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2) Dai Longobardi all'Unità d'Italia - Comune di San Bartolomeo in ...

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atto del menzionato notaio, concessero immunitates, franchicias et libertates (immunità,<br />

franchigie e libertà), a tutti gli abitanti del menzionato casale <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Bartolomeo</strong> del<br />

Gualdo (Apud casale sancti Bartholomei de Gualdo Mazzocca), che da poco si erano lì<br />

trasferiti per abitarvi come fedeli vassalli del “monastero”, nonché a tutti coloro che <strong>in</strong><br />

seguito vi si sarebbero ugualmente trasferiti ad abitare con i loro beni. E fu così che<br />

“terra” (term<strong>in</strong>e spesso usato per <strong>in</strong><strong>di</strong>care un feudo) <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Bartolomeo</strong> <strong>in</strong>izia ad<br />

apparire nei documenti <strong>di</strong> quel tempo. (Pergam. de’ Monist. Soppressi, vol. 36, n.3089).<br />

Il menzionato atto era composto da 23 capitoli (o articoli). La norma più importante si<br />

trova nell’art.1 ove l’abate e il convento s’impegnano a esentare i citta<strong>di</strong>ni per 10 anni<br />

(dal 1331 al 1341) dal pagamento <strong>di</strong> qualsiasi colletta o sovvenzione spettante alla regia<br />

Corte. Se <strong>in</strong> questi 10 anni fosse capitato <strong>di</strong> doversi pagare qualche tributo, lo stesso<br />

abate ed il convento avrebbero corrisposto la colletta o sovvenzione dovuta <strong>in</strong> luogo dei<br />

vassalli. L’art. 4 citava che ciascun padre <strong>di</strong> famiglia poteva ottenere per l’abitazione<br />

sua e della famiglia il terreno sufficiente per un vigneto, un orto, per i tuguri e i pagliai.<br />

L’art. 5 concedeva a tutti <strong>di</strong> possedere, vendere, donare, permutare, alienare o lasciare<br />

per testamento i propri beni immobiliari. Nell’art. 8 troviamo che ciascun vassallo aveva<br />

la possibilità <strong>di</strong> costruire liberamente e possedere centimoli (sorta <strong>di</strong> mul<strong>in</strong>i familiari,<br />

formati da una mac<strong>in</strong>a azionata da un animale posta al centro <strong>di</strong> un locale) anche per<br />

sfar<strong>in</strong>are il grano altrui. Ovviamente, se era <strong>in</strong> funzione nella zona il mul<strong>in</strong>o del<br />

monastero, il possessore del centimolo poteva sfar<strong>in</strong>are solo il grano necessario alla<br />

propria famiglia. Al mul<strong>in</strong>o del monastero si sarebbe dovuto corrispondere un<br />

se<strong>di</strong>cesimo del grano sfar<strong>in</strong>ato. E poi altri articoli <strong>in</strong> cui erano concessi a tutti <strong>di</strong> aprire<br />

liberamente taverne, <strong>di</strong> aprire liberamente “chiänchë” (macellerie) e <strong>di</strong> vendere la carne<br />

degli animali uccisi senza pagare alcun <strong>di</strong>ritto alla Corte, <strong>di</strong> costruire liberamente il suo<br />

“clibano” (forno) e possederlo per sempre libero e franco da ogni servitù.<br />

Una menzione particolare merita l’art. 13 che cita : «Chiunque <strong>di</strong> essi [i vassalli] avesse<br />

fatto una coltura arborea o avesse piantato una vigna nelle terre soggette a terratico,<br />

(<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> dècima dovuto a chi sem<strong>in</strong>a, ndr), avrebbe conservata la nuova coltura per<br />

sempre libera e franca da ogni prestazione». Il primo a mettere <strong>in</strong> risalto questa<br />

concessione fu Nicola Falcone a p. 5 della sua Monografia su <strong>San</strong> <strong>Bartolomeo</strong> <strong>in</strong><br />

Galdo, (pubblicata a Napoli verso il 1853 da Filippo Cirelli nell’opera Il Regno delle<br />

Due Sicilie descritto ed illustrato, volume VIII, fasc. 1, pp. 1-19). La franchigia verrà<br />

confermata dalla Real Casa <strong>di</strong> <strong>San</strong>ta Chiara con sentenza del 22 novembre 1776 e<br />

successivamente dalla commissione feudale con sentenza del 4 <strong>di</strong>cembre 1809.<br />

Un po’ curioso, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, l’art. 15 che obbligava ogni vassallo, <strong>in</strong> segno <strong>di</strong> omaggio e <strong>di</strong><br />

riverenza, a portare personalmente alla Corte del monastero un buccellato <strong>di</strong> pane per le<br />

festività del Natale e della Pasqua <strong>di</strong> Resurrezione. Chi fosse venuto meno all’obbligo,<br />

avrebbe dovuto portarne nove anziché uno. Dal canto suo, <strong>in</strong> questi giorni la Corte era<br />

tenuta, <strong>in</strong> contraccambio, a dare a ciascuno <strong>di</strong> questi vassalli un “ciato” (piccolo vaso)<br />

<strong>di</strong> v<strong>in</strong>o.<br />

Ebbe così i suoi “veri natali” la citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Bartolomeo</strong> del Gualdo <strong>in</strong> Mazzocca,<br />

oggi <strong>San</strong> <strong>Bartolomeo</strong> <strong>in</strong> Galdo, capoluogo dell’alta Valfortore, nodo stradale ai conf<strong>in</strong>i<br />

<strong>di</strong> Puglia e Molise, centro <strong>di</strong> primaria importanza tra il <strong>San</strong>nio e la Puglia, dalle<br />

«bellissime pianure, e coll<strong>in</strong>e dolcemente ondulate, e ver<strong>di</strong> valli, adatte ad ogni specie<br />

<strong>di</strong> coltura» (Antonio Jamalio, La Reg<strong>in</strong>a del <strong>San</strong>nio, ed. Ar<strong>di</strong>a, 1918, p. 234). Vi<br />

passarono con i loro eserciti Ottone <strong>di</strong> Brunswich, Alberigo da Barbiano (detto “Il<br />

Grande”, condottiero e capitano <strong>di</strong> ventura italiano), Fer<strong>di</strong>nando d’Aragona quand’era<br />

ancora pr<strong>in</strong>cipe <strong>di</strong> Capua (20 aprile 1486); e vi passarono nel 1496 le truppe che Carlo<br />

VIII aveva lasciato <strong>in</strong> Italia. Vi passarono i “vaticali” (carrettieri) con i loro carichi <strong>di</strong><br />

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