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MICHELE COSENTINO<br />
IL PROGETTO<br />
DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
RIVISTA MARITTIMA
RIVISTA<br />
MARITTIMA<br />
Mensile della <strong>Marina</strong> dal 1868<br />
EDITORE<br />
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Fotolito e stampa<br />
Società Editrice Imago Media • 81010 Dragoni (CE)<br />
Tel. 0823 866710 • e-mail: info@<strong>imago</strong>media.it<br />
Immagine al computer del concetto francese<br />
«Swordship» per un’unità combattente di superficie<br />
proposto da DCNS (DCNS).
MICHELE COSENTINO<br />
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
RIVISTA MARITTIMA
2 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La proposta «UVX» di BAe Systems per un’unità combattente equipaggiata con diversi tipi di mezzi<br />
non pilotati (BAe Systems).<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
INTRODUZIONE<br />
I l progetto e la costruzione delle unità navali militari stanno attraversando un<br />
periodo di profonda trasformazione e gli elementi che la determinano sono<br />
complicati dal fatto che la moderna nave da guerra rappresenta un amalgama fra<br />
numerose innovazione tecnologiche fra loro strettamente integrate. Esiste una diffusa<br />
e consolidata convinzione che i principali aspetti chiave o vincoli del progetto<br />
navale militare siano diventati più articolati e interagenti fra loro, dando vita a<br />
una tendenza di rinnovamento ciclico apparentemente destinata a proseguire nel<br />
tempo. Quali sono quindi gli aspetti che attualmente governano il progetto delle<br />
unità navali ? Ed è verosimilmente valida la loro considerazione e applicazione in<br />
futuro, oppure saranno sostituiti da altri aspetti similari e al momento poco intuibili<br />
? Sebbene venga asserito da alcuni commentatori che la nave da guerra non è<br />
altro che una piattaforma per un carico utile identificabile nel «sistema di combattimento»<br />
(1), è perfettamente giustificabile che lo sviluppo di futuri sistemi<br />
d’arma, sensori e tutto quello che è dedicato all’esercizio del comando e controllo<br />
venga percepito come un reale e significativo aspetto chiave nel progetto delle<br />
future navi da guerra. È anche logico che il progetto di quella considerevole parte<br />
dell’unità navale non riguardante il sistema di combattimento e per convenzione<br />
denominata «sistema piattaforma» (2) sia influenzato da fattori essenzialmente<br />
legati alla condotta delle operazioni belliche e in virtù dei tempi relativamente<br />
lunghi per adottare e integrare nuove tecnologie, si può affermare che il progetto<br />
delle unità navali militari è caratterizzato da una costante e continua innovazione<br />
tendenziale.<br />
Un altro rispetto di rilevante influenza riguarda la configurazione complessiva<br />
delle future unità navali, con numerose proposte per nuove soluzioni architettoniche,<br />
legate soprattutto ai requisiti di robustezza e sopravvivenza, velocità, riduzione<br />
della segnatura globale e tenuta al mare. Il fine di questo Supplemento è<br />
dunque quello di analizzare quali sono state le innovazioni che hanno caratterizzato<br />
il progetto e la costruzione delle unità navali militari nell’ultimo trentennio:<br />
in relazione alla vastità dell’argomento, l’analisi è incentrata sulle principali unità<br />
combattenti di superficie - fregate e cacciatorpediniere - in quanto esse rappresentano<br />
la componente principale, se non la spina dorsale, delle flotte della maggior<br />
parte delle forze navali mondiali, senza peraltro escludere qualche riferimento a<br />
tipologie di naviglio situato al di sotto (corvette, pattugliatori d’altura) e al disopra<br />
(incrociatori) della fascia dimensionale occupata da fregate e corvette.<br />
Ma perché quest’analisi? Non è esagerato affermare che gran parte delle unità<br />
di superficie attualmente in servizio presso le Marine occidentali sono state pro-<br />
3
4 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
gettate, se non addirittura costruite, prima della caduta del Muro di Berlino e rappresentano<br />
perciò prova tangibile delle concezioni politico/militari della guerra<br />
fredda e dei conseguenti requisiti operativi. Le loro capacità e caratteristiche sono<br />
state determinate da un’unica missione: interdire alle forze aeronavali sovietiche<br />
l’uso degli oceani, un compito che ha quindi impedito lo sviluppo concreto di<br />
idee veramente rivoluzionarie nel settore del progetto navale militare.<br />
L’affermazione di un nuovo contesto di riferimento geostrategico - sulla cui durata<br />
è bene comunque non sbilanciarsi - ha sostanzialmente significato che quel<br />
naviglio si trova costretto a svolgere compiti per i quali non era stato specificatamente<br />
progettato, motivando così fortemente la ricerca di principi e concetti innovativi.<br />
D’altra parte, sarebbe certamente pericoloso dimenticare che la tutela del<br />
libero uso delle vie di comunicazione marittima rappresenta per numerose<br />
Nazioni un problema che non è scomparso con la fine del rigido confronto Est-<br />
Ovest e che per alcune situazioni geografiche e politiche sembra essersi accentuato<br />
a causa di nuove minacce di natura asimmetrica. In sintesi, il controllo delle<br />
acque alturiere non ha perso il suo valore intrinseco perchè i nuovi principi che<br />
privilegiano le operazioni in ambiente costiero e nell’ambito di una fascia littoral<br />
che si spinge nell’entroterra anche per diverse centinaia di chilometri presuppongono<br />
il dominio assoluto dell’ambiente oceanico.<br />
Dopo una panoramica sulle tendenze e sulle tipologie generali delle nuove<br />
soluzioni, l’esame sulle innovazioni progettuali e costruttive applicate alle principali<br />
unità combattenti di superficie abbraccerà quindi diverse aree peculiari quali<br />
propulsione, segnatura complessiva e sopravvivenza, disegno e configurazione<br />
delle sovrastrutture, automazione e abitabilità. Verrà poi eseguita un’analisi comparata<br />
fra i progetti di alcune classi di fregate e cacciatorpediniere risalenti agli<br />
anni Settanta, e quelli di recente ingresso in linea e/o di imminente realizzazione,<br />
per concludere infine con la descrizione di alcune soluzioni progettuali «estemporanee»<br />
di recente proposte in Europa.<br />
NOTE<br />
(1) Il termine «sistema di combattimento» è inteso in questo Supplemento come l’insieme integrato<br />
fra sistemi d’arma, sensori elettronici ed elettroacustici attivi e passivi, sistemi per la navigazione e<br />
l’esercizio/applicazione del comando e controllo e velivoli imbarcati.<br />
(2) In questo caso, il riferimento riguarda l’insieme integrato fra struttura dello scafo e i sistemi di<br />
propulsione, generazione e distribuzione dell’energia elettrica, condizionamento/ventilazione, controllo<br />
danni, movimentazione combustibile, produzione acqua dolce, gestione della piattaforma e<br />
ausiliari. A sua volta l’integrazione fra il sistema piattaforma e il sistema di combattimento da vita al<br />
«sistema nave», spesso indicato come whole warship nella terminologia anglosassone.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 1<br />
TECNOLOGIE E TENDENZE DEL PROGETTO NAVALE MILITARE:<br />
UN QUADRO D’INSIEME<br />
Il progetto navale militare può essere sinteticamente descritto come un processo di<br />
graduale consolidamento delle caratteristiche e delle funzioni richieste dai requisiti<br />
operativi della nave da guerra, secondo un bilanciamento ottimale che non può non<br />
Un UAV ad ala rotante «Fire Scout». Una delle sfide del moderno progetto navale militare riguarda<br />
la corretta integrazione a bordo della piattaforma di mezzi subacquei, aerei e di superficie non pilotati (NG).<br />
5
6 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
considerare la ricerca della massima qualità per il prodotto finale. Prima di procedere<br />
nell’esame delle tendenze in questo settore è necessaria una breve retrospettiva per<br />
meglio comprendere l’impatto delle nuove tecnologie sul progetto stesso e sulla<br />
costruzione di una nave da guerra.<br />
Il salto di qualità in settori chiave quali la propulsione, la generazione dell’energia<br />
elettrica, l’automazione, il comando e controllo, i sistemi d’arma, le comunicazioni e<br />
la navigazione appare evidente quando si paragonano le principali unità di scorta<br />
d’altura in voga negli anni Settanta (1) con naviglio avente le medesime funzioni e<br />
attualmente in progetto e/o costruzione presso le principali forze navali. Nel primo<br />
caso, si trattava di piattaforme con un dislocamento a pieno carico avente un valore<br />
oscillante attorno alle 5.000 t (2), armate con una batteria di almeno due torri binate<br />
di medio calibro (127 mm) disposte a prora e poppa, a cui si associavano una rampa<br />
lanciamissili e altri sistemi d’arma per il contrasto antisommergibile: le sovrastrutture<br />
erano concepite soprattutto per sorreggere adeguatamente i numerosi sensori elettronici<br />
per la sorveglianza aeronavale, la direzione del tiro e le comunicazioni. La propulsione<br />
era normalmente affidata a impianti vapore con diverse combinazioni fra<br />
caldaie e gruppi turboriduttori in grado di sviluppare una potenza massima di almeno<br />
75.000 HP a cui corrispondeva una velocità massima spesso prossima ai 35 n, raggiungibile<br />
anche grazie all’adozione di forme di scafo particolarmente snelle.<br />
La profonda articolazione di sistemi d’arma e sensori — controllati secondo un<br />
approccio scarsamente integrabile — impediva normalmente la presenza di capacità<br />
aeronautiche (ponte di volo, elicotteri imbarcati e relative sistemazioni tecniche) che,<br />
viceversa e assieme alle esigenze della piattaforma, richiedeva un equipaggio di circa<br />
500 uomini, con condizioni di vita oggettivamente «scomode».<br />
Al giorno d’oggi, l’unica similitudine col passato riguarda unicamente il dislocamento,<br />
anzi in molti casi i progetti moderni per unità con le medesime funzioni di<br />
quelle del passato sono caratterizzati da valori spesso superiori: una radicale trasformazione<br />
hanno invece avuto le forme e la configurazione di scafo e sovrastrutture,<br />
con un impatto non da poco sulle dimensioni e sui relativi coefficienti architettonici.<br />
La propulsione è affidata a una combinazione fra motori diesel e turbine a gas o ad<br />
altre soluzioni innovative, per una potenza massima sviluppata intorno ai 50.000 HP<br />
a cui corrisponde una velocità massima spesso inferiore ai 30 n e che discende dal<br />
«rilassamento» di un requisito in precedenza molto stringente. Per buona pace degli<br />
artiglieri, le torri tradizionali sono ridotte al minimo, soprattutto per dare spazio a<br />
nuove soluzioni per l’impiego dei missili e alle sistemazioni elicotteristiche: il controllo<br />
di tutto i sensori elettronici è affidato — spesso attraverso un databus a fibre<br />
ottiche — a un sistema in grado di trasformare rapidamente una serie di informazioni<br />
grezze in un quadro tattico completo e di fornire ai decisori le soluzioni d’impiego<br />
più convenienti, mentre l’equipaggio si attesta su circa 230 effettivi, con una discreta<br />
presenza femminile.<br />
Dal punto di vista operativo, l’evoluzione tecnologica ha prodotto i seguenti risultati:<br />
— un deciso incremento del rapporto fra le prestazioni della nave da guerra e le sue<br />
dimensioni;<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il radar multifunzionale APAR a bordo di un cacciatorpediniere lanciamissili olandese classe «De Zeven<br />
Provincien» (Thales).<br />
— un aumento del raggio d’azione dei sistemi d’arma imbarcati, accompagnato da un<br />
tempo di reazione più ridotto e da maggiori probabilità di colpire il bersaglio;<br />
— una drastica riduzione della segnatura complessiva dell’unità e un aumento delle<br />
doti di sopravvivenza, senza peraltro ricorrere alla classica corazzatura dell’era bellica;<br />
— una maggiore autonomia operativa, grazie alla presenza di sistemi propulsivi più<br />
efficienti e meno «assetati» di combustibile;<br />
— tempi ridotti per la costruzione e per il successivo eventuale ammodernamento delle<br />
unità, grazie al graduale e sempre più esteso ricorso alla modularità applicata all’architettura<br />
sia della piattaforma sia del sistema di combattimento.<br />
Minaccia, requisiti ed evoluzione tecnologica<br />
Ma se l’evoluzione tecnologica ha influenzato in maniera rilevante il progetto e la<br />
costruzione navale militare, è altrettanto vero che essa ha avuto un impatto anche sulle<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
7
8 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
articolazioni della minaccia che le moderne navi da guerra sono chiamate a fronteggiare.<br />
Di particolare rilievo in questo senso è senz’altro lo sviluppo di nuovi ordigni<br />
missilistici di teatro a medio e lungo raggio, che ha imposto una rivisitazione dei<br />
requisiti di numerose classi di nuove unità navali delle categorie considerate —<br />
soprattutto i cacciatorpediniere — e per fronteggiare i quali sono assolutamente<br />
necessarie capacità di ricognizione precoce, s<strong>cop</strong>erta, tracciamento e neutralizzazione<br />
per ottenere risultati della massima efficacia. Accanto a una minaccia da molti definita<br />
primaria, ne coesistono altre non meno importanti e anch’esse influenzate dalla tecnologia<br />
quali velivoli da combattimento (pilotati e non) armati con missili da crociera<br />
equipaggiati con sensori di guida e controllo all’infrarosso o laser e controllabili da<br />
sensori remoti, missili da crociera a profilo radente e siluri dalle prestazioni avanzate<br />
(entrambi lanciati da unità subacquee o da batterie costiere), imbarcazioni veloci<br />
armate con lanciarazzi guidati, campi minati «intelligenti» predisposti in acque costiere<br />
e passaggi obbligati per impedire l’accesso a forze di spedizione.<br />
Sebbene esistano già in linea in diverse Marine unità combattenti equipaggiate per<br />
fronteggiare queste minacce, concepire una nuova generazione di naviglio combattente<br />
per gli scenari futuri e per i futuri sviluppi tecnologici rimane un’esigenza importante.<br />
Lo sviluppo della minaccia è infatti direttamente correlato allo sviluppo tecnologico<br />
nei settori dell’elettronica, dei sistemi d’arma, del munizionamento e della processazione<br />
delle informazioni: poiché questo sviluppo influenza la minaccia è importante<br />
conoscerne l’evoluzione tendenziale in modo da poter discernere gli elementi<br />
necessari a massimizzare l’efficienza bellica delle future unità combattenti e definirne<br />
i requisiti da soddisfare nel progetto.<br />
Anche se l’approccio può sembrare antiquato, i fattori che determinato questa efficienza<br />
— sopravvivenza, tenuta al mare ed efficacia operativa — rimangono alla base<br />
di qualsiasi progetto navale. In materia di integrazione, esistono tuttavia alcuni fattori<br />
che rappresentano altrettante sfide per il progettista:<br />
la generazione e l’utilizzazione in tempo reale di un quadro di situazione condiviso<br />
e condivisibile con altre forze militari in un contesto sempre più interforze e internazionale;<br />
— il controllo e il contrasto delle minacce asimmetriche, con particolare riguardo<br />
anche alla protezione dell’unità navale in acque territoriali e in porto, quale partecipazione<br />
e coinvolgimento alla homeland security;<br />
— la considerevole crescita «capacitiva» dei sensori elettronici e una corretta collocazione<br />
e integrazione a bordo per assicurare la massima compatibilità elettromagnetica;<br />
— l’uso di sensori remoti e la corretta integrazione a bordo della piattaforma di mezzi<br />
subacquei, aerei e di superficie non pilotati (3);<br />
— il requisito della riduzione della segnatura, e allo stesso tempo la generazione di un<br />
profilo di segnatura complessiva ben equilibrato;<br />
— la necessità di ridurre la consistenza degli equipaggi e di ottimizzare l’integrazione<br />
del personale femminile.<br />
Molto spesso, alcuni fra i differenti fattori da prendere in considerazione hanno<br />
effetti contrastanti sugli altri e influenzano fortemente il progetto, che nella sua globalità<br />
dovrà quindi essere affrontato in maniera diversa rispetto al passato. I requisiti<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Una delle due torri da 155 mm che equipaggia le unità classe «Zumwalt». L’efficacia di missione<br />
di una nave da guerra è determinata dal sistema d’arma necessario per ingaggiare i bersagli<br />
e dall’insieme dei sensori per la sorveglianza, ricognizione, acquisizione e tracciamento dei bersagli<br />
e direzione del tiro (NG).<br />
prestazionali per le future unità navali continueranno a crescere parallelamente a un<br />
contesto operativo sempre in movimento a causa delle innovazioni tecnologiche citate<br />
in precedenza, senza che peraltro siano disponibili le risorse per stare al passo con<br />
questa esigenza. Le capacità e le prestazioni desiderate non potranno perciò essere<br />
semplicemente definite da semplici parametri quali velocità, autonomia o dalle prestazioni<br />
di un determinato sensore o sistema d’arma ma da scenari di missioni complessi<br />
e dalle risultanti probabilità di successo nell’operare in questi scenari.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
9
10 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
In linea di principio, il profilo delle capacità globali richieste a un qualsiasi sistema<br />
d’arma complesso è determinato da un numero definito di categorie capacitive peculiari,<br />
fra loro intimamente connesse: comando e controllo, intelligence e ricognizione,<br />
mobilità, efficacia di missione, sostenibilità tecnico/logistica, sopravvivenza e protezione.<br />
Essendo la nave da guerra certamente il più complesso fra i sistemi militari,<br />
queste categorie si applicano pienamente ai due principali segmenti del progetto —<br />
sistema piattaforma e sistema di combattimento — e ne fanno derivare requisiti a loro<br />
volta connessi alla funzione basilare di una nave da guerra, cioè la condotta di operazioni<br />
belliche. Va altresì ricordato che negli attuali e futuri scenari la nave da guerra è<br />
normalmente inserita in una task force, a sua volta integrata in un contesto operativo<br />
interforze (joint) e multinazionale (combined) e ciò dimostra che le categorie capacitive<br />
«efficacia di missione» e «comando e controllo» devono essere considerati i fattori<br />
determinanti per il progetto navale militare, mentre tutte le altre categorie vanno considerate<br />
essenziali per raggiungere un obiettivo sintetizzabile nel condurre con successo<br />
le operazioni belliche.<br />
L’efficacia di missione è a sua volta determinata dal sistema d’arma necessario per<br />
ingaggiare i bersagli (di superficie, subacquei, aerei, missilistici e sul terreno) considerati<br />
nel requisito operativo e dall’insieme dei sensori per la sorveglianza, ricognizione,<br />
acquisizione e tracciamento dei bersagli e direzione del tiro. Le prestazioni di<br />
sensori e sistema d’arma sono a loro volta determinate e «misurate» in relazione a<br />
uno o più scenari di riferimento e per mezzo di simulazioni, da cui infine è possibile<br />
giungere a una loro scelta che tiene anche nel dovuto conto l’evoluzione tecnologica.<br />
Tecnologie e tendenze<br />
Di conseguenza, è giunto adesso il momento per illustrare quali sono gli aspetti<br />
tendenziali dell’evoluzione tecnologica che influenzano il progetto navale militare,<br />
considerando dapprima il sistema piattaforma e successivamente il sistema di combattimento<br />
e lasciando ai Capitoli successivi l’analisi approfondita nei diversi settori di<br />
interesse.<br />
Il rapido sviluppo dei sistemi plug-and-play (4), di tutti i tipi di assetti non pilotati<br />
e di hardware e software ad architettura aperta implica una maggior libertà nel configurare<br />
la piattaforma in maniera da consentire l’esecuzione di una vasta gamma di<br />
funzioni, andando al di là dei classici canoni vincolati alla proiezione di potenza, alla<br />
protezione e al supporto tecnico/logistico. In sostanza, le doti di flessibilità e modularità<br />
della piattaforma permetteranno lo svolgimento simultaneo o sequenziale delle<br />
predette funzioni, portando quindi a un riesame delle regole progettuali convenzionali:<br />
per esempio, un’unità concepita secondo questo approccio funzionale simultaneo e<br />
sequenziale potrebbe non aver bisogno dei rinforzi strutturali per attenuare l’impatto<br />
delle mine, perché la loro s<strong>cop</strong>erta/neutralizzazione verrebbe totalmente devoluta a<br />
UUVs operanti a distanza di sicurezza dalla piattaforma vettrice.<br />
In un contesto operativo sempre più focalizzato sugli scenari littoral, la riduzione<br />
della segnatura globale e la sua gestione continuativa vedranno accresciuta la loro<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Messa a mare di un veicolo subacqueo non pilotato «Seahorse» (US Navy).<br />
importanza nel contribuire alla riduzione della vulnerabilità della piattaforma alla s<strong>cop</strong>erta<br />
e all’attacco: si assiste di conseguenza a un continuo sviluppo di nuove soluzioni<br />
strutturali, di nuovi accorgimenti e materiali per ridurre tutte le diverse componenti<br />
della segnatura globale. In materia di velocità, si pensava che l’era delle navi da guerra<br />
in grado di sviluppare velocità massime prossime ai 35-40 n fosse definitivamente<br />
tramontata con la fine della guerra fredda, ma l’enfasi posta sulle operazioni littoral<br />
ha ravvivato l’interesse sui vantaggi tattici dell’alta velocità, con limiti massimi peraltro<br />
più contenuti rispetto ai valori citati. In ogni caso, il requisito di una velocità relativamente<br />
elevata impone di analizzare le sollecitazioni strutturali sullo scafo dovute<br />
allo slamming (5) e alla fatica e le vibrazioni sulle strutture più «leggere», in modo da<br />
sviluppare misure adeguate per ridurre la manutenzione e accrescere la vita dello<br />
scafo stesso. Sebbene nuovi tipi di scafo quali catamarani, trimarano, SWATH, aliscafi,<br />
SES, ecc (6). vengano utilizzati in diverse applicazioni militari per rispondere non<br />
solo ai requisiti di velocità e tenuta al mare ma anche a quelli di flessibilità progettua-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
11
12 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
le, la tendenza per le unità maggiori di superficie vede una conferma della carena<br />
monoscafo classica, con alcune variazioni di forma dettate da esigenze particolari.<br />
Le industrie cantieristiche e gli Enti tecnici delle principali Marine continuano le<br />
ricerche per nuovi tipi di materiali e sistemi associati per migliorare le prestazioni<br />
strutturali della piattaforma e ridurre tempi di realizzazione e costi del ciclo di servizio<br />
delle unità navali: le tendenze riguardano quindi l’uso di materiali compositi, di<br />
nuove leghe metalliche e vernici soprattutto per ridurre i pesi, facilitare i processi produttivi<br />
e migliorare la resistenza alla corrosione.<br />
Nell’importante settore della propulsione, nuovi motori diesel e turbine a gas caratterizzati<br />
da maggior potenza, peso e volume contenuti e consumi di combustibile<br />
ridotti sono in corso di sviluppo e sperimentazione. I nuovi concetti propulsivi si concentrano<br />
sull’adozione di due assi azionati da diverse combinazioni fra motori diesel<br />
e turbine a gas, mentre in decisa crescita è la tendenza all’impiego di idrogetti orientabili<br />
e, soprattutto, per l’adozione dell’energia elettrica per tutte le utenze di bordo<br />
(compresa la propulsione) secondo il principio della All Electric Ship, AES.<br />
***<br />
Le artiglierie navali stanno timidamente tornando alla ribalta, sebbene il loro numero<br />
e la loro articolazione a bordo sia completamente diversa rispetto a 30 anni fa.<br />
Questo principio si applica agli impianti di piccolo calibro, a quelli pluricanna e ai<br />
calibri maggiori, con i primi e i secondi favoriti per le funzioni di difesa antimissile a<br />
corto raggio e di protezione ravvicinata contro minacce asimmetriche, e con un deciso<br />
incremento della cadenza di tiro, in grado di impiegare munizionamento sempre più<br />
letale (e quindi più efficace) e equipaggiati con sistemi integrati per la s<strong>cop</strong>erta dei<br />
bersagli e la direzione del tiro. In materia di calibri maggiori, vi è un «assestamento»<br />
sul 127 mm, ma alcune Marine stanno valutando o già sperimentando il 155 mm, con<br />
— a fattore comune — gli impianti per la selezione e la movimentazione del munizionamento<br />
e l’impiego di munizionamento guidato e assistito dal GPS e dalla navigazione<br />
inerziale per incrementare la portata massima (fino a circa 200 mg) e la precisione<br />
(più o meno 10 m per bersagli particolari, quali strutture fisse quali depositi<br />
munizioni e combustibili, siti di comando e controllo, stazioni radar e comunicazioni,<br />
infrastrutture strategiche, ecc.), concentramenti di truppe, batterie missilistiche<br />
costiere e all’interno del territorio.<br />
E’ prevedibile che nei prossimi 10-15 anni facciano il loro debutto a bordo sistema<br />
d’arma laser a elevata energia, e già alcuni prototipi con una potenza di alcune centinaia<br />
di kW sono stati sviluppati negli Stati Uniti, Cina e Russia. Le principali applicazioni<br />
di questi sistemi riguardano al momento la difesa antimissile a corto raggio al<br />
posto degli attuali impianti CIWS (Close-In Weapon System), con la specifica funzione<br />
di distruggere sia i componenti elettronici del sensore di guida dell’ordigno avversario<br />
in modo da prevenire l’acquisizione del bersaglio, sia l’ordigno stesso attivandone<br />
la testata. L’evoluzione successiva nell’impiego navale del laser riguarderà invece<br />
la localizzazione di emissioni radar provenienti da sensori di sorveglianza e di direzione<br />
del tiro, la guerra elettronica e l’inganno dei sensori avversari. Nel campo missilistico<br />
e a parte la diffusione di lanciatori verticali in configurazione multipla o sin-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
gola, la tendenza (7) riguarda una maggior accuratezza nel colpire il bersaglio, attraverso<br />
l’uso di sensori IR, laser e radar nella fase terminale della traiettoria e in associazione<br />
alla guida GPS e inerziale: innovazioni rilevanti sono relative anche all’aumento<br />
della velocità al momento del lancio e in volo, maggior raggio d’azione e<br />
potenza della testata, riduzione della segnatura, aumento della manovrabilità, possibilità<br />
di utilizzare sub-munizionamento e di collegamento con sensori remoti per l’aggiornamento<br />
della posizione e delle informazioni sul bersaglio.<br />
Una tendenza prossima a concretizzarsi riguarda la presenza a bordo di UAVs e<br />
della loro variante armata UCAVs (Unmanned Combat Air Vehicles), utilizzabili in<br />
una gamma di missioni sintetizzabili nelle due categorie della ricognizione e della<br />
neutralizzazione/danneggiamento di assetti nemici e rappresentando così efficaci moltiplicatori<br />
di capacità per le unità che ne disporranno. I moderni elicotteri sono infatti<br />
sempre più costosi da acquisire e operare e non saranno quindi disponibili per ogni<br />
piattaforma dotata di ponte di volo e aviorimessa; d’altra parte, lo sviluppo di UAVs e<br />
UCAVs navali è soprattutto concentrato sulle macchine ad ala fissa destinate alle portaerei,<br />
mentre sulla tipologia di naviglio qui considerato il primo passo riguarda inevitabilmente<br />
UAVs/UCAVs ad ala rotante (8). In materia di sistemi radar, vi è una tendenza<br />
diffusa verso sensori a facce piane per quasi tutte le bande di frequenza, e con<br />
prevalenza di sistemi attivi. Le antenne saranno inoltre raggruppate per consentire la<br />
diffusione simultanea dei fasci illuminanti e riceventi sui 360° e ciò implica il loro<br />
posizionamento su una struttura circolare o tronco piramidale che permette anche l’integrazione<br />
di sensori per la sorveglianza, la difesa antiaerea e antimissile, la navigazione,<br />
il controllo del traffico aereo e lo scambio delle informazioni. L’uso crescente<br />
di antenne a facce piane e il concetto dell’integrazione sensoriale danno a sua volta<br />
vita al concetto di albero modulare multisensoriale su cui, e in funzione del tipo di<br />
piattaforma/funzione e della configurazione del sistema di combattimento, possono<br />
essere integrati tutti i sensori radar, per le comunicazioni e la guerra elettronica e per<br />
l’integrazione in un’architettura CEC (9).<br />
Una logica analoga è applicata all’ambiente subacqueo. Nell’ottica dell’ampliamento<br />
del suo ambito operativo alle acque costiere littoral, la nave da guerra dovrà<br />
essere dotata di sistemi di s<strong>cop</strong>erta e contrasto subacqueo per contrastare mine intelligenti,<br />
unità subacquee di ridotte dimensioni, siluri «intelligenti» lanciabili anche da<br />
postazioni costiere fisse o da siti sul fondale e ordigni esplosivi attivabili tramite<br />
impulsi acustici. Le tendenze nel settore riguardano dunque un sistema elettroacustico<br />
formato da un sensore multifunzionale dispiegabile di tipo lineare e da un sonar in<br />
bulbo o scafo (quest’ultimo anche di tipo retrattile), in grado di operare in maniera<br />
passiva e attiva in tutto il campo delle frequenze necessarie.<br />
***<br />
Come noto, la gestione di tutti i sistemi imbarcati richiede la concentrazione delle<br />
principali funzioni di una nave da guerra in tre «locali» ben definiti: la plancia, la centrale<br />
operativa di combattimento e la centrale operativa di piattaforma. La sempre più<br />
stretta correlazione fra le funzioni richiede una rivalutazione degli spazi a essi assegnati,<br />
soprattutto alla luce del ricorso ormai diffuso a hardware e software di tipo<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
13
14 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
commerciale e di interfacce uomo-macchina di tipo multifunzionale, dotate di schermi<br />
multipli e con capacità di processazione più avanzate. Una tendenza emergente è<br />
dunque quella di concentrare le funzioni COC e COP nell’ambito di un centro multimediale<br />
di comando, controllo e gestione delle informazioni (Multimedia Information<br />
Command & Control Centre, MIC3) con schermi panoramici alle pareti/murate/paratie<br />
divisorie, postazioni multifunzionali per gli operatori e «isole decisionali» per gli<br />
ufficiali di guardia: il posizionamento del MIC3 va studiato in relazione alla configurazione<br />
generale dell’unità, tenendo comunque presenti l’esigenza di comunicazione<br />
immediata con la plancia, i contestuali e altrettanto importanti requisiti di ridondanza<br />
e protezione e l’applicazione del principio di fusione e sfruttamento di tutte le informazioni<br />
in ingresso e in uscita dalla nave da guerra.<br />
A dispetto delle tendenze verso la maggior automazione di tutti i sistemi considerati,<br />
ogni membro dell’equipaggio di una moderna unità navale militare rimane sempre<br />
un concentrato di intelligenza flessibile e potente e la sua presenza fisica rimane<br />
essenziale affinché il sistema nave nella sua globalità possa esprimere la massima<br />
efficacia ed efficienza operativa. A fronte del prevedibile aumento nella durata dei<br />
cicli operativi della nave da guerra, la qualità della vita a bordo diventa più importante<br />
rispetto al passato. Un maggior comfort e un deciso miglioramento degli spazi di<br />
lavoro, di vita e ricreativi e della privacy individuale diventano quindi capacità altrettanto<br />
importanti quanto quelle richieste ai sistemi imbarcati: attenzione va quindi<br />
posta nell’allestimento di tutti i locali dove è richiesto un presidio umano, incluse le<br />
caratteristiche di illuminazione e arredamento, senza peraltro tralasciare esigenze<br />
importanti quali la forma fisica (nei limiti di spazio universalmente riconosciuti per<br />
una nave militare), l’intrattenimento, le comunicazioni con il nucleo familiare (con il<br />
dovuto rispetto delle regole sulle emissioni) e l’aggiornamento professionale.<br />
NOTE<br />
(1) In larga parte nella categoria dei cacciatorpediniere, spesso affiancati agli incrociatori ma con un’evoluzione<br />
che ha visto le principali Marine concentrarsi successivamente sui primi e sulle fregate.<br />
(2) La fascia di oscillazione è ampia ± 1.000 t.<br />
(3) Per comodità di esposizione, in questo Supplemento si useranno i rispettivi e diffusi acronimi<br />
anglosassoni, nell’ordine UUVs, Unmanned Underwater Vehicles, UAVs, Unmanned Air Vehicles e<br />
USVs, Unmanned Surface Vehicles. In termini generali, l’insieme dei mezzi non pilotati viene indicato<br />
anche con l’acronimo UXVs, in cui la «X» sostituisce le tipologie peculiari legate all’ambiente in<br />
cui essi operano.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
(4) Letteralmente «attacca la spina e gioca», intesi come sistemi facilmente inseribili in un’architettura<br />
complessa e rapidamente impiegabili.<br />
(5) L’impatto delle strutture del fondo contro la superficie del mare, particolarmente violento in caso di<br />
mare grosso nei settori prodieri.<br />
(6) Il catamarano è un natante dotato di due scafi caratterizzati da un elevato rapporto lunghezza/larghezza<br />
e sui cui elementi di collegamento sono posizionate le sovrastrutture, mentre il trimarano è normalmente<br />
formato da uno scafo centrale convenzionale a cui si aggiungono due scafi laterali di lunghezza<br />
inferiore al primo, consentendo a tutto l’insieme una maggiore superficie utilizzabile. Lo scafo SWATH<br />
(Small Waterplane Area Twin Hull) è simile al catamarano ma i due scafi hanno la forma di un solido di<br />
rivoluzione che assomiglia a una bottiglia di Coca Cola e permettono migliori qualità di tenuta al mare,<br />
mentre sul SES (Surface Effect Ship) i due scafi paralleli sono collegati alle due estremità da due gonne<br />
flessibili che servono a racchiudere il cuscino d’aria che sostenta tutto l’unità e consente di raggiungere<br />
velocità elevate. Sull’aliscafo, lo scafo è dotato di due gambe con alette che lo sollevano e permettono<br />
anche in questo caso velocità elevate.<br />
(7) Da osservare che l’evoluzione tecnologica in campo missilistico ha un impatto di tipo «passivo», cioè<br />
non concentrato tanto sul progetto dell’unità navale che li ospita (sensibilità delle testate) bensì su quello<br />
dei potenziali bersagli (misure di protezione attiva e passiva).<br />
(8) Sperimentazioni di decollo e appontaggio di velivoli ad ala fissa di ridotte dimensioni sono comunque<br />
in corso presso alcune Marine. Il requisito generale riguarda un raggio d’azione massimo di circa 600 mg<br />
o un periodo di stazionamento sull’area d’interesse di 12 ore e a 200 mg dalla piattaforma vettrice.<br />
(9) Cooperative Engagement Capability, dove i sensori di s<strong>cop</strong>erta e ingaggio dei sistemi d’arma sono<br />
distribuiti fra varie unità navali in un insieme complesso ma integrato.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
15
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 2<br />
POLIVALENZA, NUOVE FORME DI SCAFO E NUOVI MATERIALI<br />
Il concetto di unità navale adatta allo svolgimento di più funzioni sembra attrarre con<br />
insistenza l’interesse di diverse forze navali, soprattutto a causa di un mutamento<br />
degli scenari che ha prodotto maggiori responsabilità anche negli importanti settori<br />
della homeland security, della polizia marittima e delle operazioni generalizzate contro<br />
la minaccia terroristica (1).<br />
Il cacciatorpediniere tedesco HAMBURG, realizzato secono il concetto modulare MEKO (B+V/TKMS).<br />
17
18 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
L’approccio alla polivalenza funzionale<br />
Si assiste quindi a un distacco abbastanza netto con un passato che vedeva, almeno<br />
fino agli anni Sessanta, le unità maggiori di superficie concepite espressamente<br />
per le funzioni di difesa aerea di gruppi navali (prima gli incrociatori e poi i cacciatorpediniere<br />
lanciamissili), lotta antisommergibili (cacciatorpediniere e fregate) e<br />
contrasto antinave, una missione quest’ultima che è passata di moda dopo la seconda<br />
guerra mondiale grazie alla supremazia dell’aviazione imbarcata ed è ritornata<br />
in auge negli anni Settanta per fronteggiare l’emergente mercato delle unità sottili<br />
lanciamissili; il bombardamento controcosta è invece rimasta una funzione affidata<br />
ai grossi e medi calibri degli incrociatori prima e di cacciatorpediniere e fregate in<br />
seguito, anche se un ruolo di primo piano è stato affidato all’aviazione imbarcata.<br />
Negli anni Settanta si è avuto il debutto di unità denominate multiruolo ma equipaggiate<br />
con sensori e sistemi atti a svolgere una funzione prevalente sulle altre<br />
(antiaerea/antinave grazie al munizionamento polivalente, oppure antisommergibile),<br />
mentre il bombardamento controcosta a cura di unità navali è gradualmente<br />
passato di moda fino a riemergere prepotentemente nei giorni nostri.<br />
Le caratteristiche prestazionali dei progetti per le future unità militari saranno<br />
prevalentemente basate su alcuni elementi essenziali quali eccellenti caratteristiche<br />
di sopravvivenza e tenuta al mare, segnatura ridotta, un sistema propulsivo efficiente<br />
e, soprattutto, un rapporto ottimale fra dislocamento e potenza di fuoco e una<br />
configurazione modulare che consenta di concentrare su un’unica piattaforma un<br />
numero relativamente elevato di funzioni fra loro differenti. Il problema posto al<br />
progettista dell’unità maggiore di superficie sembra dunque sintetizzarsi nella concentrazione<br />
delle predette caratteristiche su una piattaforma di dimensioni relativamente<br />
contenute: grazie all’intrinseca flessibilità concessa dai grandi volumi a<br />
disposizione e dalla capacità di integrate diversi tipi di carico utile, le grandi unità<br />
(portaerei e navi d’assalto anfibio) sono infatti spesso impiegate secondo il principio<br />
della polivalenza in una gamma di funzioni che vanno dallo strike al sea control,<br />
dall’assalto anfibio alle contromisure mine, all’assistenza umanitaria (2).<br />
Un primo e importante passo verso il perseguimento di una maggior flessibilità<br />
«funzionale» si è avuto con il ricorso a sistemi di propulsione caratterizzati da<br />
un’elevata densità di potenza e quindi basati su turbine a gas, a cui è seguita l’adozione<br />
di sistemi missilistici a lancio verticale con cui è stato possibile risparmiare<br />
gradualmente i volumi necessari per rampe e depositi in origine dedicati a ordigni<br />
superficie-aria a corto, medio e lungo raggio, da crociera, antinave e antisommergibili.<br />
A una moderna nave da guerra di superficie equipaggiata con un adeguato<br />
sistema di lancio verticale possono dunque essere affidate funzioni di varia natura<br />
quali l’attacco contro bersagli terrestri, la difesa aerea e antimissile di un gruppo<br />
navale e la difesa contro missili balistici di teatro. In termini più generali, le tendenze<br />
operative e progettuali finalizzate alla realizzazione di un’unità maggiore di<br />
superficie polivalente riguardano funzioni «tradizionali» quali il contrasto antisommergibile<br />
e la difesa antiaerea e antimissile, oltre che funzioni più «specialistiche»<br />
come le operazioni di contromisure mine con assetti organici, la proiezione di<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il varo dell’INDIPENDENCE. Nel programma LCS, una piattaforma strutturale di caratteristiche<br />
e prestazioni ben determinate è in grado di imbarcare tre differenti famiglie di moduli funzionali,<br />
consentendo quindi di selezionare quella necessaria a svolgere funzioni di contrasto antinave, lotta<br />
antisommergibili e operazioni di contromisure mine (Austal).<br />
potenza mediante l’impiego di forze speciali e/o missili da crociera, il sostegno logistico<br />
a favore di reparti imbarcati di dimensioni contenute, la sorveglianza e la ricognizione<br />
di aree marittime di interesse: a questa gamma di funzioni si deve aggiungere<br />
l’autodifesa contro vecchi e nuovi tipi di minacce e, possibilmente, la difesa<br />
contro i missili balistici di teatro.<br />
Tenendo conto dei vincoli esistenti per coniugare il concetto di polivalenza e le<br />
dimensioni, un secondo importante passo per raggiungere l’obiettivo ha riguardato il<br />
ricorso alla «modularità funzionale», di cui l’esempio maggiormente rappresentativo<br />
è il concetto costruttivo MEKO sviluppato dalla società tedesca Blohm & Voss (3) nei<br />
primi anni Ottanta: in realtà, le motivazioni alla base dell’adozione del concetto<br />
MEKO (MultipurposE KOmbination) riguardavano una riduzione dei tempi e dei<br />
costi di costruzione della piattaforma, ma l’evoluzione tecnologica ne ha permesso la<br />
valorizzazione proprio ai fini di una possibile polivalenza funzionale. Il concetto<br />
MEKO è basato sull’uso di moduli funzionali di dimensioni standardizzate in cui vengono<br />
installati i sistemi d’arma e quelli elettronici: ogni modulo funzionale comprende<br />
anche, per quanto possibile e pratico, gli equipaggiamenti ausiliari (generatori,<br />
condizionatori d’aria, ecc.) sì da rappresentare un blocco funzionale autosufficiente e<br />
producibile sotto forma di container chiuso, di strutture con lati aperti, di basamenti e<br />
di albero completo. Al di là del loro aspetto fisico e strutturale, i moduli funzionali<br />
vengono installati nella piattaforma in appositi recessi opportunamente predisposti e<br />
poi collegati con le utenze necessarie (energia elettrica, condizionamento /ventilazione,<br />
acqua di raffreddamento, comunicazioni, rete di distribuzione delle informazioni)<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
19
20 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Vari tipi di moduli impiegabili su unità realizzate secondo il concetto MEKO (Archivio Autore).<br />
attraverso elementi di interfaccia anch’essi standardizzati. La maggior parte dei<br />
sistemi d’arma ed elettronici che normalmente equipaggia un’unità combattente d’altura<br />
può essere sistemata in moduli funzionali aventi larghezza e altezza analoghe ai<br />
valori dei container standard ISO e lunghezze variabili da 3 a 4,5 m: i moduli funzionali<br />
per la centrale operativa di combattimento vengono invece forniti sotto forma di<br />
basamenti sui quali vengono poi montate le diverse consolles.<br />
L’innovazione più importante del concetto MEKO sotto il profilo della polivalenza<br />
risiede dunque nell’ottimizzazione della flessibilità operativa, perché consente di<br />
modificare in tempi contenuti la configurazione di armi e sensori in relazione alla<br />
specifica funzione che l’unità navale è chiamata a svolgere: dal punto di vista progettuale,<br />
il ricorso al concetto MEKO richiede un disegno della piattaforma ottimizzato<br />
a ricevere moduli funzionali di caratteristiche note e che può facilmente implicare<br />
dimensioni maggiori (lunghezza, larghezza, immersione e dislocamento) rispetto<br />
a un disegno tradizionale (4), un aspetto questo che se da un lato richiede un<br />
incremento della potenza propulsiva a parità di velocità, dall’altro può efficacemente<br />
contribuire alle doti di robustezza e sopravvivenza della piattaforma. A meno che i<br />
moduli funzionali non richiedano il semplice imbullonamento sul ponte di <strong>cop</strong>erta<br />
e/o sulle tughe, un ulteriore elemento di valutazione da considerare attentamente<br />
riguarda i rinforzi strutturali necessari nel caso di moduli funzionali da inserire nelle<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La sezione maestra dei cacciatorpediniere statunitensi classe «Zumwalt» evidenzia la configurazione<br />
delle murate inclinate verso l’interno (Archivio Autore).<br />
aperture appositamente predisposte e che comportano quindi un ulteriore, seppur<br />
contenuto, incremento dimensionale e di dislocamento. Una considerazione necessaria<br />
sul concetto MEKO è legata alla sua applicazione. Inizialmente, esso è stato adottato<br />
soltanto da Marine «minori» come quelle argentina e nigeriana, ma negli anni<br />
Ottanta la diffusione si è considerevolmente ampliata anche a Marine più «consistenti»<br />
quali quella australiana, turca e greca, mentre negli ultimi anni anche la <strong>Marina</strong><br />
tedesca — notoriamente attenta alle analisi di costo/efficacia — si è «convertita» al<br />
concetto (5). Va anche ricordato che fino a questo momento, e sebbene esistano le<br />
potenzialità, nessuna delle unità MEKO è stata sottoposta a profonde modiche nella<br />
configurazione del sistema d’arma e dei sensori elettronici, confermando che i benefici<br />
del concetto vanno intesi non tanto in relazione a un cambiamento repentino dei<br />
requisiti operativi da cui scaturisce la modifica immediata delle funzioni della piattaforma<br />
ma sono piuttosto legati alla potenziale evoluzione di questi requisiti nell’arco<br />
della vita operativa della piattaforma stessa e tale quindi da permettere un’analisi<br />
ponderata sui vantaggi ottenibili dalla modifica alla configurazione.<br />
L’approccio alla polivalenza funzionale attraverso il concetto dei moduli viene<br />
