotto), nŭŭŭŭcem > nọce, tŭŭŭŭrrem > tọrre, uŭŭŭŭltum > vọlto,
fŭŭŭŭgam > fọga (l’ital. “fuga” è esito dotto), iŭŭŭŭgum > giọgo, iŭŭŭŭcundum (da iŭŭŭŭuo) >
giọcondo, iŏŏŏŏcum > giuo uo uoco uo > giòco, lae ae aetum ae > lie ie ieto. ie Perciò anche uĕĕĕĕnit > vie ie iene ie e
uēēēēnit > véééénne.
È esito dotto la parola italiana “integro” (< íntegrum), a differenza dell’esito
romanzo “intiero” o “intèro” (< intègrum; cfr. qui sotto, § 3.5.1).
L’esito romanzo di crŭptă (dal greco κρύπτη) è in italiano “grọtta”, mentre
“cripta” è esito dotto derivante dal grecismo tardo crypta.
1.3 1.3. 1.3
. CConsonanti
C onsonanti
modo di articolazione
occlusive
costrittive
liquide
orali
nasali
fricative
vibranti
laterali
grado di
articolazione
bilabiali labiodentali
punto di articolazione
linguodentali
linguopalatali
o
velari
sorde p t c, k, q
sonore b d
c, k, q
g
sorde
sonore m n ṅ
sorde f s (h)
sonore
sorde
sonore r
sorde
sonore l
6

Come l’alfabeto etrusco mancava delle sonore, anche i Latini inizialmente non
ebbero un grafema specifico che indicasse il fonema velare sonoro e usarono invece
distinguere – come nell’umbro – non il grado ma il punto di articolazione (a
seconda della vocale seguente):
C (da Γ) + E opp. I (es. rēcei [= rēgī ] nel Cippo del Foro romano, CIL I 2 , 2, 1,
del sec. VI a.C.);
K + A (la grafia Kălendae è rimasta anche in età classica) o conson. (es. săkrŏs
[= săcĕr], in CIL I 2 , 2, 1);
Q + O opp. U (es. qoi [= quī ] in CIL I 2 , 2, 1; pequniam in CIL I 2 2, 582, r. 9)
esprime inizialmente la labiovelare sorda / K w /.
Più tardi essa viene espressa non più mediante il grafema Q ma mediante il
digramma QU QU: QU
qui la u (come anche in italiano) non è vocale (sillabiamo
perciò ă-quă, ĕ-quŭs, scritto dagli antichi ĕ-quŏs oppure ĕ-cŭs), ma è
appendice labiale della consonante velare.
Il nesso qo non si chiude in qu – almeno graficamente – fino al I secolo d.C.
Per il dativo del pronome relativo/interrogativo/indefinito (vedi sotto, §
16.2) la grafia di età classica quoi (< quŏi̯-ĕi̯), evolutasi nello standard cŭī, era
finalizzata alla distinzione rispetto al nominativo qui :
Illud nunc melius, quod cui
tribus quas praeposui litteris
enotamus, in quo pueris nobis
ad pinguem sane sonum qu et
oi utebantur, tantum ut ab illo
qui distingueretur.
Il grafema GU
GU
seguito da vocale (es. lin-gu guă, gu gu ma ar-gŭ-ō).
Quint. inst. 1,7,27
Ora è meglio che scriviamo
cui appunto con le tre lettere
che ho qui messo: in questa
parola quando eravamo
ragazzi si usava qu ed oi – fino
ad ottenere un suono pieno –
soltanto per distinguerlo da
qui.
GU indica la labiovelare sonora / G w / quando è preceduto da n e
Il latino mancava di consonanti consonanti aspirate aspirate; aspirate pertanto solo dal I secolo a.C. viene
segnalata in latino l’aspirazione dei corrispondenti fonemi greci, non presente nei
prestiti più antichi (es. purpŭră < πορφύρα, tūs < θύος):
Burrum semper Ennius, numquam
Pyrrhum; «ui patefecerunt Bruges»,
non «Phryges», ipsius antiqui
declarant libri.
Cic. orat. 160
Ennio dice sempre Burrus, mai
Pyrrhus ; ui patefecerunt Bruges,
non Phryges, ne fanno prova i suoi
antichi manoscritti.
7

Nella pronuncia classica e tarda H (aspirazione leggera: vedi sopra, p. 3) non è
pronunciata né all’interno di parola né in posizione iniziale, tanto che Quintiliano
(inst. 1,4,9) osserva che si trattava di una semplice nota adspirationis, ormai superflua
nell’alfabeto latino: se si fosse voluto imitare l’alfabeto greco, si sarebbe dovuto
avere, semmai, anche il segno indicante la mancanza di aspirazione (come in greco
vi è spirito aspro e spirito dolce).
Un’aspirazione accentuata era presente in doppioni dialettali ancora vivi ad
esempio al tempo di Varrone (cfr. ling. 5, 97 ircus quod Sabini fircus).
Anche a detta di Quintiliano la fricativa labiodentale sorda F in passato era
stata graficamente confusa con la H (cfr. § 7.7), anticamente associata al digamma
(

geminazione consonantica aveva valore oppositivo e funzionale all’interno del
sistema linguistico latino (cfr. le coppie minime aggěr / ăgěr, collĭs / cŏlĭs, ferrŭm /
fěrŭm, terrās / těrās, uallēs / uălēs, uellĭt / uělĭt ecc.); l’oscillazione originaria produce
però anche allotropi, come bācă / băccă, cūpa / cŭppă, lītŭs / lĭttŭs, tōtŭs / tŏttŭs (>
ital. “tutto”).
1.4 1.4. 1.4
. Semiconsonanti
emiconsonanti
Le liquide (l r) e le nasali (m n) quando si trovano tra altre consonanti
sviluppano un elemento vocalico: in tal caso sono dette ‘sonanti’ o ‘semiconsonanti’
e vengono indicate dai linguisti con un circoletto sottostante: l̥ r̥ m̥ n̥ (es. *ăcr̥ > ăcěr;
*rēgm̥ > rēgěm).
1.5 1.5. 1.5
. Semivocali
Semivocali
Le vocali i ed u fungono da consonanti o semivocali (indicate dai linguisti
con un semicerchio sottostante: i̯, u̯)
quando sono iniziali di parola seguite da una vocale (es. i̯am, u̯ĕnĭō),
quando fanno parte di un gruppo consonantico (es. su̯escō, da cui anche
man-su̯ē-tŭs)
quando sono fra due vocali (es. āi̯ō, ūu̯ă ),
quando chiudono un dittongo (vedi sotto, § 2.2),
fra una liquida e una vocale è semivocalica la u̯ (es. seru̯ŏs > seruŭs; salu̯ŏs >
salu̯ŭs), la i̯ lo diventa nel latino volgare (es. mŭ-li̯ĕr > ital. “móglie”, vs. class.
mŭ-lĭĭĭĭ-ĕr; cfr. anche in ital. la sinizesi, ad es. nella parola “con-tra-rio”); cfr. §
3.5.3.
Attenzione alla sillabazione dei composti: ad es. si ha semivocale in *cum-i̯ i̯ i̯un- i̯
gō > con-i̯ i̯un-gō, i̯ i̯ e con-i̯ i̯ i̯ux, i̯ con-i̯ i̯ i̯ŭ-gĭs i̯ ecc., dove quindi la prima sillaba, essendo
chiusa, è lunga (vedi sotto, p. 12).
La sonorità della sillaba si incentra sulla vocale, e quindi la semivocale si
appoggia alla vocale corrispondente (in caso di contiguità con essa):
littera i sibi insidit («coniicit» enim
est ab illo «iacit») et u, quo modo
nunc scribitur «uulgus» et «seruus»...
Quint. inst. 1,4,11
Si appoggia su se stessa la lettera i
(infatti coniicit deriva da iacit) e la u,
come ora si scrive uulgus e seruus...
14 Nella grafia conservativa delle iscrizioni la prima attestazione sicura è del 193 (caussa, CIL I 2 612).
La grafia geminata della S intervocalica non rotacizzata era ancora seguita da Cicerone e Virgilio, per
testimonianza di Quintiliano (inst. 1, 7, 20).
9

La i̯ scompare quindi davanti a una i vocalica, breve o lunga (cfr. § 7.16),
anche se ancora Gellio (4, 17, 7ss.) raccomandava di scrivere coniicit con due i
(secunda enim littera in his uerbis per duo , non per unum scribenda est... = “la
seconda lettera, in queste parole, si deve scrivere con due i, non con una sola”).
La i̯ semivocalica in posizione intervocalica veniva scritta da Cicerone come
una geminata (ii) (cfr. Quint. inst. 1,4,11: ... Ciceroni placuisse ‘aiio’ ‘Maiiam’que
geminata i scribere; quod si est, etiam iungetur ut consonans = “... Cicerone aveva
deciso di scrivere aiio e Maiia con una doppia i : se è tale, si unirà anche come
consonante”, cioè fungerà anche da consonante nella sillabazione).
Nel passo qui sopra riportato (inst. 1,4,11, alla pagina precedente), Quintiliano
attesta anche che la grafia -uu- 15 si era da poco tempo sostituita a -uo- (che anche al
di là dell’oscuramento di ŏ in ŭ – su cui vedi sotto, §§ 4.3 e 5.1 – aveva resistito a
lungo, per dissimilazione, al fine di evitare l’ambiguità della grafia uu). Scrive
altrove lo stesso Quintiliano:
Quint. inst. 1,7,26
Nostri praeceptores ‘seruum’
‘ceruum’que U et O litteris
scripserunt, quia subiecta sibi uocalis
in unum sonum coalescere et
confundi nequiret, nunc U gemina
scribuntur ea ratione, quam reddidi:
neutro sane modo uox, quam
sentimus, efficitur, nec inutiliter
Claudius Aeolicam illam ad hos usus
litteram adiecerat.
I nostri maestri scrissero seruus e
ceruus con la U e la O, perché la vocale
congiunta con se stessa non potesse
amalgamarsi in un unico suono e
confondersi; ora si scrivono con due U
per la ragione che ho spiegato; ma in
nessuno dei due modi si riproduce il
suono che percepiamo, e non senza
motivo Claudio per tali usi aveva
aggiunto la nota lettera eolica.
L’imperatore Claudio (41-54 d.C.), infatti (cfr. anche sopra, p. 5), aveva
tentato di introdurre come grafema, per indicare la /u̯/, il digamma rovesciato ╛(cfr.
CIL VI, 2041, 60 MINER╛ A).
La /u/ vocalica e la /u̯/ semivocalica non erano pronunciate in modo molto
diverso (cfr. l’italiano “uomo” vs. “unito”); così il verbo uăgīrĕ ha evidente origine
onomatopeica:
Gell. 16, 17, 2
... pueri, simul atque parti sunt, eam
primam uocem edunt, quae prima in
‘Vaticano’ syllaba est, idcirco ‘uagire’
dicitur, exprimente uerbo sonum uocis
... i bambini, appena partoriti,
emettono come prima voce quella che
è la prima sillaba della parola Vaticano;
perciò si dice uăgīrĕ, con una parola
15 La pronuncia di u̯u era comunque poco stabile, e nella grafia del latino volgare si alterò ben presto
in bu oppure in u (es. CIL IV 1638 serus); cfr. App. Probi, gramm. IV 199 riuus non rius (e l’ital. “rio”)
e l’esito italiano “natìo” dal lat. nātīuŭs.
Ma la caduta di u̯ interno, davanti a u o ad o, è già preletteraria (vedi sotto, § 7.17).
10

ecentis. che esprime il suono di una voce ai
suoi inizi.
Ma se Polibio trascriveva Valerius con Οὐαλέριοϛ e Posidonio (fonte di
Strabone 4,4,4) trascriveva uates con οὐάτειϛ, dal I sec. d.C. prevale in greco la
trascrizione della /u̯/ semivocalica latina mediante la bilabiale sonora β (es. IG IX 1,
200 Νέρβα, ma altrove Νέρουα), che allora cominciava ad essere pronunciata come
fricativa (ƀ) 16 .
Nel II sec. d.C. il grammatico Velio Longo (gramm. VII, p. 58) attesta che la u̯
semivocalica sonat cum aliqua aspiratione; per questo motivo Isidoro (inizio VII sec.
d.C.) riporterà la falsa etimologia di nōbĭlĭs interpretato come nōn uīlĭs (orig.
10,184).
In latino non vi era distinzione grafica tra le vocali I ed U e le semivocali
corrispondenti:
… in ipsis uocalibus grammatici est
uidere an aliquas pro consonantibus
usus acceperit, quia etiam 17 sicut iam
scribitur et uos ut tuos.
Quint. inst. 1,4,10
… tra le stesse vocali è compito del
grammatico riconoscere se l’uso le ha
intese come consonanti, perché etiam
si scrive come iam e uos come tuos.
Infatti a seconda del materiale scrittorio, per quanto riguarda la u – vocalica o
semivocalica – si usava il grafema a spigolo (V) su materiale duro (in iscrizioni su
pietra, e quindi in scrittura capitale), il grafema tondeggiante U su materiale
morbido (su papiro e tavolette di cera, e quindi in minuscola corsiva).
Già Quintiliano attesta però il bisogno di un grafema corrispondente alla
pronuncia semivocalica della u̯, richiamandosi – come Claudio – al digamma eolico
(inst. 1,7,26, cit. qui sopra, p. 10): in his “seruus” et “uulgus” Aeolicum digammon
desideratur = «in seruus e uulgus si sente la mancanza del digamma eolico» (cfr.
Quint. inst. 1,4,8).
Prendendo atto della differenza di pronuncia tra le vocali e le semivocali
corrispondenti, la i̯ e la u̯ semivocaliche furono poi rappresentate, per innovazione
dell’umanista francese Pierre La Ramée (1559), da grafemi distinti (j e v) rispetto a
quelli vocalici; l’innovazione era stata in realtà già proposta dallo spagnolo Antonio
Nebrija (1492) e poi da Gian Giorgio Trissino (1524).
16 In ambito romanzo poi la fricativa bilabiale sonora si evolve in fricativa labiodentale sonora (cfr. V
in italiano) o interdentale sonora (cfr. B intervocalica spagnola).
Anche in greco moderno β viene pronunciato / V /.
17 Benché derivante da ĕt i̯am, l’avverbio ĕtĭăm era ormai sentito come un’unica parola, in cui la i era
vocale (breve).
11

Oggi gli editori di testi latini non usano più il grafema j, e per lo più si basano
sull’uso classico anche nell’usare u per le minuscole e V per le maiuscole
indipendentemente dalla loro funzione vocalica o semivocalica.
2. 2. SILLABE
SILLABE
2.1. .1. Quantità sillabica
I confini sillabici, in latino, sono simili a quelli dell’italiano.
Si tenga però conto della pronuncia in uso in età classica: ag-nŭs, pas-cĕ-rĕ
ecc. Il latino inoltre non conosce la s impura (perciò, ad es., quaes-tŏr, pas-tŏr).
Chiamiamo aperte le sillabe che finiscono per vocale, chiuse le sillabe che
finiscono per consonante.
Le sillabe chiuse chiuse sono sempre lunghe lunghe. lunghe
Le sillabe aperte aperte sono brevi o o lunghe lunghe a seconda della quantità della vocale che
contengono.
2.2 2.2. 2.2
. Il dittongo
Il dittongo dittongo dittongo è una sillaba chiusa da semivocale: in quanto sillabe chiuse, tutti i
dittonghi sono lunghi. La vocale in essi contenuta può essere breve o lunga: ad es.
usciva originariamente in dittongo con vocale lunga il dativo della prima (-āi̯ > -ae)
e della seconda (-ōi̯ > -ō) declinazione. Per influsso delle lingue italiche, però, i
dittonghi latini tendevano a monottongarsi (cfr. §§ 4.6 e 5.2), cioè a risolversi in
una vocale lunga aperta.
Perciò i dittonghi conservati in età classica sono soltanto:
aaaai̯ i̯ i̯ i̯ > ae ae ae ae (dal III a.C.) [ma nella pronuncia extraurbana > ē aperta (a partire
dall’inizio del II a.C.)];
au̯ au̯ au̯ au̯ [ma nella pronuncia extraurbana > ō aperta];
ooooi̯ i̯ i̯ i̯ > oe oe oe oe (s. III a.C.; nella pronuncia extraurbana > ēēēē aperta, a partire dall’inizio
del II a.C.) e spesso > > ō ō ō ō > > ūūūū (vedi sotto, § 5.2);
ui ui ui ui è raramente dittongo, ad es. in hui̯c e cui̯: ma per quest’ultimo la grafia
classica era quoi (vedi sopra, p. 7); nel composto ălĭcuī possiamo accentare
tanto ă-l-cŭ-ī quanto -lĭ-cui̯ ;
eeeeu̯ u̯ u̯ u̯ (in grecismi assimilati al sistema prosodico latino); es. Pér-seus, Ór-pheus.
Solo tardivamente si cominciò ad accentare tali vocaboli con l’accento
12

sull’ultima sillaba, come era in greco, e già Quintiliano attesta che al suo
tempo (sec. I d. C.) era stata ormai abbandonata la corretta accentazione
Átreus in favore di Atréus (accentazione alla greca):
… ex duabus syllabis in unam
cogentes et deinde flectentes
dupliciter peccant. Sed id
saepius in Graecis nominibus
accidit, ut Atréus (quem nobis
iuuenibus doctissimi senes
acuta prima dicere solebant,
ut necessario secunda grauis
esset): item Neréì Teréìque.
Quint. inst. 1,5,23 s.
…quelli che di due sillabe ne fanno una e poi ci
mettono un accento circonflesso, sbagliano due
volte. Ma questo accade piuttosto spesso in
parole greche, come Atréus (che, quando
eravamo giovani, gli anziani più dotti erano
soliti pronunciare con l’accento acuto sulla
prima sillaba, 18 sì che inevitabilmente era atona
la seconda): allo stesso modo Neréi e Teréi.
Ricordando dunque che Atréus era accentato Átreus da parte dei doctissimi
senes conosciuti in gioventù, Quintiliano osserva che l’uso scolastico della cosiddetta
“accentazione colonnare” produceva talvolta, nella flessione, un duplice errore, per
cui si finiva per accentare, al genitivo, Neréi e Teréi, in cui l’uscita -ei, bisillabica (ĕ-ī
), veniva percepita come monosillabica (primo errore) e accentata (secondo
errore).
Anche la metrica mostra effettivamente come bisillabici i genitivi Nērĕi̯ (cfr.
Verg. Aen. 10,764) e Tērĕi̯ (cfr. Verg. ecl. 6,78), come pure l’ablativo Nērĕo (cfr.
Prop. 3,7,67 e Stat. Theb. 5,49) e Tērĕo (cfr. Prop. 6,635); l’accusativo alla greca (di
per sé uscente in -ĕ-ă) mostra uscita monosillabica sicuramente in Verg. ecl. 6,30
(dove Orphea, alla fine di esametro, è bisillabo).
N.B.: Non c’è dittongo
in pŏētă : la -ē- viene da una η greca, non da una i̯ consonantica.
in āēr, āĕrĭs (= ital. “aria”): la -ē- (che si abbrevia per apofonia indoeuropea
nei casi diversi dal nominativo) viene da una η greca, non da una i̯
semivocalica.
C’è invece dittongo in aes, aerĭs (= “bronzo, denaro”; cfr. ital. “erario”).
18 Lett. “con la prima sillaba acuta”.
13

3. 3. ACCENTO
ACCENTO
3.1. 3.1. 3.1. Natura Natura Natura dell’accento dell’accento latino
latino
In alcune lingue l’accento ha natura intensiva o espiratoria, in altre (come il
greco antico) ha natura melodica o inspiratoria; in italiano l’accento è
prevalentemente intensivo (la componente musicale si avverte nella modulazione
della voce a seconda del senso: interrogativo, esclamativo, ecc.).
Contro le ipotesi di Fraenkel, studiosi come Marouzeau e Devoto hanno
affermato la continuità dell’accento indoeuropeo (natura melodica) in latino. D’altra
parte alcuni studiosi (Pisani, Palmer) hanno piuttosto sottolineato l’esistenza di una
componente intensiva dell’accento latino anche in età classica; si tratta però di una
componente ritenuta rustica (per influsso delle lingue italiche contigue) e bandita
perciò dallo standard grammaticale.
Nell’insegnamento dei grammatici antichi la προσῳδία o tenor (arc. tonor,
dal greco τόνος), ossia ‘modulazione’, consiste nel variare dell’altezza della voce; il
termine latino accentus 19 ricalca il termine greco προσῳδία. La grauitas linguae
(Cic. de orat. 3, 42) consisteva invece nell’enfasi, espirazione o intensità della voce, e
può riferirsi quindi alla componente intensiva dell’accento latino.
Si è ipotizzato che intorno al sec. VI a.C. l’accento latino, pur essendo di natura
prevalentemente musicale fin dalle sue origini 20 , si sia trovato ad interagire con
l’azione non sistematica di un accento di intensità di influsso sabino: queste ‘raffiche’
di intensità poterono provocare fenomeni di sincope [es. *host(ĭ)-pŏt(ĭ)s (= “colui
che ha potere/patrocinio sullo straniero”, “il garante dello straniero”) > *hospŏts >
hospĕs].
La sincope (vedi sotto, § 4.2) – di azione limitata a Roma – è più
frequentemente attestata nelle lingue italiche ed è in via di crescita presso gli
Etruschi.
Coesistono comunque in latino uălĭdē e ualdē, lārĭdum e lardum. La
componente intensiva dell’accento latino è attestata in forma crescente in età
imperiale (e quindi poi nelle lingue romanze) attraverso la sincope delle vocali brevi
interne: così già Augusto (in Quint. inst. 1, 6, 19) criticava come affettato lo scrivere
călĭdŭs anziché caldŭs in una lettera familiare, e più tardi la cosiddetta Appendix
19 Cfr. Quint. inst. 1, 5, 29 ss.; Serv. gramm. IV, p. 426. Cicerone non usa il termine accentus, ma
sonus oppure uox.
20 Può esserne un indizio, ad esempio, la vocalizzazione della semivocale nel tipo mědi̯ŏ- (bisillabico
nelle altre lingue indoeuropee, mentre in lat. mĕdĭus è trisillabico) e la presenza della vocale
anaptittica che tende a inserirsi fra occlusiva e liquida (es. tăblă > tăbŭlă, pōtlŏ- > pōcŭlum), mentre
quando prevale la componente intensiva dell’accento si verifica piuttosto la sincope (caduta della
vocale atona interna: es. călĭdus > caldus).
14

Probi (elenco di un anonimo grammatico operante a Roma forse nel secolo V d.C.)
prescriverà l’ortografia calida non calda, frigida non fricda 21 .
Per quanto riguarda il latino dell’Urbe si nota una riduzione o indebolimento
vocalico vocalico – talora denominato impropriamente ‘apofonia latina’ – operante sulle
vocali brevi interne (vedi sotto, § 4.1): tale indebolimento (con mutamento del
timbro vocalico) sembra dovuto a un accentuarsi della componente intensiva
dell’accento latino, nel sec. sec. V a.C a.C., a.C
prima che la componente melodica riprendesse il
sopravvento nello standard urbano; la riduzione si verifica nelle sillabe post-toniche
di composti verbali e nominali, dove l’accento principale sembra essersi localizzato
sulla prima sillaba, presumibilmente in conseguenza di un confine di morfema (tra
prefisso e tema, fra due temi diversi, fra tema e desinenza): es. perfĭĭĭĭcĭō (< *perfăăăăcĭō),
ăgrĭĭĭĭcŏlă (< *ăgrŏŏŏŏ----cŏlă, non *ăgrī-cŏlă), mīlĭĭĭĭtĭs (< *mīlĕĕĕĕtĕs), lĕgĭĭĭĭmŭs (< *lĕgŏŏŏŏmŏs).
Talora prevale la sincope, ad es. in *per-rĕgō > pergō (perf. per-rexī) e *subrĕgō
> surgō (perf. sur-rexī), ma c’è soltanto riduzione vocalica in corrĭgō o ērĭgō.
3.2. 3.2. Posizione Posizione dell’accento
dell’accento
Dopo la fine della monarchia ci fu il passaggio dalla libertà libertà primitiva primitiva primitiva a una
mobilità mobilità mobilità basata sulla sulla quantità della penultima sillaba sillaba: sillaba
se la penultima sillaba è breve, l’accento cade sulla terzultima sillaba,
se la penultima sillaba è lunga, l’accento cade sulla penultima stessa.
Ciò significa che l’accento latino nelle parole non monosillabiche non cade
mai sull’ultima sillaba, a meno che non si tratti di un’ossitonia secondaria, cioè nel
caso di una parola che ha subito un’apòcope (= troncamento), cioè ha perso l’ultima
sillaba, sicché la penultima è diventata ultima sillaba. Es. *Arpīnt(ĭ)s > Arpīns (=
“l’uomo di Arpino”); illc(ĕ) > illc (= “lì”); ēdc(ĕ) > ēdc (= “conduci fuori”,
imperativo di ēdūcō).
Sono imperativi apocopati (vedi sotto, § 4.5) *făcĭ > *făc(ĕ) (cfr. sotto, § 4.4) >
făc, dīc(ĕ), dūc(ĕ); al composto si accenta perciò pătĕfc (cfr. sotto, §§ 3.3 e 4.1.7),
ēdc, ēdc.
Fer (imperativo di fĕrō) non ha invece mai avuto una e finale, perché è un
verbo atematico (la seconda persona sing. dell’imperativo presente è il puro tema, in
questo caso privo di vocale tematica); al composto si accenta perciò cónfĕr.
La mobilità dell’accento latino, localizzato sulla penultima o sulla terzultima
sillaba, non imita quindi il trisillabismo greco, continuatore dell’accento
indoeuropeo ristretto nell’ambito delle ultime tre sillabe: il latino preferisce infatti le
21 App. Probi, rr. 53-54, ed. S. Asperti, Il testo dell’«Appendix Probi III», in L’«Appendix Probi».
Nuove ricerche, a c. di F. Lo Monaco – P. Molinelli, Firenze 2007, p. 58.
15

parole parossitone e proparossitone. Inoltre la posizione dell’accento è regolata dalla
penultima e non dall’ultima sillaba. Sulla scorta dei grammatici greci, però, i Latini
sul piano teorico distinguevano tra accento acuto, grave e circonflesso, anche se di
fatto l’unico vero accento è l’accento acuto, e il grave indica soltanto la sillaba
atona 22.
Così Cicerone sottolinea la sensibilità naturale latina utilizzando una
terminologia di origine greca:
... omnium longitudinum et
breuitatum in sonis sicut acutarum
grauiumque uocum iudicium ipsa
natura in auribus nostris conlocauit.
Mira est enim quaedam natura
uocis, cuius quidem e tribus omnino
sonis, inflexo acuto graui, tanta sit et
tam suauis uarietas perfecta in
cantibus. Est autem etiam in dicendo
quidam cantus obscurior […]. Ipsa
enim natura, quasi modularetur
hominum orationem, in omni uerbo
posuit acutam uocem nec una plus
nec a postrema syllaba citra tertiam;
quo magis naturam ducem ad
aurium uoluptatem sequatur
industria.
Cic. orat. 173
Cic. orat. 57 s.
... la natura stessa ha posto nelle
nostre orecchie la capacità di
distinguere, nei suoni, le lunghe e le
brevi, come le sillabe accentate e le
atone (lett. “gli accenti acuti e gravi”).
Davvero mirabile è quella sorta di
natura dell’accento per cui dai suoi
toni — tre in tutto: circonflesso, acuto,
grave — si produce una tanto grande e
gradevole varietà, che è al suo
massimo nei canti. Ma anche
nell’oratoria vi è una sorta di canto
velato […]. La natura stessa, come se
volesse ritmare il discorso umano, ha
posto in ogni parola un accento acuto,
e non più di uno, né oltre la
terzultima, affinché l’arte seguisse
maggiormente la guida della natura
per il piacere dell’udito.
Con una terminologia evidentemente attinta a quella dei grammatici greci, si
può dire che l’accento acuto cadeva sulla penultima quando sia essa sia l’ultima
sillaba erano lunghe, mentre si definiva circonflesso l’accento che cadeva sulla
penultima sillaba quando essa è lunga e l’ultima sillaba è breve (es lûnă, ma lúnā); sui
monosillabi l’accento è definito acuto se la vocale è breve, circonflesso se la vocale è
lunga (es. séd, ma mê).
Ecco la sintesi offerta da Quintiliano:
22 In età tardoantica però i parlanti, almeno in Gallia, probabilmente ponevano, di fatto, un accento
secondario sull’ultima sillaba quando l’accento principale era sulla terzultima: di qui la tendenza della
lingua francese ad accentare l’ultima sillaba.
16

... in omni uoce, acuta intra
numerum trium syllabarum
continetur, siue eae sunt in
uerbo solae siue ultimae, et in
iis aut proxima extremae aut ab
ea tertia. Trium porro, de
quibus loquor, media longa aut
acuta aut flexa erit, eodem loco
breuis utique grauem habebit
sonum, ideoque positam ante
se, id est ab ultima tertiam,
acuet.
Est autem in omni uoce
utique acuta, sed numquam
plus una nec umquam ultima,
ideoque in disyllabis prior.
Praeterea numquam in eadem
flexa et acuta, †; itaque neutra
cludet uocem Latinam.
Ea uero, quae sunt syllabae
unius, erunt acuta aut flexa, ne
sit aliqua uox sine acuta.
Quint. inst. 1,5,30 s.
3.3. 3.3. Parole Parole proclitiche proclitiche ed eenclitiche
e
nclitiche
... in ogni modulazione della voce,
quella acuta è contenuta all’interno di
tre sillabe, sia che siano le uniche nella
parola sia che siano le ultime, e fra esse
o la penultima o la terzultima. Delle tre
sillabe di cui sto parlando, inoltre, la
mediana, quando è lunga, avrà accento
acuto o circonflesso, (mentre) nella
stessa posizione la sillaba breve avrà una
modulazione atona e perciò renderà
acuta la sillaba precedente, cioè la
terzultima.
In ogni modulazione della voce,
inoltre, ce n’è una acuta, ma mai più di
una e mai in ultima posizione; perciò
nelle parole di due sillabe è la prima.
Inoltre mai nella stessa modulazione c’è
quella circonflessa e quella acuta, †
perché nel circonflesso c’è anche l’acuto
(?) †; pertanto nessuna delle due
modulazioni chiuderà una parola latina.
Le parole di una sola sillaba, invece,
avranno accento acuto o circonflesso,
perché nessuna modulazione sia senza
sillaba acuta.
Tuttavia non hanno accento proprio le parole parole proclitiche proclitiche, proclitiche
cioè “che si
appoggiano in avanti” (da κλίνω = appoggiare) e quindi sulla parola successiva. Es.
pătĕ-fácĭō, imper. pătĕ-fác, passivo pătĕ-fíō, pătĕ-fís:
Si uero 'facio' uerbo uel 'fio'
integris manentibus aliud uerbum
infinitum ante ea componatur, non
solum significationes et
coniugationes integras eis
seruamus, sed etiam accentus, ut
'calefacio calefacis calefacit',
'tepefacio tepefacis tepefacit'. In
secunda enim et tertia persona
Prisc. gramm. II, p. 402
Se alla parola facio o fio, senza
che subiscano modificazioni, si
unisce un’altra parola, non
completa, conserviamo integri non
soltanto i significati e le
coniugazioni, ma anche gli accenti,
come ad esempio calefacio calefacis
calefacit, tepefacio tepefacis
tepefacit. Infatti nella seconda e
17

paenultimas acuimus, quamuis sunt
breues. Similiter 'calefio calefis
calefit', 'tepefio tepefis tepefit'
finales seruant accentus in secunda
et tertia persona, quos habent in
simplicibus.
terza persona accentiamo le
penultime (sillabe), anche se sono
brevi. Allo stesso modo calefio
calefis calefit, tepefio tepefis tepefit
conservano, nella seconda e terza
persona, l’accento finale che hanno
nel verbo semplice.
In italiano sono parole proclitiche gli articoli, alcuni pronomi (“lo”, “la”, “li”,
“le”, “mi”, “ti”, “si”, “ci”, “vi”, “ne”) e avverbi (“ci”): ad es. “il tàvolo”, “una sèdia”, “lo
dìco”, “li fàccio”, “mi rimàne”, “ci piàce”, “vi còsta”, “ne cómpro”, “ci vàdo”.
Parimenti non hanno accento proprio le parole enclitiche (cfr., in italiano,
“dirlo”, “farmi”, “costarvi”, “comprarne”, “andarci”), che si appoggiano alla parola
precedente: in latino esse traggono l’accento verso di sé, sulla sillaba precedente
l’enclitica stessa. Convenzionalmente, usiamo scrivere la parola enclitica attaccata
alla parola precedente (cfr., in italiano, “trarne”, “farlo”, “esserci” ecc.). Ad es. si
accenta rŏsáquĕ sia al nominativo sia all’ablativo, perché -quĕ è parola enclitica
(come -nĕ, -uĕ, -cĕ).
Si ha invece epèctasi (da ἐπεκτείνω = “estendere”) quando la parola enclitica si
è ormai fusa con la parola precedente, così da aver perduto il suo significato
originario: in tal caso si osserva la normale regola dell’accento, tenendo conto della
quantità della penultima sillaba. Es. *dē-nĕ-quĕ > dénĭquĕ (= “infine, insomma”);
ítăquĕ per epèctasi (= “pertanto, dunque”), ma ĭtáquĕ per ènclisi (= “e così”);
plērquĕ, plērequĕ e, per analogia con il resto della declinazione, plērquĕ (= ”la
maggior parte”) (cfr. anche ŭtérquĕ, ŭtrquĕ, ŭtrúmquĕ).
Deindĕ e proindĕ per analogia con la loro forma apocopata (*dē-índĕ >
deind(ĕ) > dei̯n, *prŏ-índĕ > proind(ĕ) > proi̯n) sono bisillabici e quindi accentati
rispettivamente déindĕ, próindĕ; soltanto in Ter. Andr. 483 e in poeti tardoantichi
dĕīndĕ è trisillabico.
3.4 3.4. 3.4
. Positio Positio Positio Positio debilis debilis debilis debilis
Il nesso occlusiva + liquida (l, r) costituisce un unico gruppo consonantico e
quindi nella divisione in sillabe non è scindibile. Es. pă-trem, té-nĕ-brae, ín-tĕgrŭm,
pĕ-tră (> ital. “pietra”).
Quando invece si tratta di un nesso originatosi da una composizione, la
consonante è collegata al prefisso e quindi la sillaba è chiusa (es. ab-rĭpĭō).
In poesia, da Ennio in poi (per imitazione della metrica greca), talora il
trattamento prosodico delle parole non osserva la positio debilis: es. pat-rem, tĕneb-rae.
Questo comunque sembra essere stato il regime prosodico originario, visto
che ad es. *con-săc-rō > consĕcrō, *in-tăg-rŏ-m > intĕgrŭm (per riduzione di vocale
breve in sillaba chiusa post-tonica; vedi sotto, § 4.1.2); i maestri però
18

accomandavano di non estendere tale uso nella dizione corretta, ma di limitarlo alle
esigenze metriche; attesta Quintiliano:
Euenit ut metri quoque
condicio mutet accentum:
«pecudes pictaeque uolucres»
(Verg. georg. 3, 243).
Nam ‘uolucres’ media acuta
legam, quia, etsi natura breuis,
tamen positione longa est, ne
faciat iambum, quem non recipit
uersus herous. Separata uero
haec a praecepto nostro non
recedent, aut si consuetudo
uicerit, uetus lex sermonis
abolebitur.
Quint. inst. 1, 5, 28 s.
Succede che l’accento possa
cambiare anche per ragioni metriche
pecudes pictaeque uolucres.
Infatti leggerò uolúcres con la sillaba
centrale accentata perché, anche se è
breve per natura, tuttavia è lunga per
convenzione, per non causare un
giambo, che l’esametro non ammette.
Separate però (dal contesto metrico),
queste parole non dovranno
allontanarsi da ciò che insegnamo: in
caso contrario, se la consuetudine
prenderà il sopravvento, l’antica
norma linguistica verrà abolita.
3.5 3.5. 3.5
. Spostamenti Spostamenti Spostamenti di di accento accento accento nel nel latino latino volgare volgare di di di età età imperiale
3.5 3.5.1. 3.5
.1. in parole del tipo té-nĕ-brae, lá-tĕ-brae, ín-tĕ-grŭm, l’accento si sposta sulla
penultima penultima penultima breve breve, breve forse per influsso analogico di parole quali auríclă (<
aurĭc(ŭ)lă, cfr. it. “orecchia”) e – inversamente – in conseguenza della tendenza
all’anaptissi anaptissi (inserimento di una vocale nel gruppo occlusiva + liquida), che
sposta l’accento di una sillaba; il trattamento romanzo della sillaba accentata di
*intégrum, ad esempio, mostra che essa era una sillaba aperta (infatti fr.
“entier” e ital. “intiero” > “intèro” risalgono a *in-tě-g(ě)-rum);
3.5 3.5.2. 3.5
.2. spostamento dell’accento sulla sillaba radicale nei verbi ricomposti (es.
*displáááácet, *consáááácrat, *dēcáááádit, *sustéééénet; cfr. § 4.1) e, per analogia, anche in
alcuni composti con riduzione vocalica non ricomposti (es. *rěcíííípit, *exíííígit);
quando la ricomposizione
ricomposizione non è avvertita, non sempre l’accento si sposta (es.
sépăăăărō > fr. “je sépare”, ital. dotto “sépara” e ital. corrente “sepàra”; da forme
volgari non ricomposte o sincopate derivano esiti romanzi: *sép(ĕĕĕĕ)rō > fr. “je
sèvre” (= “svezzo”); *exsépĕĕĕĕrō > ital. “scévero”); cfr. l’incertezza, in italiano,
tra l’accentazione “èlevo” (dotto) ed “elèvo” (corrente), dal lat. ēlĕvō ;
3.5 3.5.3 3.5
.3 .3. .3 in parole con la penultima breve, quando la terzultima era costituita da una ĭ o
da una ě in iato, tale vocale tendeva a consonantizzarsi (vedi sopra, § 1.5) e
l’accento si fissava allora sulla penultima: tale tendenza alla sinizesi sinizesi (lett.
“aggiogamento insieme”) e allo spostamento dell’accento sull’elemento più
sonoro si verifica anche nelle lingue romanze (cfr. sp. “yo” < ěgŏ; ital.
19

“nazione” < nātĭōnĕm, ecc.): così lat. volg. *fīli̯ólŭs > ital. “figliòlo”, *mŭli̯érem
> ital. ant. “mogliera” (cfr. mŭli̯ērem in Draconzio, perché nel latino volgare la
breve accentata tendeva ad allungarsi; cfr. anche CIL X, 1889 Puteólis =
“Pozzuoli”), păríětem > lat. volg. *pări̯étem > ital. “paréte”, lat. volg.
*lintelŭm > ital. “lenzuòlo”;
3.5 3.5.4. 3.5
.4. nel latino volgare i grecismi proparossitoni con la penultima lunga
conservano l’accentazione greca: es. ἔρηµος > lat. éremus > ital “éremo”,
εἴδωλον > lat. ídŏlŭm > ital. “ídolo”. Cfr., già nel latino arcaico, ἄγκῡρα > lat.
áncŏră.
4. 4. RIDUZIONI RIDUZIONI VOCALIC VOCALICHE VOCALIC HE IN IN PARTE DOVUTE
ALL’INTENSITA’ ALL’INTENSITA’ ALL’INTENSITA’ INIZIALE
INIZIALE
4.1. 4.1. Mutamento Mutamento del del timbro timbro delle delle vocali vocali brevi brevi in in sillaba sillaba post-
post
tonica tonica tonica (cosiddetta (cosiddetta (cosiddetta ‘apofonia ‘apofonia latina’) latina’)
latina’)
Verso il IV secolo a.C. subiscono riduzione le vocali brevi interne interne, interne interne
diversamente le finali, perché queste ultime avevano un regime loro proprio.
4.1.1. 4.1.1. In sillaba aperta la vocale breve si chiude in modo diverso a seconda del
fonema vicino:
> ŭŭŭŭ davanti a u̯, con semplificazione della grafia ŭu̯ in ŭ: es. *ablăăăău̯ō > *ablŭŭŭŭu̯ō >
ablŭō, *dē nŏŏŏŏu̯ō(d) > *dēnŭŭŭŭu̯ō > dēnŭō, *dŏmăăăău̯ai̯ > ****dŏmŭŭŭŭu̯ī > dŏmŭī;
> ŭŭŭŭ oppure oppure ĭĭĭĭ (sonus medius: vedi sopra, p. 4) davanti a consonante labiale (b, p,
m, f): es. quodlĭĭĭĭbet / lŭŭŭŭbet (> lĭĭĭĭbet per analogia), *prŏhăăăăbĕō > prŏhĭĭĭĭbĕō,
*ău̯(ĭ)căăăăpĕs > aucŭŭŭŭpĭs (genitivo di *ău̯ĭcăăăăps > *ău̯(ĭ)cĕĕĕĕps > aucĕĕĕĕps), tăăăăbernă ma
contŭŭŭŭbernālĭs, ĕĕĕĕmō / exĭĭĭĭmō, mănĭĭĭĭbŭs / arcŭŭŭŭbŭs, aurĭĭĭĭfex / aurŭŭŭŭfex, legĭĭĭĭmŭs /
possŭŭŭŭmŭs; per il superlativo suffissale in -ŭŭŭŭmŭs / -ĭĭĭĭmŭs vedi sotto, § 14.3.
Talora la scelta vocalica sembra influenzata dal timbro della vocale iniziale (es.
uŏlŭŭŭŭmŭs, possŭŭŭŭmŭs) o della vocale successiva (es. accĭĭĭĭpĭō vs. occŭŭŭŭpō);
> > > ĭĭĭĭ davanti a l palatale (cioè geminata, opp. iniziale o interna di parola quando è
seguita da i) ma > ŭŭŭŭ davanti a l velare (cioè finale di parola o, all’interno, quando è
seguita da a, o, u opp. consonante) 23: sĭmĭĭĭĭlis / sĭmŭŭŭŭl; *fămĕĕĕĕlĭă > fămĭĭĭĭlĭă / *fămĕĕĕĕlŏs
23 Più incerta è la situazione quando la l è seguita da e.
20

fămŭŭŭŭlŭs (fămŭl in Enn. ann. 313 S.) 24, *con-sŏl-ĭ-ŏm > consĭlĭŭm, *consŏl >
consŭl, Sĭcĭĭĭĭlĭă / Sĭcŭŭŭŭlŭs, *ob-cĕĕĕĕlō > occŭŭŭŭlō, *exsăăăălĭō > exĭĭĭĭlĭō, ma exuuuultō; dalla
radice ĕl- (cfr. ἔλ-θον) derivano ambŭŭŭŭlō ed exĭĭĭĭlĭŭm / exŭŭŭŭl;
> > > ŏŏŏŏ davanti a l velare, quando la vocale ridotta si trova in iato, preceduta da ĭ opp.
ĕ (līnĕŏ ĕŏlă, ĕŏ ĕŏ cfr. fīlĭŏ ĭŏlŭs), ĭŏ ĭŏ mentre > ĕĕĕĕ davanti ad altra consonante (ēbrĭĕ ĭĕ ĭĕtās ĭĕ vs.
dignĭĭĭĭtās; cfr. ăbĭĕ ĭĕ ĭĕtĭs ĭĕ genitivo di ăbĭēs);
> > ĕĕĕĕ davanti a r (cĭnĭĭĭĭs / cĭnĕĕĕĕrĭs, puluĭĭĭĭs / puluĕĕĕĕrĭs, uulnŭŭŭŭs / uulnĕĕĕĕrĭs, dăăăărĕ /
reddĕĕĕĕrĕ, Făliscī / Fălĕĕĕĕrĭī, păăăărĭō / pĕpĕĕĕĕrī e rĕpĕĕĕĕrĭō; păăăărō / impĕĕĕĕrō e forse rĕcŭpĕĕĕĕrō
e rĕcĭpĕĕĕĕrō [se il composto deriva dal tema nominale rĕcŏ- (= “volto indietro”) + il
verbo păăăărō]);
> > ĭĭĭĭ negli altri casi; es. lĕĕĕĕgō / collĭĭĭĭgō, pĕĕĕĕtō / compĭĭĭĭtŭm (= “crocicchio”), făăăătĕŏr /
confĭĭĭĭtĕor, făăăăcĭēs / superfĭĭĭĭcĭēs, stăăăătŭō / restĭĭĭĭtŭō, dăăăătŭs / perdĭĭĭĭtŭs, dĕĕĕĕdī / perdĭĭĭĭdī,
ăăăăgō / exĭĭĭĭgō, tăăăăcĕō / rĕtĭĭĭĭcĕō, taaaangō / tĕtĭĭĭĭgī, *inrăăăătŭs > irrĭĭĭĭtŭs, inclŭŭŭŭtŭs > inclĭĭĭĭtŭs
(dal verbo clŭĕō = “sono glorioso”), *in stlŏŏŏŏcōd > īlĭĭĭĭcō, căpŭŭŭŭt / căpĭĭĭĭtĭs, ăgrŏŏŏŏcŏlă
> ăgrĭĭĭĭcŏlă, căăăădō / accĭĭĭĭdō;
La ĭĭĭĭ rimane tale (es. praeuĭĭĭĭdĕō, ēuĭĭĭĭdens, suscĭĭĭĭtō, commĭĭĭĭnŭō).
4.1.2. 4.1.2. In sillaba chiusa, dalla fine del III sec. a.C., la vocale breve si riduce così:
ăăăă > ĕĕĕĕ (aaaarcĕō / cŏeeeercĕō; faaaactŭs / perfeeeectŭs; aaaannŭs / bĭeeeennĭŭm, pĕreeeennĭs; aaaaptŭs
/ ĭneeeeptŭs; aaaarmă / ĭneeeermĭs; barba / imberbĭs; daaaamnō / condeeeemnō, indemnĭs;
per in-taaaag-rŏ-m > inteeeegrum vedi sopra, § 3.5.1).
ŏŏŏŏ > ŭŭŭŭ (amp(h)ŏŏŏŏră / *ampŏŏŏŏr(ĕ)lă > ampuuuullă; uĕnŏŏŏŏs [> uĕnŭŭŭŭs] / uĕnuuuustŭs;
*mŏŏŏŏnt(ĭ)s > mōōōōns / prōmŭŭŭŭntūrĭŭm (< prōmŭŭŭŭntōrĭŭm < prōmŏŏŏŏntōrĭŭm 25 );
sĕquoooontŭr > sĕquuuuuntŭr.
Davanti a r la ŏŏŏŏ non si chiude in ŭ: es. extoooorrĭs (= esule; cfr. terrā), ēnoooormĭs.
Davanti a l velare la vocale breve si oscura in ŭŭŭŭ (vedi § 4.1.1): es. *exsăăăăltō >
exsuuuultō, ăăăăltĕr / ăduuuultĕr.
Altre volte si producono ulteriori passaggi che si aggiungono alla riduzione
vocalica; ad es. una vocale breve > ĭĭĭĭ davanti a nasale palatale: *attaaaangō >
*atteeeengō > attiiiingō; *conpaaaangō > *conpeeeengō > compiiiingō.
Le altre vocali brevi conservano il loro timbro.
24 Cfr. Paul. Fest., p. 77, 11s.: Famuli origo ab Oscis dependit, apud quos seruus famel nominabatur,
unde et familia uocata.
25 Composto da prō-mont- e la radice di ōră (= spiaggia); cfr. terrĭtōrĭŭm.
21

