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Spunti di Nutrizione rev2011 - Clinica Pediatrica Trieste - Università ...

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<strong>Spunti</strong> <strong>di</strong> <strong>Nutrizione</strong><br />

Pe<strong>di</strong>atrica per il corso<br />

<strong>di</strong> Biotecnologie Me<strong>di</strong>che<br />

Dispense del corso <strong>di</strong> Pe<strong>di</strong>atria,<br />

Modulo <strong>di</strong> <strong>Nutrizione</strong>,<br />

primo anno del corso <strong>di</strong> Laurea Magistrale in Biotecnologie<br />

Me<strong>di</strong>che, <strong>Università</strong> degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>.<br />

Alberto Tommasini<br />

Istituto <strong>di</strong> Ricerca e Cura a Carattere Scientifico<br />

Burlo Garofolo, <strong>Trieste</strong><br />

Con la collaborazione <strong>di</strong> Erica Valencic e Elisa Piscianz<br />

IRCCS Burlo Garofolo e <strong>Università</strong> <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong><br />

3° revisione, Marzo 2011


Dichiarazione <strong>di</strong> responsabilità e<br />

conflitto <strong>di</strong> interessi.<br />

1<br />

Premessa<br />

Questo testo è nato come <strong>di</strong>spensa delle lezioni <strong>di</strong> Pe<strong>di</strong>atria<br />

presso il corso <strong>di</strong> Biotecnologie Me<strong>di</strong>che dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Trieste</strong>.<br />

In esso sono contenute informazioni <strong>di</strong> carattere me<strong>di</strong>co ad<br />

esclusivo scopo <strong>di</strong>dattico. Nonostante gli sforzi per garantire la<br />

correttezza e l’aggiornamento dei materiali, il testo non può<br />

essere considerato come fonte <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni per la pratica<br />

clinica su <strong>di</strong> sé o sugli altri.<br />

L’autore non risponde <strong>di</strong> eventuali utilizzi <strong>di</strong> questo testo al <strong>di</strong><br />

fuori delle finalità <strong>di</strong>dattiche per cui è stato scritto. L’autore<br />

<strong>di</strong>chiara inoltre <strong>di</strong> non avere conflitti <strong>di</strong> interessi che possano<br />

aver influenzato quanto scritto.


Premessa<br />

Che cosa un pe<strong>di</strong>atra può insegnare ai<br />

biotecnologi?<br />

Il progresso della tecnologia procede da molti anni con un<br />

andamento esponenziale che nell’ultimo secolo ha visto<br />

crescere enormemente la quantità delle nostre conoscenze e<br />

la possibilità <strong>di</strong> intervenire sui processi che regolano la vita<br />

animale. Alcune considerazioni vanno tuttavia fatte. I<br />

fenomeni biologici <strong>di</strong> solito alternano perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> crescita<br />

esponenziale a perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> crisi, cambiamento e, nuovamente,<br />

crescita. Allo stesso modo la conoscenza <strong>di</strong> un fenomeno<br />

biologico può aumentare progressivamente fino ad un certo<br />

punto, dopo<strong>di</strong>ché non potrà procedere se non cambiando le<br />

metodologie e gli obiettivi della ricerca. L’aumento <strong>di</strong><br />

conoscenze e possibilità conduce a ricadute <strong>di</strong>fficilmente<br />

preve<strong>di</strong>bili, con conseguenti conflitti tra sentimenti <strong>di</strong><br />

onnipotenza e frustrazioni <strong>di</strong> impotenza (chi avrebbe detto un<br />

secolo fa che sarebbe stato più facile viaggiare sulla luna che<br />

curare un tumore?). Buona parte della ricerca biome<strong>di</strong>ca è<br />

finanziata da istituzioni sanitarie o da citta<strong>di</strong>ni (attraverso<br />

associazioni senza fine <strong>di</strong> lucro), alle domande dei quali<br />

bisogna saper rispondere senza inganni quando si comunicano<br />

i programmi e i risultati della ricerca. Nonostante l’enorme<br />

potenza della bio-informatica avremo bisogno ancora per<br />

2


3<br />

Premessa<br />

molto <strong>di</strong> trovare le cose semplici nella complessità, le regole o<br />

anche solo le ipotesi nella mole dei dati.<br />

A queste considerazioni si aggiungono altri problemi: come<br />

può essere determinata l’atten<strong>di</strong>bilità della letteratura<br />

scientifica? E’ infatti osservazione comune che non tutte le<br />

esperienze pubblicate sono costantemente riproducibili. Quali<br />

possono essere, inoltre, le conseguenze bio-informatiche <strong>di</strong><br />

una ridotta pubblicazione dei risultati negativi della ricerca?<br />

Nonostante gli enormi progressi della me<strong>di</strong>cina, il<br />

miglioramento della nostra salute (mortalità infantile<br />

<strong>di</strong>minuita più <strong>di</strong> 10 volte rispetto a un secolo fa; aspettativa <strong>di</strong><br />

vita me<strong>di</strong>a fortemente aumentata) è probabilmente dovuto<br />

più a fattori socio-economici (nutrizione, igiene e lavoro) e<br />

ambientali (cultura e ridotta natalità) che alle tecnologie<br />

me<strong>di</strong>che. Tuttavia esistono alcune malattie debellate<br />

dall’intervento me<strong>di</strong>co (ad esempio dai vaccini) e altre<br />

fortemente mo<strong>di</strong>ficate dalle tecnologie terapeutiche<br />

(antibiotici, sieri e farmaci) e <strong>di</strong>agnostico/preventive<br />

(screening, etc).<br />

La strada da fare è ancora molto lunga e può essere percorsa<br />

solo finché rimane un intimo contatto tra chi cura e chi fa<br />

ricerca biome<strong>di</strong>ca.<br />

Per questo il biotecnologo me<strong>di</strong>co deve conoscere i problemi<br />

sui quali la ricerca può agire, ma anche il linguaggio per<br />

interagire passo passo con il mondo clinico. Inoltre, è bene


Premessa<br />

ricordare che la cosiddetta me<strong>di</strong>cina molecolare è solo uno dei<br />

possibili approcci allo stu<strong>di</strong>o biome<strong>di</strong>co e non<br />

necessariamente quello che produce i risultati più utili: se<br />

potessimo fotografare tutte le sinapsi <strong>di</strong> un cervello<br />

contemporaneamente e misurare ciascuna molecola che le<br />

attraversa, non saremmo in grado <strong>di</strong> ipotizzare neanche<br />

lontanamente a che cosa quel cervello pensava. Un<br />

elettroencefalogramma o una tomografia ad emissione <strong>di</strong><br />

positroni potrebbero <strong>di</strong>rci probabilmente qualcosa <strong>di</strong> più.<br />

Questo solo per ricordarci che sono le domande cui si vuole<br />

rispondere e il piano sperimentale a rendere utile la ricerca.<br />

E allora perché un pe<strong>di</strong>atra? Perché tra<strong>di</strong>zionalmente si<br />

occupa <strong>di</strong> alcune patologie trattate nel corso, forse. Però è<br />

anche vero che la visione della me<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> un pe<strong>di</strong>atra può<br />

offrire anche alcune specificità: essa è affine alla genetica,<br />

perché in età pe<strong>di</strong>atrica si manifesta la maggior parte delle<br />

con<strong>di</strong>zioni monogeniche. La genetica offre alla pe<strong>di</strong>atria la<br />

<strong>di</strong>agnosi molecolare delle malattie e recentemente anche la<br />

terapia genica per alcune <strong>di</strong> queste. La pe<strong>di</strong>atria, d’altra parte<br />

offre alla me<strong>di</strong>cina i cosiddetti “esperimenti della natura”, che<br />

vestono i geni <strong>di</strong> significato e che collegano le molecole alle<br />

funzioni.<br />

La pe<strong>di</strong>atria inoltre vede l’evoluzione delle funzioni al primo<br />

contatto con l’ambiente ed è quin<strong>di</strong> il primo punto per<br />

osservare quanto i cambiamenti <strong>di</strong> quest’ultimo possano<br />

influire sulla salute. Questo è vero, in particolare, per<br />

4


5<br />

Premessa<br />

quell’interfaccia dove avviene la maggior parte del confronto<br />

molecolare con l’ambiente, cioè il tubo <strong>di</strong>gerente. Il corso <strong>di</strong><br />

nutrizione focalizzerà proprio su questi aspetti. Molte “prove”,<br />

portate a sostegno dei concetti descritti nel testo, derivano<br />

proprio dagli esempi fornitici dall’esperienza clinica e genetica<br />

<strong>di</strong> alcune malattie tipicamente infantili.<br />

Il biotecnologo potrà intervenire per migliorare la salute sia sul<br />

lato ambientale (evoluzione e sicurezza degli alimenti, cibi<br />

ottenuti da organismi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati) che sul lato<br />

della me<strong>di</strong>cina.


Premessa<br />

Il docente<br />

Alberto Tommasini è nato nel 1966. Me<strong>di</strong>co Pe<strong>di</strong>atra e<br />

ricercatore presso l'IRCCS Burlo Garofolo e docente a contratto<br />

presso l’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>.<br />

Il campo <strong>di</strong> attività riguarda l’immunologia clinica, dalle<br />

immunodeficienze primitive alle malattie autoimmuni e<br />

reumatologiche. Uno dei fili conduttori dell’attività clinica e <strong>di</strong><br />

ricerca ha riguardato lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetti genetici della<br />

regolazione immune caratterizzati da infiammazione e<br />

autoimmunità. Più recentemente si è interessato alla<br />

manipolazione cellulare in vitro per lo sviluppo <strong>di</strong> terapie<br />

cellulari.<br />

6


A chi sul lavoro e nella vita <strong>di</strong> ogni giorno<br />

ha con<strong>di</strong>viso le <strong>di</strong>fficoltà e le sod<strong>di</strong>sfazioni<br />

<strong>di</strong> un percorso a metà strada tra la clinica e la ricerca<br />

7


1. Introduzione<br />

2. Intestino e ambiente<br />

3. Il latte materno<br />

4. Le allergie alimentari<br />

5. La malattia celiaca<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

8. Bibliografia<br />

10


1. Introduzione<br />

11<br />

1. Introduzione<br />

Le malattie multifattoriali immunome<strong>di</strong>ate: tra genetica e<br />

ambiente.<br />

Un’elevata percentuale delle malattie multifattoriali può<br />

essere ricondotta a errori <strong>di</strong> funzionamento del sistema<br />

immunitario, dovuti a loro volta in quote <strong>di</strong>verse a fattori<br />

genetici ed ambientali 1 .<br />

Alcuni esempi sono elencati nella tabella 1, che riporta anche<br />

una stima approssimativa della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> ogni malattia<br />

nella popolazione. Come si può vedere, nell’insieme, queste<br />

malattie interessano una percentuale rilevante della<br />

popolazione.<br />

Un aspetto interessante è che molte <strong>di</strong> queste malattie<br />

mostrano una <strong>di</strong>versa incidenza nel tempo e in <strong>di</strong>verse aree<br />

geografiche. Ciò suggerisce che mutamenti ambientali abbiano<br />

avuto un ruolo rilevante nella loro genesi.<br />

Questo accade ad esempio per il <strong>di</strong>abete insulino-<strong>di</strong>pendente<br />

(o <strong>di</strong>abete mellito <strong>di</strong> tipo 1, DMT1), la malattia infiammatoria<br />

cronica dell’intestino, la malattia celiaca e le allergie. Tuttavia<br />

non è stato facile fino ad oggi (se non forse per la celiachia)<br />

identificare i cambiamenti ambientali che hanno<br />

maggiormente inciso sul rischio <strong>di</strong> sviluppare queste malattie.


