Bollettino n. 187 - Società Filosofica Italiana
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2. Metafilosofia<br />
Mi interessava dunque del pensiero debole l’aspetto meta-teoricamente forte, il<br />
suo presentarsi come una teoria generale (benché critica) del logos. Non sapevo però in<br />
quale misura questo interesse potesse definirsi “logico” in senso proprio. In pratica<br />
restava in sospeso la questione se e in quale senso quell’insieme di teorizzazioni varie,<br />
rientranti nelle molteplici riforme della dialettica e nel differenzialismo post-strutturalista,<br />
a cui ero stata formata, avessero qualche legame con gli sviluppi della logica come<br />
disciplina matematica e/o filosofica.<br />
Nei primi anni Ottanta, guidata da queste perplessità, ho iniziato a studiare logica,<br />
e a interessarmi alla filosofia analitica. Intanto, poco dopo la laurea avevo incominciato<br />
a collaborare al settimanale «Tuttolibri», che a quel tempo era testata autonoma.<br />
Nel corso degli anni dunque mi capitava di recensire o leggere o anche soltanto sfogliare<br />
un grande numero di libri di filosofia appena usciti, con il risultato di avere una<br />
visione abbastanza ampia della produzione filosofica contemporanea. È stata questa<br />
visione che mi ha spinto, alla fine del decennio, a concentrare la mia attenzione sui<br />
metodi e le correnti della filosofia attuale, schedando alcune tra le maggiori riviste,<br />
nelle annate più recenti. Questo materiale è poi rientrato, in parte, nel mio primo libro,<br />
Analitici e continentali (cfr. 1), pubblicato nel 1997.<br />
Analitici e continentali era un libro di metafilosofia: il suo scopo era dare conto<br />
di come i filosofi degli ultimi trenta anni avevano interpretato e praticato la loro disciplina.<br />
Anche la Breve storia della filosofia nel Novecento (n. 2), uscita due anni dopo,<br />
era, dichiaratamente, un saggio metafilosofico. La storia di cui si trattava non era tanto<br />
la storia della filosofia, ma della “filosofia”: la storia di come nel secolo è stato definito,<br />
concepito e messo in pratica il concetto di “filosofia”. Il sottotitolo alludeva a quello<br />
che penso sia stato il ruolo più generalmente riconosciuto della filosofia nel Novecento:<br />
il ruolo di un’anomalia (e pertanto qualcosa di improprio o inesistente) che però fornisce<br />
il paradigma della cultura occidentale.<br />
Perché questa attenzione alla metafilosofia? La prima risposta è che una teoria<br />
della razionalità come quella in cui fin da giovane mi trovavo coinvolta difficilmente<br />
può prescindere dal problema della condivisione metateorica (o anche, come direbbero<br />
gli heideggeriani, della normatività). Ma c’è una seconda risposta, che è di natura<br />
personale. Credo di doverne parlare, anche perché coinvolge questioni di interesse<br />
comune. La metafilosofia è, a volte, più che una disciplina o un tema di ricerca,<br />
l’espressione di un disagio. I metafilosofi spesso non hanno una posizione accademica<br />
stabile. Hegel si occupò a lungo di metafilosofia e a lungo non ebbe una posizione<br />
universitaria. Moore si dichiarò ripetutamente “filosofo dei filosofi” fino a quando<br />
non ebbe una cattedra. In generale, i filosofi all’interno dell’Università tendono a<br />
essere meno sensibili alle questioni di canone tematico o metodologico, semplice-<br />
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