seguito anche dalla prima <strong>Marina</strong> del mondo, per un programma notoriamente destinato<br />
sia a incrementare quantitativamente la consistenza della US Navy sia a facilitarne<br />
l’accesso agli scenari littoral. Nel programma Littoral Combat Ship – LCS,<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
21
22 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Immagine al computer del progetto LCS secondo Lockheed Martin. L’unità è considerata<br />
una piattaforma vettrice dotata di una mission bay all’interno della quale vengono imbarcati/sbarcati<br />
in un ridotto arco di tempo container standardizzati militari per lo stivaggio e l’impiego degli UVX<br />
(Lockheed Martin, LM).<br />
una piattaforma strutturale di caratteristiche e prestazioni ben determinate — fra cui<br />
una velocità massima superiore ai 40 n — e perciò denominata seaframe, è in grado<br />
di imbarcare tre differenti famiglie di moduli funzionali, consentendo quindi di<br />
selezionare quella necessaria a svolgere funzioni di contrasto antinave, lotta antisommergibili<br />
e operazioni di contromisure mine. Gli elementi permanenti installati<br />
sulla seaframe comprendono i sistemi per il lancio e il recupero degli assetti non<br />
pilotati, i sistemi di comando e controllo, un cannone da 57 mm e un’architettura<br />
informatica distribuita che consentirà di sfruttare sinergicamente le potenzialità dei<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
L’unità danese ABSALON. La maggior parte dell’equipaggiamento a bordo delle due unità della classe<br />
è di origine commerciale e la costruzione ha seguite le norme del registro DNV per il naviglio militare<br />
(Archivio Autore).<br />
singoli moduli e di incrementarne l’area di <strong>cop</strong>ertura: i moduli di missione comprendono<br />
invece i sottosistemi specialistici (sotto forma di assetti dispiegabili, armi<br />
e sensori), gli equipaggiamenti di supporto e le interfacce standardizzate per il collegamento<br />
fisico alla seaframe. L’associazione fra i moduli di missioni e un’adeguata<br />
configurazione dell’equipaggio (anch’esso variabile in funzione della missione)<br />
costituisce il cosiddetto pacchetto di missione: ciascuno modulo di missione comprende<br />
una vasta gamma di assetti dispiegabili pilotati e di tipo UXV, nonché armi e<br />
sensori che possono essere in comune con questi ultimi e con la piattaforma stessa,<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
23
24 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
secondo una logica di versatilità che rappresenta probabilmente l’aspetto maggiormente<br />
significativo del concetto LCS perché questa disponibilità permette di affidare<br />
a una singola unità una serie di compiti differenziati che una piattaforma convenzionale<br />
non poteva in precedenza permettersi. La LCS può quindi essere considerata<br />
una piattaforma vettrice dotata di una mission bay all’interno della quale vengono<br />
imbarcati/sbarcati in un arco di tempo quantificabile in poche ore (o al massimo<br />
una giornata) container standardizzati militari per lo stivaggio e l’impiego degli<br />
UVX. Questo rappresenta l’elemento chiave del progetto LCS perché una fregata<br />
tradizionale — cioè una piattaforma dimensionalmente comparabile alla seaframe<br />
— non possiede lo spazio per stivare i moduli di missione, né la possibilità di lanciare<br />
e recuperare i vari tipi di assetti, né tanto meno di scambiarli in funzione dell’immediata<br />
esigenza operativa (6).<br />
La piattaforma vettrice è stata disegnata proprio per sfruttare al massimo le capacità<br />
offerte dalle tre famiglie di sistemi modulari: oltre alla mission bay, ciò ha<br />
implicato la presenza di impianti per il lancio e il recupero — rapidamente e in<br />
sicurezza — degli UXV, degli assetti pilotati e dei sensori, per il rifornimento, riarmamento<br />
e riconfigurazione e per la loro movimentazione fra diverse zone della<br />
nave; a questo si aggiungono le capacità di ricevere, generare e scambiare informazioni<br />
e quindi sfruttare al massimo gli effetti generati dall’impiego coordinato dei<br />
vari sensori e sistemi.<br />
Mentre il programma LCS e il concetto MEKO possono essere considerati come<br />
un’applicazione della polivalenza in accordo con i vincoli ben definiti imposti dalle<br />
dimensioni della piattaforma, l’approccio al problema seguito dalla <strong>Marina</strong> danese<br />
si sintetizza in una maggiore libertà progettuale che ha consentito di ampliare la<br />
gamma di missioni affidate a un’unica piattaforma. Le origini della soluzione danese<br />
vanno comunque ricercate nel sistema «Standard Flex», in pratica la variante<br />
locale del concetto MEKO ma applicata a una piattaforma di dimensioni decisamente<br />
più contenute (480 t di dislocamento e scafo in vetroresina), attrezzata con<br />
quattro pozzi in cui installare nel giro di poche ore moduli standardizzati e permettere<br />
quindi missioni differenti quali il pattugliamento marittimo, la lotta antisommergibile<br />
e il contrasto antinave, le operazioni di contromisure mine e il minamento,<br />
la rilevazione idro-oceanografica e la vigilanza antinquinamento. Il salto di qualità<br />
nella polivalenza progettuale è avvenuto come conseguenza dei nuovi ruoli e<br />
missioni a carico della <strong>Marina</strong> danese negli scenari del dopo guerra fredda, dalla<br />
conseguente esigenza di rimpiazzare un numero rilevante di unità navali e di<br />
disporre di una piattaforma sufficientemente grande da impiegare quale nave ammiraglia<br />
per un gruppo navale danese chiamato a operare a grande distanza dalla<br />
madrepatria.<br />
Prendendo come riferimento i pattugliatori d’altura classe «Thetis», gli studi progettuali<br />
per soddisfare i requisiti operativi iniziali sono stati sviluppati e modificati<br />
per consentire alle nuove unità anche di imbarcare e rischierare un reparto di forze<br />
terrestri, privo però degli elementi di supporto logistico. Il risultato degli studi si è<br />
materializzato in due classi di piattaforme, rispettivamente denominate «Flexible<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un aspetto importante delle nuove forme di scafo riguarda la minimizzazione della superficie radar<br />
equivalente, come dimostra un particolare della corvetta svedese HELSINGBORG, qui raffigurata<br />
(Foto Autore).<br />
Støtteskibe, FS» (nave flessibile multiruolo) e «Patruljeskibe, PS» (nave pattuglia)<br />
e aventi in comune numerosi elementi nel disegno, nella configurazione e nei sistemi<br />
imbarcati (7): il programma FS comprende due esemplari, Absalon e Esbern<br />
Snare, entrati in linea nel 2004 e nel 2007 e sinteticamente, ma impropriamente,<br />
denominate «unità di supporto alle operazioni belliche», mentre quello per le FS —<br />
battezzate classe «Peder Skram» — riguarda vere e proprie unità maggiori combattenti<br />
configurate per la difesa antiaerea di area ed è stato avviato nel 2007. I due<br />
programmi discendono quindi da un unico progetto comune in cui la variante FS<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
25
26 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
possiede capacità aggiuntive a quelle combattenti pure della variante PS, senza<br />
peraltro farne scadere l’intrinseco valore «bellico» e nonostante sia stato loro conferito<br />
il distintivo ottico («L») tipico delle unità anfibie. L’elemento progettuale maggiormente<br />
in comune fra i due programmi è uno scafo lungo 137 m e largo 19,5 m,<br />
mentre le capacità aggiuntive della variante FS riguardano la possibilità di svolgere<br />
operazioni a sostegno della pace o in alternativa di fungere come unità per l’esercizio<br />
del comando e controllo di un gruppo navale (8). La maggior parte dell’equipaggiamento<br />
a bordo della classe «Absalon» è di origine commerciale e la costruzione<br />
ha seguito le norme del registro DNV per il naviglio militare, ma le capacità<br />
NCBD e gli standard antishock rispettano pienamente la normativa militare, mentre<br />
una serie di analisi rigorose ha permesso di introdurre anche misure per la riduzione<br />
della segnatura radar equivalente. Le caratteristiche di polivalenza e flessibilità operativa<br />
del progetto FS sono assicurate dalle seguenti sistemazioni:<br />
— due stazioni per il rifornimento in mare, a dritta e a sinistra, in grado di ricevere<br />
e, soprattutto, di erogare combustibile;<br />
— portelloni sul ponte di volo e sul weapon deck (sulla tuga a centronave), che<br />
consentono la movimentazione di carichi sui ponti sottostanti;<br />
— presenza di un ponte «flessibile», esteso sotto il ponte di volo e per circa 2/3<br />
della lunghezza della nave, avente una superficie di 900 mq e dotato di rampa e<br />
portellone d’accesso sullo specchio di poppa. Il termine «flessibile» è dovuto alla<br />
possibilità di ospitare, lungo 250 m lineari, una gamma di carichi equivalenti a<br />
1.700 t: il ponte è dotato di rinforzi strutturali per l’imbarco di carri armati<br />
«Leopard», nonché degli spazi per un battaglione di ricognizione dell’esercito danese.<br />
Oltre al personale, altri tipi di carichi comprendono veicoli ruotati e cingolati,<br />
elicotteri leggeri, approvvigionamenti e materiali per il soccorso umanitario alle<br />
popolazioni civili, attrezzature medico-sanitarie: altre tipologie di carichi «combattenti»<br />
riguardano due imbarcazioni veloci per l’infiltrazione/esfiltrazione di reparti<br />
speciali, ferroguide per la posa di 300 mine e sistemi telecomandati per le operazioni<br />
di contromisure mine;<br />
— ponte di volo e aviorimessa per le operazioni di due elicotteri «EH-101». Il<br />
ponte di volo è inoltre dimensionato per accogliere un elicottero pesante «CH-47<br />
Chinook»;<br />
— weapon deck attrezzato con cinque recessi per l’imbarco di altrettanti moduli<br />
con sistemi d’arma intercambiabili. La dotazione normale delle unità classe<br />
«Absalon» prevede due moduli per missili «Harpoon Block II» (16 ordigni per la<br />
funzione antinave e missioni di strike contro obiettivi terrestri prefissati) e due<br />
moduli per il lancio verticale di 36 missili «Evolved SeaSparrow»;<br />
— un cannone da 127/54 e, sul weapon deck, due gruppi di tubi lanciasiluri per<br />
armi tipo «MU-90».<br />
Il progetto della classe «Peder Skram» differisce da quello delle «Absalon» per<br />
l’assenza del ponte «flessibile», per un sistema propulsivo più potente in grado di<br />
imprimere una velocità maggiore, per la differente dotazione di sensori dedicati alla<br />
sorveglianza e al controllo delle armi, per le sistemazioni elicotteristiche (soltanto<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un raffronto dimensionale e di configurazione generale fra i cacciatorpediniere statunitensi delle classi<br />
«Spruance» (in alto), «Burke» (al centro, nelle due versioni in linea) e «Zumwalt» (in basso)<br />
(Archivio Autore).<br />
per una macchina tipo «EH-101») e per la differente configurazione del weapon<br />
deck. In questo caso, oltre a quattro moduli da impiegare per missili «Evolved<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
27
28 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Le caratteristiche prestazionali dei progetti per le future unità militari saranno soprattutto basate<br />
su una configurazione modulare (qui raffigurata è un’ipotesi per le future unità di superficie britanniche)<br />
che consenta di concentrate su un’unica piattaforma un numero relativamente elevato di funzioni fra loro<br />
differenti (Archivio Autore).<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
SeaSparrow» e «Harpoon Block II» in varie combinazioni sono presenti quattro<br />
moduli a otto celle per il lancio verticale di missili superficie-aria o da crociera, una<br />
configurazione che consente alle PS di svolgere un ruolo di primo piano nella difesa<br />
contro i missili balistici di teatro e nella proiezione di potenza contro il territorio,<br />
senza per questo rinunciare ad altre capacità importanti quali la sorveglianza, il contrasto<br />
antinave e la lotta antisommergibile.<br />
Nell’evoluzione generale degli scenari d’impiego delle forze navali si assiste dunque<br />
a un deciso incremento delle funzioni e dei compiti che le unità navali militari<br />
sono chiamate a fronteggiare, e ciò a fronte di una drastica riduzione delle risorse<br />
necessarie a mantenere in esercizio un congruo numero di assetti. La singola piattaforma<br />
specializzata solamente per una o tutto al più due funzioni diventerà quindi<br />
una soluzione troppo onerosa da attuare, nonché limitativa sotto il profilo operativo,<br />
spianando quindi la strada al prevedibile consolidamento dell’unità polivalente, da<br />
esercitare secondo l’approccio ritenuto tecnicamente e operativamente più opportuno<br />
da quelle Marine sufficientemente «ardite» da rompere con gli schemi convenzionali.<br />
Il disegno e la forma<br />
Per molti decenni, la configurazione generale delle navi da guerra è sembrata<br />
immutabile, perché le carene tradizionali a dislocamento hanno dominato nella<br />
gamma dei progetti e alcune innovazione alternative — quali gli aliscafi, i mezzi a<br />
cuscini d’aria e gli scafi SES — sono rimaste appannaggio di alcune tipologie di<br />
assetti particolari quali i mezzi da sbarco, il naviglio veloce sottile e alcuni catamarani<br />
veloci usati da reparti statunitensi per il trasferimento rapido di mezzi e materiali.<br />
Adesso, progetti quali la LCS e i futuri cacciatorpediniere lanciamissili statunitensi<br />
classe «Zumwalt» sembrano decisamente orientati verso nuove soluzioni.<br />
Gli interrogativi che sorgono spontanei sono essenzialmente i seguenti: Si tratta di<br />
tendenze consolidabili o sono destinate a fallire, come alcuni illustri precedenti?<br />
Perché il medesimo tipo di carena motoscafo ha dominato la scena per così lungo<br />
tempo? Innanzitutto, queste nuove forme di scafo — in particolare la carena semiplanante<br />
o il trimarano proposto dai due contendenti industriali del programma LCS<br />
e la carena cosiddetta wave piercing & tumblehome dei tipi «Zumwalt» (9) —<br />
rispondono a requisiti particolari e la risposta agli interrogativi è legata alla prevalenza<br />
o meno di nuovi e futuri requisiti sui vantaggi delle carene tradizionali.<br />
Un aspetto importante delle nuove forme di scafo — incluse quelle meno innovative<br />
— riguarda la minimizzazione della superficie radar equivalente: le tecniche<br />
correlate riguardano l’inclinazione delle superfici esterne rispetto alla verticale e la<br />
massima riduzione dell’angolo creato dalla giunzione fra le murate dello scafo e le<br />
sovrastrutture. Nell’approccio tradizionale, le murate sono dritte o leggermente<br />
inclinate verso l’esterno per quasi tutta la lunghezza dello scafo, in modo da garantire<br />
un’elevata larghezza in corrispondenza della <strong>cop</strong>erta: l’innovazione più recente<br />
— introdotta nel disegno delle fregate francesi classe «La Fayette» e mirata proprio<br />
alla riduzione della superficie radar equivalente — vede le sovrastrutture inclinate<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
29
30 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
verso l’interno, creando uno spigolo (chine) quale punto d’intersezione fra esse e le<br />
murate inclinate verso l’esterno. Ma se la nave è soggetta a rollio, a un certo punto<br />
lo scafo o le sovrastrutture si troveranno in una posizione verticale rispetto alla<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
superficie del mare e quindi soggette,<br />
seppur per un breve periodo, a un’eco<br />
radar di una certa intensità che, rilevato<br />
da un sensore particolarmente capace,<br />
può portare all’identificazione e al successivo<br />
tracciamento dell’unità. Il progetto<br />
«Zumwalt» cerca di evitare questo<br />
problema, perché una sufficiente stabilizzazione<br />
può impedire la posizione<br />
verticale, mentre il requisito di bassa<br />
osservabilità complessiva (stealth)<br />
impone che la maggior parte del volume<br />
della piattaforma venga realizzato all’interno<br />
di uno scafo quanto più possibile<br />
basso sull’acqua. Ecco perché, paradossalmente,<br />
una nave attentamente disegnata<br />
per esaltare le caratteristiche di<br />
stealthness (10) sarà considerevolmente<br />
più grande — con un maggior volume<br />
interno — di un disegno convenzionale<br />
e intrinsecamente meno stealth. Un altro<br />
requisito del progetto «Zumwalt»<br />
riguarda maggiori doti di sopravvivenza:<br />
poiché le minacce più prevedibili si<br />
sintetizzano nei missili antinave che<br />
generalmente colpiscono le sovrastrutture<br />
o la parte alta delle murate, sistemare<br />
gli spazi vitali di una nave da guerra<br />
nelle zone basse dello scafo accresce la<br />
sopravvivenza, ma richiede un maggior<br />
volume immerso e da qui il ricorso alla<br />
soluzione tumblehome.<br />
Nel disegno convenzionale, l’inclinazione<br />
della prora in avanti e la stellatura<br />
della zona a estrema prora sono stati<br />
introdotti per generare la portanza<br />
necessaria a sollevare tutta questa zona in caso di beccheggio e a limitare per quanto<br />
possibile l’acqua in <strong>cop</strong>erta, senza tuttavia evitare lo stesso fenomeno sulla<br />
superficie radar equivalente discusso in precedenza. Nella prora wave piercing, il<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
31<br />
Una fase della costruzione (sotto la neve)<br />
di un cacciatorpediniere statunitense classe<br />
«Burke» (Bath Iron Works).
32 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
L’unità polivalente danese ESBEN SNARE. I progettisti danesi hanno sfruttato i medesimi concetti<br />
progettuali per la realizzazione delle unità polivalenti classe «Absalon» e delle future fregate classe<br />
«Peder Skram» (Archivio Autore).<br />
beccheggio provoca una diminuzione della spinta nella zona prodiera e lo scafo nel<br />
suo complesso fende l’onda anziché cavalcarla, con sollecitazioni complessivamente<br />
minori sulle strutture, sui sistemi e sull’equipaggio e con una riduzione della resistenza<br />
generata dall’avanzamento. Il disegno concettuale dello «Zumwalt» venne a<br />
suo tempo approvato sulla base di un’analisi riguardante il ruolo di un’unità maggiore<br />
d’altura pesantemente armata e operante in uno scenario «coreano»: uno degli<br />
elementi determinanti era relativo al numero dei bersagli da neutralizzare sul territorio<br />
avversario e la conclusione fu che una piattaforma equipaggiata con un determinato<br />
sistema d’arma avrebbe avuto un ruolo decisivo in quest’opera di neutralizzazione.<br />
Un altro aspetto chiave era legato alla stealthness dell’unità operante a una<br />
ragionevole distanza dalla costa avversaria, ricercando in sostanza prestazioni<br />
«anti-s<strong>cop</strong>erta radar» tali da eludere la sorveglianza di sensori a lunghezza d’onda<br />
centimetrica come quelli in dotazione ad alcuni pattugliatori marittimi, e ciò perché<br />
le azioni di fuoco avrebbero dovuto comunque svolgersi ben al di là dell’orizzonte<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Costruzione «multipla» di cacciatorpediniere classe «Burke», le prima grandi unità di superficie<br />
in cui si è fatto uso di materiali compositi per elementi importanti della struttura (Bath Iron Works).<br />
radar dei sensori costieri. Di conseguenza, le capacità stealthness dipendevano da<br />
una configurazione dell’insieme scafo-sovrastrutture sufficientemente precisa da<br />
eludere appunto i radar centimetrici: i problemi da risolvere si concentravano sulla<br />
riduzione dell’aspetto radar della piattaforma in condizioni anche severe di mare e<br />
alla fine i requisiti di stealth e sopravvivenza diventarono vincoli progettuali che<br />
hanno imposto, da un lato, la configurazione wave piercing & tumblehome e, dall’altro,<br />
la concentrazione dei sensori e delle sovrastrutture in un unico blocco, il<br />
tutto senza dover esagerare troppo le dimensioni della piattaforma. Un’altra soluzione<br />
innovativa in tal senso ha poi riguardato la disposizione dei lanciatori verticali<br />
lungo le murate, mentre si sono dovuti riservare ampi volumi della zona prodiera<br />
per le due torri da 155 mm e i relativi depositi munizioni, nonché le indispensabili<br />
sistemazioni elicotteristiche nella consueta zona prodiera. Alla fine, il risultato dell’esercizio<br />
progettuale è un’unità lunga 185 m, larga 24 m e con un dislocamento a<br />
p.c. di poco superiore alle 14.000 t.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
33
34 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Nel caso delle LCS, il requisito vincolante per i progettisti è stata un’elevata<br />
velocità continuativa — oltre 40 n e per 1.500 mg —, raggiungibile grazie anche<br />
alla disponibilità di un sistema propulsivo con un’elevata densità di potenza.<br />
Essendo concepita come piattaforma vettrice di moduli intercambiabili basati anche<br />
su assetti UXV, le LCS hanno bisogno di grandi volumi interni, un aspetto peraltro<br />
favorito dalla disponibilità di turbine a gas potenti e poco ingombranti che, assieme<br />
ai motori diesel, azionano idrogetti necessari per accedere a zone costiere e litoranee<br />
caratterizzate da fondali relativamente bassi. Il ricorso alla carena semiplanante<br />
per uno dei due prototipi permette di ottenere una larghezza massima superiore a<br />
quella ottenibile con un monoscafo tradizionale, esigenza questa a sua volta dettata<br />
dal volume richiesto dalla missioni bay e vantaggiosa in termini di stabilità: questa<br />
dote può essere particolarmente importante per la presenza del portellone poppiero<br />
e del piccolo bacino allagabile, facilmente soggetto agli effetti negativi degli specchi<br />
liquidi. L’associazione fra la carena semiplanante e un sistema propulsivo formato<br />
da due turbine a gas da 49 MW di potenza totale e due motori diesel per 8,7<br />
MW permette, a una piattaforma di circa 2.600 t di dislocamento e lunga 127 m, di<br />
sviluppare una velocità massima (45 n) che, nel caso di carenza convenzionale di<br />
lunghezza adeguata di pari dislocamento, avrebbe richiesto una potenza di circa 92<br />
MW.<br />
Il secondo prototipo della LCS ha invece uno scafo a trimarano lungo 115 m,<br />
proposto in accordo al concetto che, come in uno scafo convenzionale, la forma di<br />
carena che offre la minore resistenza è relativamente snella (11): ma essendo una<br />
siffatta configurazione svantaggiata in termini di stabilità, l’aggiunta di scafi laterali<br />
contribuisce a risolvere il problema. Un attento posizionamento degli scafi laterali<br />
consente inoltre di diminuire la resistenza d’onda dello scafo centrale, riducendo<br />
quindi i requisiti di potenza per una data velocità. Tuttavia, la snellezza dello scafo<br />
centrale ne diminuisce i volumi interni, ma quelli disponibili sui ponti superiori grazie<br />
alla considerevole larghezza massima ottenuta (30,4 m contro i 13 del primo<br />
prototipo) collegando lo scafo centrale con quelli laterali compensa parzialmente lo<br />
svantaggio. La soluzione trimarano si è dimostrata attraente sia per l’elevata velocità<br />
sia per l’elevata superficie ricavabile per il ponte di volo per una piattaforma di<br />
dislocamento relativamente limitato (2.675 t) e anche in questo caso il sistema propulsivo,<br />
simile al precedente, è caratterizzato da un’elevata densità di potenza: nei<br />
volumi della zona poppiera sono ricavati gli spazi chiusi e protetti per i moduli funzionali,<br />
mentre lo spazio a poppa fra gli scafi laterali rappresenta una zona relativamente<br />
poco turbolenta per il lancio e il recupero degli UXV e di altri mezzi pilotati.<br />
Le tre forme di scafo descritte sono tutte relative a progetti statunitensi e potrebbero<br />
— almeno quelle adottate per i prototipi LCS — tendenzialmente ispirare altre<br />
Marine. Al giorno d’oggi, la maggior parte dei nuovi progetti di unità maggiori<br />
combattenti presenta caratteristiche di stealthness ma scafi convenzionali e senza<br />
alcuna delle soluzioni introdotte sul progetto «Zumwalt», e nessuna <strong>Marina</strong> sta sperimentando<br />
scafi molto veloci come quelli delle LCS. Se la velocità sarà un requisito<br />
primario e vincolante, forme di scafo con un minimo di sostentamento dinamico<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un particolare del concetto UVX. Il materiale predominante per la costruzione delle unità maggiori<br />
combattenti rimane l’acciaio, la cui scelta dipende dal tipo di piattaforma, dal suo profilo operativo<br />
e dall’assenza di vincoli nell’approvvigionamento (Foto Autore).<br />
potrebbero rappresentare una soluzione in cui però è necessario trovare un compromesso<br />
con le esigenze di peso/dislocamento derivabili dal requisito per i volumi<br />
interni e dalla flessibilità progettuale necessaria per gestire gli aumenti di dislocamento<br />
legati ai margini di crescita. In ogni caso, la difficoltà del compromesso da<br />
raggiungere risiede nel determinare se ciò che vincola il progetto — velocità,<br />
stealthness e/o tenuta al mare — vale i sacrifici che comporta, non tanto di natura<br />
ingegneristica quanto in termini di operatività.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
35
36 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Nuovi materiali<br />
Qualunque siano gli elementi che guidano la scelta dei materiali per la costruzione<br />
delle navi da guerra, è necessario verificarne soprattutto costi di acquisizione e<br />
facilità produttiva e manutentiva, e analizzare quindi i costi di gestione lungo il<br />
ciclo di vita dell’unità in modo da evidenziare i benefici legati alla scelta di un<br />
materiale piuttosto che di un altro.<br />
Il materiale predominante per la costruzione delle unità maggiori combattenti<br />
rimane l’acciaio, la cui scelta dipende dal tipo di piattaforma, dal suo profilo operativo<br />
e dall’assenza di vincoli nell’approvvigionamento. Nella maggior parte dei<br />
casi, l’uso di acciai a elevata resistenza alla pressione (circa 355 MPa (12)) è diventato<br />
consuetudine perché esso ha sostanzialmente gli stessi costi del meno pregiato<br />
acciaio dolce e non presenta problemi di saldabilità. Alcune soluzioni — fra le quali<br />
le unità tipo LCS — fanno uso di acciai ancora più resistenti (da 460 a 520 MPa),<br />
normalmente usati per alcune applicazioni particolari quali il ponte di volo e qualche<br />
ponte sottostante perché il loro impiego permette risparmi in peso grazie alla<br />
natura essenzialmente statica dei carichi a cui sono sottoposti; viceversa, in presenza<br />
di carichi dinamici — e quindi di strutture soggette a sollecitazioni cicliche — si<br />
fa ricorso ad acciai amagnetici e austenitici a elevata durezza. L’uso di questi tipi di<br />
acciai dalle caratteristiche estreme presenta problemi di saldabilità che richiedono<br />
tecniche particolari — quali il laser — e quindi più costose, per evitare l’insorgere<br />
di distorsioni nelle giunzioni che possono avere effetti indesiderati sulla superficie<br />
radar equivalente.<br />
L’impiego dell’alluminio merita un’attenzione particolare perché fino agli anni<br />
Ottanta le sue leghe sono state largamente utilizzate per le sovrastrutture delle unità<br />
maggiori, ottenendo un considerevole risparmio di peso e anche tenendo conto delle<br />
esigenze di isolamento per la protezione contro l’incendio. Gli eventi occorsi alle<br />
Falklands hanno imposto una pesante riflessione e negli ultimi anni l’impiego dell’alluminio<br />
è stato sostanzialmente limitato ai mezzi veloci, alle tughe superiori,<br />
agli alberi e ai fumaioli. Oltre ai rischi da incendio, altri svantaggi nell’uso delle<br />
leghe d’alluminio riguardano la criticità nella fabbricazione, la difficoltà nella<br />
manutenzione e riparazione, la ridotta resistenza al blast e la scarsa rigidezza, spesso<br />
necessaria per i basamenti di alcuni apparati del sistema di combattimento.<br />
Nel frattempo, si è consolidata una decisa tendenza all’impiego dei materiali<br />
compositi sotto forma di fibra di vetro o di carbonio e secondo strutture semplici o<br />
multistrato: anche in questo caso, il risparmio di peso è considerevole e l’applicazione<br />
maggiormente diffusa ha riguardato gli scafi delle unità di contromisure mine<br />
e di alcune categorie di naviglio leggero, con altri vantaggi sostanzialmente legati a<br />
una riduzione della segnatura complessiva della piattaforma. Nel caso delle unità<br />
maggiori combattenti, l’applicazione certamente più diffusa riguarda gli alberi integrati,<br />
la cui struttura è formata da materiali compositi trasparenti soltanto alle frequenze<br />
impiegate da sensori e antenne racchiusi al suo interno: un’applicazione<br />
rilevante in tal senso è legata al progetto delle unità statunitensi classe «Zumwalt»,<br />
dove è stata scelta la soluzione di integrare tutti i sensori elettronici all’interno di<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
una massiccia sovrastruttura centrale in materiali compositi e che si raccorda con<br />
l’hangar a poppavia di essa. Il principale problema da risolvere nell’impiego dei<br />
materiali compositi sulle unità maggiori rimane tuttavia legato alla loro giunzione<br />
con le strutture in acciaio dello scafo, eseguibile mediante imbullonatura o incollaggio:<br />
il principale svantaggio della prima soluzione risiede negli elevati costi di realizzazione<br />
e manutenzione, mentre l’uso di adesivi speciali, il cui comportamento<br />
sotto stress ha richiesto un lungo approfondimento sperimentale, è stato prescelto<br />
per le fregate classe «La Fayette» e successivamente diffuso su altre classi di unità<br />
maggiori (13).<br />
In linea generale, le tendenze principali sull’impiego dei materiali per la costruzione<br />
delle unità maggiori di superficie consolidano la prevalenza dell’acciaio per<br />
la realizzazione dello scafo, grazie alle sue caratteristiche di resistenza strutturale,<br />
alla corrosione, alla vegetazione marina (grazie all’impiego di pitture sempre<br />
migliori) e al fuoco, saldabilità, peso e di economicità complessiva, mentre le doti<br />
dei materiali compositi ne diffondono progressivamente l’applicazione per ampie<br />
porzioni delle sovrastrutture e delle alberature.<br />
NOTE<br />
(1) Un altro motivo forse meno palese è il concatenamento fra scarse risorse e aumento dei costi produttivi<br />
e di gestione dei sistemi militari, con il risultato di una contrazione generalizzata della consistenza<br />
delle flotte.<br />
(2) Si tratta spesso di modificare tipo e quantità di velivoli e altri assetti a bordo, oppure di imbarcare<br />
mezzi, materiali e personale specializzato nella condotta di missioni particolari.<br />
(3) La Blohm & Voss è oggi parte di una grande corporate navale tedesca — Thyssen Krupp Marine<br />
Systems, TKMS — che raggruppa esperienze e capacità nel settore del naviglio di superficie e subacqueo.<br />
(4) Studi comparativi eseguiti da Blohm & Voss hanno portato alla conclusione che un’unità realizzata<br />
secondo il concetto MEKO richiede un 2% di volume interno più nei confronti di un’unità con disegno<br />
convenzionale avente la stessa dotazione di sistemi d’arma ed elettronici e ha un dislocamento superiore<br />
dell’1%-2%.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
37
38 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
(5) Le unità navali finora realizzate o in corso di costruzione con il concetto MEKO sono circa 60 (per lo<br />
più fregate con un valore medio di dislocamento a pieno carico di circa 3.500 t), distribuite in 10 Marine<br />
dei cinque continenti.<br />
(6) Nonostante i problemi incontrati dai due prototipi di piattaforma vettrice, il primo pacchetto di missione<br />
— relative alle operazioni di contromisure mine (Mine Warfare/MIW — per le LCS è stato approntato<br />
a Settembre 2007, mentre quelli per la lotta antisommergibile (ASW) e il contrasto antinave (ASuW)<br />
si sono resi disponibili nel corso del 2008. Si tratta comunque di pacchetti di missione provvisori, perché<br />
quelli completi con i vari sistemi dovrebbero essere pronti soltanto a metà del 2011.<br />
(7) Un’altra caratteristica dettata dalla semplificazione costruttiva richiesta per le nuove unità riguarda la<br />
riutilizzazione di alcuni dei moduli, opportunamente aggiornati, acquisiti in origine per le unità<br />
«Standard Flex».<br />
(8) A ulteriore conferma delle capacità combattenti delle unità FS, l’Absalon è utilizzata come nave<br />
comando della task force navale internazionale operante al largo del Corno d’Africa nel quadro dell’operazione<br />
Enduring Freedom.<br />
(9) La carena tradizionale o a dislocamento è caratterizzata da forme più tondeggianti rispetto ad altre<br />
soluzioni, garantisce maggiore stabilità e la velocità di avanzamento è una funzione della sua lunghezza.<br />
La carena semiplanante ha forme che gli permettono di sollevarsi parzialmente dall’acqua, riducendo la<br />
parte immersa e garantendo quindi una maggior velocità. Uno scafo con carena tumblehome ha una larghezza<br />
al galleggiamento maggiore della larghezza al ponte di <strong>cop</strong>erta e presenta quindi le murate inclinate<br />
verso l’interno, mentre il termine wave piercing si riferisce al dritto di prora inclinato verso poppavia<br />
e quindi in grado di fendere le onde.<br />
(10) Traducibile come furtività.<br />
(11) Con un elevato rapporto lunghezza/larghezza.<br />
(12) Unità di misura della pressione specifica che in questo caso indica il valore massimo che può sopportare<br />
il material prima di deformarsi in modo permanente, senza cioè ritornare alle condizioni geometriche<br />
che aveva prima dell’applicazione della pressione stessa.<br />
(13) Esempi importanti dell’applicazione di materiali compositi sono le tughe superiori e l’hangar sui<br />
circa 60 cacciatorpediniere classe «Arleigh Burke» dell’US Navy.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 3<br />
EVOLUZIONE E TENDENZE DELLA PROPULSIONE NAVALE MILITARE<br />
Nonostante i notevoli progressi nella tecnologia dei sensori e dei sistemi d’arma e il<br />
loro conseguente accresciuto peso sulle capacità complessive della nave da guerra,<br />
la propulsione/generazione di energia rimane indubbiamente la componente più<br />
importante a bordo di una qualsiasi unità navale militare, di superficie o subacquea:<br />
Eliche di un cacciatorpediniere in bacino. I requisiti per un sistema di propulsione destinato a un’unità<br />
maggiore di superficie sono diventati comuni a numerose Marine (Bath Iron Works).<br />
39
40 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
senza una fonte di energia<br />
che muove lo scafo, produce<br />
e distribuisce energia elettrica,<br />
il «sistema nave» non é<br />
infatti in grado né di avanzare<br />
né di far funzionare il proprio<br />
carico utile (sinteticamente<br />
rappresentato da armi,<br />
aeromobili e sensori) e neanche<br />
di far sopravvivere il<br />
proprio equipaggio. In<br />
breve, il «sistema nave» non<br />
ha alcun valore. La soluzione<br />
del problema che si pone<br />
ai progettisti del moderno<br />
naviglio militare si sintetizza<br />
in pratica nella scelta del più<br />
idoneo sistema di propulsione<br />
e di quelli ausiliari e<br />
nella loro installazione e<br />
integrazione a bordo, assicurando<br />
in maniera affidabile,<br />
economica, semplice e<br />
sicura l’operatività del «sistema nave»; sono proprio queste le aree di studio dove<br />
sono prevedibili progressi e sviluppi di un certo rilievo, un fenomeno che si evolverà<br />
però — come già accaduto in passato — in maniera concettualmente graduale e non<br />
rivoluzionaria. Nel corso degli ultimi trent’anni o più, il settore della propulsione<br />
navale è stato infatti attraversato da tutta una serie di innovazioni che hanno radicalmente<br />
e progressivamente mutato la situazione così come essa si presentava sin dagli<br />
anni immediatamente successivi alla conclusione della seconda guerra mondiale.<br />
Alcune di queste innovazioni hanno riguardato il campo propriamente tecnico —<br />
<strong>introduzione</strong> dell’energia nucleare, sviluppo delle turbine a gas, marcato miglioramento<br />
delle prestazioni dei motori diesel e conseguente limitazione applicativa della<br />
propulsione a vapore — mentre altre sono state provocate dall’importanza relativa<br />
attribuita alla propulsione (e più in generale alle caratteristiche dinamiche di una nave<br />
da guerra) nei confronti di altri importanti elementi di progetto quali l’armamento, i<br />
sensori elettronici, le sistemazioni per l’equipaggio, ecc..<br />
Una breve carrellata storica<br />
Un motore diesel per la propulsione navale militare. Grazie<br />
ai progressi continui, il motore diesel si è dimostrato capace<br />
di assicurare una notevole parte dei requisiti di propulsione navale<br />
(MTU).<br />
Prendendo questo tipo di riferimento contestuale, si può dire che i sistemi di propulsione<br />
navale militare hanno conosciuto fasi temporali evolutive spesso sovrapposte,<br />
con la frequente convivenza di soluzioni e configurazioni «combinate» ben precedenti<br />
a quelle attuali (1) e che è utile esaminare brevemente.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Una galea veneziana del<br />
XVI secolo, equipaggiata con<br />
10 cannoni, 200 rematori e<br />
un’attrezzatura velica è un<br />
primo esempio di configurazione<br />
combinata successivamente<br />
evolutasi nella convivenza fra<br />
propulsione a vapore ed eolica<br />
su diversi vascelli in linea a<br />
metà circa del XIX secolo. Una<br />
fase successiva si ebbe quando<br />
la turbina a vapore ideata da<br />
Charles Parson (2) iniziò a soppiantare<br />
nei primi anni del XX<br />
secolo gli apparati alternativi a<br />
vapore, attraverso un processo<br />
di diffusione durato praticamente<br />
fino alla seconda guerra<br />
mondiale. Più o meno alla<br />
medesima era temporale appartengono<br />
le prime soluzioni<br />
basate sullo sfruttamento dell’energia<br />
elettrica su unità mili-<br />
tari, quando la US Navy fece entrare in linea (1912) la nave da rifornimento Jupiter,<br />
attrezzata con un sistema turboelettrico (turbogeneratori e motori elettrici di propulsione):<br />
il concetto ebbe successo e l’unità venne trasformata poco dopo la prima guerra<br />
mondiale nella portaerei Langley. L’evoluzione successiva si sarebbe dovuta materializzare<br />
con il progetto New Mexico per un’unità turboelettrica da 32.000 t, ma la<br />
potenziale pericolosità del sistema propulsivo per gli operatori indusse al ritorno a una<br />
soluzione convenzionale. L’inversione di questa tendenza si manifestò nel 1925 con la<br />
realizzazione delle due portaerei da 40.000 t Lexington e Saratoga, entrambe propulse<br />
da un sistema turboelettrico e protagoniste della seconda guerra mondiale.<br />
A quell’epoca risalgono le sperimentazioni con i motori diesel, ricercate soprattutto<br />
per aumentare l’autonomia delle piattaforme, adottate con successo già con le corazzate<br />
tascabili tedesche della classe «Deutschland», ma non sufficientemente diffuse nel<br />
periodo bellico se non su unità di ridotte dimensioni: (oltre che sui sommergibili)<br />
diversi studi per sistemi propulsivi destinati a unità di grandi dimensioni prevedevano<br />
la combinazione fra motori diesel per la propulsione degli assi esterni e di turbine a<br />
vapore tradizionali per l’asse centrale su incrociatori da battaglia in grado di raggiungere<br />
una velocità massima di 33 n e caratterizzati da elevata autonomia. A causa del<br />
monopolio tedesco in materia di motori diesel, la US Navy durante la guerra ripiegò<br />
sulla configurazione turboelettrica per la realizzazione di alcune fregate da 1.400 t in<br />
grado di spingersi a 28 n con un apparato da circa 12.000 HP.<br />
Le sperimentazioni con i primi modelli di turbina a gas partirono nel 1947, con un<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Una turbina a gas Rolls Royce «MT 30». Le turbine a gas sono<br />
certamente considerate come l’innovazione più importante<br />
verificatasi nel campo della propulsione navale militare<br />
nella seconda metà del XX secolo (Rolls Royce).<br />
41
42 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il dimostratore tecnologico AESD è sostanzialmente una riproduzione in scala dei futuri cacciatorpediniere<br />
classe «Zumwalt» ed è stato realizzato per la condotta di test relativi alla propulsione (US Navy).<br />
impianto da 2.500 HP collegato all’asse centrale delle motocannoniere britanniche<br />
tipo «MGB 2009», a cui seguirono i primi test su turbine derivati da propulsori aeronautici<br />
marinizzati di matrice Rolls Royce. Queste attività si protrassero con successo<br />
fino agli anni Sessanta, quando la Royal Navy poté vantare l’ingresso in linea della<br />
prima fregata propulsa interamente da turbine a gas, l’Exmouth, equipaggiata con un<br />
impianto COGOG formato da due Proteus per la navigazione di crociera da 3.500 HP<br />
ciascuno e una Olympus da 15.000 HP che permetteva una velocità massima di circa<br />
33 n. Le innovazioni propulsive furono applicate anche nell’ex-Unione Sovietica,<br />
dove a partire dal 1963 entrarono in linea dapprima i 23 cacciatorpediniere classe<br />
«Kashin» da 4.500 t (impianto COGAG da 96.000 HP, su due assi) e poi i 7 incrociatori<br />
classe «Kara» da 9.700 t (anch’essi equipaggiato con un impianto COGAG da<br />
120.000 HP su due assi). La US Navy entrò nel campo dei sistemi propulsivi navali<br />
combinati «soltanto» negli anni Settanta, grazie alla produzione dei 31 cacciatorpediniere<br />
classe «Spruance» da 9.250 t dotati di un impianto COGAG formato dalle successivamente<br />
diffusissime LM 2500 da 20.000 HP di potenza unitaria e in grado di<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
sviluppare una velocità massima di 32,5 n. Dall’esame dei principali sistemi «combinati»<br />
è interessante anche notare come gli interessi e le capacità produttive e manutentive<br />
nazionali sembrano aver influenzato il percorso di sviluppo concettuale e tecnologico.<br />
Gli Stati Uniti, con il loro considerevole bagaglio di conoscenze aeronautiche,<br />
hanno prodotto turbine a gas per impiego navale totalmente derivate da propulsori<br />
aeronautici e spinte ai limiti massimi dei requisiti di potenza (3). Più comprensibilmente,<br />
la Germania si è concentrata sullo sviluppo di motori diesel sempre più potenti,<br />
compatti ed efficienti, impiegandoli in tutte le combinazioni richieste per le unità di<br />
nuova generazione, mentre la Francia — non essendo presente nel settore delle turbine<br />
a gas per impiego navale ma con buone capacità produttive in quello dei motori<br />
diesel — tende a favorire questi ultimi. Infine il Regno Unito, sede delle prime esperienze<br />
pionieristiche sulle turbine a gas, le utilizza pienamente e continua a studiare<br />
nuove soluzioni per migliorarne l’efficienza e per integrarle nell’ambito delle configurazioni<br />
«elettriche» (4).<br />
L’evoluzione dei requisiti e delle tendenze<br />
Nell’evoluzione dei requisiti per i sistemi propulsivi navali militari, due sono state<br />
le tendenze prevalenti. Mentre in un passato ancora recente il fattore preponderante<br />
nella progettazione del sistema propulsivo era la potenza sviluppabile — strettamente<br />
derivante dalla velocità massima da raggiungere — al giorno d’oggi l’attenzione si è<br />
piuttosto spostata verso aspetti parimenti importanti quali l’affidabilità, il basso consumo<br />
specifico e la facilità di manutenzione. La conseguenza fondamentale è stata<br />
quindi una convergenza generalizzata verso il basso della velocità massima in relazione<br />
alle varie categorie di unità combattenti di superficie: sino ai primi anni Cinquanta,<br />
un incrociatore doveva raggiungere 35 n, a un cacciatorpediniere erano spesso richiesti<br />
anche 40 n e per un’unità di scorta ci si poteva accontentare di 25 n. Negli anni<br />
Settanta-Ottanta, la stragrande maggioranza delle navi da guerra poteva raggiungere<br />
una velocità massima compresa fra i 30 e 35 n, mentre al giorno d’oggi il valore massimo<br />
richiesto supera raramente i 30 n e alcune Marine si accontentano anche di qualche<br />
nodo in meno a favore di altri requisiti.<br />
Un secondo aspetto importante riguarda la standardizzazione dei sistemi propulsivi.<br />
Ancora in un recente passato, ogni importante classe di unità militari era equipaggiata<br />
con un apparato motore a vapore specificamente progettato per quella classe, in modo<br />
da integrare armonicamente le caratteristiche dello scafo e le prestazioni richieste in<br />
termini di velocità e autonomia. La crescente diffusione di turbine a gas e motori diesel<br />
in varie combinazioni ha apparentemente obbligato i progettisti a rendere i loro<br />
disegni compatibili con apparati motori già esistente, ma l’inerente svantaggio della<br />
perdita di una certa libertà progettuale è compensato dall’importante vantaggio della<br />
standardizzazione dei vari componenti il sistema propulsivo (peraltro disponibili e<br />
associabili in varie «taglie» di potenza in funzione dei requisiti) su una stessa classe di<br />
unità o addirittura su più classi di un’intera flotta (5), con intuibili benefici sotto il<br />
profilo logistico e delle esigenze addestrative e manutentive. Peraltro, la libertà progettuale<br />
a cui si è dovuto rinunciare con gli apparati a vapore — obbligatori in passato<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