1.Introduzione<br />

Endocrinopatie autoimmuni 1:100<br />

Diabete Mellito <strong>di</strong> tipo 1<br />

(o insulino-<strong>di</strong>pendente)<br />

Tireopatie autoimmuni<br />

Iposurrenalismo<br />

Ipoparatiroi<strong>di</strong>smo<br />

Ipopituitarismo<br />

Altre malattie autoimmuni 1:1000<br />

Miastenia gravis<br />

Epatite autoimmune<br />

Sclerosi Multipla 1:2000<br />

Psoriasi 1:50<br />

Citopenie autoimmuni<br />

Allergie 1:20<br />

Allergie alimentari<br />

Asma<br />

Malattie reumatologiche 1:100<br />

Artrite reumatoide<br />

Lupus Eritemaoso<br />

Sistemico<br />

Altre<br />

Malattia infiammatoria 1:500<br />

cronica dell’intestino<br />

Malattia celiaca 1:100<br />

Tabella 1. Prevalenza approssimativa <strong>di</strong> alcune malattie immunome<strong>di</strong>ate<br />

In senso generale, si riconosce che lo stile <strong>di</strong> vita<br />

“occidentalizzato” ha costituito il determinante comune<br />

dell’aumento <strong>di</strong> incidenza <strong>di</strong> queste patologie. Stile <strong>di</strong> vita<br />

occidentalizzato significa <strong>di</strong>verse cose:<br />

• maggior <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> alimenti, migliore nutrizione;<br />

• maggior ricorso ad alimenti già preparati e conservati<br />

(frigorifero);<br />

12


13<br />

1. Introduzione<br />

• migliori standard igienici (<strong>di</strong>sponibilità e potabilità<br />

dell’acqua, fogne, riscaldamento degli ambienti, etc.);<br />

• minor rilevanza <strong>di</strong> patologie infettive (prevenzione delle<br />

infezioni con vaccini; <strong>di</strong>minuite gastroenteriti e infestazioni<br />

da parassiti; tendenza alla scomparsa <strong>di</strong> patologie come<br />

tubercolosi e lebbra);<br />

E’ bene sottolineare che la maggior parte dei cambiamenti<br />

alimentari e igienici che si sono verificati nei paesi più<br />

sviluppati ha avuto conseguenze positive. Per rendersi conto<br />

<strong>di</strong> quanto questo sia vero, è sufficiente osservare la quota <strong>di</strong><br />

mortalità ancora oggi legata <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente<br />

alla malnutrizione nei paesi più poveri. Secondo alcune analisi,<br />

i maggiori determinanti della riduzione della mortalità<br />

infantile e dell’aumento dell’aspettativa <strong>di</strong> vita risiedono nelle<br />

migliori con<strong>di</strong>zioni nutrizionali (quantità, qualità e sicurezza<br />

microbiologica degli alimenti), igieniche (acqua potabile,<br />

minor affollamento domestico, luminosità e riscaldamento<br />

degli ambienti) e socio-culturali (scolarizzazione, prevenzione<br />

delle gravidanze precoci). Gli interventi me<strong>di</strong>ci (vaccinazioni in<br />

primo luogo, ma anche <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> antibiotici) hanno un<br />

impatto minore.<br />

Quin<strong>di</strong>, per ora, a conti fatti, dovremmo essere contenti <strong>di</strong><br />

pagare il prezzo <strong>di</strong> questo benessere con l’aumento <strong>di</strong> alcune<br />

malattie che, tutto sommato sembrano abbastanza


1.Introduzione<br />

controllabili con le terapie me<strong>di</strong>che. Eppure è importante<br />

capire come i cambiamenti ambientali hanno influenzato la<br />

nostra salute, perché negli ultimi due secoli, come vedremo<br />

più in dettaglio, l’umanità ha accelerato enormemente il ritmo<br />

del cambiamento, per la prima volta influenzando in modo<br />

rilevante l’ecosistema in cui vive.<br />

Pochi numeri saranno utili a comprendere meglio<br />

l’argomento.<br />

L’evoluzione biologica dell’uomo si è svolta in circa 3 milioni <strong>di</strong><br />

anni, caratterizzati da un’alta pressione <strong>di</strong> selezione. La<br />

probabilità <strong>di</strong> morire prima <strong>di</strong> poter generare una prole era<br />

molto elevata e il saldo demografico veniva mantenuto in<br />

parità o in lieve crescita da un elevato rapporto <strong>di</strong> gravidanze<br />

per donna fertile. In tal modo, si ritiene che la variabilità<br />

genetica dei figli abbia consentito lentamente, <strong>di</strong> generazione<br />

in generazione, un adattamento ottimale e relativamente<br />

stabile all’ambiente. Negli ultimi secoli, invece, la rapi<strong>di</strong>tà del<br />

cambiamento ambientale (avvenuto nell’arco <strong>di</strong> poche<br />

generazioni) e la <strong>di</strong>minuita pressione selettiva (legata al<br />

miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni igienico-alimentari) non hanno<br />

potuto produrre un significativo adattamento della specie.<br />

Questo significa che, dal punto <strong>di</strong> vista biologico, l’uomo<br />

rispecchia in massima parte un adattamento ad un ambiente<br />

<strong>di</strong>verso da quello che si è creato negli ultimi due secoli.<br />

14


15<br />

1. Introduzione<br />

Fig. 1.1. L’evoluzione dell’uomo e le sue ere alimentari. Tratto da<br />

http://www.museum.agropolis.fr/pages/expos/fresque/la_fresque.htm<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi, infatti, <strong>di</strong>stinguono in questa storia tre ere<br />

principali, ciascuna con durata assai <strong>di</strong>versa. Come si può<br />

desumere dalla figura 1.1, l’era più recente ha una durata<br />

puntiforme rispetto alle altre ere. Tuttavia in quest’era, si è<br />

assistito a cambiamenti alimentari, demografici e sanitari <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni storiche enormi: sono <strong>di</strong>minuite fino a quasi<br />

scomparire alcune malattie infettive, mentre sono comparse e<br />

aumentate molte malattie multifattoriali. E’ ragionevole<br />

pensare che un ruolo nella patogenesi <strong>di</strong> queste malattie sia<br />

stato giocato dal confronto <strong>di</strong> un organismo che era adattato<br />

ad un ambiente <strong>di</strong>verso e che non ha avuto il tempo <strong>di</strong><br />

adattarsi ai nuovi cambiamenti, verificatisi nel giro <strong>di</strong> poche<br />

generazioni.<br />

Durante l’era agro-industriale stiamo assistendo ad altre<br />

transizioni <strong>di</strong> portata storica: la transizione demografica e la<br />

transizione alimentare. Nella transizione demografica<br />

possiamo riconoscere 3 fasi:<br />

• un periodo <strong>di</strong> aumento esponenziale della popolazione,<br />

dovuto al mantenimento del pre-esistente elevato tasso <strong>di</strong>


1.Introduzione<br />

fertilità cui si aggiunge una progressiva riduzione della<br />

mortalità (per motivi nutrizionali, igienici e me<strong>di</strong>ci);<br />

• un periodo <strong>di</strong> equilibrio in cui il tasso <strong>di</strong> fertilità comincia a<br />

<strong>di</strong>minuire ma la riduzione della mortalità prosegue,<br />

consentendo un saldo attivo della popolazione;<br />

• una terza fase, in cui il tasso <strong>di</strong> fertilità <strong>di</strong>minuisce<br />

ulteriormente (essenzialmente per motivi socio-culturali)<br />

fino a giungere ad una crescita <strong>di</strong> popolazione intorno allo<br />

0.<br />

I paesi più ricchi hanno già compiuto questa transizione,<br />

mentre i paesi più poveri sono ancora nella sua fase centrale<br />

(e le proiezioni sul compimento <strong>di</strong> questa presentano <strong>di</strong>versi<br />

punti <strong>di</strong> incertezza). In una posizione interme<strong>di</strong>a si pongono i<br />

paesi asiatici (fig. 1.2, 1.3, 1.4).<br />

Anche la transizione alimentare può essere <strong>di</strong>visa in <strong>di</strong>verse<br />

fasi.<br />

• 1. Il miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni nutrizionali ha inciso<br />

largamente sulla <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong>retta (fame) e in<strong>di</strong>retta<br />

(infezioni) <strong>di</strong> mortalità.<br />

• 2. I cambiamenti si sono consolidati producendo probabili<br />

ricadute positive sui figli <strong>di</strong> donne ben-nutrite (questo ha<br />

portato in generale ad un aumento della statura me<strong>di</strong>a<br />

della popolazione).<br />

• 3. Si teorizza il rischio che un eccesso alimentare (obesità)<br />

possa interrompere i trend sanitari positivi ed influenzare<br />

16


17<br />

1. Introduzione<br />

forse per la prima volta una <strong>di</strong>minuzione dell’aspettativa <strong>di</strong><br />

vita nei paesi più ricchi.<br />

Oltre all’aumentata <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo, la transizione<br />

alimentare ha visto tuttavia altri importanti cambiamenti. Ad<br />

esempio, il contenuto <strong>di</strong> proteine nel frumento è<br />

drasticamente cambiato, con un aumento rilevante della<br />

quota rappresentata dal glutine (dal 2 al 20% del contenuto<br />

proteico) e questo cambiamento ha reso via via più evidente<br />

l’esistenza <strong>di</strong> soggetti intolleranti al glutine. Non solo, come<br />

sarà <strong>di</strong>scusso più avanti (cap. 5), le manifestazioni cliniche<br />

della celiachia sono a loro volta cambiate nell’ultimo secolo <strong>di</strong><br />

pari passo con il cambiamento delle con<strong>di</strong>zioni igieniche.<br />

Ancora, la nutrizione dei lattanti con latte vaccino è un<br />

fenomeno che ha conosciuto un’ampia <strong>di</strong>ffusione solo negli<br />

ultimi due secoli; le modalità <strong>di</strong> conservazione dei cibi sono<br />

completamente cambiate: dalla salatura, affumicatura e<br />

salamoia si è passati sempre più all’utilizzo <strong>di</strong> conservanti o<br />

alla conservazione in frigorifero.<br />

L’aumento <strong>di</strong> alcune delle malattie multifattoriali che stiamo<br />

osservando potrebbe essere la conseguenza <strong>di</strong> queste<br />

transizioni epocali, che rischiano <strong>di</strong> essere più rapide rispetto<br />

alla nostra capacità <strong>di</strong> adattamento biologico. Lo stu<strong>di</strong>o delle<br />

malattie <strong>di</strong> oggi, quin<strong>di</strong>, potrebbe aiutarci a vigilare meglio sui<br />

cambiamenti che produciamo all’ambiente e a prevederne i<br />

possibili effetti dannosi per la salute <strong>di</strong> domani.