4.1.3. 4.1.3. Non subiscono riduzione i composti che si producono quando ormai la
componente intensiva, nell’accento latino standard, era stata accantonata:
es. ădăăăămō (= “innamorarsi”), pĕrăăăăgrō (= “girovagare”, vs. avv. pĕrĕĕĕĕgrē,
pĕrĕĕĕĕgrīnŭs).
4.1.4. 4.1.4. Gli effetti della riduzione sono comunque controbilanciati dall’analogia analogia analogia, analogia e il
vocalismo è restituito per ricomposizione
ricomposizione: ricomposizione
es. rĕuŏŏŏŏcō, obtĕĕĕĕgō, concăăăădō 26
(vs. concĭĭĭĭdō), sĕd-păr-ō > sēpăăăărō > fr. “sépare”, it. “sepàro” (vs. *sēpĕĕĕĕrō [cfr.
it. dotto “scévero”] > fr. “sèvre” = “svezzo”; cfr. *exsépĕĕĕĕrat > it. “scévera”),
compăăăărō (vs. *compĕĕĕĕrō > it. “comp(e)ro”), appĕĕĕĕtō, cŏmĕĕĕĕdō, subuĕĕĕĕnĭō.
Festo (p. 375 L.) citando Lucilio (SP 18 Charpin) segnala:
Redarguisse per E litteram
Scipio Africanus, Pauli filius,
dicitur enuntiasse, ut idem
etiam pertisum; cuius meminit
Lucilius, cum ait: «Quo
facetior uideare et scire plus
quam caeteri, / pertisum
hominum, non pertaesum
dicere; † ferum nam † genus».
Si dice che Scipione Africano,
figlio di Paolo 27 , pronunciava
rederguisse con la E, come
anche pertisum; Lucilio ne fa
menzione quando dice: «per
apparire un po’ spiritoso, e far
vedere che ne sai più degli
altri, dire pertisum hominum e
non pertaesum: razza di
misantropo...».
Cicerone poi conferma che anche al tempo suo pertisum era un arcaismo
sponsorizzato dagli analogisti ma non recepito dal linguaggio corrente (orat.
159: pertisum etiam uolunt, quod eadem consuetudo non probauit).
Per analogia (rispetto al proprio aggettivo verbale o participio passato) si
producono anche perpĕĕĕĕtĭŏr (cioè: paaaassŭs : păăăătĭŏr = perpeeeessŭs : perpĕĕĕĕtĭŏr),
congrĕĕĕĕdĭŏr, ecc.;
il tipo intĕĕĕĕgĕr è analogico di intĕĕĕĕgră e intĕĕĕĕgrŭm;
sono analogici i casi obliqui di tempŏŏŏŏs (> tempŭs), cioè tempŏŏŏŏrĭs ecc. (ma
cfr. il regolare avverbio tempĕĕĕĕrī).
4.1.5. 4.1.5. 4.1.5. Resistono alla riduzione – per attrazione vocalica – tipi come ălăăăăcĕr (ma
dovette esistere, nel latino volgare, anche la forma ridotta *ălĭĭĭĭcĕr, genitivo
*ălĕĕĕĕcrĭs, giacché l’ital. “allegro” si configura come esito romanzo di *alécrum,
per cui cfr. § 3.5.1).
26 È attestato solo in Sen. nat. quaest. 6, 1, 9 (...nihil itaque interest utrum ... solus in illud [scil.
uastum terrarum dehiscentium sinum] profundum, an cum magno comitatu populorum
concadentium concadentium
concadentium
concadentium ferar = “non c’è alcuna differenza se ... precipito da solo in quella voragine [cioè in una
grande spaccatura apertasi nel terreno] o se ci precipito in compagnia di molta gente che cade
insieme”).
27 Si tratta quindi di Scipione l’Emiliano, detto anche “Africano minore” (185-129 a.C.).
22

4.1.6. 4.1.6. A seguito della riduzione della vocale breve in sillaba chiusa da semivocale, i
dittonghi si chiudono (ăăăău > ĕĕĕĕu > ū, ăăăăi > ĕĕĕĕi > ī): es. caaaausă / accūūūūsō, aaaaestĭmō /
exīīīīstĭmō, caaaaedō / occīīīīdō, cĕcīīīīdī, laaaaedō / collīīīīdō. Da claaaaudō, per analogia
con i composti (in cui il dittongo si era ridotto a ū), nel latino colloquiale
(cfr. anche Quint. inst. 1,5,31, qui sopra, p. 15) è attestato clūūūūdō (> it.
“chiudo”).
4.1.7. 4.1.7. Non risentono della riduzione vocalica quei composti composti che, formati da prefissi
non monosillabici, venivano sentiti come giusta giustapposizioni
giusta
pposizioni più che come veri
composti: es. circumsĕĕĕĕdērĕ (vs. consĭĭĭĭdērĕ), uēnumdăăăărĕ (= “dare in vendita”) e
circumdăăăărĕ (= “porre intorno”; per le due diverse radici vedi sotto, p. 35),
ārĕfăăăăcĕrĕ, *călēfăăăăcĕrĕ > călĕfăăăăcĕrĕ (per abbreviamento giambico) > călfăăăăcĕrĕ
(per sincope), assuefăăăăcere (da *ad-suĕō + făcĭō). Il primo elemento funge da
avverbio proclitico 28 e i preverbi călē, ārē, ecc. derivano forse da locuzioni
impersonali del tipo căle(ns) fīt > călē fīt. Trattandosi di giustapposizioni, nel
latino arcaico primo elemento può anche trovarsi svincolato dal verbo: es.
feru bĕnĕ făcĭtō (= “scalda bene”; Cato agr. 47,157), consu quŏquĕ făcĭunt
(= “avvezzano anche”; Varro rust. 2,9), excand mĕ fēcērunt cŭpĭdĭtātĕ (= “mi
hanno fatto accendere di desiderio”; Varro rust. 3,4).
Furono invece percepiti come veri composti circumĭĭĭĭcĕrĕ e circumgrĕĕĕĕdī.
In quanto giustapposizioni e non veri composti, le locuzioni verbali formate
con făcĭō ricorrono per il passivo all’uso di fīō (es. călēfīō, e quindi călēfís
ecc.: vedi sopra, § 3.3). I composti con riduzione vocalica fanno invece
regolarmente, al passivo, confĭcĭŏr ecc.
4.2. 4.2. Fenomeni Fenomeni di di sincope sincope
sincope
La sincope è l’assorbimento di una vocale breve breve in sillaba sillaba interna interna di parola
(specialmente se la sillaba è aperta aperta), aperta dovuto alla componente intensiva dell’accento.
Es. prop(ĭĭĭĭ)tĕr (= “vicino a qc., lungo qc.” e quindi “a causa di qc.”, vs. prŏpĕĕĕĕ);
audāc(ĭĭĭĭ)tĕr; Hērăăăăclēs (da Ἡρακλῆς) > Herclēs, ma poi > Hercŏlēs (per
anaptissi) > Hercŭlēs; *aeu(ĭĭĭĭ))))tās > aetās; ŏp(ĭĭĭĭ))))fĭcīnă > offĭcīnă, *prae-căp(ŏŏŏŏ))))t-s
(= “a testa avanti”) > praeceps (gen. praecĭpĭtĭs; con riduzione vocalica),
*sēmĭĭĭĭs-tertĭŏs > sestertĭŭs (= “di cui il terzo asse è mezzo”, cioè “2½ assi”);
*post(ĕĕĕĕ)rīdĭē > postrīdĭē, ma postĕĕĕĕrŭs; *praed(ĭĭĭĭ)cō(n) >
praecō 29 ;*quīnqu(ĕĕĕĕ)dĕĕĕĕcĭm > quīndĕĕĕĕcĭm. Si veda così il seguente paradigma
28 Cfr. Prisc. gramm. II, p. 471: A 'do' quoque composita et a monosyllabis praepositionibus tertiae
sunt coniugationis, ut 'addo addis', 'reddo reddis', 'trado tradis', 'prodo prodis'. Nam 'circumdo'
'circumdas' facit, quia 'circum' et disyllabum est et magis aduerbium. Sulle parole proclitiche vedi
anche sopra, § 3.3.
29 V. Pisani, Grammatica latina storica e comparativa, Torino 1948, p. 104, ipotizza invece una
composizione con cōn-, tema radicale di cănō, cfr. cĭcōnĭă.
23

verbale: sĕcō, -ās, sĕcŭī (cfr. dŏmŭī), *sĕcăăăătŭm > *sĕc(ĭĭĭĭ)tŭm (cfr. *dŏmăăăătŭm >
dŏmĭĭĭĭtŭm) > sectŭm, sĕcārĕ.
Esempi di allotropi con o senza sincope, in sillaba aperta: bălĭĭĭĭnĕŭm / balnĕŭm,
sŏlĭĭĭĭdŭs / soldŭs, lārĭĭĭĭdŭm / lardŭm, pŏsĭĭĭĭtŭs / postŭs, * porrĕĕĕĕgō > porrĭĭĭĭgō /
porgō (composto con lo stesso prefisso presente in portendō), * subrĕĕĕĕgō >
subrĭĭĭĭgō / surgō.
Il verificarsi della sincope causa ulteriori trasformazioni:
*ŏp(ĭĭĭĭ)fĭcīnă > off ff ffĭcīnă ff (con assimilazione regressiva), ma ŏpĭĭĭĭfex;
*pŏ-s(ĭĭĭĭ)nō > pōōōōnō (con allungamento di compenso nella prima vocale: cfr. §
5.5), -ĭs, pŏsīuī (arcaico) o pŏsŭī (analogico, cfr. mŏnŭī), pŏsĭĭĭĭtŭs, pōnĕrĕ;
*sŭps-ĕĕĕĕmō > *sŭs(ĕĕĕĕ)mō > sūūūūmō (composto con il prefisso sŭbs- / sŭps- > sŭs-;
cfr. suscĭpĭō, suscĭtō, sustĭnĕō, sustŭlī);
*iŭu(ĕĕĕĕ)nĭōsēs > iūūūūnĭōrēs, mentre non si produce sincope in iŭuĕĕĕĕnēs (dove la
parola è più breve).
La sincope si sovrappone talora a una riduzione vocalica già avvenuta: *rĕcĕcăăăăd-ai̯
> *rĕ-c(ĕ)cĭĭĭĭdī > reccĭĭĭĭdī; *rĕ-pĕpăăăăr-ai̯ > *rĕ-p(ĕ)pĕĕĕĕr-ai̯ > reppĕrī; *rĕt(ĕ)tŏŏŏŏl-ai̯
> rettŭŭŭŭlī; *rĕ-p(ĕ)pĕĕĕĕl-ai̯ > reppŭŭŭŭlī.
La sincope si verifica più difficilmente in in sillaba sillaba chiusa chiusa: chiusa
es. *i̯ŏu̯(ĕĕĕĕ)stŏs > iūstŭs;
*fău̯(ĕĕĕĕ)stŏs > faustŭs (cfr. făuŏr), vs. mŏdeeeestŭs, uĕnuuuustŭs. La sincope verificatasi in
*ău̯(ĭĭĭĭ)spex > auspex (= “colui che osserva gli uccelli”, “auspice”) è forse ricalcata su
*ău̯(ĭĭĭĭ)cĕps > aucĕps.
In conseguenza della sincope:
la semivocale precedente
si vocalizza, se è preceduta da una vocale dello stesso timbro: *iŭu̯(ĕ)nĭōs >
*iŭŭŭŭŭŭŭŭnĭōs > iūniŏr; *du̯ĭ-i̯ŭgai̯ > *bĭ-i̯ŭgae (cfr. § 7.12) > *bĭ-i̯ĭgae (per
riduzione vocalica) > *bĭ-i̯(ĭ)gae > *bĭĭĭĭ----ĭĭĭĭgae > bīgae;
forma dittongo, se è preceduta da vocale di timbro diverso: *rău̯(ĭ)cŏs (cfr.
rău̯ĭs = “raucedine”) > rau̯cŭs; *fău̯(ĕ)stŏs > fau̯stŭs. C’è inoltre
monottongazione in *i̯ŏu̯(ĕ)stŏs > iūstŭs, prou̯(ĭ)dens > prūdens;
*brĕ(g)u̯(ŭ)ma [dies] > *breu̯ma > brūma;
l’appendice labiale della labiovelare si vocalizza: es. *conquuuu(ă)tĭō > concŭŭŭŭtĭō;
anche le liquide e le nasali si vocalizzano, in sostituzione di vocali sincopate:
*lĭbr(ĕ)lŏs > *lĭbr̥ r̥ r̥lŏs r̥ > *lĭbĕĕĕĕrrrrlŏs > lĭbellŭs (per assimilazione regressiva).
24

4.3 4.3. 4.3
. Mutamento Mutamento del del timbro timbro vocalico vocalico in in sillaba sillaba finale finale chiusa
chiusa
(vocali (vocali brevi) brevi)
brevi)
ĕ > ĭ davanti a occlusiva o sibilante dentale semplice (es. fēcĕĕĕĕd > fēcĭĭĭĭt; lĕg-ĕ-s > lĕgĭ-s);
ŏ > ŭ (es. *dŏmĭnŏŏŏŏs > dŏmĭnŭŭŭŭs); ma la grafia uo persiste fino ai primi secoli
dell’impero (es. ĕquŏŏŏŏm, seruŏŏŏŏs: vedi sopra, p. 10), e davanti a r nel latino standard
si conserva ŏ (es. ămŏŏŏŏr, marmŏr, mĕmŏr), anche se nel latino volgare essa
dovette chiudersi in ŭ (cfr. App. Probi, r. 1, p. 57 Asperti): porphireticum
marmor non purpureticum marmur); diversa situazione in rōbŏŏŏŏs > rōbŭŭŭŭs, la cui
forma alternativa rōbŭŭŭŭr si produce per analogia con le forme rotacizzate presenti
nella declinazione.
4.4 4.4. 4.4
. Mutamento Mutamento del del timbro timbro vocalico vocalico in in sillaba sillaba finale finale aperta
aperta
(vocali (vocali brevi)
brevi)
-ĭ > -ĕ (es. capĕ, marĕ, antĕ, hĕrī > hĕrĭ 30> hĕrĕ); secondo Quint. inst.
1.4.8 (qui sopra, § 1.2) si trattava di un suono intermedio tra ĭ ed ĕ ;
-ŭ > -ŏ (anche in -ŭs e -ŭm, per la labilità di -s ed -m) nel latino volgare;
-ă -ŏ -ĕ sono rimaste intatte (es. ĕquĕĕĕĕ, ĭtăăăă).
4.5. 4.5. Mutamenti Mutamenti quantitativi quantitativi in in sillaba sillaba finale
finale
In sillaba finale la componente vocalica tendeva a subire una diminuzione di durata;
perciò:
-ĕĕĕĕ spesso tende a cadere (apocope o troncamento): es. deind(ĕ) > dein, atqu(ĕ) >
ac, nĕ-qu(ĕ) > nĕc, *nē-u̯(ĕ) > nēu, *sĕi̯-u̯(ĕ) > sēu vs. *sĕi̯-u̯ĕ > sīuĕ (= “o se”),
post(ĕ) > post, uīsn(ĕ) > uīn, uĭdēsn(ĕ) > uĭdĕn (ē > ĕ per abbreviamento
giambico, su cui vedi p. 26), hĭc(ĕ) > hĭc, hă-ī-c(ĕ) > haec, *hŏd-cĕ > hŏcc(ĕ) >
hŏc, dūc(ĕ), dīc(ĕ) [cfr. Plaut. Rud. 124 tu si quid opus est dice — dic quod te
rogo], ĕm(ĕ), uĭr(ĕ), pŭĕr(ĕ), lact(ĕ) > lac, ănĭmāl(ĕ) > ănĭmăl, trĭbūnāl(ĕ) >
trĭbūnăl;
talora la vocale breve subisce sincope in sillaba finale di parola chiusa da s,
quando la sillaba precedente è lunga: es. urb(ĭ)s, art(ĭ)s > ars, sakr(ŏ)s > *sakr̥ >
30 Per la correptio iambica vedi qui sotto, p. 26.
25

săcĕr, Arpīnāt(ĭ)s > Arpīnās. Ma non c’è sincope ad es. in uītĭs, hostĭs, uestĭs,
cīuĭs, fortĭs ecc., e comunque questa tendenza alla sincope sembra poi evitata dal
latino standard: cfr. App. Probi, r. 74, p. 59 Asperti orbis non orbs.
Non c’è sincope quando la sillaba precedente è breve (es. cŭtĭs, sĭtĭs, pŏtĭs), ma
c’è sincope nel composto, forse per la maggiore corposità della parola (es.
*compŏt(ĭ)s > compŏs).
Ma in sillaba finale chiusa da consonante diversa da ssss
la vocale vocale lunga lunga si si abbrevia, abbrevia, se non è accentata accentata: accentata
es. ōrātōr > ōrātŏr, ăm-ā-t >
ămăt (ma ămās), cantā-bă-m (ma cantābās), ănĭmăl (vs. genit. ănĭmālĭs);
se la vocale è accentata, non si abbrevia: es. illīc(ĕ), illūc(ĕ);
nei monosillabi la vocale si abbrevia soltanto davanti a m e t: es. flĕt, scĭt,
rĕm, uĭm, dĕt (ancora dēt in Plauto), ma si conserva la lunga in sōl, uēr,
fūr, uīn, ecc.
L’abbreviamento bbreviamento giambico giambico (detto anche correptio iambica o norma della breuis
breuians) è fenomeno del parlato veloce, da noi riscontrabile in metrica: una
sequenza giambica ( ˇ ˉ ) viene infatti utilizzata come pirrichia ( ˇ ˇ ) nella metrica
arcaica (anche in polisillabi); in età classica l’abbreviamento si verificava soltanto
con parole di uso frequente (es. bĕnĕ, mălĕ vs. prŏbē, cĭtŏ vs. rĕtrō, hăuĕ vs. lat.
standard ăuē (cfr. Quint. inst. 1, 6, 21), interiezione pŭtă vs. imper. pŭtā,
avverbio proibitivo căuĕ vs. imper. căuē (così Cicerone attesta (diu. 2, 84) che il
grido di un venditore di fichi (cauneas! = “[vendo fichi] di Cauno!”) fu
interpretato, alla vigilia della spedizione di Crasso contro i Parti, come un
monito a non partire (= căuē nē eas > cău(ĕ) n(ē) eas );
pertanto hĕrī > hĕrĭ (e quindi > hĕrĕ : cfr. Quint. inst. 1,4,8 e 7,22; vedi qui
sopra, p. 4 s.);
*nĕ-hīlŭm [cfr. Enn. ann. 14 terrăque corpus / quae dĕdit ipsă căpit nĕquĕ
dispendī făcĭt hīlŭm = “e la terra, che ha dato il corpo, se lo riprende e non ne
spreca nemmeno un briciolo”] 31 > *nĭhīlŭm (per assimilazione regressiva) >
*nĭhīl (per apocope causata da generalizzazione della forma antevocalica) > nĭhĭl
[cfr. *n(ĕ) oinŏm > *n-oen(ŭm) > nōn].
4.6. 4.6. 4.6. Monottongazione Monottongazione in in sillaba sillaba finale
finale
----oooou̯ u̯ u̯ u̯ > > > > ----ō̩ ō̩ ō̩ ō̩ >>>> -ūūūū: così ad es. *fructou̯-ŏs > *fructū-ŏs > fructŭŭs > fructūs è
genitivo di registro standard, ma Suet. Aug. 87 ci attesta che Augusto nelle
lettere familiari usava il genitivo dŏmōōōōs – forma dialettale, con desinenza in
31 Il termine hīlum indicava “una cosa insignificante”, ad esempio il peduncolo della fava (cfr. Paul.
Fest., p. 90 L. quod grānō făbae ădhaerĕt). Sua forma rinforzata è fīlum (cfr. Varro ling. 5,113 fīlŭm,
quod mĭnĭmŭm est hīlŭm; id ĕnim mĭnĭmŭm est in uestĭmentō).
26

grado zero (-s) – invece della forma allora corrente dŏmŭŏs (cioè *dŏmou-ŏs
> *dŏmū-ŏs > dŏmŭ-ŏs > *dŏmŭ-ŭs > dŏmūs; vedi anche sotto, § 12);
----eeeei̯ i̯ i̯ i̯ > > -ē̩ ē̩ ē̩ ē̩ > > -īīīī (es. sĭbei ei ei ei [ancora nel Senatusconsultum de Bacchanalibus del
186 a.C., CIL I 2 2, 581, r. 4: qui sotto, p. 113] > sĭbēēēē [ancora preferito dai
padovani Tito Livio e Asconio Pediano, secondo Quint. inst. 1,7,24] > sĭbīīīī
[che diventa sĭbĭ per abbreviamento giambico]); allo stesso modo essi
scrivevano quăsēēēē (< *quă(m)-sei ei), ei ei che al tempo di Quintiliano era ormai
normalizzato in quăsīīīī > quăsĭ; le tre diverse fasi grafiche sono compresenti in
CIL XIV, 2090 Iūnōnē Seispĭtei Mātrī;
----aaaai̯ i̯ i̯ i̯ > > > > ----eeeei̯ i̯ i̯ i̯ >>>> -ē̩ ē̩ ē̩ ē̩ > -īīīī : cfr. ad es. la desinenza del perfetto (-aaaai̯ i̯ i̯ i̯ > -īīīī) e il dat. e abl.
plur. della prima declinazione, cioè dei temi in -ā- (*rōsāāāā----ĭĭĭĭs > *rōsai̯ ai̯ ai̯s ai̯ > rōsīīīīs).
Invece non sono originariamente dittonghi, come vedremo (§ 9), le altre
uscite della prima declinazione che nel latino classico presentano -ae
(genitivo, dativo e locativo sing., nom e voc. plur.): perciò in poesia il gen.
sing. in -āī (cioè con uscita bisillabica) persiste in Lucrezio e qualche volta
anche in Virgilio;
----ooooi̯ i̯ i̯ i̯ > > > > ----eeeei̯ i̯ i̯ i̯ >>>> -ēēēē chiusa [cfr. ploirumeeee in CIL I 2 , 9, 1, fine III a.C.] > īīīī (es. *u̯ĭrooooi̯ i̯ i̯ i̯ >
uĭrīīīī; dōnooooi̯ i̯ i̯s i̯ > dōnīīīīs); mentre l’osco e l’umbro conservavano l’uscita
indoeuropea in -ōs per il nomin. plur. della seconda declin., il latino l’ha
sostituita con la desinenza del dimostrativo (-ŏ-ĭ > -ŏi̯, cfr. hŏ-ĭ > hŏi̯ > hĕi̯ >
hī), dittongo di cui è attestata la trascrizione modernizzata in -oe (es. Fest.
224, 4 pīlumnoe poploe, in carmĭnĕ salĭārī, uĕlut pīlīs utī assŭetī, uel quĭa
praecĭpŭĕ pellant hostĭs); il titolo terenziano Adelphoe è semplice trascrizione
del greco ἀδελφοί.
5. . TRA TRASFORMAZIONI TRA SFORMAZIONI VOCALICHE IN SILLABA NON NON NON FINALE
5.1. 5.1. Mutamenti Mutamenti qualitativi qualitativi
qualitativi
ĕ > ĭĭĭĭ davanti a nasale palatale: es. *ad-taaaangō > *adteeeengō > attiiiingō; *subpangō
> *suppengō > suppingō (= “conficco al di sotto”); *con-frangō >
*confrengō > confringō; leg-nŏ-m > lignŭm; *septemcentī > septingentī;
sec-nŏ-m > signŭm (la velare si sonorizza davanti a nasale: cfr. segmentŭm).
ĕ > ŏ > ŭ davanti a l velare: es. sĕpuuuultŭs vs. sĕpĕĕĕĕlĭō; *in-salsŭs > *inseeeelsŭs >
insuuuulsŭs, uŏŏŏŏlō (in cui uŏŏŏŏ---- è forma grafica disassimilata per evitare l’ambiguità
della grafia uu: vedi sopra, § 1.5) vs. ueeeellĕ. Tuttavia ĕ non si modifica se è
preceduta da un’occlusiva palatale: es. scĕĕĕĕlŭs, gĕĕĕĕlū; forme come concuuuulcō
27

sono quindi non fonetiche ma analogiche (dal tipo *exsaltō > *exseeeeltō >
exsuuuultō).
ŏ > ŭ davanti a l velare: es. cŏlŭmĕn > culmĕn; stŏlĭdŭs > stultŭs; il
mutamento è nascosto in grafie di età repubblicana quali uolgŭs, uolpēs (vedi
sopra, § 1.5).
-u̯ŏ- > -u̯ĕ- davanti a r o s a chiusura della sillaba e davanti a t che apre la
sillaba successiva, verso la metà del II sec. a.C.: es. uortěrě > uertěrě, uostěr >
uestěr, uŏtārě > uětārě). Cfr. Quint. inst. 1,7,25: Quid dicam ‘uortices’ et
‘uorsus’ ceteraque in eundem modum, quae primus Scipio Africanus in e
litteram secundam uertisse dicitur?
Dīuortĭŭm (più frequente di dīuertĭŭm) è arcaismo di origine giuridica.
5.2 .2 .2. .2 . Tendenza Tendenza rustica rustica alla alla mmonottongazione
m onottongazione
ei̯ ei̯ ei̯ ei̯ > > > > ē ē ē ē (cfr. Varro rust. 1,48,2 spica[m] autem, quam rustici, ut acceperunt
antiquitus, uocant specam) > > > > īī
īī
nella seconda metà del II a.C. (es. *feeeei̯ i̯ i̯dō i̯ >
fīīīīdō, *deeeei̯ i̯ i̯cō i̯ > dīīīīcō, *ceeeei̯ i̯ i̯uĭs i̯ > cīīīīuĭs)
ai̯ ai̯ ai̯ ai̯ > ae ae ae ae dal III a.C. (ma nella pronuncia extraurbana > ē aperta, a partire
dall’inizio del II a.C.). La forma ortografica ae si conserva anche quando la
pronuncia popolare era mutata: ad es. già in Plauto si trova prĕhendō [<
prēēēēhendō < *prae ae aehendō ae < *praaaai̯ i̯hendō] i̯ i̯ e anche la sua forma contratta prendō).
Talvolta la η greca (ē aperta) veniva trascritta ae (es. σκηνή > scae aenă, ae ae anche se
Accio (secondo Varro ling. 7, 96) patrocinò la traslitterazione scēēēēnă). Cūmae ae ae ae
(“plurale tantum”) è trascrizione latina di Κύµη. L’imperatore Claudio
ripristinò la pronuncia e la grafia Cai aisar, ai ai che si ritrova in iscrizioni di quel
periodo e nel got. kai ai aisar ai (Bibbia di Wulfila, IV sec. d.C.), mentre Grae aecus, ae ae
ormai pronunciato Grēēēēcus, diede il got. Krēēēēks;
oi̯ oi̯ oi̯ oi̯ > oe oe oe oe (s. III a.C.)
ma (dal II a.C.) spesso oi̯ oi̯ oi̯ oi̯ > > ōōōō chiusa (cfr. n(ĕ) oi oinŏ(m) oi oi > noe oe oen(ŭm) oe > nōōōōn; dal
tema mooooi̯ i̯ i̯-nĭ- i̯ [= prestazione, impresa, incarico] derivano pătrĭ-mōōōōnĭŭm,
mātrĭ-mōōōōnĭŭm, mercĭ-mōōōōnĭŭm, uādĭmōōōōnĭŭm, testĭmōōōōnĭŭm)
e poi > ūūūū (es. ooooi̯ i̯ i̯nŏs i̯ > ūūūūnŭs, *n(ĕ) oi oinŏlŏs oi oi > nūūūūllŭs, looooi̯ i̯ i̯dŏs i̯ > loe oe oedŏs oe >
lūūūūdŭs, *plooooi̯ i̯ i̯s i̯ > plūūūūs, plooooi̯ i̯ i̯rŭmē i̯ > plūūūūrĭmī; *com-mooooi̯ i̯ i̯-nĭ-s i̯ > commūūūūnĭs;
immūūūūnĭs; mūūūūnŭs).
Nel Senatus consultum de Bacchanalibus (CIL I 2 2, 581, r. 11; qui sotto, p.
114), del 186 a.C., è ancora attestato comooooi̯ i̯nem i̯ i̯ (= commūūūūnem), e in Plauto e
altri autori arcaici troviamo ancora quooooi̯ i̯us i̯ i̯ (< *quoi̯ŏs) per cūūūūi̯ŭs (vedi sotto, §
16.2).
Il dittongo oi̯ oi̯ oi̯ oi̯ non si monottonga ma si ferma a oe oe oe oe quando è preceduto da
occlusiva labiale (p) o da fricativa labiodentale sorda (f ) e non presenta una i
nella sillaba successiva: foedŭs, Poenŭs vs. Pūnĭcŭs.
28

Moenĭă vs. mūnĭō e mūrŭs si può forse spiegare con la necessità di
differenziare *mūnĭă (= “fortificazioni”) da mūnĭă (= “prestazioni, incarichi”),
allotropo di mūnĕră, sfruttando l’analogia con poenă / pūnĭō.
Ma pūnĭō è forse verbo denominativo da *pūnĭs (attestato in im-pūnĭs) e
poenă è forse forma ipercorretta per pēnă (< *pend-snă: cfr. pendere poenas, a
partire da Plauto), trascritto poenă sul modello di ποινή. Infatti nel latino
volgare oe oe oe oe > > ēēēē aperta a partire dall’inizio del II a.C. (unico esempio antico:
pōmērĭŭm < *post-moi̯rĭŏm): già in un graffito pompeiano si legge Pheeeebus
per Phoe oebus; oe oe quindi talora oe è ipercorrettismo per ē, mentre in coena (per
cēnă < cesnă < *cer-snă) il dittongo viene interpretato come analogico da
Isidoro (orig. 20, 2, 14 coenam uocari a communione uescentium: κοινὸν
quippe Graeci commune dicunt…).
u̯ u̯oi̯ u̯ u̯ oi̯ oi̯ oi̯ > > > > u̯ u̯ei̯ u̯ u̯ ei̯ ei̯ ei̯ > > > u̯ u̯ēēēē u̯ u̯ chiusa (II a.C.) > > > > u̯īīīī: u̯ u̯ u̯ es. *u̯oi̯d-ai̯ (cfr. ϝοῖδα) > uīdī.
In aree extraurbane la monottongazione si fermava a u̯ē: : tale pronuncia si
riflette talora in esiti romanzi, come fr. “voisin” < *u̯ u̯ u̯ēēēēcīnus u̯ (lat. urbano:
uuuuīīīīcīnŭs ; il lat. u̯ u̯ei̯ u̯ u̯ ei̯ ei̯cŏs ei̯ > > uuuuīīīīcŭs corrisponde al greco ϝοῖκος > οἷκος);
eeeeu̯ u̯ u̯ u̯ >>>> oooou̯ u̯ u̯ u̯ > > ō ō ō ō > ūūūū (es. *deu̯cō > dou̯cō > dūcō; *bre(g)u̯(ŭ)mă [dies] > *breu̯mă
> brūmă; Πολ(υ)δεύκης > Pŏlou̯cĕs > Pollūx) ;
oooou̯ u̯ u̯ u̯ > > ō ō ō ō > ū ū ū ū (es. loucos > lūcŭs, il nome della dea Lūcīnă attestato in iscrizioni
arcaiche anche come Lōcīnă e Loucīnă; cfr. anche *lou̯c-snă [cfr. lūcĕō] >
lūnă, ma prenestino Lōsna);
aaaau̯ u̯ u̯ u̯ (quando non si è alterato in -eu̯ in sillaba interna: cfr. § 4.1.6) persiste
nella lingua letteraria ma passa a ōōōō aperta nella lingua rustica (es. aulă / ollă,
lautŭs / lōtŭs; cfr. anche Fest., p. 196, 26-28: orata genus piscis appellatur a
colore auri, quod rustici orum dicebant, ut auriculas, oriculas).
L’it. ‘códa’ continua dunque il lat. volg. cōdă (vs. lat. standard caudă), già
attestato da Cicerone e Varrone, mentre ‘causa’ e ‘aureo’ vengono dalle
corrispondenti parole latine con dittongo au conservato.
Per ipercorrettismo *plōōōōdō (cfr. i composti: explōdō, non *explūdō, ecc.) >
plau audō. au au
La tendenza alla monottongazione si prolunga nel tempo, tanto che alla fine
della latinità si monottongano anche dittonghi secondari, come nel caso di
părăbŏlă > pără(u̯)ŏla > paráula > ital. “paròla”.
Nel latino volgare di età imperiale au atono si riduce ad a quando la sillaba
successiva conteneneva u opp. o (es. AAAAgustus per Au Augustŭs; Au Au AAAAgusta > it.
‘Aosta’; ascultārĕ per auscultārĕ).
au au au
29

5.3 5.3. 5.3
. Abbreviamento Abbreviamento Abbreviamento di di vocali vocali lunghe lunghe seguite seguite - ma non
precedute precedute - da vocale
es. flēō > flĕō vs. flērĕ, sŭō vs. sūtor, rĕī vs. rēs, fĭdĕī vs. fĭdēs, ma dĭēī,
spĕcĭēī). Di qui l’accorgimento metrico del cosiddetto ‘iato prosodico’ (es. Verg.
ecl. 8, 108: credimus? an, quĭĭĭĭ amant, ipsi sibi somnia fingunt?).
Nei testi arcaici l’abbreviamento della uocalis ante uocalem non è sempre
compiuto (si trova ad es. ancora fĭdēī in Plauto, fūissĕt in Ennio).
Non mostrano abbreviamento alcune forme del verbo fĭĕrī (es. fīō, fīunt,
fīēbam, fīăm; cfr. § 15.8.2), il genitivo pronominale (per lo più in -īŭs, ma talora in
-ĭŭs), parole dotte derivanti dal greco (es. āēr, āĕris, Dīānă ma talora Dĭānă).
5.4 5.4. 5.4
. Contrazioni Contrazioni vocaliche
vocaliche
Il latino tende a evitare lo iato (cfr. ad es. Cic. orat. 77 e 150). Perciò:
*bĭ-hĭm-ŏs > bīmŭs; consĭlĭī > consĭlī (consĭlĭī per restituzione analogica);
*nĕ(h)ĕmō > nēmō; *dē-ĕmō > dēmō; *dē-ăgō > dēgō; perf. *dē-ēgai̯ > dēgī;
*cŏ-ŏpĭă (cfr. ĭn-ŏpĭă) > cōpĭă; *cŏ-ōr-ăm (da ōs, ōrĭs; cfr. avv. pălăm, clăm) >
cōrăm; *cŏ-ăgō > cōgō (ma non c’è contrazione in cŏ-ēgī e cŏ-āctus: vedi sotto, §
5.7); *cŏ-ăgĭtō > cōgĭtō.
La contrazione delle vocali contigue si verifica quindi anche in caso di caduta
della u̯ davanti a vocale velare o in posizione intervocalica (vedi anche sotto, §§ 7.17
e 7.18): *oblī(u̯)ĭtŏs > oblītŭs; sī (u)īs > sīs; genit. dī(u̯)ĭtis > dītĭs; ppf. dēlē(u̯)ĕrām >
dēlērăm; lă(u̯)ātrīna > lātrīnă; *rĕtrō(u̯)ŏrsŭm > rĕtrōrsŭm; măg(ĭ)s u̯ŏlō >
*mā(u̯)ŏlō > mālō (per l’allungamento di compenso della vocale della prima sillaba
vedi sotto, § 5.7).
Si produce invece dittongo, dopo la riduzione vocalica, in *cŏ-ăpĭō > *cŏ-ĭpĭō
> arc. coepĭō (da cui il perf. coepī); *cŏ-ĭtŭs> coetŭs (“coito” è tecnicismo medico
e quindi esito dotto).
Cfr. anche forme arcaiche o arcaizzanti del tipo audīstĭs, pĕrīssĕ.
5.5 .5 .5. .5 . Allungamento Allungamento di di compenso compenso davanti davanti a a sibilante sibilante assorbita
assorbita
dalla dalla successiva successiva consonante consonante consonante sonora
sonora
es. pŏŏŏŏ-s(ĭ)nō > pōōōōnō, *dĭĭĭĭs-nōscō > dīīīīnōscō vs. dĭĭĭĭs-cēdō; *dĭĭĭĭs-lĕgō > dīīīīlĭgō; *sĕĕĕĕxdĕcĭm
> sēēēēdĕcĭm, *ĭs-dem > īdem, *scand-slă > scāāāālă, *subs-(ĕ)mō > sūmō, *sĭĭĭĭsdō >
sīīīīdō.
30

5.6 .6 .6. .6 . Allungamento Allungamento di di compenso compenso davanti davanti a a nasale nasale assorbita
assorbita
dalla dalla successiva successiva fricativa fricativa (
( (----ns ns ns----, ns , , , ----nf nf-) nf nf
Cicerone (oltre a testimonianze epigrafiche) fornisce esempi di tale
allungamento della vocale, anche quando l’ortografia standard reintroduceva la
nasale:
... indoctus dicimus breui prima
littera, insanus producta; inhumanus
breui, infelix longa.
Cic. orat. 159
... diciamo indoctus con l’iniziale
breve, insanus con la lunga;
inhumanus con la breve, infelix con
la lunga.
La debolezza della nasale davanti a sibilante, abbondantemente confermata
dall’uso epigrafico (cfr. COSS. = consulibus), è menzionata anche da Quintiliano
(inst. 1,7,29): ... consules exempta n littera legimus … (= “... consules lo leggiamo
senza far sentire la n ...”).
5.7 .7 .7. .7 . Allungamento Allungamento di di compenso compenso davanti davanti a a consonante
consonante
assordatasi assordatasi per per assimilazione assimilazione davanti davanti a a una una una sorda
sorda
È la cosiddetta “legge di Lachmann”: es. ăgō ma āctŭs e āctĭtō (perciò non c’è
contrazione in cŏ-āctŭs [part. passato di *cŏ-ăgō > cōgō] e nel composto [es. *rĕdăgtŭs
> rĕdāctŭs] la a non subisce riduzione vocalica perché è lunga [vs. perfĕctŭs]);
cfr. Gell. 9, 6, 3: ‘actito’ producte in prima syllaba pronuntiandum.
Altri esempi: frăngō (cfr. frăgĭlĭs) ma frāctŭs; lĕgō ma lēctŭs (e lēctŏr; cfr. ital.
“lèggere” e – per analogia – “io ho lètto”, vs. “lẹttore”); rĕgō (ital. “règgere”) ma
rēctŭs (per analogia con il resto della coniugazione, in italiano il part. passato è
“rètto”) e rēctŏr ; tĕgō ma tēctŭs; cădō ma *căd-tŏs > cās(s)ŭs; ĕdō ma ēs(s)ŭs.
L’allungamento però non si verifica in strĭctŭs (cfr. ital. ‘strẹtto’).
6. . TRASFORMAZIONI VOCALICHE RISALENTI
ALL’APOFONIA ALL’APOFONIA INDOEUROPEA
INDOEUROPEA
INDOEUROPEA
Nelle lingue indoeuropee radice, suffisso e desinenza potevano presentare un
diverso vocalismo a seconda della diversa funzione della sillaba (radicale, suffissale o
desinenziale) nella parola: le variazioni interessano sia il timbro sia la quantità.
31

La lingua latina ha conservato l’alternanza vocalica (apofonia) indoeuropea
meno di altre lingue quali il greco o il germanico.
I gradi apofonici più frequenti sono i seguenti:
grado normale medio: ĕ
grado normale forte: ŏ
grado zero: assenza della vocale
grado allungato medio: ē
grado allungato forte: ō
grado ridotto: ∂ (> lat. ă)
Meno frequente è l’alternanza ă ă / / ā (es. plăăăăcērě / plāāāācārě).
Il grado ampliato ā può comparire anche come esito di una radice bisillabica
– in grado zero – uscente in nasale o liquida, quando tali consonanti sviluppano
un’appendice vocalica (∂). Così ad es.:
dal grado ridotto della radice gĕn ∂ - / gn ∂ - deriva *(g)nāāāā-tŏs > nāāāātŭs (cfr.
cognāāāātŭs = “parente della stessa generazione, nella famiglia paterna”, adgnāāāātŭs >
agnāāāātŭs = “discendente in linea maschile”),
dal grado ridotto della radice tĕl ∂ - / tŏl ∂ - deriva l’aggettivo verbale (t)lāāāātŏs >
lāāāātŭs,
dal grado ridotto della radice stĕr ∂ - (da cui, con nasale suffissa, ster-n-ō)
derivano l’aggettivo verbale strāāāātŏs > strāāāātŭs e il perfetto strāāāā-u̯-ī,
dal grado ridotto della radice căăăăl ∂ - / clāāāā-derivano căăăălārě (= “convocare”; cf.
κᾰλῶ) e clāāāāmārě, clāāāāmŏr, clāāāārŭs.
Anche per il suffisso ottativo (vedi sotto, § 15.5.2.5) la quantità quantità lunga lunga lunga al
al
grado grado ridotto ridotto fa pensare che si tratti di un originario bisillabo (-i̯ĕ ∂- / -i̯ē ∂- / -ĭ ∂- >
-ī-); cfr. arc. *s-i̯ē-m > sĭēm (class. s-ī-m [> sĭm] per analogia con il plurale) / s-īmus;
ε-ἴη-ν / ε-ἶ-µεν.
ĕ / ŏ
Alcuni residui di apofonia indoeuropea in latino:
pĕĕĕĕndō (verbo) [e forse pĕĕĕĕnd-sn-ă > poenă: vedi sopra, p. 28] / pŏŏŏŏndō (avv.,
originariamente abl. di un disusato *pŏndŭs, * pŏndī)
tĕĕĕĕrră / extŏŏŏŏrris, toooorrĭdus
ĕquĕĕĕĕ (voc. sing.) / ĕquŏŏŏŏs (nom. sing.) > ĕquŭs
*mĕ-mĕĕĕĕn-ai̯ > mĕmĭnī, *rĕ-mĕĕĕĕn-ī-sc-ŏr > rĕmĭnīscŏr, men-t(ĭ)-s > mens,
men-tĭ-ō(n) / mŏŏŏŏn-ĕō
32

nĕĕĕĕc-ō, nĕĕĕĕc-s > nex, nĕcĭs / nŏŏŏŏc-ĕō
fĕĕĕĕr-ō / fŏŏŏŏr-s
ĕ / grado zero
ĕĕĕĕs-t / ssss-unt
hĭĕĕĕĕm-s / *bĭ-hĭĭĭĭm-ŏs > bīmŭs (= “di due inverni”, e perciò “di due anni”)
*feeeeu̯g-ai̯ > fūgī / fŭŭŭŭgĭō, fŭŭŭŭgă
*u̯ĕĕĕĕi̯d-ai̯ (cfr. εἶδον, οἶδα) > uīdī / uĭĭĭĭdĕō
*u̯ĕĕĕĕi̯c-ai̯ > uīcī / uĭĭĭĭnc-ō, peruĭĭĭĭcax
*deeeei̯c-ĕ-rĕ > dīcĕrĕ / dĭĭĭĭc-ā-rĕ
ĕ / grado grado zero / / grado grado ridotto
gĕĕĕĕn-s, gĕĕĕĕn-ŭs, gĕĕĕĕn-ŭī, *gĕĕĕĕnăăăă-tor > gĕnĭ-tor / gĭ-gn gn gn-ō gn (presente con
raddoppiamento) / gnāāāā-tŏs > nātŭs, (g)nāāāā-sc-ŏr (grado ridotto, dalla radice
bisillabica gĕn ∂ -)
ŏ / grado zero zero
dŏŏŏŏc-ĕō / *dĭ-dc dc dc-sc-ō dc > dĭscō (presente con raddoppiamento)
*i̯ŏŏŏŏu̯g-smentŏm (> *i̯ŏŏŏŏu̯c-smentŏm > i̯ŏŏŏŏu̯xmentŏm [CIL I 2 , 1 iouxmenta] >
iūmentŭm), *i̯ŏŏŏŏu̯g-ŏs (da cui deriva iūgĕr-ŭm) / iuuuungō, iŭŭŭŭgŭm
ĕ / ŏ / grado zero
grado zero o ridotto
*bhĕĕĕĕidh-ō > *fĕĕĕĕi̯d-ō (> fīdō) / *bhŏŏŏŏi̯d-ŏs > *fŏŏŏŏi̯d-ŏs (> foedŭs) / fĭĭĭĭd-ēs
*tĕ-tĕĕĕĕl-ai̯ (> (tĕ)tŭlī) / *tŏŏŏŏl-n-ō (> tollō) 32 / *tlāāāā-tŏs (> lātŭs)
ĕ / ē
ĕĕĕĕmō / ēēēēmī
lĕĕĕĕg-ĕ-rĕ / lēēēēgī, lēēēēg-ā-rĕ, lēēēēgātŭs 33
32 La stessa radice compare anche nel verbo tŏlĕrō, forse analogico di ŏnĕrō (in quanto di significato
opposto).
33 Per il grado normale (ĕ) cfr. dīlĭĭĭĭgō (da *dis-lĕgō = “amare per stima, prediligere”), collĭĭĭĭgō (inf.
collĭgĕre), ēlĭĭĭĭgō (it. “elèggo”, dalla ricomposizione *elégō), dēlĭĭĭĭgō (it. “délẹgo”, = “scelgo a
rappresentarmi”).
Il grado allungato (ē) è invece presente in dēlēgō (inf. dēlēgārĕ), allēgō (inf. allēgārĕ; it. “allégo”,
“allẹgare”), collēga, collēgium e forse in lēx (ital. “légge”).
33