43
44 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il riduttore rimane<br />
un componente<br />
essenziale<br />
della catena<br />
propulsiva<br />
tradizionale perché<br />
ne rappresenta<br />
il vero e proprio<br />
«integratore»,<br />
che raggruppa<br />
nella sua struttura<br />
tutti<br />
gli equipaggiamenti<br />
ausiliari necessari<br />
al suo<br />
funzionamento<br />
(RENK).<br />
A destra:<br />
Immagine<br />
al computer del<br />
sistema propulsivo<br />
CODLAG adottato<br />
per le fregate<br />
italo-francesi<br />
del programma<br />
FREMM (DCNS).<br />
per un’unità maggiore che doveva raggiungere velocità elevate — è stata guadagnata<br />
con le diverse combinazioni fra motori e diesel e turbine a gas adottabili per una<br />
gamma dimensionale che parte dalle 3.000 t tipiche di alcune moderne fregate leggere<br />
alle oltre 9.000 t di dislocamento che caratterizzano le ultime versioni dei tipi «A.<br />
Burke» statunitensi.<br />
In termini generali, i requisiti per un sistema di propulsione destinato a un’unità<br />
maggiore di superficie sono diventati comuni a numerose Marine e hanno a loro volta<br />
generato una serie di tendenze nell’ambito del progetto navale militare che a loro<br />
volta forniscono alle industrie del settore indicazioni essenziali per le loro proposte.<br />
Requisiti e tendenze possono essere schematizzati come segue:<br />
— elevata potenza specifica, in modo da ottenere potenze complessive ragionevolmente<br />
elevate pur riservando ai componenti del sistema una percentuali di pesi e<br />
volumi piuttosto ridotta e privilegiare così altre esigenze altrettanto importanti quali<br />
armi, sensori e sistemazioni per l’equipaggio;<br />
— pronta risposta alle richieste di variazione repentine nella potenza erogata, e<br />
soprattutto drastica riduzione dei tempi di approntamento e disapprontamento del<br />
sistema propulsivo;<br />
— basso consumo specifico, col duplice obiettivo di ridurre il consumo assoluto (specialmente<br />
con i noti rincari nel prezzo del petrolio) e di consentire autonomie elevate<br />
pur con una dotazione di combustibile non eccezionale;<br />
— elevata affidabilità, sia in termini di valori elevati di tempo medio fra manutenzio-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
ne e fra avarie, sia per quanto riguarda facilità di manutenzione e riparazione, attraverso<br />
una semplificazione della tecnologia che permetta di tempi e costi dell’addestramento;<br />
— minimizzazione delle ore/uomo destinate alla manutenzione, in modo da contribuire<br />
alla riduzione degli equipaggi, a causa dei costi crescenti per il personale e dei problemi<br />
nel reclutare elementi professionalmente validi per la successiva formazione<br />
specialistica e condotta di sistemi spesso complessi;<br />
— soluzioni addestrative incorporate nella fornitura di sistemi per la gestione della<br />
piattaforma e che si concretizzano con funzioni di simulazione a cui si può accedere<br />
con unità sia in banchina sia in navigazione, qualora le condizioni lo permettano;<br />
— monitorizzazione delle condizioni del sistema al fine di facilitarne gli aspetti logistici<br />
(manutenzione e approvvigionamento di materiali) e rendere più efficace la pianificazione<br />
delle relative attività tecniche;<br />
— gestione e amministrazione remota del sistema, in modo che alcune funzioni puramente<br />
amministrative possano essere condotte a distanza con l’ausilio di moderni<br />
sistemi di comunicazioni e contribuire così a un’ulteriore riduzione del personale.<br />
I motori diesel<br />
Ancora negli anni Settanta, il motore diesel era in genere giudicato come un propulsore<br />
altamente affidabile e caratterizzato da consumi specifici molto buoni, ma allo<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
45
46 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
I vari componenti della configurazione propulsiva CODAG e CODLAG (Archivio Autore).<br />
stesso tempo fisicamente inadatto ad azionare la maggior parte del naviglio combattente<br />
di prima linea a causa del suo insoddisfacente rapporto peso/potenza. In tempi<br />
successivi, sviluppi tecnologici quali la sovralimentazione con turbocompressore alimentato<br />
dai gas di scarico e in più stadi, il raffreddamento dell’aria comburente, il<br />
largo uso di leghe leggere per alcuni componenti e una nuova geometria delle valvole<br />
hanno tuttavia portato allo sviluppo di motori diesel a media e alta velocità con caratteristiche<br />
interessanti e competitive. Un buon diesel per impiego navale militare vanta<br />
un rapporto peso/potenza dell’ordine di 2,3/2,5 kg/HP: poiché queste caratteristiche<br />
sono state ottenute senza andare a scapito dell’affidabilità e della facilità di manutenzione,<br />
peraltro progressivamente migliorate, senza un drammatico aumento dei costi e<br />
con consumi specifici contenuti, è facile comprendere come il motore diesel si sia<br />
dimostrato capace di assicurare una notevole parte dei requisiti di propulsione navale,<br />
al punto che tutti gli attuali principali progetti di nuove unità maggiori combattenti —<br />
almeno in Europa — adottano soluzioni combinate con le turbine a gas o addirittura<br />
tuttodiesel per soluzioni dalle prestazioni meno impegnative. Infatti e poiché le<br />
moderne soluzioni diesel sono perfettamente in grado di assicurare una velocità massima<br />
apprezzabile anche per unità combattenti non eccessivamente grandi, non vi è<br />
alcuna ragione di adottare turbine a gas e di sobbarcarsi i relativi costi d’installazione<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
e gestione. Una delle tendenze più interessanti emerse già negli anni Ottanta è quella<br />
che ha visto i diesel competere con le turbine a gas anche per unità di dislocamento<br />
superiore alle tradizionali corvette e fregate leggere: naturalmente, a parità di scafo e<br />
dislocamento, un’unità azionata da turbine a gas sarà sempre più veloce di una propulsa<br />
dai diesel, ma le varie industrie hanno approntato progetti con soluzioni propulsive<br />
alternative in cui la differenza non è poi così elevata come ci si potrebbe immaginare,<br />
aggirandosi su circa 2-3 nodi (6).<br />
Le turbine a gas<br />
Analizzando l’ampia diffusione presso numerose Marine del mondo, le turbine a<br />
gas sono certamente considerate come l’innovazione più importante verificatasi nella<br />
seconda metà del XX secolo in materia di propulsione navale militare, e per riflesso<br />
anche nel progetto navale militare. Se questo tipo di propulsore non fosse stato disponibile,<br />
molte delle classi di incrociatori, cacciatorpediniere e fregate oggi in servizio o<br />
in costruzione avrebbero dovuto accettare, a parità di velocità, sostanziali limitazioni<br />
nel carico utile e nelle sistemazioni interne. La ragione principale della diffusione<br />
delle turbine a gas in ambito navale risiede nella capacità di fornire potenze molto<br />
elevate in rapporto ai pesi e alle dimensioni: il rapporto potenza/peso offerto dalle turbine<br />
a gas — mediamente intorno a 1 KW/Kg e definibile anche potenza specifica —<br />
è infatti di gran lunga il più elevato tra tutti i tipi di propulsori navali, una caratteristica<br />
di importanza vitale in una tendenza ormai consolidata a ridurre il più possibile lo<br />
spazio riservato al sistema propulsivo a favore di sensori, sistemi d’arma e sistemazioni<br />
per l’equipaggio.<br />
A questo vantaggio prioritario se ne aggiungono altri quali la capacità delle turbine<br />
a gas di rispondere immediatamente a richieste di brusche variazioni di potenza erogata,<br />
la disponibilità di partenze «a freddo» con preavviso minimo e la drastica riduzione<br />
del tempo necessario all’esecuzione di manutenzioni e riparazioni, una caratteristica<br />
quest’ultima favorita dal concetto della riparazione per mezzo della sostituzione<br />
di elementi. Poiché le turbine a gas vengono prodotte e installate a bordo in moduli<br />
autosufficienti, esse inoltre si prestano bene all’applicazione del concetto dei locali<br />
non presidiati e controllati a distanza.<br />
Ai vantaggi si associano tuttavia alcuni svantaggi, di seguito elencati:<br />
— la unidirezionalità del moto, che richiede quindi un artificio meccanico all’interno<br />
del riduttore per consentire all’unità di procedere a marcia indietro qualora non siano<br />
presenti altre soluzioni come le eliche a passo reversibile e i riduttori invertitori meccanici<br />
o oleodinamici (7) oppure combinazioni con motori diesel;<br />
— il rendimento ottimale si ottiene soltanto in un arco della potenza erogata che<br />
oscilla attorno all’80%; al di sotto di questa soglia, le prestazioni specifiche — il consumo<br />
specifico e la rapporto fra consumo e potenza erogata — peggiorano drasticamente,<br />
rendendo la turbina a gas intrinsecamente inadatta a spingere l’unità navale su<br />
tutta la gamma delle velocità richieste durante il suo ciclo d’impiego;<br />
— per rendere compatibile l’elevata velocità di rotazione delle turbine a gas con quel-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
47
48 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un riduttore per una configurazione CODAG: in questo caso l’incremento della velocità va gestito<br />
passando dapprima dalla modalità motore diesel a quella turbina a gas e poi dalla modalità turbina a gas<br />
più motore diesel perché la velocità di rotazione delle due macchine è molto diversa (RENK).<br />
la, molto più bassa, delle eliche sono necessari riduttori relativamente grandi e meccanicamente<br />
più complessi rispetto a soluzioni tuttodiesel, una configurazione questa<br />
che elimina parzialmente i vantaggi in termini di potenza specifica.<br />
Poiché gli studi sulla reversibilità non hanno portato a risultati pratici e l’adozione<br />
di riduttori invertitori sembra limitata alle unità di dimensioni più grandi rispetto a<br />
cacciatorpediniere e fregate, lo svantaggio più importante rimane probabilmente quella<br />
relativo al rendimento ottimale, un problema la cui parziale soluzione risiede nelle<br />
combinazioni COGAG e COGOG, ottimizzando macchine diverse per la navigazione<br />
e per gli spunti di velocità oppure distribuendo la potenza da sviluppare ai vari regimi<br />
su macchine uguali. La scelta dell’una o dell’altra configurazione — nonché la combinazione<br />
con i motori diesel — è basata su aspetti e valutazioni differenti da utente a<br />
utente, mentre sul piano industriale le tendenza in atto si concentrano ancora sulla<br />
ricerca di un’elevata potenza e sulla riduzione del consumo specifico. A differenza dei<br />
motori diesel dove le soluzioni sono relativamente numerose in funzione della variabilità<br />
permessa garantita dal numero dei cilindri, nel caso delle turbine a gas la competizione<br />
è limitata a due o tre modelli e vede sostanzialmente di fronte Rolls Royce e<br />
General Electric. General Electric ha sviluppato una famiglia di turbine a gas di derivazione<br />
aeronautica per garantire diverse esigenze, con macchine di ridotta potenza<br />
come le «LM 500» a quelle maggiormente prestanti come le «LM 2500». La versione<br />
base di queste ultime ha una potenza di 25 MW a 3.600 giri ed è stata di recente pre-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
scelta in alcune soluzioni europee (le unità classe «Orizzonte» per Italia e Francia) ed<br />
estremo-orientali: la variante successiva si è materializzata sotto forma della «LM<br />
2500+» da 30 MW, mentre quella più recente è denominata «LM 2500+G4» in cui la<br />
potenza è stata incrementata fino a 35,3 MW, prescelta ancora da Italia e Francia per<br />
le 27 unità pianificate nell’ambito del programma FREMM. La rivale Rolls Royce si<br />
è invece concentrata su due modelli di turbine a gas, anch’esse di derivazione aeronautica:<br />
il primo è la «MT-30», che sviluppa 36 MW di potenza massima a 3.300 giri<br />
— con la possibilità di arrivare fino a ben 44 MW — ed è stata prescelta dalla US<br />
Navy per il sistema CODOG destinato alle Littoral Combat Ship e per la configurazione<br />
elettrica adottata per le grandi unità tipo «Zumwalt». L’altra turbina di Rolls<br />
Royce è il modello «WR-21», appositamente concepito per abbattere il consumo specifico<br />
quando la macchina sviluppa la massima potenza (25 MW a 3.600 giri): la<br />
soluzione adottata consiste nel raffreddamento della massa d’aria che alimenta un<br />
componente essenziale della macchina quale il compressore e nel riscaldarla successivamente<br />
— sfruttando il calore allo scarico — prima che essa entri nella camera di<br />
combustione. In tal modo, il raffreddamento dei gas di scarico contribuisce anche ad<br />
abbattere la segnatura termica e acustica dell’unità: la «WR-21» è impiegata per la<br />
generazione dell’energia elettrica che a bordo delle nuove unità britanniche classe<br />
«Daring» alimenta anche i motori elettrici per la propulsione, ma la principale limitazione<br />
di questa macchina risiede nel maggior volume necessario per il raffreddamento<br />
dell’aria e per il recupero del calore allo scarico.<br />
Evidente quindi la necessità di analizzare tutti i parametri in gioco (potenza specifica,<br />
consumi e esigenze di segnatura) prima di giungere alla scelta della macchina più<br />
adatta al soddisfacimento contemporaneo di vari requisiti. L’impatto della scelta sul<br />
progetto riguarda infatti non soltanto pesi e ingombri delle macchine in relazione alla<br />
configurazione delle aree da destinare al sistema propulsivo, ma anche il loro posizionamento<br />
in relazione agli spazi necessari per le condotte di aspirazione dell’aria per le<br />
turbine a gas e per lo scarico dei relativi gas combusti, un aspetto molto importante<br />
perché legato alla configurazione delle sovrastrutture e al suo impatto in termini di<br />
stealthness sul profilo generale della nave stessa.<br />
Il riduttore e le combinazioni<br />
A titolo informativo, è importante spiegare brevemente che la funzione del riduttore<br />
a bordo di un’unità navale è la stessa di quella della scatola del cambio sulle automobili.<br />
In entrambi i casi, è necessario ridurre la velocità di funzionamento della macchina<br />
termica (sia essa turbina a vapore, motore diesel, turbina a gas o motore dell’automobile)<br />
per renderla compatibile con la necessariamente più ridotta — per motivi di<br />
efficienza pratica — velocità di funzionamento dell’elica nel caso della nave e delle<br />
ruote motrici nel caso dell’automobile.<br />
Un aspetto fermamente consolidato della propulsione navale militare sulle unità<br />
maggiori combattenti è la presenza di due assi, con altrettante eliche: soluzioni con tre<br />
o più assi sono state eliminate o limitate alle grandi portaerei di produzione statuni-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
49
50 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
L’immagine evidenzia la sistemazione dei due idrogetti che equipaggiano le corvette svedesi classe<br />
«Visby», in grado di raggiungere una velocità massima di 40 n (Archivio Autore).<br />
tense, mentre una variazione importante rimane associata all’uso di propulsori diversi<br />
dalle eliche. Anche se il settore dei sistemi propulsivi sta vivendo un momento di particolare<br />
evoluzione, il riduttore rimane un componente essenziale della catena propulsiva<br />
tradizionale — dove cioè esiste ancora un collegamento meccanico fra macchine<br />
ed eliche —perché ne rappresenta il vero e proprio «integratore», che raggruppa nella<br />
sua struttura tutti gli equipaggiamenti ausiliari necessari al suo funzionamento quali<br />
pompe dell’olio, pompe dell’acqua di refrigerazione, filtri, scambiatori di calore, meccanismi<br />
di blocco, valvole di regolazione e unità di controllo. Il riduttore è inoltre<br />
dotato di basamento con doppie sospensioni elastiche di collegamento con la struttura<br />
dello scafo che permettono di smorzare sia il rumore in aria generato dalla rotazione<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
degli ingranaggi interni sia il rumore irradiato in acqua attraverso lo scafo della nave.<br />
Mentre motori diesel e turbine a gas sembrano mantenere saldamente una posizione<br />
di prevalenza nella scelta del sistema propulsivo, le modalità e le proporzioni della<br />
loro combinazione e le modalità stesse di propulsione dello scafo continuano a evolversi.<br />
In ordine discendente di anzianità e diffusione si trovano le combinazioni<br />
CODOG, CODAG e CODLAG, andando verso un’evoluzione il cui punto di arrivo<br />
più prossimo sembra essere — come si vedrà più avanti — la propulsione «tutta elettrica»<br />
(8). Nelle configurazioni combinate di natura meccanica (CODOG e CODAG),<br />
la potenza sviluppata da uno o entrambe le macchine viene trasmessa agli assi delle<br />
eliche tramite un riduttore a connessione incrociata tale che ciascuna macchina — e in<br />
molti casi tutte quelle presenti a bordo — possano azionare entrambi gli assi. Questa<br />
soluzione garantisce la necessaria ridondanza, nonché la possibilità per ogni macchina<br />
di funzionare nella sua più efficace gamma di potenze. Quando la configurazione<br />
combinata implica l’uso di macchine elettriche (CODLAG), gli assi sono comunque<br />
azionati attraverso un riduttore perché il raggiungimento della velocità massima è<br />
legato all’associazione delle turbine a gas con i motori elettrici che assicurano la velocità<br />
di crociera (9). In ogni caso, è dunque evidente l’importante funzione del riduttore<br />
a causa delle enormi forze in gioco, soprattutto in termini di <strong>cop</strong>pia: esso rimane<br />
tuttavia un sistema intrinsecamente pesante, dimensionamente grande e costoso, da<br />
realizzare con materiali qualitativamente avanzati e da cui è necessario ottenere tolleranze<br />
di lavorazione molto stringenti.<br />
Il progetto dei moderni riduttori — sostanzialmente formati da ruote dentate e<br />
pignoni di vario numero e dimensioni in funzione del rapporto di riduzione da ottenere<br />
fra macchine e eliche — si è consolidato attorno al concetto della doppia dentatura<br />
elicoidale per eliminare le sollecitazioni assiali generate da un’unica dentatura elicoidale:<br />
ciò ha permesso anche la riduzione di pesi e volumi dei vari componenti, in origine<br />
elevati per compensare in qualche modo le predette sollecitazioni. Componenti<br />
essenziale del riduttore sono anche i giunti di ac<strong>cop</strong>piamento (oleodinamici o a frizione<br />
semplice o multipla), che permettono sia l’ac<strong>cop</strong>piamento vero e proprio con le<br />
macchine motrici sia il progressivo inserimento e disinserimento di esse nella catena<br />
propulsiva, in funzione della variazione della velocità della nave.<br />
Fra le combinazioni citate in precedenza, quella CODOG è la più semplice: tuttavia,<br />
la configurazione tipica per una moderna unità maggiore di superficie richiede la<br />
presenza di due turbine per sviluppare tutta la potenza richiesta e ciò implica a sua<br />
volta voluminose e pesanti condotte di aspirazione e scarico. Viceversa, in una combinazione<br />
CODAG, può bastare anche un sola turbina per sviluppare la medesima<br />
potenza massima, facendone quindi una configurazione meno gravosa della CODOG<br />
in termini d’impatto sul disegno generale dell’unità. Per quanto riguarda il riduttore,<br />
la soluzione CODOG è meno complicata che quella CODAG perché in quest’ultimo<br />
caso l’incremento della velocità va gestito passando dapprima dalla modalità motore<br />
diesel a quella turbina a gas e poi dalla modalità turbina a gas più motore diesel perché<br />
la velocità di rotazione delle due macchine è molto diversa. In generale, la soluzione<br />
CODLAG sembra aggiungere un ulteriore livello di complessità alla catena propulsiva,<br />
ma in termini pratici questa combinazione è meccanicamente meno comples-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
51
52 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
sa delle precedenti perché riduce i requisiti del riduttore: infatti nella soluzione<br />
CODAG il riduttore deve ac<strong>cop</strong>piare meccanicamente due tipi diversi di macchine<br />
con le linee d’assi, mentre nella configurazione CODLAG è necessario collegare soltanto<br />
la turbina a gas (o le turbine a gas) agli assi di propulsione. Ancora, una combinazione<br />
CODAG su due assi con due motori diesel e una turbina a gas ha teoricamente<br />
bisogno di quattro «moduli» di riduzione: uno per ciascuno dei motori diesel, uno<br />
per la turbina a gas e uno per la connessione incrociata che collega i precedenti in<br />
modo da permettere che entrambi gli assi possano essere azionati anche da un singolo<br />
motore diesel quando è richiesta una velocità molto bassa. In realtà, la prevalenza<br />
delle combinazioni CODAG e CODLAG su quella CODOG ha permesso lo sviluppo<br />
di soluzioni tecnologiche per cui tutti i «moduli» sono raggruppati all’interna di un’unica<br />
struttura che comprende anche i vari giunti d’ac<strong>cop</strong>piamento per consentire l’azionamento<br />
anche di entrambi gli assi indipendentemente dal numero di macchine<br />
inserite nella catena propulsiva (10).<br />
Negli ultimi vent’anni, il settore della propulsione navale ha manifestato una chiara<br />
progressione graduale secondo la sequenza CODOG, CODAG, CODLAG e «tutto<br />
elettrica», ma in realtà la situazione è più complessa perché nessuna di queste singole<br />
combinazioni o soluzioni è inequivocabilmente la migliore per qualsiasi gamma di<br />
requisiti di missione, vincoli dimensionali e disponibilità di bilancio. Questa progressione<br />
permette tuttavia di ampliare la gamma di ottimizzazione della catena propulsiva,<br />
con l’inevitabile avvertimento che tutte le combinazioni prevedono dei compromessi<br />
e che esse sono applicate a vari tipi di unità maggiori tuttora in costruzione o in<br />
progetto. I due programmi italo-francesi «Orizzonte» e FREMM rappresentano altrettanti<br />
esempi di combinazioni differenti su categorie di naviglio dimensionalmente<br />
diverso per i differenti ruoli operativi ma quasi contemporaneo sotto il profilo temporale:<br />
come noto, le «Orizzonte» sono unità a prevalente vocazione antiaerea da 151 m<br />
di lunghezza, poco più di 7.000 t di dislocamento a pieno carico, velocità massima di<br />
29 n e autonomia di 7.000 mg a 18 n. Il loro sistema propulsivo è un tradizionale<br />
CODOG, con due motori diesel da 4 MW ciascuno e altrettante turbine a gas da 20,23<br />
MW ciascuno, e due gruppi riduttori con connessione incrociata che azionano altrettanti<br />
assi. Le FREMM hanno invece, una lunghezza di 140 m e un dislocamento a<br />
pieno carico di circa 5.600 t, mentre velocità massima e autonomia si attestano rispettivamente<br />
su 27 n e 6.000 mg a 18 n: in questo caso, la soluzione prescelta è COD-<br />
LAG, con quattro gruppi diesel-generatori da 2,2 MW ciascuno che generano energia<br />
anche per due motori elettrici di propulsione e una turbina a gas da 32 MW, sempre su<br />
due assi e con riduttore che incorpora la connessione incrociata. La scelta di questa<br />
soluzione è dovuta essenzialmente al fatto che il progetto FREMM è stato ottimizzato<br />
per irradiare quanto meno rumore possibile in acqua durante le operazioni antisommergibile<br />
a bassa velocità e con sonar rimorchiato dispiegato, durante le quali è<br />
richiesto soltanto l’impiego dei motori elettrici e la conseguente esclusione del riduttore<br />
dalla catena propulsiva. Un requisito differente ha governato la scelta della combinazione<br />
CODLAG per le prossime unità tedesche tipo «F-125», equipaggiate con<br />
una turbina a gas da 20 MW, quattro gruppi diesel-generatori da 2,9 MW ciascuno e<br />
due motori elettrici da 4,7 MW ciascuno: in questo caso, il requisito si è concentrato<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Manutenzione di un elica in acqua. Aspetti non secondari che impattano sulla scelta sono la flessibilità,<br />
la manovrabilità, la sicurezza, l’efficienza, la segnatura acustica, l’affidabilità, le esigenze di manutenzione<br />
e i costi di gestione (Archivio Autore).<br />
sulla minimizzazione delle esigenze logistiche di un sistema propulsivo che deve consentire<br />
all’unità di rimanere operativa nel corso di un ciclo d’impiego esteso per 24<br />
mesi e a distanza dalla base metropolitana.<br />
La configurazione forse più curiosa fra i sistemi propulsivi evolutisi dalla combinazione<br />
CODAG è quella prescelta per le nuove fregate sudafricane classe «Valor»,<br />
disegnate da Blohm+Voss secondo il concetto «MEKO» e caratterizzate da una lunghezza<br />
di 121 m e un dislocamento a pieno carico di 3.500 t. La filosofia alla base del<br />
sistema è la combinazione fra le potenze sviluppate dalle singole macchine in acqua<br />
piuttosto che nel riduttore: il sistema è chiamato «CODAG-WARP» (11) e combina<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
53
54 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
motori diesel, turbina a gas, eliche e idrogetti secondo tre modalità d’impiego: economica,<br />
con i due motori diesel da 5,9 MW ciascuno associati, tramite un riduttore con<br />
connessione incrociata, ai due assi dell’unità; solo turbina a gas, con una macchina da<br />
20MW collegata a un idrogetto posizionato fra i due assi; e CODAG-WARP, con eliche<br />
e idrogetto funzionamenti contemporaneamente. Quest’ultima combinazione consente<br />
all’unità di raggiungere una velocità massima di 27 n, di procedere alla rispettabile<br />
velocità di crociera di 20 n e di raggiungere un’autonomia di oltre 6.000 mg a 12<br />
n: il riduttore è meno complesso — e quindi più leggero e ingombrante — di altre<br />
combinazioni classiche, assicurando al contempo la massima ridondanza e flessibilità<br />
d’impiego.<br />
Dalle varie soluzioni propulsive adottate da alcune Marine, appare evidente l’esistenza<br />
di un processo di sviluppo tecnologico mirato a ottimizzare sempre più la combinazione<br />
fra le varie macchine motrici disponibili per la propulsione navale militare:<br />
la principale tendenza che emerge riguarda la transizione verso alcune forme di soluzioni<br />
«elettriche» destinate, nel lungo termine, a semplificare dapprima al massimo il<br />
disegno del riduttore e, gradualmente, eliminarlo dalla configurazione del sistema<br />
propulsivo. Questo avrà un impatto non trascurabile sul progetto delle unità maggiori<br />
combattenti perché attualmente i requisiti di ingombro per il sistema propulsivo destinato<br />
a sviluppare 32 n di velocità massima su due assi per una fregata da 4.500 t<br />
(CODAG) e per un cacciatorpediniere da 7.500 t (CODOG) riguardano, rispettivamente,<br />
uno sviluppo in lunghezza di circa 30 e 70 m; questi valori comprendono la<br />
lunghezza delle linee d’assi, l’ingombro del riduttore, delle turbine a gas e dei motori<br />
diesel e la necessità di separare opportunamente i vari locali che ospitano i vari componenti<br />
della catena propulsiva.<br />
In generale, la coesistenza delle varie combinazioni fra motori diesel, turbine a gas<br />
e macchine elettriche sembra al momento confermare la mancanza di consenso fra i<br />
progettisti navali sulla migliore soluzione per consentire di soddisfare, con un buon<br />
livello di compromesso, i requisiti operativi da cui derivano dimensioni, gamma di<br />
velocità e autonomia della nave da guerra. Una valutazione alternativa più ottimistica<br />
è che il settore della propulsione navale militare sta attraversando una periodo di relativa<br />
maturità tecnica in cui i progettisti possono proporre soluzioni molto prossime ai<br />
requisiti del «cliente» (compresi quelli di costo iniziale e gestionale), senza peraltro<br />
perdere d’occhio possibili nuovi sviluppi tecnologici riguardanti propulsione elettrica<br />
e turbine a gas ancora più efficienti.<br />
Eliche e idrogetti<br />
L’interrogativo con cui si apre questo parte dello studio evidenzia l’esistenza di<br />
diverse metodologie affinché la potenza sviluppata dal sistema propulsivo possa essere<br />
trasformata nella spinta necessaria a far sviluppare all’unità navale la velocità desiderata.<br />
Da un punto di vista storico, l’elica regna sovrana nella propulsione navale<br />
militare dai tempi del passaggio dalla vela al motore, senza peraltro impedire che<br />
negli ultimi anni — e grazie anche alla parallela evoluzione delle macchine motrici —<br />
nuove soluzioni vengano prese in considerazione anche per le unità maggiori combat-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Una tecnologia emergente nel settore della propulsione navale militare e legata alla configurazione IPS<br />
integrata riguarda l’adozione di propulsori azimutali al posto delle tradizionali eliche (Mermaid).<br />
tenti. L’efficienza — o il rendimento — di un qualsiasi tipo di elica si identifica come<br />
il rapporto fra la potenza da essa sviluppata (pari al prodotto fra la spinta e la velocità<br />
della nave) e la potenza fornita dall’apparato motore attraverso la linea d’asse.<br />
Un’elica non può considerarsi un propulsore separato dall’ambiente geometrico e<br />
dinamico in cui lavora, quest’ultimo formato dallo scafo, dai timoni, dai bracci portaelica<br />
e da tutte le altre appendici che l’acqua incontra nel suo flusso da prora verso<br />
poppa: l’efficienza propulsiva di un’elica è quindi funzione di diversi elementi fra<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
55
56 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
loro interagenti, e nel caso di una fregata ha un valore adimensionale compreso in una<br />
gamma fra 0,62 e 0,67 in una scala di velocità dai 10 ai 30 n.<br />
Un aspetto importante da considerare nel disegno dell’elica in relazione alla sua<br />
funzione riguarda la segnatura acustica, di cui essa è intrinsecamente uno dei principali<br />
contributori a causa del rumore generato dalla rotazione delle pale e anche dall’insorgere<br />
della cavitazione (12). Il fenomeno si manifesta normalmente a velocità<br />
elevate (superiori ai 20 n), produce una riduzione della spinta e danneggia la superficie<br />
dell’elica dove viene generato: esso è sinteticamente legato alla profondità e al<br />
numero di giri a cui lavora l’elica e può essere combattuto aumentando l’immersione<br />
dell’elica, riducendone il numero di giri o, in generale, aumentando il rapporto tra<br />
spinta e area espansa, cioè la spinta specifica per unità di superficie (in altre parole<br />
utilizzando un’elica con pale più grandi e dunque meno caricate).<br />
L’impatto del disegno dell’elica sul progetto navale militare riguarda dunque aspetti<br />
geometrici propri dell’elica stessa (con una prevalenza delle soluzioni a cinque<br />
pale) e della configurazione della zona poppiera dello scafo, nonché aspetti installativi<br />
quali l’angolazione delle linee d’asse rispetto all’asse longitudinale e di conseguenza<br />
la posizione del riduttore e delle macchine motrici e la scelta di quest’ultime. In<br />
generale, fregate e cacciatorpediniere sono caratterizzate da profili operativi d’impiego<br />
che richiedono una buona efficienza propulsiva in tutta la gamma delle velocità e<br />
che — unitamente all’<strong>introduzione</strong> delle turbine a gas — ha portato all’<strong>introduzione</strong><br />
delle eliche a passo controllabile, in grado cioè di ottimizzare l’efficienza dell’elica<br />
per entrambi i sensi di marcia della nave. Ai progettisti si pone quindi il quesito se<br />
scegliere questo tipo di eliche oppure ricorrere alla soluzione tradizionale con eliche a<br />
passo fisso: la risposta è legata al profilo di missione dell’unità e alla conseguente<br />
scelta del sistema propulsivo inteso come combinazione fra macchine termiche ed<br />
eventualmente macchine elettriche, mentre altri aspetti non secondari che impattano<br />
sulla scelta sono la flessibilità, la manovrabilità, la sicurezza, l’efficienza, la segnatura<br />
acustica, l’affidabilità, le esigenze di manutenzione e, naturalmente, i costi di gestione.<br />
Se la scelta prevede combinazioni fra turbine a gas e/o motori diesel e manovrabilità<br />
e flessibilità sono priorità ben definite, la soluzione a passo variabile è quella<br />
maggiormente adeguata, perché essa consente anche di fronteggiare eventuali margini<br />
di crescita del progetto — quindi di maggior potenza — e di evitare eccessivi sovraccarichi<br />
sulle macchine dovute a condizioni meteo svantaggiose.<br />
Se si ricorre alla propulsione tutta elettrica e si è in cerca di una maggiore affidabilità,<br />
la soluzione a passo fisso è certamente privilegiata per motivi importanti quali il<br />
minor numero di componenti meccanici e oleodinamici, un’efficienza idrodinamica<br />
maggiore di circa il 6% e il minor impatto in termini di segnatura acustica, anche se<br />
per quest’ultimo requisito l’adozione del sistema «Prarie» (insufflazione di aria compressa<br />
sulle pale) è ormai una soluzione consolidata in quasi tutti i progetti di moderne<br />
unità navali.<br />
La scelta fra passo fisso e passo controllabile non è quindi ovvia e non va interpretata<br />
non tanto quanto una semplice comparazione fra le due soluzioni quanto piuttosto<br />
come il risultato dell’ottimizzazione complessiva del sistema propulsivo, e in tale<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
I vantaggi dell’idrogetto rispetto all’elica riguardano le superiori capacità manovriere, la minimizzazione<br />
dei rischi di danneggiamento del propulsore in caso di urto subacqueo, l’assenza dei timoni e dei relativi<br />
meccanismi (Archivio Autore).<br />
contesto la soluzione va ricercata soprattutto nell’integrazione. Il progetto di un’elica<br />
perde infatti il suo significato se i materiali prescelti non sono adeguati e se la lavorazione<br />
non segue il progetto: l’impiego delle più avanzate tecniche informatiche non<br />
ha alcun valore se poi le condizioni di progetto sono molto differenti da quelle in cui<br />
l’unità poi opera effettivamente. In sostanza, è quindi essenziale che il sistema propulsivo<br />
venga studiato nei minimi particolari sin dalle fasi iniziali del progetto, incluse la<br />
scelta delle forme di scafo, le opzioni disponibili in materia di macchine termiche e/o<br />
elettriche e i requisiti di segnatura acustica.<br />
Negli ultimi anni, un nuovo tipo di propulsore — l’idrogetto — si sta affermando<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
57
58 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
anche nel settore del naviglio militare: il suo principio di funzionamento si basa su<br />
una girante — azionata da un motore diesel o da una turbina a gas — che aspira l’acqua<br />
di mare da una condotta posta sul fondo della carena e la espelle verso poppa da<br />
un’altra condotta sistemata sullo specchio di poppa, creando il getto per l’avanzamento<br />
dello scafo. I vantaggi dell’idrogetto riguardano sostanzialmente le superiori capacità<br />
manovriere (gli ugelli di scarico sono orientabili e un inversore di spinta serve per<br />
la marcia indietro), la minimizzazione dei rischi di danneggiamento del propulsore in<br />
caso di urto subacqueo, l’assenza dei timoni e dei relativi meccanismi (con evidente<br />
guadagno di volumi all’interno dello scafo). Questa soluzione si é diffusa per la propulsione<br />
di naviglio sottile veloce destinato a operare in zone costiere e bassi fondali,<br />
mentre lo svantaggio principale risiede nei limiti massimi di potenza da sviluppare<br />
per unità maggiori, oltre che nel pericolo di ingestione di detriti che possono essere<br />
risucchiati nella condotta di aspirazione: gli attuali sistemi propulsivi a idrogetto vengono<br />
infatti realizzati per potenze massime di circa 14 MW kW per asse, ma alcuni<br />
studi effettuati di recente riguardano sistemi da 21 e 33 MW per asse, destinate a fregate<br />
da 3.900 t di dislocamento e 115 m di lunghezza.<br />
La propulsione elettrica<br />
Sebbene ampiamente diffusa sul naviglio subacqueo già dagli albori di questa specialità,<br />
la propulsione elettrica non ha riscosso lo stesso successo per le unità di superficie,<br />
vincolate per lungo tempo allo sfruttamento del vapore per la propulsione e la<br />
generazione dell’energia elettrica. Dopo le già citate esperienze della US Navy con le<br />
portaerei Lexington e Saratoga e su diverse petroliere costruite nel corso del secondo<br />
conflitto mondiale, seguì un periodo di sostanziale oblio, interrotto sporadicamente da<br />
alcune realizzazioni particolari, soprattutto nel settore delle navi rompighiaccio e<br />
idroceanografiche; solo con l’entrata in servizio delle fregate inglesi «Type 23/Duke»<br />
e del loro sistema CODLAG si é avuto un deciso ritorno d’interesse verso questo tipo<br />
di sistema propulsivo, grazie soprattutto ai progressi occorsi nel settore delle macchine<br />
elettriche, mentre il principio di utilizzazione é rimasto sostanzialmente invariato e<br />
ha dato vita a varie espressioni quali AES (All Electric Ship), IFEP (Integrated Full<br />
Electric Power) e IPS (Integrated Power System). Nella sostanza, si tratta sempre<br />
della stessa cosa, perché in un sistema di propulsione elettrica, i propulsori — normalmente<br />
le eliche tradizionali — sono azionati da motori elettrici, per la cui alimentazione<br />
si sfrutta l’energia elettrica prodotta da turboalternatori o da gruppi generatori a<br />
loro volta azionati da motori diesel o turbine a gas. I principali vantaggi della propulsione<br />
elettrica rispetto a quella tradizionale meccanica riguardano la flessibilità progettuale<br />
(l’assenza del riduttore e delle linee d’assi elimina un grosso vincolo progettuale),<br />
la semplicità intrinseca della trasmissione e dell’inversione del moto (motori<br />
elettrici collegati direttamente alle eliche, in grado di invertire rapidamente il proprio<br />
senso di rotazione e di regolare la propria velocità entro una gamma molto ampia), la<br />
ridotta segnatura acustica (i motori elettrici sono molto silenziosi e non vi sono ingranaggi<br />
di riduzione) e una potenziale economia dei consumi. Il concetto ispiratore dei<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un generatore diesel-elettrico, sorgente primaria di energia per le soluzione integrate a bordo<br />
delle moderne unità navali militari il cui concetto ispiratore é quello della totale integrazione<br />
fra le esigenze di energia elettrica per la propulsione e per gli altri servizi di bordo (MTU).<br />
moderni sistemi é comunque quello della totale integrazione fra le esigenze di energia<br />
elettrica per la propulsione e per gli altri servizi di bordo, impiegando un unico sottosistema<br />
di generazione che, tramite un’opportuna logica di conversione e distribuzione<br />
che si adatta all’alimentazione di tutte le utenze di bordo, soddisfi tutti i requisiti<br />
operativi in tutte le condizioni, tenendo presente che gli sviluppi nel settore dei sensori<br />
e dei sistemi d’arma imbarcati (radar multifunzionali, cannoni elettromagnetici,<br />
ecc.) comportano inevitabilmente maggiori esigenze di energia elettrica.<br />
Le tendenze progettuali per il naviglio militare sono perciò orientate verso l’adozione<br />
di sistemi integrati IPS in cui i cavi elettrici realizzati con materiali all’avanguardia<br />
sostituiscono i tradizionali collegamenti meccanici e permettono di distribuire<br />
in maniera ottimale i vari «prime movers» a bordo dell’unità; uno dei principali fattori<br />
che hanno finora limitato la diffusione di soluzioni IPS sul naviglio militare combattente<br />
di superficie é stato lo spazio relativamente elevato richiesto dagli attuali modelli<br />
di motori elettrici di propulsione e di convertitori per i servizi di bordo (13), così<br />
come la necessità di convertitori di potenza a tiristori per le esigenze delle macchine<br />
finora impiegate (motori elettrici in corrente continua) e la presenza di un maggior<br />
numero di cablaggi per la distribuzione dell’energia elettrica e il controllo dei vari<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
59
60 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
apparati. Per ovviare o quanto meno limitare questi inconvenienti, sono in corso di<br />
sviluppo motori a magneti permanenti di potenza sufficientemente elevata (per esempio<br />
20 MW o più), dispositivi elettronici di conversione e reti di fibre ottiche per la<br />
trasmissione dei segnali che consentono una notevole riduzione di pesi e volumi<br />
rispetto ai tradizionali motori a corrente continua e che contribuiscono a migliorare<br />
l’efficienza globale di tutta la rete di distribuzione (attualmente, l’89% circa contro il<br />
93% dei sistemi meccanici tradizionali).<br />
Gli studi in corso presso diversi Paesi sono quindi indirizzati innanzitutto verso la<br />
riduzione del rischio di un sistema IPS in cui la produzione di energia elettrica é affidata<br />
a turbine a gas e/o motori diesel, impiegabili quindi a velocità costante e a un<br />
carico ottimale, condizioni che consentono di accrescere il livello di affidabilità della<br />
macchina e ridurre al contempo il consumo di combustibile e il carico di manutenzioni.<br />
Nel caso di una moderna unità di scorta d’altura (una fregata da circa 4.500 t di<br />
dislocamento, con due assi), le esigenze di energia elettrica per i servizi di bordo<br />
(sistemi d’arma, sensori elettronici, apparecchiature ausiliarie, sistemi di comunicazione,<br />
ecc.) ammontano a circa 5 MW, mentre per le esigenze della propulsione é<br />
necessaria una potenza massima complessiva di circa 25 MW, per un totale di circa<br />
30 MW. Va inoltre ricordato che il profilo d’impiego di una moderna unità combattente<br />
prevede soprattutto un’andatura non superiore ai 18 n (pattugliamento, trasferimento<br />
a velocità economica, manovra, rifornimento in mare, ecc.) e tale da richiedere una<br />
generazione di energia elettrica che può essere soddisfatta da un sistema IPS in cui<br />
siano in funzione soltanto macchine generatrici di potenza non elevata (per esempio<br />
gruppi diesel-generatori), mentre per l’alta velocità entrano in gioco macchine generatrici<br />
più potenti (per esempio gruppi turbogas) e tali da sviluppare la maggiore potenza<br />
richiesta dai motori elettrici di propulsione. Inoltre, la disponibilità di gruppi turbogas<br />
di nuova generazione, compatti e leggeri, permette anche di impiegare un sistema<br />
IPS dove tutte le macchine generatrici sono turbine a gas; questa configurazione<br />
aumenta il grado di flessibilità complessiva (maggiore ridondanza dei prime movers),<br />
nonché le doti di mobilità (in quanto i gruppi turbogas possono essere disposti in<br />
locali fra loro distanti) e di segnatura acustica.<br />
L’adozione della propulsione elettrica per il naviglio di scorta d’altura sembra quindi<br />
rappresentare una tendenza in fase di maturazione, anche se le prospettive riguardano<br />
principalmente configurazioni CODLAG, ritenute al momento meno rischiose<br />
rispetto a soluzioni IPS. Gli esempi più importanti riguardano attualmente la Royal<br />
Navy e la US Navy: nel primo caso, si tratta dei nuovi cacciatorpediniere classe<br />
«Type 45/Daring» da 152 m di lunghezza e 7.350 t di dislocamento a pieno carico, su<br />
cui la generazione dell’energia elettrica è affidata a due gruppi generatori turbogas da<br />
21 MW ciascuno e due gruppi diesel-generatori da 2 MW ciascuno, per un totale di<br />
46 MW. La propulsione è affidata a due motori elettrici da 20 MW che assicurano una<br />
velocità massima di circa 30 n, mentre l’autonomia raggiunge le 7.000 mg a 18 n. Più<br />
«ardita» è invece la configurazione dei grossi cacciatorpediniere statunitensi classe<br />
«Zumwalt» da oltre 14.500 t di dislocamento a pieno carico, dove la generazione dell’energia<br />
elettrica è affidata a due gruppi turbogas da 35 MW ciascuno e altrettanti da<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
4 MW ciascuno, per un totale di ben 78 MW: anche in questo caso, la propulsione è<br />
affidata a due motori elettrici, con una velocità massima di 30 nodi e un’autonomia di<br />
4.500 mg a 20 n. Uno sviluppo importante nell’ambito della propulsione elettrica<br />
integrata riguarda l’adozione di motori elettrici a magneti permanenti: si tratta di macchine<br />
costituite da un rotore eccitato in permanenza e da un avvolgimento statorico<br />
multifase, alimentato da una serie congegni elettronici per l’erogazione e il controllo<br />
della tensione dell’armatura. Questa soluzione consente di controllare la velocità a<br />
tutte le andature, in marcia avanti e indietro, senza ricorrere alla sequenza di inserimento/disinserimento<br />
dei vari interruttori caratteristica dei motori di propulsione tradizionali.<br />
I magneti (14) che sostituiscono gli avvolgimenti rotorici consentono di<br />
generare una <strong>cop</strong>pia maggiore rispetto ai motori in corrente continua, permettendo<br />
quindi di diminuire il numero di giri dell’asse (e quindi dell’elica) a parità di potenza.<br />
Oltre a questo fondamentale vantaggio per la propulsione (migliore efficienza propulsiva<br />
e minore rumorosità), il motore a magneti permanenti é caratterizzato da pesi e<br />
volumi sensibilmente inferiori (60% e 40% circa, rispettivamente) rispetto alle macchine<br />
tradizionali, un altro vantaggio evidente per il progetto sistema propulsivo e<br />
della nave nel suo complesso. Una tecnologia emergente nel settore della propulsione<br />