1.Introduzione<br />

Fig. 1.2. Stime della popolazione e proiezioni dal 2005 al 2050 in <strong>di</strong>verse<br />

aree geografiche 2 .<br />

Fig. 1.3. Variazioni del tasso <strong>di</strong> natalità in <strong>di</strong>verse aree geografiche. La<br />

18


crescita 0 si osserva per un tasso leggermente superiore a 2 2 .<br />

Fig.1.4. Aspettativa <strong>di</strong> vita e proiezioni in <strong>di</strong>verse aree geografiche 2 .<br />

19<br />

1. Introduzione


2. Intestino e ambiente<br />

2. Intestino e ambiente<br />

La nostra sopravvivenza come quella <strong>di</strong> ogni essere vivente è<br />

resa possibile solo dall’assunzione <strong>di</strong> sufficienti quantità e<br />

qualità <strong>di</strong> nutrienti. I nutrienti servono al tempo stesso a<br />

fornire le molecole essenziali per il funzionamento<br />

dell’organismo e le fonti energetiche per il loro utilizzo.<br />

L’organismo umano de<strong>di</strong>ca alla funzione nutritiva un apparato<br />

molto complesso e raffinato: l’apparato <strong>di</strong>gerente.<br />

I primi passaggi (masticazione, omogenizzazione con saliva e<br />

poi con succhi gastrici aci<strong>di</strong>, neutralizzazione del pH acido e<br />

<strong>di</strong>gestione da parte <strong>di</strong> enzimi pancreatici) sono rivolti alla<br />

semplificazione dell’alimento e alla progressiva<br />

solubilizzazione e <strong>di</strong>gestione delle molecole in esso contenute.<br />

Nelle prime porzioni del <strong>di</strong>giuno sono resi <strong>di</strong>sponibili pepti<strong>di</strong>,<br />

aminoaci<strong>di</strong>, monosaccari<strong>di</strong>, lipi<strong>di</strong> e altre molecole che vengono<br />

assorbite per lo più attraverso meccanismi specifici facilitati da<br />

recettori o per <strong>di</strong>ffusione semplice. In con<strong>di</strong>zioni normali, il<br />

materiale residuo che passa nell’intestino crasso non<br />

dovrebbe contenere più quantità apprezzabili <strong>di</strong> nutrienti. I<br />

batteri in esso contenuti favoriscono la degradazione <strong>di</strong><br />

macromolecole non utilizzate, come la cellulosa,<br />

metabolizzano i residui proteici in<strong>di</strong>geriti, e sintetizzano<br />

vitamine del gruppo B e K.<br />

20


21<br />

2. Intestino e ambiente<br />

In realtà le cose non sono così semplici. Il fatto che la mucosa<br />

intestinale sia de<strong>di</strong>cata all’assorbimento <strong>di</strong> molecole semplici,<br />

fa sì che il suo epitelio sia <strong>di</strong>sponibile al contatto con le<br />

sostanze provenienti dall’ambiente con un effetto <strong>di</strong> barriera<br />

molto fragile (sicuramente molto più fragile <strong>di</strong> quello presente<br />

ad esempio sulla pelle). Ci troviamo dunque <strong>di</strong> fronte al<br />

paradosso <strong>di</strong> un sistema molto vulnerabile che, per necessità<br />

<strong>di</strong> sopravvivenza, deve essere continuamente messo alla<br />

prova da sostanze provenienti dall’ambiente esterno: in<br />

questa situazione eventuali sostanze tossiche o dannose o<br />

batteri patogeni possono facilmente mettere in crisi il sistema,<br />

penetrando all’interno del circolo ematico o danneggiando il<br />

sistema <strong>di</strong> approvvigionamento dei nutrienti. Ma questo è un<br />

rischio che si deve correre, se si vuole poter sfruttare la più<br />

ampia gamma <strong>di</strong> sostanze nutritive presenti nell’ambiente. A<br />

far fronte a questo rischio, per fortuna, si sono sviluppati<br />

alcuni fattori <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa: in primo luogo, il pH acido dello<br />

stomaco, oltre a svolgere una funzione <strong>di</strong>gestiva è in grado <strong>di</strong><br />

neutralizzare (nell’adulto) molti batteri. In secondo luogo, il<br />

tubo <strong>di</strong>gerente è <strong>di</strong>sseminato <strong>di</strong> cellule del sistema<br />

immunitario, organizzate in <strong>di</strong>versi livelli: cellule mucosali,<br />

sotto mucosali, noduli linfatici isolati, placche del Peyer, il<br />

tutto gravitante sul sistema <strong>di</strong> linfono<strong>di</strong> mesenterici (fig 2.1).<br />

Complessivamente, questo sistema costituisce il secondo<br />

organo linfoide per <strong>di</strong>mensioni dopo la milza. Il cosiddetto


2. Intestino e ambiente<br />

sistema immune associato alle mucose (MALT) comprende il<br />

50% del tessuto linfatico dell’intero organismo e provvede al<br />

70% della produzione anticorpale (in massima parte<br />

rappresentata da IgA).<br />

Fig 2.1. Sistema immune associato alla mucosa intestinale: follicoli linfatici<br />

solitari; aggregati follicolari in placche organizzate (Placche del Peyer). Da<br />

Sinelnikov, Atlante <strong>di</strong> Anatomia<br />

Questi dati non sorprendono, ove si ricor<strong>di</strong> che l’intestino, per<br />

i motivi sopra elencati, è un luogo <strong>di</strong> contatto continuo tra gli<br />

antigeni estranei e il sistema immunitario. Il compito del<br />

sistema immunitario in realtà non è semplice, perché prevede<br />

che la maggior parte del contenuto alimentare venga tollerato<br />

(questo è necessario per la nostra nutrizione), ma prevede<br />

anche che agenti potenzialmente dannosi vengano identificati<br />

e combattuti efficacemente. Alcuni autori suggeriscono che la<br />

mucosa intestinale sia una centrale <strong>di</strong> addestramento sia per<br />

22


23<br />

2. Intestino e ambiente<br />

la tolleranza immune sia per la risposta ai patogeni. Ad<br />

esempio, è stato <strong>di</strong>mostrato che anticorpi <strong>di</strong> tipo IgA prodotti<br />

contro Escherichia coli enterotossigeni a livello intestinale,<br />

vengono successivamente ritrovati oltre che nei flui<strong>di</strong><br />

intestinali anche nel latte materno e nella saliva. Secondo<br />

alcuni stu<strong>di</strong>, in soggetti con gravi malattie, la nutrizione<br />

enterale, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quella parenterale, garantisce il<br />

mantenimento <strong>di</strong> una produzione anticorpale <strong>di</strong> superficie,<br />

anche a vantaggio della mucosa respiratoria, con migliore<br />

<strong>di</strong>fesa dalle infezioni respiratorie. Questa <strong>di</strong>fesa sarebbe<br />

garantita dalla ricircolazione <strong>di</strong> linfociti intestinali, attraverso i<br />

linfono<strong>di</strong> mesenterici nel dotto toracico e quin<strong>di</strong> nella<br />

circolazione sanguigna sistemica (fig. 2.2).<br />

Questo avviene a maggior ragione per la risposta <strong>di</strong> tolleranza<br />

ai cibi e non solo. La <strong>di</strong>fferenza tra tolleranza e immunità sta<br />

probabilmente nel modo con cui vengono riconosciuti gli<br />

antigeni dal lume intestinale: antigeni corpuscolati (inglobati<br />

dalle M cells e passati attraverso le placche del Peyer) e<br />

antigeni riconosciuti in presenza <strong>di</strong> particolari tossine o <strong>di</strong><br />

componenti batteriche associate a patogenicità (PAMPs,<br />

pathogen associated molecular patterns), tenderanno a<br />

produrre una risposta immunitaria <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa. Gli altri antigeni<br />

saranno invece identificati come “cibo” e indurranno una<br />

risposta <strong>di</strong> tolleranza. Possiamo <strong>di</strong>re che, in assenza <strong>di</strong> fattori


2. Intestino e ambiente<br />

patogeni definiti, il programma <strong>di</strong> funzionamento basilare del<br />

sistema immune mucosale dell’intestino è la tolleranza.<br />

Fig 2.2. Ricircolo dei linfociti nei <strong>di</strong>versi siti mucosali.<br />

Ora, è bene notare che i due fenomeni devono essere in un<br />

equilibrio perfetto. La risposta contro i patogeni, infatti, non<br />

ha solo conseguenze positive (eliminazione del patogeno) ma<br />

anche negative (infiammazione e danno tessutale): una volta<br />

avviata, una reazione a patogeni rischierebbe <strong>di</strong> estendersi<br />

24


25<br />

2. Intestino e ambiente<br />

facilmente ad altri antigeni estranei presenti nel bolo<br />

alimentare. Come fa il sistema a capire che non appartengono<br />

al patogeno anch’essi? Non lo può capire, lo deve sapere già.<br />

Saperlo già significa che devono esistere linfociti specializzati a<br />

riconoscere gli antigeni alimentari come non nocivi,<br />

specializzati in altre parole a tollerare questi antigeni, evitando<br />

che la reazione immune venga estesa a questi. Deve esistere<br />

cioè una memoria della tolleranza. Il fenomeno della<br />

tolleranza agli alimenti (e anche della flora batterica saprofita)<br />

deve quin<strong>di</strong> essere, almeno in parte, un fenomeno attivo.<br />

L’esistenza <strong>di</strong> una tolleranza attiva mantenuta da specifiche<br />

cellule è sostenuta anche dalle osservazioni che, attraverso la<br />

somministrazione orale <strong>di</strong> antigeni è possibile estendere la<br />

tolleranza anche in organi <strong>di</strong>stanti dell’intestino e che, in<br />

animali da laboratorio, questa tolleranza può essere trasmessa<br />

ad altri animali attraverso l’infusione <strong>di</strong> linfociti periferici<br />

(Linfociti regolatori, ve<strong>di</strong> scheda). L’importanza <strong>di</strong> questo<br />

equilibrio per la nutrizione, e quin<strong>di</strong> per la vita, rende conto<br />

delle <strong>di</strong>mensioni importanti del sistema immune intestinale. E’<br />

chiaro, altresì, che una perturbazione <strong>di</strong> questo equilibrio, per<br />

motivi <strong>di</strong>versi, potrebbe portare a conseguenze molto gravi: si<br />

tratta proprio delle malattie <strong>di</strong> cui ci occupiamo in questo<br />

corso.