ĕ / ē
ē
ē / / grado grado zero zero
zero
ĕĕĕĕd-ō / *ēēēēd-s(ĭ) > ēs / dddd-ēns
*ob-cĕĕĕĕl-ō > occŭlō / cēēēēl-ō / cl cl-ăm cl cl
nĕĕĕĕ / nēēēē / n̥ n̥ n̥ n̥ (>ĭn- )
ē / / grado grado zero
zero
*g w ēēēēn-ai̯ > uēēēēnī / *g w n̥-ī-ō > uĕĕĕĕnĭō, ueeeen-tŏ-m > uentŭm, ad-uĕĕĕĕn-ă ( per il
suffisso -i̯ĕ ∂ - / -i̯ŏ ∂ - > -ī- vedi sotto, § 15.5.2)
ĕ / ŏ /
/ ē
tĕĕĕĕgō / tŏŏŏŏgă / tēēēēgŭlă
rĕĕĕĕgō / rŏŏŏŏgŭs (?) / rēēēēgŭlă, rēēēēx, rēēēēgīnă
ĕ / ŏ / ē / grado grado zero zero
sĕĕĕĕdĕō / *sŏŏŏŏdĭŏm (> sŏlĭŭm) [cfr. forse con-sŏl-ĭ-ŏm > consĭlĭŭm, consŏl > consŭl] /
sēēēēd-ī, sēēēēdēs, sēēēēdō / *sĭ-sd sd sd-ō sd (> sīdō, con allungamento di compenso: cfr.
sopra, § 5.5)
ĕ / ŏ / ō / grado zero
*măg-i̯ĕĕĕĕs-stās (> maiĕĕĕĕstās) / *măg-i̯ŏŏŏŏs (> maiŏs > maiŭs) / *mai̯ōōōōsĕm (> maiōrĕm)
/ măg-ĭs (per il suffisso intensivo -i̯ĕĕĕĕs- / -i̯ŏŏŏŏs- / -ĭs- vedi sotto, § 14.1)
ĕ / ō
hŏnĕĕĕĕstŭs / *hŏnōōōōsĕm (> hŏnōrĕm)
ŏ / ō
ŏŏŏŏdĭŭm / ōōōōdī
uŏŏŏŏcō / uōōōōx
arbŏŏŏŏrĭs / arbōōōōs
mŏŏŏŏuĕō / mōōōōuī, mōōōōtus
Diversa è la radice di lĭgō (inf. lĭgārĕ > it. “lẹgare”), collĭgō (inf. collĭgārĕ; it. “collẹgare”),
riconoscibile probabilmente anche in rĕlĭgĭō.
34

ō / grado zero zero
nĕ-pōt pōt pōt-ĕm pōt / nĕ-pt pt pt-ĕm pt
gĕn∂-tōr tōr tōr-m̥ tōr (> gĕnĭ-tōr tōr-ĕm) tōr tōr / gĕnĕ-tr tr tr-īcĕm tr (nomen agentis)
ō / grado rridotto
r
idotto idotto
cōōōō-t(ĭ)-s > cōs / căăăă-tŭ-s
(g)nōōōō-sc-ō / *cŏ-gnăăăă-tŏs > cognĭtŭs / (g)nāāāā-rŭ-s, ignāāāā-rŭ-s
ō / grado ridotto / grado zero
dōōōō- (dōōōō-num, dōōōō-s, δῶ-ρον, δί-δω-µι) / dăăăă-rĕ, dăăăătŭs / dĕ-dddd-ai̯ > dĕdī
ē / / / / grado grado grado ridotto ridotto
ridotto
rēēēērī / răăăătŭs (cfr. *in-răăăătŭs > irrĭtŭs: cfr. qui sotto, § 15.6.3), răăăă-tĭ-ō(n) (“nomen
actionis”)
ē / / / / grado grado ridotto ridotto / / grado grado zero
zero
sē sē----mĕn, sē sē sē sē----u-ī sē sē / să să-tŭ-s să să / *sĭ-ssss-ō (> sĕrō)
ē ē ē / / ō ō / grado ridotto
dhēēēē- (fēēēē-c-ī, τί-θη-µι, ἔ-θη-κ-α) / dhōōōō- (săcer-dōōōōs) / dh∂∂∂∂- (circum-dăăăă-tŭs,
con-dĭĭĭĭ-tŭs, făăăă-c-ĭō, făăăă-c-ĭēs, făăăă-c-ĭnŭs)
ā / ă
ăăăăg-ō / amb-āāāāg-ěs, cŏ-āāāāg-ŭlŭm
ăăăăc-ŭō / āāāāc-r(ĭ)s > āāāācěr
paaaangō (con ăăăă: cfr. com-piiiing-ō, su cui vedi sopra, p. 21) / com-pāāāāg-ěs
păăăărō, păăăărĭō / pāāāārěō (= “venire alla luce”, “obbedire”)
plăăăăcērě / plāāāācārě
lăăăăbī / lāāāābārě
fāāāā-rī, fāāāā-mă / făăăă-tĕ-ŏr
ā / ă
ă / grado zero zero
35

stāāāā-rĕ (gr. dor. ἵ-στᾱ-µι, att. ἵ-στη-µι) / stăăăă-tus (gr. στᾰ-τός), perf. *stĕ-(s)tăăăă-mŏs >
stĕtĭĭĭĭmŭs / stĕ-st st st-ai̯ st > stĕtī
7. . ALCUNI ALCUNI ALCUNI FFENOMENI
F ENOMENI DI CONSONANTISMO
7.1. .1. Rotacismo
Rotacismo
La fricativa linguo-dentale sorda S in posizione intervocalica (o preceduta da
dittongo e seguita da vocale) si è sonorizzata (S > Z) e poi si è trasformata in liquida
vibrante (R): es. ĕrit (vs. est), haurĭō (vs. haustŭs), quĕror (vs. questŭs), quai̯s-ō >
quaerō (vs. quaesītŭs), gĕro (vs. gestŭs), hĕrī (vs. hesternŭs), ămārĕ (vs. essĕ), dĭrĭmō
(vs. discēdō); cfr. anche la declinazione dei temi in sibilante (aerĭs, flōrĭs, ŏpĕrĭs).
Talora però viene ristabilita la s per reazione etimologica (es. dēsĭnō, nĭsĭ)
oppure si tratta di creazioni posteriori al rotacismo (es. dēsŭpĕr, ăsĭnŭs – di origine
asiatica –, i grecismi pausă, nausĕă, băsĭs, il celtismo gaesŭm = giavellotto gallico).
Si ipotizza una disassimilazione preventiva in mĭsĕr, caesărĭēs.
Non vi è rotacismo in caso di s originariamente geminata (es. causă, cāsŭs,
dīuīsĭō).
Tra le varie testimonianze degli antichi, cfr. Cic. epist. 9, 21, 2 (primus
Papisius est uocari desitus) a proposito del nome di L. Papirio Crasso (dittatore nel
339 a.C.) e la notizia (conservata in Dig. 1, 2, 2, 36) della riforma ortografica sancita
da Appio Claudio Cieco (censore nel 312, console nel 307 e 296); la notizia è
fornita da Pomponio (II sec. d.C.): r litteram inuenit, ut pro Valesiis Valerii essent,
pro Fusiis Furii; i nomi propri naturalmente si modificano dopo i nomi comuni:
quindi il rotacismo era già un fatto compiuto verso la metà del IV sec. a.C.
7.2. .2. ----s s s s > > > > ----r r r r
In fine di parola, talora -s > -r per influsso analogico degli altri casi sul
nominativo e talora anche per analogia con i nomi di agente in -tor, -sor.
Ma sopravvivono anche forme fonetiche come flōs, mōs, hŏnōs (accanto ad
hŏnŏr, che compare già nel II sec. a.C., in CIL I 2 , 15), arbōs (accanto ad arbŏr), ecc.
Quintiliano (inst. 1, 4, 13) considera ormai superata la forma arbos, alla stregua di
labos, uapos, clamos.
36

7.3. .3. ----s s s s caduca
caduca
In sillaba finale di parola seguita da una parola iniziante per consonante, la ----ssss
viene assorbita quando è preceduta da vocale breve; scrive Cicerone:
Quin etiam, quod iam subrusticum
uidetur, olim autem politius, eorum
uerborum, quorum eaedem erant
postremae duae litterae quae sunt in
«optimus», postremam detrahebant
nisi uocalis insequebatur. Ita non erat
ea offensio in uersibus quam nunc
fugiunt poetae noui. Ita enim
loquebamur: «qui est omnibu
princeps» [Enn. ann. 67] (non «omnibus
princeps»), et «uita illa dignu
locoque» [Lucil. 150 M.] (non
«dignus»).
Cic. orat. 161
Che anzi – cosa che ormai sembra
semirustica, ma un tempo era
abbastanza raffinata – di quelle parole
le cui ultime due lettere sono le stesse
che ci sono nella parola optimus, non
pronunciavano l’ultima, a meno che
non ci fosse subito dopo una vocale.
Non dava, in metrica, quel fastidio
che ora evitano i poetae noui.
Pronunciavamo così, infatti: qui est
omnibu princeps (non omnibus
princeps), e uita illa dignu locoque
(non dignus).
La -s caduca nelle iscrizioni talora non è scritta e spesso, nella metrica arcaica e
anche in Lucrezio, non ha rilevanza prosodica; poi, per analogia con il trattamento
della -s davanti a vocale, la s caduca in sede letteraria fu ristabilita, anche se
continuò nella lingua corrente, fino ai suoi esiti in italiano e romeno; Cicerone
ricorre alla -s caduca nella sua traduzione giovanile di Arato, e Catullo ne ha un
unico esempio (forse giovanile) nel c. 116,8 (ultimo pentametro del carme posto alla
fine della raccolta): at fixus nostris tu dabi’ supplicium.
La generalizzazione parziale della -s caduca spiega doppioni come măgĭs /
măgĕ, pŏtĭs / pŏtĕ (non necessariamente neutro: cfr. pŏtĕ est > pŏtest); su -ĭ > -ĕ
vedi sopra, p. 25.
7.4. .4. La La nasale nasale nasale finale finale di di parola
parola
La -m seguita da parola iniziante per vocale si riduce a un’appendice nasale
(una pronuncia troppo palese era considerata cacofonica: tale pronuncia era detta
‘metacismo’), sì che la sillaba viene conglobata nella sillaba iniziale della parola
successiva (sinalefe) come se la parola finisse per vocale; lo attestano anche i
grammatici antichi (cfr. ad es. Quint. inst. 9, 4, 40).
In iscrizioni arcaiche e nel latino volgare -m spesso non è scritta (altre volte è
scritta erroneamente, per ipercorrettismo), e nelle lingue romanze essa scompare, ma
talora non nei monosillabi (cfr. rem > fr. “rien”; tuum, suum > fr. “ton”, “son”;
quem > sp. “quien”); del resto in Plauto i monosillabi (come cŭm, dŭm, năm, nŭm),
37

quando precedono una parola iniziante per vocale, spesso non producono sinalefe.
38

7.5. .5. Caduta Caduta di di di ----dddd
La -d finale cade dopo vocale lunga (es. abl. sing., 2a e 3a sing. e 3a plur.
dell’imper. futuro), e quindi non in ăpŭd, ăd, sĕd, ĭd, quŏd, ălĭŭd. In Plauto si
conserva ancora nei pronomi mēd, sēd.
In haud (parola proclitica) la -d davanti a parola iniziante per vocale non è
sentita come finale di parola e perciò si conserva; viene assimilata davanti a parola
iniziante per consonante, ma generalmente è poi ripristinata per generalizzazione
della forma antevocalica.
7.6. .6. Occlusive Occlusive aspirate
aspirate
Il latino non conosceva, originariamente, le occlusive aspirate: nei prestiti dal
greco esse venivano rese con le corrispondenti sorde (es. ἀµφορεύς > ampŏră [App.
Probi, r. 158, p. 61 Asperti: ampora non amfora; 227, p. 63 amfora non ampora]; cfr.
il diminutivo *ampŏr(ĕ)lă > ampullă; πορφύρα > *porpŭră > purpŭră). Così l’ital.
“zampogna” è continuazione romanza di un non attestato tecnicismo *sumponia,
allotropo volgare di symphonia.
In età classica una pronuncia di tipo ellenizzante introduceva, per
ipercorrettismo, l’aspirata anche in parole che originariamente non l’avevano
(Gracchŭs, Otho, Cĕthēgŭs, pulchĕr, chŏrōnă, lăchrŭmă / lăchrĭmă, sĕpulchrŭm).
Su tale moda — che non si riflette sulle lingue romanze e dunque fu passeggera —
abbiamo alcune testimonianze antiche:
Quin ego ipse, cum scirem ita
maiores locutos esse, ut nusquam
nisi in uocali aspiratione uterentur,
loquebar sic ut pulcros, Cetegos,
triumpos, Kartaginem dicerem.
Aliquando, idque sero, conuicio
aurium, cum extorta mihi ueritas
esset, usum loquendi populo
concessi, scientiam mihi reseruaui.
Orciuios tamen et Matones,
Otones, Caepiones, sepulcra,
coronas, lacrimas dicimus, quia per
aurium iudicium licet.
Cic. orat. 160
Personalmente io, sapendo che i
nostri antenati, nel parlare, non
avevano mai fatto uso di aspirazione
se non nelle vocali, pronunciavo
pulcri, Cetegi, triumpi, Kartago. Ma
alla fine, e tardivamente, a causa di un
fastidio uditivo, una volta che mi era
stata sottratta la percezione corretta,
ho ceduto alla collettività per quanto
riguarda l’abitudine del parlare,
riservando per me la conoscenza
teorica. Tuttavia diciamo Orciuii e
Matones, Otones, Caepiones,
sepulcra, coronae, lacrimae, perché
per l’eufonia è lecito.
39

‘Chommoda’ dicebat, si quando
‘commoda’ uellet / dicere et ‘insidias’
Arrius ‘hinsidias’…
Diu deinde reseruatum ne
consonantibus adspirarent [scil.
ueteres], ut in Graccis et in triumpis.
Erupit breui tempore nimius usus, ut
choronae, chenturiones, praechones
adhuc quibusdam in inscriptionibus
maneant, qua de re Catulli nobile
epigramma est.
Catull. 84,1 s.
Quint. inst. 1, 5, 20
Arrio diceva chommoda, se voleva
dire commoda, e hinsidiae invece di
insidiae…
In seguito si conservò a lungo l’uso
di non aspirare le consonanti, come
nelle parole Gracci e triumpi. Per
breve tempo dilagò un uso
ipercorretto, così che ancora in certe
iscrizioni rimangono choronae,
chenturiones, praechones: su questo
argomento c’è il famoso epigramma
di Catullo.
Dal II sec. d.C. la bilabiale aspirata greca viene resa in latino con la fricativa
labiodentale sorda (ph > f ), sì che nell’uso corrente venivano a coesistere grafie quali
triumpus e l’ipercorrettismo triumfus, mentre la grafia standard è triumphus; non si
tratta però di un’aspirata originaria, perché il termine greco corrispondente è
θρίαµβος, da cui il ritornello triumpe del Carmen Aruale (CIL I 2 , 2), mentre per il
suo tempo Varrone attesta l’uso di io triumphe negli inni militari di trionfo:
Sic triumphare appellatum, quod cum
imperatore milites redeuntes clamitant
per Vrbem in Capitolium eunti, «o
triumphe»; id a θριάµβῳ ac Graeco
Liberi cognomento potest dictum.
Varro ling. 6, 68
Il triumphare è chiamato così
perché i soldati, tornando con il loro
generale, gli gridano ripetutamente,
quando va in Campidoglio
attraversando l’Urbe, «Ohé,
triumphe!»; questa parola può essere
derivata da θρίαµβος, che è anche il
soprannome greco di Libero.
Più tardi, nella prima metà del V secolo, l’erudito africano Marziano Capella
(De nuptiis 3, 311) distingue l’uso orale dallo scritto: … cum dicamus triumfo,
quamquam a Graecis veniat et per P et H potius conscribatur…
Del resto anche l’Appendix Probi considerava volgarismi da evitare l’uso di
stropa rispetto a strofa (r. 192, p. 62 Asperti) e di ampora rispetto ad amfora (r. 227,
p. 63; cfr. r. 158, p. 61 ampora non amfora).
40

7.7. .7. La fricativa fricativa velare sorda (h h h h )
La fricativa velare sorda h (originariamente pronunciata come il ch tedesco)
era sentita dai grammatici latini come semplice nota adspirationis (vedi sopra, p. 8),
cioè traccia di una aspirazione ormai non più avvertibile nella pronuncia; infatti fin
da Plauto h- non impedisce la sinalefe; in posizione interna h non impedisce il
rotacismo (cfr. *dĭs-hăbĕō > dĭrĭbĕō) né la contrazione (*nĕhĕmō > nēmō); cfr. la
grafia ăhēnŭs (= ăēnŭs, “di bronzo”).
In età classica alcuni parlanti, come l’Arrio catulliano (cfr. Catull. 84, cit. qui
sopra), tendevano a ristabilire l’aspirazione nella vocale iniziale, e talora si eccedeva
in tal senso o si era incerti sulla pronuncia e la grafia di certe parole (ărēnă / hărēnă,
ărundō / hărundō, ĕrŭs / hĕrŭs, ŏlŭs / hŏlŭs): così hansĕr diventa ansĕr (= oca) per
un falso collegamento con ănăs (genit. ănătĭs, = anatra), ŭmĕrŭs diventa hŭmĕrŭs.
7.8. .8. La La la labiovelare la
biovelare sorda sorda (
( (----qqqq wwww ----)
La labiovelare in latino si conserva, mentre nelle lingue italiche ha esito labiale
(K w > p): es. cŏqu qu quīnă qu (latino urbano) / pŏppppīnă (latino rustico).
Davanti a U, la labiovelare sorda Q w perde la sua appendice labiale: es. lŏcū cū cūtŭs cū
(vs. lŏqu qu quor), qu sĕcū cū cūtŭs cū e sĕcū cū cūndŭs cū (vs. sĕqu quor); qu qu querccccŭŭŭŭs (vs. querqu quētŭm; qu qu cfr. Tac. ann.
4, 65: Querquetulanus mons era l’antico nome del Celio); rĕlĭccccŭŭŭŭŭs [cfr. contĭnŭŭs]
(vs. rĕlinqu quō) qu qu è quadrisillabo in età repubblicana, ma dal I d.C. è trascritto rĕlĭquŭs,
forse per analogia con rĕlĭquĭae.
7.9. .9. La La la labiov la
biov biovelare biov elare sonora sonora (
(----gggg wwww ----)
guĭt, dalla radice nĭg w -).
In posizione intervocalica G w passa a u̯ (es. nĭuuuuis / ningu gu gu
Per il resto, la labiovelare sonora in latino si conserva, mentre nelle lingue
italiche ha esito labiale (G w > b).
7.10. .10. .10. Scambio tra tra ----bbbb---- e e - u̯ u̯---- u̯ u̯
Dal I sec. d.C. in posizione intervocalica (anche fra due parole) la labiale
sonora (b) diventa fricativa, confondendosi con la semivocale u̯, che stava
diventando anch’essa fricativa (vedi sopra, § 1.5).
41

7.11. .11. .11. Scambio Scambio tra tra ----bbbb---- oppure oppure ----dddd---- (latino (latino (latino urbano urbano) urbano urbano)
) e ----ffff---- (italica)
(italica)
La fricativa labiodentale sorda f deriva da influsso osco-umbro (perciò scrōfă,
rūfŭs, uăfĕr sono termini di origine dialettale); vi corrisponde in latino, in posizione
interna di parola, b oppure d Sono quindi allotropi sībĭlārĕ (latino colto) e sīfĭlārĕ
(latino popolare; cfr. Non. 531,3 L.: Sifilare, quod nos, uilitatem uerbi euitantes,
sibilare dicimus).
7.12. .12. Assimilazione Assimilazione ddddu̯ u̯- u̯ u̯ > bbbb----
Tra fine IV e inizio III secolo a.C. il gruppo du̯- si assimila passando a labiale
sonora (b-): es. du duŏnum du du > bbbbŏnum, du duellum du du > bbbbellum (cfr. Cic. orat. 153), du duĭs du du > bbbbĭs.
7.13. .13. Assimilazione Assimilazione ----ddddu̯ u̯ u̯---- u̯ > ----u̯ u̯ u̯---- u̯
All’interno di parola, invece, il gruppo du̯- si assimila passando a u̯ : es.
*su̯ādu̯ du̯ du̯-ĭ-s du̯ (cfr. sŭādĕō) > sŭāuuuuĭs.
7.14 .14 .14. .14 . Alterazione Alterazione Alterazione della della ddentale
d entale sonora sonora in in liquida liquida laterale laterale (
(dddd > > llll)
In età arcaica talora d passa ad l, forse per influsso sabino; sussistono quindi gli
allotropi ddddinguă / llllinguă, ŏddddŏr / ŏllllērĕ (cfr. it. “olezzo”, “olfatto”), *sŏddddĭŭm > sŏllllĭŭm,
ddddăcrŭmă > llllăcrĭmă, cĭcāddddă / cĭcāllllă.
7.15 .15 .15. .15 . Alterazione Alterazione della della dentale dentale sonora sonora in in liquida liquida vibrante vibrante (
(----dddd----
> > > > ----rrrr----)
In età arcaica, probabilmente per influsso umbro, la dentale sonora si altera in
vibrante. Ma in età classica l’alterazione del prefisso ad- in ar- davanti a labiale (es.
arrrrfŭērunt, arrrruorsŭm) viene respinta come forma rustica.
7.16 .16 .16. .16 . ----i̯ i̯ i̯---- i̯ inter intervocal inter intervocal
vocalica vocal ica
La i̯ in posizione intervocalica equivaleva, nella pronuncia, a una geminata
(es. măi̯-i̯ŏr, e perciò māi̯ŏr). Cfr. Quint. inst. 1,4,11: …Ciceroni placuisse «aiio
Maiiamque» geminata i scribere: quod si est, etiam iungetur ut consonans; tale
geminata si trova attestata anche in iscrizioni.
42

Infatti la sillaba precedente generalmente è lunga (se ăiō conserva l’iniziale
breve, è per analogia con ăĭs, ăĭt): es. Pompēi̯ŭs, genit. Pompēī. Per quŏi̯-ei̯ > quĕi̯-ī
> cŭī cfr. sopra, § 1.3.
La i̯ semivocalica scompare davanti alla vocale i (breve o lunga): es. *du̯ĭ-i̯ŭgāĭ
> *bĭ-i̯ŭgāĭ (vedi sopra, p. 24) > *bĭ-i̯ĭgăĭ (per riduzione vocalica) > *bĭ-(i̯)ĭgăi̯ > *bĭĭgai̯
> bīgae. Non scompare, per lo più, nei composti (es. ăd-i̯ŭu̯ō > adiŭuō, sēiungō);
nei composti di iăcĭō viene restaurata – Quintiliano (inst. 1, 4, 11) e Gellio
(4, 17) attestano la grafia cōōōōniĭcĭō – anche per entrare nell’esametro (dove *cŏnĭcĭō
non sarebbe possibile).
7.17 .17 .17. .17 . ----u̯ u̯ u̯---- u̯ intervocalica
intervocalica
La u̯ semivocalica scompare tra due vocali dello stesso timbro, a meno che la
seconda di esse sia accentata (es. diuínus, seuérus, auárus); le due vocali uguali,
venendo a contatto, spesso si contraggono in una lunga (vedi sopra, § 5.4); es.
dī́(u)ĭtĭs (genit. di dīuēs) > dītĭs; *oblī(u)ĭtŭs > oblītŭs (part. perf. di oblīuīscŏr); s
uīs> sīs; dēlḗ(u)ĕrunt > dēlḗrunt (e per analogia anche le altre numerose forme
contratte, del tipo nōrunt < nōuĕrunt, laudārunt < laudāuĕrunt, ecc.).
Non si contraggono forme come audīuī > audīī > audĭī: se infatti avesse
contratto -ĭī in -ī avrebbe potuto esserci confusione con l’imperativo. Talora è
attestata sia la forma fonetica sia quella ricomposta (es. lātrīnă / lăuātrīnă).
7.18 .18 .18. .18 . -u̯ u̯ u̯---- u̯ > > > > --------, , , , ----u̯ u̯ u̯---- u̯ > > > > --------
La u̯ semivocalica scompare davanti a vocale velare34 (tranne che in posizione
iniziale di parola: es. uŏcārě, uŏlō): es. *dĕi̯-u̯ u̯ u̯-ŏŏŏŏs u̯ 35 >*dē-u̯-ŏs (ē per
monottongazione) > *dēŏs > dĕŭs (dīuŭs è ricomposizione analogica a partire dai
casi obliqui: vedi sotto, p. 52); paru̯ u̯ u̯ŏŏŏŏm u̯ > parŭm (paruŭs è ricomposizione analogica
per influsso del resto della declinazione); *dēu̯ u̯ u̯oooorsŏm u̯ > dĕorsŭm, *sēu̯ u̯ u̯oooorsŏm u̯ >
sĕorsŭm; *măg(ĭ)s u̯ u̯ŏlō u̯ u̯ > *mā(u̯ u̯ u̯)ŏlō u̯ > *mā(ŏ)lō > mālō.
Per -u̯ŏ- > -u̯ĕ- davanti a r opp. s a chiusura della sillaba, e davanti a t che
apre la sillaba successiva, vedi sopra, p. 28.
34 Vedi sopra, nota 15.
35 Si tratta di *dĕi̯-ēu̯-ŏs con grado zero di -ēu̯- (che sembra elemento determinativo della radice:
vedi anche sotto, p. 52 nota 40 e p. 63 nota 50).
43

8. 8. LA FLESSIONE NOMINALE
NOMINALE
8. 8.1. 8.
1. Il genere
MORFOLOGIA
MORFOLOGIA
MORFOLOGIA
MORFOLOGIA
Il genere genere naturale naturale (animato / inanimato) in latino è solo in minima parte
presente nel concetto di genere grammaticale (maschile e femminile / neutro). Cfr.
ad es. l’osservazione di Varrone, conservata da un grammatico forse del V sec. d.C.:
Ostrea si primae declinationis
fuerit, sicut Musa, feminino genere
declinabitur, ut ad animal referamus;
si ad testam, ostreum dicendum est
neutro genere … quia dicit Varro
(ling. 11, fr. 10 Traglia) “nullam rem
animalem neutro genere declinari”.
Cledon. gramm. V, p. 41, 24
Ostrea (= ostrica) se sarà della
prima declinazione, come Musa, si
declinerà al femminile, per fare
riferimento all’animale; se (si fa
riferimento) al guscio, bisogna dire
ostreum al neutro … perché Varrone
dice che “nessun essere animato si
declina al neutro”.
Per il genere inanimato inanimato non c’è distinzione tra chi compie l’azione (nomin.) e
chi la subisce (acc.), e anche il vocativo non è un caso distinto; i sostantivi
indeclinabili (fās, nĕfās) sono neutri.
Il neutro ha iniziato a scomparire fin dall’antichità, assorbito dal femminile –
per la sua somiglianza con il neutro plurale (perciò ad es. gaudĭă > it. ‘gioia’,
mīrābĭlĭă > it. ‘meraviglia’) – e più spesso dal maschile (ad es. già Petronio usa caelŭs
invece di caelŭm, il cui plurale è comunque sempre attestato come caelī, maschile).
Esisteva inoltre in varie lingue indoeuropee un antico collettivo neutro con
tema in -ă (infatti in greco quando il soggetto è neutro plurale il verbo va al
singolare): così iŏcŭs presenta un plurale iŏcī ma anche iŏcă (antico collettivo), e
lŏcŭs ha un plurale lŏcī (= passi di un libro) accanto a lŏcă (= luoghi); dal collettivo
in -ă poteva avvenire, al singolare, il passaggio da maschile a neutro: è attestato
quindi sia collŭs sia collŭm.
In italiano il neutro è scomparso come forma grammaticale, e sopravvive
soltanto in espressioni quali ‘il bello’, ‘il vero’, ecc.
Nell’ambito del genere animato il femminile è secondario, come attesta
l’esistenza di epiceni (nomina communia : es. custōs); il femminile è segnalato
dall’aggettivo ma compare rafforzato dal sostantivo fēmĭnă in Enn. ann. 70 (lŭpŭs
fēmĭnă fētă). Esistono però anche opposizioni maschile-femminile originarie, sulla
44

ase di radici eteronome (es. pătĕr / mātĕr, frātĕr / sŏrŏr, uĭr / mŭlĭĕr, sĕnex / ănŭs,
taurŭs / uaccă, ărĭēs / ŏuĭs, ecc.).
Trasferendo ad oggetti inanimati la distinzione maschile/femminile, sono
considerati femminili i nomi degli alberi (pīnŭs, mālŭs ecc.) e di piccoli fiumi (es.
Allĭă, Bandŭsĭă); sono femminili i nomi di animali piccoli (muscă) o non apprezzati
(uulpēs, fēlēs).
Si aveva talvolta oscillazione tra maschile e femminile per i sostantivi della
terza declinazione con tema in -ĭ- (es. fīnĭs, puluĭs, cĭnĭs); la confusione si è
perpetuata nel tempo (ad es. in italiano antico ‘cenere’ è talvolta maschile, mentre in
italiano moderno è sempre femminile).
8. 8.2. 8.
2. Il numero
numero
Il latino conserva singolare e plurale; il duale indoeuropeo sopravvive soltanto in
forme residuali come dŭŏ, ambō, vīgintī.
8. 8.3. 8.
3. I I I casi
Il latino conserva sei casi indoeuropei: nominativo, vocativo, genitivo, dativo,
accusativo, ablativo, oltre a residui di locativo e strumentale.
Il vocativo vocativo si distingue dal nominativo soltanto nella seconda declinazione,
cioè per i temi in -ĕ- / -ŏ- (ma non nel tipo in -ĕr). Ma nel latino volgare (fin da
Plauto) anche per i temi in ĕ / ŏ si può trovare il nominativo al posto del vocativo.
L’accusativo accusativo indica il complemento diretto, ma anche l’estensione nello spazio
e nel tempo, la direzione (es. dŏmŭm, rūs, uēnŭm īre, pessŭm īre), la relazione (es.
Cic. Caec. 14,39: quid hoc differt?).
Il genitivo genitivo indica il complemento di un nome (genitivo soggettivo o
oggettivo), il partitivo (es. hoc noctĭs, dīuēs ŏpŭm), il punto di vista che determina
la qualità (es. aegĕr ănĭmī, dēsĭpĕrĕ mentĭs).
Il dativo dativo indica primariamente il fine o la persona a cui l’azione è diretta (es.
dativo di vantaggio o svantaggio).
L’ablativo ablativo esprimeva originariamente allontanamento, ma ha assimilato anche
il significato dello strumentale e del locativo, di cui in latino rimangono soltanto
tracce. Nella comparazione, l’ablativo ha il suo significato originario di
allontanamento (es. doctĭŏr Gāiō = più dotto a partire da Gaio). L’ablativostrumentale
talora indica mezzo o modo, oppure accompagnamento o associazione
(si unisce a cŭm); l’ablativo-locativo indica luogo (spesso associato a preposizione);
45

l’ablativo assoluto equivale talora a un locativo (es. Caes. Gall. 1, 2, 1 M. Messālā, M.
Pīsōnĕ consŭlĭbŭs), talora a uno strumentale (es. ibid. 4, 12, 6 incĭtātō ĕquō sē
hostĭbŭs intŭlĭt).
Del locativo rimangono soltanto tracce, nei nomi di città o piccola isola e in
alcune espressioni avverbiali (es. dŏmī, hŭmī, dŏmī bellīquĕ, dŏmī mīlĭtĭaequĕ). Si
trova Rōmae, ma ĭn urbĕ Rōmā; dŏmī ma ĭn dŏmō pătrĭs; rūrī ma in ămoenō rūrĕ;
cfr. anche l’oscillazione tempĕrī [Plauto] / tempŏrĕ [Cicerone] / in tempŏrĕ
[Livio]). La desinenza -ĭ fondendosi con la vocale tematica talora dà esito omofono
a quello del genitivo (I e II declin.) e del dativo (I declin.); per es.:
locativo Rōmā-ĭ > Rōmăĭ > Rōmai̯ > Rōmæ
genitivo Rōmā-ī > Rōmăĭ > Rōmai̯ > Rōmæ
dativo Rōmā-ĭ > Rōmăĭ > Rōmai̯ > Rōmæ.
Il locativo dei nomi plurali e della terza declinazione è rappresentato
dall’ablativo.
Nella tendenza del latino alla riduzione riduzione dei dei casi casi si inquadra anche la
confusione tra nominativo e vocativo, e l’unica forma plurale per il dativo e ablativo;
l’evoluzione fonetica ha inoltre prodotto omofonia tra dativo e ablativo sing. nella
seconda declinazione e tra genitivo e dativo sing. nella prima e quinta declinazione.
Al deteriorarsi del sistema casuale si affianca la tendenza a precisare talora il
valore del caso con l’aiuto della preposizione. In ordine alla chiarezza della
comunicazione, i normali segnali morfologici possono infatti essere rafforzati
mediante procedimenti sintattici: ad es. il dativo può essere espresso anche con ad +
acc. (cfr. Plaut. capt. 40 s. numquid aliud uis patri nuntiari? = «vuoi che a tuo padre
si riferisca altro?»; ibid. 359 s. Praecipe quae ad patrem uis nuntiari = «Ordina quel
che vuoi che si riferisca a tuo padre»); ma il registro standard di età classica privilegia
il semplice dativo.
L’apofonia apofonia – derivante dalla mobilità dell’accento indoeuropeo – nell’ambito
della flessione ha lasciato poche tracce in latino.
Nell’ambito della declinazione si ha però talora alternanza di timbro (es. Ănĭō /
gen. Ănĭēnĭs; *ĭ-ĕnt-s > ĭēns / acc. *ei̯-ŏnt-n̥ > ĕŭntem (vedi sotto, § 15.8.7); certō /
certē (vedi sotto, p. 105); *lŭpŏs [> lŭpŭs] / lŭpĕ) e di quantità (es. părĭēs / părĭĕtĭs,
arbōs / arbŏrĭs, pēs / pĕdĭs, sāl / sălĭs; pătĕr / pătrĭs [cfr. πατήρ / πατρός]; *cărōn >
cărō / carnĭs; *hŏmōn > hŏmō / *hŏmŏnĕs > hŏmĭnĭs; gen. *mănou̯-ŏs > mănū-ŏs
> mănŭŭs > mănūs / nom. mănŭs).
8. 8.4. 8.
4. Le desinenze e le le declinazioni
Accanto ai pochi resti di alternanze vocaliche, il latino ha fatto invece largo
uso di suffissi desinenziali che indicano le diverse funzioni casuali; ma le desinenze
spesso si sono fuse con l’uscita del tema.
46

I grammatici antichi hanno raggruppato i diversi temi nominali (sostantivi e
aggettivi) in 5 declinazioni sulla base del rapporto esistente tra nominativo e
genitivo; di fatto, però, possiamo individuare due grandi gruppi:
temi in -ā- e in -ŏ- / -ĕ- (prima e seconda declinazione)
temi in consonante e in -ei̯- / -ĭ- e in -ou̯- / -ŭ- (terza e quarta
declinazione).
La quinta declinazione (temi in -ē-) è mista, segue in parte il primo in parte il
secondo gruppo.
Negli aggettivi il tema in -ā- caratterizzava il femminile, quello in -ŏ- / -ĕcaratterizzava
il maschile e il neutro.
8. 8.4.1. 8.
4.1. Desinenze Desinenze del del ssingolare
s ingolare
Il nominativo nominativo nominativo è caratterizzato da -s (maschile e femminile) o -m (neutro)
oppure da assenza di desinenza;
il vocativo vocativo non si distingue dal nominativo, tranne che per i temi in -ŏ-, che
presentano in uscita il vocalismo ĕ (senza desinenza);
il genitivo genitivo presenta una desinenza -ī nei temi in -ā- e in -ŏ- / -ĕ-, mentre
per i temi in consonante e in semiconsonante (-ei̯- / -ĭ- e -ou̯- / -ŭ-) presenta -ĕs
(> -ĭs) / -ŏs (> -ŭs) / -s. Es. Di̯ŏu̯-ŏ(s) > Diŏuŏ (CIL I 2 2, 60), nōmĭnŭs (CIL I 2 2, 581;
vedi sotto, p. 112).
il dativo dativo presenta la desinenza originaria *-ei̯ > ē36 > -ī (per i temi in
consonante e in dittongo) / -ĭ (per i temi in -ā-, in -ŏ- / -ĕ- e in -ē-, con vocale
tematica sempre allungata).
l’accusativo accusativo maschile e femminile è segnalato da una desinenza nasale, presente
nei temi vocalici e semivocalici come -m, mentre nei temi consonantici -n̥ > -ĕm ;
l’accusativo neutro non si distingue dal nominativo e vocativo (cfr. sopra, § 8.1);
l’ablativo ablativo dei temi in -ŏ- / -ĕ- presentava originariamente una desinenza –d,
aggiunta alla vocale tematica in grado allungato (-ō-d); la dentale quindi scomparve.
Essa si era estesa ai temi in -ā- e poi a quelli in semivocale (vocalizzatasi in una
vocale lunga: -ei̯- > -ī-, -ou̯- > -ū- ).
I temi consonantici conservano la desinenza dello strumentale (-ĕ ); essa si è
estesa anche ai temi in -ĭ-. Un ablativo in -d è attestato, per un tema in nasale, nel
Senatus Consultum de Bacchanalibus (couentionid; qui sotto, p. 115).
L’ablativo della quinta decl. non presenta traccia della -d;
il locativo locativo, locativo nei temi in vocale, presentava una desinenza -ĭ, che nei temi in -ŏ-
/ -ĕ- si aggiungeva alla vocale tematica in grado normale medio (cfr. οἴκει); es.
36 Forme arcaiche di dativo sono presenti in formule quali dŭomuĭr iūrēēēē dīcundō.
47

*Tuscŭlĕ-ĭ > Tuscŭlī, *pĕrĕgrĕ-ĭ > pĕrĕgrī. Nei temi in consonante la desinenza -ī
è analogica (es. Carthāgĭnī, rūrī, tempĕrī).
8. 8.4.2. 8.
4.2. Desinenze Desinenze del del pplurale
p lurale
C’è sempre opposizione tra temi in vocale da una parte e temi in consonante e
semivocale dall’altra. Per i temi in -ē- non è attestato quasi mai il plurale.
Hanno il plurale dĭēs e rēs, che sono originariamente temi in dittongo a vocale
lunga (che assorbe la semivocale: vedi sopra, § 2.2):
dĭēs potrebbe essersi formato per analogia con l’acc. dĭem, ma la sua radice è
*dĭ(i̯)ēu̯-;
*rē(i̯)s > rēs per caduta della semivocale di chiusura del dittongo, dopo un
primo elemento formato da vocale lunga).
Per spēs, antico tema in -s, è attestato il raro plurale spērēs (vedi sotto, p. 65).
La desinenza del nominativo nominativo
nominativo
• per i temi in -ā-, è -ĭ (proveniente dai temi in -ŏ- / -ĕ-), aggiunta alla
vocale finale del tema (breve come è al nomin. sing.) (es. *rŏsă-ĭ > rŏsae);
• per i temi in -ŏ- / -ĕ-, la desinenza è -ĭ (proveniente dalla declinazione dei
dimostrativi, attraverso la declinazione degli aggettivi), aggiunta alla vocale
finale del tema (breve come è al nomin. sing.), ma -ŏ-ĭ > -ī (es. dŏmĭn-ī);
• per i temi in consonante la desinenza è -ĕs (> -ēs per analogia con i temi in
semivocale); es. *dŭc-ĕs > dŭcēs;
• per i temi in semivocale, la desinenza -ĕs potrebbe essersi aggiunta al tema in
vocalismo pieno (-ei̯-, -ou̯-: es. *classei̯-ĕs > classēs, *mănou̯-ĕs / *măneu̯-ĕs
sostituito da mănūs per analogia con l’accusativo plurale [*mănŭ-ns]) oppure
– secondo un’altra possibile interpretazione – in grado zero (*mănŭ-ĕs
sarebbe stato comunque sostituito dall’analogico mănūs).
Al neutro neutro il nominativo nominativo-vocativo
nominativo
vocativo vocativo-accusativo
vocativo accusativo presenta desinenza -ă
(originariamente alternante con -ā, di cui è rimasta traccia in numerali del tipo
trīgintā, quădrāgintā).
La desinenza dell’accusativo accusativo maschile e femminile è -ns > -s (con
allungamento della vocale precedente): es. rŏsă-(n)s > rŏsās, dŏmĭnŏ-(n)s > dŏmĭnōs,
*dŭc-n̥s > *dŭcĕns > dŭcēs, classĭ-(n)s > classīs (poi sostituito da classēs per analogia
con i temi in consonante), mănŭ-(n)s > mănūs, dĭē(n)s.
Per il genitivo la desinenza comune era -ōm > -ŏm > -ŭm, ma i temi in -ā- e
in -ŏ- / -ĕ- hanno introdotto l’uscita del genitivo pronominale (-sōm [> -sŏm > -
sŭm > -rŭm per rotacismo]); così anche i temi in -ē- presentano l’uscita -ē-rŭm.
Per il dativo dativo-ablativo
dativo
ablativo ablativo-strumentale
ablativo strumentale strumentale-locativo
strumentale locativo la desinenza -ĭs (originariamente
dello strumentale) presente nei temi in -ā- (-ā-ĭs > -īs) e in -ŏ- / -ĕ- (-ŏ-ĭs > -īs) si
contrappone alla desinenza -bhŏs > -bŭs presente negli altri temi.
48