navale militare e legata alla configurazione IPS integrata riguarda infine l’adozione di<br />
propulsori azimutali al posto delle tradizionali eliche. Questa soluzione consente di<br />
incrementare soprattutto la manovrabilità a bassa velocità e il suo vantaggio principale<br />
risiede essenzialmente nella totale eliminazione della linea d’asse e di tutti gli<br />
accessori: essa tuttavia rimane al momento limitata alle unità di grandi dimensioni —<br />
come dimostrato dalla sua adozione sulle nuove unità d’assalto anfibio francesi classe<br />
«Mistral» — e le lezioni apprese in tale contesto potrebbero convenientemente sfruttate<br />
per allargarne lo spettro d’impiego anche al naviglio maggiore combattente.<br />
***<br />
In estrema sintesi, le tendenze attuali in materia di propulsione navale militare sono<br />
quindi orientate soprattutto verso soluzioni in cui i prime movers sono turbine a gas di<br />
elevata potenza, con motori elettrici di propulsione del tipo a magneti permanenti<br />
relativamente leggeri e compatti e dove i requisiti di massima velocità potranno essere<br />
soddisfatti mediante l’impiego combinato dei motori elettrici e delle turbine a gas<br />
oppure attraverso soluzione elettriche integrate. Sotto il profilo dell’impatto del sistema<br />
propulsivo sul progetto navale nel suo complesso, la presenza delle turbine a gas<br />
continua a richiedere i volumi necessari per le condotte di aspirazione e scarico, ma<br />
questo aspetto è gradualmente compensato dalla progressiva riduzione dei pesi e<br />
volumi consentita dalla graduale «eliminazione» del riduttore e delle linee d’assi.<br />
NOTE<br />
(1) A titolo riepilogativo, le principali combinazioni fra motori diesel e turbine a gas sono raggruppate<br />
nelle seguenti famiglie principali: CODAD = COmbined Diesel And Diesel, con macchine per la navigazione<br />
di crociera a cui si associano macchine per gli spunti di velocità; CODAG = COmbined Diesel<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
61
62 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
And Gas turbines, dove ai diesel per la navigazione di crociera si associano le turbine a gas per gli spunti<br />
di velocità; CODOG = COmbined Diesel Or Gas turbines, con diesel esclusivamente destinati alla navigazione<br />
e turbine a gas usate solo per gli spunti di velocità; COGAG = COmbined Gas And Gas, con turbine<br />
a gas per la navigazione di crociera e macchine spesso identiche associate per gli spunti di velocità;<br />
COGOG = COmbined Gas Or Gas, con turbine a gas usate esclusivamente per la navigazione di crociera<br />
e macchine similari ma più potenti usate unicamente per gli spunti di velocità, CODLAG = COmbined<br />
Diesel eLectric And Gas, con gruppi diesel-generatori che alimentano motori elettrici per la navigazione<br />
di crociera e turbine a gas che subentrano a quest’ultimi per gli spunti di velocità. COSAG = COmbined<br />
Steam And Gas, in cui un impianto a vapore è usato per la navigazione di crociera, «aiutato» da turbine a<br />
gas per gli spunti di velocità.<br />
(2) Applicata con successo sull’unità veloce Turbinia, che grazie alla sua velocità fu protagonista della<br />
parata navale di Spithead per il giubileo della regina Vittoria (1897).<br />
(3) Per esigenze e potenze superiori, come nel caso delle portaerei, l’energia nucleare e le turbine a vapore<br />
rientrano prepotentemente in gioco.<br />
(4) Per ovvi motivi, la propulsione nucleare non è oggetto di questo studio perché applicata soltanto alle<br />
portaerei e ai sottomarini d’attacco e lanciamissili delle principali potenze navali. È tuttavia necessario<br />
accennare ad alcune applicazioni del passato che rappresentano un’eccezione alla regola (le unità d’altura<br />
statunitensi classi «California» e «Virginia») e al fatto che recentemente alcuni commentatori hanno<br />
ipotizzato l’impiego dell’energia nucleare sulle future unità statunitensi tipo «CGX» a causa degli elevati<br />
costi del combustibile tradizionale.<br />
(5) L’esempio più probante sono le turbine a gas della serie «LM 2500» adottate, per esempio, su tutte le<br />
unità statunitensi classe «Spruance», «Ticonderoga» e «Arleigh Burke», oppure su «Lupo», «Maestrale»<br />
e «De la Penne» per la <strong>Marina</strong> <strong>Militare</strong>. La stessa considerazione è applicabile alle turbine a gas Rolls<br />
Royce «Spey», diffuse su diverse classi di unità.<br />
(6) Casi interessanti in tal senso sono alcune varianti del progetto «MEKO» di origine tedesca.<br />
(7) È questa la soluzione su molte unità di costruzione russa e sulle portaerei leggere di matrice occidentale,<br />
ma risulta onerosa in termini di peso e ingombro.<br />
(8) Nelle configurazioni più semplici, di solito destinate a unità (fregate di ridotte dimensioni) nella<br />
gamma inferiore di quelle considerate in questo Supplemento, una macchina — normalmente un motore<br />
diesel — è associata a un proprio asse e sempre tramite un riduttore.<br />
(9) A titolo di cronaca, va ricordato che il primo impiego della combinazione CODLAG su una moderna<br />
unità combattente di superficie si è avuto con le fregate antisommergibili britanniche «Type 23» della<br />
classe «Duke» da 133 m di lunghezza e 4.200 t di dislocamento a pieno carico: il sistema è composto da<br />
una turbina a gas, da quattro gruppi diesel-generatori e da due motori elettrici di propulsione.<br />
(10) La presenza della connessione incrociata è essenziale perché un asse danneggiato può essere fermato<br />
e bloccato per riparazioni mentre l’altro può continuare a lavorare.<br />
(11) Waterjet And Refined Propeller, e con l’acronimo che si richiama alla famosa velocità «warp» della<br />
fortunata serie televisiva «Startrek». Il concetto è stato applicato con successo su alcuni megayacht di<br />
costruzione tedesca.<br />
(12) La cavitazione è provocata dalla formazione localizzata di cavità contenenti vapore all’interno della<br />
massa d’acqua avvolgente l’elica, che poi implodono producendo un rumore caratteristico: ciò avviene a<br />
causa dell’abbassamento locale di pressione a un valore inferiore alla tensione di vapore dell’acqua, che<br />
subisce così un cambiamento di fase da liquido a gas.<br />
(13) In questo caso, la densità di potenza andrebbe espressa tenendo conto della potenza elettrica generata<br />
dai gruppi generatori, azionati da motori diesel e/o turbine a gas.<br />
(14) I materiali che compongono i magneti eccitati in permanenza sono realizzati in samario, una cosiddetta<br />
«terra rara», appartenente a quel gruppo di 15 elementi chimici scarsamente diffusi in natura e<br />
caratterizzati da numero atomico compreso fra 57 e 71.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 4<br />
SOPRAVVIVENZA E STEALTHNESS<br />
Nei Capitoli precedenti si è accennato a come il principio della stealthness — traducibile<br />
come furtività o bassa osservabilità — sia prepotentemente entrato a far<br />
parte del progetto navale militare, soprattutto per via del suo stretto legame con la<br />
sopravvivenza dell’unità, oggigiorno operante in un contesto sempre più complesso<br />
Un’immagine storica delle moderne operazioni navali: la fregata americana STARK, dopo esser stata<br />
colpita da un missile antinave. A differenza del naviglio mercantile, le unità navali militari sono<br />
appositamente concepite per combattere e sono quindi più esposte al rischio di colpi a bordo (US Navy).<br />
63
64 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un’unità tedesca classe «Sachsen», su cui sono presenti irrobustimenti scatolari che corrono per buona<br />
parte della lunghezza dello scafo e in cui sono contenuti cablaggi vitali (TKMS)<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
che la rende infatti più vulnerabile rispetto al passato per diverse ragioni. In primo<br />
luogo, la nave da guerra moderna presenta quella che si può definire un’alta densità di<br />
sistemi e apparati sensibili che, una volta danneggiati da un colpo a bordo, non possono<br />
essere facilmente riparati dall’equipaggio: secondo, la corazzatura non è più uno<br />
degli elementi del progetto navale da almeno mezzo secolo, anche perché difficile da<br />
considerare e applicare a bordo di cacciatorpediniere e fregate. Inoltre, la letalità degli<br />
ordigni dedicati alla distruzione delle unità di superficie — sostanzialmente missili<br />
antinave e mine, anche se dell’equazione fanno parte anche armi leggere in dotazione a<br />
gruppi terroristici che operano in mare — è drasticamente aumentata negli ultimi 50<br />
anni: un’ultima ma non meno importante motivazione riguarda la scarsa o inesistente<br />
tolleranza dell’opinione pubblica verso le perdite umane che, assieme alla riduzione<br />
delle flotte, rende la vita di ciascun marinaio e l’integrità fisica dei sistemi un bene irrinunciabile<br />
da salvaguardare.<br />
In termini molto sintetici, l’obiettivo principale della stealthness è quello di ridurre<br />
le probabilità che l’unità venga colpita, aumentandone quindi la sopravvivenza e prevenire<br />
danni all’equipaggio e ai sistemi imbarcati: per analizzare quindi l’impatto che<br />
sopravvivenza e stealthness hanno oggi sul progetto delle unità navali militari (soprattutto<br />
in termini di materiali e disegno), è dunque opportuno considerare separatamente<br />
i due aspetti, ciascuno dei quali presenta differenti e importanti articolazioni.<br />
La sopravvivenza della nave da guerra<br />
A differenza del naviglio mercantile, le unità navali militari sono appositamente<br />
concepite per combattere e sono quindi più esposte al rischio di colpi a bordo che possono<br />
danneggiare scafo, strutture e sistemi. Le considerazioni che hanno progressivamente<br />
portato, dopo la seconda guerra mondiale, a trascurare il principio della protezione<br />
sono state puntualmente smentite dagli episodi bellici occorsi negli ultimi decenni,<br />
in cui diverse unità militari di prima linea — soprattutto fregate e cacciatorpediniere<br />
— sono state vittime più o meno gravi di missili antinave e mine: le lezioni, spesso<br />
amare, apprese in questi frangenti hanno quindi contribuito a rafforzare nei progettisti<br />
la consapevolezza che un’unità militare non può basare totalmente la sua sopravvivenza<br />
su sistemi d’arma difensivi o sulle contromisure di vario tipo, evidenziando quindi<br />
la necessità di pensare ad altre forme di difesa insite nel disegno stesso della nave.<br />
Il requisito complessivo di sopravvivenza di un’unità militare abbraccia sostanzialmente<br />
tre aspetti principali:<br />
— la suscettibilità, cioè la capacità di evitare o ritardare al massimo la s<strong>cop</strong>erta a cura<br />
dei sensori avversari e allo stesso tempo di fronteggiare un attacco. In questo caso<br />
entrano in gioco fattori passivi (per esempio la stealthness e la gestione delle emissioni<br />
elettroniche) e attivi (contromanovra, impiego di contromisure);<br />
— la vulnerabilità, la capacità di sostenere danni e di minimizzarne gli effetti, attraverso<br />
misure di resistenza strutturale e di controllo danni;<br />
— la recuperabilità, traduzione letterale di recoverability e incentrata sulla capacità di<br />
tornare a condizioni d’impiego accettabili — seppur degradate — dopo il danno, privilegiando<br />
innanzitutto l’integrità della piattaforma e poi la possibilità di partecipare<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
65
66 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
nuovamente a operazioni belliche.<br />
Il progetto navale militare deve quindi considerare questi aspetti sin dall’inizio,<br />
tenendo conto della complessità intrinseca di una nave da guerra e della coesistenza<br />
delle interazioni fra strutture, sistemi e fattore umano. In termini generali e rimandando<br />
più avanti la trattazione della suscettibilità, la vulnerabilità di un’unità navale può<br />
essere considerevolmente ridotta attraverso l’applicazione, già al momento del progetto,<br />
di alcuni elementi importanti quali l’ottimizzazione del disegno complessivo, il<br />
contenimento dei danni (1), la protezione balistica di sistemi e componenti vitali, il<br />
rinforzo delle strutture dello scafo, la riconfigurazione dinamica dei sistemi di generazione<br />
e distribuzione dell’energia elettrica e dei fluidi refrigeranti e l’impiego di basamenti<br />
antishock.<br />
Per comprendere in maggior dettaglio questi elementi, un approccio ormai consolidato<br />
nel progetto navale militare riguarda il ricorso a simulazioni e campagne di<br />
prova a volte condotte usando vecchie unità navali, necessarie sia per verificare i possibili<br />
effetti derivanti da un colpo a bordo, sia per comprendere quale sia la soluzione<br />
migliore per limitarne gli effetti negativi (2). È opportuno quindi evidenziare l’importanza<br />
del processo di raccolta e valorizzazione delle informazioni derivanti da simulazioni<br />
e campagne di prova, meglio ancora se condotte in un contesto di cooperazione<br />
che consenta la condivisione dei risultati e la definizione di nuovi standard, relativi al<br />
disegno stesso della nave, alla sistemazione di componenti vitali, all’allestimento in<br />
generale, alla ridondanza dei sistemi vitali, alla compartimentazione e al rendere autonomo<br />
ciascuno compartimento in termini di capacità antincendio, protezione NBC,<br />
ventilazione/condizionamento, alimentazione elettrica, ecc..<br />
Molte fra le più moderne unità navali militari sono state progettate e costruite<br />
seguendo questi standard e introducendo quindi cambiamenti significativi nelle procedure<br />
progettuali. Il concetto degli irrobustimenti scatolari — una struttura di rinforzo<br />
a sezione quadrata o rettangolare, che corre per buona parte della lunghezza dello<br />
scafo e in cui sono contenuti cablaggi vitali — è stato adottato sulle unità tedesche<br />
classe «Brandenburg/F-123» e «Sachsen/F-124», su quelle olandesi classe «De Zeven<br />
Provincien» e su quelle norvegesi classe «Nansen» (3): più in particolare, le strutture<br />
scatolari sono tre e sono parallele, disposte all’altezza del ponte di <strong>cop</strong>erta, lungo l’asse<br />
longitudinale e alle due estremità.<br />
Un altro importante aspetto progettuale innovativo riguarda il contenimento dei<br />
danni provocati da un’esplosione (spostamento d’aria e schegge) all’interno di un<br />
compartimento. Le tradizionali porte stagne associate alle paratie erano concepite per<br />
contrastare la pressione statica derivante da un allagamento e non certamente quella<br />
dinamica sviluppata dall’esplosione della testa in guerra di un missile antinave.<br />
L’innovazione in questo settore consiste nello sviluppo di paratie e porte stagne che<br />
possano assorbire l’energia provocata dall’esplosione attraverso la loro deformazione<br />
— effetto «membrana» —, mantenendo integra la resistenza nei punti di collegamento<br />
con i ponti sovrastanti e sottostanti: la nuova struttura, sviluppata in Olanda, è<br />
sostanzialmente una doppia paratia stagna e collegata ai ponti per mezzo di irrobustimenti<br />
trasversali. Le unità della classe «De Zeven Provincien» sono equipaggiate con<br />
queste strutture (con una spaziatura di circa 40 cm) per separare lo scafo nelle varie<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Immagine al computer della fregata AQUITAINE, in costruzione per la <strong>Marina</strong> francese nell’ambito<br />
del programma FREMM e dotata di doppie paratie stagne collegate ai ponti tramite irrobustimenti<br />
trasversali (DCNS).<br />
zone di sicurezza e in prossimità di locali particolari quali i depositi missili: questa<br />
soluzione è presente anche sui tipi «Sachsen», sui «Daring/Type 45» britannici, sulle<br />
«Nansen» norvegesi e sulle FREMM italo-francesi. Le unità francesi classe «La<br />
Fayette» e quelle italo-francesi «Orizzonte» sono invece dotate di doppie paratie con<br />
spaziatura da 1,4 m, tali quindi da offrire maggiore protezione contro esplosioni e<br />
schegge: le dimensioni di tale paratia ne limitano però l’impiego per la compartimentazione<br />
dei locali ospitanti il sistema propulsivo. Le «La Fayette» e le «Orizzonte»<br />
sono inoltre dotate di due gallerie parallele in acciaio da 10 mm di spessore, posizionate<br />
alle estremità dello scafo, che non contribuiscono alla sua robustezza ma che<br />
offrono una buona protezione balistica a cablaggi e tubolature e rendono più semplice<br />
sia la costruzione e l’allestimento dell’unità, sia la manutenzione.<br />
Il pericolo certamente più grave a bordo di un’unità navale (4) è quello derivante<br />
dall’incendio e dal fumo e in questo caso le soluzioni progettuali per limitarne gli<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
67
68 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
effetti dannosi sono concentrate sulla riduzione della lunghezza delle condotte di ventilazione<br />
e condizionamento. La tendenza è quella di attrezzare, come già citato, ogni<br />
compartimento con sistemi propri: il principio della ridondanza è stato inoltre applicato<br />
sulle unità tedesche classe «Sachsen», dove i sistemi presenti in ciascuno dei 12<br />
compartimenti in cui è suddiviso lo scafo sono capaci di assicurare la ventilazione, il<br />
condizionamento, l’acqua di refrigerazione e il circuito antincendio anche a un compartimento<br />
adiacente — qualora esso sia danneggiato — attrezzato valvole e congegni<br />
di collegamento normalmente chiusi.<br />
Per combattere l’incendio, diverse soluzioni di recente applicate al progetto navale<br />
militare sono state mutuate dalle navi da crociera e possono sintetizzarsi nei sistemi di<br />
soppressione automatica — denominati AFSS Automatic Fire Suppression System —<br />
che adesso fanno anche uso di acqua nebulizzata ad alta velocità, un metodo che consente<br />
di utilizzare meno acqua e quindi evita il rischio di compromettere la stabilità<br />
della piattaforma. Un particolare importante di questi sistemi — presenti soprattutto<br />
nei locali dell’apparato motore e di generazione dell’energia elettrica — è la presenza<br />
di sensori all’infrarosso collegati a una centralina di analisi e controllo che attiva rapidissimamente<br />
l’agente soppressore, normalmente HALON 1301: la loro efficacia è<br />
dimostrata dall’elevata diffusione a bordo di numerose unità navali e dall’efficace<br />
intervento in diverse condizioni reali. Un concetto differente ma ancora denominato<br />
AFSS è quello attuato sui futuri cacciatorpediniere lanciamissili statunitensi classe<br />
«Zumwalt», dove il sistema rileva automaticamente avarie nel circuito antincendio,<br />
procedendo autonomamente all’isolamento del componente danneggiato (pompe,<br />
tubolatura, valvola o altro) e alla riconfigurazione dell’intero circuito, senza intervento<br />
dell’operatore. Un approccio concettuale similare è stato adottato sulle unità classe<br />
«Type 45/Daring» ma riguarda i principali fluidi in circolazione nei sistemi di piattaforma,<br />
cioè il circuito antincendio, l’acqua di refrigerazione, il combustibile e l’olio<br />
lubrificante.<br />
Un altro elemento importante in materia di sopravvivenza e vulnerabilità riguarda<br />
la corazzatura, diffusa dopo la seconda guerra mondiale soltanto su unità di grandi<br />
dimensioni quali le portaerei statunitensi e i grossi incrociatori classe «Kirov» della<br />
<strong>Marina</strong> sovietica/russa. Al giorno d’oggi, la minaccia riguarda non solo i missili antinave<br />
e le batterie costiere — contrastabile soltanto con una corazzatura consistente<br />
che aumenterebbe oltre misura i pesi — ma anche quella derivante di armi leggere<br />
normalmente usate da pirati, terroristi e miliziani. Una misura «provvisoria» ha<br />
riguardato l’adozione di piastre di kevlar per proteggere aree sensibili localizzate<br />
soprattutto nella zona prodiera delle sovrastrutture (5), mentre adesso la tendenza —<br />
soprattutto dopo le lezioni apprese dai conflitti delle Falklands e del Golfo Persico —<br />
è concentrata sull’adozione di piastre d’acciaio, distribuite per proteggere la plancia e<br />
i componenti vitali del sistema di combattimento. L’adozione di misure di protezione<br />
balistica in acciaio per le tughe non deve però compromettere le caratteristiche di stabilità<br />
della piattaforma — evitare i pesi in alto — e presenta anche problemi di collegamento<br />
con strutture in compositi e di adattamento dimensionale per soddisfare i<br />
requisiti di stealthness (6). Una nuova tendenza in questo settore riguarda l’adozione<br />
di pannelli elastomerici incollati su piastre d’acciaio che oltre a offrire adeguata prote-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il cacciatorpediniere lanciamissili britannico DARING. Le unità della classe sono equipaggiate<br />
con un sistema automatico per l’isolamento dei componenti danneggiati all’interno dei circuiti relativi<br />
ai principali fluidi in circolazione nei sistemi di piattaforma (BAE Systems)<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
69
70 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
zione balistica sono leggeri e facilmente configurabili in funzione della conformazione<br />
e della superficie da proteggere: questi pannelli sono al momento presenti sulle<br />
unità britanniche classe «Daring/Type 45» e su quelle danesi classe «Absalon».<br />
Per quanto riguarda infine la minaccia delle esplosioni subacquee (mine e siluri), le<br />
doti di sopravvivenza curate attraverso misure generiche quali ridondanza, compartimentazione<br />
e integrità delle zone, nonché con accorgimenti specifici aggiuntivi quali<br />
sospensioni antishock e strutture scatolari per proteggere macchinari, computers e<br />
altri componenti vitali dei sistemi di piattaforma e di combattimento.<br />
L’esame dei vari aspetti concreti e tendenziali che concorrono ad accrescere la<br />
sopravvivenza di una moderna unità militare evidenzia i crescenti requisiti in materia<br />
di spazi e pesi. L’attuazione di tutte le nuove soluzioni implica inevitabilmente maggior<br />
volume e peso dedicato a singoli elementi innovativi quali paratie, porte stagne,<br />
gallerie, piastre per la protezione balistica e sistemi AFSS (con relativi automatismi e<br />
cablaggi) che si ripercuote direttamente sulle dimensioni lineari della piattaforma —<br />
lunghezza e larghezza — e sul suo dislocamento. Come si vedrà più approfonditamente<br />
confrontando i progetti di ieri e quelli di oggi, una fregata di nuova costruzione<br />
ha una lunghezza fuori tutto mediamente oscillante attorno a 140 m, una larghezza<br />
massima di circa 20 m e un dislocamento a pieno carico che può spingersi fino a circa<br />
5.600 t, mentre trent’anni fa questi valori — spesso relativi a unità ancora in linea —<br />
si attestavano rispettivamente su 123 m, 13 m e 3.200 t.<br />
L’applicazione di nuove tecnologie e l’esecuzione di studi specialistici stanno progressivamente<br />
contribuendo a migliorare drasticamente le doti di sopravvivenza di<br />
una nave da guerra, ripristinandone le capacità operative anche dopo aver sostenuto<br />
danni provocati da colpo a bordo, una possibilità a cui si era rinunciato nel secondo<br />
dopoguerra. Uno sforzo enorme è stato compiuto anche nello sviluppo di strumenti di<br />
modellizzazione e simulazione capaci di riprodurre un’ampia gamma di processi fisici<br />
derivanti dai danni primari e secondari. Comunque, qualsiasi miglioramento teorico<br />
garantito in fase progettuale e costruttiva può essere significamene validato soltanto<br />
attraverso un effettivo ed efficace addestramento sul controllo danni e adeguate campagne<br />
di prova, e tutto ciò riconduce ancora una volta alla professionalità e alla dedizione<br />
degli equipaggi.<br />
La segnatura globale: generalità<br />
Il debutto delle tecnologie stealth in campo militare si è avuto quasi contemporaneamente<br />
sulle piattaforme aeree e navali — le prime più pubblicizzate delle seconde<br />
— e, come conseguenza dei vari episodi che nel recente passato hanno dimostrato<br />
l’efficacia dei missili antinave, le principali Marine occidentali hanno incrementato i<br />
loro sforzi per migliorare i relativi sistemi di difesa, seguendo concetti differenti ma<br />
complementari. Da una parte sono stati sviluppate misure attive per distruggere fisicamente<br />
o ingannare gli ordigni avversari (i cosiddetti sistemi hard kill e soft kill), mentre<br />
sotto il profilo progettuale si è cercato di rendere le unità navali «invisibili» o<br />
stealth ai sistemi di s<strong>cop</strong>erta avversari — o comunque di ritardarne la s<strong>cop</strong>erta — e<br />
contribuire perciò a migliorarne le capacità globali di sopravvivenza della piattaforma<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La fregata francese GUEPRATTE, appartenente alla classe «La Fayette» che, sotto il profilo progettuale,<br />
rappresenta la pietra militare per l’adozione delle misure mirate a ridurre la superficie radar equivalente<br />
della piattaforma (Marine Nationale).<br />
(7). Lo s<strong>cop</strong>o principale della stealthness navale rimane perciò la riduzione della<br />
suscettibilità della piattaforma alla s<strong>cop</strong>erta avversaria, il correlato miglioramento<br />
delle doti di sopravvivenza e la conseguente attenuazione delle esigenze di autodifesa.<br />
I requisiti specifici per una determinata unità navale dipendono dagli scenari operativi<br />
in cui essa sarà chiamata presumibilmente a operare e dalle relative minacce da fronteggiare.<br />
Un approccio equilibrato verso la stealthness navale deve essere quindi basato<br />
sull’armonizzazione di alcune misure, di cui la principale riguarda proprio l’abbattimento<br />
della segnatura complessiva della piattaforma. Il progettista navale è perciò<br />
chiamato a concepire e disegnare un’unità in maniera che tale segnatura possa essere<br />
ridotta in tutte le sue componenti, in modo da ottenere due risultati fra loro correlati:<br />
— ritardare al massimo la s<strong>cop</strong>erta dell’unità-bersaglio da parte dei vari tipi di sensori<br />
di attivazione e guida normalmente usati dai missili, dai siluri e dalle mine, e complicarne<br />
quindi le condizioni d’impiego verso la predetta unità;<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
71
72 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Particolare della sovrastruttura prodiera di una cacciatorpediniere spagnolo classe<br />
«A. Bazan». Il valore della superficie radar equivalente di un’unità navale è pesantemente<br />
influenzato dalla disposizioni di armi, sensori e stutture d’allestimento (Archivio<br />
Autore).<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
— aumentare di conseguenza i tempi di reazione dell’unità-bersaglio, in modo da<br />
poter predisporre e mettere in pratica le necessarie contromisure per ingaggiare e/o<br />
ingannare gli ordigni. Le moderne unità combattenti di superficie sono caratterizzate<br />
da una segnatura globale — la propria «firma» — formata da sette diverse componenti,<br />
raggruppate in due grandi famiglie (segnature di superficie e subacquee) ciascuna<br />
relativa a un particolare tipo di emissione e ciascuna in grado di essere minimizzata.<br />
Le segnature di superficie comprendono:<br />
— segnatura ottica, nelle ore diurne, una nave è facilmente identificabile, anche perché<br />
grazie alla persistenza della scia, essa è otticamente visibile da sensori posizionati<br />
a bordo di elicotteri, aeroplani, satelliti da ricognizione o anche unità navali (8);<br />
— segnatura radar, legata alla quantità di energia riflessa da un’unità navale colpita<br />
dall’energia elettromagnetica irradiata da un radar illuminante e si esprime mediante<br />
la «superficie radar equivalente» Radar Cross Section, RCS (9). Poiché la maggior<br />
parte dei missili antinave impiega un sensore radar per la guida terminale, l’abbattimento<br />
della RCS di un’unità navale diventa quindi uno dei fattori principali di cui<br />
occorre tener conto nella fase progettuale;<br />
— segnatura termica o IR (infrarosso), principalmente generata dalle condotte di scarico<br />
dei gas dell’apparato motore e dal pennacchio che fuoriesce da esse. Altre sorgenti<br />
di emissioni IR presenti a bordo possono essere quelle zone dello scafo e delle<br />
sovrastrutture eventualmente riscaldate dall’irraggiamento solare nelle ore diurne, i<br />
radome dei sensori molto potenti, la finestratura della plancia, gli scarichi delle condotte<br />
di ventilazione e le zone dello scafo in prossimità del sistema propulsivo;<br />
— segnatura elettronica, generata dagli apparati di un’unità che irradiano energia elettromagnetica<br />
in aria per s<strong>cop</strong>i diversi (comunicazioni, sorveglianza radar, direzione<br />
del tiro).<br />
A sua volta, la famiglia delle segnature subacquee è formata dalle seguenti componenti:<br />
— segnatura acustica, causata dal rumore che impianti e macchinari (catena propulsiva<br />
e impianti ausiliari, comprese le numerosissime tubolature entro le quali circolano<br />
tutti i diversi tipi di fluidi normalmente utilizzati a bordo di una qualsiasi unità navale<br />
in funzione all’interno dello scafo) irradiano nella massa d’acqua circostante, nonché<br />
dal moto delle eliche (10). In qualsiasi macchinario, sebbene frutto di un ottimo progetto<br />
e di un’accurata costruzione, raramente i componenti rotanti vengono bilanciati<br />
in maniera perfetta; gli elementi «sbilanciati» creano quindi forze dinamiche proporzionali<br />
alla loro massa e alla loro distanza dall’asse di rotazione. Ciascun tipo di macchinario<br />
genera inoltre rumore a determinate frequenze, dette tonalità, relative, per<br />
esempio, agli ingranaggi riduttori, alle pale delle turbine o ai motori elettrici; ai fini<br />
della riduzione del rumore, per ognuno di essi occorre però considerare un valore di<br />
velocità inferiore a quello in cui insorge la cavitazione delle eliche, perché il rumore<br />
irradiato provocato da tale fenomeno è preponderante rispetto a quello dei suddetti<br />
macchinari.<br />
— segnatura magnetica, un’unità navale é sostanzialmente una massa metallica che,<br />
al suo passaggio in una determinata zona, genera una forza magnetica di intensità e<br />
direzione note che altera il campo magnetico terrestre in quella zona, un effetto noto<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
73
74 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
come componente indotta, fissa e variabile della segnatura stessa e che viene sfruttato<br />
da alcuni fra i meccanismi di attivazione delle mine navali;<br />
— segnatura barica, provocata dall’onda di pressione generata da un’unità navale al<br />
suo passaggio in un determinato punto e che produce un aumento della pressione<br />
locale direttamente proporzionale alla massa d’acqua spostata e quindi alle dimensioni<br />
della piattaforma. Anche quest’effetto viene sfruttato dalle mine provviste di un congegno<br />
d’influenza a induzione barica.<br />
Abbattimento e gestione delle segnature di superficie<br />
Tramontato il concetto di una mimetizzazione estesa, in voga durante l’ultimo conflitto<br />
mondiale e impiegata per confondere l’avversario sulle dimensioni e caratteristiche<br />
generali della piattaforma, il principale — e forse unico — sistema per attenuare<br />
la «segnatura ottica» di una nave in condizioni di visibilità diurna è l’adozione di particolari<br />
tonalità di colore per la pitturazione, in modo da smorzare il contrasto rispetto<br />
all’ambiente circostante e rendere perciò più difficile la s<strong>cop</strong>erta tramite sensori elettro-ottici:<br />
un vantaggio relativamente limitato deriva inoltre dall’adozione di un progetto<br />
di elica che assicura la massima efficienza con un basso numero di giri e di adeguate<br />
forme poppiere di scafo, in modo quindi da evitare l’insorgenza di una scia<br />
troppo «vistosa». L’obiettivo massimo nella riduzione della «segnatura radar» — e<br />
quindi della RCS di una nave di superficie — è di giungere quasi allo stesso valore<br />
della RCS dell’ambiente circostante — cioè il mare — in modo da renderne quasi<br />
impossibile la s<strong>cop</strong>erta o la discriminazione da parte dei sensori di guida dei missili<br />
antinave. In una nave tipo fregata costruita in maniera convenzionale, il valore della<br />
RCS è di circa 45 dBmq (pari a circa 25.000 mq), ma l’applicazione delle tecnologie<br />
stealth può farlo diminuire fino a 30 dBmq (circa 1.000 mq) o anche 25 dBmq (circa<br />
500 mq). Tuttavia, una nave totalmente stealth sarebbe molto onerosa da realizzare e<br />
la sua operatività altrettanto limitata. I requisiti per la riduzione della RCS rimangono<br />
comunque stringenti e le relative misure vanno applicate già nelle fasi iniziali di progetto<br />
della nave, quando viene determinata la configurazione di scafo, sovrastrutture,<br />
alberi e fumaioli. Le regole principali da seguire per ottenere una bassa RCS riguardano<br />
l’abolizione di tutti gli angoli retti e delle curvature per prevenire la riflessione<br />
multipla delle onde radar, la limitazione delle superfici con differenti angoli d’inclinazione<br />
e l’impiego di materiali e vernici radar assorbenti (11); l’obiettivo generale da<br />
perseguire rimane la concentrazione degli echi di ritorno del radar verso direzioni predeterminate<br />
e comunque non verso gli apparati illuminanti, siano essi sensori di sorveglianza,<br />
di direzione del tiro e di guida dei missili antinave.<br />
Il valore della RCS è inoltre pesantemente influenzato dalla disposizione delle<br />
armi, dei sensori e delle attrezzature d’allestimento sul ponte di <strong>cop</strong>erta e sulle sovrastrutture,<br />
che possono contribuire anche fino al 99% del suddetto valore totale: fino a<br />
metà circa degli anni Novanta, i produttori di sistemi e impianti stealth destinati all’allestimento<br />
erano pochissimi e la loro integrazione a bordo aveva perciò bisogno di<br />
accorgimenti aggiuntivi (posizionamento, schermatura con materiali radar-assorbenti,<br />
ecc.) per evitare un indesiderato aumento del valore di RCS rispetto a quello ottenuto<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La fregata FORMIDABLE della <strong>Marina</strong> di Singapore (in primo piano), in navigazione assieme<br />
a una fregata indiana classe «Nilgiri», in un’immagine che permette di apprezzare la differente filosofia<br />
progettuale fra il passato e il presente (US Navy).<br />
configurando scafo e sovrastrutture secondo le regole basilari. Oltre a un’adeguata<br />
configurazione delle sovrastrutture e del loro raccordo con lo scafo, altre misure adesso<br />
normalmente utilizzate per ridurre la RCS comprendono la <strong>cop</strong>ertura delle aree<br />
destinate all’ormeggio a prora e poppa (utilizzando cime e cavi attraverso portelli laterali<br />
normalmente chiusi in navigazione), la schermatura delle zone centrali (in modo<br />
da non rilevare la presenza di motobarche, gommoni, attrezzature per il rifornimento<br />
laterale), la parziale eliminazione di corrimano, draglie e altre attrezzature marinaresche<br />
e l’adozione di materiali e tecnologie che consentono di incorporare in un’unica<br />
struttura convenientemente sagomata i sensori per la sorveglianza, la guerra elettronica<br />
e le comunicazioni.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
75
76 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Prova del sistema «Prairie» attorno a un’elica su un cacciatorpediniere<br />
statunitense, una tecnica mirata all’abbattimento della segnatura acustica<br />
(Archivio Autore).<br />
Tutto ciò comporta un<br />
radicale distacco dalle<br />
tecniche di progettazione<br />
e integrazione<br />
dei sistemi usate in<br />
precedenza nella realizzazione<br />
di un’unità<br />
militare di superficie<br />
perché, per esempio, il<br />
personale non ha più<br />
motivo di circolare sui<br />
ponti s<strong>cop</strong>erti, mentre<br />
gli unici elementi<br />
cospicui diventano le<br />
torri d’artiglieria,<br />
peraltro anch’esse<br />
oggetto di numerosi<br />
accorgimenti tecnologici<br />
specificamente<br />
mirati a ridurne il<br />
valore di RCS. In termini<br />
generali, l’adozione<br />
delle tecnologie<br />
stealth porta a un<br />
aumento dei costi e<br />
delle dimensioni della<br />
nave, ma quest’aspetto<br />
può essere utilmente<br />
sfruttato per introdurre<br />
ulteriori misure atte a<br />
garantirne la sopravvivenza<br />
e la difesa passiva,<br />
senza ricorrere a<br />
ulteriori oneri: l’esigenza<br />
di eliminare gli<br />
spot radarabili può stimolare lo sviluppo di impianti e apparati facilmente integrabili<br />
sin all’inizio a bordo di un’unità stealth, come per esempio missili superficie-superficie<br />
lanciabili verticalmente anziché dai tradizionali lanciatori/contenitori e relative<br />
rampe che, così come configurati adesso, possono costituire un saliente elemento di<br />
discontinuità nello sviluppo armonico delle linee progettuali di una moderna unità<br />
navale. Oltre che con l’adozione delle regole elencate, la riduzione della RCS può<br />
essere ottenuta dall’impiego di vari tipi di materiali speciali applicabili in quelle zone<br />
delle nuove unità dove non è possibile spingersi oltre un certo limite nella sagomatura<br />
appropriata: detti materiali sono utilizzabili anche su unità già in servizio da qualche<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un’unità svedese classe «Visby», unica, al momento, applicazione concreta dell’approccio olistico<br />
in materia di suscettibilità e vulnerabilità della piattaforma (Kockums).<br />
tempo — quindi costruite in maniera tradizionale — e di cui si vuole in qualche modo<br />
abbattere la segnatura radar. Si tratta dei RAM, radar absorbing materials (che attenuano<br />
fino a 12dbmq l’energia riflessa dalle onde radar e possono essere applicati<br />
sotto forma di pannelli e vernici) e dei RTM, radar transparent materials (di cui sono<br />
fatti tutti quelli accessori di cui non si può fare a meno, quali alberature, motobarche,<br />
gru, basamenti, ecc.); dalla tecnologia aeronautica e dei mezzi terrestri sono inoltre<br />
derivati le RAST, radar absorbing structures, con cui è possibile realizzare parti di<br />
sovrastrutture, fumaioli, alberi e supporti, ma la cui diffusione è limitata dai costi elevati.<br />
Il metodo principale per ridurre la «segnatura IR» consiste nel raffreddamento dei<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
77
78 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
gas di scarico nel loro percorso verso l’esterno e delle condotte dove transitano tali<br />
gas; a ciò si aggiungono le misure di isolamento termico delle motrici (turbine a gas<br />
e/o motori diesel), anche attraverso la loro sistemazione all’interno di contenitori isolanti,<br />
mentre l’irraggiamento dello scafo e delle sovrastrutture può essere evitato<br />
ricorrendo a vernici a bassa riflettività nelle bande di frequenza tipiche dei riflessi<br />
solari. In questo caso, l’obiettivo è quello di abbattere la segnatura IR almeno fino a<br />
un valore inferiore a quello appositamente generato dall’impiego delle contromisure<br />
IR, nelle due «finestre» di propagazione, fra 3 e 5 micron e fra 8 e 14 micron.<br />
Una misura sicuramente efficace riguarda l’adozione di un sistema propulsivo in<br />
cui almeno una parte delle motrici è configurata con le condotte che scaricano sulle<br />
murate e nello specchio di poppa, al di sopra della linea di galleggiamento e dunque<br />
in una zona a temperatura comunque inferiore delle altre zone della nave. Questa configurazione<br />
potrebbe però creare problemi di anomala diffusione del pennacchio a<br />
seconda del vento, nonché generare eccessive sollecitazioni di natura termica sul<br />
fasciame esterno e sulle strutture prossime allo scarico (12).<br />
L’abbattimento della «segnatura elettronica» è sostanzialmente perseguibile attraverso<br />
un uso «moderato» dei sistemi radianti, tenendo tuttavia presente che un’unità<br />
navale deve poter controllare attivamente lo spazio circostante e comunicare con altre<br />
unità navali, aerei e stazioni a terra; un espediente normalmente utilizzato è il ricorso<br />
alle procedure EMCON (EMission CONtrol), cioè il totale silenzio radar e radio per<br />
un periodo di tempo limitato, durante il quale le intenzioni dell’avversario possono<br />
essere rivelate solo mediante la s<strong>cop</strong>erta ottica e l’intercettazione passiva delle sue<br />
emissioni radio e radar o la ricezione di informazioni tramite data link da un’altra<br />
piattaforma navale o aerea.<br />
Abbattimento e gestione delle segnature subacquee<br />
I metodi per la riduzione della «segnatura subacquea» rientrano in due categorie:<br />
misure passive e misure di controllo attivo. Negli ultimi anni, la tecnologia delle<br />
sospensioni elastiche ha fatto passi da gigante, permettendo la realizzazione di supporti<br />
antivibranti di ottime qualità che consentono di ridurre passivamente il rumore,<br />
mentre fra le misure di tipo attivo, vanno ricordati gli attuatori dinamicamente controllati<br />
in funzione del regime vibratorio generato dai macchinari e da contrastare e<br />
che danno origine a una forza uguale e contraria necessaria a smorzare la vibrazione;<br />
poiché il livello vibratorio di un macchinario varia in funzione della variazione di<br />
potenza erogata, la forza generata dall’attuatore si comporterà di conseguenza.<br />
Dovendo ovviamente far affidamento su una serie di sensori e attuatori, l’intero processo<br />
di controllo attivo viene gestito elettronicamente, mentre gli attuatori impiegabili<br />
possono essere di tipo idraulico, pneumatico, piezoelettrico ed elettromagnetico,<br />
ciascuno con i propri svantaggi e vantaggi eliminabili mediante la combinazione di<br />
due o più categorie. Il risultato di queste innovazioni e l’utilizzazione di sistemi di<br />
doppia sospensione elastica sia per le motrici sia per i riduttori consente un abbattimento<br />
anche di 20-30 dB del rumore irradiato direttamente in acqua. Un altro metodo<br />
di controllo attivo riguarda l’impiego di cuscinetti magnetici al posto di quelli mecca-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Immagine al computer di un’unità statunitense classe «Zumwalt», le cui linee sembrano sintetizzare<br />
un concetto di stealthness «estrema» applicato a una piattaforma di notevoli dimensioni (Northrop<br />
Grumman).<br />
nici tradizionali che, a determinate frequenze di rotazione del macchinario su cui sono<br />
montati, possono generare vibrazioni trasmesse allo scafo; sui cuscinetti magnetici,<br />
un campo magnetico permette alle parti rotanti di evitare il contatto con quelle fisse,<br />
eliminando quindi l’eventuale trasmissione di livelli vibratori.<br />
L’abbattimento del rumore irradiato in aria dai macchinari — anch’esso successivamente<br />
irradiato in acqua attraverso lo scafo — viene invece ottenuto sia mediante<br />
l’applicazione di appositi materiali isolanti sul fasciame interno dello scafo che tramite<br />
l’alloggiamento delle motrici nei box insonorizzanti e isolanti di cui si è detto in<br />
precedenza. Un’ulteriore tecnologia sfruttata per l’abbattimento della segnatura acustica<br />
è stata perfezionata negli Stati Uniti con la costruzione delle prime unità interamente<br />
propulse da turbine a gas — i cacciatorpediniere classe «Spruance» — e<br />
riguarda l’insufflazione di aria ad alta pressione, spillata dalle turbine stesse, attorno<br />
allo scafo (sistema «Masker») e alle estremità delle pale delle eliche (il già citato<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
79
80 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
«Prairie»). Altre soluzioni innovative tecnologiche di cui hanno beneficiato i sistemi<br />
propulsivi misti motori diesel e turbine a gas riguardano i giunti d’ac<strong>cop</strong>piamento fra<br />
motori diesel e riduttori e l’adozione di un’unica turbina a gas con connessione incrociata<br />
per azionare entrambi gli assi. L’abbattimento delle varie componenti della<br />
«segnatura magnetica» avviene attraverso apposite cinture di smagnetizzazione installato<br />
lungo il perimetro dello scafo e il ricorso a campagne di smagnetizzazione in<br />
appositi poligoni di smagnetizzazione, mentre l’unica tecnologia attualmente esistente<br />
per ovviare al problema della «segnatura barica» è quello di ricorrere a forme di scafo<br />
poco «turbolente».<br />
Altre segnature non acustiche strettamente connesse con quella magnetica e di crescente<br />
interesse perché collegate ai congegni d’innesco delle mine sono la segnatura<br />
elettrostatica, quella legata alla corrosione (CRM, corrosion related segnature) e quella<br />
elettromagnetica a bassissima frequenza (ELFE, extremely low frequency electromagnetic).<br />
La prima è attribuibile ai materiali usati per la costruzione dello scafo e al<br />
tipo di impianto anticorrosione, e la sua riduzione può essere conseguita adottando un<br />
efficace sistema di protezione catodica: la segnatura CRM è sempre un fenomeno di<br />
elettricità statica e si abbatte con la predetta protezione catodica, mentre la segnatura<br />
ELFE viene generata dalle correnti elettriche che scorrono nell’asse portaelica e che<br />
si propagano attraverso il cuscinetto reggispinta. Oltre alla protezione catodica, la<br />
riduzione di tutte le segnature elettromagnetica si ottiene comunque mediante periodici<br />
trattamenti di deperming o facendo ricorso, ove possibile, a materiali costruttivi<br />