2. Intestino e ambiente<br />

Per meglio comprendere questi aspetti, può essere utile<br />

richiamare alcune conoscenze generali sulle modalità della<br />

risposta immune e <strong>di</strong> tolleranza.<br />

Le cellule del sistema immunitario possono schematicamente<br />

essere sud<strong>di</strong>vise in tre gruppi:<br />

• Cellule dell’immunità naturale. Sono capaci <strong>di</strong> fagocitare<br />

sostanze estranee e <strong>di</strong> presentarne frammenti ai linfociti.<br />

Sono attivate da strutture molecolari con<strong>di</strong>vise <strong>di</strong><br />

derivazione batterica (i PAMPs), attraverso il legame con<br />

molecole del gruppo dei toll like receptors (TLR). Sono in<br />

grado <strong>di</strong> fagocitare cellule (batteriche o fungine o cellule<br />

danneggiate), detriti e altre particelle opsonizzate da<br />

molecole del complemento o anticorpi. Producono<br />

sostanze capaci <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare la permeabilità vasale e<br />

capaci <strong>di</strong> richiamare altre cellule. Producono enzimi litici e<br />

degradativi.<br />

• Cellule natural killer. Sono de<strong>di</strong>cate soprattutto a vigilare<br />

sulle anomalie delle cellule dell’organismo (per infezioni<br />

virali; per trasformazione neoplastica). Producono la lisi<br />

delle cellule bersaglio con vari meccanismi.<br />

• Linfociti T e B. Sono le cellule dell’immunità adattativa.<br />

Durante il loro sviluppo, ciascuna cellula va incontro a un<br />

processo <strong>di</strong> ricombinazione genetica del proprio recettore<br />

(recettore dei linfociti T o TCR; immunoglobuline per i<br />

linfociti B) che è uno dei presupposti essenziali per la loro<br />

26


27<br />

2. Intestino e ambiente<br />

definitiva maturazione. Successivamente, in seguito a<br />

fenomeni <strong>di</strong> selezione centrale (timo per i linfociti T) e<br />

periferica (organi linfatici) ciascuna cellula matura potrà<br />

dare origine ad un clone più o meno ampio, recante<br />

un’unica specificità recettoriale. Per quanto riguarda i<br />

linfociti T, il processo <strong>di</strong> selezione centrale è molto<br />

rigoroso, e conduce infatti all’eliminazione <strong>di</strong> più del 90%<br />

delle cellule durante la maturazione nel timo. Attraverso<br />

meccanismi solo in parte decifrati, il timo vaglia i recettori<br />

dei linfociti T, <strong>di</strong>stinguendo almeno tre tipi <strong>di</strong> linfociti:<br />

quelli inutili o dannosi, che vengono eliminati; quelli<br />

potenzialmente utili, che vengono selezionati; quelli<br />

reattivi verso il self che, secondo l’ipotesi più accre<strong>di</strong>tata,<br />

vengono selezionati con un programma <strong>di</strong> lavoro che<br />

permetterà la loro attivazione a <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> possibili<br />

autoaggressioni (linfociti regolatori o Treg, ve<strong>di</strong> scheda).<br />

Questa breve descrizione risponde all’osservazione fatta già<br />

un secolo fa da Paul Erlich che, a fronte dell’esistenza <strong>di</strong><br />

un’ampia gamma <strong>di</strong> specificità anticorpali, postulava<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un “horror autotoxicus”, cioè <strong>di</strong> qualche<br />

meccanismo che impe<strong>di</strong>sse al sistema immunitario <strong>di</strong> fare<br />

anticorpi anche contro le molecole del proprio organismo.<br />

Infatti, all’interno della centrale <strong>di</strong> addestramento timica ogni<br />

recettore può essere confrontato con una gamma (quasi)


2. Intestino e ambiente<br />

completa <strong>di</strong> antigeni dell’organismo. Tuttavia, in questa sede<br />

non può avvenire il confronto tra il TCR e l’altrettanto ampia<br />

varietà <strong>di</strong> antigeni alimentari che, al pari <strong>di</strong> quelli self, devono<br />

essere tollerati. Questo scenario quin<strong>di</strong> non spiega come si<br />

possa generare la tolleranza verso gli antigeni alimentari. La<br />

domanda è quin<strong>di</strong> se esistano veramente linfociti regolatori<br />

della tolleranza verso gli alimenti e se sì come e dove questi si<br />

formino?<br />

Una risposta ragionevole potrebbe essere che la tolleranza<br />

verso gli alimenti nasca primariamente proprio nell’intestino,<br />

e non nel timo, come accade invece per la tolleranza verso il<br />

self. Questo, in effetti, sembra essere vero, almeno in parte.<br />

Nella mucosa intestinale, infatti, vengono generate gran<strong>di</strong><br />

quantità <strong>di</strong> altri tipi <strong>di</strong> linfociti regolatori, che sembrerebbero<br />

più specializzati proprio per questa funzione.<br />

28


29<br />

2. Intestino e ambiente<br />

Linfociti regolatori e tolleranza immune: <strong>di</strong>verse prove<br />

<strong>di</strong>versi linfociti.<br />

1) I linfociti Tregs o natural Tregs o i “linfociti <strong>di</strong> Sakaguchi”.<br />

La prima <strong>di</strong>mostrazione dell’esistenza <strong>di</strong> questi linfociti deriva da<br />

una ricerca <strong>di</strong> S. Sakaguchi del 1995 3 . Venivano utilizzati topi privi<br />

<strong>di</strong> timo a causa <strong>di</strong> una variante genetica omozigote (topi nude<br />

BALB/c nu/nu) e topi singenici eterozigoti per la caratteristica nu<br />

(BALB/c nu/+) provvisti <strong>di</strong> un normale sistema immune. I topi nude,<br />

se non vengono tenuti in ambiente sterile, muoiono rapidamente a<br />

causa dell’assenza <strong>di</strong> un sistema immune. Linfociti ottenuti da<br />

linfono<strong>di</strong> e milza <strong>di</strong> topi BALB/c nu/+ sono tuttavia in grado <strong>di</strong><br />

ricostruire un sistema immune funzionale in questi animali<br />

permettendo la sopravvivenza in un ambiente normale. Sakaguchi<br />

scoprì che il trasferimento dei linfociti depletati <strong>di</strong> una piccola<br />

popolazione <strong>di</strong> linfociti CD4 caratterizzata dall’elevata espressione<br />

del CD25 (catena alfa del recettore dell’IL-2) causava nei topi<br />

riceventi lo sviluppo <strong>di</strong> malattie autoimmuni multiple. Per un<br />

limitato periodo <strong>di</strong> tempo dopo l’infusione, lo sviluppo <strong>di</strong> queste<br />

malattie poteva essere bloccato dall’aggiunta delle cellule<br />

precedentemente sottratte (CD4+CD25+). L’autore concludeva<br />

pertanto che quella popolazione dovesse contenere linfociti in<br />

grado <strong>di</strong> mantenere la tolleranza verso il self.<br />

Una decina <strong>di</strong> anni dopo, lo stesso autore <strong>di</strong>mostrò che quella<br />

particolare popolazione <strong>di</strong> linfociti CD4+CD25+ veniva generata nel<br />

timo e svolgeva la sua azione grazie all’espressione del fattore <strong>di</strong><br />

trascrizione FOXP3 4 .<br />

Questo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong>mostra che il gene FOXP3 è importante nella<br />

formazione <strong>di</strong> un sottogruppo <strong>di</strong> linfociti regolatori (CD4+CD25+) in<br />

grado, quando stimolati, <strong>di</strong> bloccare l'attivazione <strong>di</strong> linfociti<br />

presenti nell'ambiente circostante. In particolare, la ricerca prova<br />

che FOXP3 è espresso nel timo, soprattutto nei linfociti<br />

CD4+CD25+, dove la quantità <strong>di</strong> espressione è circa 100 volte<br />

maggiore che negli altri linfociti. L’espressione forzata <strong>di</strong> FOXP3 in<br />

linfociti T naive per mezzo <strong>di</strong> un transgene si associa ad una<br />

<strong>di</strong>minuita capacità proliferativa, a una <strong>di</strong>minuita produzione <strong>di</strong><br />

citochine e ad una aumentata espressione <strong>di</strong> alcune molecole <strong>di</strong><br />

superficie caratteristiche dei linfociti regolatori (GITR, CD104, CTLA-<br />

4). Le cellule trasdotte in questo modo si mostrano in grado <strong>di</strong>


2. Intestino e ambiente<br />

sopprimere in co-cultura la proliferazione <strong>di</strong> cellule CD4+CD25- in<br />

modo proporzionale all'espressione del transgene. Si precisa infine<br />

che l'attività soppressiva <strong>di</strong>pende dallo stimolo del recettore delle<br />

cellule regolatrici (è cioè secondaria all'attivazione <strong>di</strong> queste<br />

cellule) e si esplica attraverso il contatto cellulare e non<br />

semplicemente dalla produzione <strong>di</strong> citochine regolatorie (come<br />

descritto per altri tipi <strong>di</strong> cellule regolatorie). A conferma del ruolo<br />

regolatorio delle cellule FOXP3+ vengono compiuti anche degli<br />

stu<strong>di</strong> in vivo, in cui si <strong>di</strong>mostra che le cellule transgeniche per<br />

FOXP3 sono in grado <strong>di</strong> curare la malattia causata nei topi irra<strong>di</strong>ati<br />

dalla somministrazione dei soli linfociti CD4+CD25-.<br />

Nel 2001 (due anni prima <strong>di</strong> quest’ultimo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sakaguchi),<br />

mutazioni del gene FOXP3 erano state descritte come responsabili<br />

<strong>di</strong> una rara sindrome genetica legata al cromosoma X e<br />

caratterizzata dalla comparsa precoce <strong>di</strong> molteplici fenomeni<br />

autoimmuni e allergici. Questa malattia, denominata IPEX<br />

(Immunodysregulation Polyendocrinopathy Enteropathy X-Linked)<br />

rappresenta l’esempio genetico del <strong>di</strong>fetto dei linfociti regolatori,<br />

responsabili del mantenimento della tolleranza.<br />

Nella nostra esperienza, la cura e lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un bambino con<br />

questa malattia hanno costituito un’occasione importante <strong>di</strong><br />

incontro tra l’esemplarietà <strong>di</strong> una malattia monogenica per la<br />

ricerca <strong>di</strong> base e le ricadute delle conoscenze a servizio delle<br />

necessità cliniche 5-7 .<br />

2) Altri linfociti regolatori. Tr1 e tolleranza intestinale. I “linfociti<br />

della Roncarolo”.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un altro gruppo <strong>di</strong> linfociti, capaci <strong>di</strong> sopprimere<br />

l’attivazione <strong>di</strong> linfociti nel microambiente circostante (bystander<br />

action) per mezzo <strong>di</strong> citochine regolatrici, come l’interleuchina 10 e<br />

TGFbeta. Questi linfociti non hanno bisogno del contatto <strong>di</strong>retto<br />

con la cellula bersaglio e possono in tal modo favorire una<br />

tolleranza <strong>di</strong> ambiente, non specifica solo per un determinato<br />

antigene. Linfociti regolatori <strong>di</strong> questo tipo sono molto comuni<br />

nella mucosa intestinale dove, tra l’altro, l’IL-10 contribuisce a<br />

down-regolare l’eccessiva attivazione dei fagociti in continuo<br />

contatto con i più vari stimoli ambientali.<br />

30


L’appren<strong>di</strong>mento dell’ambiente.<br />

31<br />

2. Intestino e ambiente<br />

Il primo anno <strong>di</strong> vita è il periodo in cui avviene il maggiore<br />

adattamento del nostro organismo all’ambiente: questo è<br />

vero tanto per lo sviluppo del nostro cervello che per quello<br />

del nostro sistema immune. In entrambi i casi,<br />

l’appren<strong>di</strong>mento ha un costo energetico e cellulare elevato<br />

(per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> neuroni nel cervello e per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> linfociti nel timo).<br />

In entrambi i casi si imparano le regole per interagire con<br />

l’ambiente: il sistema nervoso pone le basi per il linguaggio,<br />

per il riconoscimento del sé dall’ambiente esterno (se non<br />

ancora per la coscienza dell’”io”); il sistema immune impara la<br />

tolleranza e la risposta immune e monta le prime risposte<br />

adattative all’ambiente. Il primo anno è, <strong>di</strong> fatto, il momento<br />

privilegiato perché queste interazioni si possano sviluppare<br />

correttamente. I primi mesi sono “tutelati” dal rapporto con la<br />

madre che, non a caso, vede fondersi il momento alimentare<br />

con quello della conoscenza dell’ambiente: la conoscenza<br />

tattile, gustativa e olfattiva del seno e del latte; la conoscenza<br />

u<strong>di</strong>tiva della voce della madre, il riconoscimento dei suoi<br />

occhi; la conoscenza <strong>di</strong> tracce <strong>di</strong> alimenti ingeriti dalla madre<br />

attraverso il latte; la graduale conoscenza <strong>di</strong> un mondo<br />

microbiologico che si accresce pian piano. E’ logico pensare<br />

che la perturbazione <strong>di</strong> queste con<strong>di</strong>zioni nel primo anno <strong>di</strong><br />

vita possa avere conseguenze sia sul lato cognitivo sia su<br />

quello immunologico.