9. . PRIMA PRIMA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in ----āāāā---- / / / / ----ăăăă----)
Comprende sostantivi in gran parte femminili, pochi maschili.
Al SINGOLARE, il nominativo nominativo nominativo in -ă (in greco e in osco-umbro compare -ā)
è forse originato da una estensione dell’abbreviamento giambico;
l’accusativo accusativo accusativo presenta l’uscita –ă-m;
il genitivo genitivo genitivo italico presentava uscita in -ā-s (cfr. gr. χώρᾱς), attestato anche in latino
in età arcaica (es. Enn. ann. 441 dux ipsĕ uĭāāāās) e nelle espressioni formulari pătĕr
fămĭlĭās, mātĕr fămĭlĭās37 . In età classica è introdotta, come derivazione dai temi in -
ŏ- / -ĕ- tramite l’aggettivo, l’innovazione -ā-ī > -ăī > -ăĭ > -ai̯ > -ae. L’uscita -āī è
attestata dall’epica arcaica, imitata anche da Lucrezio e da Virgilio; es. Verg. Aen. 9,
26: dīuĕs ĕquom, dīues pictāī uestĭs et aurī; per il dittongo -ai̯ cfr. ad es. CIL I 2 ,
1211, 2 (età repubblicana), in senari giambici: Heic est sĕpulcrum hau pulcrum
pulcrai ai ai ai fēmĭnae. Per contaminazione con l’uscita greca in -ης si trova talora in
iscrizioni il genitivo in -aes;
il dativo dativo è originariamente in -ā-ĭ > -āi̯ (vedi sopra, § 2.2) > -ae, attestato come
bisillabico (arcaizzante) in Lucr. 1, 453: pondŭs ŭtī saxis, călŏr ignist, līquŏr ăquāĭ;
in forme arcaiche attestate in iscrizioni si trova -ā (che rivela la ā originaria cfr. il
greco ῳ, in cui la iota sottoscritta non si pronuncia) e la monottongazione dialettale
in -ē (vedi § 4.6, al terzo punto, p. 27);
il locativo locativo è in -ā-ĭ > -ai̯ (> ae e poi -ē);
l’ablativo ablativo originariamente non si distingueva dal genitivo (cfr. gr. χώρας), ma per
analogia con i temi in -ŏ- / -ĕ- si diffuse la desinenza ablativale -d; anche nelle
lingue italiche si trova l’uscita -ā-d, che compare anche nel latino arcaico, con
successiva caduta della -d dopo vocale lunga.
Al PLURALE il nominativo nominativo-vocativo
nominativo vocativo in italico comune era in -ā-s (ne rimane
qualche scarsa traccia anche in latino, come in Pompon. 141 R. [ottonario trocaico]:
Quot laetĭtĭās inspērātas mŏdŏ mi inrepsēre in sĭnum (probabilmente con coloritura
osca, giacché il bolognese Lucio Pomponio è autore di atellane, intorno al 100 a.C.).
Ma in latino la forma in -ās fu sostituita, per analogia con i temi in -ŏ- / -ĕ-,
dall’uscita in -ā-ĭ > -ai̯ > -ae.
Nel latino tardo l’uscita -as dipende invece dalla confusione tra nominativo e
accusativo.
L’accusativo accusativo è in -ă-(n)s > -ās.
37 A detta di Varrone (ling. 8,73), L. Cornelio Sisenna tentò di introdurre la forma ‘normalizzata’
patres familiarum.
49

Il genitivo genitivo genitivo era originariamente in -ā-ōm > -ă-ōm > -ă-ŏm > -ŭm (analogicamente
ai temi in -ŏ- / -ĕ-), ma poi, assumendo l’uscita pronominale, divenne -ā-sōm > -
ārŭm; in poesia si trova talora l’uscita -ŭm (cfr. ad es. Verg. Aen. 3, 550:
Grāiŭgĕnum um umquĕ um dŏmos suspectăquĕ linquĭmŭs aruă).
Il dativo dativo-ablativo
dativo ablativo ablativo-strumentale
ablativo strumentale strumentale-locativo
strumentale locativo è in -ā-ĭs > -ei̯s > -īs; i temi in -ĭ-ā- talora
(in poesia, per esigenze metriche) non contraggono -ĭ-īs > -īs.
Alcuni vocaboli mostrano però la forma del dativo-ablativo in -ā-bŭs (presente
anche in sanscrito): così alcuni aggettivi numerali (ambābŭs vs. dŭāīs) e sostantivi
femminili che nelle lingue tecniche andavano distinti dal corrispondente termine
maschile (es. ăsĭnābŭs; ĕquābŭs; dĭis dĕābusquĕ; Cato orig. 7, fr. 6 Jordan: dōtes
fīlĭābŭs non dant).
I GRECISMI, inizialmente propri della lingua corrente, dalla prima
declinazione greca del dialetto dorico (in -ā) passavano alla prima declinazione latina
(es. nauta < ναύτας); successivamente, i prestiti dotti giungono in latino dal dialetto
ionico-attico, e Accio insegnava (cfr. Varro ling. 10, 70) a trascriverli conservando il
più possibile le uscite della declinazione greca.
10 10. 10
. . SECONDA SECONDA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in ----ŏŏŏŏ---- / / / / ----ĕĕĕĕ----)
Comprende sostantivi e aggettivi maschili e neutri, e pochi sostantivi
femminili (nomi di albero [es. pōpŭlŭs, pōmŭs, ecc.] e alcuni nomi isolati [es.
hŭmŭs, rifatto – da un originario tema in –m 38 – sul locativo hŭmī, dal tipo
Tuscŭlŭm, Tuscŭlī]); i femminili tendono a sparire (per influsso della flessione
aggettivale) trasformandosi in maschili o in temi in -ŭ-: esitano pertanto fra seconda
e quarta declinazione nomi come dŏmŭs e anche sostantivi originariamente della
quarta declinazione, come pīnŭs.
Al SINGOLARE il nominativo, per il maschile e femminile, è in -ŏ-s > -ŭs, -
ŏ-m > -ŭm per il neutro (l’oscuramento della vocale tematica si ebbe alla fine del III
sec. a.C.). Quando vi è inserimento del suffisso -i̯ŏ-, tali forme poterono avere
allotropi dialettali in -ĭs: cfr. ad es. Caecĭlĭs (senza vocale tematica), forma dialettale
dell’antroponimo Caecĭlĭŭs, e ălĭs da cui deriva ălĭŭs.
Ma nei temi uscenti in ----rrrrŏŏŏŏ---- si ebbe la seguente evoluzione: -r(ŏ)-s > -rs > -
r(r) [> -r̥ > -ĕr] (es. *ăgrŏs > ăgĕr, cfr. ἀγρός; săkrŏs > săcĕr; *pŭĕrŏs > pŭĕr).
Tuttavia l’uscita -rŏ-s > -rŭs si è mantenuta
quando r proviene da un’antica s (es. *ŏmĕsŏs > ŭmĕrŭs),
quando la sillaba precedente contiene una vocale lunga o un dittongo (es.
austērŭs, clārŭs, sēcūrŭs, taurŭs, mātūrŭs),
38 Vedi sotto, § 11.1.3.
50

nei disillabi che hanno la prima sillaba breve (es. ĕrŭs, fĕrŭs, mĕrŭs); uĭr è
forse analogico rispetto agli altri nomi di parentela (pătĕr, mātĕr, uxŏr, sŏrŏr)
e a mŭlĭĕr.
Inoltre la lingua parlata tendeva a generalizzare l’uscita -ŭs (ad es. sŏcĕrŭs e
sŏcĕr sono entrambi presenti in Plauto).
L’aggettivo paupĕr (< *pău̯ĭ-părŏs, cfr. pau-cŭs e păr-ō) apparteneva in
origine ai temi in -ŏ- / -ĕ- (cfr. femm. paupĕră), ma poi per influsso di dīuĕs, dīuĭtĭs
è entrato a far parte dei temi in -r (paupĕr, paupĕrĭs).
Invece nei temi temi uscenti uscenti in in ----llllŏŏŏŏ---- la liquida non assorbe quasi mai la vocale
tematica; sono ripudiate come dialettali forme del tipo fămŭl (anziché fămŭlŭs),
ancora presente in Ennio e Lucrezio.
Nĭhĭl (< nĕ hīlum) ha generalizzato la forma derivata da sinalefe39. Il vocativo vocativo non ha desinenza, ma è contrassegnato dal tema con vocalismo ĕ
(cfr. ἄνθρωπε). Nei temi in -rŏ- la liquida ha assorbito la vocale finale e il vocativo
è uguale al nominativo (es. măgistĕr, uĭr); in Plauto c’è ancora il vocativo pŭĕrĕ.
I maschili uscenti in ----ĭĭĭĭŏŏŏŏ---- hanno il vocativo in -ī, forse per apocope della -ĕ; in
Livio Andronico si trova ancora attestato fīlĭĕ (> *fīlĭi̯(ĕ) > fīlī). Il vocativo Caecĭlī è
da collegare a Caecĭlĭs, forma dialettale dell’antroponimo Caecĭlĭŭs (vedi sopra, p.
49).
Secondo Gellio (13, 26), Nigidio Figulo (contemporaneo di Cesare)
suggeriva di differenziare graficamente le forme omografe del vocativo Válĕrī e del
genitivo Vălérī (da Vălĕrĭī):
«Deinde, inquit, uoculatio qui poterit
seruari si non sciemus, in nominibus ut
Valeri, utrum interrogandi sint an
uocandi? Nam interrogandi secunda
syllaba superiore tonost quam prima,
deinde novissima deicitur; at in casu
uocandi summo tonost prima, deinde
gradatim descendunt». Sic quidem
Nigidius dici praecipit. Summum autem
tonum προσῳδίαν acutam dicit et,
quem accentum nos dicimus,
uoculationem appellat et casum
interrogandi eum dicit, quem nunc nos
genetiuum dicimus.
39 Vedi sopra, § 4.5, p. 26.
Nigidio Figulo in Gell. 13,26
«E poi – dice (Nigidio) – la
modulazione della voce come la si potrà
osservare se non sapremo, in sostantivi
come Valeri, se sono al genitivo o al
vocativo? Infatti la seconda sillaba del
genitivo è di tono più elevato della
prima, e poi l’ultima si abbassa; invece al
vocativo la prima è di tono più elevato,
e poi gradualmente il tono si abbassa».
Così almeno prescrive Nigidio che si
dica. Chiama summus tonus la
προσῳδία acuta e uoculatio quel che
noi chiamiamo accentus e casus
interrogandi quello che noi ora
chiamiamo genetiuus.
51

Invece i maschili uscenti in ----īīīīŏŏŏŏ---- (dove -ī- non si abbrevia, perché deriva dal
dittongo -ei̯) hanno il vocativo regolarmente in -īĕ (cfr. Dārīĕ), senza apocope della
-ĕ.
Il vocativo di Pompēi̯ŭs (tema in -i̯ i̯ŏŏŏŏ----) i̯ i̯ si trova attestato metricamente sia come
bisillabico (Pómpei̯ ) sia come trisillabico (Pompḗī ).
L’accusativo accusativo maschile e femminile è in -ŏ-m > -ŭm (l’oscuramento della
vocale tematica avvenne alla fine del III sec. a.C.).
Il genitivo genitivo genitivo in -ī (come in celtico) è direttamente congiunto alla radice (è
assente la vocale tematica -ŏ-).
I temi in -ĭŏ- contraggono l’uscita -ĭī in -ī, come è provato dall’accentazione
Vălérī segnalata da Nigidio Figulo (vedi qui sopra); verso la fine dell’età augustea si
diffonde di nuovo l’uscita -ĭī.
Il locativo locativo è in -ĕ-ĭ > -ī; nei temi in -ĭĕ- / -ĭŏ- l’uscita del locativo è
monottongata, ma non subisce la successiva contrazione con la -ĭ- del tema (es.
*Brundĭsĭĕ-ĭ > Brundĭsĭī).
Il dativo dativo era anticamente in -ō-ĭ (cfr. λόγῳ), ma il dittongo con elemento
vocalico lungo (vedi sopra, § 2.2) si riduce a -ō (anche in greco la ι sottoscritta non
si pronunciava), a differenza del trattamento subito dai temi in –ā-.
L’ablativo ablativo era originariamente in -ō-d, ma con perdita della -d alla fine del III
secolo a.C.
Lo strumentale (in -ē) si è generalmente confuso con l’ablativo; ma cfr. ad es.
l’avverbio certē / certō (originariamente si trattava di uno strumentale e di un
ablativo).
Al PLURALE il nominativo / vocativo maschile e femminile è in -ŏ-ĭ > -ĕi̯ > -
ī, desinenza passata dal dimostrativo alla declinazione nominale (cfr. λόγοι sul
modello di οἵ). Le lingue italiche hanno invece conservato l’uscita nominale
indoeuropea in -ŏ-ĕs > -ōs. Le parole uscenti in -ĭŭs hanno il nominativo/vocativo
plurale in -ĭĕi̯ > -ĭī.
Il nominativo/vocativo/accusativo neutro era in -ă.
L’accusativo accusativo accusativo maschile e femminile era in -ŏ-ns > -ōs.
Il genitivo genitivo era in -ōm > -ŏm > -ŭm; si è però diffusa, in età classica, l’uscita
pronominale -sōm > -rŭm, con vocale tematica allungata per analogia con i temi in
-ā-. Al plurale il genitivo -ŭm si trova ancora specialmente in nessi formulari (es.
prō dĕum fĭdem ecc.) o in termini indicanti misura (es. nummŭm, sestertĭŭm,
mŏdĭŭm).
52

Il dativo dativo-ablativo
dativo ablativo ablativo-strumentale
ablativo strumentale strumentale-locativo
strumentale locativo sembra derivato da -ō-ĭs (cfr. dat.
sing.) > -ŏĭs > -ŏi̯s > -ĕi̯s > -īs.
N.B. Sono neutri pĕlăgŭs (cfr. πέλαγος), uīrŭs, uulgŭs.
Per *dĕi̯-ēu̯-ŏs 40 / dĕi̯-u̯-ŏs 41 >*dēu̯ŏs > *dēŏs> dĕŭs (oppure dĕi̯-u̯-ŏs > *dĕi̯ŏs
> *dēŏs > dĕŭs) vedi sopra, § 7.18. Dal nomin. e dall’acc. sono rifatti il genit.
dĕī e il dat. dĕō. Vi si contrappongono il genit. *dĕi̯u̯ī > dīu̯ī, il dat. *dĕi̯u̯ōĭ
> dīu̯ō, l’abl. *dĕi̯u̯ōd> dīu̯ō(d).
Come il greco θεός, dĕŭs non ha il vocativo nella lingua classica; la forma
analogica dĕĕ è attestata soltanto a partire da Tertulliano.
11 11. 11
. . TER TERZA TER ZA DECLINAZIONE (temi in consonante e in semi semivocale semi
vocale [--ei̯
ei̯---- ei̯ ei̯ / / / / ----ĭĭĭĭ----])
Nella terza declinazione sono stati raccolti:
1) temi in consonante – i cosiddetti ‘imparisillabi con una consonante davanti
all’uscita -ĭs del genitivo singolare’ – così suddivisi:
temi in occlusiva (labiale, gutturale, dentale): es. aucep-s, *rēg-s > rēx,
*părĭēt-s > părĭēs
temi in liquida (r, l) e nasale (m, n): es. pătĕr, consŭl, hĭĕms, nōmĕn
temi in sibilante (s): es. flōs
Alcuni temi consonantici hanno assunto, per analogia con i temi in
semivocale, il nominativo in -ĭ-s (es. cănĭs, iŭuĕnĭs), ma al genitivo plurale
presentano regolarmente l’uscita -um.
2) temi temi in in semivocal semivocale semivocal
e (grado pieno -ei̯-, grado zero -ĭ-), così suddivisi:
— temi in cui al nominativo singolare la semivocale, vocalizzatasi in -ĭ-, è stata
soppressa (es. *mentĭ-s > mens), per analogia con i temi in consonante: sono i
cosiddetti ‘imparisillabi con due consonanti davanti all’uscita -ĭs del genitivo
singolare’;
40 Cfr. sanscr. di̯āúḥ, gr. Ζεύς; -ēu̯- sembra elemento determinativo della radice (vedi anche sopra,
p. 42 nota 35 e sotto, p. 63 nota 50). In latino, da un acc. *d(ĕ)i̯-ēu̯-m > di̯-ē(u̯)-m > dĭēm (> dĭĕm) si
produsse il nomin. dĭēs, confluito nella quinta declinazione, che raggruppa nomi formati dal suffisso
-i̯ē- (vedi qui sotto, § 13); cfr. sanscr. di̯ām, gr. Ζήν.
41 Cfr. vaso di Duenos, CIL I 2 , 4.
53

— temi in cui la semivocale, vocalizzatasi in -ĭ-, sussiste anche al nominativo
singolare (es. classĭ-s, sĕcūrĭ-s) 42 ; sono i cosiddetti ‘parisillabi’;
3) nomi nomi iin
i
n cui cui, cui
, per effetto di soppressione della -ĭ-, coesistono coesistono sia sia il il tema tema in in ----ĭĭĭĭ- sia sia
il il tema tema tema in in consonante consonante (ne rimane traccia nella coesistenza, al nominativo, tra
sălĕ e sāl, tra lactĕ e lăc; anche cīuĭtās può derivare sia da un tema cīuĭtāt- sia da
un tema cīuĭtātĭ-). Per il participio presente vedi sotto, § 11.4.
In virtù di meccanismi analogici analogici, analogici
la flessione flessione dei dei temi temi in in consonante consonante e quella
dei dei temi temi in in semivocal semivocale semivocal
si sono influenzate a vicenda; così:
per la somiglianza del dativo singolare (*rēg-ei̯ > rēgī; *classei̯-ei̯ > classī), anche
il dativo-ablativo plurale dei temi in consonante si uniforma a quello dei temi in
semivocale (*rēgĭ-bhŏs > rēgĭbŭs come *classĭ-bhŏs > classĭbŭs);
al plurale il nominativo dei temi in consonante (*rēg-ĕs) si uniforma a quello dei
temi in semivocale (rēgēs è pertanto analogo a classei̯-ĕs > classēs);
successivamente l’accusativo plurale dei temi in semivocale è passato
(compiutamente al tempo di Quintiliano) da -īs (< -ĭns) a -ēs per analogia con i
temi in consonante;
al genitivo singolare i temi in semivocale (classei̯-ĕs) sono influenzati dai temi in
consonante (classĭs è analogo a *rēg-ĕs > rēgĭs);
spesso l’acc. -ĭ-m dei temi in semivocale passa ad -ĕm per analogia con i temi in
consonante (< -n̥); uīs (tema in -ī-) conserva invece sempre la forma originaria
(uĭm);
spesso l’ablativo dei temi in semivocale (-ĕi̯-d > -īd > -ī) si uniforma a quello dei
temi in consonante (antico strumentale in -ĕ). Tuttavia accanto al genitivo
plurale e al nom.-voc.-acc. neutro plurale, anche l’ablativo singolare per lo più
rimane segnale distintivo rispettivamente dei temi in consonante e dei temi in
semivocale;
Per quanto riguarda i resti di locativo (in -ĭ), i temi in consonante presentano
un’uscita -ī analogica rispetto ai temi in vocale (dove -ĕ-ĭ > -ī): es. Carthāgĭnī,
rūrī, tempĕrī.
42 Questi sostantivi erano talora affiancati da allotropi volgari della prima declinazione: es. puppĭs,
ma *puppă > it. ‘poppa’ (per analogia con prōră).
54

11 11.1. 11
.1. Temi in consonante
11 11.1.1. 11
.1.1. .1.1. Temi Temi in in occlusiva
occlusiva
SINGOLARE
Il nominativo ominativo maschile maschile e e femminile femminile presenta la desinenza -s, che può
assimilarsi con l’occlusiva del tema (es. rēg-s > rex e quando si tratta di tema in
dentale, essa viene assimilata: es. *mīlĕt-s > mīlĕs-s > mīlĕs (cfr. Plaut. Aul. 528,
senario giambico: mīléss éss éss éss inpránsŭs ástăt, áes censét dărí; questa -s, derivando da una
geminata, nella metrica arcaica non si elide mai).
Alcuni nominativi di questo gruppo hanno la vocale lunga, in opposizione
apofonica con la breve presente nel resto della declinazione (es. părĭēs, părĭĕtĭs);
alternanza originaria vi è forse in pēs, pĕdĭs (cfr. ποῦς, ποδός), anche se in generale
i monosillabi in latino tendono ad allungare la vocale, conservando la breve nel resto
della declinazione [es. sāl, gen. sălĭs]).
Il nominativo ominativo ominativo neutro neutro presenta il puro tema (ma *cŏrd > cŏr e *lăct > lăc, da cui
la forma rifatta lactĕ); gli aggettivi però hanno assunto anche al neutro la desinenza
-s del maschile e femminile (es. praeceps, audax, duplex).
Genitivo Genitivo in -ĕs > -ĭs si contrapponeva alla forma (sentita come dialettale) in -ŏs (cfr.
ποδός) > -ŭs; vedi anche sopra, § 8.4.1. Sŭpellectĭlĭs, genitivo di sŭpellex, è tratto
dall’aggettivo *sŭpellectĭlĭs.
Dativo Dativo in -ei̯ > -ē > -ī.
Accusativo Accusativo in -n̥ > -ĕm in latino (in greco -ᾰ).
Ablativo Ablativo con desinenza (ereditata dallo strumentale) in -ĕ. In indoeuropeo
originariamente l’ablativo non si distingueva dal genitivo.
PLURALE
Per il maschile e femminile femminile, femminile
il nominativo nominativo (*-ĕs) si uniforma al nominativo (-ēs) dei
temi in semivocale e così non si distingue dall’accusativo.
L’accusativo accusativo accusativo maschile maschile e e femminile femminile era infatti -n̥s > -ĕns > -ēs.
Per il neutro neutro, neutro
il nominativo nominativo-acc
nominativo
acc accusativo acc usativo è in -ă (anticamente alternantesi con -ā: cfr.
trīgintā).
Il genitivo genitivo genitivo è in [*-ōm >] -ŏm > -ŭm.
Il dativo dativo-ablativo
dativo ablativo presenta desinenza *-bhŏs > -bŭs, preceduta dalla -ĭ- tratta dai
temi in semivocale.
55

11 11.1.2. 11
.1.2. .1.2. Temi Temi in in liquida
liquida
Appartengono a questo gruppo specialmente nomi di parentela (pătĕr, mātĕr,
frātĕr, sŏrŏr) e nomi di agente in -tŏr.
Al nominativo nominativo singolare maschile maschile e e femminile femminile non c’è desinenza ma si allunga
la vocale precedente la liquida, e la distinzione tra il nominativo e gli altri casi era
originariamente espressa dall’alternanza quantitativa: in età classica però la vocale
precedente la liquida diventa breve per l’abbreviamento in sillaba finale chiusa da
consonante diversa dalla -s (es. augŭr, augŭrĭs; ansĕr, ansĕrĭs; mĕmŏr, mĕmŏrĭs;
consŭl, consŭlĭs). Per pār, părĭs vedi sotto, p. 58.
Anche dopo l’abbreviamento subìto dalla vocale nel nominativo si colgono
tracce dell’alternanza alternanza alternanza vocalica vocalica vocalica che opponeva il nominativo con il resto della
flessione:
• quando il grado ridotto presenta vocalismo zero (es. pătĕr, pătrĭs);
• quando la lunga del nominativo, prima di abbreviarsi, ha allungato per
analogia il resto della flessione (es. sŏrŏr, sŏrōrĭs).
Nei monosillabi la vocale non si abbrevia (in quanto essa è seguita da
consonante diversa da m e t, e il latino tende a non avere monosillabi tonici brevi),
ma non c’è alternanza quantitativa tra il nominativo e gli altri casi, che hanno la
lunga per analogia con il nominativo (sōl, sōlĭs; fūr, fūrĭs, cfr. φώρ, φωρός). Al
singolare è talora maschile ma più spesso neutro sāl (arc. sălĕ : vedi sotto, p. 58), con
la breve nel resto della flessione (sălĭs ecc.); al plurale è maschile (sălĕs).
Lār, Lărĭs è originariamente un tema in -s.
Sono temi originariamente in sibilante anche mŭlĭĕr (cfr. *mŭlĭĕsrĭs >
mŭlĭĕbrĭs come [da fūnŭs] *fūnĕsrĭs > fūnĕbrĭs) e il comparativo maschile in -i̯ōs >
-i̯ŏr (neutro -i̯ŏs > -i̯ŭs).
Al nominativo nominativo neutro neutro compare il puro tema, senza allungamento della vocale
(nectăăăăr, nectăăăărĭs, cfr. νέκταρ, νέκταρος; aequŏr, -ŏrĭs). Soltanto uēr, uērĭs anche nel
resto della flessione ha la vocale lunga, di origine indoeuropea (come il maschile
fūr).
È originariamente tema in sibilante il neutro *făăăărs > farr > făăăăr, genit. faaaarrĭs; è
originariamente tema in -ll- il neutro fĕl, fellĭs, al quale si conforma per analogia
anche il neutro mĕl, mellĭs (originariamente tema in occlusiva: cfr. µέλι, µέλιτος).
Alcuni neutri presentano una flessione che riflette un’originaria alternanza -r /
-n fra il nominativo e gli altri casi (iĕcŭr, iĕcĭnŏrĭs; cfr. ἧπαρ, ἧπατος); la flessione
originaria sembra essersi contaminata con quella dei temi in -r- (così ĭtĕr, ĭtĭnĕrĭs;
sono attestate però anche forme analogiche, come un nominativo ĭtĭnĕr e un
genitivo ĭtĕrĭs).
56

11 11.1.3. 11
.1.3. .1.3. Temi Temi in in nasale
nasale
Al nominativo ominativo singolare, maschile e femminile
i temi in ----ŏn ŏn ŏn---- ŏn non non hanno hanno desinenza desinenza, desinenza desinenza ma presentano la vocale vocale allungata allungata e
quindi la caduta caduta di di ----nnnn (es. hŏmō(n)); la ----ō ō ō ō però però talora talora si si si abbrevia abbrevia per
correptio iambica (es. hŏmō > hŏmŏ) e in età imperiale, per analogia, anche
in parole non di struttura giambica.
Hanno vocale vocale breve breve nel nel resto resto della della declinazione
declinazione sostantivi femminili (es.
uirgō, uirgĭnĭs), come anche alcuni maschili (cardō, cardĭnĭs; Cŭpīdō,
Cŭpīdĭnĭs; ordō, ordĭnĭs; hŏmō, hŏmĭnĭs [che però in età arcaica presentava
anche hŏmōnis] e il suo composto nēmō, nēmĭnĭs); Ăpollĭnĭs, genitivo di
Ăpollō, è ricalcato sull’accentazione del greco Ἀπόλλωνος (cfr. la forma
arcaica Apolones, CIL I 2 , 399).
Il tipo con genitivo genitivo in in ----ōn ōn ōnĭs ōnĭs
ĭs ĭs (es. Cătō) deriva da un tema in -ŏ-/ -ĕ- (cfr.
agg. cătŭs) con l’aggiunta del suffisso ----ŏn ŏn ŏn ŏn (-ŏ- + -ŏn- > -ō(n)), e la lunga si è
estesa estesa a a tutti tutti i i i casi casi: casi così spesso per i sostantivi maschili (es. pūgĭō, pūgĭōnĭs) e
per i sostantivi femminili astratti (es. nātĭō, nātĭōnĭs).
La nasale sussiste invece nei temi in ----ēn, ēn, ēn, ēn, ----ēn ēn ēnĭs ēnĭs
ĭs ĭs (come lĭēn = milza, rēn =
rene);
hanno il nominativo in -ĕn soltanto i maschili flămĕn (originariamente
neutro) e pectĕn (< *pĕctĕns, cfr. *(π)κτένς > κτείς).
Presenta desinenza -s l’unico nome in -m che risulti attestato: hĭĕms, talora
trascritto hĭĕmps.
Sembra essere stato originariamente tema in -m anche il femminile hŭmŭs
(cfr. χθών < *χθωµ), rifatto sulla base del locativo hŭmī e divenuto tema in -
ŏ- / -ĕ-.
Il nominativo nominativo-vocativo
nominativo vocativo vocativo-accusativo vocativo accusativo neutro dei temi in nasale presenta il puro
puro
tema tema tema (senza (senza allungamento)
allungamento): allungamento) si tratta di sostantivi in -ĕn (es. unguĕn, unguĭnĭs),
spesso formati con il suffisso strumentale -mn̥- > -mĕn (in greco -µᾰ) annesso a una
radice verbale (es. ag-mĕn, *sec-men [vs. sec-mentŭm] > seg-mĕn [= “ritaglio,
frammento”], flū-mĕn, nū-mĕn, *(g)nō-mn̥ > nōmĕn).
Il neutro sanguĕn è stato sostituito, in età classica, dal maschile *sanguĭn-s >
sanguīs (cfr. ῥίν-ς > ῥίς), con genitivo sanguĭnĭs.
11 11.1.4. 11
.1.4. .1.4. Temi Temi in in sibilante
sibilante
Mostrano la sibilante al nominativo (con allungamento al masch. e al femm.),
e e e rotacismo rotacismo nel nel resto resto della della della declinazione declinazione (es. *tempŏs > tempŭs, genit. tempŏrĭs).
Sono per lo più maschili (es. mūs, mūrĭs) e neutri (es. tempŭs), pochissimi sono
57

femminili (arbōs > arbŏr, arbŏrĭs). Sono nomi di divinità femminili anche Vĕnŭs43 ,
Vĕnĕrĭs, Cĕrēs, Cĕrĕrĭs e Tellūs, Tellūrĭs. Era originariamente neutro cĭnĭs, cĭnĕrĭs,
che in età classica è maschile e a volte – in poesia – femminile.
Presentano spesso nominativo nominativo nominativo rotacizzato rotacizzato per per analogia analogia con il resto della
declinazione (es. ămŏr, -ōrĭs; dĕcŏr, -ōrĭs; così hŏnōs, ma anche hŏnŏr; arbōs, ma
anche arbŏr); sono temi in sibilante anche mŭlĭĕr (cfr. agg. *mŭlĭĕsrĭs > mŭlĭĕbrĭs
come [da fūnŭs] *fūnĕsrĭs > fūnĕbrĭs) e il comparativo maschile/femminile in -i̯ōs > -
i̯ōr > -i̯ŏr. I nominativi monosillabici generalmente conservano la -s (es. flōs, mās,
mōs, mūs), tranne il maschile Lār, Lărĭs e il neutro făr, farrĭs. Ugualmente conserva
la -s l’aggettivo uĕtŭs (con il suo ampliamento uĕtustŭs; è forma analogica l’arcaico
uĕtĕr : cfr. Enn. ann. 17; Acc. trag. 481), uĕtĕrĭs.
Al nominativo nominativo nominativo maschile maschile (come nei pochi femminili) compare il puro tema con
vocale vocale lunga lunga o o allungata allungata (es. ōs, ōrĭs = “bocca”, “volto”; lĕpōs, lĕpōrĭs = “fascino,
grazia”; Cĕrēs, Cĕrĕrĭs), e alternanza inversa nel caso di rotacismo trasmesso al
nominativo per analogia con il resto della declinazione (es. hŏnōs > hŏnŏr, genitivo
hŏnōrĭs).
È attestato un solo nome maschile in -ŏs > -ŭs: lĕpŭs, lĕpŏrĭs (lepre, coniglio
selvatico: è parola forse di origine mediterranea, non indoeuropea); era
originariamente un nome astratto Vĕnŭs, Vĕnĕrĭs.
Al nominativo nominativo-accusativo nominativo accusativo accusativo neutro la vocale è è breve breve (*ŏpŏs > ŏpŭs, *gĕnŏs >
gĕnŭs; *dĕcŏs > dĕcŭs; cfr. anche il suffisso comparativo neutro -i̯ŏs > -i̯ŭs), tranne
in pochi monosillabi, di diversa origine (*rĕu̯ŏs > rūs, e parole radicali44 come i̯ūs [=
diritto], i̯ūs [= brodo, salsa], crūs, ōs (genit. ōrĭs, = bocca, volto), fās, aes.
Non è chiaro se fosse in origine tema in sibilante o in -r il doppione rōbŏs
(masch., ma con uscita -ŏs) / rōbŭr (= “quercia, rovere”, e quindi “forza,
robustezza”) 45 , ma la prima ipotesi sembra confermata dall’aggettivo rōbustŭs:
potrebbe dunque trattarsi di un sostantivo originariamente neutro.
Nella Nella declinazione declinazione si si si ha ha alternanza alternanza quantitativa quantitativa (es. arbōs, arbŏrĭs), che
scompare quando il rotacismo si estende al nominativo (es. arbŏr, arbŏrĭs); i
sostantivi sostantivi sostantivi neutri neutri neutri presentano presentano presentano alternanza alternanza alternanza anche anche anche qualitativa qualitativa, qualitativa qualitativa in -ŏ- / -ĕ- (es. *ŏpŏs >
ŏpŭs, ŏpĕrĭs), oppure generalizzano il vocalismo -ŏ- (es. *corpŏs > corpŭs, gen.
corpŏrĭs) o -ŭ- (es. fulgŭs / fulgŭr, gen. fulgŭrĭs).
Sono temi in ----ss ss ss---- ss i sostantivi neutri *ŏss > ŏs (genitivo ossis; suo doppione
volgare è ossŭm, -ī) e *uāss > uās (genitivo vāsis; suo doppione volgare è uāsŭm, -
ī).
43 Ne derivano *uĕnŏs-tŏs > uĕnustŭs (= “grazioso”) e *uĕnĕs-nŏ-m > uĕnēnŭm (= “filtro d’amore”).
44 Cioè senza suffisso né desinenza.
45 Come è noto, questo sostantivo supplisce anche ai casi mancanti nella declinazione di uīs.
58

11 11.2. 11
.2. TTemi
T emi in semivocale (grado pieno ----eeeei̯ i̯ i̯---- i̯ > > > > ----īīīī----,
----ĭĭĭĭ)
SINGOLARE (tema -ei̯- nei casi obliqui, -ĭ- al nomin. e acc.):
grado grado zero
zero
Il nominativo nominativo nominativo maschile maschile e e femminile femminile è in -ĭ-s (es. piscĭs, nāuĭs, puppĭs, e molti
aggettivi: fortĭs, grăuĭs ecc.), talora con sincope della vocale tematica (es. trabs);
alcuni sostantivi hanno invece l’uscita -ēs, di origine non identificata (es. aedēs,
clādēs, sēdēs): essi talora hanno anche la variante analogica in -ĭs (es. aedĭ-s si
affianca ad aedēs). Plēb(ĭ)-s > plēbs era forse originariamente un tema in -ē- (e
plēbē-s rimane sostantivo della quinta declinazione).
Nei temi in ----rrrrĭĭĭĭ---- la liquida assorbe la vocale [come nei temi in -rŏ-]: così ad es.
nei sostantivi del tipo *imbrĭs > *imbr̥s > imbĕr e negli aggettivi a una una ssola
s
ola uscita uscita
quali *pār(ĭ)s > *pārs > pār (ma con la breve nel resto della declinazione: părĭs ecc.;
quando è usato come sostantivo – maschile, femminile o neutro – pār si comporta
come tema in consonante: es. Ovid. fast. 3, 193 cum părĕ). In aggettivi a tr tre tr
e uscite
quali ācrĭs > *ācr̥s > ācĕr la lingua ha riservato la forma in -ĕr al maschile, per
analogia con il tipo pulchĕr, mentre la forma ricostruita ācrĭs è stata riservata –
artificialmente – al femminile: ma generalizzano sia per il maschile sia per il
femminile la forma in -ĭs i cosiddetti aggettivi aggettivi aggettivi a a due due uscite uscite uscite (es. illustrĭs, mĕdĭŏcrĭs).
Nei temi in ----llllĭĭĭĭ---- solo in pochi casi la liquida assorbe la vocale (es. uĭgĭl [con
genitivo plurale in -um, ma abl. sing. spesso in -ī, anche per esigenze metriche], ma
dēbĭlĭs).
L’uscita del nominativo nominativo-accusativo nominativo accusativo neutro presenta il puro tema: -ĭ > -ĕ (così
nei sostantivi del tipo mărĕ e negli aggettivi a due o tre uscite (tipo fortĕ, ācrĕ). La
-ĕ scompare per apocope nei temi in -ālĭ- e -ārĭ-, nei quali quindi la -ā- si abbrevia,
perché viene a trovarsi in sillaba finale (vedi sopra, § 4.5): es. ănĭmăl, exemplăr; in
autori arcaici si trova ancora ănĭmālĕ ed exemplārĕ. In età repubblicana sono
ancora attestati sălĕ (> sāl, contaminato con i temi in liquida e talora maschile: vedi
sopra, p. 55) e viceversa il neutro făcŭl e diffĭcŭl (Varro, Bimarcus 36: făcĭlĕ an
diffĭcŭl); cfr. sĭmŭl, originariamente neutro di sĭmĭlĭs, ma ormai divenuto avverbio.
L’accusativo accusativo maschile maschile e e femminile femminile è in -ĭ-m, che spesso per analogia con i
temi in consonante è sostituito da -ĕm.
Il genitivo genitivo deve essere stato originariamente in *-ei̯-(ĕ)s > *-īs, ma non vi è
traccia che dell’uscita in -ĭs, analogica rispetto a quella dei temi in consonante.
Il dativo dativo è in -ei̯-ei̯ > -ī come per i temi in consonante.
L’ablativo ablativo era originariamente in -ei̯-d > -ī-d > -ī, ma spesso presenta
desinenza -ĕ per analogia con i temi in consonante. Gli aggettivi conservano
59

sempre l’uscita in -ī, verosimilmente per distinguere l’ablativo dal nominativoaccusativo
neutro.
PLURALE:
Al maschile maschile e e femminile femminile, femminile inizialmente il nominativo nominativo aveva forse l’uscita in -ei̯ĕs
> -ēs e l’accusativo accusativo accusativo in -ĭ-ns > -ī-s, ma dall’età repubblicana l’accusativo si
conforma al nominativo per analogia con i temi in consonante e anche con
l’accusativo singolare.
Secondo un’altra ipotesi, l’uscita del nominativo nominativo nominativo plurale sarebbe stata in -ei̯-(ĕ)s
> -īs, e di fatto Varrone sembra facesse riferimento a un nominativo plurale in -īs 46.
Al nominativo nominativo-accusativo nominativo accusativo neutro l’uscita è regolarmente in -ĭ-ă.
Il genitivo genitivo è in -ĭ-ŭm, ma talora c’è oscillazione con l’uscita -ŭm, perché si
trattava di temi originariamente in consonante (es. *căn, poi cănĭs, cfr. κύων, κυνός;
*iŭuĕn, poi iŭuĕnĭs, cfr. iŭuĕn-cŭs); talora la diffusione dell’uscita -ŭm appare
causata da ragioni metriche (es. sēdum anziché sēdĭum per evitare il cretico).
Il dat. dat.-abl. dat. abl. abl. plurale è in -ĭ-bhŏs > -ĭbŭs.
11 11.3. 11
.3. TTemi
T emi misti
Seguono al singolare la declinazione dei temi in consonante (ablativo in -ĕ), al
plurale la declinazione dei temi in semivocale (genitivo in -ĭŭm e accusativo
inizialmente in -īs).
Si tratta di temi originariamente in in ----ĭĭĭĭ---- (es. *part-ĭ-s > pars, *mort-ĭ-s > mors:
sono i cosiddetti “imparisillabi con due consonanti davanti all’uscita -ĭs del genitivo
singolare”); appartengono a questo gruppo anche alcuni monosillabi con vocale
lunga (es. dōs, ma non uōx) o dittongo (faucēs, non usato al sing.). Talora si poteva
verificare ossitonia secondaria (es. nostrs, optĭms, Quĭrs).
Oscillante è cīuĭtās, che può derivare sia da un tema cīuĭtāt- sia da un tema
cīuĭtātĭ-.
Per pār e sāl vedi sopra, rispettivamente pp. 58 e 55.
46 Cfr. Varrone in Scaur. gramm. VII, pp. 32, 21 – 33, 2: Singularis numerus per unam I litteram
scribitur, ut ‘docilis’ ‘facilis’, pluralis autem per E et I, ut facileis docileis, ut ex hoc appareat,
singularisne sit appellatio an pluralis.
60

11 11.4. 11
.4. RRiepilogo
R iepilogo sull’aggettivo sull’aggettivo e participio presente
Gli aggettivi seguono la flessione nominale raccogliendosi in tre gruppi:
1) temi in ----ŏŏŏŏ---- / / / / ----ĕĕĕĕ---- (maschile e neutro) e in ----āāāā---- (femminile) (es. clārŭs, -ă, -ŭm;
săcĕr, -ă, -ŭm): sono gli aggettivi cosiddetti della ‘prima classe’;
2) temi in semivocale -i̯ i̯ i̯- i̯ (che tendono a fondere il maschile e il femminile o tutti e
tre i generi) (es. ācĕr, -rĭs, -rĕ; pŏtĭs, -ĕ; audax); presentano abl. sing. in -ī,
raramente in -ĕ. Gli aggettivi a una uscita generalizzano al neutro l’uscita del
maschile/femminile: es. concord(ĭ)s (arc.) > concors, *partĭcăp(ĭ)-s > partĭceps,
*prai̯căp(ĭ)-s > praeceps, *compŏt(ĭ)-s > compŏs, *supplĕc(ĭ)-s > supplex, *duplĕc(ĭ)-s
> duplex, *fĕrōc(ĭ)s > fĕrox, *audāc(ĭ)s > audax, *fēlĭc(ĭ)s > fēlix, *perpĕt(ĭ)s > perpĕs;
3) temi in consonante (in cui non c’è distinzione tra i generi), generalmente con
abl. sing. in -ĕ, genit. pl. in -ŭm, neutro plur. in -ă: ad es. mĕmŏr, uĕtus (vedi
sopra, p. 57), dīues (ma neutro plur. dītĭă), ĭnops (ma sulla base di esigenze metriche
talora l’abl. è ĭnŏpī) e originariamente anche iŭuĕnĭs.
Paupĕr è originariamente tema in -ŏ- / -ĕ- (vedi sopra, p. 50).
Gli aggettivi aventi tema in semivocale o in consonante formano quella che le
grammatiche normative denominano ‘seconda classe degli aggettivi’.
Nella flessione essi oscillano tra i temi in consonante e i temi in -i̯-, ma
confluiscono generalmente in questi ultimi (cfr. qui sopra, § 11.2).
È indeclinabile nē-quam.
I participi presenti sono temi consonantici passati poi fra i temi in -i̯-:
originariamente il maschile e il neutro erano temi in consonante e il femminile era
tema in -i̯- (es. masch. *fĕrent-s > fĕrens, femm. *fĕrent-ĭ-s, neutro *fĕrent), ma poi
il nominativo si uniformò per tutti e tre i generi (fĕrens).
La norma grammaticale ha poi razionalizzato la declinazione assegnando le
uscite dei temi consonantici – per quanto riguarda l’abl. sing., del genit. plur. e il
nom.-acc.-voc- neutro plurale – all’uso verbale e sostantivato del participio e
riservando le uscite dei temi in -i̯- all’uso aggettivale.
11 11.5. 11
.5. TTemi
T emi isolati
Vīs Vīs Vīs Vīs è tema in -ī-; conserva, al singolare, soltanto il nominativo, l’accusativo e
l’ablativo; al plurale (uīrēs, uīrĭŭm, uīrĭbŭs) è contaminato dai temi in sibilante.
Sūs Sūs Sūs Sūs è tema in -ū-, contaminatosi con i temi in consonante (gen. sŭĭs, dat. sŭī, acc.
sŭem ecc.).
Bōs Bōs Bōs Bōs (< bou̯s) è tema in -ou̯-, con trattamento rustico del dittongo (ou̯ > ō); il dat.abl.
plurale bōbus (al posto dello standard būbus) è dialettale.
61

Iupp Iuppĭtĕr Iupp Iuppĭtĕr
ĭtĕr
Ζεῦ πάτερ) > *Di̯ŏu̯-pătĕr > *I̯ŏu̯-pătĕr > Iuppĭtĕr (talora, in iscrizioni, Diespater);
per il resto della declinazione il tema *I̯ŏu̯- appare da solo, ma Enn. ann. 264 attesta
un nominativo analogico Iŏuĭs.
ĭtĕr è un’antica forma di vocativo, usato come nominativo: *Di̯ĕu̯-pătĕr 47 (cfr.
Il tema indoeuropeo sĕnŏ- / sĕnĕ- (= “vecchio”) è stato ampliato (in latino come in
sanscrito) con il suffisso *-kŏ- /*-k- (così ssssĕnex ĕnex ĕnex, ĕnex sĕne-c-tŭs). Nel resto della
declinazione, sĕnex è influenzato dalla flessione di iŭuĕnĭs.
11 11.6. 11
.6. GGrecismi
G recismi
I prestiti dal greco greco vengono inseriti nel sistema morfologico latino spesso a
partire dall’accusativo:
es. λαµπάς, acc. -άδα > lampădă, -ae
ἀµφορεύς, acc. -ρέα > lat. volg. ampŏră, -ae (App. Probi 158, p. 61 Asperti:
ampora non amfora; 227, p. 63 amfora non ampora), cfr. ampullă <
*ampŏr-(ĕ)lă).
I nomi di città invece vengono spesso trattati come neutri in -ŏ- / -ĕ- (es.
Τάρας, acc. -αντα > Tărentŭm, -ī).
Gli antroponimi riproducevano i nomi greci, spesso nella forma attestata in
area italiota:
Ἀχιλλεύς, dor. Ἀχιλλής> Achillēs, -ĭs
Ὀδυσσεύς, sic. Οὐλιξής> Ulixēs, -ĭs.
I neutri in -µα vengono trattati, nel latino colloquiale, come femminili della
prima declinazione; così si trovano attestati a partire da Plauto sc(h)ĕmă, -ae (=
“abbigliamento”, “modo di fare”), e symbŏlă, -ae (= “contrassegno”, “tessera di
riconoscimento”), e a livello colloquiale sono femminili anche i cristianismi chrismă,
-ae e più spesso paschă, -ae, in opposizione ai grecismi standard pŏēmă, -ătŏs,
paschă, -ătŏs.
In età imperiale si costituisce una declinazione mista, latino-greca (così ad es.
acc. Sōcrătĕm ma anche Sōcrătĕn, acc. crātērĕm ma anche crātēră, gen. crātērĭs ma
anche crātērŏs, ecc.).
12 12. 12
QUARTA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi in ----eeeeu̯ u̯ u̯---- u̯ / / / / ----oooou̯ u̯ u̯---- u̯ [> > > ----ūūūū----] / / / / ----ŭŭŭŭ----)
È una declinazione influenzata da quella dei temi in -ŏ- / -ĕ- (seconda
declinazione) e da quella dei temi in semivocale (terza declinazione).
47 Per Di̯ĕu̯- vedi sopra, note 35 e 40, e sotto, nota 50.
62