non ferrosi.<br />
Quale soluzione ?<br />
I conflitti dell’era moderna hanno evidenziato per il naviglio militare l’esigenza di<br />
possedere adeguate doti di sopravvivenza da tutte le forme di minaccia prevedibili.<br />
L’uso della tecnologia stealth non rappresenta la panacea di tutti i mali, perché a<br />
causa delle leggi fisiche e dei costi elevati, essa non si può applicare integralmente a<br />
tutti gli assetti navali da proteggere; missili antinave, siluri e mine vengono inoltre<br />
continuamente sottoposti a migliorie e aggiornamenti per aumentare le capacità<br />
discriminatorie dei loro sensori di guida e per dotare anch’essi di caratteristiche<br />
stealth nei confronti dei sistemi di s<strong>cop</strong>erta imbarcati e aeroportati. La tecnologia<br />
stealth offre comunque numerose opzioni, commisurate al grado di protezione desiderabile,<br />
al tipo di unità da proteggere e alle disponibilità finanziarie. Il concetto ispiratore,<br />
legato alla protezione delle unità navali contro missili, siluri e mine, riguarda<br />
comunque la corretta integrazione fra tecnologie stealth e sistemi di contromisure soft<br />
e kill, senza dimenticare che l’idonea gestione della segnatura e delle altre tecnologie<br />
disponibili, oltre a garantire maggiori possibilità di sopravvivenza, costringerà l’avversario<br />
a investire più risorse per conseguire il proprio s<strong>cop</strong>o.<br />
Dal punto di vista puramente progettuale, appare evidente l’esigenza di adottare un<br />
approccio olistico già sin dalle fasi iniziali del progetto, attraverso la definizione di<br />
requisiti/obiettivi realistici in termini di suscettibilità (a sua volta funzione delle varie<br />
segnature) e vulnerabilità (legata ai danni da incendio ed esplosione sopra e sotto la<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
superficie) e la successiva analisi della migliore configurazione in materia di forme e<br />
disegno dello scafo e delle sovrastrutture, scelta dei materiali e del sistema propulsivo:<br />
è chiaro che si tratta di aspetti fra loro correlati e da analizzare in parallelo, attraverso<br />
un processo di successive iterazioni che alla fine porterà a scelte frutto di compromesso<br />
fra le varie esigenze operative e tecniche. In questo Capitolo sono state più<br />
volte citate le classi di moderne unità navali maggiori che hanno beneficiato di una o<br />
più innovazioni tecnologiche nei settori della sopravvivenza e della stealthness, ma le<br />
limitazioni intrinseche derivanti dalle dimensioni della piattaforma e delle funzioni<br />
che queste unità sono e saranno chiamate a svolgere, porta a evidenziare che fino a<br />
questo momento l’unica applicazione concreta dell’approccio olistico si riscontra<br />
sulle corvette svedesi classe «Visby». In questo caso, l’approccio è forse stato facilità<br />
dalle dimensioni delle unità (73 m di lunghezza, 650 t di dislocamento), che le pone<br />
ben al disotto della soglia minima dimensionale considerata per questo studio, ma<br />
secondo le intenzioni dei progettisti svedesi, le «Visby» rappresentano il punto di partenza<br />
e il modello di riferimento per applicare il medesimo approccio per le successive<br />
evoluzioni della specie, cioè nel disegno di piattaforme che si dovrebbero evolversi<br />
fino a 104 m di lunghezza e 2.200 t di dislocamento. Esistono peraltro alcune idee e<br />
ipotesi progettuali per qualcosa di più grosso, fermo restando che il complesso dei<br />
benefici derivanti da quest’approccio rimane sintetizzabile nel miglioramento delle<br />
doti di sopravvivenza complessiva, delle capacità operative multifunzionali globali e<br />
delle prestazioni dei propri sensori e sistemi.<br />
NOTE<br />
(1) I danni dovuti a un colpo a bordo possono essere di due tipi: danni primari (provocati dalla penetrazione<br />
e dall’esplosione della testata bellica, dalle schegge, dall’onda di calore, ecc.) e danni secondari<br />
(che si sviluppano di conseguenza ai primi e includono la diffusione di incendi, allagamento, fumo, ecc.).<br />
In generale, i danni primari si manifestano in decimillesimi di secondo, mentre quelli secondari si sviluppano<br />
in tempi molto più lunghi.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
81
82 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
(2) Rilevante a tal proposito è stata la campagna di prove condotta dalla <strong>Marina</strong> <strong>Militare</strong> negli anni<br />
Novanta utilizzando l’ex—fregata Margottini (che ha dato il nome ai Mar-test), contro la quale sono stati<br />
lanciati missili antinave e aria—superficie e utilizzate diversi tipi di cariche esplosive.<br />
(3) Oltre a quest’accorgimento, le unità tedesche e olandesi beneficiano di una struttura di scafo su quattro<br />
ponti, che contribuisce ad aumentare la rigidezza e la resistenza complessiva (le unità norvegesi,<br />
dimensionalmente più contenute, adottano una struttura su tre ponti).<br />
(4) Anche sul naviglio mercantile e pure in tempo di pace.<br />
(5) Le prime unità equipaggiate con piastre di kevlar da 19 mm sono state le fregate classe «Perry»<br />
seguite da tutte le successive classi di unità maggiori statunitensi e dalle «La Fayette» francesi.<br />
(6) L’adozione di piastre in kevlar richiede inoltre un trattamento periodico dovuto all’esposizione<br />
all’ambiente marino.<br />
(7) In effetti la tecnologia stealth è stata largamente usata nel corso della storia, come per esempio la<br />
mimetizzazione e altri metodi utilizzati per impedire all’avversario un’esatta valutazione delle dimensioni,<br />
intenzioni e capacità delle opposte forze e mezzi militari. Inoltre, nel corso della storia, la vastità degli<br />
oceani è stata sempre sfruttata per celarsi all’avversario.<br />
(8) A titolo d’esempio, poiché l’orizzonte radar (espresso in mg) é pari a 1,2 volte la radice quadrata dell’altezza<br />
dell’antenna (espressa in piedi), un radar di moderata potenza in dotazione a un velivolo che<br />
opera ad una quota di 30.000 piedi (circa 9 000 m) è capace di s<strong>cop</strong>rire un’unità navale a una distanza di<br />
200 mg.<br />
(9) L’intensità della segnatura radar è influenzata dalle dimensioni dell’unità illuminata, dal suo orientamento<br />
angolare rispetto al fascio illuminante, dal coefficiente di assorbimento del materiale della struttura<br />
illuminata e dalla frequenza del radar illuminante.<br />
(10) La propagazione del rumore segue delle leggi ben precise, si può diffondere anche a considerevole<br />
distanza dalla sorgente emittente e rappresenta uno dei sistemi sfruttati per la configurazione dei sensori di<br />
ricerca acustica dei siluri, cioè l’equivalente del sensore di guida terminale installato sui missili antinave.<br />
(11) La prima applicazione concreta delle misure e delle tecnologie per abbattere la RCS di un’unità<br />
combattente di superficie è storicamente attribuita alle fregate francesi classe «La Fayette», che hanno<br />
rappresentato il modello di riferimento per tutti i successivi progetti di fregate e cacciatorpediniere.<br />
(12) Un’innovazione tecnologica riguarda la già citata configurazione WARP del sistema propulsivo a<br />
bordo delle fregate sudafricane classe «Amatola». Gli scarichi delle tre motrici sono convogliati in un<br />
unico collettore e, opportunamente raffreddati fino a 20°, fuoriescono dallo specchio di poppa, poco al<br />
disopra dell’idrogetto, dove altre zone dello scafo e delle sovrastrutture non possono essere investite e<br />
riscaldate dal pennacchio.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 5<br />
SOPRA IL PONTE DI COPERTA<br />
na delle più immediate conseguenze — e forse quella che ha il maggior impatto<br />
Usul disegno complessivo di un’unità militare — derivante dalle misure adottate<br />
per abbattere i principali componenti della segnatura globale riguarda la configurazione<br />
delle sovrastrutture, cioè di tutto quello che c’è al di sopra del ponte di <strong>cop</strong>erta e<br />
che rappresenta anche l’«immagine» più nota di una nave da guerra, dunque quello<br />
Il massiccio albero<br />
del cacciatorpediniere<br />
lanciamissili britannico<br />
DARING. Il progetto<br />
delle sovrastrutture<br />
di una moderna nave<br />
da guerra deve tener conto<br />
di molteplici fattori<br />
fra loro correlati<br />
(BAE Systems).<br />
83
84 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
A sinistra:<br />
Immagine al computer<br />
di uno dei due sistemi da 155<br />
mm previsti per le unità classe<br />
«Zumwalt». L’insieme<br />
delle combinazioni fra angoli<br />
di brandeggio ed elevazione<br />
di artiglierie e sistemi<br />
missilistici è legato in modo<br />
indissolubile alla geometria<br />
delle sovrastrutture (NG).<br />
A destra:<br />
Un UUVs per le contromisure<br />
mine imbarcato<br />
su un cacciatorpediniere<br />
statunitense. Questi sistemi<br />
necessitano di adeguate<br />
interfacce fra la piattaforma<br />
e l’ambiente esterno<br />
che rappresentano spesso<br />
un elemento di criticità tecnica<br />
(US Navy).<br />
che un osservatore esterno è in grado di apprezzare immediatamente. D’altra parte, la<br />
configurazione delle sovrastrutture è pesantemente influenzata dalla disposizione di<br />
armi, sensori ed equipaggiamenti di vario tipo, secondo regole che nel corso dei<br />
decenni hanno visto una radicale trasformazione incentrata sulla progressiva sostituzione<br />
delle tradizionali torri d’artiglieria con un numero sempre crescente di sensori<br />
elettronici e sistemi vari (compresi quelli missilistici) e con l’<strong>introduzione</strong> dell’elicottero<br />
imbarcato. Ecco quindi che il progetto delle sovrastrutture deve tener conto di<br />
molteplici fattori fra loro correlati, ma una chiara tendenza che sta emergendo riguarda<br />
l’amalgama fra tre grandi famiglie di elementi (armi, sensori e altri componenti del<br />
«carico utile» di una nave da guerra di recente <strong>introduzione</strong>) e le stesse sovrastrutture,<br />
in modo da ottenere un unico disegno integrato che risponda ai requisiti tecnici e operativi<br />
legati alla loro funzionalità ottimale in un contesto di ridotta segnatura globale.<br />
A questo punto e senza entrare in un dettaglio che esulerebbe dal contenuto di questo<br />
Supplemento, è interessante esaminare le tendenze emergenti in ciascuna delle tre<br />
famiglie citate poco più sopra.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Cannoni e missili<br />
Ancora mezzo secolo fa, la potenza di una nave da guerra era prevalentemente<br />
apprezzata come potenza di fuoco esprimibile in funzione delle artiglierie imbarcate,<br />
mentre i sistemi missilistici — dedicati al contrasto della minaccia aerea — facevano<br />
la loro timida comparsa a bordo di incrociatori e cacciatorpediniere di prevalente<br />
matrice statunitense. La tendenza generale è stata una riduzione generalizzata delle<br />
torri d’artiglieria e dei relativi calibri, al punto tale che le moderne unità combattenti<br />
di superficie sono spesso dotate di un’unica torre da 76 e 127 mm (1): si è assistito<br />
contemporaneamente alla progressiva <strong>introduzione</strong> delle rampe — singole, binate o<br />
multiple — e delle attrezzature per sistemi missilistici dedicati non solo alla difesa<br />
antiaerea, ma anche al contrasto antinave, alla lotta antisommergibile, alla difesa di<br />
punto contro minacce missilistiche e all’attacco contro bersagli terrestri. Di conseguenza,<br />
quando si affronta il problema della collocazione di uno o più «sistemi d’arma»<br />
nell’ambito del progetto dell’unità navale la soluzione risiede in una logica di<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
85
86 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Uno fra gli aspetti innovativi della sistemistica navale che ha avuto l’impatto più importante in termini<br />
di progetto navale militare è stato l’<strong>introduzione</strong> dei complessi di lancio verticale per i missili, come quello<br />
imbarcato sul cacciatorpediniere lanciamissili italiano ANDREA DORIA, qui raffigurato (Archivio Autore).<br />
installazione che massimizzi il campo di tiro e di lancio effettivo di artiglierie e sistemi<br />
missilistici, cioè l’insieme delle combinazioni di angoli di brandeggio ed elevazione<br />
che consenta il tiro e il lancio.<br />
È dunque evidente che questo insieme di combinazioni è legato in modo indissolubile<br />
alla geometria delle sovrastrutture perché per le artiglierie occorre considerare,<br />
oltre alle caratteristiche specifiche dell’arma, il cono di vampa, la sovrappressione<br />
generata all’atto dello sparo e i margini di sicurezza: per i lanciatori missilistici, valgono<br />
le medesime considerazioni in materia di caratteristiche, mentre gli elementi<br />
d’impatto sulla geometria delle strutture comprendono la vampata al momento del<br />
lancio, le variazioni dinamiche dovuti ai movimenti della piattaforma e i consueti<br />
margini di sicurezza. La sistemazione classica della torre di medio calibro rimane<br />
quella prodiera (2), ma nei progetti di nuove e future unità navali questa regola presenta<br />
alcune eccezioni fra cui quelle principali riguardano:<br />
A lato: un UAVs ad ala rotante «Fire Scout», di prossimo imbarco su unità maggiori di superficie<br />
per ampliarne maggiormente lo spettro d’impiego (NG).<br />
Dicembre 2010
Supplemento alla Rivista Marittima
88 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
— due torri sistemate per madiere, come accade sui cacciatorpediniere lanciamissili<br />
italiani classe «Doria» e francesi classe «Forbin» (due impianti da 76 mm, a cui se ne<br />
aggiunge un terzo uguale a poppa sulle unità italiane);<br />
— una torre prodiera da 127 mm e una poppiera da 76 mm, una configurazione presente<br />
sulle fregate classe «Margottini/FREMM» italiane (3);<br />
— due torri prodiere di grosso calibro sistemate per chiglia (due sistemi da 155 mm<br />
sui futuri cacciatorpediniere statunitensi classe «Zumwalt»).<br />
Oltre all’armamento artiglieresco principale, la tendenza emersa è quella di armare<br />
anche le unità maggiori di superficie con armi di calibro ridotto (20 mm) impiegate<br />
per la difesa di punto e per il contrasto contro mezzi di superficie e antiterrorismo, ma<br />
in queste caso si cerca di seguire le considerazioni generali legate alla riduzione della<br />
segnatura radar equivalente e di limitare al massimo spot radaribili. Un’innovazione<br />
importante che riguarda i tubi per il lancio di siluri antisommergibile riguarda la<br />
scomparsa dei tradizionali lanciatori trinati brandeggiabili posizionati in <strong>cop</strong>erta —<br />
presenti anche su progetti relativamente recenti — e la loro integrazione in appositi<br />
recessi all’interno delle sovrastrutture, favorendo contestualmente lo sviluppo di sistemi<br />
automatici di caricamento che aumentano la cadenza di tiro e le prestazioni generali.<br />
Uno fra gli aspetti innovativi della sistemistica navale che ha avuto probabilmente<br />
l’impatto più importante in termini di progetto navale militare è stato l’<strong>introduzione</strong><br />
dei complessi di lancio verticale per i missili. Dal punto di vista operativo e tecnico,<br />
essi consentono di ridurre significativamente i tempi di risposta e offrono vantaggi<br />
rilevanti quali la <strong>cop</strong>ertura su 360° e quindi la possibilità di fronteggiare minacce provenienti<br />
da qualsiasi direzione e angolazione, una superiore cadenza di tiro rispetto<br />
alle rampe tradizionali e quindi maggiori capacità di fronteggiare attacchi di saturazione,<br />
un impatto minimo o addirittura nullo sulle sovrastrutture dell’unità, con conseguente<br />
beneficio in termini di riduzione della superficie radar equivalente, una<br />
minore vulnerabilità alle schegge e alle onde di pressione provocate da esplosioni, un<br />
minor numero di parti in movimento e quindi maggior affidabilità e facilità di manutenzione.<br />
A partire dagli anni Novanta si è quindi avuta una vera e propria proliferazione<br />
di sistemi missilistici a lancio verticale e ogni nuovo ordigno sviluppato da allora<br />
è stato progettato per essere impiegato in tal senso: questa considerazione è valida<br />
non soltanto per i missili superficie-aria a medio-lungo raggio ma anche per numerosi<br />
fra quelli dedicati alla difesa di punto, mentre la metodologia è stata estesa anche ai<br />
missili da crociera e alle armi antisommergibile (4).<br />
L’installazione di un sistema di lancio verticale ha normalmente un impatto elevato<br />
in termini di pesi e volumi e il suo posizionamento è concentrato nelle zone prodiera e<br />
poppiera dell’unità, nella stragrande maggioranza dei casi al di sotto del ponte di<br />
<strong>cop</strong>erta (5): i sistemi più diffusi comprendono varianti caratterizzate da diversa lunghezza<br />
e sono articolati in moduli normalmente composti da 8 celle (su due file di<br />
quattro) e tale quindi da consentire un’ampia flessibilità installativa in funzione delle<br />
A sinistra: l’UAV tattico «Scan Eagle» è lanciabile da una catapulta pneumatica e recuperabile attraverso<br />
un sistema a gancio, entrambi installabili e operabili nell’ambito degli spazi già riservati alle sistemazioni<br />
elicotteristiche presenti e previsti sulle future unità combattenti di superficie (US Navy).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
89
90 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Gli studi hanno dimostrato la possibilità di installare un cannone elettromagnetico nell’ambito<br />
dei medesimi vincoli di peso e volume utilizzati per la torre da 155 mm che equipaggia<br />
i cacciatorpediniere lanciamissili statunitensi classe «Zumwalt» (US Navy).<br />
dimensioni della piattaforma. Vi erano inizialmente delle remore legate all’imbarco<br />
dei sistemi di lancio verticale, perché essi necessitano di ampi passaggi attraverso<br />
diversi ponti al disotto di quello di <strong>cop</strong>erta che avrebbero potuto indebolire la struttura<br />
dello scafo. In realtà, i lanciatori verticali costituiscono un insieme rigido, in grado di<br />
assorbire gli sforzi che si scaricano sui vari ponti interessati. L’ingombro massimo di<br />
un sistema di lancio verticale è dettato dalle dimensioni del missile: va infatti ricordato<br />
che il primo sistema — il «Mk.41» statunitense — era stato concepito attorno alle<br />
dimensioni dello Standard (circa 4,6 m di lunghezza), ma successivamente esso è<br />
stato reso compatibile con il «Tomahawk» (lungo circa 6,4 m) e, intrinsecamente, con<br />
le varianti dello Standard destinate alla difesa contro i missili balistici. A differenza<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un UUVs tipo «Sea Horse» viene ricoverato a bordo di un’unità militare attraverso un sistema<br />
oleodinamico sistemato nella mission bay (US Navy).<br />
dei sistemi occidentali che prevedono un missile per ogni contenitore (o quattro ordigni<br />
nel caso del contenitore quadruplo per lo Evolved Sea Sparrow), quelli di concezione<br />
russa sono costituiti da un tamburo ad asse verticale che deve ruotare per portare<br />
l’arma in corrispondenza del foro di lancio, una soluzione che appare sicuramente<br />
meno avanzata di quella occidentale. Anche i sistemi europei sono dimensionalmente<br />
simili a quelli statunitensi: in particolare, la famiglia «Sylver» francese è composta<br />
dalla variante «A43» per i missili «Aster 15» a breve raggio, dalla variante «A50» per<br />
i più prestanti «Aster 30» e dalla variante «A70», destinata ai missili da crociera<br />
«Scalp Naval», anch’essi francesi (6). Un’innovazione in materia di sistemi a lancio<br />
verticale e relativa al loro posizionamento riguarda i lanciatori «Mk.57» da imbarcare<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
91
92 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Primo piano delle sovrastrutture sul cacciatorpediniere lanciamissili DARING della Royal Navy.<br />
Le problematiche di tipo elettromagnetico legate al progetto di un’unità navale sono cresciute nel corso<br />
degli anni, soprattutto a causa della densità degli apparati elettronici a bordo e della contestuale crescita<br />
dei problemi di compatibilità elettromagnetica (BAE Systems).<br />
sui cacciatorpediniere statunitensi classe «Zumwalt», in una configurazione che vede<br />
20 moduli quadrupli disposti lungo le murate prodiere della nave, dettata dallo spazio<br />
occupato a prora dalle due torri d’artiglieria da 155 mm e accreditata di capacità<br />
aggiuntive di protezione in caso di colpo a bordo.<br />
Il fatto che circa 1.400 unità navali appartenenti a diverse Marine siano equipaggiate<br />
con sistemi di lancio verticale e che i progetti futuri ne prevedano sempre l’utilizzazione<br />
rappresenta una testimonianza concreta del successo di questo concetto e dell’impatto<br />
positivo che esso ha avuto anche sul disegno complessivo delle unità maggiori<br />
di superficie.<br />
Elicotteri, imbarcazioni e sistemi telecomandati<br />
L’elicottero imbarcato è diventato una presenza costante sulle unità maggiori di<br />
superficie sin dagli anni Settanta e l’evoluzione delle sistemazioni aeronautiche ha<br />
riguardato soprattutto il dimensionamento del ponte di volo (superficie e resistenza<br />
strutturale) e dell’hangar (volume interno e raccordo con le sovrastrutture). Si tratta di<br />
due elementi progettuali che riguardano essenzialmente tutta la sezione poppiera della<br />
nave, anche per la presenza dei sistemi di stivaggio e rifornimento di combustibile,<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
sicurezza e riarmo delle macchine imbarcate. Anche in questo caso, la tendenza consolidata<br />
riguarda l’hangar fisso, attrezzato per il ricovero e la manutenzione di due<br />
macchine polivalenti di dimensioni crescenti nel tempo e con un impatto sul progetto<br />
riguardante dunque soprattutto pesi e volumi e la segnatura radar equivalente: a titolo<br />
di esempio, l’imbarco di due elicotteri tipo «NH-90» richiede una lunghezza complessiva<br />
fra ponte di volo e hangar di circa 45 m e una corrispondente larghezza di circa<br />
20 m, incluso un margine sufficiente, un requisito che ha a sua volta un impatto sulla<br />
lunghezza totale della nave e quindi sul dislocamento, mentre in termini di peso, la<br />
tendenza è quella di dimensionare il ponte di volo per consentire appontaggio e decollo<br />
di macchine più prestanti e necessariamente più grandi e pesanti.<br />
Nell’ultimo decennio, un ulteriore requisito di sicurezza ha portato all’<strong>introduzione</strong><br />
di sistemi per l’aggancio automatico e per il successivo trasferimento dell’elicottero<br />
all’interno dell’hangar, un’esigenza dettata soprattutto dall’operatività della macchina<br />
anche in condizioni meteo poco favorevoli e senza assistenza di personale. Tutto ciò<br />
implica la presenza di congegni e meccanismi che necessitano di spazio al disotto del<br />
ponte di volo: spesso esiste un concomitante requisito di spazio per poter alloggiare,<br />
nella medesima zona, anche il meccanismo di messa a mare e recupero di un sonar a<br />
profondità variabile o di un sensore lineare rimorchiato, con l’evidente necessità di<br />
aumentare opportunamente l’altezza dell’interponte sottostante il ponte di volo.<br />
Un requisito emergente per le unità maggiori di superficie riguarda inoltre l’uso di<br />
UAVs, necessari per ampliare maggiormente lo spettro d’impiego delle moderne navi<br />
da guerra. In questo caso, la scelta del mezzo rimane ancora legata alle sue caratteristiche<br />
di decollo e appontaggio, con una tendenza favorevole a UAVs a decollo e<br />
appontaggio verticale — per esempio il «Fire Scout» già previsto a bordo delle<br />
«Littoral Combat Ship» statunitensi — che, avendo dimensioni relativamente contenute,<br />
possono sicuramente sfruttare le medesime sistemazioni previste per uno o due<br />
elicotteri. Negli ultimi tempi, sono tuttavia state avviate diverse campagne di prova<br />
per poter imbarcare UAV tradizionali e di dimensioni contenute anche a bordo di<br />
unità combattenti di superficie: le esperienze finora maturate riguardano soprattutto<br />
l’UAV tattico «Scan Eagle» lanciabile da una catapulta pneumatica e recuperabile<br />
attraverso un sistema a gancio, peraltro entrambi installabili e operabili nell’ambito<br />
degli spazi già riservati alle sistemazioni elicotteristiche già presenti e previsti sulle<br />
future unità combattenti di superficie.<br />
Oltre all’impiego degli elicotteri e agli UAVs, il progetto delle moderne unità navali<br />
militari deve tener conto di un requisito generale che riguarda lo sfruttamento di<br />
altri tipi di mezzi di superficie e subacquei (quali imbarcazioni veloci, per lo più gommoni<br />
a chiglia rigida, UUVs e USVs) e necessari ad ampliarne ulteriormente il raggio<br />
d’azione e la gamma delle funzioni da svolgere. Da questo requisito scaturisce l’esigenza<br />
progettuale di adeguate interfacce fra la piattaforma e l’ambiente esterno che<br />
rappresentano spesso un elemento di criticità tecnica, perché sono necessari portelloni<br />
e bracci estensibili per la messa a mare e il recupero di questi mezzi anche in condizioni<br />
atmosferiche non agevoli: in sostanza, si tratta quindi di un complesso di recessi,<br />
strutture e meccanismi posizionati nello specchio di poppa e/o nelle sovrastrutture,<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
93
94 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La struttura «IDHA» per i cacciatorpediniere classe «Zumwalt» è stata progettata per combinare fra loro<br />
un albero integrato multifunzionale, i sensori planari per la guerra elettronica e le comunicazioni,<br />
le condotte di aspirazione e scarico del sistema IPS e la plancia (NG).<br />
per le quali è perciò necessario prevedere appositi volumi e accorgimenti tali da non<br />
impattare negativamente sulla superficie radar equivalente dell’unità (7) ed evitare<br />
l’ingresso di acqua. In termini più generali, su diversi progetti di nuove unità navali è<br />
stata introdotta una cosiddetta mission bay, cioè un ampio locale — normalmente<br />
posizionato nella zona poppiera — che consente lo stivaggio, la manutenzione, il riarmo,<br />
la messa a mare e il recupero di UUVs e USVs, nonché di modificarne la configurazione<br />
in modo da massimizzarne la flessibilità d’impiego.<br />
Cannoni elettromagnetici, laser e armi a microonde<br />
La disponibilità di energia elettrica a seguito dell’adozione di sistemi integrati ha<br />
stimolato ulteriormente i ricercatori verso lo sviluppo di tre nuovi tipi di armamenti<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
navali — il cannone elettromagnetico (per aumentare efficacemente letalità e raggio<br />
d’azione delle «artiglierie» imbarcate), i sistemi laser a elevata energia (per la difesa a<br />
corto e medio raggio) e congegni a microonde (per garantire protezione ravvicinata e<br />
anche contro minacce asimmetriche contro le quali è necessario un livello ridotto di<br />
letalità), — la cui futura adozione a bordo di unità maggiori di superficie determina<br />
un impatto tendenzialmente positivo sul loro progetto.<br />
Nel caso del cannone elettromagnetico, il requisito riguarda un’arma in grado di<br />
sparare un proietto di peso ridotto a una velocità molto elevata e fargli colpire cineticamente<br />
e con precisione un bersaglio posto a 200 mg di distanza; l’uso dell’energia<br />
elettromagnetica permette dunque di eliminare le cariche di lancio e di ridurre i volumi<br />
richiesti per lo stivaggio dei proietti — anche considerando gli spazi necessari ai<br />
congegni usati per sviluppare l’energia elettromagnetica —, diminuendo quindi la<br />
vulnerabilità della piattaforma. In termini pratici, gli studi hanno dimostrato la possibilità<br />
di installare un cannone elettromagnetico nell’ambito dei medesimi vincoli di<br />
peso e volume utilizzati per la torre da 155 mm che equipaggia i cacciatorpediniere<br />
lanciamissili statunitensi classe «Zumwalt»: il nuovo sistema permetterebbe tuttavia<br />
di lanciare un proietto da 20 kg, che in 6 minuti colpirebbe a Mach 5 un bersaglio a<br />
200 mg di distanza. Tenendo conto della potenza elettrica installata su queste unità,<br />
gli studi hanno concluso che vi è sufficiente energia disponibile per installare due<br />
cannoni elettromagnetici in grado di sostenere una cadenza di tiro di 10-12 colpi al<br />
minuto e contemporaneamente spingere l’unità a una velocità compresa fra 10 e 18 n<br />
(8). Anche la tecnologia laser applicata all’ambiente marittimo continua a essere<br />
oggetto di studi, soprattutto nell’ambito della US Navy. L’efficacia di un cannone<br />
laser risiede nella capacità di colpire rapidamente e con sufficiente energia un bersaglio<br />
per causarne la distruzione: la quantità di energia richiesta e la distanza d’ingaggio<br />
variano in funzione della tipologia del bersaglio, che in ambito navale può essere<br />
ristretta ai missili antinave e, nel lungo termine, agli ordigni balistici di teatro. Per<br />
l’impiego nell’ambiente marittimo (9), gli studi hanno dimostrato la preferenza dei<br />
laser a elettroni liberi (FEL, Free-Electron Laser) rispetto a quelli allo stato solido:<br />
anche in questo caso, il loro impiego è legato alla potenza richiesta — e quindi disponibile<br />
a bordo di un’unità «tutta elettrica» — per distruggere un determinato bersaglio<br />
a una determinata distanza. A sua volta, la gamma di bersagli può comprendere anche<br />
un UAVs, un elicottero o un velivolo ad ala fissa, nonché minaccia asimmetriche<br />
quali imbarcazioni veloci, mine o razzi; di conseguenza, è necessario disporre di un<br />
sistema a energia incrementabile che in termini di impatto sul progetto comporta la<br />
sistemazione della torretta vera e propria (di dimensioni limitate e normalmente posta<br />
in <strong>cop</strong>erta o sulle sovrastrutture) e dei congegni di generazione del raggio (da sistemare<br />
nei ponti più bassi per non compromettere la stabilità della piattaforma ed eliminare<br />
il rischio di radiazioni energetiche). L’architettura «energetica» IPS dei tipi<br />
«Zumwalt» è un importante fattore abilitante per farne evolvere la configurazione<br />
progettuale attraverso la sostituzione dei due cannoni da 155 mm con altrettanti cannoni<br />
elettromagnetici e dei due impianti da 57 mm con altrettanti sistemi laser.<br />
Le microonde possono essere usate per diversi tipi di applicazioni militari, sfruttan-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
95
96 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
do sistemi a potenza leggermente superiore (HPM, High-Power Microwaves) di quelli<br />
impiegati per s<strong>cop</strong>i domestici e dotati di un’antenna direzionale in modo da concentrare<br />
l’energia verso un bersaglio. Nell’ambiente marittimo le ricerche sono indirizzate<br />
soprattutto verso sistemi HPM modulari a bassa potenza e ridotta letalità per l’identificazione<br />
di soggetti pericolosi e la discriminazione e neutralizzazione di bersagli particolari<br />
quali imbarcazioni e mine. Anche quest’applicazione richiede soprattutto la<br />
disponibilità di energia elettrica, ma limitata rispetto a quelle esaminate in precedenza,<br />
mentre l’impatto sul progetto riguarda essenzialmente la sistemazione dell’antenna<br />
radiante (sulle sovrastrutture) e dei congegni per la generazione dell’energia (posizionati<br />
sui ponti inferiori per minimizzare la diffusione del calore generato).<br />
L’integrazione delle sovrastrutture<br />
Dall’analisi dei vari sistemi innovativi analizzati, emerge un requisito complessivo<br />
che riguarda sostanzialmente due aspetti: la loro integrazione nella configurazione<br />
delle sovrastrutture, a sua volta relativa alla minimizzazione della superficie radar equivalente,<br />
e la contestuale integrazione con altri sistemi radianti. In generale, si può affermare<br />
che le problematiche di tipo elettromagnetico legate al progetto di un’unità navale<br />
sono cresciute nel corso degli anni, soprattutto a causa della densità degli apparati elettronici<br />
a bordo e della contestuale crescita dei problemi di compatibilità elettromagnetica<br />
EMC, Electro-Magnetic Compatibility (10): dopo aver cercato di risolvere i singoli<br />
problemi man mano che questi si presentavano, è emersa prepotentemente l’esigenza di<br />
trattare questi aspetti in maniera integrata, non solo perché essi interagiscono fra di loro<br />
ma anche a causa della loro interazione col progetto complessivo dell’unità e in particolare<br />
con la configurazione delle sovrastrutture. I progettisti hanno infatti dovuto fronteggiare<br />
un drastico aumento di sistemi radianti imbarcati, passando dai circa 30 sistemi<br />
presenti a bordo di unità concepite negli anni Settanta ai circa 2.000 presenti a bordo<br />
«appena» 30 anni dopo: i criteri progettuali di un’unità maggiore di superficie richiedono<br />
pertanto un vero e proprio progetto elettromagnetico, da sviluppare in parallelo a<br />
quello della piattaforma e interagente con esso, in modo da ottimizzare le caratteristiche<br />
generali della nave in funzione delle priorità derivanti dai requisiti operativi (11).<br />
Il concetto di progetto integrato delle sovrastrutture — comunemente denominato<br />
ITD, Integrated Topside Design — ha come obiettivo l’ottimizzazione delle prestazioni<br />
dei vari sensori elettronici attivi e passivi, la massimizzazione della EMC e la minimizzazione<br />
della EMI, la riduzione dei rischi dovuti alle emissioni elettromagnetiche e la<br />
riduzione delle segnature ottica, radar, termica ed elettronica. Si tratta dunque di un<br />
obiettivo ambizioso, che ha indotto gli scienziati a esaminare nuove tecnologie da<br />
«combinare» opportunamente in modo da facilitare l’applicazione del concetto ITD: i<br />
campi d’investigazione riguardano sensori planari multifunzionali a elevate prestazioni,<br />
superfici a radiazione selettiva, strutture di grandi dimensioni in materiali compositi in<br />
grado di alloggiare numerosi sensori e strumenti progettuali basati sulla computazione<br />
elettromagnetica. È importante ricordare che il concetto ITD non riguarda tanto il progetto<br />
di unità navali dalle forme futuristiche che fanno uso di tutte le tecnologie più<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il concetto di albero integrato prevede una struttura in compositi che alloggia diversi tipi di sensori<br />
elettronici e che contribuisce a risolvere il problema della compatibilità elettromagnetica (TNO).<br />
avanzati quanto piuttosto una filosofia progettuale basata sulla definizione dei requisiti<br />
funzionali, su un approccio multidisciplinare e contestuale all’intero progetto della<br />
nave e sull’impiego di strumenti di valutazione quantitativa di parametri e prestazioni.<br />
La tecnologia ha comunque un ruolo importante in questo processo e i primi passi in<br />
tal senso riguardano lo sviluppo di strutture integrate — note come advanced mast e al<br />
cui interno sono sistemati tutti o diversi tipi di sensori — con cui si cercano di risolvere<br />
i problemi intrinseci alle tradizionali alberature in acciaio che supportano antenne<br />
radar e diversi apparati per le comunicazioni. I benefici delle strutture integrate comprendono<br />
un aumento della <strong>cop</strong>ertura del sensore, un miglioramento della protezione<br />
ambientale, una migliore accessibilità per le manutenzioni, la riduzione dei pesi in alto<br />
e una miglior flessibilità per incorporare nuove tecnologie: importante è inoltre l’impatto<br />
benefico sulla superficie radar equivalente, grazie all’adozione di strutture a pian-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
97
98 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Immagine al computer<br />
dell’albero integrato<br />
di Thales previsto<br />
per i futuri «pattugliatori»<br />
olandesi — unità<br />
dimensionalmente<br />
assimilabili a fregate<br />
— il cui ingresso in linea<br />
è previsto nel 2012<br />
(Thales Nederlan).<br />
ta poligonale e realizzate in materiali radar assorbenti (12). I primi passi in tal senso<br />
sono stati compiuti dalla US Navy con il progetto AEM/S, Advanced Enclosed<br />
Mast/Sensor, un albero in compositi di forma bi-piramidale e a sezione esagonale, alto<br />
26,5 m e pesante 40 t e contenente un radar di sorveglianza aeronavale e un radar per<br />
l’acquisizione dei bersagli: in cima all’AEM/S è stata montata un’antenna integrata per<br />
comunicazioni in varie bande e un’antenna TACAN. Attraverso varie iterazioni sperimentali,<br />
si è giunti alla sperimentazione e all’adozione sui cacciatorpediniere classe<br />
«Zumwalt» della cosiddetta struttura IDHA, Integrated Deck House and Apertures,<br />
progettata per combinare fra loro un albero integrato multifunzionale, i sensori planari<br />
per la guerra elettronica e le comunicazioni, le condotte di aspirazione e scarico del<br />
sistema IPS, la plancia e qualsiasi altro sistema o apparato normalmente posizionato su<br />
un supporto o su un albero. Evidente quindi che l’IDHA — rappresentando una decisa<br />
innovazione tecnologica che racchiude in sé sotto forma di antenne planari anche i<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
moderni apparati per le comunicazioni di forma tondeggiante che «affollano» le tughe<br />
di diverse unità di superficie — ha un impatto rilevante sul disegno complessivo dell’unità:<br />
si tratta infatti di una struttura lunga circa 40 m, alta quasi 20 m ed estesa da murata<br />
a murata, raccordata a poppavia con l’hangar, che identifica immediatamente la nave<br />
e che ha evidentemente influito in maniera rilevante sulle dimensioni generali della<br />
piattaforma.<br />
Poiché non tutte le Nazioni possono permettersi di adottare strutture integrate di questo<br />
tipo, l’approccio tecnologico sviluppato in ambito europeo è stato al momento contenuto<br />
allo sviluppo di alberi integrati di varie tipologie: nel Regno Unito la tendenza è<br />
verso un ATM, Advanced Technology Mast a sezione ottagonale e materiali radar assorbenti,<br />
all’interno del quale ciascuno sensore o antenna sono stati integrati o montati in un<br />
pannello a frequenza selettiva (13). Un’innovazione in tal senso è il concetto di l’albero<br />
integrato sviluppato da Thales Nederland e dal centro olandese di ricerche navali TNO:<br />
la struttura è alta circa 10 m, è realizzata in materiali compositi e — a differenza<br />
dell’IDHA — prevede l’incorporamento parziale in essa di sensori planari, nonché l’alloggiamento<br />
di sensori rotanti comprendente quattro livelli. Quello superiore ospita un<br />
radar di navigazione, le luci di navigazione e i sensori passivi (l’ESM e un sistema elettro-ottico<br />
di visione panoramica); segue il livello che ospita un radar tridimensionale di<br />
sorveglianza aeronavale; vi è poi il livello con un radar multifunzionale e i sistemi per le<br />
comunicazioni dedicate alle capacità networkcentriche; infine, alla base dell’albero si<br />
trovano un compartimento in cui trovano posto gli apparati elettronici dei sensori radar,<br />
l’IFF e altri sistemi per le comunicazioni satellitari e data link. Una prima applicazione<br />
di questo concetto avrà luogo sui futuri «pattugliatori» olandesi — unità da 3.750 t di<br />
dislocamento e quindi dimensionalmente assimilabili più a fregate che a pattugliatori —<br />
il cui ingresso in linea è previsto nel 2012: in questo caso, l’albero è leggermente più<br />
basso e ha una struttura troncoconica sormontata da un radome che alloggia un’antenna<br />
per comunicazioni satellitari e alla cui base vi è un IFF a configurazione circolare. Gli<br />
altri livelli dell’albero vero e proprio comprendono un radar da ricerca volumetrica con<br />
sensori planari, un sensore di tipo analogo ma dedicato alla sorveglianza di superficie e<br />
un sistema passivo di sorveglianza panoramica formato da un sensore elettro-ottico e da<br />
una camera termica (14). L’esame dei vari aspetti progettuali legati a sistemi e apparati<br />
normalmente posizionati sul ponte di <strong>cop</strong>erta e sulle tughe evidenzia in sintesi una tendenza<br />
generale a rompere con gli schemi del passato e ad adottare — grazie al concetto<br />
di sovrastrutture e alberi integrati — una configurazione generale molto più pulita e<br />
meno «affollata», al fine di contribuire in maniera determinante a soddisfare i requisiti di<br />
EMC e di segnatura globale e allo stesso tempo garantire una maggiore efficacia prestazionali<br />
dei sensori che si riverbera infine sulle prestazioni globali dell’unità navale.<br />
NOTE<br />
(1) Due eccezioni alla regola del calibro maggiore riguardano la Royal Navy (dov’è presente un anacronistico<br />
114 mm) e le Marine russa e cinese (che impiegano il 130 mm di matrice russa).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
99
100 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
(2) La stragrande maggioranza delle unità maggiori di superficie in servizio nel mondo è equipaggiata<br />
con una torre da 127 mm, ma in alcuni casi (unità più vecchie) se ne possono trovare anche due.<br />
(3) La versione francese — classe «Aquitaine» — è dotata soltanto di una torre prodiera da 76 mm.<br />
(4) Stranamente, la metodologia di lancio verticale non è stata sviluppata anche per i missili antinave,<br />
perché i vari modelli attualmente in produzione in Europa e negli Stati Uniti continuano a far uso dei<br />
contenitori/lanciatori singoli, binati o quadrupli.<br />
(5) Due eccezioni a questa regola sono i sistemi installati a lato dell’hangar sulle fregate olandesi classe<br />
«Karen Doorman» (ma siamo a fine anni Ottanta) e all’interno di un container sul ponte di <strong>cop</strong>erta sulle<br />
corvette danesi classe «Stanflex/Flyvefisken».<br />
(6) I moduli lanciatori «A43» e «A50» sono presenti sulle unità italiane e francesi costruite nell’ambito<br />
dei programmi «Orizzonte» e «FREMM», nonché sui cacciatorpediniere lanciamissili britannici classe<br />
«Type 45/Daring» e su altre unità di progetto francese e destinate all’esportazione.<br />
(7) Le antesignane di queste innovazioni progettuali sono state le fregate francesi classe «La Fayette»,<br />
equipaggiate con un portellone nello specchio di poppa, incernierato in alto. Gli ultimi esemplari dei cacciatorpediniere<br />
statunitensi classe «Arleigh Burke» sono invece equipaggiati con il veicolo telecomandato<br />
«AN/WLD-1» per la sorveglianza antisommergibile, la ricerca di mine e la raccolta di informazioni<br />
sull’ambiente subacqueo: si tratta di un mezzo lungo 7 m e pesante 7 t, messo a mare e recuperato da una<br />
gru estensibile da un recesso sulle sovrastrutture che viene opportunamente <strong>cop</strong>erto con uno schermo<br />
radar riflettente quando il «WLD-1» non è in opera.<br />
(8) Si tratta di una gamma di velocità compatibili con le azioni di fuoco controcosta normalmente condotte<br />
dalle moderne artiglierie navali tradizionali.<br />
(9) Notoriamente caratterizzato da umidità elevata che assorbe energia dal raggio laser (diminuendone<br />
portata ed efficacia), generando al contempo calore che a sua volta distorce il raggio stesso).<br />
(10) Il problema dell’EMC può essere affrontato anche dalla prospettiva opposta, cioè l’interferenza elettromagnetica<br />
(EMI, Electro-Magnetic Interference).<br />
(11) I sistemi elettronici imbarcati sulle moderne unità navali si possono suddividere in tre grandi famiglie:<br />
sensori attivi e passivi di sorveglianza, navigazione e condotta del tiro; apparati di guerra elettronica;<br />
sistemi per le comunicazioni. Le limitazioni derivanti dalla «congestione» di apparati elettronici sulle<br />
sovrastrutture riguardano essenzialmente i conflitti EMC/EMI, un campo d’azione ridotto, gli effetti dell’esposizione<br />
ambientale sulla manutenzione dei sensori e l’aumento della superficie radar equivalente<br />
derivante dalle micro-geometrie dei singoli sensori<br />
(12) Un ulteriore vantaggio deriva dal poter celare i sensori all’osservazione esterna.<br />
(13) L’ATM è stato installato sull’isola della portaerei Illustrious, è sormontato da un radome sferico che<br />
alloggia un altro sensore ed è presumibile la sua adozione sulle future unità maggiori di superficie della<br />
Royal Navy.<br />
(14) Realizzazioni analoghe ma meno complesse perché limitate a un sensore con antenne planare e<br />
all’ESM sono impiegate su alcuni progetti di origine francese e tedesca.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 6<br />
IL FATTORE UMANO:<br />
L’EQUIPAGGIO E IL PROGETTO NAVALE MILITARE<br />
101<br />
Al di là delle innovazioni tecnologiche introdotte nell’ambito del sistema di piattaforma<br />
e del sistema di combattimento, il funzionamento del «sistema nave»<br />
nella sua globalità rimane il risultato della presenza a bordo e della professionalità del<br />
suo equipaggio. Questo è un elemento di certezza sicuramente incontrovertibile, almeno<br />
fino a quando non sarà possibile progettare e costruire navi da guerra totalmente<br />
Il personale addestrato per investigare e reagire prontamente alle avarie deve essere opportunamente<br />
distribuito in ciascuna delle zone di sicurezza in cui è suddivisa l’unità (US Navy).<br />
A destra: I criteri di posizionamento delle stazioni di intervento e riparazione devono garantire<br />
un minimo di spazio per l’intervento del personale nei vari locali che rientrano nella rispettive zona<br />
di competenza (US Navy).