2. Intestino e ambiente<br />

La maturazione dell’immunità<br />

intestinale nel bambino.<br />

Ci sono prove che già in utero avvenga un certo<br />

riconoscimento <strong>di</strong> antigeni alimentari che possono<br />

raggiungere il feto attraverso il sangue placentare. Di fatto,<br />

linfociti specifici per antigeni alimentari possono essere<br />

identificati nel sangue cordonale della maggior parte dei<br />

neonati 8-10 . In questa fase la risposta immune è però<br />

dominata da un complesso programma immunologico che<br />

garantisce al tempo stesso la tolleranza reciproca tra madre e<br />

feto. Alla nascita si verificano <strong>di</strong>versi eventi in grado <strong>di</strong><br />

mo<strong>di</strong>ficare in varia misura questo equilibrio.<br />

• L’intestino del neonato viene rapidamente colonizzato da<br />

batteri. Ci sono <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mostrazioni che questa<br />

colonizzazione contribuisca a modellare l’organizzazione<br />

del sistema immune del bambino. I linfociti B produttori <strong>di</strong><br />

IgA e IgM cominciano a colonizzare la mucosa intestinale<br />

dopo una settimana dalla nascita, raggiungendo livelli<br />

stabili solo dopo un mese. Questo non avviene in neonati<br />

alimentati per nutrizione parenterale totale (fig. 2.3).<br />

L’osservazione che bambini nati con taglio cesareo (in<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> maggior sterilità), tendono ad avere<br />

un’incidenza <strong>di</strong> allergie maggiore rispetto ai neonati da<br />

parto spontaneo potrebbe fornire un altro dato in<strong>di</strong>retto a<br />

32


33<br />

2. Intestino e ambiente<br />

sostegno dell’importanza della colonizzazione intestinale<br />

precoce nella maturazione del sistema immunitario.<br />

• Il bambino conosce gli antigeni alimentari attraverso<br />

l’intestino. Questi possono essere forniti da formule per<br />

lattanti o <strong>di</strong>rettamente dall’allattamento materno. In<br />

quest’ultimo caso, il contatto con la cute materna fornisce<br />

un’ulteriore fonte <strong>di</strong> germi per la colonizzazione<br />

intestinale. Inoltre, il latte materno, come vedremo nel<br />

prossimo capitolo, contiene <strong>di</strong>verse sostanze e cellule<br />

immunologicamente attive.<br />

• Gli alimenti contribuiscono a modellare il sistema immune<br />

<strong>di</strong>rettamente (per le loro caratteristiche chimiche e<br />

antigeniche) e in<strong>di</strong>rettamente (per le loro caratteristiche<br />

nutrizionali e per la capacità <strong>di</strong> influire sulla costituzione<br />

della flora batterica intestinale).<br />

E’ possibile che <strong>di</strong>verse mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>di</strong> questi elementi<br />

possano influenzare ampiamente lo sviluppo della tolleranza<br />

intestinale, influenzando il rischio <strong>di</strong> sviluppare malattie<br />

allergiche, e forse anche infiammatorie e autoimmuni.


2. Intestino e ambiente<br />

Fig. 2.3. Ruolo degli alimenti nella maturazione del sistema immune<br />

mucosale<br />

34


3. Il latte materno<br />

35<br />

3. Il latte materno<br />

Il latte materno è certo l’alimento naturale per un lattante.<br />

Questo non significa necessariamente che sia il migliore<br />

possibile. Però è stato fino ad oggi l’alimento che ha permesso<br />

la sopravvivenza dei cuccioli umani (e dei mammiferi in<br />

generale) ottenendo quin<strong>di</strong> dalla selezione naturale una sua<br />

“certificazione <strong>di</strong> qualità”. Il senso <strong>di</strong> questa certificazione è<br />

biunivoco, nel senso che è ragionevole pensare che<br />

l’evoluzione abbia premiato le coppie nutrice-lattante<br />

associate contemporaneamente alla migliore qualità del latte<br />

(selezione della madre) e alla miglior capacità <strong>di</strong> tollerare<br />

l’alimento e <strong>di</strong> utilizzarlo (selezione del bambino).<br />

Si potrebbe d’altra parte obiettare che alcune delle con<strong>di</strong>zioni<br />

che hanno fatto la “forza” del latte materno oggi sono mutate<br />

(almeno nei paesi più ricchi). Ad esempio, il latte materno


3. l latte materno<br />

costituisce un alimento ragionevolmente puro dal punto <strong>di</strong><br />

vista microbiologico (non contaminato da patogeni) e anzi<br />

microbiologicamente protetto grazie alla presenza <strong>di</strong> alte<br />

concentrazioni <strong>di</strong> anticorpi solubili. Queste qualità sono<br />

particolarmente importanti per il lattante, che non è ancora in<br />

grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi efficacemente dai patogeni assunti per via<br />

orale, data la minore aci<strong>di</strong>tà dei succhi gastrici e la maggiore<br />

permeabilità intestinale. Queste qualità fanno tuttora il<br />

successo del latte materno nei paesi più poveri e a minori<br />

standard igienico-sanitari. Si calcola, anzi, che il ricorso<br />

all’allattamento materno nei paesi più poveri potrebbe<br />

prevenire, con vari meccanismi, il 13% <strong>di</strong> tutte le cause <strong>di</strong><br />

morte in bambini sotto i 5 anni 11 .<br />

Oggi però è possibile preparare sostituti del latte materno con<br />

prodotti microbiologicamente puri, almeno per quanto<br />

riguarda l’alimentazione del mondo più ricco. Tuttavia le<br />

<strong>di</strong>fferenze tra il latte materno e i suoi sostituti non si<br />

esauriscono qui.<br />

Alcune evidenze suggeriscono, infatti, che il latte materno<br />

abbia un effetto sulla funzione immune del piccolo lattante<br />

molto <strong>di</strong>verso rispetto al latte <strong>di</strong> formula.<br />

• Nel 1996, venne evidenziato che il timo <strong>di</strong> lattanti allattati<br />

al seno aveva <strong>di</strong>mensioni molto maggiori (fino a doppie)<br />

rispetto al timo <strong>di</strong> bambini allattati con latte <strong>di</strong> formula 11 .<br />

La <strong>di</strong>fferenza non era dovuta ad una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

36


37<br />

3. Il latte materno<br />

frequenza <strong>di</strong> infezioni nei due gruppi. Secondo stu<strong>di</strong> più<br />

recenti, l’effetto potrebbe essere dovuto alla presenza nel<br />

latte <strong>di</strong> IL-7, una citochina tipica dello sviluppo timico dei<br />

linfociti, o in alternativa dal <strong>di</strong>verso con<strong>di</strong>zionamento della<br />

flora batterica intestinale.<br />

• Dati epidemiologici collegano l’allattamento al seno con un<br />

ridotto rischio <strong>di</strong> malattie infettive nei primi mesi <strong>di</strong> vita, in<br />

particolare con le gastroenteriti, ma anche infezioni<br />

respiratorie. Questa protezione <strong>di</strong>pende sicuramente in<br />

parte dall’effetto <strong>di</strong>retto delle immunoglobuline contenute<br />

nel latte materno. In particolare, il latte contiene gran<strong>di</strong><br />

quantità <strong>di</strong> IgA (intorno a 1g/L), immunoglobuline<br />

caratterizzate da importanti proprietà, tra cui la resistenza<br />

alla proteolisi e la capacità <strong>di</strong> bloccare antigeni patogeni<br />

senza provocare una rilevante reazione infiammatoria.<br />

Tuttavia, molti dati suggeriscono che il latte materno abbia<br />

anche un effetto in<strong>di</strong>retto sulla protezione da agenti<br />

infettivi, favorendo una corretta maturazione del sistema<br />

immune.<br />

• L’allattamento al seno sembra associato con un rischio<br />

ridotto <strong>di</strong> sviluppare alcune malattie immunome<strong>di</strong>ate a<br />

<strong>di</strong>stanza, tra cui il <strong>di</strong>abete autoimmune. Questo rischio è,<br />

in realtà, <strong>di</strong>fficile da misurare, trattandosi <strong>di</strong> malattie<br />

multifattoriali la cui patogenesi può essere influenzata da<br />

<strong>di</strong>versi cambiamenti ambientali.


3. l latte materno<br />

• In alcuni neonati prematuri può verificarsi una con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> stress acuto a carico dell’intestino con conseguente<br />

necrosi ipossica dell’organo (enterocolite necrotizzante del<br />

prematuro). L’intervento terapeutico in questi bambini<br />

prevede tra l’altro una restrizione alimentare e la<br />

somministrazione <strong>di</strong> antibiotici. Nei bambini allattati con<br />

latte umano, la rialimentazione precoce è tollerata senza<br />

aggravamento della patologia, <strong>di</strong>versamente da quanto<br />

avviene per il latte <strong>di</strong> formula, la cui introduzione deve<br />

quin<strong>di</strong> essere posticipata. Questa <strong>di</strong>fferenza è stata<br />

secondo alcuni attribuibile al benefico effetto del fattore <strong>di</strong><br />

crescita degli epiteli (EGF) contenuto nel latte materno.<br />

Le proprietà biologiche che permettono questi risultati non<br />

sono ancora del tutto comprese. Va però osservato che molte<br />

<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong>pendono dal processo <strong>di</strong> sterilizzazione del latte<br />

formulato. Il trattamento al calore inattiva molte molecole<br />

biologicamente attive (citochine, fattori <strong>di</strong> crescita, anticorpi e<br />

ormoni), <strong>di</strong>strugge le cellule (il latte è ricco <strong>di</strong> macrofagi e altre<br />

cellule) e mo<strong>di</strong>fica altre sostanze nutritive. Il latte materno, al<br />

contrario, viene consumato come tale poco dopo la sua<br />

“preparazione”, mantenendo inalterata l’attività <strong>di</strong> tutte<br />

queste sostanze.<br />

In altre parole, possiamo <strong>di</strong>re che la <strong>di</strong>fferenza è inevitabile, se<br />

si considera il latte non solo per le sue proprietà nutritive ma<br />

38


39<br />

3. Il latte materno<br />

anche per la presenza <strong>di</strong> molecole bioattive e <strong>di</strong> cellule. E’<br />