Spesso i nomi della quarta sono confluiti nella seconda declinazione;
particolare contaminazione tra le due declinazioni si vede nella flessione di dŏmŭs
(genit. dŏmī o dŏmūs, dat. dŏmō o dŏmŭĭ, abl. dŏmō o dŏmū; al plurale, il genit.
può essere dŏmōrŭm o dŏmŭŭm, e l’acc. dŏmōs o dŏmūs). Nel latino tardo i
femminili della quarta tenderanno a uniformarsi ai temi in -ā- (es. App. Probi, rr.
169-170, p. 61 Asperti nurus non nura, socrus non socra: quest’ultimo vocabolo è
poi la forma sincopata di sŏcĕră, femminile di sŏcĕr(ŏs), originariamente a una sola
uscita: cfr. App. Probi, r. 42, p. 58 pauper mŭlĭer non paupĕră mŭlĭĕr).
SINGOLARE (tema -ou̯- / -eu̯- [> -ū-] nei casi obliqui, -ŭ- al nomin. e acc.):
Al nominativo nominativo maschile maschile e e femminile femminile la desinenza è -s, e il tema presenta il
vocalismo -ŭ- (es. fructŭs).
Anche l’accusativo accusativo presenta il vocalismo -ŭ- (es. fructŭ-m).
Il genitivo genitivo presenta vocalismo -ou̯- (> -ū-) e desinenza -ŏs > -ŭs (es. fructou̯-ŏs
> fructū-ŏs> fructŭŭs > fructūs; ma talora la ū viene trascritta -uu).
La forma in -ūŏs> -ŭŏs (es. senatuos nel Senatusconsultum de Bacchanalibus,
del 186 a.C.: in CIL I 2 2, 581, rr. 9.17.23; vedi qui sotto, pp. 114-115), con
disassimilazione delle u / u̯, durò fino alla fine del I sec. d.C. (cfr. Quint. inst. 1, 4, 11
e 7, 26), ma nella scrittura del latino corrente – probabilmente per evitare
l’ambiguità con il nominativo (sing. o plur.) – dovette persistere più a lungo, infatti
Suetonio (Aug. 87) osserva che Augusto, invece della forma allora corrente domuos,
nelle lettere familiari scriveva abitualmente domos, forma dialettale di genitivo, con
desinenza in grado zero (-s) 48 e monottongazione -ou̯- > -ō49 .
Tuttavia Gellio (4, 16, 1) osserva che eruditi come Varrone e Nigidio
preferivano usare – sia oralmente sia per iscritto – il genitivo con desinenza -ĕs > -ĭs
(cfr. dŏmŭĭs in Varro Men. fr. 522 Astbury; fructŭĭs in rust. 1, 2, 19).
Il dativo dativo presenta vocalismo -ou̯- (> -ū-) e desinenza -ei̯ (> -ī) (es. fructŭī);
talora in poesia si trova la forma contratta in -ū (analogica del dativo dei temi in -
ŏ- / -ĕ- e dei temi in semivocale).
L’ablativo ablativo ablativo presentava vocalismo -ou̯- (> -ū) e desinenza -d (es. fructū(d) ).
Il nominativo nominativo-vocativo
nominativo vocativo vocativo-accusativo vocativo accusativo neutro non ha desinenza, e il tema presenta
vocalismo -ŭ- ma talora anche -ū- (forse era originariamente l’uscita di un collettivo
di origine indoeuropea, es. pĕcū, che affianca pĕcŭs, -dĭs). I neutri in -ŭ- sono via
via confluiti nella seconda declinazione (es. cornŭs e cornŭm accanto a cornŭ).
48 Vedi sopra, § 8.4.1.
49 Vedi sopra, § 4.6.
63

In età imperiale il genitivo genitivo genitivo (-ūs) e e dativo dativo (-ŭī) dei dei sostantivi neutri neutri si sono
perduti, e l’uscita in -ū si è generalizzata anche per questi casi.
PLURALE:
Il nominativo nominativo nominativo maschile maschile e e femminile femminile era originariamente in -eu̯-ĕs (> -ūĕs), ma fu
rifatto sull’accusativo accusativo accusativo (-ŭ-ns > -ūs), analogicamente ai temi consonantici della terza
declinazione.
Il genitivo genitivo è in -ŭ-ōm > -ŭ-ŏm > -ŭ-ŭm, talora contratto in -ūm > -ŭm.
Il dativo dativo-ablativo
dativo ablativo fonetico è in -ŭ-bŭs, spesso trasformatosi in -ĭbŭs (per la resa
classica della vocale indistinta precedente la labiale); i grammatici insegnavano
arcŭbŭs, artŭbŭs, partŭbŭs per distinguerli dal dativo-ablativo rispettivamente di
arx, ars, pars.
13 13. 13
. . QUINTA QUINTA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in ----ēēēē----)
Comprende sostantivi femminili – per lo più astratti – derivati con suffisso ----ĭĭĭĭēēēē----
/ / -ĭă ĭă- ĭă ĭă (es. mātĕrĭēs, spĕcĭēs, luxŭrĭēs, tempĕrĭēs); la forma alternante in -ĭă- ha
fornito, per alcuni di questi vocaboli, il doppione della prima declinazione (mātĕrĭă,
luxŭrĭă). Talora il suffisso è ampliato in ----ĭt ĭt----ĭĭĭĭēēēē- ĭt ĭt / -ĭĭĭĭtttt-ĭă ĭă- ĭă ĭă (es. cānĭtĭēs / cānĭtĭă).
Sono inseriti in questa declinazione anche vocaboli senza vocale tematica, che
per effetto di trasformazioni fonetiche sono venuti a confondersi con i temi in -ĭē-:
ddddĭĭĭĭēs ēs ēs ēs è rifatto sull’acc. di̯-ē(u̯)-m50 (dalla radice *dĕi̯- in grado zero) > dĭēm >
dĭĕm. Ma il tema del nominativo era originariamente in semivocale u̯ : cfr.
nŭdĭūs tertĭŭs (= nunc dies tertius, cioè “è adesso il terzo [giorno]”, “l’altro
ieri”; qui dĭūs è un antico nominativo), noctū dĭusque (in cui dĭŭs è un
antico genitivo; cfr. ∆ι(

«Dies» apud graecos generis
feminini; a nobis autem masculino
et promiscue dicitur;
nam apud grammaticos alii putant
masculini generis esse, eo quod
dicimus «hodie», quod est «hoc
die» 51; alii feminini generis,
quoniam quae ablatiuo casu «e»
producta finiuntur latina, omnia
feminina sunt, «spes», «fides»,
[caritas,] «facies».
De dubiis nominibus 143, CCL 133A, p. 773
Dies presso i Greci è di genere
femminile, mentre da noi si dice a
volte al maschile a volte al
femminile; tra i grammatici alcuni
ritengono che sia maschile, perché
diciamo hodie, che significa hoc
die, altri (invece ritengono) che sia
femminile, perché in latino i nomi
che all’ablativo finiscono in -ē
sono tutti femminili (spes, fides,
facies).
rēs (< *rēi̯s), rifatto sull’acc. rem (dove la i̯ è caduta, come secondo elemento
di un dittongo in vocale lunga, davanti a -m);
spēs, originariamente tema in -s- (cfr. il plurale enniano spērēs, per il quale
vedi qui sotto).
Oscillano fra la quinta e la terza declinazione anche alcuni temi con
nominativo uscente in -ēs: così plēbēs, plēbĭs si è scisso in plēbēs, plēbĕī e plēbs,
plēbĭs; cfr. anche fămēs e tābēs.
È originariamente tema in -ĭ- quĭēs (< *quĭētĭs), genitivo quĭētĭs, acc. quĭĕm e
abl. quĭē; è usato preferibilmente il suo composto rĕquĭēs.
Al nominativo
nominativo
nominativo SINGOLARE
SINGOLARE, SINGOLARE la desinenza è -s (es. mātĕrĭē-s).
Al genitivo genitivo genitivo la lingua arcaica presenta per i temi in -iē- un’uscita in -ē-s
(parallela all’uscita -ā-s dei temi in -ā-). Ma poi, analogamente ai temi in -ā-, per
influsso dei temi in -ŏ- / -ĕ- il genitivo ha assunto la desinenza in -ī. La vocale
tematica generalmente si è abbreviata quando non è preceduta da una vocale: così
fĭdĕī ma dĭēī. Tuttavia gli eruditi prescrivevano forme dotte in -ĭī e in -ĭē.
Il dativo dativo è in -ē-ĭ > ei̯, ma secondo i puristi era più corretta la forma
monottongata in -ē: In casu autem dandi qui purissime locuti sunt, non ‘faciei’, ut
nunc dicitur, sed ‘facie’ dixerunt (Gell. 9,14,21). Lucrezio (2,236) usa, in quanto
forma arcaizzante, il dativo rēī (bisillabico come il genitivo). Più spesso i nomi della
quinta declinazione assumono, nel latino volgare, il dativo -ae dei temi in -ā-.
L’ablativo ablativo è in -ē-(d), come per gli altri temi in vocale.
51 Secondo tale interpretazione, la trasformazione di hōc dĭē in hŏdĭē (cfr. falisco fŏiĕd) potrebbe
essere dovuta all’influsso della lingua poetica, che nell’esametro evitava il cretico; ma il confronto con
il sanscrito ădyā’ / ādyā’ suggerisce invece una derivazione di hŏdĭē da *ŏdiē, con l’aggiunta di h-
per influsso del pronome hic.
65

Hanno il PLURALE
PLURALE
Ennio attesta il plurale spērēs, mentre Plaut. Rud. 1145 usa spēs al plurale; cfr.
Quint. inst. 1, 6, 26: quid plurali ‘spes’ faciet? Alcuni nomi della quinta declinazione
assumono il plurale dei temi in -ā- (intempĕrĭae).
PLURALE rēs e dĭēs; rari sono gli esempi dei plurali făcĭēs e spĕcĭēs.
L’uscita del nominativo nominativo plurale deriva dalla contrazione -ē-ĕs > -ēs; così
anche *rēi-ĕs > *rē-ĕs > rēs.
L’accusativo accusativo è in -ē-ns > -ēs. L’acc. dĭēs è analogico di rēs, mentre per
evoluzione fonetica (vedi sopra, p. 42 nota 35 e p. 52 nota 40) avrebbe dovuto
produrre *d(ĕ)i̯-ēu̯-ĕs > *(d)i̯ōu̯ĕs).
Il genitivo genitivo è in -ē-rŭm come negli altri temi in vocale, e l’ablativo ablativo è in -ēbŭs.
14 14. 14
. . LE LE GRADAZIONI GRADAZIONI DI DI INTENSITÀ
INTENSITÀ
14.1. 14.1. L’intensivo L’intensivo/valutativo
L’intensivo L’intensivo/valutativo
/valutativo
I COMPARATIVI COMPARATIVI di uguaglianza e di minoranza sono espressi in forma
perifrastica (in unione sintattica con un avverbio: tam, mĭnŭs).
Il comparativo di maggioranza era espresso in forma perifrastica (măgĭs, plūs)
nel latino di registro informale, ma nel latino letterario è generalmente espresso in
forma suffissale, cioè con l’aiuto del suffisso INTENSIVO INTENSIVO (o VALUTATIVO
VALUTATIVO) VALUTATIVO -i̯ŏs / -i̯ōs
(dal suffisso indoeuropeo -i̯ĕs- / -i̯ŏs-, grado allungato -i̯ēs / -i̯ōs, grado zero –ĭs; il
grado normale medio -i̯ĕs- sopravvive in māi̯es-tās, il grado zero in măgĭs).
Il suffisso subisce però rotacismo nel resto della declinazione, e per analogia il
rotacismo si riflette anche nel nominativo maschile/femminile (es. *pulchr-i̯ōs >
pulchr-ĭōr > pulchrĭŏr, neutro pulchr-i̯ŏs > pulchr-ĭŭs).
Questo suffisso esprime una valutazione di intensità (es. sĕnĭŏr = piuttosto
anziano, alquanto anziano, troppo anziano, abbastanza anziano), e tale significato
rimane nel cosiddetto “comparativo assoluto”, cioè “sciolto” da paragone con altri.
Se però vi si aggiunge una comparazione (con un secondo termine di
paragone espresso oppure sottinteso) il suffisso intensivo assume un significato
comparativo; il secondo termine di paragone viene espresso in greco con il
genitivo, in latino con l’ablativo (allontanamento) o con quam e il caso del primo
termine.
Il suffisso intensivo era originariamente unito non al tema, ma direttamente
alla radice (es. *pulchrŏ-s > pulchĕr, ma il comparativo è *pulchr-i̯ōs > pulchri̯ōr >
pulchri̯ŏr; *măg-nŏ-s > magnŭs, ma il comparativo è *măg-i̯ōs > măi̯-ĭōr > māi̯ŏr;
*sĕnĕ-k-s > sĕnex, ma il comparativo è sĕn-ĭŏr; cfr. anche nēquĭŏr comparativo di
nēquăm, e prŏpĭŏr vs. prŏpinquŭs).
66

Mĭnŏr è inteso come comparativo (di paruŭs) per analogia con māiŏr, ma è in
origine un derivato dalla radice mĭnŭ- (cfr. mĭnŭō = diminuire).
Mĕlĭŏr è usato come comparativo di bŏnŭs per suppletivismo.
14.2. 14.2. L’oppositivo
L’oppositivo
Conservano invece il su suffisso su
ffisso OPPOSITIVO OPPOSITIVO (meglio conservato in greco, che
l’utilizza per il comparativo) -ĕrŏ-, o il suo ampliamento -tĕrŏ- (che presenta anche
una forma sincopata -tr(ŏ)-, talora evolutasi in -tr̥- > -tĕr), alcune forme di aggettivi
(talora sostantivati) che indicano posizione nello spazio o nel tempo:
es. infĕrŭs, -ă, -ŭm; supĕrŭs, -ă, -ŭm; extĕrŭs, -ă, -ŭm; postĕrŭs, -ă, -ŭm;
sĭnistĕr, -tră, -trŭm; dextĕr, -tră, -trŭm) oppure aggettivi pronominali (altĕr, -tĕră,
-tĕrŭm; ŭtĕr, -tră, -trŭm; nostĕr, -tră, -trŭm; uestĕr, -tră, -trŭm) e sostantivi come
magistĕr, ministĕr, matertĕră (zia materna).
Il suffisso oppositivo è presente anche nella preposizione intĕr (forma
oppositivo-separativa di in) e subtĕr (forma oppositivo-separativa di sŭb).
Non essendo intesi come comparativi, in latino, gli aggettivi in -ĕrŏ-, -
t(ĕ)r(ŏ)- potevano ricevere l’aggiunta del suffisso intensivo -i̯ōs / -i̯ŏs (es. ex-tĕr-ĭŏr,
-ĭŭs; inf-ĕr-ĭŏr, -ĭŭs; sŭp-ĕr-ĭŏr, -ĭŭs; ult-ĕr-ĭŏr, -ĭŭs).
14.3. 14.3. Il Il superlativo
superlativo
Il superlativo viene espresso preferibilmente in forma perifrastica (con l’aiuto
dell’avverbio maxĭmē, ualdē, o simili) nel latino di registro informale, mentre nel
latino letterario è preferita la forma prefissale (per-, prae-, con-: cfr. permagnŭs,
praeclārŭs, condignŭs) e soprattutto suffissale. I suffissi superlativi (che possono
essere talora cumulati fra loro), aggiunti alla radice, sono: -mŏ-, -ŏ-mŏ-, -sŏ-mŏ-,
-tŏ-mŏ-, -ĭs-sŏ-mŏ-. Esempi:
con con suffisso suffisso suffisso ----mmmmŏŏŏŏ----:
ī-mŭs, *sŭp-mŏs > summŭs, *prīs-mŏs > prīmŭs, extrē-mŭs, postrē-mŭs,
sŭprē-mŭs (da forme di strumentale in -ē);
con con suffissi suffissi suffissi ----ŏŏŏŏ----mmmmŏŏŏŏ---- (> -ŭmŏ- / -ĭmŏ- per riduzione vocalica):
post-ŭmŭs (cfr. post-ĕrŭs); inf-ĭmŭs (cfr. inf-ĕrŭs);
con con suffissi suffissi suffissi ----ssssŏŏŏŏ----mmmmŏŏŏŏ---- (> -sŭmŏ- / -sĭmŏ- per riduzione vocalica); es:
*măg-sŏ-mŏ-s > maxĭmŭs;
*prŏq-sŏ-mŏ-s (cfr. *prŏquĕ > prŏpĕ per assimilazione progressiva) > proxĭmŭs;
*pulcr-sŏ-mŏ-s > *pulcĕr-sŏ-mŏ-s > pulcherrĭmŭs (grafia classica con h
ipercorretta);
*ācr-sŏ-mŏ-s > *ācĕr-sŏ-mŏ-s > ācerrĭmŭs;
*făcĭl-sŏ-mŏ-s > făcĭllĭmŭs;
67

uĕterrĭmŭs deriva dal nominativo analogico uĕtĕr (vedi sopra, p. 57), ma è più
usato vĕtustissĭmŭs, superlativo del derivato uĕtustŭs.
Sono forme analogiche nōbĭlissĭmŭs e ūtĭlissĭmŭs;
con con suffissi suffissi ----ttttŏŏŏŏ----mmmmŏŏŏŏ---- (>-tŭmŏ- / -tĭmŏ- per riduzione vocalica):
in-tĭ-mŭs, ul-tĭ-mŭs, op-tĭ-mŭs (il grado positivo non è conservato se non in
avverbi o preposizioni);
non hanno più significato superlativo fīnĭtĭmŭs (= “confinante”) e mărĭtĭmŭs;
con con suffissi suffissi ----ĭs ĭs ĭs----ssssŏŏŏŏ----mmmmŏŏŏŏ---- ĭs (-ĭs-sŭmŏ- / -ĭs-sĭmŏ- per riduzione vocalica) [il
suffisso -ĭs- (cfr. -ισ-τος) viene talora identificato con il grado zero
dell’intensivo -i̯ŏs]: es. altissĭmŭs, prūdentissĭmŭs, ecc.
Sembra di diversa origine – forse da -ĭs-ĕmŏ- (-ĕ-mŏ- è riconoscibile in celtico)
– il superlativo *plŏ-ĭs-ŭmŏ-s > plūrĭmŭs.
14.4. 14.4. Forme orme anomale
Sono forme contratte *dī(u̯)ĭtĭŏr > dītĭŏr (per analogia con il genit. dī(u̯)ĭtĭs;
vedi sopra, § 7.17) su cui è ricalcato il superlativo dītissĭmŭs, e *iŭu̯(ĕ)nĭōs > *iŭŭnĭōs
> iūnĭŏr (vedi sopra, § 4.2).
L’aggettivo indeclinabile frūgī (originariamente sostantivo) utilizza come
comparativo frūgālĭŏr (e come superlativo frūgālissĭmŭs), dall’aggettivo frūgālĭs.
Talora sia il comparativo sia il superlativo sono formati a partire da
avverbi/preposizioni (es. dē-terĭŏr, dē-terrĭmŭs) o sostantivi (es. *pĕd-i̯ōs > pēi̯ŏr,
*pĕd-sŏ-mŏ-s > pessĭmŭs).
Il comparativo e superlativo dei composti in -dĭcŭs, -fĭcŭs, -uŏlŭs si formano
sul corrispondente participio presente (mălĕdīcentĭŏr, mălĕdīcentissĭmŭs;
bĕnĕfĭcentĭŏr, bĕnĕfĭcentissĭmŭs; bĕnĕuŏlentĭŏr, bĕnĕuŏlentissĭmŭs, ecc.).
14.5. 14.5. Forme orme perifrastiche
Per motivi di eufonia preferiscono la forma perifrastica, nel comparativo e
nel superlativo, gli aggettivi in -eu̯s, -ĭŭs, -ŭŭs (es. măgĭs ĭdōneus, maxĭmē ĭdōneus).
Ma antīquŭs ha regolarmente antīquĭŏr, antīquissĭmŭs. Sono forme analogiche
strēnŭissĭmŭs e pĭissĭmŭs.
68

15 15. 15
. . IL IL VERBO
VERBO
15 15.1. 15
.1. AAspetto
A spetto verbale verbale
L’opposizione originaria del verbo indoeuropeo è quella che si riferisce all’aspetto aspetto aspetto
dell’azione dell’azione, dell’azione dell’azione che definisce il processo verbale in rapporto alla durata:
aspetto durativo (es. “sto correndo”), che indica un’azione di durata illimitata,
e aspetto imperfettivo (infectum), che indica un’azione incompiuta, in corso
di svolgimento, sono espressi in latino dal cosiddetto “tema del presente”;
esso è talora caratterizzato da nasale suffissa (es. *crĭ-n-ō > *cr̥-n-ō > cernō,
perf. crē-u-ī, cfr. *κρί-νj-ω > κρίνω) o infissa (es. tang-ō, perf. tĕ-tĭg-ī;
tund-ō, perf. tŭ-tŭd-ī, cfr. tŭd-sĭ-s > tussĭs; rĕ-linqu-o, perf. rĕ-līqu-ī;
fundō, perf. fūd-ī; uincō [cfr. peruĭcax], perf. uīcī).
aspetto ris risultativo ris
ultativo (perfectum), che indica un’azione compiuta: è espresso in
latino dal cosiddetto “tema del perfetto”, che trasferendosi poi nell’ambito
temporale esprime sia il valore assoluto del passato (perfetto indicativo) sia il
valore relativo di anteriorità (soprattutto nelle subordinate); con il prevalere,
nel perfectum, del valore temporale su quello aspettuale, la lingua latina ha
prodotto una nuova forma perifrastica per indicare l’aspetto compiuto (hăbĕō
+ part. passato; cf. Plaut. Merc. 398 ... ancilla ... quae habeat cottidianum
familiae coctum cibum). Sono forme attestate già in età classica compertŭm
hăbĕō e stătūtŭm hăbĕō;
aspetto puntuale puntuale, puntuale
che indica azione momentanea
momentanea, momentanea indipendentemente dalla
durata (aoristo, di cui la morfologia latina conserva qualche residuo52 ): es.
Cic. Lael. 102 caritate … sublata, omnis est e vita sublata iucunditas. Il
momento in cui si condensa l’azione può essere piuttosto il momento iniziale
(aspetto ingressivo: es. Cic. epist. 12, 6, 2 si conservatus erit, vicimus = “se
[Bruto] si sarà salvato, abbiamo bell’e vinto”) o quello finale (aspetto
egressivo: es. Sen. epist. 9, 7 artifici iucundius pingere est quam pinxisse ...
non aeque delectatur, qui ab opere perfecto remouit manum).
L’opposizione aspettuale infectum / perfectum si coglie ancora, al di là del tempo
grammaticale, in esempi come questi:
Plaut. Bacch. 151 VVVVixisse ixisse ixisse ixisse (aoristo egressivo) nimio satiust iam quam
uiu uiuere uiu uiuere
ere ere (= “Finire di vivere sarebbe ormai molto meglio che continuare a
52 Ad es. faxō è, morfologicamente, un congiuntivo aoristo, e faxĭm un ottativo aoristo
(sopravvissuto anche nel proibitivo [es. nē fēcĕrīs] e nel potenziale [es. dixĕrĭt quĭs]).
69

vivere”); Plin. nat. 7, 190 si dulce uiu uiuere uiu uiuere
ere ere est, cui potest esse uuuuixisse ixisse ixisse? ixisse (= “se è
dolce vivere, per chi può esserlo l’aver smesso di vivere?”);
Cic. Att. 4, 4a, 1 Perbelle feceris (perfectum risultativo), si ad nos ueneris
(aoristo) (= “Farai una gran bella cosa, se verrai da noi”);
Cic. fam. 14, 4, 3 si te habebo, non mihi uidebor plane perisse (perfectum
risultativo) (= “se avrò te, non mi sembrerà di essere del tutto perduto”).
Cicerone (Arch. 7) cita un passo della lex Plautia Papiria (89 a.C.) in cui il
piuccheperfetto congiuntivo compare con diverse valenze, aspettuali o temporali:
Data est ciuitas, Siluani lege et Carbonis,
SI QVI FOEDERATIS CIVITATIBVS
ASCRIPTI ASCRIPTI ASCRIPTI FVISSENT FVISSENT,
FVISSENT
SI TVM CVM LEX FEREBATVR
IN ITALIA DOMICILIVM HABVISSENT
HABVISSENT
ET SI SEXAGINTA DIEBVS
APVD PRAETOREM ESSENT ESSENT ESSENT PROFESSI PROFESSI.
PROFESSI
La cittadinanza è data, in virtù della
legge di Silvano e Carbone, “nel caso in
cui gli interessati fosse fossero fosse ro risultati risultati iscritti
iscritti
in una città confederata, qualora nel
momento in cui la legge veniva
approvata avesse avessero avesse
ro ro avuto avuto domicilio in
Italia e a condizione che si fosse fossero fosse
ro
dichiarat dichiarati dichiarat dichiarat davanti al pretore entro
sessanta giorni”.
In questo testo, circa i tre requisiti previsti dalla legge (sottintendendo un verbo
reggente del tipo iussere), il primo ppf. cong. passivo (ascripti fuissent) esprime, dal
punto di vista dell’aspetto verbale, un perfectum risultativo, mentre essent professi
esprime azione puntuale; invece habuissent (collegato – mediante consecutio
temporum – a ferebatur) appartiene piuttosto alla categoria temporale (evidenziata
dal nesso tum cum).
Il latino, inserendo l’originaria opposizione aspettuale nel sistema temporale,
cerca di “congiungere” nella “coniugazione” l’infectum e il perfectum (in
quest’ultimo si fondono, in latino, aoristo e perfectum), inserendo in ognuno di essi
forme temporali parallele, con la distinzione presente-passato-futuro (presente,
imperfetto, futuro I / perfetto, piuccheperfetto, futuro II).
Il latino tende così via via ad assimilare fra loro il tema dell’infectum e quello
del perfectum; il processo si realizza più compiutamente nei verbi derivati, ma non
si compie del tutto per i verbi primari o radicali: ad es. sia stō sia sĭ-stō hanno come
perfetto stĕtī; sia cumbō (aoristico) sia cŭbō (infectum) hanno come perf. cŭbŭī e,
accanto a sīdī, sīdō ha come perf. anche sēdī, che è però parimenti perf. di sĕd-ĕ-ō.
La morfologia latina originariamente esprimeva l’aspe aspe aspetto tto puntuale puntuale con
raddoppiamento del tema del presente (es. sĭ-stō = “mi fermo”, vs. stō = “sto fermo”;
*sĭ-(s)d-ō > sīdō = “mi siedo”, vs. sĕd-ĕ-ō = “sto seduto”) o con infisso nasale (es. rĕcumb-ō
= “mi sdraio”, vs. rĕ-cŭb-ō = “sto sdraiato”) o con suffisso caratterizzante il
tema (-ĭs-; es. *laudā-u-ĭs-im > laudāuĕrim), più tardi piuttosto con preverbi
perfettivizzanti (es. effŭgĭō / confŭgĭō vs. fŭgĭō, peruĕnĭō / aduĕnĭō vs. uĕnĭō,
70

exclāmō vs. clāmō, dēbellō vs. bellō, concĭdō vs. cădō, effĭcĭō / perfĭcĭō / confĭcĭō
vs. făcĭō, collābŏr vs. lābŏr [cfr. ital. “collasso” vs. “labile”], assĕquŏr vs. sĕquŏr,
persuādĕō vs. suādĕō [cfr. ital. “persuasivo” vs. “suadente”], contŏnat / dētŏnat vs.
tŏnat, combūrō / exūrō vs. ūrō): ma l’aoristo morfologico confluisce in latino nel
perfectum risultativo (es. XII Tavole, III 6 secuerunt = ‘si trovano ad aver tagliato’).
L’aspetto aspetto aspetto ingressivo ingressivo è espresso anche mediante suffisso suffisso incoativo (-skĕ- / -skŏ-
/ -sk-); es. *dĭ-dc-sc-ō > discō vs. dŏcĕō; contĭcescō = “ammutolisco”; (g)nā-sc-ŏr
= “entro a far parte della gens”. Talora il suffisso incoativo è preceduto dal suffisso -
ī- (es. concŭp-ī-scō). Nella coniugazione, esso è assente nel perfetto (es. crē-sc-ō
[cfr. crēō > crĕō], perf. crē-u-ī) perché, indicando un continuo ricominciare, si
contrappone all’aspetto risultativo, a cui si ricollega – morfologicamente – il tempo
perfetto.
15 15.2. 15
.2. LLa
L a diatesi verbale
Le diatesi sono originariamente due:
1) ATTIVA ATTIVA: ATTIVA indica lo stato in cui il soggetto si esprime o l’azione che da lui parte;
2) MEDIA MEDIA (in -r):
a) indica stato o azione in cui il soggetto è coinvolto
per la sua partecipazione affettiva all’azione espressa dal verbo: es.
mĕrĕŏr = “mi merito”;
come oggetto dell’azione: verbo riflessivo; così ad es. lăuŏr (espresso
però, nel latino volgare, anche dalla diatesi attiva con pronome
riflessivo: mē lăuō) nel latino standard sostituisce lăuō, -ās
anticamente usato nel senso di “lavarsi”, in contrapposizione a lăuō, -
ĭs usato nel senso di “lavare”; ma anche in età classica il perfetto lăuī
può avere significato medio (= “io mi lavai”). Così pure il perfetto di
rĕuertŏr (= “mi giro indietro” e quindi “ritorno”) è rĕuert;
b) oppure indica la forma impersonale (es. inuĭdētŭr mĭhĭ; currĭtŭr).
Dal medio si passa, nell’evoluzione della lingua, al significato PASSIVO PASSIVO, PASSIVO con
riferimento ad un’azione subìta dal soggetto; egli è indicato da ablativo di causa
o di agente (accompagnato dalla preposizione ab quando si tratta di agente, da
cui parte l’iniziativa; l’agente può però anche essere espresso dal sintagma
strumentale per + acc.). La diversa sfumatura di significato si può notare in
questo esempio: Cic. S. Rosc. 80 Quid ais? uulgo occidebantur? per quos et a
quibus?
Alla forma suffissale in -r (medio-passivo) il latino volgare preferisce forme
analitiche di passivo: es. Petron. 74,14 curabo domata domata domata domata sit sit sit sit Cassandra caligaria;
Per. Aeth. 36, 3 tantus mugitus totius populi est... ut forsitan... ad ciuitatem
gemitus ... auditus auditus auditus auditus sit sit.
sit sit
71

Soltanto i verbi che ammettono complemento oggetto (transitivi) possono
essere usati al riflessivo e al passivo.
I verbi deponenti sono stati così denominati dai grammatici antichi perché –
nella lingua colta – avevano ‘deposto’ le desinenze attive, conservando soltanto
quelle del medio; presso gli antichi, invece, alcuni verbi si potevano vedere usati in
entrambe le forme ma con lo stesso significato: così osserva Prisciano (gramm. II, p.
396) elencando numerosi verbi, ad es. recordo et recordor. Nell’omologazione della
diatesi la differenza di significato sembrava scomparsa, sì che lo standard risultava
aver abbandonato la forma attiva.
Il deponente è tuttavia una delle formazioni meno vive del latino, e la lingua
parlata preferisce alla forma in -r la corrispondente forma attiva (cfr. ad es. Cato agr.
151, 4 ubi germen nascere coeperit, tum demi [scil. stramentum oportet]); questa è
rimasta quindi in uso nel latino di registro informale (es. Petron. 46, 1 Tu, qui potes
loquere, non loquis).
Varrone si limita a registrare l’aporia – radicata nell’uso – della diversa
desinenza di sentio e adsentior :
... sentior nemo dicit et id per se
nihil est: assentior tamen fere omnes
dicunt. Sisenna unus assentio in
senatu dicebat et eum postea multi
secuti, neque tamen uincere
consuetudinem potuerunt.
Varro ap. Gell. 2, 25, 8
Sentior non lo dice nessuno, e come
verbo semplice tale forma non
esiste; invece quasi tutti dicono
adsentior. Sisenna era l’unico a dire,
in senato, adsentio, e in seguito
molti lo imitarono: e tuttavia non
poterono prevalere sull’uso.
I verbi deponenti non si sono comunque trasmessi alle lingue romanze.
Inversamente, verbi attivi possono essere trattati, per ipercorrettismo, da deponenti,
nel latino tardo.
La confusione era favorita dall’occasionale duplice valenza (attiva e passiva)
degli aggettivi verbali: infatti nei deponenti il participio presente e il gerundio
hanno forma attiva, mentre il gerundivo (agg. verbale in -ndŏ-) ha significato
passivo. Inoltre il participio passato (agg. verbale in -tŏ-), che talora può avere
significato attivo (es. pransŭs, despērātŭs, cautŭs, scītŭs), in alcuni verbi deponenti
ha significato sia attivo sia passivo (es. mĕdĭtātŭs, rătŭs).
Per il significato anche attivo del part. passato, i verbi deponenti se ne servono
per formare i tempi del perfetto.
15.3. .3. MModi
M odi e tempi
Le forme nominali del verbo sono, dal punto di vista morfologico, nomi, e
come tali si declinano. Sono sostantivi verbali l’infinito, il gerundio e il supino
72

(indeclinabile: cfr. § 15.6.4), sono aggettivi verbali i participi (presente, passato,
futuro – che contribuisce alla formazione dell’infinito futuro –) e il gerundivo.
Le forme più propriamente verbali si coniugano invece con desinenze
personali, nei tre MODI MODI: MODI
indicativo indicativo (modo della realtà),
imperativo imperativo (esprime comando, originariamente non divieto),
congiuntivo congiuntivo (esprime intenzionalità e soggettività, dubbio, potenzialità =
possibilità condizionata, irrealtà, e in generale è modo della subordinazione);
in latino il congiuntivo (spesso rinforzato da ut o ŭtĭnam) assorbe anche
l’otta otta ottativo otta tivo indoeuropeo (modo del desiderio; cfr. sotto, § 15.5.2.5 e § 15.7.2).
La negazione della volizione e del desiderio è espressa dall’avverbio (poi
congiunzione) nē, quella della potenzialità o irrealtà da non.
Al di là di quanto è illustrato sistematicamente dalla grammatica normativa,
ecco alcuni esempi circa l’uso del congiuntivo, in proposizioni principali o
subordinate:
Quid hoc sit hominis? (Plaut. Amph. 576; = “Che specie d’uomo sarebbe
questa?”; ma cfr. Ter. Eun. 833 quid illuc hominis est?)
Quare uelim (ottativo) mihi ignoscas (Cic. fam. 13, 75, 1; = “perciò vorrei
che tu mi perdonassi”)
«Non igitur faciat (dubitativo) – dixerit (potenziale) quis – quod utile sit,
quod expediat?» (Cic. off. 3, 76; = “Non dovrebbe fare dunque – qualcuno
potrebbe obiettare – ciò che gli è utile, ciò che gli conviene?”).
Hoc uero sine ulla dubitatione confirmauerim (Cic. Brut. 25; potenziale;
l’aspetto perfettivo è qui ormai dimenticato)
EUTHICUS: Quo nunc ibas? — CHARINUS: Exulatum. —
EU. Quid ibi faceres? — CHA. Quod miser.
EU. Ne paue: restituam iam ego te.
(Plaut. Merc. 884-886; qui faceres ha valore finale: lett. “a farci che cosa?”;
ma nella sistemazione grammaticale dei fatti linguistici esso può essere
definito “potenziale del passato”).
Quin etiam Xenocraten ferunt, nobilem in primis philosophum, cum
quaereretur ex eo quid adsequerentur eius discipuli, respondisse ut id sua
sponte facerent quod cogerentur facere legibus (Cic. rep. 1, 3; = “Dicono
che anche Senocrate, filosofo fra i più celebri, quando gli veniva chiesto
quale risultato conseguivano i suoi discepoli, rispondeva: «di fare
spontaneamente ciò che le leggi imponevano loro di fare»”).
73

Quin ego hoc rogem (cong. dubitativo) quod nesciam (attrazione modale)?
(Plaut. mil. 426; = “Perché non dovrei chiedere quello che non so?”)
An ego occasionem … amitterem? (Ter. Eun. 604-606; eventualità – irreale
– nel passato = “Avrei forse dovuto perdere l’occasione...?”)
Si (erus) intus esset, euocarem (Plaut. Pseud. 640; nella protasi del periodo
ipotetico dell’irrealtà, si ha uno sviluppo del congiuntivo da potenziale nel
passato verso un significato di irrealtà nel presente: “supponiamo che il
padrone si fosse trovato dentro: lo chiamerei”)
Di tibi dent (ottativo) quaecumque optes (eventualità)! (Plaut. Asin. 29);
... quicquid increpuisset (eventualità) pertimescentem...uidere te uolui (Cic.
Pis. 99; = “qualunque rumore ti avesse spaventato ... ho voluto vederti”)
… quanta conscientiae uis esset (interr. indir., con consecutio temporum :
vedi sotto, p. 108) ostendit (Cic. Cat. 3, 11).
L’ATTRAZIONE MODALE non è un automatismo fisso:
Es. ...nec adhuc fere inueni qui non concedendum putaret (relativa con
valore consecutivo) Caesari quod postularet (Cic. Att. 7, 6, 2; = “non ho
ancora trovato, all’incirca, nessuno che ritenesse che non si doveva
concedere a Cesare quello che chiedeva”; postularet è congiuntivo per
“attrazione modale”, o meglio perché esprime il punto di vista del soggetto
di putaret, soggetto diverso da chi scrive); cfr. invece l’indicativo in Att. 7,
5, 5 ... ego is sum qui illi concedi putem (relativa con valore consecutivo)
utilius esse quod postulat quam signa conferri (= “io sono uno che ritiene
più utile che gli si conceda quello che chiede piuttosto che arrivare allo
scontro armato”).
Entrando nelle CATEGORIE CATEGORIE TEMPORALI
TEMPORALI
coniugano al presente, passato e futuro; ma il congiuntivo non ha futuro (esprime
già di per sé una previsione soggettiva), come l’imperativo non ha il passato (cfr.
Varro ling. 9, 101: perfectum enim imperat nemo); quanto all’aspetto verbale,
mĕmentō è un perfectum (con raddoppiamento), ma come significato temporale è
un futuro (con suffisso -tōd, antico avverbio dimostrativo, da un originario
pronome in ablativo), equivalente a un presente.
Sono perciò considerati ‘perfetti perfetti logici’ (morfologicamente perfetti, ma con
significato di presente) mĕ-mĭn-ī (= “io ho accumulato ricordi”, e quindi “io
ricordo”), nōuī (= “io ho conosciuto”, e quindi “io so”; ma nōuī funge anche da
perfetto di noscō), ōdī (= “io ho accumulato rancore”, e quindi “io odio”).
CATEGORIE TEMPORALI, sia l’infectum sia il perfectum si
Nella coniugazione verbale occorre individuare
• tema, formato dalla radice + eventuale vocale tematica,
• desinenza personale,
74

• eventuale raddoppiamento; con il tema del presente la vocale di
collegamento è ĭ (es. gi-gn-ō), con il tema del perfetto la vocale di
collegamento è ĕ (es. pĕ-pŭl-ī), ma talora è la stessa vocale della radice (es.
mŏ-mord-ī),
• elementi predesinenziali (suffissi temporali o modali): essi mancano nell’ind.
pres. e nell’imperativo.
La radice però può a sua volta comprendere uno o più infissi infissi (come la nasale
infissa: es. tannnng-ō) o suffissi suffissi, suffissi
tra cui
la nasale suffissa [es. cernnnn-ō];
suffissi desiderativi (vedi sotto, p. 80): -ss ss ss- ss (es. uĭd-ss-ō > uīsō, ămassō), -ssssŭr ŭrīīīī- ŭr ŭr e
-ttttŭr ŭrīīīī- ŭr ŭr (es. *ĕd-sŭrī-ō > ēsŭrĭō, *part-tŭrī-ō > partŭrĭō);
il suffisso frequentativo -ĭĭĭĭtttt----, formatosi sul modello dei frequentativi in –ĭĭĭĭtō tō tō, tō
che si erano prodotti a partire dagli aggettivi verbali in -tŏ- (vedi sotto, §§ 15.5.1;
15.6.3); tale suffisso si unisce direttamente alla radice verbale (es. ăg-ĭtō) oppure
rafforza verbi di cui si era indebolita la connotazione intensiva (es. dict-ĭtō, cant-ĭtō)
o desiderativa (es. uīs-ĭt-ō),
il suffisso incoativo (vedi sopra, p. 70 e sotto, p. 80)----sk sk skĕĕĕĕ---- sk / / / / ----sk sk skŏŏŏŏ---- sk / / / / ----sk sk sk---- sk (es.
tĭmē-sc-ō, (g)nā-sc-ŏr);
il suffisso di derivazione -i̯ĕ- / -i̯ŏ- / -ĭ- (vedi sopra, p. 80);
il suffisso ottativo -i̯ĕ ∂- / -i̯ē ∂- / -ĭ ∂- > -ī- (vedi sopra, p. 32, e sotto, p. 83).
15 15.4. 15
.4. Le e e desinenze verbali
Le desinenze sono comuni a tutti i tempi e modi tranne che nell’indicativo
perfetto (che ha desinenze speciali) e nell’imperativo (in cui le desinenze
inizialmente sono assenti). Anche nei tempi non perifrastici del passivo e del
deponente c’è un’unica serie di desinenze (tranne che nell’imperativo).
15.4 15.4.1. 15.4 .1. Desinenze Desinenze della della diatesi diatesi attiva attiva
attiva
desinenze primarie desinenze secondarie
verbi tematici verbi atematici
----ōōōō (> > > > ----ŏŏŏŏ) ****----mmmmĭĭĭĭ > > > > ----mmmm
----mmmm
****----ssssĭĭĭĭ > > > > ----ssss ----ssss
****---- ttttĭĭĭĭ > > > > ----tttt ****----t t t t ( > ----dddd arc.)
****----mmmmŏŏŏŏs s s s > > ----mmmmŭŭŭŭssss (/ ----mmmmĕĕĕĕs s s s in dorico) ****----mmmmŏŏŏŏ
****----ttttĕĕĕĕs s s s > > > > ----ttttĭĭĭĭssss ----ttttĕĕĕĕ
----nt nt ntĭĭĭĭ nt > > > > ----nt nt nt nt
----nnnntttt
La desinenza primaria atematica di prima persona singolare (****----mmmmĭ ĭ ĭ ĭ > > > > ----mmmm)
sopravvive in latino soltanto in sŭm (cfr. εἰµί). Per il resto -m rappresenta la
desinenza secondaria (-ν in greco).
75

Testimonianze della desinenza secondaria di terza persona -d si trovano nel
latino arcaico (es. siēd, ĕsĕd), poi si generalizza la desinenza primaria -t; nel latino
volgare essa poteva essere soppressa (es. CIL IV, 1173: ama, peria, ualia).
In latino volgare talora -nt > -n.
15.4.2. 15.4.2. DDesinenze
D esinenze della della diatesi med media med
ia e e e ppassiva
p passiva
assiva
desinenze primarie
desinenze secondarie
----ōōōō----rrrr ( > > > > ----ŏŏŏŏrrrr) ----rrrr
----ssssĕ ĕ ĕ ĕ ( > > > > ----rrrrĕĕĕĕ), ), ), ----rrrrĭĭĭĭssss ----ssssŏŏŏŏ-s s s s ( > > > > ----rrrrŭŭŭŭssss) ) (di uso dialettale)
----ttttŏŏŏŏ----rrrr ( > > > > ---- ttttŭŭŭŭrrrr)
----mmmmŏŏŏŏ----rrrr ( > > > > ----mmmmŭŭŭŭrrrr)
----mmmmĭĭĭĭnnnnĭĭĭĭ
----nt nt ntŏŏŏŏ----rrrr nt ( > > > > ----nt ntŭŭŭŭrrrr) nt nt
L’uscita -r, caratteristica dell’impersonale, dalla terza persona si è trasmesso alla
prima singolare e plurale e alla terza plurale.
Desinenza originaria della seconda persona era -sĕ / -sŏ (cfr. λύ-ε-σο > λύου),
che in latino mostra vocalismo ĕ (-sĕ): es. Plaut. mil. 424 Quicum tu fabulare? (=
“Con chi parli tu?”). Da questa desinenza deriva l’uscita -rĭs (analogica dell’uscita in
-s della diatesi attiva), usata specialmente nell’indicativo presente (per evitare la
confusione con l’imperativo passivo e con l’infinito presente attivo: es. lĕgĕrĕ).
Le uscite di terza persona sing. e plur. sono frutto di contaminazione analogica
tra la desinenza secondaria medio-passiva (-tŏ, -ntŏ) e la desinenza impersonale -r.
Una traccia della desinenza secondaria -mŏ si trova nel passivo -mŏ-r > -mŭr.
La seconda persona plurale presenta un’uscita di non facile spiegazione: -mĭnĭ
proviene forse da un’antica forma nominale del verbo (cfr. λεγόµενοι), con ellissi del
verbo “essere”: si tratterebbe del suffisso –mĕn- (proprio dei nomina actionis: cfr.
sēmĕn, agmĕn), ampliato in –m(ĕ)nŏ- (cfr. ălumnŭs) e declinato al plurale (-mĕnoi̯ >
-mĭnī> -mĭnĭ); cfr. § 15.5.3.2.
15.4.3. 15.4.3. Desinenze Desinenze del del perfetto perfetto
perfetto
Quando iniziano per -t- o per -m-, esse sono precedute (anche nel perfetto
sigmatico) dal suffisso -ĭs- (caratterizzante il tema); ma nella prima persona plurale la
desinenza -mŏs > -mŭs è preceduta da una ĭ di collegamento che sembra provenire
dallo ∂ presente nella radice di alcuni verbi (es. stĕtĭĭĭĭ-mŭs, ἔστᾰ-µεν; dĕdĭĭĭĭ-mŭs, δέδο-µαι).
Ecco dunque le desinenze del perfetto latino:
76

