La pietra del cielo

ichiamo di Seneca presso la corte imperiale.»
«Io berrò a una prematura e penosa morte di quel maiale e che
possa marcire nell'Ade fino a che le sue ossa diventino gelatina.»
Vuotò la coppa d'un fiato e fece un rutto. «Penso che questa coppa
fosse di troppo, amici. Sono stanco e la mia testa risuonerà come un
gong domattina. Varro, tieni lontani i tuoi servitori dalla mia porta
fino a mezzogiorno. Poi forse potrò alzarmi per affrontare la
giornata.» La voce gli si incrinò; fissò la sua coppa. «Forse non hai
del tutto torto, sai? Ho cenato con lui.»
«Con chi?»
«Cosa?»
Mi fissò e realizzai solo allora che era completamente ubriaco.
Fissai Equo, che sogghignò affermativamente. Riformulai la
domanda.
«Hai detto che hai mangiato con lui? Di chi stavi parlando? Di
Antonio?»
«Dannazione, no! Di Seneca!»
«Hai cenato con Seneca?» Non potevo crederci. «Quando?
Perché?»
Annuì gravemente. «La notte prima di lasciare Colchester. Una
cena ufficiale. Il legato Cicerone mi aveva ordinato di esserci e
quindi c'ero. Sono andato e ho guardato quell'animale di Seneca
insozzare la dignità della nostra tavola militare. Non mi ha
riconosciuto.» La sua voce si abbassò tanto che facevamo fatica a
sentirlo. «Bada, non mi sarei aspettato che mi riconoscesse, come hai
detto tu. Ero in alta uniforme, tutto coperto di bronzo e ottone e
cuoio lucido. Mi ha guardato e ha visto cosa ero, non chi ero. Ma non
potevo stare in uniforme tutto il tempo e prima o poi mi avrebbe
riconosciuto e allora sarei stato un uomo morto.»
Lo raggiunsi e lo scrollai per le spalle. Scosse la testa e tentò di
aprire gli occhi, cercando di contrastare gli effetti del vino.