bene precisare tuttavia che non conosciamo ancora, fino a che<br />

punto queste qualità biologiche siano utili al corretto sviluppo<br />

del lattante, dato che in con<strong>di</strong>zioni ambientali ideali esistono<br />

poche <strong>di</strong>fferenze tra i bambini allattati al seno e quelli<br />

alimentati con le attuali formule sostitutive.<br />

Ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> seguito le caratteristiche del latte materno cui<br />

usualmente viene attribuita importanza rispetto al latte <strong>di</strong><br />

formula, anche se per la maggior parte <strong>di</strong> queste non è facile<br />

misurare il reale beneficio a vantaggio del bambino.<br />

• Compatibilità immunologica. Come accennato in<br />

precedenza, la compatibilità degli antigeni del latte<br />

materno con il sistema immune del bambino è stata<br />

oggetto <strong>di</strong> una selezione naturale lunga quanto la genesi<br />

stessa dell’uomo. Le molecole del latte <strong>di</strong> altri mammiferi<br />

forse non sono così <strong>di</strong>verse, ma non hanno passato questo<br />

lungo periodo <strong>di</strong> “prova <strong>di</strong> compatibilità”, dato che sono<br />

state introdotte massicciamente nell’alimentazione dei<br />

lattanti solo negli ultimi due secoli.<br />

• Immunoprotezione. Diverse componenti presenti nel latte<br />

materno possono contribuire ad un effetto protettivo<br />

contro i patogeni. In primo luogo vanno considerate le<br />

immunoglobuline <strong>di</strong> classe A (IgA). E’ bene sottolineare<br />

che questi anticorpi non costituiscono un’aspecifica <strong>di</strong>fesa<br />

verso patogeni: essi portano con sé la memoria


3. l latte materno<br />

dell’ambiente in cui vive la mamma e in cui si inserisce il<br />

lattante. Oltre alle immunoglobuline, il latte contiene<br />

alcune proteine ad azione <strong>di</strong>retta antibatterica: il lisozima,<br />

in grado <strong>di</strong> lisare la parete dei batteri gram+ per mezzo <strong>di</strong><br />

un’azione <strong>di</strong>gestiva sul proteoglicano; la lattoferrina, in<br />

grado <strong>di</strong> inibire la crescita batterica sottraendo ferro e<br />

stimolando la produzione <strong>di</strong> citochine (la lattoferrina<br />

costituisce la prima proteina nel latte umano, con<br />

concentrazioni <strong>di</strong> 1-4 g/L); la lattoaderina, una<br />

glicoproteina in grado <strong>di</strong> legare ed inattivare il rotavirus.<br />

Ancora, il latte contiene oligosaccari<strong>di</strong> e mucine che<br />

possono interferire con l’adesione batterica alle cellule<br />

intestinali. Oltre a tutte queste molecole, il latte è ricco in<br />

cellule (100-1000 cellule/mcL), in particolare macrofagi,<br />

che potrebbero svolgere un ruolo nell’intestino del piccolo<br />

lattante, oltre che, ovviamente, nel prevenire l’infezione<br />

del latte all’interno della ghiandola mammaria.<br />

• Effetto antinfiammatorio e maturazione della mucosa.<br />

Questi effetti sembrano essere garantiti da una miscela <strong>di</strong><br />

citochine e fattori <strong>di</strong> crescita, caratterizzata dalla<br />

prevalenza <strong>di</strong> citochine antinfiammatorie, come il TGF-<br />

beta e l’IL-10, e dalla presenza <strong>di</strong> fattori come l’epidermal<br />

growth factor (EGF) ed il fattore <strong>di</strong> crescita dei monociti e<br />

granulociti, GM-CSF.<br />

40


4. Le allergie alimentari<br />

La nascita del concetto <strong>di</strong> allergia.<br />

41<br />

4. Le allergie alimentari<br />

Possiamo far iniziare questa storia verso la fine dell’ ‘800.<br />

Edward Jenner aveva posto le basi per le vaccinazioni, Luis<br />

Pasteur aveva da poco <strong>di</strong>mostrato il collegamento tra<br />

microrganismi e malattie, Robert Koch aveva evidenziato i<br />

criteri necessari per confermare la relazione causa-effetto tra<br />

infezione e malattia (postulati <strong>di</strong> Koch). Nel 1885 Pasteur<br />

utilizza per la prima volta il vaccino contro la rabbia e nel 1891<br />

Emil Adolf von Behring a Berlino utilizza per la prima volta il<br />

siero anti-<strong>di</strong>fterico in un bambino ammalato <strong>di</strong> <strong>di</strong>fterite. Le<br />

infezioni costituivano a quel tempo la principale causa <strong>di</strong><br />

malattia e <strong>di</strong> morte. I progressi della microbiologia e i primi<br />

passi dell’immunologia suggerivano la possibilità <strong>di</strong> un<br />

cambiamento, ancor più enfatizzata dal generale spirito<br />

positivista della scienza <strong>di</strong> fine secolo.<br />

In questa ambientazione, nel 1896 si assiste al primo decesso<br />

in seguito all’utilizzo <strong>di</strong> un siero anti-<strong>di</strong>fterico, evento che<br />

colpisce ancor <strong>di</strong> più in quanto si trattava <strong>di</strong> un trattamento<br />

preventivo in un bambino sano. Successivamente vengono<br />

riportati altri casi <strong>di</strong> reazione da siero, accompagnati dalla<br />

comparsa <strong>di</strong> febbre, macchie cutanee e insufficienza renale<br />

con shock. La patogenesi <strong>di</strong> questa malattia non venne subito


4. Le allergie alimentari<br />

compresa finché nel 1903 Arthus <strong>di</strong>mostrò che iniezioni<br />

ripetute <strong>di</strong> siero in conigli provocano simili reazioni e von<br />

Pirquet e Shick sottolinearono il fattore temporale della<br />

malattia da siero ed ipotizzarono che la malattia potesse<br />

costituire una “collisione tra antigeni e anticorpi”.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un’ipotesi che rivoluzionerà lentamente<br />

l’interpretazione <strong>di</strong> molte malattie.<br />

Il XIX secolo aveva visto nelle infezioni la causa riconoscibile<br />

della maggior parte delle malattie e nel sistema immunitario la<br />

<strong>di</strong>fesa da parte dell’organismo. I sintomi delle malattie<br />

venivano anch’essi attribuiti all’azione <strong>di</strong>retta dei<br />

microrganismi.<br />

Von Pirquet (fig 4.1), invece, partendo dalla similitu<strong>di</strong>ne tra i<br />

sintomi tipici della malattia da siero e quelli presenti in molte<br />

malattie infettive esantematiche, ipotizzò per la prima volta<br />

che i sintomi delle malattie infettive potessero derivare non<br />

tanto dall’azione del germe ma dalla risposta contro <strong>di</strong> esso da<br />

parte del sistema immunitario.<br />

L’ipotesi, per l’epoca poteva sembrare molto azzardata, ma in<br />

realtà si appoggiava su un’altra osservazione fondamentale: il<br />

rapporto temporale tra la causa ed il sintomo. Il tempo <strong>di</strong><br />

“incubazione” della malattia da siero era, infatti, simile a<br />

quello <strong>di</strong> alcune malattie esantematiche, come il morbillo (Lo<br />

stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> von Pirquet, ve<strong>di</strong> scheda).<br />

42


43<br />

4. Le allergie alimentari<br />

Fig. 4.1. Clemens von Pirquet, ricordato in un numero del J. Immunology<br />

Come vedremo, questi pensieri non hanno costituito solo una<br />

speculazione filosofica ma, <strong>di</strong>mostrando che la risposta<br />

immunitaria può essere responsabile <strong>di</strong> sintomi<br />

“inappropriati”, aprirono il grande capitolo dello stu<strong>di</strong>o delle<br />

malattie immunome<strong>di</strong>ate. Questo filo logico continua oggi<br />

nell’osservazione della patomorfosi (cambiamento nel tempo<br />

della modalità <strong>di</strong> esprimersi <strong>di</strong> una malattia) <strong>di</strong> alcune malattie<br />

infettive: vecchie malattie (ad esempio la tubercolosi) hanno<br />

cambiato la loro presentazione nel tempo, a causa <strong>di</strong>


4. Le allergie alimentari<br />

cambiamenti dell’ambiente e dell’ospite e non è da escludersi<br />

che alcune infezioni si esprimano solo con lo scatenamento <strong>di</strong><br />

malattie multifattoriali immunome<strong>di</strong>ate. Il paradosso <strong>di</strong> un<br />

sistema immune che può creare malattia <strong>di</strong>venta ancor più<br />

evidente in un’epoca in cui il benessere fa passare in secondo<br />

piano la gravità delle infezioni e fa emergere l’apparente<br />

contrad<strong>di</strong>zione che von Pirquet in<strong>di</strong>ca come allergia (allos<br />

ergon = alterata reattività). L’esempio <strong>di</strong> von Pirquet ci fa<br />

comprendere la continuità tra la patologia immune <strong>di</strong> ieri<br />

(soprattutto infettiva) e la patologia immune <strong>di</strong> oggi<br />

(soprattutto <strong>di</strong>s-reattiva).<br />

L’allergia, come intesa oggi, in realtà è un fenomeno immune<br />

abbastanza <strong>di</strong>verso da quello illustrato da von Pirquet. Di<br />

fatto, lo stu<strong>di</strong>oso estese ben presto il concetto ad una serie <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verse manifestazione dovute a inappropriata risposta<br />

immune. Reazioni che in seguito, Gell e Coombs<br />

raggrupparono in 4 classi.<br />

La malattia da siero corrisponde all’ipersensibilità <strong>di</strong> tipo III,<br />

me<strong>di</strong>ata da immunocomplessi. L’esempio più tipico <strong>di</strong> malattia<br />

da immunocomplessi nell’uomo è oggi quello del Lupus<br />

Eritematoso Sistemico.<br />

La risposta allergica corrisponde invece a meccanismi <strong>di</strong>versi,<br />

per lo più riconducibili alle reazioni <strong>di</strong> ipersensibilità <strong>di</strong> tipo I<br />

secondo Gell e Coombs. Ma il concetto <strong>di</strong> una alterata<br />

44


45<br />

4. Le allergie alimentari<br />

reattività immune, come meccanismo <strong>di</strong> malattia, resta valido<br />

ed è oggi alla base <strong>di</strong> numerose malattie.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> von Pirquet<br />

Clemens von Pirquet stu<strong>di</strong>a teologia a Innsbruck e filosofia a<br />

Leuven, poi Me<strong>di</strong>cina a Graz fino a trasferirsi all’Ospedale<br />

pe<strong>di</strong>atrico <strong>di</strong> Vienna verso l’inizio del ‘900, sotto la guida del prof<br />

Escherich (padre degli Escherichia coli). In questo vivace ambiente<br />

scientifico, von Pirquet affronta il paradosso tra malattia e<br />

protezione immune, sostenendo che un agente patogeno<br />

causerebbe segni <strong>di</strong> malattia nell’organismo solo dopo essere<br />

“mo<strong>di</strong>ficato” dalla presenza <strong>di</strong> anticorpi. Il tempo <strong>di</strong> incubazione<br />

della malattia coinciderebbe con il tempo richiesto per la<br />

formazione degli anticorpi. Per l’epoca si trattava <strong>di</strong> una teoria<br />

particolarmente innovativa e un po’ eretica rispetto ai successi del<br />

“positivismo” microbiologico.<br />

Nel 1903 (all’età <strong>di</strong> 29 anni), von Pirquet invia una lettera sigillata<br />

all’accademia delle Scienze <strong>di</strong> Vienna contenente quello che oggi<br />

verrebbe definito il suo “progetto <strong>di</strong> ricerca”. In esso era contenuta<br />

l’ipotesi <strong>di</strong> partenza e le modalità con cui l’autore si proponeva <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrarla. La busta sarebbe stata aperta 5 anni dopo alla<br />

presenza dello stesso von Pirquet.