----aaaai̯ i̯ i̯ i̯ > > > > ----eeeei̯ i̯ i̯ i̯ > > > > ----īīīī (desinenza del medio; l’originario dittongo -ai̯ è suggerito
dall’esito della riduzione vocalica riscontrabile nel tipo pĕpŭŭŭŭlī e (tĕ)tŭŭŭŭlī (cfr. §
15.7.1.1), dove la l è velare: vedi sopra, § 4.1.
----ĭĭĭĭssss----te te tei̯ tei̯
i̯ i̯ > > > > is is----tī is is tī tī tī
----īt īt īt īt > > > > ----ĭt ĭt ĭt ĭt (arc. anche ----ĕd ĕd) ĕd ĕd
----ĭĭĭĭ----mmmmŭŭŭŭssss
----ĭĭĭĭssss----ttttĭs ĭs ĭs ĭs
----ĭĭĭĭssss----ŏŏŏŏnt nt nt nt > > > > ----ĕr ĕr ĕr----unt ĕr unt unt unt / / / / ----ērunt. ērunt. ērunt. ērunt. Ma la più antica uscita di terza persona plur. è --ērĕĕĕĕ;
ēr ēr ēr la affianca, nel latino arcaico e volgare, l’innovazione in -ĕĕĕĕrunt runt; runt runt
dall’analogia con entrambe sembra essersi originata la forma classica in ----ērunt ērunt ērunt ērunt
(preferita da Cesare e anche da Cicerone). Cfr. Cic. orat. 157: Nec uero
reprehenderim «scripsēre alii rem» [Enn. ann. 206 S.] et ‘scripsērunt’ esse
uerius sentio, sed consuetudini auribus indulgenti lubenter obsequor (= “Non
me la sentirei di biasimare scripsēre alii rem, e nello stesso tempo sono
consapevole che ‘scripsērunt’ sarebbe forma più corretta, ma seguo volentieri
la consuetudine che va ad orecchio”).
15 15.5. 15
.5. TTema
T ema dell’
dell’infectum infectum infectum infectum
15 15.5.1. 15
.5.1. .5.1. Le Le quattro quattro quattro coniugazioni
coniugazioni
I verbi latini tematici e atematici, tra primari (detti anche radicali) e derivati, si
dovrebbero raggruppare in
verbi in vocale -ā- (es. ărā-rĕ), -∂- > -ă- (dărĕ), -ē- (flē-rĕ), e verbi con suffisso
di derivazione -ĭ- (*căp-ĭ-rĕ > căpĕrĕ) / -ī- (dormī-rĕ);
verbi in consonante, con l’aggiunta della vocale tematica -ĕ- / -ŏ- (lĕg-ĕ-s >
lĕgĭs, lĕg-ŏ-mŏs > lĕgĭmŭs): sono i veri e propri verbi ‘tematici’;
verbi originariamente in semivocale:
verbi primari come iŭu̯-ō e *lŏu̯-ō (cfr. *sĕ-lu̯ō > solu̯ō) > lău̯ō,
verbi con suffisso di derivazione -i̯ĕ- / -i̯ŏ- / -i̯- (es. *cūrā-i̯-ō > cūrō).
Varrone aveva raccolto i verbi in tre coniugazioni: in -ā-, in -ē-, in -ĭ- (-ĕ-) 53 ;
successivamente i grammatici alla terza coniugazione (tertia correpta) ne aggiunsero
53 Varro ling. 9, 62 (109): … meo neo ruo: ab his enim dissimilia fiunt transitu, quod sic dicuntur:
“meo meas, neo nes, ruo ruis”, quorum unumquodque suam conseruat similitudinis formam.
77

una quarta, in -ī- 54 . Da Prisciano in poi è stata canonizzata la suddivisione in
quattro coniugazioni a seconda dell’uscita del tema: -ā-, -ē-, -ĭ- (-ĕ-), -ī-.
La distinzione in coniugazioni non si adatta però al perfectum, che è
indipendente dall’uscita del tema verbale.
Sono verbi tematici propriamente detti i verbi primari (cioè non derivati) in -
ĕ- / -ŏ- (es. lĕg-ĕ-rĕ), cioè con vocale tematica aggiunta alla radice; ma sono
tradizionalmente detti verbi atematici soltanto quelli che hanno tema che non
termina in vocale (es. es-sĕ, fer-sĕ > ferrĕ).
Nelle quattro coniugazioni sono stati infatti inseriti sia i verbi in -ĕ- / -ŏ-, sia
quelli con tema uscente in vocale o semivocale (primari o derivati). Della
coniugazione atematica sussistono in latino soltanto residui.
Tuttavia, per comodità, la maggioranza dei verbi latini tematici e atematici
(con esclusione di alcuni verbi atematici in consonante) viene tradizionalmente
raccolta in quattro coniugazioni:
La PRIMA CONIUGAZIONE comprende:
pochi verbi atematici in -ā- (fā-rī, cfr. φη-µί; ărā-rĕ);
il verbo atematico atematico dă-rĕ (radice dē- / dō- / d∂-; vedi sotto, § 15.8.6); cfr. dōnum
(δῶρον), δίδωµι, dōs, dătus; forme come dās, imp. dā, sono analogiche rispetto
ai verbi in -ā-. Questo verbo ha composti (o meglio giustapposizioni) senza
riduzione vocalica (uēnumdărĕ), mentre i veri composti (con riduzione vocalica)
seguono la terza coniugazione (reddĕrĕ, ecc.; il composto uendĕrĕ è analogico);
dalla radice dhē- / dh∂- (vedi sopra, p. 35), alcune giustapposizioni (circumdărĕ,
pessumdărĕ), mentre i veri composti (con riduzione vocalica) seguono la terza
coniugazione (condĕrĕ);
alcuni verbi radicali (con radice bisillabica) originariamente in -ă-, con -ā- (per
analogia) soltanto nel tema del presente: es. dŏmās, ma *dŏmă-u̯-ăi > dŏmă-u̯-ī
> dŏmŭī;
il verbo stā-rĕ , con radice uscente in -ā- / -ă- 55 (cfr. perf. *stĕ-(s)tăăăă-mŏs >
stĕtĭĭĭĭmŭs, cfr. ἕστᾰµεν), cui si aggiunge il suffisso di derivazione -i̯ĕ- / -i̯ŏ- / -i̯- >
-ĭ- (*stā-i̯-ō > *stāō > stō);
due verbi primari in -u̯- (iŭu-ō; lău-ō);
verbi con infisso nasale -n- e quindi con radice uscente in -nā- (es. mānā-rĕ);
54 A partire dal grammatico Sacerdote (III d.C.): tertia producta quam quidam quartam uocant (GLK
VI, p. 431); Sacerdote riprendeva forse un insegnamento di Q. Remmio Palemone (I d.C.).
55 Vedi sopra, p. 32. La prima persona del perf. è stĕ-st-ai̯ > stĕtī.
78

verbi in -ā- derivati derivati da corrispondenti verbi radicali: es. dĭc-ā-rĕ con significato
aoristico vs. dīc-ĕ-rĕ; lăb-ā-rĕ (= “vacillare”) vs. lāb-ī (= “scivolare”); lēg-ā-rĕ vs.
lĕg-ĕ-rĕ, ē-dŭc-ā-rĕ vs. ē-dūc-ĕ-rĕ ; păr-ā-rĕ vs. *păr-ĭ-rĕ > părĕrĕ, sēd-ā-rĕ
vs. sĕd-ērĕ e *sĭ-sd-ĕ-rĕ > sīdĕrĕ. Vedi anche sopra, § 6.
Ha invece significato durativo cŭb-ā-rĕ (> ital. “covare”) in opposizione al verbo
con nasale infissa cumb-ĕ-rĕ, preferibilmente usato nei composti.
I composti rispetto al verbo semplice hanno generalmente un significato
perfettivo: es. oc-cŭp-ā-rĕ vs. căp-ĕ-rĕ, ap-pell-ā-rĕ vs. pell-ĕ-rĕ, *ob-cĕl-ĕ-sĕ
> occŭl-ĕ-rĕ (cfr. il frequentativo: occult-ā-rĕ) vs. cēl-ā-rĕ (= “tenere celato”; cfr.
anche l’avv. clam);
verbi denominativi in -ā- (sono la maggioranza dei verbi della prima
coniugazione):
es. laud-ā-rĕ dal sost. laus, nĕc-ā-rĕ dal sost. nex, nĕcĭs, duplĭc-ā-rĕ dal sost.
duplex, -ĭcĭs, in-dĭc-ā-rĕ dal sost. index, -ĭcĭs, iū-dĭc-ā-rĕ dal sost. iūdex, -ĭcĭs,
uin-dĭc-ā-rĕ dal sost. uindex, -ĭcĭs, rēmĭg-ā-rĕ dal sost. rēmex,-ĭgĭs, seru-ā-rĕ
(perfettivo rispetto a seruīrĕ) dal sost. seruŭs, dōn-ā-rĕ dal sost. dōnŭm,
monstr-ā-rĕ dal sost. monstrŭm, lăbŏr-ā-rĕ dal sost. lăbŏr, mĕmŏr-ā-rĕ
dall’agg. mĕmŏr, fluctŭ-ā-rĕ dal sost. fluctŭs, lĕu-ā-rĕ (latino tardo lĕuĭ-ā-rĕ)
dall’agg. lĕuĭ-s.
Questi verbi talora sono formati con l’aggiunta del suffisso di derivazione -i̯ĕ- / -
i̯ŏ- / -i̯-:
es. *cūrā-i̯-ō > *cūrā-ō > cūrō, dal sost. cūră;
Si tratta generalmente di verbi transitivi e causativi rispetto al corrispondente
verbo radicale (es. fŭg-ā-rĕ = “mettere in fuga”, vs. fŭg-ĕ-rĕ);
verbi freq frequentativi freq
uentativi e intensivi
uentativi e intensivi ricalcati sull’agg. verbale in -tŏ- 56 (es. capt-ā-rĕ,
cant-ā-rĕ, iact-ā-rĕ, dict-ā-rĕ, uŏlūt-ā-rĕ, dormīt-ā-rĕ, pult-ā-rĕ57 ) o -sŏ- (es.
uers-ā-rĕ, puls-ā-rĕ 58 ).
Per analogia con l’agg. verbale in -ĭtŏ-58, altri frequentativi/intensivi si
formano con il suffisso -ĭt- (es. ăg-ĭt-ā-rĕ, hăb-ĭt-ā-rĕ), talora anche a rinforzo
di verbi già di per sé frequentativi (es. dict-ĭt-ā-rĕ, cant-ĭt-ā-rĕ).
Sono grecizzanti verbi del tipo gargăr-iss-ā-rĕ / gargăr-iz-ā-rĕ.
La SECONDA CONIUGAZIONE comprende:
alcuni verbi primari a radice in -ē- (originariamente atematici): es. flē-rĕ, implē-rĕ
(cfr. πίµ-πλη-µι, plē-nŭs), rē-rī (part. passato rătŭs);
56 Vedi sopra, § 15.6.3.
57 Pultārĕ (da pŏl-tŏ-s) è forma plautina, poi sostituita da pulsārĕ, che è neoformazione da pulsŭs
(analogico: vedi sotto, p. 87).
58 Vedi sotto, p. 88.
79

verbi con tema uscente in -ē- all’infectum, indicanti lo stato: es. iăc-ē-rĕ (vs.
iăc-ĕ-rĕ), pend-ē-rĕ (vs. pend-ĕ-rĕ), plăc-ē-rĕ (vs. plāc-ā-rĕ), sĕd-ē-rĕ (vs.
*sĭ-sd-ĕ-rĕ > sīdĕrĕ, sēd-ā-rĕ);
verbi con tema uscente in -ē-, che possono essere sia transitivi sia intransitivi; es.
uĭdē-rĕ, hăbē-rĕ, mănē-rĕ, tĕnē-rĕ;
verbi causativi: es. mŏnē-rĕ (cfr. rĕ-mĭn-ī-sc-ī, mens), dŏcē-rĕ (cfr. *dĭ-dc dc dc-sc-ĕ- dc
rĕ > discĕrĕ), mŏuē-rĕ (per la quantità lunga di mōtus vedi sotto, p. 87), nŏcē-rĕ
(cfr. nex, nĕcĭs; nĕc-ā-rĕ);
denominativi in -ē- con suffisso di derivazione -i̯- (es. dal tema albĕ- di albŭs
deriva *albĕ-i̯-ē-sĕ > albērĕ, come da ārĭdŭs deriva ardērĕ) e per analogia verbi
derivati da altri temi: flōrērĕ da flōs, frondērĕ da *frond-s > frons.
In latino arcaico alcuni verbi in -ē- sono affiancati da temi in consonante (es.
fulgē-ō > fulgĕō, fulg-ō), che rimangono poi nella lingua poetica e volgare.
La TERZA CONIUGAZIONE comprende:
in gran parte verbi tematici in -ĕ- / -ŏ- (es. fei̯d-ĕ-sĕ > fīdĕrĕ, *quai̯s-ĕ-sĕ >
quaerĕrĕ, *quĕs-ī > quĕrī); sono verbi tematici a raddoppiamento (con vocale di
raddoppiamento ĭ) bĭ-b-ō, gĭ-gn-ō, *sĭ-s-ō > sĕrō, *sĭ-sd-ō > sīdō (= mi siedo),
sĭ-stō (= colloco, mi fermo), ecc.;
verbi con nasale infiss infissa, infiss cioè inserita all’interno della radice, davanti alla
consonante finale:
talora la nasale appare soltanto nell’infectum, cioè nel tema del presente:
es. -cumbō (perf. -cŭbŭī), findō (perf. fĭdī), frangō (perf. frēgī), fundō
(perf. fūdī), linquō (perf. līquī), rumpō (perf. rūpī), tangō (perf.
tĕtĭgī), uincō (perf. uīcī), nanciscŏr (perf. nactŭs sum),
in altri verbi la nasale appare anche nel perfetto o nell’aggettivo verbale
in -tŏ-: es. fingō (perf. finxī, part. passato fictŭs, cfr. anche fĭgŭlŭs,
effĭgĭēs), pandō (perf. pandī, part. passato passŭs, ma anche –
analogicamente – pansŭs), pangō (perf. panxī e pĕpĭgī, part. passato
pactŭs ; cfr. anche i sostantivi pactŭs e pax), pingō (perf. pinxī, part.
passato pictŭs, cfr. anche pictŏr), stringō (perf. strinxī), tundō (perf.
tŭtŭdī, part. passato tunsŭs, ma in composizione contūsŭs),
in altri verbi la nasale appare in tutti i temi verbali: es. fungŏr (part.
passato functŭs), iungō (iunxī, iunctŭs, cfr. ζεύγνυµι; ma la nasale non
compare nel sost. iŭgŭm, cfr. ζυγόν; cfr. anche iūmentă e iūgĕrŭm, per
il cui allungamento vedi sopra, § 5.7), plangō (planxī, planctŭs, ma sost.
plāgă), prĕ-hendō (prĕ-hendī, prĕ-hensŭs, ma sost. *prai̯-hĕd-ā >
praedă),
verbi con nasale suffissa suffissa (cioè aggiunta), da un antico presente in -nā- / -n∂-: es.
*cr(ĭ)-n-ō > *cr̥-n-ō > cernō (perf. crēuī), con-tem-nō (perf. con-tem-(p)-s-ī),
fal-n-ō > fallō (part. pass. falsus), spernō (perf. sprē-uī), sternō (perf. strā-uī),
80

*pelnō > pellō (pĕ-pŭl-ī, pulsŭs, pulsārĕ), *tolnō > tollō (rad. *tĕl ∂ -; (tĕ)-tŭl-ī,
*tlā-tŭs > lātŭs),
verbi con l’aggiunta del suffisso incoativo ----sk sk skĕĕĕĕ---- sk / / / / ----sk sk skŏŏŏŏ---- sk / / / / ----sk sk-: sk sk es. *pr̥c-sc-ō >
poscō (cfr. prŏcŭs, prŏcārī, prĕcārī), discō (vedi sopra, p. 33), crē-sc-ō (cfr. crē-ō
> crĕō) > crescō, (g)nāscŏr, (g)noscō.
Talora il suffisso incoativo è preceduto dal suffisso -īīīī---- (forse originariamente
ottativo: vedi sopra, § 15.5.2.5) : es. con-cŭp-ī-sc-ō, ex-perg-ī-sc-ŏr, rĕ-mĭnī-sc-ŏr,
ulc-ī-sc-ŏr, prŏ-fĭc-ī-sc-ŏr (cfr. prō-fĭcĭŏ), ecc.
Conservano significato incoativo verbi come īrascŏr, obdormīscō, invĕtĕrascō,
călēscō, tĭmēscō, ecc.;
verbi con l’aggiunta del suffisso ----ttttŏŏŏŏ---- in tutta la coniugazione: es. plectō, nectō;
verbi con l’aggiunta del su suffisso su
ffisso desiderativo ----ss ss----: ss ss es. arcessō / accersō (= “far
venire”, da ar-cēdō; 59 secondo altri, deriva da arcĕō), căpessō (da căpĭō), făcessō
(= “desidero fare”, “mi metto in cammino”; da făcĭō), *quai̯s-ssō > quaesō
(diverso da *quai̯s-ō > quaerō), uĭd-ss-ō > uīsō (da uĭdĕō); ad es. nel Carmen
lustrale (attestato da Cato agr. 141) seruassīs è ottativo di seruassō (che a sua volta
è desiderativo di seruō);
verbi con l’aggiunta del suffisso ----dddd----: es. clau-d-ō (cfr. clāu-ĭs), fren-d-ō (cfr.
frĕmō), ten-d-ō (cfr. tĕn-ĕō);
verbi composti (con riduzione vocalica) di dăr dărĕĕĕĕ dăr dăr (dē-dō, red-dō, ad-dō, ē-dō, prōdō,
trā-dō; per analogia con essi si forma il composto uēn-dō );
verbi composti derivanti dalla radice dhē dhē---- dhē dhē /dhō /dhō---- /dhō /dhō /dh /dh∂∂∂∂---- /dh /dh (= porre, cfr. τί-θη-µι;
vedi sopra, p. 35): es. condō, ab-dō, per-dō, *kr̥d-dhō > *krĕd-dhō > crēdō);
verbi denominativi (da temi in -ŭ-), formatisi con il suffisso suffisso ----i̯ i̯ i̯---- i̯ + + la la vocale
vocale
tematica tematica ----ĕĕĕĕ---- / / / / ----ŏŏŏŏ-: es. trĭbŭō (da trĭbŭs), mĕtŭō (da mĕtŭs), stătŭō (da stătŭs).
Inoltre sono ono TRADIZIONALMEN
TRADIZIONALMENTE
TRADIZIONALMEN
TE inseriti nella terza coniugazione (oppure
nella quarta) i verbi con tema tema uscente in ----ĭĭĭĭ---- : si tratta di verbi derivati in cui il
suffisso -i̯ĕ- / -i̯ŏ- compare come -ĭ-, dopo una radice con vocale interna breve (es.
căpĭō, cŭpĭō, făcĭō, fŏdĭō, fŭgĭō, iăcĭō, părĭō, quătĭō, răpĭō, săpĭō, spĕcĭō, grădĭŏr,
mŏrĭŏr, pătĭŏr).
La QUARTA CONIUGAZIONE comprende i verbi con tema verbale uscente
in -ī-:
pochissimi verbi radicali monosillabici (es. scī-ō);
59 Si ricordi che ăr- è forma dialettale per ăd- : vedi sopra, § 7.15.
81

verbi denominativi da temi in -ei̯- / -ĭ- (es. fīnĭō, mentĭŏr, mollĭŏr, mūnĭō
[da moenĭ-ă], sĭtĭō) e anche, per analogia, da altri temi (es. custōdĭō,
impĕdĭō, seruĭō [infectum rispetto a seruō], saeuĭō, fastīdĭō);
verbi il cui suffisso (ottativo? vedi § 15.5.2.5) -i̯ĕ ∂ - / -i̯ŏ ∂ - compare come
-ī-: es. dormĭō, fĕrĭō, uĕnĭō (la radice verbale *g w n̥- > uĕn- è presente
senza il suffisso in ad-uĕn-ă), sălĭō, audĭō;
desiderativi in -sŭrī- (*ĕd-sŭrī-ō > ēsŭrĭō, da ĕdō) e in -tŭrī- (partŭrĭō, da
părĭō).
15 15.5.2. 15
.5.2. .5.2. La La formazione formazione dei dei modi e dei tempi
15 15.5.2.1. 15 15.5.2.1.
.5.2.1. .5.2.1. Indicativo Indicativo Indicativo Indicativo presente presente presente presente
Nell’indicativo presente non c’è alcun suffisso temporale o modale.
I verbi della III coniugazione aggiungono la desinenza al tema verbale per mezzo
della vocale tematica -ĕ- / -ŏ-. Tale vocale si riduce a -ĭ- / -ŭ- [cfr. sopra, § 4.1]
in sillaba finale e interna: es. lĕg-ĕ-s > lĕgĭs, lĕg-ŏ-nt > lĕgunt, *lĕg-ŏ-mŏs >
lĕgĭmŭs / *uŏl-ŏ-mŏs > uŏlŭmŭs; compare invece come ĕ davanti a r : es. lĕgĕĕĕĕrĕ,
lĕgĕĕĕĕrĭs.
Nella I e nella II coniugazione il tema esce in vocale (ā opp. ē) e quindi non c’è
vocale tematica; non c’è traccia nemmeno del suffisso -i̯ĕ- / -i̯ŏ- (es. *ămā-i̯-ō >
ămō); i verbi con tema in ā opp. ē non si distinguono perciò dai verbi atematici
(iŭuārĕ, ărārĕ) inseriti nella medesima coniugazione.
Nei temi in -ĭ- e in -ī- soltanto la terza persona plurale presenta traccia della
vocale tematica -ĕ- / -ŏ- (*căpĭ-ŏ-nt > căpĭunt, *audī-ŏ-nt > audĭunt).
Alcuni verbi originariamente atematici (es. sum) presentano vocale tematica (-ĕ-
/ -ŏ) soltanto alla prima persona sing. e plur. e alla terza plurale: dalla terza plur.
la vocale tematica -ŏ- si è estesa alla prima sing. e plur. (come nei verbi
tematici). Ma ad es. īmŭs (= “noi andiamo”) non presenta vocale tematica.
15 15.5.2.2. 15 15.5.2.2.
.5.2.2. .5.2.2. Indicativo Indicativo Indicativo Indicativo imperfetto imperfetto imperfetto imperfetto
Si forma con il suffisso -ā-, indicante il passato (ămā-b-ā-s, ma anche nel ppf.
ămā-u-ĕr-ā-s). Nell’impf. di sum il suffisso -ā- si unisce direttamente alla radice
(*ĕs-ā-m > ĕrăm), mentre negli altri verbi esso è preceduto da un altro suffisso di
collegamento (-b-), che impediva ambiguità e confusione di forme, derivanti da
contrazioni; si ritiene che -b- derivi da un suffisso -bā-, che originariamente
potrebbe essere stato l’impf. della radice *bheu̯ ∂ - > *bhū- / *bhŭ- (cfr. lat. fū- / fŭ-;
82

grado zero f- (cfr. φύω, φυτός) e suffisso incoativo -ī- in *bhu̯-ī-ō > fīō : l’impf. ind.
sarebbe dunque originariamente una forma perifrastica.
Non è però chiara l’uscita in vocale lunga, che il tema verbale ha
costantemente (in tutte le coniugazioni) davanti a -bā-: si tratta forse di un
sostantivo verbale (analogamente a ārĕ-făcĭō, călĕ-făcĭō, pătĕ-făcĭō, commŏnĕ-făcĭō,
dove la -e- è breve, ma talvolta è attestata come lunga). Nella quarta coniugazione
la forma analogica (es. audĭēbam, sul tipo di căpĭēbam) coesiste con la forma
regolare (es. audībam).
Alla prima persona singolare compare la desinenza secondaria (-m); nel resto
della coniugazione non è possibile distinguere se si tratti di desinenze
originariamente secondarie.
15 15.5.2.3. 15 15.5.2.3.
.5.2.3. .5.2.3. Indicativo Indicativo Indicativo Indicativo futuro futuro futuro futuro
Nel latino arcaico è talora attestata una forma di futuro futuro risultativo risultativo, risultativo che utilizza
il congiuntivo sigmatico radicale (in -s-ō): es. *făc-s-ō > faxō (cfr. λύ-σω), cfr.
Plaut. Amph. 972 faxo hau quicquam sit morae. L’arcaismo virgiliano iussō (Verg.
Aen. 11, 467) è spiegato da Sen. epist. 58, 4 come equivalente al classico iussĕrō (e
d’altra parte il futuro anteriore è morfologicamente un congiuntivo aoristico: cfr. §
15.7.2); ma anche il desiderativo ămassō60 è spiegato dai grammatici come
equivalente ad ămāuĕrō (Paul. Fest., p. 26, 3).
Al di là di queste attestazioni isolate, il futuro futuro (creazione (creazione recente) recente) è presente in
latino in due forme, una per la I e II coniugazione, l’altra per la III e la IV:
Nella III e IV coniugazione il latino può utilizzare il congiuntivo (implicante
intenzionalità, desiderio, potenzialità, esortazione, e quindi adatto a esprimere la
prospettiva futura) indoeuropeo con vocale tematica allungata (-ē- / -ō-; altri ci
vedono un antico suffisso ottativo -i̯ē-, su cui vedi § 15.5.2.5), riservando al
congiuntivo l’antico suffisso in -ā- del congiuntivo indoeuropeo; quest’ultimo viene
però utilizzato anche nel futuro indicativo per la prima persona (lĕgam), dove
l’uscita in -ō avrebbe creato confusione con l’ind. presente; nella terza persona
plurale il tipo *lĕg-ō-nt, *căpĭ-ō-nt, *audī-ō-nt, passando a *lĕgunt, *căpĭunt,
*audĭunt si sarebbe confuso con l’ind. pres., e perciò si generalizza la forma in -ē-
(lĕg-ē-nt, căpĭ-ē-nt, *audī-ē-nt > audĭ-ē-nt); tale forma analogica si comunica
anche alla prima persona plurale (lĕg-ē-mus, căpĭ-ē-mus, *audī-ē-mŏs > audĭ-ēmus).
Nella I e II coniugazione non poté essere utilizzata, per esprimere il futuro
ind., una delle due forme del congiuntivo indoeuropeo, perché si sarebbe
determinata confusione con l’ind. presente: i verbi della I coniugazione utilizzano
per il congiuntivo pres. il tipo in -ē- (es. laudem) – di oscura origine (cfr. paragrafo
successivo) – ma non possono utilizzare per il futuro il tipo in -ā-, che si
60 Cfr. Plaut. Cas. 1101-1103: Si umquam posthac aut amasso Casinam aut occepso modo, / ne ut
eam amasso, si ego umquam adeo posthac tale admisero, / nulla causast, quin pendentem me, uxor,
uirgis uerberes.
83

confonderebbe con l’uscita del tema, e i verbi della II coniugazione utilizzano per il
congiuntivo pres. il tipo in -ā-, ma non possono utilizzare per il futuro il tipo in -ē-,
che si confonderebbe con l’uscita del tema.
Il futuro della I e II coniugazione è perciò perifrastico, in ----bō bō bō bō (analogamente
all’impf.): questo suffisso era originariamente un presente (= io sono), come sembra
di poter vedere in dŭbĭtō, se lo si intende come frequentativo di *dŭ-bō (= sono fra
due opposti pensieri).
Il latino latino volgare volgare utilizza talora anche per verbi della III e IV coniugazione il
futuro in -bō; le lingue romanze hanno sostituito il futuro con una forma forma analitica analitica, analitica
mediante l’uso di hăbĕō (es. cantār(e) habĕō > *cantar-aio) o uŏlō (es. voiu canta).
15 15.5.2.4. 15 15.5.2.4.
.5.2.4. .5.2.4. Congiuntivo Congiuntivo Congiuntivo Congiuntivo presente presente presente presente
Il latino utilizza il congiuntivo indoeuropeo in -ē- per la I coniugazione e
quello in -ā- per le altre coniugazioni.
Del tipo in -ē- si danno diverse spiegazioni: potrebbe trattarsi di vocale
tematica allungata (ē- / -ō-), mentre secondo altri si tratterebbe di un antico suffisso
ottativo -i̯ē- (vedi § 15.5.2.5).
Il congiuntivo in -ā- originariamente aveva un tema diverso e indipendente
da quello dell’infectum e del perfectum; ne abbiamo residui in latino arcaico (es.
dŭām [= dēm > dĕm], crēdŭām, tŭlām, abstŭlās, aduĕnāt, tăgām, attĭgās), e il cong.
sigmatico taxāt appare nell’avverbio dumtaxăt (= lett. “mentre si tocca con mano”, e
quindi “né più né meno”, “al più”, “almeno”, “esattamente”).
15 15.5.2.5. 15 15.5.2.5.
.5.2.5. .5.2.5. Ottativo Ottativo Ottativo Ottativo
Sono morfologicamente ottativi i congiuntivi in -ĭm (aor. -s-ĭm), conservatisi
in età classica soltanto in verbi atematici (es. sĭm, uĕlĭm, nŏlĭm, mālĭm), ma
anticamente presenti anche nei verbi con vocale tematica. Ne sono residui forme
sigmatiche (taxĭt, faxĭm, ausĭm) e non sigmatiche (tăgĭt, dŭĭm, crēdŭĭm; es. ‘Legge
di Numa’ in Paul. Fest. 247, 24 si quis hominem liberum dolo sciens morti duit,
paricidas esto).
In queste forme si riconosce il suffisso ottativo -i̯ē- / -ī- (la quantità lunga al
grado ridotto fa pensare che si tratti di un suffisso originariamente bisillabico: -i̯ĕ ∂ - /
-i̯ē ∂ - / -ĭ ∂ - > -ī- ; vedi sopra, p. 32). In latino arcaico il grado pieno era riservato al
singolare, il grado ridotto al plurale (cfr. ε-ἴη-ν / ε-ἶ-µεν): es. s-i̯ē-m > sĭēm, s-īmus,
ecc.; ma per analogia con il plurale il latino classico presenta anche al singolare
sīm > sĭm, sīs, sīt > sĭt.
L’imperativo negativo (in realtà ottativo aoristico proibitivo) di età classica (nē
fēcĕris) è forse un rifacimento del tipo *nē faxīs.
84

15 15.5.2.6 15 15.5.2.6
.5.2.6. .5.2.6.
. . Congiuntivo Congiuntivo Congiuntivo Congiuntivo imperfetto imperfetto imperfetto imperfetto
Si forma con il suffisso -sē-, che quando segue un tema uscente in vocale si
rotacizza in -rē-: perciò es-sē-s e *fer-sē-s > ferrēs, ma lĕgĕ-rē-s.
11115555.5.2.7 .5.2.7 .5.2.7. .5.2.7.
. . Imperativo Imperativo Imperativo Imperativo
In latino non sono attestati imperativi con il tema del perfectum (tranne *mĕmn̥-tōd
> mĕmentō; per fu vedi sotto, § 15.8.1), ma solo con il tema del presente:
IMPERATIVO IMPERATIVO IMPERATIVO PRESENTE
PRESENTE:
PRESENTE
attivo: ămā, ămātĕ; mŏnē, mŏnētĕ; lĕgĕ, lĕgĭtĕ; audī, audītĕ; căpĕ, căpĭtĕ; ma
dīc, dūc, făc sono apocopati; è arcaico o arcaizzante l’imperativo negativo del
tipo nē saeuī (cfr. Ter. Andr. 868; Verg. Aen. 6, 544; Lucan. 8, 765);
mediopassivo: ămārĕ, ămāmĭnī; mŏnērĕ, mŏnēmĭnī; lĕgĕrĕ, lĕgĭmĭnī; audīrĕ,
audīmĭnī; căpĭrĕ, căpĭmĭnī;
L’uscita in -mĭnō (cfr. Lex XII Tab. 1,1 Si in ius uocat, ito. Ni it, antestamino;
Plaut. Pseud. 859 arbitramino) è forse parallela a forme osco-umbre in *-mĕnō >
*-mnō > -mō: si tratterebbe di forme di “infinito imperativo” (con ellissi del
verbo “essere”); vedi anche sopra, § 15.5.3.2.
IMPERATIVO IMPERATIVO FUTURO FUTURO: FUTURO
nella seconda persona singolare si forma dal tema del presente con l’aggiunta del
suffisso desinenziale -tō(d) [antico avverbio dimostrativo, da un ablativo
pronominale = “a partire da questo momento”];
nel plurale si forma per analogia (lĕgĭtō sta a lĕgĭtōtĕ come lĕgĕ sta a lĕgĭtĕ).
In origine l’imperativo futuro non aveva una forma distinta per il passivo e il
deponente, perché il suffisso -tō(d) non aveva una valenza verbale. Le forme in -
tŏr e -ntŏr sono analogiche.
15 15.5.3. 15
.5.3. .5.3. Forme Forme Forme nominali nominali dell’
dell’ dell’infectum infectum infectum infectum
15 15.5.3.1. 15 15.5.3.1.
.5.3.1. .5.3.1. Infinito Infinito Infinito Infinito
È un antico nomen actionis cristallizzatosi con desinenza del locativo di un
tema in -s- [****----ssssĭ ĭ ĭ ĭ > > > > ----ssssĕ ĕ ĕ ĕ > > > > ----rrrrĕĕĕĕ]; quindi originariamente non ha caratterizzazione
temporale (e significa “essere in...”, cioè essere nella situazione espressa dal verbo),
ma poi esprime un rapporto temporale (contemporaneità).
85

L’inf. presente medio/ medio/passivo
medio/ passivo presenta desinenza ----īīīī (da un dativo indoeuropeo
*-ai̯ > *-ei̯ ?), che nei verbi della terza coniugazione si unisce direttamente alla radice
del presente (senza la vocale tematica); probabilmente analogica (rispetto alla diatesi
attiva) è la -r- che precede la desinenza nelle altre coniugazioni, e oscura è la
desinenza arcaica ----ĭĕr ĭĕr ĭĕr. ĭĕr
15 15.5.3.2. 15 15.5.3.2.
.5.3.2. .5.3.2. Participio Participio Participio Participio presente presente presente presente
Il part. presente – nei verbi attivi e nei deponenti – si forma con il suffisso -nt-
(es. *laudā-nt-s > laudans), preceduto – nella terza e quarta coniugazione e in quella
atematica – da vocale tematica ĕ [anziché ŏ come in greco]: lĕgens, căpĭens,
audĭens, fĕrens; il verbo ĕō presenta invece alternanza ĕ/ŏ (*ĕi̯-ĕĕĕĕ-nt-s > ī-ens > ĭens,
genit. *ĕi̯-ŏŏŏŏ----nt-ĕs > ĕuntĭs).
Al nom. sing., il maschile e il neutro presentano tema in -nt- (es. *fĕrent-s >
fĕrens, per analogia la desinenza -s si estende anche al neutro: *fĕrent > fĕrens), il
femminile era in origine tema in -ĭ-, ma *fĕrent(ĭ)s > fĕrens; cfr. l’abl. sing. ora in -ĕ
ora in -ī, e il genit. plur. ora in -ŭm ora in -ĭŭm, ma il neutro plur. è in -ĭă.
Il part. pres. era utilizzabile sia per la diatesi attiva sia per la diatesi media;
perciò in verbi che indicavano sia uno stato (diatesi media; es. mŏuĕor) sia un’azione
(diatesi attiva; es. mŏuĕō), il participio univa i due significati (es. mŏuens = “che si
muove” oppure “che muove”), e ciò si verifica anche in altri verbi (es. gignentĭă =
quae gignuntŭr) 61, sì che il participio presente può assumere perfino significato
passivo (ēuĭdens = quod uĭdētŭr, infans = qui non dīcĭt ma anche quod non
dīcĭtŭr) 62 . Il participio presente di un verbo di diatesi media (es. fĕrŏr, gignŏr,
uoluŏr, exercĕŏr, lăvŏr) può essere usato come assoluto: es. Nep. 14, 4, 5 quem
procul Aspis conspiciens ad se ferentem pertimescit.
Resti di part. pres. medio-passivi (con suffisso -m(ĕ)nŏs, cfr. –µενος; vedi
anche sopra, § 15.4.2) sono i nomina actionis ălumnŭs, fēmĭnă (cfr. θῆλυς) 63,
Vertumnŭs.
61 Così ad es. Sall. Iug. 79, 6 e 93, 4 usa gignentia nel senso di “vegetali”.
62 Cfr. Gell. 5, 9, 1 (Filius Croesi regis, cum iam fari per aetatem posset, infans erat et, cum iam
multum adoleuisset, item nihil fari quibat) e Acc. trag. 189 (Prius quam infans facinus oculi
uescuntur tui...).
63 La stessa radice verbale (dhē- > fē-) è presente in fēlix (= ‘fertile’) e fēnŭs, -ŏrĭs (= ‘profitto’,
‘frutto’), forse anche in fěnŭm (attestato anche come foenŭm), -ī (= ‘fieno’).
86

15 15.6. 15
.6. FForme
F orme nominali originariamente iindipendenti
i
ndipendenti sia dal dal
tema tema dell’
dell’ dell’infectum infectum infectum infectum sia dal tema del perfectum perfectum perfectum perfectum
15 15.6.1. 15
.6.1. .6.1. Aggettivo verbale in ----nd nd ndŏŏŏŏ---- nd (cd. “g “gerundivo “g
erundivo erundivo”) erundivo ”)
È un aggettivo verbale (probabilmente un’innovazione italica) detto anche
part. futuro medio-passivo, perché esprime azione azione talora talora talora at attiva at attiva
tiva talora talora mediopassiva
mediopassiva
(es. Ter. Ad. 967 póstremo hódie in psáltria hác emúnda [= ĕmēndā] híc adiútor fúit;
Cic. off. 2,9,34 prudentia sine iustitia nihil ualet ad faciendam fidem).
Con una connotazione di doverosità il gerundivo è spesso usato
all’impersonale (es. făcĭendŭm est = “bisogna fare”; ĕundŭm ĕrăt = “bisognava
andare”).
Si forma con l’aggiunta del suffisso ----nd nd ndŏŏŏŏ---- nd al tema tema del presente. I verbi della III
e IV coniugazione presentano vocale tematica oscillante tra ĕ e ŏ (es. scrībendŭs /
scrībundŭs): la prima si è più affermata, per analogia con il part. pres. in -ens, la
seconda sopravvive in formula giuridiche [es. dē (pěcūnĭis) rěpětundīs, con
riferimento a un processo per concussione; praetor iūrē dīcundō] oppure in
aggettivi quali ŏrĭundŭs, sěcundŭs (con verbi di diatesi originariamente media).
Gli aggettivi verbali in -bundŭs (es. mŏrĭbundŭs) uniscono alla radice verbale
(e prima del suffisso -ndŏ-) la radice *bheu̯ ∂- / *bhŭ-64 (= essere, divenire).
Gli aggettivi uěrēcundŭs, iŭcundŭs, fācundŭs, fēcundŭs65, īrācundŭs sono
formati da una radice verbale congiunta forse con il gerundivo di una radice *kū- (=
essere gonfio, ricco, forte).
15 15.6.2. 15
.6.2. .6.2. Gerundio
Gerundio
È forma sostantivata del gerundivo, di cui ricalca la morfologia: supplisce
quindi alla declinazione dell’infinito (genit. -ī, dat. -ō, acc. -ŭm, abl. -ō).
15 15.6.3. 15
.6.3. .6.3. Aggettivo Aggettivo Aggettivo verbale verbale verbale in in ----ttttŏŏŏŏ---- (cd. “participio passato”)
Il cosiddetto “participio passato” si forma con l’aggiunta del suffisso ----ttttŏŏŏŏ---- 66 alla
radice radice verbale (originariamente originariamente originariamente in grado ri ridotto ri
dotto o zero zero) zero
67 senza suffisso ed era
64 Vedi sopra, pp. 82-83.
65 Vedi sopra, nota 63.
66 In ie. il suffisso era accentato: cfr. φυτός (= “fertile”, “produttivo”), δυνᾰτός (= “capace”, “potente”,
ma anche “possibile”), δοτός (= “dato”, “che si può dare”), στᾰτός (= “fermo”, “stabile”), κλυτός (=
“glorioso”, dalla radice cleu̯- / clŭ-), ecc.
87

quindi originariamente indipendente sia dal tema dell’infectum sia da quello del
perfectum: es. questŭs (da *quĕsŏr > quĕrŏr), tinctŭs, scriptŭs, ruptŭs, captŭs, iactŭs,
raptŭs, ăpertŭs, uinctŭs, uictŭs, inclĭtŭs (dal verbo clŭĕō = “aver fama”: vedi nota 66).
Si ha allungamento di compenso quando la consonante sonora della radice si
assimila alla t del suffisso (vedi sopra, p. 31).
Per il passaggio t + t oppure d + t a ss si hanno i participi in -sŭs o -ssŭs (uīsŭs,
cāsŭs, rīsŭs, sensŭs, suāsŭs, scissŭs, fissŭs, morsŭs, absconsŭs, iussŭs [*iŭdh- > iŭb-]),
pensŭs [da pendō; per analogia si forma anche mensŭs (da mĕtĭŏr)]. Poco attestato è
il part. passato di ardĕō (ard-tŏ-s > arsŭs), sostituito – in quanto aggettivo verbale –
dal part. futuro arsūrŭs, ma nell’uso corrente è ben attestato (con assimilazione
progressiva -rs- > -ss-) l’aggettivo verbale assŭs (= “arrostito”), da cui il causativo
tardolatino assāre (“far arrostire”).
È analogico il participio in -sŭs di alcuni verbi con perf. in -sī: es. mansŭs,
flexŭs, sparsŭs, tersŭs. Sembrano analogici alcuni participi di verbi in -ln- > -ll- e
in -rr- (quali pulsŭs 68, falsŭs, cursŭs), ma anche pressŭs (da prĕmō), lapsŭs (da lābŏr),
ecc.
Il part. passato mortŭŭs è analogico rispetto all’aggettivo uīuŭs.
Alcuni participi mostrano ancora la forma originaria originaria, originaria originaria in cui la radice
compariva in grado ridotto o zero 67 (es. sătŭs (rad. sē- / s-; cfr. sē-mĕn, sĭ-s-ō >
sĕrō), rătŭs (rad. rē-), stătŭs (rad. stā- / stă-), ĭtŭs (rad. ei̯-> ī- / ĭ-; cfr. rĕdĭtŭs, ma
ambĭtŭs per analogia con ambīrĕ diventa ambītŭs), mĭssŭs (rad. mītt- / mĭtt-:
mĭttō, mīsī; cfr. ital. ‘mẹtto’, ‘mẹsso’), dĭctŭs (rad. dei̯c- > dīc- / dĭc-; cfr. ital.
‘dẹtto’), dŭctŭs (rad. deuc- > dūc- / dŭc-; cfr. ital. ‘condọtto’), condĭtŭs (rad. dhē-
/ dhă-), dătŭs (rad. dō- / də-), cognĭtŭs (rad. (g)nō- / (g)n ∂ -; nōtus è analogico di
nōuī), (g)nātŭs (rad. gĕn ∂ - / gnā-; cfr. cognātŭs; il part. passato gĕnĭtŭs è rifatto
sul supino gĕnĭtŭm), strātŭs (rad. stĕr ∂ - / strā-; cfr. sternō), (t)lātŭs (dalla radice
tĕl ∂ - / tŏl ∂ - / tlā-, cfr. τελα-µών e *tŏl-n-ō > tollō; tĕ-tŏl-ai̯ > (tĕ)tŭlī (per la perdita
del raddoppiamento, in età classica, vedi sotto, § 15.7.1.1); stessa radice è in tŏlĕrō,
formatosi probabilmente per analogia con ŏnĕrō).
I verbi che hanno il perfetto in -āuī, -ēuī, -īuī, e i denominativi in -ŭō hanno
vocale lunga prima del suffisso: es. ămātŭs, dēlētŭs, quaesītŭs, audītŭs, stătūtŭs (da
cui per analogia sŏlūtŭs, lŏcūtŭs, sĕcūtŭs).
I verbi delle quattro coniugazioni che hanno il perfetto in -ŭī hanno il part.
passato in -ĭtŭs oppure in –tŭs : es. dŏmĭtŭs, mŏnĭtŭs, sectŭs, doctŭs, mixtŭs,
*tors-tŏ-s > tostŭs, cultŭs.
67 Ad es. uentŭm (