102 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Locale equipaggio a bordo di un incrociatore negli anni Settanta. Le condizioni di lavoro degli equipaggi<br />
sono radicalmente cambiate rispetto ai tempi della guerra fredda (US Navy).<br />
robotizzate che, alla stregua degli UXVs, possono essere telecomandate a distanza e<br />
in assoluta sicurezza.<br />
Di conseguenza, il progetto delle moderne unità combattimenti di superficie sta<br />
vivendo una nuova stagione di progresso in cui molta enfasi viene attribuita al fattore<br />
umano e ciò per diversi motivi. In primo luogo, secondo una regola valida soprattutto<br />
nelle Marine occidentali, gli equipaggi delle navi da guerra sono totalmente formati<br />
da professionisti, che hanno sostituito un pò dappertutto il personale di leva e che<br />
quindi hanno diritto a condizioni di vita certamente dignitose e confortevoli rispetto a<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
quelle del passato (1). Le condizioni di lavoro degli equipaggi sono inoltre radicalmente<br />
cambiate rispetto ai tempi della guerra fredda, perché la durata delle missioni si<br />
è progressivamente allungata anche per la notevole distanza delle zone d’operazioni<br />
dalle basi stanziali, mentre l’<strong>introduzione</strong> della tecnologia e dell’automazione rappresenta<br />
forse la conseguenza di un generico requisito di riduzione degli equipaggi, il cui<br />
costo incide in maniera rilevante su quello complessivo gestionale della nave lungo<br />
tutto il suo ciclo di vita. Un altro motivo di evoluzione riguarda la presenza ormai<br />
generalizzata di equipaggi misti, che ha un impatto notevole sul progetto di numerosi<br />
fra i locali interni della nave.<br />
Questi aspetti hanno quindi determinato un nuovo e più professionale approccio nel<br />
progetto dei vari locali in cui sono presenti membri dell’equipaggio, per lo svolgimento<br />
delle attività operative, per trascorrere il periodo libero dalla guardia e per assicurare<br />
altri tipi di servizi necessari per la condotta della nave da guerra. Si può peraltro<br />
affermare che questo tipo di approccio è stato favorito dal soddisfacimento di requisiti<br />
diversi da quelli relativi al benessere dell’equipaggio: l’attenzione di operatori e progettisti<br />
si è infatti prioritariamente rivolta a disegnare la nave in modo da imbarcare<br />
nuovi sistemi d’arma, assicurare migliori qualità di sopravvivenza, autonomia e tenuta<br />
al mare e garantire in sintesi prestazioni complessive migliori rispetto al passato.<br />
Come già discusso nei Capitoli precedenti, il soddisfacimento di questi requisiti ha<br />
portato a un incremento di pesi e dimensioni lineari: al contempo, l’aumento dei costi<br />
gestionali dovuti alla professionalizzazione degli equipaggi e all’esigenza di svolgere<br />
missioni sempre più lunghe ha portato alla già citata riduzione delle persone presenti a<br />
bordo, con il risultato che ciascuna di esse dispone oggi e disporrà in futuro di maggior<br />
spazio rispetto ai colleghi che hanno lavorato e vissuto a bordo di unità concepite<br />
negli anni Settanta e anche Ottanta.<br />
In termini generali, gli aspetti più strettamente legati al fattore umano che hanno un<br />
impatto sul progetto navale militare e che sono fra loro interconnessi riguardano il<br />
controllo danni e la gestione delle emergenze, il livello di automazione del sistema<br />
piattaforma e i requisiti di abitabilità: ciascuno di questi aspetti è a sua volta influenzato<br />
dalle innovazioni tecnologiche ed è pertanto utile analizzarne i dettagli.<br />
Il controllo danni<br />
L’obiettivo principale del controllo dei danni derivanti da un colpo a bordo — una<br />
filosofia nota anche attraverso l’acronimo anglosassone, DC, Damage Control, e che<br />
si raccorda strettamente con le doti di sopravvivenza dell’unità navale — è il mantenimento<br />
della prontezza operativa e delle capacità belliche dell’unità navale, sia in condizioni<br />
d’impiego bellico e sia in tempo di pace. La filosofia del controllo danni racchiude<br />
le procedure, le peculiarità progettuali e i sistemi specialistici imbarcati necessari<br />
per minimizzare e contenere gli effetti causati da azioni belliche o da incidenti,<br />
proteggendo il personale, ripristinando l’integrità delle strutture e dei sistemi imbarcati<br />
eventualmente danneggiati, limitando al massimo gli effetti degli agenti chimici,<br />
batteriologici, radiologici e nucleari (CBRN) e cercando di mantenere intatte le capa-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
103
104 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
cità belliche della piattaforma. Il personale addestrato per investigare e reagire prontamente<br />
alle avarie deve essere opportunamente distribuito in ciascuna delle zone di<br />
sicurezza in cui è suddivisa l’unità, in modo che essa possa essere oggetto di ricognizione<br />
senza violare l’integrità dei compartimenti stagni. In linea generale, i requisiti<br />
minimi di personale addestrato per un’adeguata gestione del controllo danni sono<br />
legati ai locali e alle zone destinate appositamente a questo s<strong>cop</strong>o, presidiati in permanenza<br />
o in condizioni di emergenza. In particolare, questi locali/zone sono:<br />
— la centrale operativa di piattaforma, in cui sono state accorpate le funzioni assegnate<br />
in passato alla centrale di sicurezza e alla centrale di propulsione. La sua funzione<br />
riguarda il coordinamento generale delle operazioni di monitoraggio e controllo<br />
danni in atto a bordo, con una chiara tendenza verso il passaggio da una serie di strumenti<br />
tradizionali (piani generali, quadri sinottici, strumentazione analogica, addetti<br />
alle comunicazioni, staffette, ecc.) a strumenti di tipo avanzato (interfacce elettroniche,<br />
strumentazione digitale, sistemi di comunicazione EHF);<br />
— le stazioni di intervento e riparazione, concepite per coordinare gli interventi in<br />
determinate zone dell’unità. Il loro numero varia in relazione alle dimensioni della<br />
nave — sulle unità tipo fregata ne sono in genere presenti tre — e ciascuna di esse<br />
dev’essere configurata in modo da poter conservare gli equipaggiamenti necessari a<br />
coordinare e gestire gli interventi nell’area di competenza. Fra i criteri di posizionamento<br />
delle stazioni di intervento e riparazione va ricordata l’esigenza di garantire un<br />
minimo di spazio per lo stazionamento del personale delle squadre destinate all’intervento<br />
nei vari locali che rientrano nella zona di competenza;<br />
— le stazioni di decontaminazione, per permettere la decontaminazione di personale<br />
eventualmente esposto agli agenti CBRN. Anche in questo caso, il numero delle stazioni<br />
di decontaminazione varia in funzione delle dimensioni dell’unità, ma almeno<br />
una è presente anche su naviglio tipo corvette: ogni stazione dev’essere dimensionata<br />
in modo che il personale vi acceda dai ponti esterni (generalmente dal ponte di sicurezza<br />
o dal ponte di <strong>cop</strong>erta), possa liberarsi dell’equipaggiamento CBRN, sottoporsi<br />
alla doccia decontaminante, indossare indumenti «puliti» ed entrare all’interno della<br />
cittadella pressurizzata.<br />
Lo svolgimento delle attività di controllo danni ha tradizionalmente richiesto il<br />
coinvolgimento di un elevato numero di membri dell’equipaggio, in maggioranza<br />
responsabili del sistema piattaforma: sebbene la consistenza dell’equipaggio sia stata<br />
prioritariamente modulata in funzione dei sistemi da gestire e manutenere, si è sempre<br />
cercato di assicurare un margine sufficiente per soddisfare i requisiti derivanti dal<br />
controllo danni. Come già accennato, l’incremento dei costi gestionali della nave da<br />
guerra ha generato un radicale ripensamento dei concetti adottati per quantificare gli<br />
equipaggi, con una tendenza generalizzata a minimizzare i requisiti di controllo danni<br />
e a ridurre quindi le relative esigenze di personale coinvolto. A titolo d’esempio, in<br />
tutte le Marine più moderne, le unità maggiori di superficie con equipaggi di consistenza<br />
variabile fra 450 e 250 effettivi attualmente in servizio verranno sostituite da<br />
unità dimensionalmente superiori gestite da non oltre 150/170 effettivi, con l’<strong>introduzione</strong><br />
di tecnologie avanzate che permettono una maggiore flessibilità nell’impiego<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Rappresentazione<br />
schematica del TSCE<br />
previsto per le unità<br />
classe «Zumwalt»,<br />
considerato come<br />
un’architettura<br />
sistemistica di tipo<br />
aperto composta<br />
da un nucleo<br />
centralizzato<br />
al cui interno operano<br />
cinque macro-moduli<br />
funzionali (NG).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
105<br />
dei singoli individui. Tuttavia, se le innovazioni progettuali — come per esempio l’adozione<br />
delle tecnologie per la riduzione della segnatura globale — possono contribuire<br />
in maniera significativa ad accrescere la sopravvivenza della piattaforma e quindi<br />
agire in fase di prevenzione di un attacco, i benefici dell’applicazione di tecnologie<br />
concepite per la reazione all’attacco stesso sono difficili da quantificare. A un’estremità<br />
della gamma di misure reattive vi è un approccio basato sul massiccio ricorso<br />
all’automazione e sul minimo coinvolgimento di personale, fatto di un gran numero<br />
sensori remoti che attivano sistemi antincendio e antifalla capillarmente distribuiti nei<br />
principali locali di bordo, minimizzando i danni fisici e permettendo alla nave di<br />
sopravvivere e proseguire il combattimento. All’altra estremità della gamma, vi è un<br />
approccio meno «automatizzato» e maggiormente focalizzato sull’intervento umano,<br />
soprattutto per l’impossibilità di prevedere la localizzazione e la quantificazione del<br />
danno subito: la migliore soluzione è ovviamente un approccio equilibrato fra i due<br />
estremi, ma in ogni caso l’interrogativo principale di qualsiasi evento che mette a<br />
repentaglio l’incolumità del personale e l’integrità della piattaforma è: «Cos’è accaduto?».<br />
Tutti gli strumenti e le tecnologie sviluppati per favorire il processo decisionale
106 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
devono perciò fare affidamento sulla distribuzione di informazioni accurate e la carenza<br />
in questa settore serve forse a spiegare i progressi relativamente lenti registrati nell’automazione<br />
del controllo danni. Quale che siano le misure per fronteggiare le conseguenze<br />
di un colpo a bordo o di un incendio in cucina, la funzione fondamentale di<br />
qualsiasi sistema di gestione automatizzata del controllo danni rimane perciò quella di<br />
fornire una rapida e accurata valutazione dell’estensione fisica del danno e un’analisi<br />
attendibile dei possibili sviluppi.<br />
Il vero salto di qualità nel settore dei sistemi e degli equipaggiamenti per il controllo<br />
danni si è però avuto con l’applicazione delle tecnologie elettroniche e informatiche,<br />
concretizzatesi con lo sviluppo, da circa un decennio, di pacchetti informatici<br />
modulari integrabili in architetture più complesse, concettualmente denominati Battle<br />
Damage Control System, BDCS e necessari per la gestione di una gamma di situazioni<br />
di emergenza comprendente incendi, allagamenti, presenza di fumi tossici e di<br />
agenti contaminanti: l’elemento più significativo è un’interfaccia grafica in cui i piani<br />
generali della nave sono stati trasformati in una rappresentazione isometrica tridimensionale<br />
che permette l’identificazione istantanea di una qualsiasi emergenza in ogni<br />
locale della nave. Oltre agli elementi grafici rappresentativi, il concetto di BCDS consente<br />
di visualizzare effettivamente le condizioni dei vari locali qualora esso fosse<br />
interfacciato con il sistema di sorveglianza televisiva a circuito chiuso ormai diffuso a<br />
bordo delle moderne unità navali; il passaggio dalla rappresentazione grafica a quella<br />
televisiva può essere anche attivato in maniera automatica dalla medesima catena<br />
logica che attiva l’allarme per un incendio o un allagamento. Operando attraverso<br />
menù e finestre informatiche dedicate e accessibili dalla medesima schermata dei<br />
piani generali, è quindi possibile intervenire — rapidamente e in maniera interattiva<br />
— per circoscrivere e fronteggiare l’emergenza, adottando misure di primo intervento<br />
quali attivazione di sistemi antincendio, sezionamento di circuiti elettrici e tubolature,<br />
manovra di componenti nelle condotte di ventilazione, attivazione delle squadre di<br />
sicurezza, ecc.: un moderno BCDS contiene anche una funzione specifica che permette<br />
all’operatore di verificare, attraverso opportuni calcoli, l’impatto di un incidente<br />
sulla stabilità della piattaforma e di essere informato sulle eventuali azioni più opportune<br />
da intraprendere. Non va infine dimenticato che la tecnologia informatica applicata<br />
all’automazione navale — oltre a permettere il passaggio dai vecchi quadri sinottici<br />
e dalle tradizionali rappresentazioni schematiche dei piani generali alle moderne<br />
rappresentazioni interattive su consolle multifunzionali — si è evoluta verso forme di<br />
rappresentazione più avanzata dove, per esempio, una moderna COP può essere configurata<br />
secondo una serie di schermi interattivi di grandi dimensioni a cristalli liquidi<br />
ad alta definizione e relative consolles di controllo in cui gli operatori dispongono di<br />
tutti gli strumenti per gestire rapidamente e in maniera logica il controllo danni e tutto<br />
il complesso delle funzioni relative alla condotta della piattaforma.<br />
Nel progettare il sistema per il controllo danni vanno considerati anche gli effetti<br />
dello stress sul personale: una riduzione del carico di lavoro degli operatori, l’ergonomia<br />
nella presentazione delle informazioni e il ricorso alla massima semplificazione<br />
interpretativa rappresentano dunque fattori importanti nell’equazione generale del<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Immagine al computer della futuristica centrale operativa concepita per il progetto francese «Swordship»<br />
(DCNS).<br />
sistema. Esistono quindi due aspetti essenziali dell’intero sistema gestionale per il<br />
controllo dei danni: l’hardware dev’essere soprattutto progettato per sopravvivere<br />
all’impatto e ciò significa una rete di distribuzione delle informazioni robusta, ridondante<br />
e adeguatamente alimentata in modo da assicurare l’integrità del flusso delle<br />
informazioni su un’ampia porzione della rete stessa anche in caso di colpo di bordo<br />
(2). Il secondo aspetto riguarda la qualità delle informazioni, sia quelle di natura<br />
«volatile» utilizzate quando si manifesta l’evento, sia quelle basilari (configurazione<br />
dei compartimenti e degli impianti di bordo, situazione del personale, ecc.) su cui le<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
107
108 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
prime si interfacciano e forniscono ai decisori le indicazioni necessarie per reagire<br />
prontamente.<br />
Anticipare gli eventi e sviluppare soluzioni preventive fondate anche sull’automazione<br />
e sulle tecnologie informatiche contribuisce quindi a minimizzare l’impatto del<br />
danno e, soprattutto, a salvare vite umane. Anche se proseguire secondo questo<br />
approccio rimane difficile perché ostacolato da fattori importanti — per esempio, la<br />
disponibilità di adeguate risorse finanziarie — il problema va affrontato tenendo<br />
conto della tendenza alla riduzione degli equipaggi ormai consolidata in tutte le<br />
Marine. L’insieme dei locali di una nave tende inoltre a essere considerato uno battlespace<br />
interno gestibile con l’impiego di tecnologie avanzate per la sorveglianza e il<br />
controllo danni, limitando quindi l’impatto sulla consistenza del personale imbarcato.<br />
In sintesi, un’applicazione ragionata dell’automazione alla filosofia del controllo<br />
danni offre un immenso e benefico potenziale in termini sia d’identificazione immediata<br />
della natura del danno sia d’intervento rapido: lo sviluppo di complessi integrati<br />
di sensori intelligenti e l’accurata processazione e valutazione delle informazioni<br />
diventano perciò aspetti essenziali per un’efficiente azione di sostegno a favore dei<br />
decisori.<br />
L’automazione<br />
L’<strong>introduzione</strong> dell’automazione a bordo di un’unità navale militare è stata sempre<br />
mirata a due obiettivi principali — ridurre le esigenze di personale e garantire una più<br />
sicura e semplificata operatività di sistemi che diventano sempre più complessi — che<br />
si collegano soprattutto a quanto discusso in precedenza in materia di controllo danni.<br />
L’esperienza gestionale maturata negli ultimi trent’anni ha dimostrato una più accentuata<br />
applicabilità di questo principio agli impianti e apparati del sistema di combattimento,<br />
mentre più lenta è stata l’evoluzione tecnologica per quelli del sistema piattaforma.<br />
Ancora negli anni Settanta, i primi sistemi centralizzati per il controllo della<br />
piattaforma erano basati su tecnologie di tipo analogico, con le funzioni di monitoraggio<br />
e allarme disegnate e attuate attraverso logiche elettroniche dedicate unicamente a<br />
ciascuna di esse: il risultato di questo approccio su un’unità tipo fregata si traduceva<br />
in consolle di grandi dimensioni — perché necessarie a ospitare un gran numero di<br />
strumenti e allarmi ottici e sonori —, mentre le dimensioni dell’impianto da controllare<br />
e gestire erano direttamente proporzionali al grado di difficoltà nell’ottenere una<br />
panoramica istantanea dell’intero sistema piattaforma. Inoltre, le funzioni associate<br />
alla propulsione venivano gestite da un apposito locale (la centrale di propulsione),<br />
mentre per tutti le altre funzioni sempre legate al sistema di piattaforma e al controllo<br />
danni si faceva affidamento alla centrale di sicurezza, spesso ubicata a grande distanza<br />
dalla prima.<br />
Nel corso degli Ottanta vennero concepite le prime soluzioni di tipo digitale, con<br />
l’<strong>introduzione</strong> di monitors tradizionali per visualizzare le informazioni e le condizioni<br />
d’allarme per gli operatori: i primi sistemi digitali riguardavano tuttavia soltanto una<br />
parte delle funzioni svolte nell’ambito del sistema piattaforma, con il risultato di<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Quadrato sottufficiali su un incrociatore dell’US Navy negli anni Settanta. L’elemento umano è oggi<br />
considerato come una risorsa critica per garantire il corretto «funzionamento» della nave da guerra<br />
(US Navy).<br />
avere sistemi di gestione fra loro differenti e ognuno dei quali dedicato a funzioni specifiche<br />
(propulsione, produzione e distribuzione dell’energia elettrica, situazione del<br />
combustibile, monitoraggio delle sentine, controllo danni, ecc. (3). È stato soltanto<br />
negli anni Novanta che si è avvertita la necessità di giungere a un sistema integrato,<br />
anche grazie alla disponibilità di componenti hardware e software di origine commerciale<br />
e al maggior livello di preparazione professionale garantito dagli operatori.<br />
Questo processo ha quindi generato il concetto di sistema integrato per la gestione<br />
della piattaforma IPMS, Integrated Platform Management System, sostanzialmente<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
109
110 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
assimilabile al Combat Management System impiegato per il comando e controllo dei<br />
sensori e sistemi d’arma e la cui architettura comprende i pacchetti modulari necessari<br />
per l’esecuzione di determinate funzioni: la diffusione degli IPMS ha avuto un notevole<br />
impatto sul progetto navale — innanzitutto perché le funzioni dapprima gestite da<br />
due locali differenti sono adesso concentrate in un’unica centrale operativa di piattaforma<br />
— e ha portato all’<strong>introduzione</strong> anche per il sistema di piattaforma delle consolle<br />
multifunzionali, ciascuna delle quali non è dunque più limitata a controllare soltanto<br />
una funzione o un determinato impianto, permettendo di distribuire il carico di<br />
lavoro fra vari operatori in relazione alle condizioni di operatività della nave (navigazione<br />
di trasferimento, rifornimento in mare, transito in aree a rischio, ruolo combattimento,<br />
ecc.).<br />
Sotto il profilo concettuale, un IPMS è destinato a gestire almeno quattro sistemi o<br />
funzioni principali (propulsione, generazione e distribuzione dell’energia elettrica, servizi<br />
ausiliari e controllo danni), a ciascuna delle quali è assegnato uno o più moduli<br />
logici. Nel Capitolo 3 si è già visto che non esiste una configurazione standard di sistema<br />
propulsivo per le unità maggiori di superficie e ciascuna di quelle normalmente utilizzate<br />
prevede alcune possibilità funzionali peculiari (condizioni di emergenza, impiego<br />
di un unico asse, ecc.) e considerazioni analoghe sono applicabili anche per gli altri<br />
sistemi e funzioni: il compito principale del modulo propulsione è quella di controllare<br />
che i parametri operativi di tutti i componenti siano nella norma e di segnalare tempestivamente<br />
eventuali anomalie di funzionamento, mentre altri compiti importanti<br />
riguardano la possibilità di passare da una modalità operativa all’altra e di fornire<br />
all’operatore utili elementi di diagnosi in caso di malfunzionamento.<br />
Un sistema IPMS è inoltre concettualmente configurato secondo tre diversi livelli<br />
funzionali, in cui un livello operativo e di controllo è collegato a un livello di processazione<br />
attraverso un livello di comunicazione. Il primo livello è caratterizzato dal<br />
fatto che la funzione operativa e di controllo viene esercitata in maniera centralizzata,<br />
ma è fisicamente distribuita in diverse postazioni per assicurare la ridondanza: le stazioni<br />
di controllo sono ubicate nella COP, in corrispondenza delle stazioni del controllo<br />
danni, in plancia e anche nella COC, e ciascuna di esse comprende un’interfaccia<br />
uomo-macchina attraverso la quale l’operatore è in grado di controllare impianti e<br />
apparati e intervenire se necessario. In caso di avaria a una postazione, le funzioni da<br />
essa svolte possono essere rapidamente riassegnate a un’altra postazione. Il livello processazione<br />
si avvale di appositi terminali distribuiti in numerosi locali di bordo, che<br />
acquisiscono, processano e inviano al livello superiore tutte le informazioni provenienti<br />
dai vari impianti attraverso un livello comunicazione fisicamente formato da un doppio<br />
databus a smistamento automatico in caso di avaria. Un esempio tipico di questa<br />
configurazione è stata adottata nell’IPMS in dotazione alle unità tedesche classe «F-<br />
124/Sachsen», in cui le funzioni di primo livello sono esercitate da una C.O.P. equipaggiata<br />
con cinque postazioni multifunzionali e da un locale alternato separato ed<br />
equipaggiato con due postazioni: altre postazioni secondarie sono ubicate in plancia e<br />
in ciascuna delle tre stazioni per il controllo danni. La funzione processazione è assicurata<br />
da 25 terminali remoti variamente distribuiti nei 14 compartimenti in cui è sud-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Quadrato sottufficiali a bordo del cacciatorpediniere lanciamissili italiano ANDREA DORIA.<br />
Fra i requisiti progettuali delle moderne unità militari va considerata l’esigenza di rendere agevole<br />
il flusso di personale fra distributori, mense e quadrati (Fincantieri).<br />
divisa l’unità e che gestiscono approssimativamente 7.000 segnali in ingresso e in<br />
uscita: le comunicazioni fra i terminali remoti e le postazioni multifunzionali avvengono<br />
attraverso un databus Ethernet a tripla ridondanza. La gestione di questo IPMS<br />
richiede quindi, in condizioni normali, la presenza fisica di soli cinque operatori in<br />
COP (normalmente un ufficiale e quattro sottufficiali e graduati), anche perché la sorveglianza<br />
dei locali non presidiati viene assicurata da una rete digitale di sorveglianza<br />
televisiva a circuito chiuso che fa comunque capo al sistema. Oltre alla postazione in<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
111
112 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Immagine al computer di un modulo abitativo per un’unità tipo fregata/cacciatorpediniere. Le moderne<br />
unità navali sono progettate con camerini a 1, 2, 3 o al massimo 4 posti per le varie categorie<br />
dell’equipaggio e ciascun camerino dispone di un proprio locale igienico (Zas Marine).<br />
plancia, è inoltre presente un collegamento via gateway con il databus asservito al<br />
Combat Management System, che permette quindi modalità di interfaccia fra i due<br />
sistemi globali che gestiscono la piattaforma e il sistema di combattimento: l’IPMS e<br />
il CMS possono dunque scambiarsi informazioni relative a specifiche funzioni dell’uno<br />
e o dell’altro: per esempio, le informazioni riguardanti le condizioni di un particolare<br />
sistema d’arma possono essere utilizzate dall’IPMS per la funzione di controllo<br />
danni, mentre sulle consolle del sistema di combattimento possono essere visualizzate<br />
informazioni relative alla propulsione (4).<br />
Un adeguato livello d’integrazione fra IPMS e CMS contribuisce ad accrescere le<br />
doti di sopravvivenza dell’unità e rappresenta una tendenza ben precisa nel progetto<br />
dell’automazione del sistema nave nel suo complesso. Un’altra importante innovazione<br />
hardware riguarda l’adozione di schermi piatti al posto di quelli tradizionali, con<br />
evidenti vantaggi in termini di spazio, riduzione dei consumi elettrici e un livello<br />
quasi nullo di compatibilità elettromagnetica: analoghe considerazioni riguardano la<br />
sostituzione dei databus con architetture di rete che impiegano protocolli di comuni-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
cazione di tipo Asynchronous Transfer Mode, con i quali è possibile aumentare grandemente<br />
la velocità di trasmissione delle informazioni, nonché ampliare, grazie alla<br />
maggior larghezza di banda, la tipologia di informazioni che viaggiano in rete. Dal<br />
punto di vista concettuale, la tendenza più rilevante — e più direttamente collegato<br />
all’evoluzione della configurazione degli equipaggi — riguarda la piena integrazione<br />
fra le funzioni del sistema piattaforma e quelle del sistema di combattimento, attraverso<br />
l’adozione di un unico sistema integrato che consenta la gestione di tutte le funzioni<br />
del sistema nave (sorveglianza, propulsione, cartografia elettronica, comunicazioni,<br />
controllo danni, ecc.) e le cui postazioni multifunzionali rimangono fisicamente raggruppate<br />
in due locali differenti per assicurare la necessaria ridondanza e flessibilità.<br />
Un approccio più strutturato di tipo organizzativo legato all’applicazione estesa dell’automazione<br />
a bordo delle unità navali è stato adottato dalla US Navy attraverso l’iniziativa<br />
Smart Ship, il cui obiettivo strategico è sempre quello di ridurre la consistenza<br />
degli equipaggi. L’iniziativa si articola sull’adozione di un Integrated Ship Control,<br />
ICS che rappresenta la sommatoria di sottosistemi corrispondenti a funzioni specifiche<br />
quali un Integrated Bridge System, IBS dedicato alla plancia, un Machinery<br />
Control System, MCS e un Integrated Condition Assessment System, ICAS, entrambi<br />
destinati al sistema propulsivo e rispettivamente alla gestione della condotta e della<br />
manutenzione; a questi si affiancano i moduli per il controllo danni (Damage Control<br />
System, DCS) e della distribuzione del combustibile (Fuel Control System, FCS),<br />
mentre l’interfaccia di raccordo fra le varie funzioni è assicurata da una LAN e da un<br />
sistema wireless di comunicazione interna.<br />
A causa della discrezionalità dei suoi componenti hardware e software, il concetto<br />
Smart Ship e l’associato ICS non possono considerarsi come un sistema totalmente<br />
integrato per la gestione del sistema nave nel suo complesso, ma hanno aperto la strada<br />
al Total Ship Computing Environment, TSCE, concepito per i cacciatorpediniere<br />
lanciamissili classe «Zumwalt». Più che un semplice sistema integrato risultante dalla<br />
combinazione fra le funzioni di gestione del sistema piattaforma e del sistema di combattimento,<br />
il TSCE è un’architettura sistemistica di tipo aperto composta da un<br />
nucleo centralizzato al cui interno operato cinque macro-moduli funzionali (uno centrale<br />
e quattro periferiche (5)) ciascuno dei collegati a diverse e numerose aree «esterne»<br />
che gestiscono altrettante funzioni subordinate. I cinque macro-moduli principali<br />
riguardano:<br />
— la funzione «comando, controllo e intelligence», che rappresenta il cuore del<br />
TSCE e collegata prioritariamente alle altre macroaree;<br />
— la funzione di controllo integrato delle comunicazioni esterne, che verso l’esterno<br />
è interfacciata con i sistemi di comunicazione in varie bande terrestri e satellitari di<br />
cui è dotata l’unità, con i vari sistemi Link e con i data link necessari per lo scambio<br />
di informazioni con i velivoli pilotati e non imbarcati sull’unità;<br />
— la funzione «controllo nave», in pratica un sistema integrato che coordina le funzioni<br />
di piattaforma (propulsione, controllo danni, generazione/distribuzione energia<br />
elettrica e ausiliari) con altre funzioni importanti quali la navigazione, la gestione<br />
della plancia, la sorveglianza elettro-ottica e la gestione delle segnature;<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
113
114 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Locale per quattro<br />
persone a bordo<br />
del cacciatorpediniere<br />
lanciamissili italiano<br />
ANDREA DORIA.<br />
L’esperienza<br />
accumulata nel settore<br />
delle navi da crociera<br />
è stata sfruttata<br />
da diverse industrie<br />
anche per il progetto<br />
navale militare<br />
(Fincantieri).<br />
— la funzione di controllo sensori, responsabile della gestione del sensore radar a<br />
banda multipla, dei sensori elettroacustici in varie bande, della suite per le contromisure<br />
acustiche e in cui è presente un collegamento d’interfaccia con i data link dei<br />
velivoli imbarcati e con la funzione comunicazione esterne;<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
— la funzione controllo armi, interfacciata con i cannoni da 155 e 57 mm, i lanciatori<br />
verticali e le contromisure antimissile.<br />
Anche in questo caso, l’obiettivo da perseguire riguarda un livello di integrazione<br />
tale da poter contribuire ad alleggerire il carico di lavoro per l’equipaggio e a ottimizzarne<br />
la consistenza (150 effettivi).<br />
Abitabilità: nuovi requisiti e nuove soluzioni<br />
I moderni requisiti di abitabilità a bordo delle unità navali militari hanno uno stretto<br />
legame con le aspettative dei ragazzi e delle ragazze d’oggi che scelgono la vita<br />
militare sul mare. Al giorno d’oggi l’elemento umano non è infatti considerato come<br />
una variabile indipendente la cui presenza è garantita, ma piuttosto come una risorsa<br />
critica per garantire il corretto «funzionamento» della nave da guerra. Le Marine sono<br />
quindi costrette a creare le condizioni per poter reclutare e mantenere in servizio una<br />
quantità sufficiente di personale motivato e professionalmente valido per armare le<br />
flotte e, soprattutto, le unità di maggior valore bellico. Le normative che indicano le<br />
direttive progettuali relative all’abitabilità a bordo delle unità navali sono state quindi<br />
sottoposte a un processo di profonda revisione partendo dal presupposto che l’ambiente<br />
di vita a bordo non può essere meno comodo di quello di riferimento nelle<br />
moderne società occidentali: molti giovani sono infatti abituati a vivere in condizioni<br />
abitative relativamente comode e potrebbero quindi non essere disposti ad accettare<br />
condizioni qualitativamente inferiori (6).<br />
Sotto il profilo più generale, gli standard di abitabilità possono definirsi come le<br />
prestazioni e gli spazi che la nave deve offrire all’equipaggio per quanto riguarda i<br />
locali di vita (alloggi, locali igienici, mense e quadrati, spazi ricreativi comuni, biblioteca),<br />
i locali della sussistenza (conservazione, preparazione e distribuzione di viveri<br />
e bevande, conservazione e lavaggio delle stoviglie, smaltimento rifiuti), locali dei<br />
servizi tecnici e logistici (segreterie, officine, distributori di beni, lavanderie), locali<br />
del servizio sanitario e locali della logistica (cale e depositi di pezzi di rispetto e<br />
materiali di consumo) (7). Oltre al criterio di un miglioramento generalizzato del<br />
benessere e dell’abitabilità, il processo di revisione delle normative ha tenuto conto di<br />
altri aspetti importanti quali la presenza del personale femminile a bordo (mediamente<br />
intorno al 20-25% dell’intero equipaggio e per il quale sono necessarie prescrizioni<br />
specifiche in materia di alloggi e locali igienici), una maggior attenzione all’ergonomia<br />
e al rispetto per l’ambiente e la necessità di sistemare i locali di vita lontano dalle<br />
zone di transito principali per migliorare le privacy: ulteriori criteri da rispettare relativi<br />
a una logica più strettamente tecnico/pratica riguardano la concentrazione dei<br />
locali di vita in due zone separate (a prora e a poppa) per accrescere le doti di sopravvivenza,<br />
l’esigenza di rendere quanto più possibile agevole il flusso di personale fra<br />
distributori, mense e quadrati, il posizionamento delle cucine in zone centrali e per<br />
quanto possibile prossime ai depositi viveri e dei locali del servizio sanitario sufficientemente<br />
prossimi a una zona di ricezione di personale ferito normalmente identificata<br />
nel ponte di volo (8).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
115
116 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
Un’operatrice del sistema di propulsione su un cacciatorpediniere dell’US Navy). Il processo di revisione<br />
delle normative progettuali ha tenuto conto anche della presenza del personale femminile a bordo<br />
delle moderne navi da guerra (US Navy).<br />
Per quanto riguarda i locali di vita, alcune società costruttrici europee specializzate<br />
anche nel settore delle navi da crociera hanno potuto sfruttare l’esperienza accumulata<br />
in questo settore per travasare in quello militare soluzioni che hanno certamente contribuito<br />
a soddisfare i requisiti delle nuove normative e quindi migliorare notevolmente<br />
le condizioni di comfort a bordo. Il problema dell’abitabilità sulle unità navali militari<br />
è stato comunque affrontato con un approccio che non ha riguardato soltanto i<br />
volumi da destinare alle varie categorie di locali non tecnico/operativi normalmente<br />
frequentati dall’equipaggio ma anche altri aspetti non meno importanti: le moderne<br />
unità navali sono quindi progettate con camerini a 1, 2, 3 o al massimo 4 posti per<br />
tutto l’equipaggio (ufficiali, sottufficiali e graduati) e ciascuno camerino dispone di<br />
un proprio locale igienico (bagno e doccia), mentre soltanto gli spazi unicamente<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
ricreativi sono suddivisi per categorie. Cablaggi, tubolature e condotte dell’aria sono<br />
<strong>cop</strong>erti da opportune pannellature, diventando quindi più sicuri per l’incolumità del<br />
personale e meno visibili dall’esterno, e tutto l’insieme è più agevole da pulire: in<br />
generale, i locali di vita sono concepiti in maniera modulare, favorendo in modo più<br />
semplice ed economico l’allestimento dei volumi strutturali disponibili.<br />
Un’innovazione semplice ma al tempo stesso molto importante riguarda anche l’illuminazione,<br />
l’insonorizzazione e la tinteggiatura, eliminando soprattutto il grigio o il<br />
verde pallido che hanno imperversato per decenni nei locali di vita sulle unità navali<br />
occidentali: importante anche l’allargamento dei corridoi e la razionalizzazione dei<br />
transiti fra i locali di vita, gli spazi logistici e ricreativi e le zone tecnico/operative.<br />
Un esempio di razionalizzazione e innovazione nel progetto e nell’allestimento<br />
degli spazi interno di una moderna unità navale riguarda una fregata multiruolo di<br />
nuova generazione da 132 m di lunghezza e 5.300 t di dislocamento, dove per il<br />
dimensionamento dell’equipaggio si è adottato un criterio di lean manning fondato<br />
sull’equilibrio fra l’impiego delle tecnologie avanzate e le prestazioni esprimibili in<br />
situazioni di combattimento, su personale in possesso di qualificazioni professionali<br />
relative ad aree di competenza multiple, su sistemi e apparati più affidabili rispetto al<br />
passato e sul concetto di manutenzione per sostituzione. L’equipaggio risultante è formato<br />
da 120 effettivi (incluso il personale di volo), suddiviso nei reparti operazioni,<br />
piattaforma, sistemi d’arma, volo, logistico e marinaresco e di cui il 20% è formato da<br />
personale femminile: il dimensionamento dei locali ha tenuto conto di un ulteriore<br />
20% circa di personale di passaggio, per un totale di 145 posti disponibili a bordo. La<br />
superficie totale dei locali interni (scafo e sovrastrutture) ammonta a circa 6.860 mq,<br />
così distribuiti: locali operativi 1.440 mq, locali tecnico/logistici 3.980 mq, locali<br />
equipaggio 1.420 mq, superfici non assegnabili 20 mq. Il Comandante e sei Ufficiali<br />
superiori dispongono di camerini singoli (così come altre tre Ufficiali superiori di<br />
passaggio), mentre gli altri 13 Ufficiali inferiori dispongono di camerini doppi, così<br />
come i 24 Sottufficiali anziani: il resto dei Sottufficiali e i graduati (76 effettivi) occupano<br />
camerini a quattro posti, così come il restante personale di passaggio (22 effettivi).<br />
La ricerca di soluzioni progettuali ottimali per ottenere migliori condizioni di abitabilità<br />
(9) è ormai diventata un requisito altrettanto stringente quanto quelli relativi<br />
ad altri aspetti specifici del progetto navali militare in genere, requisito il cui soddisfacimento<br />
è peraltro favorito dalla tendenza all’incremento dimensionale delle nuove<br />
unità navali e dall’adozione di soluzioni di automazione ormai imprescindibili per<br />
limitare il carico di lavoro sul personale, migliorandone quindi le condizioni globali<br />
di vita e di lavoro a bordo e, in ultima analisi, favorendone la soddisfazione e la motivazione<br />
professionale e l’attaccamento al servizio.<br />
NOTE<br />
(1) I locali destinati ai marinati e ai graduati, con le brande disposte su tre o quattro livelli e locali igieni-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
117
118 IL PROGETTO NAVALE DELLE UNITÀ MAGGIORI<br />
ci per diverse decine di persone, non sono più accettabili nelle unità di nuova costruzione.<br />
(2) Una delle soluzioni più comuni riguarda l’impiego di computer portatili resistenti agli urti, che possono<br />
essere utilizzati quali postazioni di comando alternative in caso di necessità.<br />
(3) Molto spesso, il sistema di gestione di ciascun impianto o funzione aveva alle spalle un’azienda che<br />
lo aveva progettato e costruito e che forniva i pezzi di rispetto e la manutenzione.<br />
(4) Un’altra tendenza «secondaria» riguarda l’adozione di sistemi IPMS a bordo di unità navali soggette<br />
ad ammodernamento di mezza vita e che erano in precedenza equipaggiate con sistemi di automazione<br />
dedicate a singole funzionalità.<br />
(5) Vi sono anche ulteriori moduli periferici dedicati all’addestramento e alla gestione della prontezza<br />
operativa dell’unità.<br />
(6) Questo è vero soprattutto per le Marine formate unicamente da personale volontario, ma i requisiti si<br />
devono applicare anche alle forze navali dov’è tuttora presente personale di leva.<br />
(7) Per i locali destinati alla gestione del sistema nave nel suo complesso, esistono requisiti differenti, ma<br />
in linea di principio anch’essi devono rispettare i criteri ergonomici e di qualità prestazionale.<br />
(8) È inoltre diventata tendenza consolidata ad avere spazi aggiuntivi per un ridotto numero di effettivi di<br />
passaggio per esigenze di addestramento o per funzioni di comando complesso, queste ultime comprendenti<br />
anche un locale di pianificazione adiacente alla COC.<br />
(9) Le tendenze in materia di abitabilità possono essere conveniente estese anche alle unità già in servizio,<br />
dove l’opportunità di rinnovare le caratteristiche dimensionali e fisiche degli alloggi e degli altri<br />
locali di vita si presenta in occasione dei grandi lavori di manutenzione e/o ammodernamento mezza<br />
vita. Quest’approccio contribuisce ad aumentare la vita operativa delle unità, migliorandone anche la<br />
flessibilità intrinseca e fornendo agli equipaggi condizioni di vita abbastanza soddisfacenti se comparate<br />
a quelle delle unità di nuova concezione e realizzazione.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 7<br />
119<br />
L’EVOLUZIONE PROGETTUALE:<br />
DAGLI ANNI SETTANTA AL XXI SECOLO<br />
Acirca trent’anni dalla conclusione della guerra fredda, l’evoluzione degli scenari<br />
geostrategici ha imposto una radicale trasformazione concettuale del progetto<br />
navale militare, trasformazione sicuramente influenzata anche dall’avvento di nuove e<br />
rivoluzionarie tecnologie nei vari domini del progetto stesso. È quindi importante esa-<br />
Il cacciatorpediniere lanciamissili italiano DURAND DE LA PENNE. Il disegno delle sovrastrutture riflette<br />
la frammentazione nella collocazione dei sistemi dedicati a funzioni specifiche, dettata dalla necessità<br />
di concentrare un gran numero di apparati su una piattaforma dimensionalmente «limitata» (MARISTAT).