4. Le allergie alimentari<br />

L’ipotesi era che sintomi <strong>di</strong> malattie esantematiche come il<br />

morbillo fossero dovuti non <strong>di</strong>rettamente al patogeno ma alla<br />

risposta dell’organismo contro <strong>di</strong> questo. Infatti, la febbre, le<br />

lesioni cutanee e il tempo <strong>di</strong> incubazione potevano ricordare<br />

proprio la reazione da siero.<br />

Somministrando siero <strong>di</strong> cavallo a conigli, von Pirquet <strong>di</strong>mostrò che<br />

(ve<strong>di</strong> immagine):<br />

- la formazione <strong>di</strong> anticorpi circolanti dopo l’infusione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />

quantità <strong>di</strong> siero eterologo è ritardata;<br />

- il ritardo è simile a quello che si osserva nella comparsa dei<br />

sintomi della malattia da siero e nell’incubazione <strong>di</strong> alcune<br />

malattie esantematiche;<br />

- una seconda infusione successiva porta a un calo degli<br />

anticorpi circolanti e alla comparsa imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> sintomi;<br />

- la reazione è specifica: la seconda infusione deve contenere lo<br />

stesso siero;<br />

- piccole dosi <strong>di</strong> siero inducono anticorpi ma non sintomi clinici.<br />

A questa alterata reattività dell’organismo, in grado <strong>di</strong> produrre<br />

sintomi, von Pirquet dà il nome <strong>di</strong> “allergia“ (allos-ergon).<br />

Diversi meccanismi per <strong>di</strong>verse allergie:<br />

risposta pronta reaginica; risposta<br />

ritardata cellulare.<br />

La risposta allergica ricade prevalentemente tra le reazioni <strong>di</strong><br />

ipersensibilità <strong>di</strong> tipo I e <strong>di</strong> tipo IV secondo Gell e Coombs.<br />

Le reazioni <strong>di</strong> tipo I <strong>di</strong>pendono dalla stimolazione <strong>di</strong> una<br />

risposta linfocitaria dominata dalle citochine IL-4, IL-5 e IL-10<br />

(profilo Th2) in assenza <strong>di</strong> una sufficiente attivazione <strong>di</strong><br />

meccanismi contro-regolatori (produzione <strong>di</strong> IgA o IgG<br />

46


47<br />

4. Le allergie alimentari<br />

neutralizzanti; attivazione <strong>di</strong> linfociti regolatori specifici). I<br />

linfociti Th2 sostengono a loro volta la produzione <strong>di</strong><br />

immunoglobuline <strong>di</strong> tipo IgE da parte dei linfociti B (effetto<br />

dell’IL-4) e l’attivazione <strong>di</strong> granulociti eosinofili (effetto dell’IL-<br />

5). Le IgE specifiche, dette anche reagine, si legano ai recettori<br />

Fc sulla membrana dei mastociti, fino al momento in cui<br />

incontrano l’allergene. Il riconoscimento dell’allergene, <strong>di</strong><br />

solito provvisto <strong>di</strong> epitopi ripetuti, provoca il raggruppamento<br />

delle IgE <strong>di</strong> superficie e la degranulazione dei mastociti, con<br />

rilascio <strong>di</strong> istamina e <strong>di</strong> altre sostanze bioattive. L’istamina<br />

provoca vaso<strong>di</strong>latazione ed aumento della permeabilità<br />

vasale, con conseguente edema dei tessuti, stimolazione delle<br />

terminazioni nervose, prurito, rilascio <strong>di</strong> neuro-pepti<strong>di</strong>. Queste<br />

reazioni si sviluppano in genere nel giro <strong>di</strong> minuti<br />

(eccezionalmente ore) dopo il contatto con l’allergene e sono<br />

dette perciò anche reazioni <strong>di</strong> “ipersensibilità imme<strong>di</strong>ata” o<br />

“reazioni pronte” o “reaginiche”. Questo tipo <strong>di</strong> reazione,<br />

infine, avrà <strong>di</strong>verse conseguenze in base all’organo in cui si è<br />

verificato l’incontro con l’allergene.<br />

Nella pelle, reazioni minori condurranno alla formazione del<br />

pomfo, lesione elementare caratterizzata da edema<br />

superficiale (dovuto all’aumento <strong>di</strong> permeabilità vasale),<br />

pruriginosa e circondata da un’area più o meno ampia <strong>di</strong><br />

eritema (dovuto alla vaso<strong>di</strong>latazione). Reazioni più estese<br />

possono condurre a vaste chiazze <strong>di</strong> orticaria e in caso <strong>di</strong>


4. Le allergie alimentari<br />

compromissione più profonda ad angioedema (in questo caso<br />

l’edema interessa anche gli strati cutanei profon<strong>di</strong> e il<br />

sottocute).<br />

Un allergene che venga inalato entrerà invece a contatto con<br />

la mucosa respiratoria, a <strong>di</strong>versi livelli, a seconda della sua<br />

<strong>di</strong>mensione. Particelle più gran<strong>di</strong> stimoleranno una risposta<br />

immune a livello della mucosa nasale e paranasale<br />

provocando edema e secrezione nasale (rinite allergica) e, nei<br />

casi più gravi, sinusite e proliferazione della mucosa. A livello<br />

bronchiale, l’allergene potrà invece provocare, in soggetti<br />

pre<strong>di</strong>sposti (broncoiperreattività) bronco costrizione ed<br />

edema della mucosa con <strong>di</strong>minuzione del calibro bronchiale e<br />

<strong>di</strong>fficoltà espiratoria (espirazione prolungata con fischi e<br />

gemiti, asma). Una complicazione temibile delle reazioni<br />

allergiche è l’edema della glottide, che può portare a morte<br />

per soffocamento.<br />

A livello dell’apparato <strong>di</strong>gerente si potranno avere sintomi<br />

come edema delle labbra, prurito, vomito e enterocolite<br />

allergica.<br />

La persistenza della stimolazione allergica può condurre ad<br />

uno stato <strong>di</strong> infiammazione allergica cronica, caratterizzato da<br />

un ruolo maggiore degli eosinofili e dalla persistenza <strong>di</strong><br />

edema.<br />

In alcuni casi, sono sufficienti minime dosi <strong>di</strong> antigene che<br />

raggiungano il circolo per provocare reazioni allergiche<br />

48


49<br />

4. Le allergie alimentari<br />

sistemiche (anafilassi) che possono portare rapidamente a<br />

decesso per shock circolatorio. Il trattamento, in questi casi,<br />

richiede l’utilizzo <strong>di</strong> adrenalina, per mantenere il circolo e<br />

secondariamente <strong>di</strong> antistaminici e cortisonici per arginare la<br />

risposta allergica.<br />

Le reazioni allergiche ritardate avvengono <strong>di</strong> solito a ore o<br />

giorni dall’introduzione dell’allergene e sono dovute a un<br />

meccanismo immunologico <strong>di</strong>verso, classificabile come<br />

reazione <strong>di</strong> tipo IV secondo Gell e Coombs. Sono basate su<br />

questo meccanismo alcune allergie come l’enteropatia da<br />

proteine del latte vaccino. Il criterio temporale ha particolare<br />

importanza nella <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> allergia. In particolare la relazione<br />

<strong>di</strong> causa-effetto tra l’esposizione all’allergene e lo sviluppo dei<br />

sintomi sarà in genere evidente per reazioni imme<strong>di</strong>ate. Per<br />

reazioni più lente e/o in caso <strong>di</strong> sintomi più sfumati, la<br />

relazione <strong>di</strong> causa-effetto può essere dubbia. In questi casi,<br />

elementi aggiuntivi per la <strong>di</strong>agnosi specifica possono essere<br />

ottenuti da test <strong>di</strong> provocazione cutanea (prick test) o dalla<br />

ricerca <strong>di</strong> anticorpi IgE specifici nel sangue (RAST). Anche<br />

l’aumento degli eosinofili nel sangue (o nel muco nasale) dopo<br />

stimolo con l’antigene può fornire un utile parametro<br />

informativo.<br />

Il prick test è una procedura <strong>di</strong>agnostica che ricerca la<br />

presenza nella cute <strong>di</strong> mastociti sensibilizzati con IgE


4. Le allergie alimentari<br />

specifiche. Infatti, nelle ipersensibilità imme<strong>di</strong>ate, le IgE<br />

tendono a <strong>di</strong>stribuirsi sui mastociti in tutte le se<strong>di</strong>,<br />

in<strong>di</strong>pendentmente dalla<br />

localizzazione dei sintomi<br />

(respiratori, cutanei,<br />

gastroenterici). La cute<br />

offre quin<strong>di</strong> un<br />

“laboratorio” facilmente<br />

accessibile dove ricercare<br />

la presenza <strong>di</strong> questi<br />

anticorpi.<br />

In pratica, una goccia <strong>di</strong><br />

soluzione contenente<br />

un’appropriata<br />

concentrazione<br />

dell’antigene viene<br />

applicata sulla cute e con<br />

un ago si produce una<br />

piccola scarificazione in<br />

Fig. 4.2.Esecuzione <strong>di</strong> un prick test.<br />

modo da interrompere la barriera epiteliale e facilitare il<br />

contatto dell’antigene con i mastociti cutanei (fig. 4.2). Nel<br />

caso che siano presenti IgE specifiche, queste indurranno la<br />

degranulazione dei mastociti, e la formazione del pomfo. Le<br />

<strong>di</strong>mensioni e la forma del pomfo e dell’area eritematosa che lo<br />

circonda possono fornire un dato semi-quantitativo<br />

50


51<br />

4. Le allergie alimentari<br />

sull’intensità dell’allergia. L’esame è eseguito <strong>di</strong> solito<br />

confrontando <strong>di</strong>versi allergeni con un controllo positivo<br />

(istamina).<br />

Questo test, in presenza <strong>di</strong> una sintomatologia allergica, ha un<br />

elevato potere informativo, tuttavia è bene tenere in<br />

considerazioni alcuni aspetti. Primo, la positività al prick test<br />

non in<strong>di</strong>ca necessariamente un’allergia con espressione clinica<br />

manifesta: alcuni soggetti possono avere il prick test positivo<br />

ma possono tollerare (con vari meccanismi compensatori)<br />

l’allergene. In questi soggetti un’esclusione dell’allergene<br />

potrebbe avere conseguenze peggiori che una continua<br />

esposizione. Il prick test può risultare falsamente negativo in<br />

soggetti che assumono farmaci antistaminici e<br />

corticosteroidei. Infine, non sempre l’antigene applicato nel<br />

prick test rispecchia fedelmente quello in grado <strong>di</strong> provocare<br />

la reazione allergica (che può essere ad esempio un allergene<br />

derivato dalla <strong>di</strong>gestione <strong>di</strong> proteine nell’apparato <strong>di</strong>gerente).<br />