I verbi in -u̯ō o in -u̯ĕō hanno part. passato con sincope della -ĭ- di
collegamento: es. cautŭs, lautŭs; mōtŭs ha la ō per analogia con il perfetto mōui,
fōtŭs (da fŏuĕō) ha la ō per analogia con il perfetto fōuī, ădiūtŭs (da adiŭuō) ha la ū
per analogia con il perfetto adiūuī.
In quanto aggettivo verbale, il part. passato originariamente indicava soltanto
che il soggetto aveva la qualità espressa dal verbo, e poteva avere quindi un
significato significato sia sia attivo attivo sia sia sia passivo passivo69:
es. pransŭs = “che ha pranzato” (es. Catull. 32, 10),
pōtŭs “che ha bevuto” (cfr. Tib. 2,5,101 pōtŭs iuuĕnĭs), despērātŭs “disperato” (attivo
e passivo anche in italiano), inuīsŭs = “inviso” oppure “ostile” (es. Verg. Aen. 11, 364
ĕgo, inuīsum quem tū tĭbĭ fingĭs...).
È stato perciò utilizzato anche per il perfetto dei verbi verbi deponenti deponenti deponenti (es. sĕcūtŭs
sŭm = io sono uno che ha seguito”) e semideponenti (es. ausŭs sŭm), oltre che dei
verbi passivi passivi. passivi
Conservano un significato attivo cautŭs, scītŭs, mĕdĭtātŭs, rătŭs (da cui irrĭtŭs
= “che non ragiona”, “insensato” 70 , ma classicamente passivo, = “che non è pensato”
e quindi “vano”, “inutile”) 71 .
Dall’aggettivo verbale in -tŏ- derivano gli intensivi-frequentativi della prima
coniugazione (es. cantō, pulsō, captō, hăbĭtō, dormītō: vedi anche sopra, p. 78),
spesso usati nel latino volgare e quindi spesso continuati nelle lingue romanze (es.
ital. “cantare”, “pulsare”, “abitare”).
15 15.6.4 15
.6.4. .6.4 . Sostantivo verbale verbale in ----tttt---- (cd. “supino)
I due supini in ----ttttŭm ŭm ŭm ŭm e e e in in ----tū tū tū tū sono forme nominali da un un tema in ----ttttoooou̯ u̯- u̯ u̯ / / ----ttttŭŭŭŭ-
( originariamente sostantivo deverbativo: es. quaestŭs, mōtŭs, uīsŭs ): il supino in
-tŭm è un antico accusativo di direzione, il supino in -tū è talora un antico dativo
(di destinazione) – in età arcaica è attestato anche un supino in -tŭī, vero e proprio
dativo – oppure un ablativo (di allontanamento o del punto di vista, oppure
strumentale); cfr. Cato agr. 5,5 primus cubitu surgat, postremus cubitum eat.
A differenza dell’aggettivo verbale in -tŏ- [su cui vedi il paragrafo precedente],
il supino si forma dal grado pieno della radice: es. supino *gĕn∂-tŭm > gĕnĭ-tŭm vs.
participio passato (g)nā-tŭs, grammaticalmente inserito nel paradigma dell’incoativo
(g)nā-sc-ŏr.
69 Così anche gli aggettivi in -bĭlĭs possono avere sia significato attivo (es. terrĭbĭlĭs) sia significato
passivo (es. ădōrābĭlĭs).
70 Cfr. Catone, De moribus, in Gell. 11, 2: sumptuosus, cupidus, elegans, uitiosus, inritus qui
habebatur, is laudabatur.
71 In ambito giuridico anche rătŭs può avere significato passivo: cfr. ad es. Cic. Acad. 1,27 decretum
... stabile fixum ratum...
89

Il supinum uerbum indica indifferenza tra diatesi attiva e medio-passiva, e
infatti il nesso ăd + gerundivo (cfr. sopra, § 15.6.1) equivale al supino in –tŭm.
15.6.5. Formazioni nominali derivanti da radici verbali
Molte formazioni nominali derivano da radici verbali: così i nomi d’azione e/o
astratti in -tĭō 72, i nomi d’azione in -tŭs – (da cui il supino: cfr. § 15.6.4), i nomi
d’agente in -tŏr: es. actĭō, actŭs, actŏr.
Talora i nomi d’azione in -tĭō(n) 73 sono costruiti ancora come fossero verbi:
es. Plaut. Truc. 621 quid tibi huc uentiost? quid tibi hanc aditio est? (= “Che
significa il tuo venir qui? il tuo avvicinarti a lei?”).
Successivamente il valore nominale dei nomi d’azione aumenta e subentra il
suffisso di derivazione -tū-, la cui natura è più fortemente nominale rispetto a -
tĭō(n): es. cultus regĭs (= “comportamento del re”) vs. cultĭō ăgrῑ (= “coltivazione del
campo”; qui cultĭō ha valore nominale solo formalmente, ma sintatticamente ha
valore verbale, con genitivo oggettivo in luogo del complemento oggetto); in
questo senso il sintagma è correttamente usato ancora da Cicerone (Verr. 2, 3, 226;
Cato 56), accanto ad ăgrῑ cultūră.
Dall’agg. verbale in -tŏ- derivano anche sostantivi astratti formati con il
suffisso -ūră, es. scriptūră (da scrbō), mensūră (da mētĭŏr), iactūră (da iacĭō), nātūră
(da nascŏr).
Altre formazioni nominali sono prodotte dal suffisso -ācĭ-: es. aud-āc(ĭ)-s >
audax, fall-āc(ĭ)-s > fallax, per-tĕn—āc(ĭ)-s > pertĭnax, per-u̯ĭc-āc(ĭ)-s > peru̯ĭcax.
15 15.6.6 15
.6.6. .6.6 . Infinito Infinito futuro futuro passivo
passivo
Dalla composizione dell’acc. del supino con l’infinito impersonale del verbo
‘andare’ (īrī) si forma l’infinito futuro passivo (es. ămātŭm īrī).
72 Originariamente erano tutti nomi d’azione. Così ad es. nātĭō ha ancora il suo significato
originario in un’iscrizione prenestina della prima metà del III sec. a.C. (CIL I 2 2, 60), dove Orcevia,
moglie di Numerio, offre un dono alla dea Fortuna Primigenia nationu cratia (= “per la nascita” di un
figlio).
Il latino inizialmente tendeva ad evitare gli astratti, ma la loro creazione si incrementò con
l’evolversi della società romana e soprattutto per influsso della lingua greca. Tra gli astratti sono però
poco frequenti quelli derivati da aggettivi mediante suffissi quali -tūdĭn-, -ĭt-ĭē-s: tali sostantivi
verranno ripristinati come arcaismi in età imperiale. Gli astratti più frequenti sono invece i nomi di
azione (da temi verbali), con il suffisso originario -tĭ- (es. gent(ĭ)s), poi ampliato in -tĭ-ō(n): es. ment(ĭ)-s
> mens, men-tĭ-ō(n).
73 Vedi nota precedente.
90

15 15.6.7 15
6.7 6.7. 6.7 . Participio Participio futuro
futuro
Il part. futuro attivo è un aggettivo deverbativo formato dal radicale
dell’aggettivo verbale in -tŏ-, con l’aggiunta del suffisso -tūrŏ- (-sūrŏ-); questo è
forse in rapporto con il suffisso di sostantivi femminili in -tūră, ma non con i
desiderativi in -tŭrī- (dove la u è breve).
Il part. futuro indica il rapportarsi del soggetto all’azione espressa dal verbo in
quanto desiderio, intenzione, attenzione, disposizione; es. prŏfectūrŭs = “deciso a
partire”, “sul punto di partire”, “pronto a partire”.
Alcuni participi futuri si formano dal tema del presente: mŏrĭtūrŭs (per
analogia con pĕrĭtūrŭs) e quindi nascĭtūrŭs, ŏrĭtūrŭs, părĭtūrŭs. Nel paradigma di
sŭm il part. futuro si forma dalla radice fŭ-
15 15.6.8 15
.6.8. .6.8 . Infinito Infinito futuro futuro attivo
attivo
L’infinito futuro attivo è formato dal part. futuro con l’aggiunta dell’inf. essĕ
per l’infectum e fŭissĕ per il perfectum. Il part. concorda naturalmente con il
soggetto, ed è frequente anche l’ellissi di essĕ: es. Liv. 27,9,8 plus ... prōfectūrōs rătī
(= “pensando di poter concludere di più...”).
Si è anche ipotizzato che l’inf. futuro si sia formato non dal participio futuro
ma dal tema del supino in -tū (locativo del sost. verbale) + *ĕsŏm > *ĕrŭm, antico
inf. di sŭm (cfr. osco-umbro), oppure dal tema del part. passato + *-rŏ- (suffisso
con significato futuro).
15 15.7. 15
.7. TTema
T ema del perfectum perfectum perfectum perfectum
Il tema del perfectum è un ampliamento del tema dell’infectum.
L’indoeuropeo aveva sia il perfetto (risultato presente di un’azione passata; in
greco: raddoppiamento dato dalla consonante iniziale + ĕ, oppure alternanza
apofonica; desinenze proprie, all’indicativo) sia l’aoristo (azione puntuale; in greco
l’aoristo è caratterizzato da aumento e tema diverso dal presente [es. ἐφάνην,
ἔλυσα], oltre che da desinenze secondarie).
In latino i due aspetti verbali sono espressi entrambi da un’unica forma
grammaticale (il “perfetto”).
91

15 15.7.1. 15
.7.1. .7.1. Perfetto Perfetto indicativo
indicativo
15 15.7.1.1. 15 15.7.1.1.
.7.1.1. .7.1.1. Perfetti Perfetti Perfetti Perfetti con con con con raddoppiamento
raddoppiamento
raddoppiamento
raddoppiamento
In indoeuropeo era proprio dei verbi radicali; in latino sussiste ancora per
alcuni verbi della III coniugazione e per pochi verbidella I e della II.
Il raddoppiamento è dato dalla consonante iniziale (*pĕ-pĕl-ai̯ > pĕpŭlī; *mĕmĕn-ai̯
> mĕmĭnī; *dĕ-d-ai̯ > dĕdī) oppure dal gruppo consonantico iniziale (es.
*stĕ-st-ai̯ > stĕtī).
La vocale vocale di di raddoppiamento
raddoppiamento fu inizialmente
inizialmente ĕĕĕĕ, poi essa fu sostituita dalla stessa
vocale del perfetto (se essa era uguale nell’infectum e nel perfectum): es. mŏmordī,
tŭtŭdī, dĭdĭcī.
Nei composti la sincope provoca la perdita del raddoppiamento: es. *rĕ-p(ĕ)păr-ai̯
> reppĕrī.
Per analogia con il tipo sustŭlī (in cui il valore perfettivo è segnalato dal
prefisso), il perfetto di tollō, tĕtŭlī, spesso compare senza raddoppiamento (tŭlī).
15 15.7.1.2. 15 15.7.1.2.
.7.1.2. .7.1.2. Perf Perfetti Perf Perfetti
etti etti apofonici apofonici apofonici apofonici
In essi si ha un incremento vocalico, e quindi la vocale del tema del presente si
allunga (es. uēnī, uīdī, fūgī, ēmī); ă presenta come grado pieno ē (es. iēcī, fēcī,
ēgī).
Trattandosi di perfetti, la nasale infissa non è presente (es. rūpī, līquī, uīcī,
fūdī).
15 15.7.1.3. 15 15.7.1.3.
.7.1.3. .7.1.3. Perfetti Perfetti Perfetti Perfetti caratterizzati caratterizzati caratterizzati caratterizzati soltanto soltanto soltanto soltanto dalle dalle dalle dalle desinenze desinenze desinenze desinenze
Pochi perfetti non hanno altra caratteristica propria se non le desinenze; si
tratta per lo più di composti, il cui corrispondente verbo semplice aveva forse in
origine un perfetto con raddoppiamento: es. accendī, offendī, incĭdī, incīdī, īcī (da
īcĭō = colpisco), ascendī.
Sono forme analogiche prandī, mandī, bĭbī (perfetto di bĭbō, che è un presente
con raddoppiamento).
Il perfetto non presenta mai la nasale infissa, e quindi perfetto di findō è fĭdī
(forse da *fĕ-fĭdī).
92

15 15.7.1.4. 15 15.7.1.4.
.7.1.4. .7.1.4. Perfetti Perfetti Perfetti Perfetti sigmatici sigmatici sigmatici sigmatici
Hanno questa forma di perfetto soprattutto i verbi con tema in consonante (es.
*deic-s-ai̯ > dixī; *ard-s-ai̯ > arsī; *iung-s-ai̯ > iunxī; *ges-s-ai̯ > gessī).
La radice compare con vocalismo allungato: es. uēxī, rēxī, e anche *meit-s-ai̯
> mīssī > mīsī (con perdita della s geminata dopo vocale lunga. La s geminata si
perde dopo dittongo in *haes-s-ai̯ > *haessī > haesī, *haus-s-ai̯ > *haussī > hausī).
Mentre lĕgō ha il perfetto con incremento vocalico (lēgī), i suoi composti
hanno spesso un perfetto sigmatico (forma analogica recenziore), es. intellexī. Il
perfetto sigmatico (talora con epentesi di p) prevale quando si perde la
consapevolezza della composizione: es. ăd-ēmī, ma dempsī (perf. di dē-ĕm-ō >
dēmō); arc. sŭrēmī (< sŭs-ēmī, perf. di sŭs-ĕm-ō > sūmō), ma class. sumpsī.
15 15.7.1.5. 15 15.7.1.5.
.7.1.5. .7.1.5. Perfetto Perfetto Perfetto Perfetto in in in in *-u̯ u̯ u̯-ai̯ u̯ i̯ > -u̯ u̯ u̯-ei̯ u̯ i̯ > > -u̯ u̯ u̯ī u̯
È un’innovazione latina, propria specialmente dei verbi della I, II e IV
coniugazione. Si forma con suffisso -u̯-, preceduto o meno da vocale lunga:
Nella I CONIUGAZIONE
hanno perf. in -āu̯ī i verbi che hanno il part. passato in -ātŭs (es. laudō),
hanno perfetto in -u̯ī i verbi che hanno grado ridotto (∂ > ă) al part. passato
(es. dŏmō, dŏmŭī, dŏmĭtŭm).
Nella II CONIUGAZIONE
hanno perfetto in -ēu̯ī i verbi che hanno il part. passato in -ētus,
hanno perfetto in -u̯ī i verbi che presentano grado ridotto (-ĭ-) o grado zero al
part. passato (es. hăbĕō, mŏnĕō, dŏcĕō), o che non l’hanno affatto (es.
tĭmĕō, ĕgĕō).
Nella IV CONIUGAZIONE
hanno perf. in -īu̯ī i verbi che conservano ī al part. passato (es. audĭō),
hanno perfetto in -u̯ī i verbi che presentano grado ridotto (-ĭ-) o grado zero
al part. passato (es. ī-u̯ī, ĭ-tŭm, ī-rĕ).
Ma la casistica è molto varia e i meccanismi non sono sempre sicuramente
determinabili.
Nei verbi che hanno radice uscente in -ŭ- (stătŭō, mĕtŭō, ma originariamente
anche soluō e uoluō) il perfetto in -u̯ī (es. *mĕtŭ-u̯ī > *mĕtūī > mĕtŭī) si distingueva
dal presente soltanto per la quantità: cfr. Varro ling. 9,104 in praeteritis u dicimus
longum ‘plūit ’, in praesenti breue ‘plŭit, ’.
Nei verbi che hanno radice uscente in -u̯- (căuěō, făuěō, fŏuěō, iŭuō, mŏuěō,
lăuō [< *lŏu̯ō, cfr. λούω], ecc.) il perfetto ha uscita -u̯ī, preceduta da sillaba (non:
vocale) radicale allungata: es. *lău̯-u̯-ai̯ > lāuī (cfr. măi̯-i̯ŏr).
93

La caduta di -u̯- tra vocali dello stesso timbro – con la seconda non accentata
(cfr. § 7.17) – provoca contrazioni contrazioni. contrazioni
Così perfetti in -īu̯ī possono avere forma
contratta in -ĭī e l’accentazione del perf. ital. “dormì” risale a dormī(u)ĭt. Anche i
perfetti in -ēu̯ī subiscono contrazioni (es- dēlēuĕrunt > dēlērunt), e per analogia
anche verbi con vocale diversa prima di -u̯- (es. ămastī, ămārunt, ămassěm, nostī,
nōrunt, nossĕ ecc.).
Al tempo di Cicerone erano considerate corrette sia le forme piene sia le
contratte (cfr. orat. 157), al tempo di Quintiliano (inst. 1,6,17) le forme piene erano
considerate affettate; nelle lingue romanze sono passate soltanto le forme contratte.
15 15.7.2. 15
.7.2. .7.2. Tempi Tempi derivati derivati dal dal tema del perfe perfectum perfe perfectum
ctum ctum
Derivano dal tema del perfectum, caratterizzato dall’aggiunta del suffisso -ĭs-
(su cui vedi sopra, § 15.4.3), per rotacismo > -ĕr-:
il futuro futuro futuro anteriore anteriore anteriore (antico congiuntivo aoristo: es. *fēc-ĭs-ō > fēcĕrō),
il perfetto perfetto congiuntivo congiuntivo (antico ottativo aoristo, sopravvissuto nel proibitivo
[es. nē fēcĕris] e nel potenziale [es. dixĕrit quis]),
l’infinito infinito infinito perfetto perfetto (con desinenza -sĕ; es. fēc-ĭs-sĕ),
il ppf. ppf. ppf. indicativo indicativo e e e congiuntivo
congiuntivo. congiuntivo
Il ppf. indicativo aggiunge il suffisso -ā-
(indicante il passato); il ppf. cong. aggiunge il suffisso -sē- (come nell’impf. cong.).
Del congiuntivo e ottativo aoristo si conservano anche forme sigmatiche
radicali (es. faxō, faxim ecc.): vedi sopra, § 15.5.2.3.
In sede predesinenziale il futuro anteriore (antico congiuntivo) mostrava al
plurale ĭ, mentre il cong. perfetto (antico ottativo) mostrava ī (vedi sopra, pp. 32 e
83); così Agostino (doctr. 4, 40) riconosce una clausola retorica in nē in
concupiscēntĭīs fēcĕrīīīītĭs (la clausola è cretico-ditrocaica); l’osservazione di testi
metrici mostra che tale distinzione tendeva ad annullarsi, per un processo analogico.
15 15.8. 15
.8. VVerbi
V erbi anomali e difettivi
15 15.8.1. 15
.8.1. .8.1. SSSSŭm ŭm ŭm ŭm
A causa della frequenza del suo uso, questo verbo si è conservato in gran parte
immune da processi analogici. Il tema è ĕs- / s-, ma nella coniugazione si utilizza,
per il perfectum, il tema *bheu ∂ - (> *bhū-) / *bhŭ- (cfr. lat. fū- / fŭ-; cfr. φύω). Per
il grado zero f- in fīō, cfr. sotto, § 15.8.2.
94

Presente indicativo: *s-ŏ-m(ĭ) > sŭm, *ĕs-s(ĭ) > ĕs (ma nei comici è scandito ēs,
e -s non è mai caduca), *ĕs-t(ĭ) > est, *s-ŏ-mŏs > sŭmŭs, *ĕs-tĕs > estĭs, *s-ŏnt(ĭ)
> sunt.
In quanto verbo originariamente atematico, sŭm prende vocale tematica (-ĕ- /
-ŏ-) soltanto alla prima persona sing. e plur. e alla terza plurale. Dalla terza
plur. la vocale tematica -ŏ- si è estesa alla prima sing. e plur. (come nei verbi
tematici): così accade anche negli altri verbi atematici, tranne īmŭs.
Secondo Suet. Aug. 87, Augusto scriveva simus (pronunciato sĭmŭs e quindi
non confondibile con il congiuntivo sīmŭs) al posto di sumus: simus come
pres. ind. si trova attestato anche in CIL IX, 3473,14, ma in quanto omografo
del congiuntivo era evitato dall’ortografia standard: sembra dunque che
Augusto tentasse di diffondere anche nella grafia colta la forma analogica (cfr.
lĕgĭĭĭĭmŭs) della lingua corrente (che continua nel romanesco “sẹmo”).
Impf. ind.: *ĕs-ā-m > ĕrăm, ecc. (con suffisso -ā- indicante il passato).
Fut. ind.: *ĕs-ō > ĕrō, ecc. (è un antico congiuntivo a vocale tematica breve
[-ĕ- / -ŏ-]).
Cong. pres.: è attestato soltanto in età arcaica fū-ā-m (> fŭăm) ecc. (dalla
radice *bheu ∂ - / *bhŭ-); per il resto, il cong. presente è sostituito dall’ ottativo,
con suffisso -i̯ē- (sing.) / -ī- (plur.) [cfr. ἐσ-ιη-ν > εἴην, ἐσ-ι-µεν > εἶµεν]: sĭē-m
> sĭĕm (sĭm per analogia con il plur.), s-ĭē-s ma sīs per analogia con il
plurale, s-ĭē-t > siĕt (e anche siĕd), ma sĭt per analogia con il plurale, s-ī-mus,
s-ī-tis, s-ī-nt.
Cong. impf.: *ĕs-sē-m > essĕm ecc. È attestato anche in età classica l’impf.
cong. del tema *bheu ∂ - / *bhŭ-: *fŭ-sē-m > fŏ-rĕ-m ecc.
Imperativo pres.: ĕs, ĕs-tĕ.
Imperativo del perfectum: arc. fu (conservato dalla versione tardiva – del 218
d.C. – del Carmen Aruale, CIL I 2 , 2)
Imperativo fut.: ĕs-tō(d), ĕs-tō(d), ĕs-tō-tĕ, s-untō(d).
Inf. pres.: es-sĕ (ma anche *fŭ-sĕ > fŏ-rĕ). Il latino volgare creò essere per
analogia con ămārĕ, lĕgĕrĕ, ecc.
Inf. fut.: fŭ-tūrŭm essĕ ecc. (opp. fŏ-rĕ ŭt...).
Inf. perf.: fū-ĭs-sĕ > fŭissĕ.
Il part. pres. di sŭm è attestato nei composti come *sens, *sentĭs (es. prae-sens,
ab-sens), ma secondo Prisciano (inst. gramm. 18, GL III, p. 239, 7) Cesare
postulò, per analogia con le forme es, est, il part. ens, entis; da parte sua
Quintiliano (inst. 8, 3, 33) attribuiva al retore Virginio Flavo, il maestro di
95

Persio, la creazione (o comunque l’introduzione nel linguaggio filosofico) dei
neologismi ens ed essentia 74 .
Composti di sŭm sono ad es.:
dēsŭm (ha forme contratte come dēst, ma anche forme analogiche come
dĕest, ricalcato su dĕesse),
*prŏ(d)sŭm > *prōssŭm > prōsŭm,
possŭm: per contaminazione tra *pŏtĕō – part. pres. pŏtens e perf. pŏtŭī – e
l’impersonale pŏtĕ est > pŏtest, da cui poi si è creato il tipo pŏtĭs sŭm, in cui
pŏtĭs è considerato invariabile (cfr. S.C. de Bacch.: ubei facilumed gnoscier
poti sit : qui sotto, p. 115 e nota 96). L’infinito è pŏtessĕ > possĕ ; il lat. volg.
potere è analogico.
Dal composto inter-sum la locuzione impersonale del tipo mĕā intĕrest (di
per sé intĕrest significa “c’è differenza”) è analogica di mĕā rēfert (vedi sotto,
§ 15.8.4). Quando l’ablativo non fu più compreso, fu spesso sostituito dal
genitivo per indicare la persona (ălicuius interest) e con ad + acc. per indicare
la cosa (es. Cic. S. Rosc. 47 ...cum... certe ad rem nihil intersit utrum... ). Il
genitivo della persona si spiega sulla base dell’equivalenza tra l’aggettivo
possessivo (es. “mio”) e il genitivo del pronome corrispondente (“di me”).
15.8.2. .8.2. .8.2. Fīō Fīō Fīō Fīō
Conserva il grado zero (f-) di un antico *bhu̯-ī-i̯-ō (> *f-īi̯ō > fīō), a partire
dalla stessa radice che si trova in fŭī (cfr. p. 93), ed indica un “essere in divenire” o
“accadere”; è usato anche come passivo di făcĭō, sì che il perf. arcaico fītŭm est (Liv.
Andr. carm. frgm. 32) è poi sostituito da făctŭm est.
In conseguenza dell’uso di fīō come passivo di făcĭō si affermano, in età
arcaica, uscite mediopassive (fītŭr, fīēbantŭr).
Per il resto fīō si coniuga come audĭō, tranne il cong. impf. (fĭĕrĕm) e l’inf.
fĭĕrī (con desinenza mediopassiva; ma in Ennio è attestato fĭĕrĕ): in queste forme si
trova la ĭ, forse per influsso della poesia esametrica (che deve evitare il cretico).
15 15.8.3. 15
.8.3. .8.3. VVVVŏl ŏl ŏlōōōō ŏl
La radice di uŏlō è uĕl-, talora con alternanza vocalica (uŏl-) quando la l è
velare (cioè è seguita da a, o, u o consonante; cfr. § 4.1).
Ma la seconda persona sing. uīs risale a un’altra radice (*u̯ĕi̯-/ u̯ŏi̯-: cfr. CIL I 2 ,
2, 4 uois), che si ritrova nell’aggettivo in-uī-tŭs (“nolente”, “controvoglia”).
74 Sull’origine ciceroniana di essentia cfr. Sen. epist. 58,6.
96

In formule di cortesia si usava la forma contratta sī (accentato; cfr. § 7.17) uīs
> sīs, come anche sī uultĭs > sultĭs.
La congiunzione uĕl (= “oppure”, “se vuoi”) può essere interpretata come *uĕlsĭ
> *uĕls > *uĕll > uĕl, oppure come un imperativo.
Al posto del cong. pres., uŏlō conserva l’ottativo (uĕlĭm, uĕlīs, uĕlĭt, uĕlīmŭs,
uĕlītĭs, uĕlīnt).
Il cong. impf. è *uĕl-sē-m > uellĕm, l’inf. *uĕl-sĕ > uellĕ, ecc.
Sono composti di uŏlō (con caduta della u̯ interna: vedi sopra, § 7.17):
15 15.8.4. 15
.8.4. .8.4. FFFFĕr ĕr ĕrōōōō ĕr
*nē uŏlō > *nō(u)ŏlō > nōlō (cfr. nē scīō > nescĭō, *nĕu̯ŏs [gr. νέϜος] >
nŏuŏs > nŏuŭs); Plauto usa ancora le forme nēuīs e nēuolt, ma nella
seconda e terza persona sing. e nella seconda plur. la negazione viene
sostituita da nōn (nōn uīs, nōn uult, nōn uultĭs, e per crasi anche noltĭs).
*măg(ĭ)s uŏlō > *mā(u)ŏlō > *mā(ŏ)lō > mālō.
La coniugazione di fĕrō (rad. *bhĕr-) è atematica, ma alcune forme hanno
vocale tematica (es. fĕr-ŏ-mŏs > fĕrĭmus, fĕr-ŏ-nt > fĕrunt); l’inf. è *fĕr-sĕ > ferrĕ.
Per il tema del perfectum il paradigma è integrato dalla radice tĕl ∂ - / tŏl ∂ - / tlā-
, da cui si formano il cong. *tŏl-ā-m> tŭlăm (disusato rispetto a fĕrăm), il perf. *tĕtŏl-ai̯
> (tĕ)tŭlī (vedi sopra, § 15.7.1.1), il part. passato (t)lā-tŏs > lātus.
Da parte sua il verbo *tŏl-n-ō > tollō per il perfetto e per il supino ricorre alle
forme composte su(b)s-tŭlī e sub-lātŭm, mentre *sub-fĕrō > suffĕrō supplisce il
proprio perfetto e supino con sustĭnŭī e sustentŭm (da *subs-tĕnĕō > sustĭnĕō).
Tra i composti di fĕrō è da porre anche l’impersonale rēfĕrt (da non
confondere con rĕfert), nella locuzione del tipo mĕā rē fert > mĕā rēfert (= “mi
importa”), dove l’ablativo-strumentale è di concomitanza (= “secondo il mio
interesse”, “nel mio interesse”); es. Sen. dial. 12, 8, 6 quantum refert mea, quid
calcem? (= “che importanza ha, per me, cosa calpesto?”). Quando l’ablativo non fu
più compreso, fu talora sostituito dal genitivo per indicare la persona (ălicuius
rēfert). Cfr. mĕā interest qui sopra, § 15.8.1.
15 15.8.5. 15
.8.5. .8.5. ĔĔĔĔdō dō dō dō
Come fĕrō, anche ĕdō (ēd- / ĕd-/ d-) mescola forme atematiche (con vocale
iniziale lunga) e forme tematiche (con vocale iniziale breve): ĕd-ō, *ēd-sĭ > ēs, *ēd-tĭ
> ēst, *ĕd-ŏ-mŏs > ĕdĭmus, ēstĭs (analogico rispetto alla 2 a sing.), ĕd-ŏ-nt > ĕdunt;
97

part. passato *ēd-tŏ-s > ēsus; imper. ēs, ēstĕ; cong. pres. ĕd-ăm, cong. impf. *ēdsē-m
> ēssĕm; inf. *ēd-sĕ > essĕ (ĕdĕrĕ è recenziore).
15.8.6. .8.6. .8.6. Dō Dō Dō Dō
La radice è dō- / d∂- (cfr. dōnŭm, dōs, dărĕ; anche per quanto riguarda i
composti, vedi sopra, § 4.1.7 e p. 77); il verbo latino utilizza la radice in grado
ridotto (dă-; vedi sopra, p. 35). Anche nella seconda persona sing. dell’ind. pres. e
dell’imper. vi era originariamente ă (cfr. nei composti red-dĭs ecc.), ma essa si è
allungata (dās, dā) a causa della tendenza del latino a evitare i monosillabi brevi.
Rimangono attestazioni arcaiche di un aoristo radicale nel congiuntivo dŭăm e
nell’ottativo dŭĭm, che sembrano provenire da una forma allotropa, con radice
*dou̯-.
15 15.8.7. 15
.8.7. .8.7. ĔĔĔĔōōōō
La radice è ĕi̯- (> ī-) / ĭ- (cfr. εἶµι, ἴµεν) e la coniugazione è in parte atematica
in parte tematica: ei̯-ō > ĕō, ei̯-s > īs, ei̯-t > īt (ancora in Plauto) > ĭt, ei̯-mŏs >
īmus, ei̯-tĕs > ītis, ei̯-ŏ-nt > eunt, ecc.
Il grado zero della radice compare, in latino, soltanto nel perfetto (ĭu̯ī > ĭī, cfr.
§ 7.17; īu̯ī è forma posteriore e meno frequente, analogica rispetto ai verbi in
vocale lunga: cfr. § 15.7.1.5) e nel supino (ĭtum).
Composto di ĕō è uēn(um) ĕō > uēnĕō (= “vado in vendita”, e quindi “sono
venduto”).
Altro composto è forse nĕqu-ĕō (= “non riesco”), da cui sarebbe derivato quĕō
(= “riesco”).
15 15.8.8 15
.8.8. .8.8 . Inquăm Inquăm Inquăm Inquăm
È un antico congiuntivo in -ā- e significa originariamente “voglio dire”; le
altre forme (inquĭs, inquĭt, inquĭunt...) sono analogiche del tipo căpĭs, căpĭt.
È un verbo difettivo, che potrebbe derivare dal tema aoristico *ĕn-squ-,
attestato dall’imper. arc. in-sĕqu-ĕ o insĕcĕ = “narra”; cfr. l’inizio dell’Odusia di
Livio Andronico (Virum mihi, Camena, insece uersutum), che ricalca l’imperativo
omerico ἔννεπε < ἔν-σεπε; cfr. anche Enn. ann. 326 (Insece, Musa, manu
Romanorum induprator / quod quisque in bello gessit...).
98

15 15.8. 15
.8. .8.9. .8. . ĀĀĀĀi̯ i̯ i̯ōōōō i̯
È anch’esso difettivo, e poche sono le forme superstiti (ăīs > ăĭs, ăīt > ăĭt, āi̯i̯unt,
āi̯i̯ēbam, āībat). Sembra derivare da una radice ăg- = “dire” (cfr. ăd-ăg-ĭŭm) con
l’aggiunta del suffisso di derivazione -i̯ĕ- / -i̯ŏ- in grado zero: *ăg-i̯-ō > āi̯i̯ō, ecc.
15.8.10. 15.8.10. FFFFŏr ŏr ŏr ŏr
Di questo verbo (rad. *bhā-; cfr. φᾱµί, φηµί) sono attestate soltanto alcune
forme (es. fātŭr, fantur, imper. fārĕ, perf. fātŭs sum, ecc.); il part. fātŭs ha significato
passivo.
Suoi composti sono adfārī, effārī.
16 16. 16
. . I I PRONOMI PRONOMI (brevi (brevi (brevi nozioni)
nozioni)
Dal punto di vista morfologico i pronomi (usati anche come aggettivi) si
suddividono in due gruppi:
• DIMOSTRATIVI (hĭc, istĕ, illĕ, ĭs)
• RELATIVI / INTERROGATIVI-INDEFINITI (quī / quĭs)
Non sono veri pronomi i cosiddetti ‘pronomi personali’ (ĕgŏ, tū ecc.), che
servono a rafforzare l’indicazione della persona, già espressa dalla desinenza verbale.
La declinazione pronominale è caratterizzata dalla coesistenza di temi in vocale
(-ĕ-/-ŏ-, -ă- ) e in semivocale (-ei̯-/-oi̯-/-ĭ-), dall’assenza di desinenza nel
nominativo maschile singolare (per i temi in semivocale), dalla desinenza -d nel
neutro singolare, da eventuale aggiunta di particelle specializzanti.
16 16.1. 16
.1. DDimostrativi
D imostrativi
I dimostrativi (o deittici) latini (talora accompagnati dalle particelle epidittiche
-cĕ, -ī-) costituiscono un sistema completo di prima (hĭc), seconda (istĕ = cotesto di
cui tu parli) e terza (illĕ) persona, come nel toscano “questo”, “cotesto” e “quello”: il
sistema si è però disgregato con il tempo; nel latino volgare le forme illĕ e istĕ sono
state rinforzate dalla particella eccĕ (eccĕ istŭm > “questo”, eccĕ illŭm > “quello”).
Illĕ ed ipsĕ sono via via passati ad articoloide (cfr. già ad es. Plaut. mil. 818-819 Illud
stertit uolui dicere = «volevo dire: ‘russa’»), come si trova usato – specialmente nel
linguaggio didascalico dei grammatici – anche hic (es. Quint. inst. 1, 7, 19 hi Syllae,
Galbae). I dimostrativi furono sostituiti ad ĭs come anaforici (riprendono cioè il
99

pron. relativo), come avviene fin da Plauto per esigenze sceniche (cfr. ad es. Curc.
229 Quis hic hic hic hic est qui loquitur?), in assenza delle quali originariamente è preferito ĭs
(cfr. anche Plaut. Merc. 897s. is is is is est qui illam habet).
Hĭc, istĕ, illĕ sono per lo più declinati al maschile e al neutro come i temi in -
ĕ- / -ŏ- (nom. plur -ī e -ă, gen. plur. -sōm > -rŭm) e al femm. come i temi in -ă-,
mentre al genitivo e dativo singolare si presentano tutti come temi in semivocale
(hĕi̯- / hŏi̯-).
La declinazione ha alcune caratteristiche proprie:
• nom. sing. masch. -ĭ (tema in semivocale: es. hĭ-c) e talora > -ĕ (es. illĕ),
neutro -ŏ-d (> -ŭd);
• genit. sing. -ĕi̯-ŏs > -īŭs (talora > -ĭŭs) e dat. sing. -ĕi̯-ĕi̯ > -ī (in quanto temi
in semivocale).
Nella declinazione di hhhhĭc, ĭc, ĭc, ĭc, haec, haec, haec, haec, hŏc hŏc hŏc hŏc coesistono due temi diversi: hĕi̯- / hŏi̯- /
hĭ- e hĕ- / hŏ- (femm. hā-).
Al nom. masch. *hĭ-c(ĕ) (senza desinenza) > hĭc (hec in CIL I 2 , 40) è poi
sostituito (a partire da Lucilio) dalla forma enfatizzata hĭc-cĕ > hīc75; il femm. è *hăī-c(ĕ)
(-ī- è particella epidittica) > haec; il neutro è *hŏ-d-c(ĕ) > hōc > hŏc.
Il gen. sing. è *hŏi̯-i̯ŏs > hūi̯ŭs (talora monosillabico), ma anche hūi̯uscĕ; il
dat. è *hŏi̯-ei̯-c(ĕ) > *hūīc > hūĭc opp. hui̯c monosillabico, ma a partire da Stazio si
trova scandito anche hŭĭc.
L’acc. masch. è *hŏ-m-c(ĕ) > hunc, il femm. *hā-m-c(ĕ) > hanc.
L’abl. è *hō-d-c(ĕ) > hōc, *hā-d-c(ĕ) > hāc.
Al plurale, il nom. masch. è hŏ-ĭ > hĕi̯ > hī; il femm. (con suffisso desinenziale
-ĭ-: *hā-ĭ-c(ĕ) > *hăi̯-c(ĕ) > haec) e il neutro (con -ī- epidittica: *hă-ī-c(ĕ) > *hăi̯-c(ĕ)
> haec) anticamente non si distinguevano, ma poi si affermò per il femminile la
forma dittongata hae (sprovvista di particella epidittica).
Il genit. è *hō-sōm-c(ĕ) > hōrŭm, *hā-sōm-c(ĕ) > hārŭm.
Il dat./abl. è *hŏi̯-ei̯s > hī-īs > hīs, *hŏ-ei̯s >hŏ-īs > hīs (femm. hă-ei̯s > hă-īs >
hīs).
Anche nella declinazione di ist istĕĕĕĕ ist ist ( istī e *illĕi̯-ei̯ > illī si è presto diffusa la forma in -ō
ed -ae.
75 Nelle iscrizioni l’avverbio hīc (= “qui”) è rappresentato invece da heic.
100

Ai dimostrativi veri e propri si associa il correlativo o anaforico ĭĭĭĭssss, , , ĕă ĕă, ĕă ĕă,
, , ĭd: ĭd ĭd ĭd è una
specie di articolo ed equivale all’italiano “egli, ella, ciò”.
Deriva da due temi: ĕi̯- / ĭ- e ĕi̯ŏ-, ĕi̯ă- e ha trasmesso, per analogia, molte sue
forme alla declinazione di quĭs e quī, di cui è correlativo.
Il genitivo deriva da *ĕi̯-ŏs > ēi̯-i̯ŭs ma anche ĕi̯ŭs.
Il dat. è *ĕi̯-ĕi̯ > ēī, ma anche ĕī.
L’accusativo arcaico (XII Tavole) di ĭs è ĭm o ĕm, mentre nel latino classico si
afferma la forma piena ĕi̯ŏ-m > ĕum, ĕi̯ă-m > ĕam.
Il nom. plur. è *ĕi̯ŏ-ĭ > *ĕi̯ĕ-ĭ > īī > ĭī > ī ; in S.C. de Bacch. (qui sotto, pp.
113-115 e nota 89) compare la forma eeis, equivalente a ĕi̯-ĕs. Il neutro è ĕi̯-ă > ĕă.
Genitivo plurale : ĕi̯ō-rŭm > ĕōrŭm, ĕi̯ā-rŭm > ĕārŭm.
Accusativo plurale : *ĕi̯ŏ-ns > ĕōs, *ĕi̯ă-ns > ĕās.
Dativo-ablativo plurale : ĕi̯-ĕi̯s > ī-īs > ĭīs (> īs); ĕīs è rifatto su ĕōs.
Composto di ĭs, ĕă, ĭd con la particella *dē-ĕm > dem è ĭĭĭĭ(s) (s) (s)----ddddĕm (s) ĕm ĕm ĕm > > > > īd īdĕm īd īdĕm,
ĕm ĕm ,
ĕă ĕăddddĕm, ĕă ĕă ĕm, ĕm, ĕm, ĭdĕm ĭdĕm ĭdĕm ĭdĕm (il neutro sembra senza desinenza, oppure formato da ĭd-ĕm). Nel
resto della declinazione (es. ei̯usdĕm) non c’è assorbimento della sibilante nella
sonora, per restituzione analogica.
È pronome avversativo (senza particella dimostrativa) ips ipsĕ, ips ipsĕ,
ĕ, ĕ, ipsă, ipsă, ipsă, ipsă, ipsŭŭŭŭmmmm. ips ips ips
Ipsĕ sembra composto da ĭ (senza desinenza) con la particella (originariamente
invariabile) -pĕ (particella enfatizzante: cfr. quippĕ) + -sĕ (dalla radice pronominale
sŏ- / tŏ-, qui sopra ricordata); cfr. *rē ĕāpsĕ > rĕāpsĕ (= in realtà). Per la quantità
breve della i iniziale cfr. ad es. CIL IV, 1589 aprodite Issa (= Aphrodite ipsa), dove la i
longa indica (come altrove nei graffiti pompeiani) la ĭ, pronunciata aperta e quindi
equivalente a una /ẹ/ (cfr. ital. “esso, essa”).
Da ipsĕ deve essersi formata tutta la declinazione (ma ad ipsĕ si affianca anche
ipsŭs, gen. ipsī).
Alla flessione dei dimostrativi si ricollega anche quella dei cosiddetti cosiddetti aggettivi
aggettivi
pronominali
pronominali, pronominali che presentano gen. sing. -īŭs e dat. -ī (dal tema in -ĕi̯- / -ĭ-), mentre
nel latino volgare predominano le uscite dei temi in -ŏ- e -ā-.
Tra questi aggettivi ricordiamo:
*ălĭŏ-s > ălĭŭs, ălĭă, ălĭŭd (da un tema in -ĭ- è attestata anche la forma ălĭs, ălĭd),
con l’uscita pronominale in -d al neutro; genit. ălĕi̯-ŏs > ălīīīīŭs;
gli altri hanno il neutro con uscita nominale (in -m):
composti con il suffisso oppositivo (cfr. § 14.2) -tĕrŏ-:
altĕr, altĕră, altĕrŭm; ŭtĕr, ŭtră, ŭtrŭm; neu̯tĕr (< *nē-ŭtĕr), neutră,
neutrŭm; ŭterquĕ, ŭtrăquĕ, ŭtrumquĕ; ecc.;
*oinŏ-s > ūnŭs, ūnă, ūnŭm; *oinŏ-lŏ-s > ullŭs, ullă, ullŭm; *nĕ oinŏlŏ-s
> nullŭs, nullă, nullŭm;
sōlŭs, sōlă, sōlŭm;
101

tōtŭs, tōtă, tōtŭm (nel latino volgare, per raddoppiamento consonantico
a compenso dell’abbreviamento iniziale, > *tŏttŭs, da cui gli esiti
romanzi; cfr. cūpă > lat. volg. cŭppă > ital. “coppa”).
16 16.2. 16
.2. PPronomi
P Pronomi
ronomi relativi e interrogativi / indefiniti
Il pronome relativo deriva da un antico tema quŏ-, mentre l’interrogativoindefinito
risale a un tema quĕi̯- / quĭ-. Nel latino classico le due flessioni
differiscono soltanto per il nominativo sing. (quī, quae, quŏd vs. quĭs, quĭd).
Ma la distinzione era data anche dal fatto che l’indefinito era enclitico (es. s
quis = ‘se qualcuno’), mentre il relativo (cfr. ad es. Gell. 6, 2, 11) e l’interrogativo
erano accentati.
Il pron. pron. relativo relativo al nom. sing. è quŏ-ī (senza desinenza, ma con particella
epidittica) > quī, quā-ī > quae, quŏ-d.
L’acc. sing. masch. è *quĭ-m > quĕm per analogia con ĕm, acc. arcaico di ĭs.
Il gen. sing. è *quĕi̯-ŏs > quŏi̯ŏs > quŏi̯ŭs > cūi̯ŭs (a volte invece è
monosillabico, oppure cŭi̯ŭs).
Il dat. è *quĕi̯-ĕi̯ / quŏi̯-ĕi̯ > quŏ-ī (vedi sopra, p. 7) > cŭī oppure cui̯
monosillabico.
L’ablativo è quō, quā, quō, ma rimane traccia di un ablativo dal tema quĭ- in
quīcum e quī (avverbio o congiunzione interr., = “come?”).
Al plurale, il nomin. masch. e femm. arcaico è *quĕi̯-ĕs > quēs è stato
sostituito da quŏ-ĭ > quĕi-ĭ > quī (dal tema *quŏ-, *quă-); cfr. S.C. de Bacch.: sei
ques esent… quei ... deicerent (qui sotto, p. 113).
Il neutro plur. dell’indefinito è quă (composto ălĭquă), mentre la congiunzione
causale quĭă ne mostra la forma antica.
Invece il neutro plur. dell’interrogativo e del relativo è attestato sempre con
l’aggiunta della particella epidittica -ī-, e cioè *quă-ī > *quai > quae.
I composti omposti di di qu quĭs qu quĭs
ĭs ĭs (che quando sono aggettivi hanno il neutro in quŏd)
presentano tipologie diverse:
per raddoppiamento: quisquĭs, [quaequae], quicquĭd o quidquĭd;
tema pronominale + quĭs: ălĭquĭs, [ălĭquă], ălĭquĭd;
con particella dimostrativa: ec-quĭs, [ec-quă], ec-quĭd (la particella ĕc- si trova
nell’avverbio dimostrativo eccĕ);
con particella indefinitiva: *quĭ(s)-dăm > quīdăm, quaedăm, quiddăm; quisnăm,
quaenăm, quidnăm; quispĭăm, quaepĭăm, quippĭăm; quisquăm, quicquăm (o
quidquăm); quisquĕ, quaequĕ, quidquĕ; unusquisquĕ, unaquaequĕ,
unumquidquĕ (con l’enclitica -quĕ);
102