120 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il disegno dei «Doria» presenta linee decisamente innovative, direttamente mutuate dalle esperienze<br />
francesi in materia di riduzione della superficie radar equivalente (MARISTAT).<br />
minare in maniera più dettagliata e comparata come si sono evolute le costruzioni<br />
navali militari sviluppatesi dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, in un periodo che<br />
riguarda perciò l’arco di un trentennio significativo sotto il profilo geopolitico e che<br />
coincide con il periodo di durata media di vita delle unità navali. Il primo passo di<br />
quest’analisi ha riguardato la definizione dei parametri generali, considerando — in<br />
accordo con il tema generale del Supplemento — le unità maggiori di superficie e, fra<br />
queste, quelle più significative e certamente più diffuse: l’analisi comparata si svilupperà<br />
quindi prendendo in considerazione unità appartenenti alla medesima <strong>Marina</strong> e in<br />
particolare i cacciatorpediniere delle classi «De La Penne» e «Andrea Doria» (<strong>Marina</strong><br />
<strong>Militare</strong>) e «Arleigh Burke» e «Zumwalt» della US Navy e le fregate delle classi<br />
«Maestrale» e «Bergamini» (ancora della <strong>Marina</strong> <strong>Militare</strong>) e «Bremen» e «Sachsen»<br />
della <strong>Marina</strong> tedesca (1). È peraltro importante ricordare che solo in un caso ben defi-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
nito «Maestrale/Bergamini», l’analisi comparata viene fatta fra classi di unità in cui<br />
quella più moderna sostituisce quella più anziana, mentre per le altre comparazioni si<br />
è scelto unicamente l’aspetto progettuale. L’analisi si svilupperà abbracciando cinque<br />
domini principali (configurazione/disegno complessivo, dimensioni (2), sistema di<br />
propulsione e prestazioni, equipaggio e sistema di combattimento) e comprenderà forzatamente<br />
il richiamo di alcune considerazioni di carattere operativo già espresse nei<br />
Capitoli precedenti.<br />
Le tendenze generali<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
121<br />
Negli anni Settanta, il progetto delle moderne unità navali di superficie aveva concluso<br />
un’evoluzione progressiva focalizzata su esigenze legate soprattutto alla presenza<br />
di un numero sempre crescente di sensori elettronici per la sorveglianza e la guerra<br />
elettronica, di sistemi missilistici e degli elicotteri imbarcati, influendo in maniera<br />
notevole sulla configurazione delle sovrastrutture: meno sentita era l’esigenza delle<br />
artiglierie, anche in virtù del peso sempre crescente dell’aviazione imbarcata e del<br />
concetto di «task group» normalmente incentrato su un’unità con capacità organiche<br />
di difesa aerea allargata e di attacco contro unità navali similari.<br />
L’evoluzione del naviglio militare è stato naturalmente influenzato dalle tendenze<br />
di carattere strategico e tattico. Nel primo caso, il periodo preso in considerazione è<br />
stato caratterizzato, presso le Marine occidentali, da una direttrice di sviluppo generale<br />
che ha visto il passaggio della priorità dalla supremazia delle capacità di contrasto<br />
antisommergibile (una motivazione naturalmente giustificata dall’esistenza di una<br />
componente subacquea ex-sovietica di assoluto rilievo, almeno sul piano quantitativo)<br />
alla ricerca di un armonico equilibrio fra una minaccia subacquea adesso spostata<br />
verso gli scenari littoral e la contestuale esigenza di partecipare in maniera sempre più<br />
attiva e dal mare alle operazioni sul territorio e sempre più in profondità: in sintesi, la<br />
ricerca della polivalenza operativa e funzionale. Inoltre, gli scenari d’intervento si<br />
sono dilatati notevolmente, perché si è fatta strada l’esigenza di agire prontamente in<br />
aree di crisi e conflitti a grande distanza dai bacini di normale gravitazione della maggior<br />
parte delle flotte, inserite quindi in un contesto che allo stesso tempo è expeditionary,<br />
interforze e internazionale: tuttavia, il concetto di pronto intervento non si è tramutato<br />
nella ricerca di velocità elevata, perché si è preferito rinunziare a questo tipo di<br />
prestazioni a favore di sistemi propulsivi più affidabili e più flessibili in quanto inseriti<br />
in un’architettura integrata che assicuri soprattutto la produzione di una quantità di<br />
energia superiore rispetto al passato e indistintamente necessaria a tutte le utenze di<br />
bordo.<br />
In termini più generali e in accordo con la filosofia dell’impiego interforze e internazionale,<br />
un requisito molto importante ha riguardato la necessità di comunicare e di<br />
scambiare informazioni operative essenziali per la costruzione di un quadro tattico<br />
omnicomprensivo e condiviso con numerose tipologie di utenti (3), traducendosi ciò<br />
sul piano progettuale in una vera e propria proliferazione di sistemi per le comunicazioni.<br />
Per contrastare questa proliferazione e allo stesso tempo accrescere le doti di
122 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
sopravvivenza della piattaforma, la tecnologia ha permesso la «semplificazione» dei<br />
sensori attraverso l’imbarco di antenne planari integrabili nell’ambito di sovrastrutture<br />
sempre meno «tormentate» e sempre più realizzate in materiali compositi. Alla<br />
sopravvivenza della piattaforma si è strettamente associato il concetto di protezione<br />
da minacce e insidie che nell’ambiente littoral possono comprendere anche pirati e<br />
terroristi: in tale ambito, un aspetto molto significativo ha inoltre riguardato il consolidamento<br />
dell’elicottero imbarcato nel ruolo di mezzo polivalente usato anche per<br />
l’interdizione di superficie e altre funzioni specialistiche e il prevedibile avvento degli<br />
UAV ad ala rotante quale ulteriore (o in certi casi unico) assetto per estendere verso il<br />
territorio il braccio operativo della piattaforma sul mare. Sebbene quest’aspetto non<br />
abbia influito in maniera sostanziale sul progetto delle sistemazioni aeronautiche in<br />
quanto gli UAV ad ala rotante usano quelle normalmente impiegate dall’elicottero,<br />
un’evoluzione importante riguarda la crescente diffusione a bordo di UUV e USV<br />
anch’essi necessari a estendere il braccio operativo della piattaforma, questa volta<br />
sopra e sotto il mare, e a rafforzarne la protezione.<br />
Il contestuale requisito della protezione e della sopravvivenza ha portato al più<br />
volte citato aumento dimensionale della piattaforma. Il raggiungimento di numerosi<br />
risultati in campo scientifico e tecnologico e la necessità di soddisfare esigenze nuove<br />
hanno inoltre consentito di estendere l’applicazione dell’elettronica e delle tecnologie<br />
informatiche a quasi tutti i sistemi di bordo, permettendo di ridurre la consistenza<br />
degli equipaggi e di scambiare informazioni in quantità sempre crescente anche in<br />
settori meno «scenografici» quali quelli logistici e amministrativi. La concomitanza di<br />
questi elementi e l’evoluzione sociale degli equipaggi ha quindi garantito al progettista<br />
di assegnare più spazio a quest’ultimi, migliorandone le condizioni di vita e di<br />
lavoro e permettendo l’adozione degli accorgimenti necessari anche alla presenza di<br />
personale femminile. Un cenno finale è inoltre dovuto alla diffusione totale dei sistemi<br />
per il lancio verticale di diversi tipi di missili e al tendenziale ritorno verso calibri<br />
d’artiglieria maggiori rispetto al passato, un’evoluzione parallela che forse più di altre<br />
ha pesantemente e positivamente influito sul progetto delle più moderne unità navali e<br />
ne ha ampliato enormemente la flessibilità.<br />
Italia: dai «De la Penne» ai «Doria»<br />
Il requisito operativo dei due cacciatorpediniere lanciamissili della classe «De la<br />
Penne» risale all’epoca della formulazione della Legge Navale e il progetto risente<br />
quindi delle concezioni architettoniche e sistemistiche in voga a quell’epoca (4), seppur<br />
oggetto di migliorie minime introdotte nel corso della sua finalizzazione (5).<br />
Esiste dunque una similitudine nell’approccio con le unità classe «Andrea Doria»,<br />
perché queste sono risultato finale di una fase programmatica alquanto travagliata che<br />
vide la sua origine nei primi anni Novanta con una cooperazione in ambito NATO,<br />
trasformata poi in una cooperazione trinazionale con Francia e Regno Unito e sfociata<br />
infine in una collaborazione italo-francese (programma «Orizzonte/Horizon») che, se<br />
da un lato ha portato a un imprevisto allungamento dei tempi realizzativi, dall’altro ha<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Quest’immagine dell’ANDREA DORIA mostra la concentrazione sul torrione massiccio di diversi<br />
sistemi e sensori elettronici (MARISTAT).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
123<br />
permesso un’evoluzione progettuale molto significativa nel disegno e nella configurazione<br />
generale delle unità.<br />
Gli unici elementi comuni fra le due classi rimangono uno scafo a ponte continuo,<br />
le sistemazioni aeronautiche e una configurazione generale del sistema propulsivo per<br />
la quale è stata scelta una soluzione CODOG con due turbine a gas (versioni diverse<br />
di una stessa macchina), due motori diesel, due assi con eliche a passo controllabile e<br />
fumaioli inclinati verso l’esterno: totalmente diverso è invece il disegno delle sovrastrutture,<br />
con una distribuzione sui «De la Penne» che riflette la frammentazione nella
124 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
collocazione dei sistemi dedicati a funzioni specifiche e che è stata dettata dalla<br />
necessità di concentrare su una determinata piattaforma un gran numero di apparati e,<br />
al contempo, di limitarne al massimo le dimensioni generali.<br />
Il disegno dei «Doria» presenta invece una linea decisamente innovativa, direttamente<br />
mutuata dalle esperienze francesi in materia di riduzione della superficie radar<br />
equivalente: il profilo sfuggente della sezione prodiera si amalgama con quello di un<br />
complesso di sovrastrutture formato da due blocchi sostanzialmente contigui grazie<br />
alla tuga centrale, dotata di schermatura sistemata in corrispondenza delle murate per<br />
non «rompere» la continuità delle linee. La differenza nella sistemazione dei sensori<br />
appare in tutta la sua evidenza perché sui «De la Penne» quelli principali sono distribuiti<br />
fra due alberi (con numerose mensole e sbalzi), la struttura sul cielo della plancia<br />
e i due sostegni per i radar guidamissili nella zona poppiera: viceversa, sui «Doria»<br />
tutto è raggruppato nel massiccio torrione prodiero che sostiene il radar multifunzionale,<br />
in quello poppiero e parimenti massiccio per il sensore tridimensionale di sorveglianza<br />
a lungo raggio e nel lungo e meno massiccio albero centrale. Sotto questo<br />
profilo, va notato che i «Doria» risentono ancora della non completa maturazione<br />
verso il concetto di integrazione totale dei sensori elettronici in una o due strutture<br />
uniche, e ciò per la presenza di alcuni sistemi di sorveglianza, comunicazione, guerra<br />
elettronica e direzione del tiro posizionati su strutture dedicate sporgenti dai torrioni<br />
massicci e perciò individuabili quali elementi di «rottura» nella pulizia delle linee.<br />
Come più volte ricordato, sopravvivenza, protezione e standard differenti per la<br />
configurazione dei locali spazi interni sono tutti elementi che incidono sulle dimensioni<br />
fra le due classi: si passa dai 148 m di lunghezza fuori tutto dei «De la Penne» a un<br />
valore che sui «Doria» è pari a 151 m, e con una larghezza massima che passa dai<br />
16,1 m dei primi ai 20,3 m dei secondi. Di conseguenza, i «Doria» sono caratterizzati<br />
da una snellezza inferiore a quella dei «De la Penne», una caratteristica accentuata<br />
anche dalla differenza nel dislocamento a pieno carico, pari a circa 7.020 t sui primi e<br />
a circa 5.400 t sui secondi: questo aspetto ha inoltre un’influenza sulle doti di velocità,<br />
perché all’incremento dimensionale dei «Doria» si associa una potenza massima<br />
installata pari a 51.000 KW, che sui «De la Penne» è invece pari a 49.700 KW. La<br />
conseguenza è una differenza nella velocità massima di 2,5 n a vantaggio dei «De la<br />
Penne» (29 n contro 31,5 n) e un’autonomia sostanzialmente identica (7.000 mg a 18<br />
n), ricordando peraltro che una velocità massima elevata — intesa come superiore ai<br />
30 n — non è mai stato un requisito dei «Doria».<br />
In materia di equipaggio, il passaggio dai «De la Penne» ai «Doria» rispecchia pienamente<br />
le tendenze in atto nel progetto navale militare e in piena sinergia con l’<strong>introduzione</strong><br />
di tecnologie innovative e standard abitativi: ma l’aspetto più rilevante risiede<br />
nell’inversione della tendenza all’affollamento caratteristica delle principali unità<br />
navali italiane, perché si passa dai 400 effettivi dei «De la Penne» ai «soli» 235 dei<br />
«Doria», con un quasi dimezzamento nella consistenza del personale imbarcato (che<br />
adesso comprende anche quello femminile) che la dice lunga su quali siano stati i criteri<br />
e le scelte adottate in questo particolare e importante settore del progetto navale<br />
militare. Per quanto riguarda il sistema di combattimento, si è ovviamente avuto un<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il cacciatorpediniere lanciamissili statunitense PINCKNEY classe «Burke Flight IIA». Queste unità<br />
presentano un lungo ponte di castello, mentre le sovrastrutture sono configurate per abbattere quanto più<br />
possibile una superficie radar equivalente che risente della frammentazione di numerosi sistemi<br />
su altrettante numerose strutture (US Navy).<br />
miglioramento complessivo che ha riguardato non soltanto le prestazioni dei singoli<br />
assetti ma anche la loro integrazione in un’architettura generale che fornisce un risultato<br />
globale decisamente superiore al passato. In termini di assetti specifici, al frazionamento<br />
presente sui «De la Penne» fa riscontro sui «Doria» una concentrazione funzionale<br />
e sistemistica che ha un impatto anche sulla configurazione e sulle linee del<br />
disegno. Innanzitutto, rampe lanciamissili di vario tipo e per varie funzioni e sistemi<br />
di guida associati vengono — per la prima volta nella storia della <strong>Marina</strong> italiana —<br />
sostituiti da un complesso per il lancio verticale (48 celle, suddivise in moduli ottupli)<br />
di due diversi modelli di missili superficie-aria e dal radar multifunzionale. In secondo<br />
luogo, si passa da una dotazione artiglieresca suddivisa sui «De la Penne» su due<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
125
126 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
calibri e quattro torri (una da 127 mm e tre da 76 mm) a una che sui «Doria» è articolata<br />
su tre torri da 76 mm, tutte del modello stealth (6): fattore totalmente nuovo — e<br />
inusuale — nel campo delle costruzioni navali è la presenza dei due impianti da 76<br />
mm disposti per madiere, a poppavia dei lanciatori verticali.<br />
Evidente quindi la rinuncia sui «Doria» alle capacità di fuoco controcosta e alla<br />
priorità accordata alla difesa a lungo raggio contro la minaccia aerea e missilistica a<br />
favore dell’unità stessa e di quelle del gruppo navale in cui le unità sono immancabilmente<br />
chiamate a far parte: una considerazione particolare va fatta sulle potenzialità<br />
di crescita «operativa» della piattaforma verso funzioni quali lo strike contro bersagli<br />
terrestri con missili da crociera e la difesa contro i missili balistici di teatro, capacità<br />
queste ipoteticamente attuabili sui «Doria» con l’imbarco di lanciatori verticali idonei<br />
allo s<strong>cop</strong>o e di un nuovo modello di radar multifunzionale (7), ma senza modificare le<br />
dimensioni lineari della piattaforma. Un elemento a fattore comune fra «De la Penne»<br />
e «Doria» è la presenza a centronave delle rampe per i missili superficie-superficie,<br />
mentre totalmente diversa è la sistemazione dei tubi lanciasiluri antisommergibili, con<br />
lanciatori tradizionali brandeggiabili sul ponte di <strong>cop</strong>erta dei primi e sistemazioni<br />
interne alle sovrastrutture e ampiamente automatizzate sui secondi.<br />
Stati Uniti: dagli «Arleigh Burke» agli «Zumwalt»<br />
Prima di esaminare comparativamente i progetti dei cacciatorpediniere lanciamissili<br />
classe «Arleigh Burke» e delle future classe «Zumwalt», è opportuno evidenziare<br />
alcuni aspetti essenziali:<br />
— il programma «Burke» stato concepito all’epoca della guerra fredda e il suo progetto<br />
risente quindi dei requisiti strategici concentrati sul contrasto della minaccia<br />
sovietica, esprimibile attraverso l’insidia subacquea e massicci attacchi di saturazione<br />
con missili antinave a medio e lungo raggio;<br />
— il progetto «Burke» è stato oggetto di modifiche imposte dal mutamento degli scenari<br />
e da alcuni limiti espressi dalle prime unità della classe, dando quindi vita a due<br />
famiglie di unità note come «Flight I/II» (28 esemplari) e «Flight IIA» (34 esemplari,<br />
di cui gli ultimi sei tuttora in diversi stati di costruzione e allestimento). Fra le due<br />
famiglie esistono alcune differenze sostanziali per quanto riguarda dimensioni e sistemi<br />
imbarcati — e quindi prestazioni complessive — e per l’analisi comparata si farà<br />
dunque riferimento alla famiglia «Flight IIA»;<br />
— il programma «Zumwalt» è notoriamente l’ultima evoluzione dell’originario programma<br />
«DD 21», questo ultimo destinato a sostituire progressivamente anche i tipi<br />
«Burke» (8) ma la cui missione si concentra soprattutto sul sostegno di fuoco alle<br />
forze amiche operanti in profondità sul territorio e allo strike contro bersagli terrestri,<br />
obbligando le nuove unità a penetrare e agire senza restrizioni nel critico segmento<br />
dello spazio della battaglia prossimo al territorio nemico dove minacce di vario tipo<br />
A lato: immagine poppiera del DONALD COOK, che evidenzia vari tipi di elementi radar riflettenti<br />
e quindi con impatto negativo sulla superficie radar equivalente (US Navy).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
127
128 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il disegno dei tipi «Zumwalt» rappresenta probabilmente la più drastica e rivoluzionaria innovazione<br />
del progetto navale militare, secondo una filosofia di integrazione totale che avrà prevedibilmente<br />
un impatto sulle soluzioni del futuro (NG).<br />
possono negare l’accesso e mettere a repentaglio la sopravvivenza di qualsiasi piattaforma<br />
navale che non sia adeguatamente attrezzata per farvi fronte. Da qui l’enfasi<br />
posta su capacità e tecnologie che hanno rappresentato altrettanti problemi tecnici e<br />
soprattutto finanziari incontrati lungo lo sviluppo del programma, costringendo la US<br />
Navy ha rivedere pesantemente la consistenza della classe, passata dai 32 esemplari di<br />
partenza ai «soli» sette esemplari previsti al momento (9) .<br />
Da un punto di vista del disegno e delle linee generali, la diversità fra i «Burke» —<br />
un adattamento del progetto «Ticonderoga» per imbarcare il sistema di difesa aerea<br />
«Aegis» su uno scafo di dimensioni più contenute ma dalle forme convenzionali — e<br />
gli «Zumwalt» è subito evidente. I «Burke» presentano infatti un ponte di castello<br />
esteso per quasi tutta la lunghezza dello scafo, mentre le sovrastrutture — caratteriz-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La fregata tedesca KARLSRUHE, appartenente alla classe «Bremen». Si tratta di piattaforme concepite<br />
negli anni Settanta per una funzione primaria ben definita (antisommergibile), ma dotate di capacità<br />
secondarie anche per il contrasto antinave (Bundesmarine).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
129<br />
zate da un blocco prodiero che ospita i quattro sensori a facce piane e un unico albero<br />
e da due massicci fumaioli, con quello poppiero raccordato con le strutture successive<br />
— sono configurate per abbattere quanto più possibile una superficie radar equivalente<br />
che risente della frammentazione di numerosi sistemi su altrettante numerose strutture.<br />
Sugli «Zumwalt» si è preferito invece rompere decisamente con il passato, con<br />
uno scafo a ponte continuo su cui «incombe» a centronave la massiccia struttura integrata<br />
raccordata verso poppavia con le sistemazioni aeronautiche: questo disegno e la<br />
scelta di uno scafo di cui si è già parlato nei Capitoli precedenti rappresentano probabilmente<br />
la più drastica e rivoluzionaria innovazione del progetto navale militare,<br />
secondo una filosofia di integrazione totale che avrà possibilmente un impatto sulle<br />
soluzioni del futuro e di cui il beneficio principale è la riduzione della superficie radar
130 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Elementi distintivi dei tipi «Sachsen» (qui raffigurata è l’unità eponima della classe) sono la lunga tuga<br />
prodiera, dove svetta la massiccia struttura del radar multifunzionale a facce piane e quella poppiera,<br />
che sorregge l’altrettanto massiccia struttura del radar tridimensionale di s<strong>cop</strong>erta a lungo raggio<br />
(Bundesmarine).<br />
equivalente fino a valori simili a quelli di un peschereccio da 150 t. Il «prezzo» pagato<br />
dai progettisti a seguito di questa innovazione nelle forme e nella configurazione complessiva<br />
— nonché in seguito alla definizione del carico utile — è un deciso incremento<br />
dimensionale. Si passa infatti dai 155 m di lunghezza fuori tutto dei »Burke» ai 185<br />
m degli «Zumwalt» e dai 20,4 m di larghezza dei primi ai 24,6 m dei secondi, con un<br />
incremento dovuto essenzialmente all’esigenza di installare sugli «Zumwalt» i due<br />
sistemi automatici d’artiglieria e disporre di aree e volumi adeguati a poppa per le<br />
sistemazioni aeronautiche: comparando questi numeri, la snellezza dello scafo risulta<br />
comunque sostanzialmente identica, ma davvero rilevante è la differenza nel dislocamento<br />
a pieno carico, che passa da circa 9.250 t a poco più di 14.000 t. Questa diffe-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La fregata italiana EURO. La configurazione della zona poppiera delle unità classe «Maestrale» è quella<br />
classica per le unità destinate alla lotta antisommergibile, con ponte di volo e hangar per due elicotteri<br />
e zona sottostante adibita al sonar a profondità variabile (MARISTAT).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
131<br />
renza si riflette anche nel campo delle prestazioni, perché ai 32 n di velocità massima<br />
dei «Burke» (concepiti per correre assieme alle portaerei) fanno riscontro i 30 n degli<br />
«Zumwalt», un valore peraltro di tutto rispetto se commisurato proprio alle dimensioni<br />
della piattaforma e alla potenza installata. Totalmente differente è infatti anche la configurazione<br />
per la propulsione, perché i «Burke» presentano una configurazione<br />
COGAG tradizionale con quattro turbine a gas e 78.000 KW di potenza complessiva<br />
su due assi con eliche a passo controllabile: il sistema degli «Zumwalt» genera la stessa<br />
potenza massima, ma si tratta di una configurazione integrata per la generazione e<br />
la distribuzione dell’energia elettrica che comprende quattro gruppi turbogas e di cui<br />
la propulsione — con due motori elettrici collegati ad altrettante eliche a passo fisso
132 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Immagine al computer della fregata BERGAMINI, in costruzione per la <strong>Marina</strong> <strong>Militare</strong>. Il disegno<br />
della zona poppiera è diverso in relazione alle due varianti della classe: il recesso per l’alloggiamento<br />
del sonar a profondità variabile presente sulle unità antisommergibili è sfruttato nella variante multiruolo<br />
per l’alloggiamento del gommone a chiglia rigida per le forze speciali (Orizzonte Sistemi Navali).<br />
— è uno degli utenti. Come già discusso nel Capitolo precedente, sugli «Zumwalt»<br />
debutta l’applicazione del concetto «TCSE» (Total Ship Computing Environment) e<br />
anche quest’aspetto rappresenta una radicale innovazione rispetto al concetto di automazione<br />
attuato sui tipi «Burke», dove le varie funzioni sono sì svolte attraverso<br />
applicazioni elettroniche ma senza l’integrazione totale perseguita per gli «Zumwalt».<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
L’adozione del TCSE e la nuova filosofia di configurazione per le professionalità<br />
necessarie a condurre una moderna nave da guerra sono stati gli elementi chiave che<br />
hanno portato sugli «Zumwalt» a una consistenza dell’equipaggio pari a 175 effettivi,<br />
un valore nettamente distante dai 323 uomini e donne presenti sui «Burke»(10) e che<br />
dovrebbe consentire una riduzione degli oneri per la gestione del ciclo di vita delle<br />
nuove unità.<br />
Se la presenza sugli «Zumwalt» di un unica massiccia sovrastruttura in cui sono<br />
incorporati tutti i sensori elettronici (radar in varie bande, sistemi per le comunicazioni<br />
e la guerra elettronica) e le condotte di aspirazione e scarico dei gruppi turbogas<br />
rappresenta un aspetto di differenziazione molto significativo rispetto ai «Burke», un<br />
analoga considerazione si applica per il sistema d’arma. Evidente anche in questo<br />
caso è infatti la rottura rispetto al passato, perché all’unica torre da 127/54 mm presente<br />
sui «Burke» (11) si contrappongono sugli «Zumwalt» due sistemi automatici da<br />
155 mm (in configurazione stealth) che rappresentano quasi un ritorno verso un passato<br />
fatto di grossi calibri e dove la potenza delle artiglierie costituiva un fattore<br />
discriminante per le capacità globali della nave da guerra. In realtà, si tratta di un<br />
approccio che presenta elementi di comunanza funzionale perché sui «Burke» all’unico<br />
cannone presente è stato sostanzialmente affidato il sostegno alle operazioni terrestri,<br />
le due rampe quadruple per missili superficie-superficie sono destinate a colpire<br />
bersagli navali e i due complessi di lancio verticale — in due blocchi a prora e a<br />
poppa, e per un totale di 96 celle — impiegano i missili per la difesa antiaerea e antimissile<br />
e per lo strike contro obiettivi terrestri. Sugli «Zumwalt» si è invece adottata<br />
una diversa articolazione delle funzioni, nonché un differente approccio progettuale:<br />
le 80 celle per il lancio verticale sono disposte lungo le murate, contribuiscono alla<br />
protezione della nave e servono per le stesse funzioni di tutti i tipi di missili in dotazione<br />
ai «Burke» (12), mentre i cannoni di grosso calibro servono solo e unicamente<br />
per il sostegno alle forze terrestri e il volume a loro dedicato è stato concepito per un<br />
potenziale e futuro imbarco di cannoni elettromagnetici.<br />
La dotazione aeronautica di base degli «Zumwalt» comprende due elicotteri «SH-<br />
60», in piena uguaglianza con i «Burke»: le nuove unità hanno tuttavia spazio sufficiente<br />
per impiegare anche UAV a decollo verticale in numero variabile in funzione<br />
della missione, nonché gli spazi nella zona poppiera per mettere in acqua gommoni a<br />
chiglia rigida e altri tipi di mezzi (anche non guidati) di superficie e/o subacquei. In<br />
questo ambito, va ricordato che alcuni esemplari della classe «Burke» sono stati<br />
modificati per ospitare UUV dedicati alle contromisure mine, dotando così queste<br />
unità di capacità organiche nel settore assenti su similari piattaforme non statunitensi.<br />
Germania: dalle «Bremen» ai «Sachsen»<br />
Le otto fregate tedesche della classe «Bremen» vennero costruite nel periodo<br />
1979/1990 per consolidare le capacità di lotta antisommergibile e operare quindi nell’ambito<br />
di task groups NATO nell’area del Mare del Nord: si tratta dunque di piattaforma<br />
concepite per una funzione primaria ben definita, ma dotate di capacità<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
133
134 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
secondarie anche per il contrasto antinave e di cui due esemplari sono stati recentemente<br />
oggetto di modifiche per svolgere funzioni di comando e controllo (13).<br />
Viceversa, le tre nuove unità classe «F-124/Sachsen» — impropriamente denominate<br />
fregate e in linea dal 2000 — sono state concepite per la sostituzione dei vecchi cacciatorpediniere<br />
lanciamissili classe «Lutjens» e per garantire quindi alla<br />
Bundesmarine capacità di difesa aerea a medio e lungo raggio anche in scenari operativi<br />
distanti dalle acque tedesche e nell’ambito di gruppi navali internazionali. Come<br />
conseguenza della diversità nei ruoli, l’analisi comparata si focalizza sulle innovazioni<br />
progettuali e tecnologiche intercorse in un arco temporale ventennale.<br />
Le differenze fra le «Bremen» e i «Sachsen» riguardano essenzialmente la maturazione<br />
delle tecnologie progettuali — soprattutto l’adozione sui secondi del concetto<br />
«MEKO» — e la disponibilità di elementi importanti nel campo dei sistemi missilistici<br />
e della propulsione. Sotto il profilo della configurazione generale del disegno, si<br />
passa da uno scafo a ponte continuo a un castello esteso per circa 4/5 della lunghezza<br />
totale della piattaforma, da un unico fumaiolo centrale a due fumaioli affiancati e svasati<br />
verso l’esterno e da una distribuzione frammentata dei ponti superiori e dei sistemi<br />
imbarcati a una molto più compatta, dettata anche dall’esigenza di accrescere la<br />
sopravvivenza della piattaforma in caso di colpo diretto. Elementi distintivi dei<br />
«Sachsen» sono la lunga tuga prodiera dove svettano unicamente la massiccia struttura<br />
del radar multifunzionale a facce piane e quella poppiera, che sorregge l’altrettanto<br />
massiccia struttura del radar tridimensionale di s<strong>cop</strong>erta a lungo raggio e comprende<br />
anche l’hangar per i due elicotteri. Nonostante l’adozione di lanciatori verticali, sulle<br />
«Sachsen» permangono due lanciatori ottupli brandeggiabili per missili superficiearia<br />
a breve raggio, sistemati in posizioni analoghe a quelle adottate per le vecchie<br />
«Bremen»: un’analoga considerazione vale per le rampe dei missili superficie-superficie<br />
e per l’unico cannone da 76 mm, evidenziando quindi il mantenimento nei progetti<br />
navali tedeschi di analogie funzionali che risultano in controtendenza con altre<br />
soluzioni più integrate e innovative.<br />
In linea con le tendenze in atto e come discusso nei Capitoli precedenti, l’adozione<br />
del concetto MEKO e l’enfasi posta sulla protezione vede una marcata differenza nel<br />
dislocamento a pieno carico, con 5.600 t per i «Sachsen» e 3.800 per le «Bremen»:<br />
l’aspetto più tozzo dei «Sachsen» è anche confermato da un aumento delle dimensioni<br />
lineari (143 m di lunghezza fuori tutto e 17,4 m di larghezza massima) che evidenzia<br />
la maggior snellezza delle «Bremen». Per spingere a una velocità massima di 29 n ai<br />
«Sachsen» occorrono perciò i 38.300 KW di potenza erogati dal sistema propulsivo<br />
CODAG, mentre per i 30 n delle «Bremen» sono sufficienti i 36.700 KW erogate<br />
dalle due turbine a gas che fanno parte del sistema CODOG. È importante evidenziare<br />
in questo caso che nel passaggio dalle «Bremen» alle «Sachsen» vi è un incremento<br />
nella consistenza dell’equipaggio, passando da 200 effettivi circa 255, una situazione<br />
in netta controtendenza con la filosofia legata al massimo sfruttamento dell’automazione<br />
ed evidentemente influenzata dalla disomogeneità funzionale fra le due classi.<br />
Questa considerazione è applicabile anche al sistema di combattimento e il paragone<br />
può essere limitato a osservare che le «Bremen» risultano, in relazione alle dimen-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
sioni, più «affollate» dei «Sachsen», mentre la presenza su questi del complesso di<br />
lancio verticale consente un’importante crescita operativa qualora la <strong>Marina</strong> tedesca<br />
decidesse di impiegare sulle nuove unità anche missili destinati al contrasto degli<br />
ordigni balistici.<br />
Ancora Italia: dai «Maestrale» ai «Bergamini»<br />
La principale differenza fra gli otto esemplari di fregate classe «Maestrale» (realizzate<br />
nel periodo compreso fra il 1978 e il 1985) e i dieci esemplari pianificati per la<br />
nuova classe «Bergamini» (attualmente in costruzione e notoriamente definiti come<br />
segmento italiano del programma italo/francese FREMM) riguarda la prevalenza<br />
delle capacità antisommergibile sulle prime e l’esistenza di due varianti — antisommergibili<br />
e multiruolo/attacco contro bersagli terrestri — per le seconde. Il disegno<br />
generale delle due classi vede una netta differenziazione nell’approccio progettuale,<br />
con le «Maestrale» caratterizzate dalle «affollate» linee classiche delle fregate degli<br />
anni Settanta e le «Bergamini» esempio di ricaduta benefica delle esperienze progettuale<br />
in materia di disegno stealth ereditate dalle realizzazioni francesi e dalle più<br />
recenti «Doria/Forbin» (14).<br />
Si conferma anche per le future fregate italiane un incremento dimensionale perché<br />
le «Bergamini» hanno una lunghezza di 140 m e una larghezza di 19,4 m, a fronte di,<br />
rispettivamente, 123 m e 12,9 m per le «Maestrale», facendone di queste ultime unità<br />
più snelle rispetto alle prime. L’incremento del dislocamento a pieno carico sulle<br />
«Bergamini» — da 3.200 t a ben 5.650 t — e la maggior pienezza delle forme le<br />
rende meno veloci delle «Maestrale», con una marcata differenza di ben 5 n (32 contro<br />
27): la ragione di questa diversità va ricercata nella precisa volontà di rinunciare a<br />
prestazioni troppo spinte in cambio di un sistema propulsivo più flessibile e di concentrarsi<br />
sulle doti di protezione dell’unità. Le «Maestrale» sono infatti caratterizzate<br />
da un sistema propulsivo CODOG, con le due turbine a gas che erogano una potenza<br />
massima di 36.800 KW, mentre per le «Bergamini» è stata scelta una configurazione<br />
CODLAG con due motori elettrici e una turbina a gas nella catena propulsiva per le<br />
alte velocità.<br />
Mentre sulle «Maestrale» la configurazione della zona poppiera è quella classica<br />
per le unità destinate alla lotta antisommergibile (ponte di volo e hangar per due elicotteri<br />
e zona sottostante adibita al sonar a profondità variabile), quella delle<br />
«Bergamini» è diversa in relazione alle varianti, che hanno peraltro in comune la<br />
massiccia struttura del torrione per il sensore radar multifunzionale: il recesso per<br />
l’alloggiamento del sonar a profondità variabile presente sulle unità antisommergibili<br />
è sfruttato nella variante multiruolo per l’alloggiamento del gommone a chiglia rigida<br />
per le forze speciali, la cui sistemazione a bordo ha inoltre portato a una differente<br />
articolazione dei locali interni in quella zona. Sempre nella zona poppiera, le sistemazioni<br />
aeronautiche prevedono un hangar sistemato sul lato dritto della sovrastruttura<br />
adiacente e quello sinistro dedicato al munizionamento e alle esigenze tecnico/operative<br />
degli aeromobili imbarcati, mentre sulle «Maestrale» vi è un hangar unico per<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
135
136 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
due elicotteri: l’hangar delle «Bergamini» è comunque più grande di quello delle<br />
«Maestrale» perché è stato dimensionato per accogliere due elicotteri tipo «NH-90»,<br />
oppure un «NH-90» e un UAV a decollo verticale, mentre il ponte di volo è dimensionato<br />
per far operare anche un elicottero tipo «EH 101» ed è dotato di due sistemi per<br />
la movimentazione degli aeromobili imbarcati.<br />
Al contrario delle «Maestrale» dove prevale la funzione antisommergibile, il sistema<br />
di combattimento delle «Bergamini» è stato articolato secondo un’architettura<br />
comune alle versioni antisommergibili e multiruolo. La dotazione artiglieresca è quella<br />
dove si notano le differenze principali: la zona prodiera delle «Bergamini» è stata<br />
comunque configurata per ospitare — su entrambe le varianti — una torre d’artiglieria<br />
da 127/64 mm, una torre da 76/62 mm (15) e un complesso di lancio verticale (due<br />
moduli da otto celle) per missili superficie-aria, mentre sulle «Maestrale» ha debuttato<br />
la configurazione con la torre da 127/54 mm e il retrostante lanciatore «Albatros».<br />
Nella zona prodiera delle »Bergamini» è stato inoltre predisposto lo spazio per imbarcare<br />
un lanciatore verticale — sempre due moduli da otto celle — per missili da crociera,<br />
mentre sul cielo dell’hangar è presente un’ulteriore impianto da 76/62 mm.<br />
Ricordando che anche sulle «Bergamini» si rispetta la tendenza alla riduzione dell’equipaggio<br />
(145 effettivi, incluso il personale del reparto volo, delle forze speciali<br />
imbarcate e delle potenziali funzioni di comando e controllo a livello task unit/task<br />
group, contro i 230 delle «Maestrale»), è interessante notare un aspetto legato ai margini<br />
di crescita del progetto: esiste infatti una proposta industriale per una variante del<br />
progetto FREMM in versione per la difesa aerea a medio-lungo raggio in cui i sensori<br />
principali sono un radar multifunzionale attivo a facce piane e un radar tridimensionale<br />
da ricerca volumetrica a lungo raggio molto simile al sensore imbarcato sui<br />
«Doria». Ciò consentirebbe capacità di sorveglianza a lungo raggio, tracciamento dei<br />
bersagli e la guida dei missili, mentre sul versante delle armi, i lanciatori verticali<br />
destinati ai missili da crociera verrebbero adattati per l’impiego degli «Aster 30»: in<br />
tal modo e senza grossi stravolgimenti delle sistemazioni interne e delle soluzioni di<br />
piattaforma, l’obiettivo rimane la realizzazione di un’unità relativamente economica e<br />
con capacità sufficienti per la protezione di una task force destinata a operare in scenari<br />
operativamente «difficili» dove l’ambiente costiero/littoral è caratterizzato anche<br />
dalla presenza di ordigni missilistici aria-superficie.<br />
La sintesi<br />
La comparazione fra le classi di unità navali prese in esame evidenzia come i principali<br />
elementi che hanno influito forse più di altri sull’evoluzione del progetto per le<br />
unità navali di superficie siano stati — oltre al già citato sviluppo dell’elettronica<br />
applicata ai sistemi militari per numerose e distinte funzioni — essenzialmente quattro:<br />
— il consolidamento dei sistemi per il lancio verticale di missili di vario tipo. Il complesso<br />
di lancio verticale ha infatti rappresentato una radicale innovazione nei confronti<br />
dei sistemi di lancio tradizionali per diversi e importanti motivi quali il deciso<br />
incremento della cadenza di tiro dei missili, l’aumento — seppur contenuto — nel<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
137<br />
numero di missili imbarcati e la possibilità di conglobare l’intero sistema nello scafo<br />
(e quindi contribuire in maniera significativa alla riduzione della superficie radar<br />
equivalente). Appare in sintesi molto difficile immaginare che sulle future unità siano<br />
ancora presenti rampe tradizionali peraltro «dannose» ai fini della stealthness;<br />
— l’enfasi posta sulla doti di protezione e sopravvivenza della piattaforma, con un<br />
aumento dei volumi e delle superfici interne, a sua volta benefico al fine di soddisfare<br />
egregiamente migliori e innovativi standard di abitabilità per l’equipaggio. Questa<br />
tendenza si riscontra anche sulle unità di minori dimensioni, la cosiddetta «fascia<br />
bassa» dove i pattugliatori oceanici prendono ormai il posto delle tradizionali corvette<br />
e devono stare in mare per periodi più lunghi;<br />
— assicurata anche da motori elettrici di dimensioni più contenute rispetto alle macchine<br />
della scorsa generazione e con margini di potenza necessari in futuro per l’impiego<br />
di cannoni elettromagnetici e armi a energia diretta;<br />
— la graduale «pulizia» delle linee del disegno, con una chiara tendenza a relegare<br />
nel passato sovrastrutture «affollate» di sistemi e attrezzature di vario tipo.<br />
Il futuro dell’evoluzione del progetto navale militare si può sintetizzare nella ricerca<br />
di soluzioni ottimali per accrescere maggiormente il grado di sopravvivenza della<br />
piattaforma e per limitare al massimo la consistenza dell’equipaggio, con l’obiettivo<br />
strategico mirato al perseguimento del miglior compromesso nell’importante processo<br />
di definizione, sviluppo e realizzazione per unità navali di superficie in grado di soddisfare,<br />
al meglio e con il minimo costo, i requisiti operativi e tecnici.<br />
NOTE<br />
(1) Per la precisione, le unità classe «Andrea Doria» e «Bergamini» trovano una corrispondenza nelle<br />
classi «Forbin» e «Aquitaine» della <strong>Marina</strong> francese. In tal modo, si è indirettamente cercato di allargare<br />
l’analisi a quattro fra le principali forze navali del mondo. Va inoltre ricordato che le «Sachsen» tedesche<br />
sono il risultato di una collaborazione internazionale con l’Olanda, che ha generato le quattro unità classe<br />
«De Zeven Provincien» destinate alla difesa aerea e anche all’esercizio di funzioni di comando e controllo<br />
di gruppi navali di superficie.
138 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
(2) Allo s<strong>cop</strong>o di evitare dissimilarità fra le fonti di provenienza dei dati riportati nel Supplemento per le<br />
unità oggetto di questa analisi comparata, si è deciso di ricorrere alle informazioni sulle dimensioni univocamente<br />
tratte dall’edizione 2005/2007 dell’almanacco navale tascabile tedesco Weyers Flotten<br />
Taschenbuch. Le eventuali difformità dai numeri reali sono quindi «<strong>cop</strong>erte» dalla presenza di un errore<br />
sistematico che nulla toglie alla validità dell’analisi comparata.<br />
(3) In altre parole, la moderna unità combattente di superficie rappresenta un nodo primario di un’architettura<br />
networkcentrica.<br />
(4) Va ricordato che il progetto di queste unità si è ispirato a quello dei tipi «Audace» e ciò si rispecchia<br />
in una marcata analogia del disegno complessivo.<br />
(5) Le difficoltà incontrate nell’attuazione integrale della Legge Navale e la priorità accordata ad altre<br />
categorie di naviglio provocò lo slittamento del programma e le due unità furono impostate alla fine<br />
degli anni Ottanta.<br />
(6) Sui «Forbin» francesi, al posto della torre da 76 mm sul cielo dell’hangar vi è un lanciatore brandeggiabile<br />
per missili superficie-aria a corto raggio «Sadral».<br />
(7) Tenendo naturalmente conto dei costi necessari per concretizzare queste ipotesi.<br />
(8) Il primo esemplare di questa numerosa classe di cacciatorpediniere lanciamissili è stato costruito nel<br />
periodo 1988/1991 e ha pertanto all’incirca 20 anni.<br />
(9) Evidente quindi l’impossibilità a sostituire i «Burke» uno contro uno, ma questo aspetto va inquadrato<br />
nel più ampio contesto della futura struttura delle forze navali statunitensi, attualmente pianificata in<br />
313 esemplari a regime verso il 2020: di esse, 88 saranno unità combattenti di superficie, in pratica<br />
incrociatori e cacciatorpediniere appartenenti a varie classi già in servizio e di futura realizzazione, compresi<br />
i sette «Zumwalt» attualmente in programma.<br />
(10) La decisione ha innescato un vivace dibattito negli ambienti navali statunitensi sulle capacità dell’equipaggio<br />
nell’affrontare situazioni di emergenza derivanti da incidenti o da colpi a bordo.<br />
(11) Peraltro in corso di potenziamento con l’adozione del nuovo calibro 64, ma con problemi nell’impiego<br />
di munizionamento guidato e a lungo raggio.<br />
(12) Non esistono quindi rampe con contenitori/lanciatori per ordigni «monovalenti». Le due torri da 57<br />
mm presenti sugli «Zumwalt» sono utilizzati per la protezione a medio-breve raggio contro minacce di<br />
superficie.<br />
(13) Le fregate classe «Bremen» sono destinate a essere sostituite dalle nuove unità tipo «F-125» secondo<br />
un criterio puramente quantitativo. Le nuove unità sono infatti destinate a operare nell’ambito di<br />
«forze di stabilizzazione», in accordo con la nuova articolazione della struttura delle forze militari tedesche<br />
scaturita da un processo di revisione dottrinaria e materiale.<br />
(14) Nel caso delle «Bergamini» va però osservato che esistono differenze con le «Aquitaine» francesi<br />
più marcate che non fra i tipi «Doria» e «Forbin».<br />
(15) Il pezzo da 127/64 mm è equipaggiato per il sistema «Vulcano», in grado quindi di contribuire al<br />
fuoco contro obiettivi terrestri, mentre l’incremento del raggio d’azione e della precisione del 76/62 è<br />
ottenuta grazie al sistema «Davide».<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
Capitolo 8<br />
IDEE E SOLUZIONI PROGETTUALI: FANTASIA O REALTA’?<br />
139<br />
Nei vari Capitoli del Supplemento si è parlato di progetti e programmi per unità<br />
combattenti di superficie di nuova e prossima realizzazione, nonché delle varie<br />
tendenze manifestate nei vari settori del progetto navale militare. Per concludere il<br />
Supplemento si è perciò ritenuto opportuno analizzare alcune idee e soluzioni progettuali<br />
in circolazione negli ultimi anni, il cui elemento comune alla maggior parte di<br />
esse è la loro natura sostanzialmente concettuale: se in alcune di loro si ritrovano<br />
Immagine al computer della proposta «Combat Ship for Littoral», CSL di TKMS. Una delle innovazioni<br />
del progetto riguarda le forme di scafo della CSL, perché le sue sezioni orizzontali hanno un profilo<br />
simile alla lettera Δ dell’alfabeto greco (TKMS).
