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Tecnologia della fotorivelazione basata su dispositivi a ... - Matematica

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Fig. 3<br />

Modello teorico di un qualunque dispositivo di <strong>fotorivelazione</strong><br />

Ad esempio se in ingresso entra un segnale luminoso monocromatico a frequenza ν ed intensità variabile, in<br />

uscita avremo un segnale elettrico la cui ampiezza è determinata proprio dal numero di fotoni che incidono <strong>su</strong>l<br />

fotorivelatore: se l’intensità Iν è alta, la corrente di uscita del sistema sarà alta, se Iν è bassa la corrente sarà bassa.<br />

Dunque la corrente d’uscita è un segnale elettrico la cui ampiezza è proporzionale all’energia luminosa incidente<br />

<strong>su</strong>ll’ingresso. Oppure <strong>su</strong>pponiamo che l’evento luminoso monocromatico sia ad intensità fissa e frequenza<br />

variabile: allora il modulo del segnale elettrico in uscita sarà proporzionale a tale frequenza.<br />

Il caso ideale di frequenza ν fissata ed intensità Iν variabile potrebbe essere riprodotto sperimentalmente<br />

illuminando un fotorivelatore con un laser DFB (“Distributed Feed Back”); ovviamente l’esperimento si discosta<br />

dalla situazione ideale descritta poiché la frequenza ν, durante la modulazione elettrica dell’intensità ottica<br />

uscente dal laser ed incidente <strong>su</strong>l fotorivelatore, varia leggermente a causa del ben noto “effetto Chirp” legato al<br />

funzionamento del laser. Inoltre il laser “tipo bulk” (= non basato <strong>su</strong> nanostrutture, ovvero nes<strong>su</strong>n fenomeno di<br />

confinamento quantistico rilevante per i portatori di carica) DFB, così come qualunque altro dispositivo<br />

emettitore di luce, possiede uno spettro di emissione di larghezza finita, per cui il segnale incidente <strong>su</strong>l<br />

fotorivelatore non può essere monocromatico, per quanto la selettività (= coerenza spettrale) del laser DFB sia<br />

buona. Il caso ideale di intensità fissata e frequenza ν variabile potrebbe essere riprodotto sperimentalmente<br />

illuminando un fotorivelatore con un laser DBR (“Distributed Bragg Reflector”), meno selettivo del laser DFB ma<br />

accordabile in frequenza; l’esperimento si discosta dalla situazione ideale descritta poiché durante la<br />

modulazione elettrica <strong>della</strong> frequenza ν, uscente dal laser ed incidente <strong>su</strong>l fotorivelatore, l’intensit{ ottica Iν<br />

varia, oltre alla solita non monocromaticità del segnale luminoso.<br />

Quello che cambia, fondamentalmente, fra un tipo di fotorivelatore ed un altro è:<br />

la modalit{ con la quale l’energia luminosa interagisce col sistema, ovvero in base a quale principio<br />

fisico la luce in questione trasmette al sistema “la <strong>su</strong>a informazione”: in altre parole come<br />

l’informazione passa dal “dominio fotonico” a quello “elettronico”, cioè il principio fisico attraverso il<br />

quale si forma il “fotosegnale” elettronico originale (primario)<br />

la modalità con la quale il fotosegnale elettronico primario viene “trattato” al fine di renderne possibile<br />

o di migliorarne “l’intelligibilit{” da parte di un sistema esterno di front – end<br />

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