con una forma verbale: quīuīs, quaeuīs, quiduīs; quīlĭbet, quaelĭbet, quidlĭbet.
Inoltre dal tema tema di qu quĭs qu quĭs
ĭs ĭs furono tratti il pronome interrogativo cūiŭs, cūiă,
cūiŭm (= di chi?; cfr. già Plaut. Curc. 229 Quoiam uocem ego audio?) e l’aggettivo
interrogativo cūi-t(ĭ)s > cūis (= di quale paese?; cfr. Arpīns), attestati nel latino
colloquiale di età classica:
Verg. ecl. 3,1 dic mihi, Damoeta, cuium pecus? an Meliboei? = “Dimmi,
Dameta, di chi è il gregge? forse di Melibeo?”;
Liv. 27,19,9 quem cum percontaretur Scipio quis et cuias et cur id aetatis in
castris fuisset, Numidam esse se ait, Massiuam populares uocare (= “giacché Scipione
gli chiedeva chi fosse, di qual paese, e perché a quell’età si fosse trovato nell’esercito,
rispose di essere Numida e che i suoi connazionali lo chiamavano Massiva”).
Quīcumqu Quīcumquĕ, Quīcumqu Quīcumquĕ,
ĕ, ĕ, quaecumquĕ, quaecumquĕ, quaecumquĕ, quaecumquĕ, quodcumquĕ
quodcumquĕ quodcumquĕ
quodcumquĕ è un composto di quī, quī, quī, quī, quae, quae, quae, quae, qu quŏd qu quŏd
ŏd ŏd e
non ha mai, classicamente, forme composte con quĭs, quĭd.
16 16.3. 16
.3. ‘ ‘Pronomi’ ‘ Pronomi’ personali
I temi sono diversi, perché ognuno ha un significato diverso e non si tratta di
un'unica flessione.
Il pronome personale è talora rinforzato da particelle enfatizzanti (-tĕ, -mĕt, -
psĕ, -ptĕ): es. ĕgŏmĕt, mĕmĕt, tŭtĕ, nosmetipsi, ecc.
SINGOLARE
SINGOLARE
*ĕgō > ĕgŏ per abbreviamento giambico
tū, ma tŭquĭdĕm (anche in greco σύ ha la υ breve; ma in latino l’abbreviamento
può essere un fenomeno di fonetica combinatoria: cfr. sĭĭĭĭquĭdĕm).
genitivo: mĕī, tŭī, sŭī sono genitivi sing. del corrispondente possessivo neutro e
come tali sono usati come genitivi oggettivi; come genitivo atono meī è
monosillabo e quindi Nigidio Figulo (in Gell. 13, 26, 4 … uelut cum dicimus
‘mi studiosus’…) prescriveva di scriverlo mi: questa forma si è conservata come
vocativo proclitico di meus.
accusativo: mē, tē, sē; talora con -d per analogia con l’ablativo (es. CIL I 2 2, 582, 21
apud sed). Forma rafforzata per raddoppiamento è sēsē, usata anche per l’abl.
ablativo: mēd > mē, tēd > tē, sēd > sē (-d, che poi si perde, è desinenza come nei
temi in vocale).
103

dativo: mĕ-hĭ > mĭhī (per attrazione regressiva) > mĭhĭ (per abbreviamento
giambico); tĕ-bhei̯ > tĭbei̯ > tĭbī > tĭbĭ, sĕ-bhei̯ > sĭbei̯ > sĭbī > sĭbĭ ;
il vocativo proclitico mī sembra ricalcare il dativo greco (es. τέκνον µοι).
PLURALE
PLURALE
nōs, uōs presentano
• per il genitivo partitivo una forma (nostrŭm e uestrŭm) ricavata dal tema del
possessivo, con desinenza dell’antico genitivo dei temi in -ŏ-);
• per il genitivo oggettivo le forme nostrī e uestrī sono genitivi sing. del
possessivo neutro.
Il dat. e abl. hanno desinenza -bĕi̯s > -bīs.
17 17. 17
. . GL GLI GL I INDECLINABILI
Gli avverbi sono vocaboli indeclinabili la cui funzione è quella di determinare
un verbo, un aggettivo o un altro avverbio.
Alcuni avverbi (spesso anche prefissi verbali) assumono funzioni di
preposizioni (es. antĕ, post(ĕ), circŭm, circā, praetĕr) e congiunzioni (coordinanti o
subordinanti).
PREPOSIZIONI
REPOSIZIONI :
con l’ablativo (ăb, ăbs, ā, ĕx, ē, cŭm, dē, prae, prō(d) / prŏ, *sē(d)-nĕ / sĕnĕ
> sĭnĕ),
con l’accusativo (ăd [davanti a labiale, la forma dialettale è ăr-: cfr. § 7.15],
ăpŭd, in-tĕr, ŏb, obs-, pĕr, post, antĕ, trans 76, *ex rĕgād > ergā, contrā [< comtrā(d)]),
extrā),
con l’ablativo o l’accusativo (ĭn, sŭb, subs-).
In particolare per il prefisso ăb (< *ăpŏ), Cicerone (orat. 158) spiega che il suo
variare (ā-, ăbs, au̯-, anticamente nella forma sabineggiante af- 77) dipendeva da
76 Originariamente trans è participio della radice verbale trā-.
77 Cfr. Prisc. gramm. 2, p. 35 habebat autem haec f litera hunc sonum, quem nunc habet u loco
consonantis posita, unde antiqui 'af' pro 'ab' scribere solebant; sed quia non potest 'uau', id est
digamma, in fine syllabae inueniri, ideo mutata est in b (= “questa lettera f aveva il suono che ora ha
104

criteri di eufonia. Da ăbs (ampliamento di ăb), per semplificazione consonantica e
allungamento di compenso si produce ā; au̯- è vocabolo diverso (cfr. sanscr. áu̯a).
Dal prefisso ĕx per semplificazione consonantica e allungamento di compenso
si produce ē.
Varrone ricorda i seguenti costrutti preposizionali relativi a complementi di
luogo:
Varro, fr. 67 Traglia (in Terenzio Scauro, GLK VII, p. 29, 8-12)
Varro aduerbia localia quae alii
praeuerbia uocant quattuor esse
dicit: ex, in, ad, ab. Ex locum
significat unde egredimur, ut ex
area; in locum in quem inimus, ut
in aream; ad locum ad quem
adimus, ut ad parietem; ab locum a
quo discedimus, ut ab pariete.
Horum duorum aduerbiorum ex et
ab posteriores litterae solent demi,
alias recte alias perperam.
Alcuni AVVERBI AVVERBI
AVVERBI
derivano derivano derivano da
Varrone dice che gli avverbi di luogo
(che altrove chiama preverbi) sono
quattro: ex, in, ad, ab. Ex significa
moto da luogo, come ex area; in
moto a luogo, come in aream; ad
luogo a cui ci avviciniamo, come ad
parietem; ab moto da luogo, come
ab pariete. L’ultima lettera di questi
due avverbi ex e ab suole essere
omessa, alcune volte giustamente,
altre volte in modo scorretto.
temi dimostrativi: es. tŏ- (da cui tum, tum-cĕ > tunc, tam, tan-dĕm, to-ppĕr,
ecc.), ĭ- (da cui ĭ-tă, ĭ-tĕm, i̯am, ecc.), nŏ- (da cui n-am);
tema interrogativo/relativo quĭ- / quŏ-: es. quĭd-ĕm, quĭp-pĕ, quom, ecc.).
Sono invece avverbi primitivi primitivi, primitivi
ad es.,
la negazione nnnnĕĕĕĕ, che al grado zero (*n̥-), compare nel prefisso di negazione ĭn-
(es. ignōbĭlĭs, insānŭs; cfr. greco ἀ-);
con aggiunta di particella epidittica, l’avverbio nnnnĕĕĕĕ----īīīī (S.C. de Bacch., qui sotto,
p. 113) è negazione rafforzata, e nnnnĕc(ĕ) ĕc(ĕ) ĕc(ĕ) ĕc(ĕ) nega la parola cui si riferisce, con il
significato quindi di “neppure” (class. nĕ ... quĭdem); quest’ultimo avverbio
non è da confondere con la congiunzione nĕc apocopata da nĕquĕ (= “e non”,
“né”);
nella forma nnnnĕĕĕĕgggg---- (da cui il verbo nĕg-ō), questa negazione è preverbo: es.
neg-lĕgō;
la u consonantica, per cui gli antichi solevano scrivere af invece di ab; ma poiché il uau, ossia il
digamma, non si può trovare alla fine di una sillaba, quella lettera fu cambiata in b”).
105

in composizione, nĕ produce ad es. nĕ hĕmō > nēmō, nĕ hīlŏm > nĭhĭl(ŭm),
nĕ oinŏm > noen(ŭm) > nōn; nĕfās; nĕfandŭs; nĕscĭŭs (cfr. inscĭŭs).
Forse suo grado allungato è nē nē nē nē (in origine avverbio, divenuto poi
congiunzione subordinante), presente anche in composizione: *nē-u̯(ĕ) > nēu̯.
i prefissi (originariamente avverbi) usati soltanto in composizione e indicanti
separazione (sē(d) ad es. in sē dŏlōd > sēdŭlō; sē-părō; sē cūrā da cui sēcūrŭs,
ecc.), distinzione (dĭs- ad es. in diffĭcĭlĭs, discrīmen); movimento circolare
(am(bĭ)- ad es. in ambāgěs, amplexŭs, *ambĭ-căpŭt > anceps), movimento
all’indietro (rĕ(d)- ad es. in rĕclīnĭs, rĕd-ěō), deterioramento (uē- ad es. in
uēcors, uēsānŭs), abbassamento o diminuzione (dēscendō, dēfĭcĭō), ecc.;
avverbi di tempo, es. crās e mox. Per l’interpretazione che gli antichi davano di
hŏdĭē vedi sopra, nota 51.
Sono avverbi composti ad es. dēnĭquĕ (< dē-nĕ-quĕ) e prŏ-pĕ (< *prŏ-quĕ),
come la preposizione arcaica ĕn-dō (= ĭn) e le congiunzioni dōnĕc (< dō-nĕ-q(uĕ)) e
– con valore temporale-causale – quan-dō (di non certa etimologia) e quoniam (<
quŏm-i̯ām; es. Plaut. Poen. 455 quoniam litare nequeo, abii; mil. 129 quoniam
inspexi mulieris sententiam, cepi tabellas; ibid. 839 quoniam aemulari non licet,
nunc inuides; cfr. l’uso temporale-causale di cum iam e ubi iam).
L’avverbio/preposizione si forma talora con il suffisso -tŭs (es. antīquĭ-tŭs, intŭs,
sub-tŭs) o con il suffisso oppositivo -(ĭ)tĕr (es. păr-ĭtĕr, prop-(ĭ)tĕr, brĕuĭ-tĕr,
fortĭ-tĕr, ĭn-tĕr, prae-tĕr, sub-tĕr).
Molti avverbi sono forme nominali sclerotizzate
sclerotizzate, sclerotizzate
semplici o composte; ad es.:
da un antico nominativo: *ē-mănŭs > ēmĭnŭs (= “a distanza”), *com-mănŭs >
commĭnŭs (= “corpo a corpo”), mordĭcŭs (= “a morsi”), fors-ăn, nunc dĭŭs tertĭŭs >
nūdĭŭs tertĭŭs (= “l’altro ieri”);
da un antico accusativo: quam, tam, tum, ălĭās (sott. uĭcēs), cōrăm (acc. di un
agg. *cŏ-ōrŭs, da cŏ + ōs), numerosi antichi acc. in -ĭm da temi in -tĭ- [-sĭ-] (es.
partĭm, raptĭm, stătĭm) 78 e le loro imitazioni da temi in -tŏ- (es. passĭm [da pandō]),
come anche gli avverbi in -ātĭm (es. paulātĭm); ricalcati sugli avverbi in -ĭm sono
anche intĕr-ĭm e ōlĭm (dal tema *ōlĭ-, riconoscibile anche nel pronome arcaico e
arcaizzante ollĕ e nell’avv. ultrā, cfr. qui sotto);
da acc. neutro: multŭm, tantŭm, nĭmĭŭm, sōlŭm, sĭmŭl (< *sĕmŭl) ecc.;
da un antico genitivo: arc. nox (= “di notte”);
da un antico locativo: tempŏrī, hĕrī > hĕrĭ (> hĕrĕ) – vedi sopra, pp. 4 e 26 -
(da un tema hĕs-; cfr. hesternŭs), hei-c(ĕ) > hīc, *illĕ-ĭ-c(ĕ) > illc, hŏ-ĭ-c(ĕ) > hūc,
*illŏ-ĭ-c(ĕ) > illc, sī < *sĕ-ĭ = “in questo caso...” (dal locativo del dimostr. sĕ- / sŏ-,
78 Di alcuni di questi sostantivi, però, è rimasta soltanto la forma ampliata in -tĭ-ōn [-sĭ-ōn] (es.
raptĭō, stătĭō, cursĭō).
106

su cui vedi sopra, p. 99); sīc < *sĕ-ĭ-c(ĕ) (= “così”, lett. “in questo caso qui”); sīuĕ <
*sei̯-u̯ĕ < *sĕ-ĭ-u̯ĕ ; sēu < *sei̯-u̯(ĕ); nĭsĭ < nĭsī
cĭtŏ, mŏdō > mŏdŏ, ecc.;
forse è un antico strumentale di tema in -ĭ- l’avverbio quī (= “come”), da cui
anche quīn(ĕ);
da uno strumentale in -ĕ: tempŏrĕ, rĕpentĕ, spontĕ 80, magnŏpĕrĕ, ecc.;
da uno strumentale in -ē (es. uērē, certē, mĭsĕrē, uăl(ĭ)dē, e con
abbreviamento giambico prŏpē > prŏpĕ, *bĕnē > bĕnĕ, *mălē > mălĕ);
da locuzioni preposizionali: es. inuĭcĕm, obuĭam, īlĭcō (< *ĭn stlŏcōd, vedi §
4.1), incassŭm, sē(d) dŏlō(d) > sēdŭlō;
da locuzioni posposizionali: sempĕr, nūper, tantispĕr;
da una frase: forsĭtăn (< fors sĭt ăn), scīlĭcĕt (> scī lĭcēt), uĭdēlĭcĕt (< uĭdē lĭcēt),
nῑmῑrŭm (< nĕ-ī mīrŭm), dumtaxăt (cfr. § 15.5.2.4);
Derivano Derivano da da pronomi pronomi pronomi le formazioni avverbiali di stato in luogo (es. illῑc, ŭbῑ),
di moto da luogo (es. illinc, istinc, hinc, indĕ, dĕ-indĕ e dein, ex-indĕ, undĕ,
undĭquĕ < un-dĕ-quĕ), di moto a luogo (es. illō, istō, quō, hūc, ăd-hūc, ad-uersŭs,
*subs-uersŭm > sursŭm, *dē-uorsŭm > dĕorsŭm, *sē-uorsŭm > sĕorsŭm), di moto per
luogo e maniera (es. hāc, illāc, nĕquāquăm, haudquāquăm, e con l’aggiunta
dell’elemento tĕnŭs – dalla radice di tĕnĕō – quātĕnŭs, ĕātĕnŭs).
E forma verbale sclerotizzata uĕl, avverbio (= “perfino”) / congiunzione (=
“oppure”, “se vuoi”), su cui vedi sopra, § 15.8.3.
79 Invece nī (< nĕ-ĭ) significa letteralmente “metti che no”: es. Lex XII Tab. 1,1 Si in ius uocat, ito.
Ni Ni Ni Ni it, antestamino.
80 È strumentale/ablativo di un disusato spons (cfr. spondĕō): cfr. Auson. 12,111 Sponte ablatiui casus
quis rectus erit? – spons.
107

GRADI RADI DELL DELL’AVVERBIO
DELL AVVERBIO
Il COMPARATIVO
COMPARATIVO COMPARATIVO dell’avverbio coincide con il neutro dell’aggettivo comparativo
corrispondente (es. mĭsĕrĭŭs, brĕuĭŭs, mĭnŭs).
Avverbi formati con il suffisso -ĭs (grado zero) possono essere intensivi (es.
nĭmĭs) o più propriamente comparativi (măgĭs); tale suffisso può anche essere
interpretato come un antico nominativo, di cui talora è attestato anche il neutro:
măgĭs e măgĕ; sătĭs e săt(ĕ) (cfr. sătĭus compar. di sătŭr).
Il SUPERLATIVO
SUPERLATIVO SUPERLATIVO si forma dal superlativo dell’aggettivo, con uscita strumentale in -ē
(es. tūtissĭmē, mĭserrĭmē, brĕuissĭmē, mĭnĭmē).
L’avverbio dĭū (originariamente ablativo di *dĭi̯ēus > *dĭūs : vedi sopra, p. 63),
con l’aggiunta forse di un suffisso -tĭnŏ-, produce l’aggettivo dĭūtĭnŭs, oltre che
dĭūturnŭs; il comparativo dell’avverbio è dĭūtĭŭs, il superlativo dĭūtissĭmē.
108

APPENDICE
APPENDICE
APPENDICE
APPENDICE
18 18. 18
. . DALLA DALLA PARATASSI PARATASSI ALL’IPOTASSI
ALL’IPOTASSI
ALL’IPOTASSI
La struttura della frase latina è originariamente paratattica, e tale rimane – in
prevalenza – nel linguaggio colloquiale; es. Petron. 75,10 curabo fatum tuum plores
(= “ti farò piangere sulla tua sorte!”)
L’organizzazione ipotattica del discorso evidenzia l’evoluzione intellettuale
della lingua di Roma:
dall’allineamento allineamento asindetico asindetico asindetico (presente nella prosa classica soltanto come fattore
di espressività, come ad esempio nello slogan cesariano ueni uidi uici: cfr. Sen.
suas. 2,22; Suet. Iul. 37,2)
si passa alla correlazione
correlazione
virtuale virtuale (es. Plaut. mil. 1378 ne me moneatis, memini ego officium
meum = «non me lo ricordate, me lo ricordo io il mio dovere»: delle due
proposizioni principali, la seconda equivale – virtualmente – a una
causale; rud. 778 abi modo, ego dum hoc curabo recte = «va’ via ora, io
intanto curerò la cosa per bene», dove dum è avverbio annesso al verbo
curabo, e solo più tardi diverrà segnale sintattico subordinante, cioè
congiunzione; cfr. anche Ter. Andr. 27s.: Abite. Sosia, ades dum =
«Andate via. Tu, Sosia, rimani, intanto»),
oppure reale reale (es. Plaut. Cas. 421 quamquam quamquam quamquam quamquam hoc tibi aegre est, tam tam tam tam fac
accures = «per quanto questo ti sia increscioso, altrettanto fa’ in modo da
prendertene cura»: qui quamquam e tam sono avverbi e mostrano il
tradizionale parallelismo fra tema di interrogativo e tema di
dimostrativo),
quindi alla criptoipotassi criptoipotassi inclusa nelle forme nominali del verbo (già
indoeuropee e perciò antiche): es. Plaut. Cist. 123 quae hinc flens flens flens flens abiit; Cas.
510 iam uuuuicti icti icti icti uicimus ; per influsso del greco, anche in latino il participio poté
rafforzarsi come sostitutivo di una proposizione subordinata: cfr. Enn. ann. 72-
73 curantes curantes curantes curantes magna cum cura, tum cupientes cupientes cupientes cupientes / regni, dant operam simul
auspicio augurioque; ibid. 250-251 Haud doctis dictis certantes certantes certantes certantes nec maledictis
/ miscent inter sese inimicitias agitantes; agitantes agitantes agitantes
e infine si verificò il passaggio di un elemento da correlante a segnale di
rapporto rapporto ipotattico ipotattico, ipotattico mentre nella proposizione reggente viene meno il segnale
di correlazione; così si è ormai congiunzione subordinante nel già ricordato
frammento della ‘Legge di Numa’, almeno nella forma a noi pervenuta (Paul.
Fest., p. 247,23-24 L.): Si Si Si Si qui hominem liberum dolo sciens morti duit,
paricidas esto (per sī = lett. “in questo caso qui”, vedi sopra, p. 105).
109

Il periodo si farà così sempre più complesso, con il meccanismo della
consecutio consecutio consecutio consecutio temporum, temporum temporum temporum per cui i ‘tempi’ verbali assumono valore relativo, avendo in
gran parte perduto il loro fondamento aspettuale indoeuropeo (in cui si ha
contrapposizione tra azione durativa e azione puntuale o risultativa). La consecutio
temporum può essere così schematizzata:
dico / dicam
quid faciat, quid fecerit, quid facturus sit
dixi / dicebam / dixeram
quid faceret, quid fecisset, quid facturus esset.
Nelle completive con ut, nē e nelle relative con valore finale
il congiuntivo è generalmente al presente o all’imperfetto, se indica
un’intenzione futura rispetto alla principale:
es. Gell. 16,10,3 Atque ego aspiciens quempiam in eo circulo ius ciuile
callentem, familiarem meum, rogabam, ut id uerbum nobis enarraret… (= “e
io vedendo lì attorno, in quel gruppo, un esperto di diritto civile, mio amico,
lo pregavo di spiegarci quel vocabolo”);
altrimenti si ha regolarmente il perfetto o piuccheperfetto:
es. Cic. Att. 3,24,1 uereor ne… studia tribunorum amiserimus = “temo che
noi non si sia perse le simpatie dei tribuni”; Plaut. Pseud. 912 nimis
metuebam male ne abisses (= “avevo una gran paura che, per disgrazia, tu te
ne fossi andato”); Cic. fam. 6,18,1 rescripsit eos qui facerent praeconium
uetari esse in decurionibus; qui fecissent, non uetari (= “rispose che coloro
che esercitavano la professione di banditori non potevano diventare
decurioni, mentre quelli che l’avevano esercitata in passato non ne erano
impediti”).
Le proposizioni consecutive e le relative con valore consecutivo non
presentano necessariamente consecutio temporum:
es. Cic. Verr. 1,12 (Siciliam) per triennium ita uexavit… ut ea restitui in
antiquum statum nullo modo possit (= “per tre anni ha talmente bistrattato (la
Sicilia)… che non la si può in nessun modo ristabilire nello stato originario”).
La La consecutio consecutio consecutio consecutio temporum temporum temporum temporum no non no
n è infatti un meccanismo rigido rigido, rigido
e le variazioni
generalmente non sono arbitrarie: occorre dunque valutare volta per volta la
sfumatura che l’autore vuole esprimere. Qualche esempio:
uirgis ne caederetur, monet ut caueat (Cic. Verr. 5,116; = “lo avverte di stare
attento, per non essere bastonato”; monet è presente storico e regge il presente
caueat, mentre caederetur è imperfetto);
110

epperi (perfetto risultativo) haec te qui (= “come”, congiunzione
interrogativa; cfr. sopra, p. 100) abscedat suspicio (Plaut. Epid. 285; = “ho trovato il
modo con cui questo sospetto si allontani da te”);
credo edepol ego illi mercedem gallo pollicitos (esse) coquos, si id palam
fecisset (Plaut. Aul. 470-471; = “credo, per Polluce, che i cuochi avevano promesso
una ricompensa a quel gallo, se avesse rivelato la cosa”); fecisset qui è aoristico ed
esprime un futuro promesso nel passato;
cum ceteris in coloniis duumuiri appellentur, hi se praetores appellari uolebant
(Cic. leg. agr. 2,93; = “mentre nelle altre colonie sono chiamati duumviri, costoro
volevano essere chiamati pretori”; appellentur è presente perché indica un dato di
fatto oggettivo, e dunque è sganciato dalla consecutio);
quaero a te cur C. Cornelium non defenderem (Cic. Vat. 5; = “ti chiedo
perché non dovevo difendere Gaio Cornelio”; il cong. è qui all’imperfetto per
sottolineare il senso dubitativo);
cur abstinuerit spectaculo ipse [scil. Tiberius], uarie trahebant: alii taedio
coetus, quidam tristitia ingenii et metu comparationis, quia Augustus comiter
interfuisset (Tac. ann. 1,76; “perché lui personalmente non avesse assistito allo
spettacolo, lo si interpretava in vario modo: alcuni per disgusto della folla, altri per il
carattere chiuso e per timore di confronti, giacché Augusto vi aveva preso parte con
giovialità”); qui c’è il cong. perfetto (abstinuerit) – invece dell’imperfetto – perché
così l’interrogativo che circolava tra la gente, messo da Tacito in prima posizione,
risulta più vivacemente presente, autonomo dal tempo passato che
grammaticalmente lo regge (trahebant); come a dire: “perché mai si è astenuto? ne
discutevano in vario modo”, e anche: “perché mai si sia astenuto, non si sa: ne
discutevano in vario modo”;
sed quaero, quod negant posse, id si posset (fieri), quidnam facerent (Cic. off.
3,39; = “ma chiedo che cosa farebbero [irreale nel presente: cong. impf.] se si potesse
fare ciò che essi dicono impossibile”); quod negant posse è una relativa incidentale o
parentetica, e perciò all’indicativo, in quanto sganciata dalla consecutio;
sed uide ne tua iam, mi Brute, culpa futura sit, si ego quicquam timeam (Cic.
fam. 11,21,4; = “ma bada che ormai, caro Bruto, non debba essere colpa tua, se io
dovessi aver paura di qualcosa”); futura sit esprime qui il potenziale, invece di un
cong. presente;
quid eos… existimasse putatis nisi aliquod profecto nefas esse quo, si
intersimus spectaculo, uiolaturi simus ludos…? (Liv. 2,38,4; = “che cosa credete che
essi… abbiano pensato, se non che certo c’è qualche colpa per la quale, se
prendessimo parte allo spettacolo, contamineremmo i giochi...?”); quo… uiolaturi
simus è proposizione relativa con valore consecutivo, ma il verbo è potenziale, e
perciò il futuro sostituisce il presente;
111

nosmet ipsi, qui Lycurgei a principio fuissemus, cottidie demitigamur (Cic.
Att. 1,13,3; = “proprio noi, che da principio eravamo stati severi come Licurgo,
diventiamo di giorno in giorno più miti”); fuissemus – anziché fuerimus – evidenzia
il cambiamento rispetto al presente;
laudantur oratores ueteres… quod copiose reorum causas defendere solerent
(Cic. Verr. 2,191; = “gli oratori antichi sono lodati… per il fatto che solevano
difendere con eloquenza le ragioni degli accusati”); solerent è congiuntivo obliquo.
19 19. 19
. LA PPROPOSIZIONE
P
ROPOSIZIONE OGGETTIVA
OGGETTIVA
Nello sviluppo della struttura ipotattica del periodo latino l’infinito infinito infinito ha via via
accentuato la sua natura verbale: se in Plauto troviamo ancora forme in cui l’infinito
è complemento oggetto e perciò non ha ancora soggetto (es. Plaut. Merc. 637
Nemo aiebat scire; scire scire scire Asin. 394 Ad tonsorem ire ire ire ire dixit; Trin. 4 operam dare dare dare dare
promittitis), nel latino standard, invece, l’oggettiva è ben presto espressa dall’infinito
accompagnato da un soggetto in accusativo, originariamente anch’esso oggetto.
Nel latino corrente però la proposizione oggettiva è resa con un costr costrutto costr
utto
congiunzionale congiunzionale (quod, quia) a partire forse da Plaut. Asin. 52 (scio iam filius quod
amet meus / istanc meretricem), e più sicuramente dal sec. I a.C. con il Bellum
Hispaniense (13,6 fere magna pars hominum qui in castris nostris essent non
dubitarunt quia eruptionem eo die essent facturi; 36,1 legati Carteienses
renuntiauerunt quod Pompeium in potestatem haberent).
Inizialmente infatti con qu quŏŏŏŏdddd qu qu (originariamente accusativo [dell’oggetto
interno] del pronome relativo, e quindi congiunzione dichiarativo-causale, = “circa
il fatto che”, “per il fatto che”) è attestato il congiuntivo obliquo, ma poi anche
l’indicativo.
Con qu quĭă qu quĭă
ĭă ĭă (originariamente acc. plur. dell’interrogativo quĭs; vedi sopra, p.
101) invece inizialmente si ha più spesso l’indicativo e successivamente sembra
prevalere il congiuntivo.
Dal II sec. d.C. è attestato anche l’uso di qu
in proposizioni oggettive.
qu quŏnĭă quŏnĭă
ŏnĭămmmm ŏnĭă (generalmente con l’indic.)
112

20 20. 20
. LETTURA
Un esempio di testo arcaico ampio è il testo del Senatus consultum de Bacchanalibus
(186 a.C.), giuntoci per via epigrafica 81 (CIL I 2 2,581; cfr. Liv. 39,18,8) mediante una copia
allora inviata su tavolette (tabelai) a diverse popolazioni, con l’ordine di far incidere il testo
su una tavola di bronzo (in tabolam ahenam) e di esporlo in luogo pubblico.
Ci è conservata la copia esposta nel territorio dei Bruttii e trovata nel 1640 a Tiriolo,
presso Catanzaro (l’originale è attualmente conservato nel Kunsthistorisches Museum di
Vienna):
[Q(uintus)] Marcius L(ucii) f(ilius),
S(extus) Postumius L(ucii) f(ilius)
co(n)s(ules) 82 senatum consoluerunt
n(onis) Octob(ribus) apud aedem
Duelonai.
Sc(ribendo) arf(uerunt) 83 M(arcus)
Claudi(us) M(arci) f(ilius), L(ucius)
Valeri(us) P(ublii) f(ilius), Q(uintus)
Minuci(us) C(aii) f(ilius).
De Bacanalibus, quei foideratei esent,
ita exdeicendum censuere:
«Nei 84 quis eorum Bacanal 85 habuise 86
uelet. Sei 87 ques 88 esent, quei sibei
deicerent necesus ese Bacanal habere,
eeis 89 utei ad pr(aitorem) urbanum
I consoli Quinto Marcio figlio di Lucio e
Spurio Postumio figlio di Lucio hanno
consultato il senato il 7 ottobre presso il
tempio di Bellona.
Alla redazione scritta hanno assistito
Marco Claudio figlio di Marco, Lucio
Valerio figlio di Publio e Quinto
Minucio figlio di Gaio.
Circa i Baccanali hanno stabilito che (a
coloro) che fossero alleati si dovesse
ordinare così:
«Nessuno di loro volesse tenere un
Baccanale. Se ci fossero persone che
dicessero di aver necessità di tenere un
Baccanale, costoro venissero a Roma
81 Nell’edizione di un testo epigrafico le integrazioni sono indicate tra parentesi quadre e lo
scioglimento di abbreviazioni è segnalato dalle parentesi tonde.
82 Si tratta dei consoli Q. Marcio Filippo e Sp. Postumio Albino.
83 Vedi sopra, § 7.15.
84 Per l’avverbio nĕī vedi sopra, p. 105.
85 Il copista, per disattenzione, ha scritto Sacanal.
86 Infinito con valore aoristico (come molti altri infiniti, in questo testo).
87 Per sĕ-ĭ vedi sopra, p. 105.
88 Da quĕi̯-ĕs.
89 Nomin. plur. di ĭs : ĕi̯ŏ-ĭ è qui contaminato con ĕi̯ŏ-ĕs (vedi sopra, § 16.1, p. 99), trascritto ieis
in CIL I 2 2, 402 ed eis in CIL I 2 2, 582, r. 16 e I 16).
113

Romam uenirent, deque eeis 89 rebus,
ubei eorum utra 90 audita esent, utei
senatus noster decerneret, dum ne
minus senatorbus C adesent [quom
e]a res co(n)soleretur.
Bacas uir ne quis adiese uelet ceiuis
Romanus neue nominus Latini neue
socium quisquam, nisei pr(aitorem)
urbanum adiesent 91, isque de
senatuos 92 sententiad, dum ne minus
senatoribus C adesent quom ea res
co(n)soleretur, iousisent 93 ».
Censuere:
«Sacerdos ne quis uir eset. Magister
neque uir neque mulier quisquam
eset. Neue pecuniam quisquam
eorum comoine[m h]abuise ue[l]et.
Neue magistratum neue pro
magistratuo 94 neque uirum [neque
mul]ierem quiquam fecise 86 uelet.
Neue posthac inter sed conioura[se
neu]e comuouise 86 neue conspondise 86
neue conpromesise 86 uelet, neue
quisquam fidem inter sed dedise 86
uelet. Sacra in dquoltod 95 ne
quisquam fecise uelet, neue in
poplicod neue in preiuatod neue
exstrad urbem sacra quisquam fecise 86
uelet, nisei pr(aitorem) urbanum
adieset, isque de senatuos 92 sententiad,
dum ne minus senatoribus C adesent
quom ea res consoleretur, iousisent 93 ».
Censuere:
90 Errore materiale per uerba.
91 Disassimilazione per adiissent.
92 Per il genitivo senatuos vedi sopra, p. 62.
davanti al pretore urbano e su tali
questioni, una volta ascoltate le loro
parole, decidesse il nostro senato, purché
fossero presenti non meno di cento
senatori quando la cosa venisse deliberata.
Che nessun uomo, cittadino romano o di
cittadinanza latina o alleato, volesse
avvicinarsi alle Baccanti, a meno che non
si fossero rivolti al pretore urbano e questi
l’avesse autorizzato 93 su delibera del
senato, purché fossero presenti non meno
di cento senatori quando la cosa venisse
discussa».
Hanno stabilito:
«Che nessun uomo fosse sacerdote. Che
nessuno, né uomo né donna, fosse
maestro. Che nessuno di loro volesse
accaparrarsi denaro comune. Che
nessuno volesse rendere dotato di carica
di maestro o di pro-maestro né un uomo
né una donna. Che per il futuro nessuno
volesse legarsi reciprocamente con
giuramenti né impegni né patti né
promesse, e che nessuno volesse stringere
patti reciproci. Nessuno volesse celebrare
riti occulti, e nessuno volesse celebrare
riti né in pubblico né in privato né fuori
città se non si fosse rivolto al pretore
urbano e questi l’avesse autorizzato 93 su
delibera del senato, purché fossero
presenti non meno di cento senatori
quando la cosa venisse discussa».
Hanno stabilito:
93 Il plurale è a senso, coinvolgendo sia il pretore urbano (is è il soggetto grammaticale) sia i senatori.
94 Errore materiale per magistratud.
95 Errore materiale per oquoltod = occulto (per D confuso con O, vedi la nota precedente).
114

Homines plous V oinuorsei uirei atque
mulieres sacra ne quisquam fecise 86
uelet, neue inter ibei uirei plous
duobus, mulieribus plous tribus
arfuise 83 uelent, nisei de pr(aitoris)
urbani senatuosque sententiad, utei
suprad scriptum est».
Haice utei in couentionid exdeicatis
ne minus trinum noundinum,
senatuosque sententiam utei scientes
esetis, eorum sententia ita fuit:
«Sei 87 ques 88 esent, quei aruorsum 83
ead fecisent quam suprad scriptum est,
eeis 89 rem caputalem faciendam
censuere.
Atque utei hoce in tabolam ahenam
inceideretis, ita senatus aiquom censuit
uteique eam figier ioubeatis, ubei
facilumed gnoscier potisit 96.
Atque utei ea Bacanalia, sei 87 qua sunt,
exstrad quam sei 87 quid ibei sacri est,
ita, utei suprad scriptum est, in diebus
X quibus uobeis tabelai datai erunt,
faciatis utei dismota sient».
In agro Teurano.
«Che nessuno volesse celebrare riti in più
di cinque persone in tutto, uomini e
donne, e che in quella riunione non
volessero essere presenti più di due
uomini e più di tre donne, se non per
delibera del pretore urbano e del senato,
come è scritto sopra».
Perché nell’assemblea facciate proclamare
quest’ordine per non meno di tre mercati
e perché foste a conoscenza della
decisione del senato, la loro decisione fu
così:
«Se ci fosse qualcuno che avesse agito in
senso contrario rispetto a quanto è stato
scritto qui sopra, hanno stabilito che
contro di loro si dovesse eseguire la pena
capitale.
Inoltre il senato ha ritenuto equo che lo
incideste su una tavola bronzea e che la
facciate fissare dove se ne possa prendere
conoscenza con la massima facilità.
Inoltre fate in modo che siano rimosse
quelle strutture destinate al culto
bacchico, se ce ne sono, eccetto che ci sia
in esse eventualmente qualcosa di sacro,
come sopra è scritto, entro dieci giorni
dal momento in cui vi saranno state
consegnate le tavolette».
Nel territorio Turano.
96 La forma enclitica dell’ottativo (in funzione di congiuntivo) sit (in luogo di siet, forma piena di età
arcaica) si appoggia qui al neutro pŏtĭ (> pŏtĕ), in una forma impersonale. Si può anche intendere,
per la mancata segnalazione delle geminate, potissit = potis sit (dove potis sarebbe ormai
indeclinabile). Vedi anche sopra, § 15.8.1.
115

SOMMARIO
SOMMARIO
FONETICA
FONETICA FONETICA ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
................................................
................................ ................ 1
1. 1. 1. FONEMI FONEMI LATINI LATINI ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
..........................................................
................................ .......................... 1
1.1. L’alfabeto ........................................................................................................................................ 1
1.2. Vocali .............................................................................................................................................. 3
1.3. Consonanti ..................................................................................................................................... 6
1.4. Semiconsonanti .............................................................................................................................. 9
1.5. Semivocali ...................................................................................................................................... 9
2. 2. 2. SILLABE SILLABE ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
................................................................
................................ ................................
.......................................
................................ ....... 12
2.1. Quantità sillabica .......................................................................................................................... 12
2.2. Il dittongo ..................................................................................................................................... 12
3. 3. 3. ACCENTO ACCENTO ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
................................................................
................................ ................................
..................................
................................ .. 14
3.1. Natura dell’accento latino ............................................................................................................ 14
3.2. Posizione dell’accento .................................................................................................................. 15
3.3. Parole proclitiche ed enclitiche ................................................................................................... 17
3.4. Positio debilis ............................................................................................................................... 18
3.5. Spostamenti di accento nel latino volgare di età imperiale ....................................................... 19
4. 4. 4. RIDUZIONI RIDUZIONI RIDUZIONI VOCALI VOCALICHE VOCALI VOCALI CHE IN IN IN PARTE PARTE DOVUTE DOVUTE DOVUTE ALL’INTENSITA’ ALL’INTENSITA’ INIZIALE INIZIALE ................. ................. 20
4.1. Mutamento del timbro delle vocali brevi in sillaba post-tonica (cosiddetta ‘apofonia latina’) 20
4.2. Fenomeni di sincope .................................................................................................................... 23
4.3. Mutamento del timbro vocalico in sillaba finale chiusa (vocali brevi) ..................................... 25
4.4. Mutamento del timbro vocalico in sillaba finale aperta (vocali brevi) ...................................... 25
4.5. Mutamenti quantitativi in sillaba finale ...................................................................................... 25
4.6. Monottongazione in sillaba finale ............................................................................................... 26
5. 5. 5. TRASFORMAZIONI TRASFORMAZIONI VOCALICHE VOCALICHE IN IN SILLABA SILLABA NON NON FINALE FINALE................................
..........................................
................................
.......... 27
5.1. Mutamenti qualitativi .................................................................................................................. 27
5.2. Tendenza rustica alla monottongazione ..................................................................................... 28
5.3. Abbreviamento di vocali lunghe seguite - ma non precedute - da vocale ............................... 30
5.4. Contrazioni vocaliche .................................................................................................................. 30
5.5. Allungamento di compenso davanti a sibilante assorbita dalla successiva consonante sonora 30
5.6. Allungamento di compenso davanti a nasale assorbita dalla successiva fricativa (-ns-, -nf-) .. 31
5.7. Allungamento di compenso davanti a consonante assordatasi per assimilazione davanti a una
sorda ...................................................................................................................................................... 31
6. 6. TRASFORMAZIONI TRASFORMAZIONI VOCALICHE VOCALICHE RISALENTI RISALENTI ALL’APOFONIA ALL’APOFONIA INDOEUROPEA INDOEUROPEA
........ 31
7. 7. 7. ALCUNI ALCUNI FENOMENI FENOMENI DI DI CONSONANTISMO CONSONANTISMO................................
................................................................
................................
................................
......................................
................................ ...... 36
7.1. Rotacismo ..................................................................................................................................... 36
7.2. -s > -r ............................................................................................................................................ 36
7.3. -s caduca ...................................................................................................................................... 37
7.4. La nasale finale di parola .............................................................................................................. 37
7.5. Caduta di -d ................................................................................................................................. 39
7.6. Occlusive aspirate......................................................................................................................... 39
7.7. La fricativa velare sorda (h ) ........................................................................................................ 41
7.8. La labiovelare sorda (-qw-) .......................................................................................................... 41
7.9. La labiovelare sonora (-gw-) ........................................................................................................ 41
7.10. Scambio tra -b- e - u̯- .............................................................................................................. 41
116

7.11. Scambio tra -b- oppure -d- (latino urbano) e -f- (italica) ...................................................... 42
7.12. Assimilazione du̯- > b- .............................................................................................................. 42
7.13. Assimilazione -du̯- > -u̯- .......................................................................................................... 42
7.14. Alterazione della dentale sonora in liquida laterale (d > l) ....................................................... 42
7.15. Alterazione della dentale sonora in liquida vibrante (-d- > -r-) ............................................. 42
7.16. -i̯- intervocalica......................................................................................................................... 42
7.17. -u̯- intervocalica ....................................................................................................................... 43
7.18. -u̯- > --, -u̯- > -- .............................................................................................................. 43
MORFOLOGIA MORFOLOGIA ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
.......................................
................................ ....... 44
8. 8. 8. LA LA FLESSIONE FLESSIONE NO NOMINALE
NO MINALE ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
.....................................
................................ ..... 44
8.1. Il genere ........................................................................................................................................ 44
8.2. Il numero ...................................................................................................................................... 45
8.3. I casi .............................................................................................................................................. 45
8.4. Le desinenze e le declinazioni ..................................................................................................... 46
9. 9. 9. PRIMA PRIMA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in ----āāāā---- / / / / ----ăăăă----) ................................
................................................................
................................
................................
............................................
................................ ............ 49
10. 10. SECONDA SECONDA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in ----ŏŏŏŏ---- / / / / ----ĕĕĕĕ----) ................................
................................................................
................................
................................
...................................
................................ ... 50
11. 11. TERZA TERZA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in consonante consonante e e in in semivocale semivocale [----ei̯ ei̯---- ei̯ ei̯ / / / / ----ĭĭĭĭ----]) ........................... 53 53
11.1. Temi in consonante ................................................................................................................... 55
11.2. Temi in semivocale (grado pieno -ei̯- > -ī-, grado zero -ĭ).................................................. 59
11.3. Temi misti .................................................................................................................................. 60
11.4. Riepilogo sull’aggettivo e participio presente .......................................................................... 61
11.5. Temi isolati ................................................................................................................................. 61
11.6. Grecismi ..................................................................................................................................... 62
12. 12. QUARTA QUARTA DECLINAZIONE DECLINAZIONE (temi (temi in in ----eeeeu̯ u̯---- u̯ u̯ / / / / ----oooou̯ u̯---- u̯ u̯ [> > ----ūūūū----] / / / / ----ŭŭŭŭ----) ................................
............................................
................................
............ 62
13. 13. QUIN QUINTA QUIN TA DECLINAZIONE (temi in ----ēēēē----)................................
................................
................................................................
................................ ................................
...............................................
................................ ............... 64
14. 14. LE LE GRADAZIONI GRADAZIONI DI DI INTENSITÀ INTENSITÀ ................................
................................................................
................................
................................
.........................................................
................................ ......................... 66
14.1. L’intensivo/valutativo ................................................................................................................ 66
14.2. L’oppositivo ................................................................................................................................ 67
14.3. Il superlativo ............................................................................................................................... 67
14.4. Forme anomale .......................................................................................................................... 68
14.5. Forme perifrastiche .................................................................................................................... 68
15. 15. 15. IL IL IL VERBO VERBO VERBO ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
................................................................
................................ ................................
..................................
................................ .. .. 69 69
15.1. Aspetto verbale ........................................................................................................................... 69
15.2. La diatesi verbale ........................................................................................................................ 71
15.3. Modi e tempi .............................................................................................................................. 72
15.4. Le desinenze verbali ................................................................................................................... 75
15.5. Tema dell’infectum .................................................................................................................... 77
15.6. Forme nominali originariamente indipendenti sia dal tema dell’infectum sia dal tema del
perfectum .............................................................................................................................................. 87
15.7. Tema del perfectum ................................................................................................................... 91
15.8. Verbi anomali e difettivi ............................................................................................................ 94
16. 16. I I PRONOMI PRONOMI (brevi (brevi nozioni) nozioni) ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
.....................................
................................ ..... 99 99
16.1. Dimostrativi ............................................................................................................................... 99
16.2. Pronomi relativi e interrogativi / indefiniti ............................................................................ 102
16.3. ‘Pronomi’ personali .................................................................................................................. 103
117

17. 17. GLI GLI INDECLINABILI INDECLINABILI ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
..............................................
................................ .............. ..............104
.............. 104
APPENDICE APPENDICE ................................
................................................................
................................
................................
................................................................
................................ ................................
..........................................
................................ .......... 109
18. 18. DALLA DALLA PARATASSI PARATASSI ALL’IPOTASSI ALL’IPOTASSI ................................
................................................................
................................
................................
......................................................
................................ ......................
......................109
...................... 109
19. 19. LA LA PROPOSIZIONE PROPOSIZIONE OGGETTIVA OGGETTIVA................................
................................................................
................................
................................
.......................................................
................................ .......................
.......................112
....................... 112
20. 20. LETTURA LETTURA ................................
................................................................
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.................................113
................................ 113
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