140 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
infatti aspetti del progetto navale militare in linea con le tendenze ma sempre nell’alveo<br />
di una ben precisa scelta tradizionale, in altri casi le proposte sono sicuramente<br />
ardite o fantasiose— e qualche volta bizzarre — e vanno ben al di là degli schemi<br />
convenzionali. Un altro importante elemento di comunanza riguarda la provenienza di<br />
queste idee e soluzioni, perché sono state tutte generate in Europa, a dimostrazione di<br />
una vivacità intellettuale non seconda ai concetti elaborati al di là dell’Atlantico.<br />
L’evoluzione del progetto MEKO<br />
Nella zona<br />
poppiera del progetto<br />
CSL è presente<br />
una mission bay,<br />
da cui è possibile<br />
mettere a mare<br />
imbarcazioni<br />
veloci, UUVs e USVs<br />
(TKMS).<br />
Sulla scia del successo ottenuto non solo con l’esportazione ma anche con i principali<br />
programmi navali per la Deutsche Marine, il gruppo industriale ThyssenKrupp<br />
Marine Systems (TMKS) — e in particolare la società Blohm + Voss ideatrice del<br />
concetto MEKO — ha elaborato alcune ipotesi progettuali per una gamma di unità<br />
combattenti di superficie fondate tutte sul predetto concetto e nel cui progetto sono<br />
state introdotte diverse fra le innovazioni tecnologiche discusse nei Capitoli precedenti.<br />
La fascia inferiore delle proposte TMKS è occupata da una cosiddetta «Combat<br />
Ship for the Littorals» CSL, che ai fini pratici può essere interpretata come una sorta<br />
di risposta tedesca al programma LCS statunitense ed è perciò destinata a Marine di<br />
piccole e medie dimensioni che sono chiamate a operare lontano dalle basi e in un<br />
contesto internazionale. Si tratta di un’unità compatta ma dimensionalmente assimila-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un importante<br />
caratteristica del progetto<br />
tedesco «MEKO X»,<br />
qui raffigurato, riguarda<br />
il concetto delle due isole,<br />
cioè due zone autonome<br />
ciascuna formata<br />
da una sezione di scafo<br />
e di sovrastrutture<br />
sormontata da un albero<br />
a sezione tron<strong>cop</strong>iramidale<br />
che ospita in maniera<br />
integrata tutti i sensori<br />
di sorveglianza,<br />
tracciamento,<br />
guidamissili<br />
e comunicazioni (B+V).<br />
bile a una fregata, con una lunghezza fuori tutto di circa 109 m, una larghezza massima<br />
di 21 m e un dislocamento a pieno carico di 2.750 t. Il progetto riguarda una carena<br />
tradizionale, con lo scafo in acciaio a elevata resistenza e le sovrastrutture in fibra<br />
di vetro e/o materiali compositi, una scelta questa dettata da due elementi:<br />
— riduzione del peso delle strutture, perché i materiali compositi consentono di ottenere<br />
un risparmio del 50% nel peso, che può essere così dedicato all’aumento del carico<br />
utile;<br />
— un maggior contributo alla riduzione della superficie radar equivalente, favorita<br />
dalla migliore lavorabilità dei compositi rispetto all’acciaio per ottenere le forme<br />
volute, e della segnatura all’infrarosso, grazie alla loro migliore conduttività termica.<br />
Una delle innovazioni del progetto riguarda le forme di scafo della CSL, perché le<br />
sue sezioni orizzontali hanno un profilo simile alla lettera Δ dell’alfabeto greco (1),<br />
mentre le costole sono sagomate a «V», il bulbo prodiero è relativamente lungo e<br />
affusolato e la poppa transom è decisamente inclinata verso l’interno: l’insieme di<br />
queste scelte offre, rispetto a soluzioni di scafo più convenzionali, maggiori superfici<br />
disponibili nella zona poppiera, nonché migliori prestazioni velocistiche.<br />
L’approccio concettuale scelto per il progetto CSL è quello della modularità funzionale,<br />
in modo da consentire il rapido “passaggio” da una missione a un’altra: per raggiungere<br />
questo obiettivo, lo scafo è stato configurato in tre zone (prora, centro e<br />
poppa, con strutture e volumi ben definiti) in ciascuna delle quali è possibile installare<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
141
142 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Grazie alle loro caratteristiche di modularità e «scalabilità»,<br />
TMKS ha rielaborato le precedenti proposte di Blohm + Voss<br />
in funzione delle nuove esigenze di mercato e ha definito<br />
nel 2006 una variante aggiornata del progetto «MEKO D»,<br />
qui raffigurato (TKMS).<br />
A destra: Grazie ancora all’applicazione del concetto delle due<br />
isole, il progetto «MEKO D» aggiornato (qui raffigurata<br />
è una vista orizzontale) presenta un disegno dalle linee pulite<br />
e razionali, anche se non si è giunti alla totale integrazione<br />
dei sensori e sistemi in strutture integrate (TKMS).<br />
moduli funzionali collegabili — attraverso interfacce standard — ai servizi garantiti<br />
dalla piattaforma. Ciascuno dei moduli di missione — in pratica un container da 20<br />
piedi — può essere di tipo manned o unmanned e può comprendere sensori e sistemi<br />
d’arma, UXV, infrastrutture sanitarie, tecniche o per la conservazione di pezzi di<br />
rispetto, ecc.: l’unità può accogliere fino a 21 moduli funzionali e questo ha permesso<br />
di definire un totale di 12 differenti missioni. Sotto il profilo generale, la CSL si presenta<br />
come un’unità a ponte continuo, con una sovrastruttura che occupa la zona centrale<br />
e che contiene l’hangar per due elicotteri o un paio di UAV ad ala rotante: nella<br />
zona poppiera è inoltre presente una mission bay, da cui è possibile mettere a mare<br />
imbarcazioni veloci, UUVs e USVs. Il disegno generale della CSL beneficia delle<br />
esperienze acquisite con il progetto svedese «Visby» per la riduzione delle segnature<br />
ottica, radar e IR, mentre evidente è la ricerca dell’integrazione dei sensori in un’unica<br />
struttura di forma tronco-piramidale.<br />
Oltre ai moduli di missione, il progetto CSL è configurato con alcuni sistemi e<br />
moduli di base che permettono all’unità di svolgere le funzioni basilari di una nave da<br />
guerra e che in questo caso riguardano:<br />
— la sorveglianza e le comunicazioni, attraverso l’albero integrato citato in precedenza;<br />
— l’autodifesa contro minacce aree e di superficie, per mezzo di una torre di medio calibro<br />
(un pezzo da 57, 76 o 127 mm sistemata a prora) e due sistemi di calibro inferiore;<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Immagine al computer del concetto<br />
«Swordship», che riassume<br />
caratteristiche innovative quali<br />
uno scafo a trimarano in materiali<br />
compositi e con corpo centrale<br />
dotato di prora wave-piercing,<br />
strutture laterali dimensionalmente<br />
contenute e un’unica sovrastruttura<br />
integrata centrale di forma<br />
tronco-piramidale (DCNS).<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
143<br />
— la lotta e la difesa antisommergibile, per mezzo di un sensore elettroacustico e due<br />
impianti lanciasiluri;<br />
— la difesa contro le minacce asimmetriche, per mezzo di due direzioni del tiro elettro-ottiche,<br />
quattro mitragliere telecomandate e un sonar per la sorveglianza in porto.<br />
Il progetto CSL incorpora un approccio olistico per ridurre la suscettibilità alla s<strong>cop</strong>erta<br />
avversaria e la vulnerabilità globale, nonché per massimizzare la recuperabilità<br />
funzionale in caso di incidente o colpo a bordo: ciò è ottenuto sfruttando le doti di<br />
velocità e manovrabilità e attraverso la gestione delle varie segnature. Il requisito di<br />
velocità elevata richiede l’installazione di un sistema propulsivo molto potente se riferito<br />
alla compattezza della piattaforma: allo stesso tempo, occorre però considerare<br />
che le unità militari operano per la maggior parte del tempo a una velocità di trasferimento<br />
di circa 16-18 n e raggiungono la velocità massima solo in alcune occasioni. Il<br />
progetto CSL viene dunque offerto con tre differenti opzioni di sistema propulsivo:<br />
per un profilo operativo che garantisce un’autonomia elevata senza penalizzare<br />
troppo la velocità massima (30 n), si è scelta una soluzione CODAD da 29 MW di<br />
potenza su tre idrogetti: due sono dedicati alla velocità di crociera e ciascuno è azionato<br />
da un motore diesel, mentre il terzo idrogetto entra in funzione per gli spunti di<br />
velocità;<br />
per velocità massime superiori ai 35 n, viene offerto un sistema CODAG da 52
144 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
MW su quattro idrogetti: due sono azionati da altrettanti motori diesel, mentre gli altri<br />
due, più grandi dei precedenti, sono azionati da una turbina a gas con connessione<br />
incrociata,<br />
qualora sia necessario soddisfare un requisito di velocità ancora più elevata (40 n),<br />
viene offerta ancora una soluzione CODAG da 67 MW con quattro idrogetti: la <strong>cop</strong>pia<br />
esterna è azionata da una <strong>cop</strong>pia di motori diesel — che assicurano una velocità<br />
massima di 20 n — mentre ciascuno di quelli esterni è azionata da una turbina a gas.<br />
Tutte le soluzioni propulsive proposte sono caratterizzate da un elevato livello di<br />
ridondanza perché le varie macchine sono alloggiate in compartimenti separati: per<br />
migliorare ulteriormente la flessibilità e la ridondanza della catena propulsiva, a prora<br />
è presente un propulsore elettrico ausiliario che permette di spingere l’unità fino a 5 n<br />
qualora il sistema principale sia indisponibile, nonché a migliorare la manovrabilità in<br />
acque ristrette.<br />
I locali destinati all’equipaggio sono stati configurati per imbarcare un massimo di<br />
75 effettivi, di cui 40 sono necessari per la gestione in sicurezza della piattaforma e<br />
dei sistemi di base, mentre gli altri 35 sono destinati alla gestione dei moduli di missione.<br />
Nel 2002, l’allora Blohm + Voss elaborò il progetto di una fregata multimissione<br />
che, in accordo alla forma a delta della sezione orizzontale, venne definita «MEKO D<br />
frigate». Si trattava di un progetto derivato da quello delle unità tipo «MEKO A» e<br />
caratterizzato da alcune innovazioni nei sistemi di piattaforma e di combattimento<br />
mirate a ridurre i costi gestionali, migliorare le doti di sopravvivenza ed espandere<br />
ulteriormente le capacità funzionali: il risultato dell’esercizio progettuale era un’unità<br />
da 3.500 t di dislocamento, con una carena monoscafo tradizionale le cui forme avanzate<br />
esaltavano anche le doti di tenuta al mare. Alla stessa epoca risale un’altra proposta<br />
progettuale, relativa a un’unità multimissione, capace di svolgere anche la funzione<br />
di nodo in un’architettura networkecentrica complessa che comprende anche assetti<br />
navali, aerei e terrestri di qualsiasi nazionalità: questo complesso di capacità operative<br />
si riflette nelle maggiori dimensioni (circa 7.000 t di dislocamento e 151 m di lunghezza)<br />
della piattaforma, che oltre a essere caratterizzata dalla configurazione a Δ,<br />
presentava uno scafo con murate dapprima svasate verso l’esterno e poi verso l’interno,<br />
in modo da formare una sorta di «X» che dà il nome al progetto: «MEKO X».<br />
Grazie a questo accorgimento, lo scafo consente una sistemazione ottimale dei vari<br />
elementi del sistema di combattimento, maggiori volumi interni da destinare ai locali<br />
per l’equipaggio e al carico utile, migliori caratteristiche idrodinamiche e di stabilità.<br />
Un importante caratteristica del progetto «MEKO X» riguarda il concetto delle due<br />
isole, relativo alla presenza di due zone autonome ciascuna formata da una sezione di<br />
scafo e di sovrastrutture sormontata da un albero a sezione tron<strong>cop</strong>iramidale che ospita<br />
in maniera integrata — e sotto forma di antenne planari in grado di <strong>cop</strong>rire tutti i<br />
360° — tutti i sensori di sorveglianza, tracciamento, guidamissili e comunicazioni.<br />
Per potenziare la sopravvivenza strutturale dell’unità, sul progetto «MEKO X» sono<br />
stati previsti quattro strutture longitudinali scatolari che corrono per circa l’80% della<br />
lunghezza dello scafo e sei doppie paratie stagne. L’ampia disponibilità di volumi<br />
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IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il concetto F5 di BMT e Nigel Gee è derivato da un modello di carena originariamente sviluppata<br />
per il trasporto commerciale veloce di merci e passeggeri, formata da uno scafo centrale e da due <strong>cop</strong>pie<br />
di scafi laterali posizionati nella zona centro-poppiera dell’unità (BMT).<br />
nella zona poppiera ha permesso di sistemare l’hangar — in grado di ospitare due elicotteri<br />
— sotto il ponte di <strong>cop</strong>erta, con due elevatori per il collegamento con il ponte<br />
di volo. L’ottimizzazione del sistema d’arma è favorita dalla possibilità di imbarcare<br />
un totale di 96 lanciatori verticali per missili di vario tipo, suddivisi in quattro complessi<br />
modulari sistemati a prora (due gruppi), nello spazio a centronave fra le due<br />
«isole» e a poppa (in prossimità del ponte di volo), mentre la componente artiglieresca<br />
sfrutta ben due torri da 127 mm. Per poter alimentare tutte le utenze di bordo e al<br />
contempo garantire la massima flessibilità propulsiva, il progetto «MEKO X» sfrutta<br />
una configurazione tutta elettrica, in cui la propulsione è affidata a due pod azimutali<br />
che occupano la zona estrema dell’ampia volta di poppa.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
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146 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il concetto F5 è basato su una soluzione architettonicamente molto inusuale per il campo navale militare<br />
e rappresenta certamente un progetto innovativo e rivoluzionario, anche se fondato su tecnologie<br />
di sistema non ancora pienamente disponibili per una sua concretizzazione (BMT).<br />
Considerando l’epoca della sua presentazione, il progetto «MEKO X» racchiudeva<br />
certamente numerosi elementi di innovazione progettuale — fra cui l’albero integrato<br />
e i propulsori azimutali — che sono stati recepiti soltanto da qualche anno in alcune<br />
unità di nuova generazione. Grazie anche alle loro caratteristiche di modularità e<br />
«scalabilità», TMKS ha rielaborato le proposte precedenti in funzione delle nuove esigenze<br />
di mercato e ha definito nel 2006 una variante aggiornata del progetto «MEKO<br />
D» che incorpora diversi elementi di quelli precedenti. La proposta aggiornata riguarda<br />
perciò un’unità con una vocazione principale dedicata alla difesa antiaerea e antimissile<br />
e caratterizzata da dimensioni più contenute (134 m di lunghezza e 5.000 t di<br />
dislocamento): grazie ancora all’applicazione del concetto delle due isole, questo progetto<br />
«MEKO D» presenta un disegno dalle linee pulite e razionali, anche se non si è<br />
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IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Il concetto «UVX Combatant» (di cui è raffigurato un modello) riguarda una piattaforma multiruolo<br />
di nuova generazione da 8.000 t di dislocamento e 154 m di lunghezza che sfrutta le capacità di vari tipi<br />
di mezzi telecomandati (Foto Autore).<br />
giunti alla totale integrazione dei sensori e sistemi in strutture integrate (2). La proposta<br />
per il sistema propulsivo comprende una configurazione CODOG o CODAG che<br />
permette di raggiungere una velocità massima di 32 n, mentre l’elemento principale<br />
del sistema di combattimento è formato da due gruppi di lanciatori verticali (64 celle<br />
in totale), posizionati a prora e sulla tuga centrale che forma l’elemento di discontinuità<br />
fra le due isole.<br />
Le proposte d’oltralpe<br />
Risalgono al 2002 e con la presentazione del concetto «CCX 21», gli studi del<br />
gruppo industriale francese DCN (poi trasformatosi in DCNS) per soluzioni proget-<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
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148 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
tuali innovative da applicare al naviglio combattente di superficie. La proposta «CCX<br />
21» era in realtà mirata a quelle Marine di media entità alla ricerca di una piattaforma<br />
dimensionalmente contenuta ma in grado di sviluppare le medesime capacità di una<br />
fregata: a similitudine del progetto CSL, il concetto «CCX 21» si pone quindi nella<br />
fascia più bassa considerata in questo Supplemento, ma si tratta comunque di una piattaforma<br />
lunga 114,5 m e avente un dislocamento superiore alle 3.000 t. Forte dell’esperienza<br />
maturata nell’applicazione delle tecnologie stealth in campo navale, DCN ha<br />
quindi realizzato un’unità multiruolo dal disegno «aerodinamico», perché la zona prodiera<br />
delle sovrastrutture presenta una marcata angolazione che si amalgama con le<br />
linee pulite di tutto lo scafo. Elemento distintivo del concetto «CCX 21» è l’albero, in<br />
cui sono incorporati diversi sensori e che è caratterizzato da una geometria molto particolare<br />
riflettente le prime esperienze in materia d’integrazione: altrettanto inusuale è la<br />
carena, con un bulbo dalle forme molto slanciate che «tagliano» il dritto di prora e con<br />
due strutture poppiere parallele che offrono i benefici tipici dei catamarani, rappresentando<br />
ciò il risultato di prove in vasca mirate a ottenere elevate prestazioni in termini<br />
di velocità e tenuta al mare.<br />
Altrettanto innovativa è la configurazione del sistema propulsivo: per velocità fino a<br />
15 n un propulsore elettrico azimutale con elica a passo fisso offre anche un’eccellente<br />
manovrabilità, mentre per gli spunti di velocità entrano in azione due idrogetti azionati<br />
da altrettanti motori diesel, e il tutto garantisce anche un ottimo grado di ridondanza<br />
grazie alla separazione dei tre assetti. Per la riduzione della segnatura complessiva, la<br />
sovrastruttura è realizzata in materiali compositi e ri<strong>cop</strong>erta di vernici anti-riflesso e<br />
diversi sensori planari ne fanno parte integrante: l’assenza del fumaiolo (le motrici<br />
hanno lo scarico subacqueo) contribuisce anche a facilitare la configurazione stealth<br />
delle sovrastrutture, al cui interno trovano posto tutte le attrezzature e impianti. Il concetto<br />
«CCX 21» sfrutta il principio della plancia integrata, che centralizza tutte le funzioni<br />
gestionali e di controllo (navigazione e relative comunicazioni, condotta della<br />
piattaforma) normalmente svolte in locali fisicamente separati fra loro: l’integrazione<br />
non è totale perché le funzioni di controllo danni sono comunque esercitate da un locale<br />
separato attraverso un sistema ampiamente automatizzato, in accordo con una filosofia<br />
generale che permette di ridurre la consistenza dell’equipaggio a 80 effettivi. I<br />
principali componenti del sistema d’arma sono infine un complesso di lancio verticale<br />
a 80 celle per missili superficie-aria a breve e medio raggio, un cannone di medio calibro<br />
e un elicottero, quest’ultimo eventualmente sostituibile con un UAV per missioni<br />
— ricognizione e designazione dei bersagli — nella quale è preferibile non esporre il<br />
personale a rischi inutili.<br />
***<br />
Un’evoluzione futuristica delle idee francesi in materia di unità combattenti si è<br />
concretizzata nel 2006 con il concetto Swordship, cioè lo sforzo di DCN di sintetizzare<br />
in un unico progetto un gamma di tecnologie emergenti nei settori della piattaforma,<br />
del sistema di combattimento, degli UVX e delle capacità netwocentriche e potenzialmente<br />
disponibili verso il 2030. Swordship riassume dunque in sé caratteristiche inno-<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Un particolare della zona poppiera del concetto «UVX Combatant», che evidenzia il doppio ponte<br />
di volo divergente verso prora e una sottostante mission bay riconfigurabile che può ospitare mezzi<br />
da sbarco, veicoli ruotati e cingolati, gommoni a chiglia rigida, UUVs e USVs e altri tipi di sistemi<br />
e materiali (Foto Autore).<br />
vative quali uno scafo a trimarano totalmente realizzato in materiali compositi, con un<br />
corpo centrale dotato di prora wave-piercing, strutture laterali dimensionalmente contenute<br />
ma tali comunque di generare una larghezza massima di ben 33,6 m e un’unica<br />
sovrastruttura integrata centrale di forma tron<strong>cop</strong>iramidale raccordata alla zona poppiera.<br />
Con un dislocamento di 5.300 t a pieno carico e una lunghezza di 145 m, le<br />
forme di scafo prescelte per il concetto Swordship permettono l’adozione di tutti i<br />
sensori elettronici — radar multifunzionale e di navigazione, antenne per le comunicazioni<br />
in varie bande — sotto forma di antenne planari, «annegate» sia nello scafo<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
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150 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Lo studio «Fregatten Der Zukunft 2020» riguarda una fregata del futuro concepita primariamente<br />
per la difesa aerea e antimissili balistici, con una configurazione stealth estrema caratterizzata da linee<br />
molto sfuggenti e dall’applicazione integrale del concetto di albero multi-sensore integrato (ZAS Marine).<br />
vero e proprio sia nella sovrastruttura integrata: come per il concetto «CCX 21», anche<br />
in questo caso DCN propone l’approccio della gestione totale della nave, spingendosi<br />
ancora più avanti perché le funzioni di condotta nave (controllo piattaforma e navigazione)<br />
sono combinate con quelle relative alla gestione del sistema di combattimento,<br />
attraverso il ricorso a soluzioni di automazione molto spinte (3) e sempre con l’obiettivo<br />
di ridurre al minimo la consistenza dell’equipaggio, limitato perciò a 40 effettivi. I<br />
volumi disponibili soprattutto nella zona poppiera consentono inoltre di poter allestire<br />
i locali per alloggiare ulteriori 40 effettivi, soprattutto quando è necessario dispiegare<br />
tutte le capacità esprimibili dalla piattaforma attraverso le operazioni con diversi tipi<br />
di UVX. La zona prodiera del progetto Sworship è stata concepita e configurata per<br />
alloggiare un sistema d’artiglieria a scomparsa con tre canne da 155 mm concepito per<br />
il fuoco controcosta e il supporto alle forze operanti sul territorio e alimentato da un<br />
deposito per 300 ordigni di precisione e lungo raggio: a queste capacità si associa un<br />
complesso di 48 celle per il lancio verticale di missili antiaerei, antimissile, da crocie-<br />
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IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
151<br />
ra, antisommergibili e antinave, posizionato a poppavia della sovrastruttura. La difesa<br />
a corto raggio è assicurata da diversi sistemi artigliereschi telecomandati di piccolo<br />
calibro — anch’essi a scomparsa — e sistemati a prora e a poppa, mentre per la protezione<br />
ravvicinata si adotta il concetto dello «scudo navale», che combina una serie di<br />
sensori e di sistemi attivi e passivi in grado di fornire una difesa adeguata contro<br />
minacce di superficie e subacquee fino a una distanza di 300 m. Il concetto Sworship<br />
fa grande affidamento sull’impiego di UVX per massimizzare le capacità della piattaforma<br />
e di conseguenza anche DCN ha sfruttato il principio della mission bay nella<br />
zona poppiera della piattaforma, cioè dove lo scafo a trimarano garantisce abbondanza<br />
di volumi: la dotazione di mezzi telecomandati comprende tre UAV a decollo verticale<br />
— movimentati dalla mission bay al sovrastante ponte di volo — e due USVs,<br />
messi in acqua tramite una gru che scorre sul cielo del locale e un portellone ricavato<br />
nell’ampio specchio di poppa. Oltre ai mezzi telecomandati, la mission bay può ospitare<br />
anche due gommoni a chiglia rigida da 11 m, mentre il ponte di volo è dimensionato<br />
per accogliere un elicottero da 10 t. L’uso degli UVX, impiegati come sensori<br />
«dispersi» ma collegati tramite data-link alla piattaforma in una sorta di mini architettura<br />
networkcentrica, ha indotto i progettisti della DCN a ritenere che l’alta velocità<br />
non fosse una priorità per questo tipo di concetto: di conseguenza, Sworship è equipaggiata<br />
con un sistema integrato di generazione di energia elettrica in cui un gruppo<br />
turbogas da 45 MW sviluppa la potenza necessaria per alimentare anche i due motori<br />
elettrici a superconduzione che azionano altrettanti pump-jet e sono in grado di spingere<br />
lo scafo a una velocità massima di 30 n: per le basse velocità, o quando la priorità<br />
riguarda la massima discrezionalità acustica, l’energia elettrica per alimentare tutti<br />
gli utenti di bordo viene prodotta da 4 gruppi di celle combustibili da 2,5 MW ciascuno.<br />
In sostanza, Swordship è certamente un concetto rivoluzionario che recepisce tutte<br />
le più avanzate tendenze progettuali, ma la sua maturazione potrà essere garantita soltanto<br />
grazie alla progressiva disponibilità dei sistemi previsti (primi fra tutti il sistema<br />
d’artiglieria a scomparsa) e soprattutto alla decisione dei potenziali clienti di compiere<br />
un deciso salto innovativo sull’approccio progettuale.<br />
Le ipotesi britanniche<br />
Nell’ormai lontano 1996, l’allora Vosper Thornycroft presentò un progetto dalle<br />
forme all’epoca veramente rivoluzionarie e relative a un’unità denominata Sea Wraith<br />
(4): l’obiettivo dei progettisti era incentrato soprattutto sulla riduzione delle varie<br />
segnature della piattaforma e riguardava una piattaforma da 115 m destinata al pattugliamento<br />
in ambiente a bassa intensità di minaccia e al contrasto antisommergibile.<br />
L’aspetto particolare del progetto Sea Wraith riguarda la configurazione dello scafo,<br />
di tipo wave piercing — che presenta quindi ampie analogie con i tipi «Zumwalt» statunitensi<br />
— e delle sovrastrutture, caratterizzate da due massicci torrioni in materiali<br />
compositi e radar riflettenti, disposti in posizione asimmetrica e in cui sono parzialmente<br />
«annegati» alcune sensori planari: attraverso l’adozione di queste forme,<br />
Vosper ha cercato di «disturbare» al massimo il sistema di guida radar di un missile
152 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
La zona poppiera<br />
dello studio<br />
«FDZ-2020»<br />
prevede un hangar<br />
sovrastante<br />
una mission bay<br />
per la messa<br />
a mare di imbarcazioni<br />
e mezzi di vario tipo:<br />
fra i diversi tipi di<br />
UVX, vi sono<br />
una <strong>cop</strong>pia di UAV<br />
ad ala rotante<br />
e alcuni UUV<br />
per le contromisure<br />
mine e altre attività<br />
subacquee<br />
(ZAS Marine).<br />
antinave, mentre dal torrione poppiero fuoriesce un albero teles<strong>cop</strong>ico con riflettori<br />
radar che servono a variare la superficie radar equivalente dell’unità e confondere<br />
dunque la localizzazione avversaria. In ogni caso, tutti gli impianti — a eccezione<br />
delle due torri d’artiglieria da 35 mm — sono sistemati in postazioni a scomparsa o<br />
«protetti» da idonee schermature per contribuire alla riduzione della superficie radar<br />
equivalente: una caratteristica peculiare del progetto Sea Wraith riguarda l’impiego di<br />
UAV da una sorta di catapulta brandeggiabile posizionata all’interno della tuga che<br />
separa i due torrioni e che ricalca antiche soluzioni d’anteguerra (5). Il sistema propulsivo<br />
è di tipo CODLAG, con due eliche a passo controllabile azionate da due<br />
motori elettrici da 2,1 MW di potenza per la navigazione occulta e a velocità economica<br />
e a cui si aggiunge una turbina a gas da 23,5 MW per raggiungere una velocità<br />
massima superiore ai 28 n. Si tratta di una soluzione prescelta anche per contribuire<br />
alla riduzione della segnatura IR: a questa esigenza fa soprattutto un’altra «trovata»<br />
dei progettisti Vosper e che serve anche a impedire l’identificazione ottica: si tratta<br />
della generazione di una nebbiolina spray che avvolge lo scafo e le sovrastrutture e<br />
che confonde quindi i sensori ottici e radar avversari. Si tratta certamente di una<br />
metodologia bizzarra, ma permane il dubbio che il ricorso a questo espediente costringa<br />
l’equipaggio a impiegare i sensori imbarcati in modo attivo per sorvegliare l’ambiente<br />
e tracciare eventuali bersagli, compromettendo quindi le doti di stealthness<br />
elettronica. Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda inoltre i problemi<br />
tecnici associati alla configurazione dei vari elementi che compongono il sistema per<br />
generare la nebbiolina spray, nonché gli aspetti legati alla corrosione dello scafo.<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
Lo studio «FDZ-<br />
2020» sfrutta<br />
il concetto<br />
di centro<br />
informativo e<br />
operativo<br />
multimediale,<br />
raggruppando<br />
in un’unica entità<br />
le macrofunzioni<br />
di controllo<br />
e gestione<br />
della piattaforma<br />
e del sistema<br />
di combattimento<br />
(ZAS Marine).<br />
Comunque sia, il progetto Sea Wraith rappresenta certamente un approccio nuovo e<br />
radicale per quanto riguarda le forme di scafo e le innovazioni tecnologiche, un pregio<br />
importante se rapportato all’epoca — oltre un decennio fa — a cui risale la sua<br />
presentazione ma proprio per questo forse troppo «ardito» per provocare interesse a<br />
continuare studi e ricerche sulla sua attuazione totale o limitata ad alcune delle innovazioni<br />
proposte.<br />
***<br />
Un’altra proposta forse «bizzarra» di origine britannica è quella scaturita nel 2003<br />
dalla collaborazione fra le società di progettazione BMT Defence Services e Nigel<br />
Gee and Associates, relativa a un concetto di fregata di nuova generazione veloce e<br />
flessibile, caratterizzata da uno scafo a pentamarano e identificata con la sigla F5,<br />
Future Fast Flexible Frigate. Si tratta di un concetto derivato da un modello di carena<br />
originariamente sviluppata per il trasporto commerciale veloce di merci e passeggeri,<br />
formata da uno scafo centrale e da due <strong>cop</strong>pie di scafi laterali posizionati nella zona<br />
centro-poppiera dell’unità. La disponibilità di volumi all’interno dello scafo centrale<br />
e delle sovrastrutture consente l’imbarco «modulare» di sistemi e sensori in accordo<br />
con le specificità della missione, esaltando quindi il concetto di flessibilità operativa.<br />
Secondo i progettisti, la configurazione della F5 dà vita a una piattaforma molto stabile,<br />
che offre poca resistenza all’avanzamento, con gli scafi laterali che ne accrescono<br />
le doti di sopravvivenza, smorzano gli effetti del rollio e ne facilitano l’ormeggio.<br />
La F5 ha una lunghezza fuori tutto di oltre 181 m e una larghezza massima di ben 32<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
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154 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
m, a cui corrisponde un dislocamento a pieno carico di poco superiore alle 6.300 t: la<br />
disponibilità di spazio sul ponte di <strong>cop</strong>erta permette la realizzazione di un ampio<br />
ponte di volo con relativo hangar (in cui trovano posto due elicotteri medio-pesanti<br />
ma suddivisibile anche per alloggiare UVX e imbarcazioni per forze speciali), di un<br />
complesso di sovrastrutture suddiviso in due blocchi fra cui trovano posto 4 gruppi<br />
ottupli di lanciatori verticali. Nella zona prodiera vi è invece spazio per altrettanti<br />
gruppi di lanciatori verticali, per un cannone di grosso calibro a energia elettromagnetica<br />
e per l’imbarco di un ulteriore gruppo di celle verticali: elemento distintivo della<br />
sovrastruttura è ancora una volta un albero integrato di forma tronco-piramidale in cui<br />
sono «annegati» sensori di tipo planare.<br />
La propulsione è affidata a tre idrogetti: quello centrale è azionato da una turbina a<br />
gas da 36 MW, mentre i laterali sono azionati da motori elettrici a superconduzione<br />
alimentati dalla rete di bordo, a sua volta alimentata da due gruppi generatori turbogas<br />
(con turbine analoghe a quella collegata all’idrogetto centrale) e da altrettanti gruppi<br />
diesel-generatori ausiliari. La configurazione COGLAG ibrida (COmbined Gas, diesel-eLectric<br />
And Gas) del sistema propulsivo e lo scafo a pentamarano assicurano una<br />
velocità massima di ben 45 n, associata a un’autonomia di 5.500 mg a 35 n, un valore<br />
sicuramente fuori dall’ordinario per un’unità combattente di superficie. L’insieme di<br />
queste proposte fa dell’F5 una soluzione architettonicamente molto inusuale in campo<br />
navale militare e rappresenta certamente un progetto innovativo e rivoluzionario,<br />
anche se fondato su tecnologie di sistema non ancora pienamente disponibili per una<br />
sua concretizzazione.<br />
***<br />
Il panorama delle idee e soluzioni progettuali britanniche nel settore delle unità<br />
combattenti di superficie — e probabilmente quella finora più curiosa — è completato<br />
dalla proposta di BAE Systems formulata a settembre 2007 per una piattaforma<br />
multiruolo di nuova generazione che sfrutta le capacità dei mezzi telecomandati e pertanto<br />
denominata «UVX Combatant». Secondo i suoi progettisti, l’«UVX<br />
Combatant» è l’evoluzione più recente dell’unità multifunzionale, ma caratterizzata<br />
da una carena dalle forme tradizionali e quindi certamente consolidata in termini di<br />
prestazioni e quale efficace soluzione dei vari problemi da affrontare per soddisfare i<br />
requisiti in continua evoluzione di una moderna <strong>Marina</strong> militare: la curiosità della<br />
«UXV Combatant» è tutta nella geometria complessiva della sovrastruttura, in quanto<br />
alle linee tradizionali della zona prodiera si associa un disegno certamente inusuale<br />
per quelle centrale e poppiera. Nella zona prodiera trovano infatti posto un cannone di<br />
grosso calibro dalle forme decisamente stealth (6) e una tuga che ospita quattro moduli<br />
— con 64 elementi — per il lancio verticale di missili da crociera, missili antinave e<br />
ordigni superficie-aria. La zona centrale ospita invece una massiccia sovrastruttura<br />
simile a quella delle unità americane classe «Zumwalt» ma in questo caso le forme<br />
danno vita a una configurazione più «tormentata»: la vera curiosità del progetto<br />
riguarda la sezione poppiera, con un doppio ponte di volo divergente verso prora e<br />
una sottostante mission bay riconfigurabile che può ospitare mezzi da sbarco, veicoli<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
ruotati e cingolati, gommoni a chiglia rigida, UUVs e USVs e altri tipi di sistemi e<br />
materiali. La polivalenza del concetto «UXV Combatant» sta dunque nell’associare<br />
capacità aeronautiche (esprimibili attraverso l’impiego di elicotteri, convertiplani e<br />
UAV/UCAV, quest’ultimi a decollo corto tramite ski-jump e atterraggio con cavi d’arresto)<br />
e capacità combinate di sorveglianza, ricognizione, interdizione, trasporto e<br />
assalto anfibio consentite dalla predetta mission bay: essa è attrezzata con un’ampia<br />
zona riconfigurabile per la gestione di assetti pilotati (quali gommoni a chiglia rigida<br />
o altre imbarcazioni leggere) e telecomandati, nonché con un portellone poppiero e<br />
una gru sul cielo del locale per la movimentazione di vari carichi. Il ponte di volo è<br />
dotato di due spot per elicotteri «Merlin HM.1» e relativi ascensori per la movimentazione<br />
con il sottostante hangar: le capacità della «UXV Combatant» non sono però<br />
limitate agli elicotteri e agli UAVs ad ala rotante, perché lo ski-jump oleodinamico<br />
che caratterizzano uno dei due ponti di volo divergenti e lo spazio a disposizione permettono<br />
il lancio e il recupero di UAV tradizionali (7).<br />
Nonostante il disegno inconsueto e l’aspetto massiccio della sovrastruttura, la<br />
«UVX Combatant» non è caratterizzata da dimensioni eccessive, soprattutto se comparate<br />
agli «Zumwalt» o ad altri tipi di moderne unità combattenti di superficie. Il<br />
dislocamento è infatti pari a 8.000 t, con uno scafo lungo 154 m e largo 46, mentre<br />
per la propulsione sono disponibili due alternative: un sistema elettrico integrato, con<br />
due motori elettrici, alimentati dalla combinazione fra gruppi turbogas e diesel-alternatori<br />
e collegati ad altrettanti assi con eliche a passo fisso, oppure una soluzione<br />
CODLAG ibrida dove la velocità di crociera è assicurata sempre da motori elettrici<br />
alimentati da gruppi diesel-alternatori e quella massima è assicurata da una turbina a<br />
gas che aziona due idrogetti. In entrambe le soluzioni, la velocità massima è pari a 30<br />
n. Il sistema di combattimento è un’evoluzione dei vari moduli sviluppati per i cacciatorpediniere<br />
lanciamissili classe «Daring/Type 45» e consente il controllo e la gestione<br />
dei vari UXV quando impegnati in operazioni anche a distanze relativamente elevate<br />
dalla piattaforma vettrice. Le sistemazioni a bordo permettono l’imbarco di 150<br />
effettivi per l’equipaggio, più 50 ulteriori posti per il personale di un reparto d’assalto<br />
e per quello specialistico destinato alle operazioni e alle manutenzioni degli UXV: gli<br />
standard di abitabilità sono simili a quelli dei tipi «Type 45/Daring», con soluzioni<br />
modulari facilmente riconfigurabili in funzione delle esigenze.<br />
Anche se le possibilità di concretizzazione dell’«UVX Combatant» appaiono<br />
oggettivamente minime, il concetto è sicuramente innovativo perché sfrutta la combinazione<br />
di tecnologie navali sviluppate dalla collaborazione fra diverse aziende britanniche,<br />
nell’ambito di un approccio strategico incentrato sul continuo miglioramento<br />
tecnologico.<br />
La fregata del futuro<br />
Per completare la panoramica di alcune idee e soluzioni progettuali proposte in<br />
tempi più o meno recenti si è scelto uno studio di fattibilità concettuale condotto qualche<br />
anno fa da un gruppo di lavoro — ZAS Marine — appositamente formato per lo<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
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156 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
s<strong>cop</strong>o e comprendente ingegneri in larga parte provenienti da società tedesche specializzate<br />
in settori a elevata tecnologia e non solo navale. Lo studio è stato denominato<br />
Fregatten Der Zukunft, «FDZ-2020» e riguarda una fregata del futuro concepita primariamente<br />
per la difesa aerea e antimissili balistici: l’approccio integrato necessario<br />
per sviluppare lo studio ha fatto riferimento a una piattaforma da 6.000 t di dislocamento<br />
e circa 140 m di lunghezza, con una configurazione stealth veramente estrema<br />
perché l’insieme scafo-sovrastrutture è caratterizzato da linee molto sfuggenti e con<br />
l’applicazione integrale del concetto di albero multi sensore integrato. La zona prodiera<br />
dell’unità — dalle forme molto slanciate — e la parte posteriore della sovrastruttura<br />
sono riservati a un certo numero di moduli per il lancio verticale di diversi<br />
tipi di missili, mentre a poppa vi è un hangar sovrastante una mission bay per la<br />
messa a mare di imbarcazioni e mezzi di vario tipo: lo studio «FDZ-2020» fa infatti<br />
affidamento a diversi tipi di UVX, in particolare su una <strong>cop</strong>pia di UAV ad ala rotante<br />
e su un certo numero di UUV per le contromisure mine e altre attività subacquee.<br />
I requisiti prestazionali della «FDZ-2020» riguardano inoltre una velocità superiore<br />
a 30 n e un’autonomia di 90 giorni, mentre l’equipaggio comprende circa 100 effettivi:<br />
i segmenti tecnologici considerati nello studio sono in tutto 18 e riguardano aspetti<br />
relativi al sistema piattaforma e al sistema di combattimento, ma per brevità di trattazione<br />
verranno di seguito considerati quelli più innovativi.<br />
In materia di propulsione e generazione dell’energia elettrica, la «FDZ-2020» presenta<br />
una configurazione elettrica integrata formata dai seguenti componenti:<br />
due pod azimutali da 7 MW ciascuno, che forniscono la potenza necessaria per le<br />
operazioni a bassa velocità dove è necessaria un’ottima manovrabilità e per spingere<br />
l’unità fino alla velocità di crociera (18 n). I pod sono orientabili su 360° e alimentati<br />
in corrente alternata tramite appositi convertitori;<br />
— quattro idrogetti, sistemati a <strong>cop</strong>pie a circa 45 metri dall’estremità poppiera e in<br />
grado di sviluppare una potenza massima complessiva di 28 MW. L’impiego degli<br />
idrogetti consente di sviluppare una velocità continuativa compresa fra 20 e 27 n,<br />
mentre per raggiungere la velocità massima si fa ricorso all’impiego combinato fra<br />
pod e idrogetti;<br />
— la generazione dell’energia elettrica è assicurata da quattro moduli per celle a combustibile<br />
da 4,5 MW ciascuno, una capacità calcolata sulla base di un requisito complessivo<br />
di 18 MW per alimentare tutti gli utenti di bordo, compresi i pod per la navigazione<br />
a bassa e media velocità. La corrente continua prodotta dalle celle a combustibile<br />
— del tipo a membrane polimeriche — viene inviata alla rete di convertitori,<br />
mentre l’idrogeno per alimentare le celle stesse è prodotto da due reformer alimentati<br />
da combustibile diesel a basso contenuto di zolfo;<br />
— la generazione dell’energia elettrica necessaria all’azionamento degli idrogetti è<br />
invece assicurata da due gruppi turbogas da 16 MW ciascuno, collegati alla rete di<br />
bordo;<br />
— la rete di distribuzione dell’energia elettrica generata dalle celle a combustibile e<br />
dai gruppi turbogas è realizzata in modo da alimentare le singole utenze in corrente<br />
continua e alternata e a tensioni variabili in funzione delle esigenze. In ogni caso, la<br />
Dicembre 2010
IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
rete è ridondante in modo da garantire l’alimentazione degli utenti principali — dai<br />
gruppi turbogas — in caso di indisponibilità delle celle a combustibile.<br />
Per la gestione dell’intero sistema nave, lo studio «FDZ-2020» sfrutta il concetto di<br />
centro informativo e operativo multimediale — MIOC, Multimedia Information &<br />
Operation Centre —, raggruppando in un’unica entità le macro—funzioni di controllo<br />
e gestione della piattaforma e del sistema di combattimento e assegnando a moduli di<br />
sistema la gestione di tre funzioni specifiche: piattaforma, comunicazioni e sistema di<br />
combattimento. I tre moduli sono fisicamente collocati l’uno accanto all’altro e inseriti<br />
in un’architettura per la distribuzione delle informazioni, fanno naturalmente un<br />
ampio ricorso all’automazione e consentono a un totale di 15 persone la gestione<br />
complessiva dell’unità, compresi gli aspetti logistici.<br />
Uno dei segmenti tecnologici più interessanti dello studio «FDZ-2020» riguarda la<br />
gestione della segnatura globale dell’unità, attraverso una serie di accorgimenti di<br />
natura passiva e attiva che riguardano lo spettro acustico, elettromagnetico e all’infrarosso<br />
e che sono collegati con la normale dotazione di contromisure elettroniche.<br />
Come già accennato, lo studio «FDZ-2020» prevede un albero integrato multisensore,<br />
contenente sensori planari per la sorveglianza radar, la direzione del tiro, le contromisure<br />
elettroniche e le comunicazioni in varie bande di frequenza: in cima all’albero vi<br />
è un radome che contiene l’antenna per la funzione Cooperative Engagement<br />
Capability. Per quanto riguarda infine l’abitabilità, lo studio «FDZ-2020» sfrutta un<br />
concetto modulare di sistemazioni per l’equipaggio applicabile alle varie categorie di<br />
personale imbarcato e incentrato su unità modulari dimensionalmente uguali (4,5 x<br />
4,5 x 2,1 m) e con allestimento interno differente in relazione allo s<strong>cop</strong>o: per esempio,<br />
le unità modulari riservate a una o due persone sono equipaggiate con servizi igienici<br />
integrati, sistemati invece in un’unità separata ma adiacente in caso di modulo per<br />
quattro persone.<br />
Lo studio «FDZ-2020» è un’iniziativa concettuale di carattere industriale mirata a<br />
dimostrare lo sfruttamento ottimale di tecnologie navali — esistenti o in via di sviluppo<br />
— per realizzare un’unità combattente di superficie ampiamente innovativa in<br />
un’epoca temporale non troppo distante da quella attuale. Anche in questo caso, si<br />
tratta di una proposta progettuale con ipotesi da analizzare in maggior dettaglio (8),<br />
ma non c’è dubbio che essa costituisce un’adeguata sintesi del e principali tendenze e<br />
linee evolutive del moderno progetto navale militare.<br />
NOTE<br />
(1) Si tratta di un’innovazione introdotta in altre precedenti proposte di TKMS — esaminate più avanti<br />
— e che scaturisce da una serie di esperienze idrodinamiche condotte nella vasca navale di Amburgo.<br />
Supplemento alla Rivista Marittima<br />
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158 IL PROGETTO DELLE UNITÀ NAVALI MAGGIORI<br />
(2) Vi sono ancora alcune antenne/radome per le comunicazioni sistemati su apposite mensole a sbalzo.<br />
(3) Queste soluzioni sfruttano anche la realtà virtuale, in modo da fornire alla squadra di guardia una<br />
visione panoramica del mondo esterno che si associa e/o si sovrappone con le informazioni relative al<br />
sistema di combattimento.<br />
(4) Un’espressione di origine scandinava traducibile come «fantasma del mare».<br />
(5) La seconda, mondiale...<br />
(6) Nel Regno Unito è in corso lo studio di un prototipo per un cannone navale da 155 mm.<br />
(7) Questa capacità non esclude perciò che uno o più UAV possono essere sostituiti da altrettanti UCAV,<br />
idonei cioè ad azioni di fuoco.<br />
(8) Rilevante l’assenza di artiglierie…<br />
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fino a 6 numeri) € 38,00 + spese<br />
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