Un test equivalente rispetto al prick test è costituito dai RAST.<br />

In questo caso, gli anticorpi IgE specifici sono misurati nel siero<br />

dei pazienti per mezzo <strong>di</strong> una meto<strong>di</strong>ca ra<strong>di</strong>o-immunologica. I<br />

vantaggi dei RAST stanno nell’elevato numero <strong>di</strong> allergeni<br />

valutabili contemporaneamente e nella possibilità <strong>di</strong> ottenere<br />

un dato quantitativo in<strong>di</strong>pendente dal trattamento attuale del<br />

paziente. Gli svantaggi stanno nel costo, ma anche in


4. Le allergie alimentari<br />

un’eccessiva identificazione <strong>di</strong> risposte allergiche clinicamente<br />

non rilevanti.<br />

Nel caso <strong>di</strong> allergie con ipersensibilità <strong>di</strong> tipo ritardato, i test<br />

utili per la conferma <strong>di</strong>agnostica saranno <strong>di</strong>fferenti,<br />

includendo il dosaggio <strong>di</strong> anticorpi <strong>di</strong> tipo IgG (ad esempio<br />

nell’enteropatia da intolleranza alle proteine del latte vaccino)<br />

o l’applicazione dell’antigene per perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> 48-72 ore (patch<br />

test, nella dermatite da contatto).<br />

In ogni caso, una prova della responsabilità <strong>di</strong> un dato<br />

alimento in una reazione allergica potrà derivare da test <strong>di</strong><br />

scatenamento, in cui si riproduca (con le precauzioni adeguate<br />

rispetto al tipo <strong>di</strong> reazione) la tipica relazione temporale tra<br />

applicazione dello stimolo e manifestazione clinica. In caso <strong>di</strong><br />

sintomi soggettivi o più <strong>di</strong>fficilmente misurabili e oggettivabili,<br />

potrà essere utile eseguire test <strong>di</strong> scatenamento in doppio<br />

cieco, cioè somministrando in giorni <strong>di</strong>versi l’antigene<br />

“mascherato” in modo che né il me<strong>di</strong>co né il paziente lo<br />

possano riconoscere, fino a completamento della procedura.<br />

52


53<br />

4. Le allergie alimentari<br />

Allergie alimentari: allergia al latte.<br />

L’allergia alimentare al latte è una con<strong>di</strong>zione relativamente<br />

frequente nei primi anni <strong>di</strong> vita, interessando il 5% dei<br />

bambini. Il sintomo più frequentemente associato all’allergia<br />

al latte è costituto dalla dermatite, ma è bene ricordare che<br />

meno <strong>di</strong> un terzo delle dermatiti eczematose dei primi anni <strong>di</strong><br />

vita <strong>di</strong>pendono da allergie alimentari. Più raramente, l’allergia<br />

al latte può presentarsi anche (o soltanto) con sintomi <strong>di</strong> tipo<br />

anafilattico (cioè sintomi a comparsa acuta e in genere a<br />

interessamento multi-organo, me<strong>di</strong>ati da IgE). Questi sono<br />

riassunti nella tabella seguente (tab. 4.1).<br />

Localizzazione Segni e sintomi<br />

Cavo orale Prurito a labbra, lingua e palato, edema <strong>di</strong> labbra<br />

e lingua, sapore metallico in bocca<br />

Cute Eritema, prurito, orticaria, angioedema, rash,<br />

piloerezione<br />

Apparato Nausea, dolore addominale (colica), vomito e<br />

<strong>di</strong>gerente<br />

Apparato<br />

respiratorio<br />

<strong>di</strong>arrea<br />

Rinorrea, congestione nasale e starnuti; Prurito<br />

e tensione in gola, <strong>di</strong>sfonia, tosse abbaiante<br />

prurito nei condotti u<strong>di</strong>tivi esterni; <strong>di</strong>spnea,<br />

tosse profonda.<br />

Apparato Astenia, sincope, dolore toracico, tachicar<strong>di</strong>a,<br />

circolatorio <strong>di</strong>saritmia, ipotensione<br />

Altro Prurito periorale, eritema congiuntivale e<br />

lacrimazione, dolore lombare e contrazioni<br />

uterine, sensazione <strong>di</strong> morte.<br />

Tab. 4.1. Segni e sintomi <strong>di</strong> allergia a seconda della localizzazione


4. Le allergie alimentari<br />

Nelle forme più gravi, l’anafilassi coinvolge anche l’apparato<br />

respiratorio e circolatorio in un quadro che può giungere allo<br />

shock e alla morte (tab 4.2). Si tratta <strong>di</strong> casi rari, ma<br />

particolarmente gravi, perché spesso possono essere<br />

provocati da esposizione a quantità minime <strong>di</strong> antigene, tanto<br />

da poter essere inavvertite.<br />

Tab. 4.2. Gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> anafilassi, dal prurito allo shock.<br />

Le reazioni più blande possono essere controllate con un<br />

antistaminico, mentre nei casi più gravi è in<strong>di</strong>spensabile<br />

ricorrere all’uso dell’adrenalina, per mantenere la circolazione<br />

e il respiro.<br />

Purtroppo, le reazioni anafilattiche tendono a ripetersi<br />

costringendo chi ne soffre a evitare con estremo rigore il<br />

contatto con le sostanze scatenanti. Dato che, come si <strong>di</strong>ceva,<br />

54


55<br />

4. Le allergie alimentari<br />

contatti inavvertiti non sono infrequenti, anche da contatti<br />

minimi attraverso la cute o per via inalatoria 12,13 , il paziente<br />

dovrà anche essere costantemente munito <strong>di</strong> una dose <strong>di</strong><br />

adrenalina auto-iniettabile, da utilizzare in caso <strong>di</strong> necessità<br />

(fig. 4.3).


4. Le allergie alimentari<br />

Va da sé che la vita per<br />

questi soggetti cosiddetti<br />

“super-allergici” con rischio<br />

<strong>di</strong> anafilassi è<br />

pesantemente penalizzata.<br />

Impone infatti una <strong>di</strong>fficile<br />

<strong>di</strong>eta <strong>di</strong> esclusione (tracce<br />

occulte <strong>di</strong> latte possono<br />

essere contenute in molti<br />

alimenti 14,15 ) e una <strong>di</strong>fficile<br />

vita sociale (feste,<br />

ristoranti, comunità) ma<br />

nonostante ciò permane<br />

comunque il rischio <strong>di</strong><br />

andare incontro a<br />

manifestazioni gravi,<br />

Fig. 4.3. Manifesto informativo<br />

sull’uso <strong>di</strong> adrenalina auto-<br />

potenzialmente mortali. D’altra parte, la maggior parte dei<br />

pazienti tende a risolvere spontaneamente la propria allergia<br />

con la crescita e ritornando ad assumere gli alimenti<br />

incriminati dopo alcuni anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>eta. Tuttavia, non sempre<br />

questo accade, e c’è una piccola parte <strong>di</strong> pazienti in cui<br />

l’allergia non <strong>di</strong>minuisce nonostante la <strong>di</strong>eta 16,17 . In realtà ci<br />

sono ragionevoli motivi per ritenere che lo sviluppo <strong>di</strong> una<br />

tolleranza specifica sia più <strong>di</strong>fficile in totale assenza<br />

dell’antigene. Infatti, come abbiamo già <strong>di</strong>scusso, la tolleranza<br />

56


57<br />

4. Le allergie alimentari<br />

immune non è solo un fenomeno passivo (assenza <strong>di</strong> linfociti<br />

reattivi contro un dato antigene), ma soprattutto un<br />

fenomeno attivo (presenza <strong>di</strong> linfociti specifici per l’antigene e<br />

specializzati nel mantenimento della tolleranza).<br />

Per questo motivo, ci si è domandati se si potessero sviluppare<br />

protocolli per re-indurre la tolleranza attiva in questi soggetti,<br />

somministrando l’allergene in un regime controllato e sicuro,<br />

in modo da garantire almeno la tolleranza <strong>di</strong> piccole dosi e <strong>di</strong><br />

permettere una migliore qualità <strong>di</strong> vita.<br />

Alcune esperienze, in un contesto un po’ <strong>di</strong>verso, suggerivano<br />

che effettivamente l’anafilassi può essere prevenuta con una<br />

forzata esposizione a piccole dosi dell’antigene: ad esempio,<br />

nell’anafilassi da veleno <strong>di</strong> imenotteri, esistono procedure <strong>di</strong><br />

desensibilizzazione basate sull’iniezione sottocutanea ripetuta<br />

<strong>di</strong> piccole dosi dell’allergene. Per le allergie alimentari, invece,<br />

sono stati proposti protocolli basati sulla somministrazione<br />

sublinguale o orale dell’antigene in causa, a dosi ripetute e<br />

incrementali, avviando la procedura in un ambiente<br />

ospedaliero protetto, dove eventuali reazioni gravi possono<br />

prontamente essere fronteggiate 18,19 .<br />

Con queste procedure si ottengono, in <strong>di</strong>versi centri (tra cui<br />

quello della <strong>Clinica</strong> Pe<strong>di</strong>atrica <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>), risultati sicuramente<br />

incoraggianti. La maggior parte dei bambini trattati riesce a<br />

tollerare dosi più o meno alte dell’alimento, <strong>di</strong> solito ben al <strong>di</strong><br />

sopra <strong>di</strong> quelle che possono essere responsabili <strong>di</strong> assunzioni


4. Le allergie alimentari<br />

accidentali. In altre parole, se bevi ogni giorno mezzo bicchiere<br />

<strong>di</strong> latte puoi essere sicuro che non avrai una reazione<br />

anafilattica bevendone un cucchiaio.<br />

Queste procedure <strong>di</strong> desensibilizzazione sono ancora<br />

largamente empiriche, e si basano sul graduale aumento della<br />

dose, giocando ai limiti delle dosi tollerate senza sintomi<br />

importanti. Sfortunatamente, non sono ancora chiari i<br />

meccanismi cellulari e molecolari che permettono il<br />

raggiungimento della tolleranza in questi pazienti. Sembra<br />

probabile che un ruolo all’inizio della procedura sia svolto<br />

dall’“esaurimento” della risposta anticorpale specifica, per<br />

continua lieve stimolazione; un altro fenomeno, potrebbe<br />

risiedere nell’induzione <strong>di</strong> anergia nei linfociti specifici<br />

continuamente stimolati; ancora, un effetto anti-allergico<br />

viene attribuito ad una <strong>di</strong>versa modalità <strong>di</strong> risposta<br />

anticorpale contro l’antigene con IgG4 bloccanti piuttosto che<br />

con IgE; infine, ci si aspetta che la tolleranza definitiva si associ<br />

anche allo sviluppo <strong>di</strong> linfociti regolatori, in grado <strong>di</strong><br />

mantenere attivamente lo stato <strong>di</strong> tolleranza. Una migliore<br />

conoscenza <strong>di</strong> come la desensibilizzazione orale possa attivare<br />

questi e altri meccanismi potrà forse permettere in futuro <strong>di</strong><br />

migliorare in termini <strong>di</strong> tempi ed efficacia i protocolli <strong>di</strong><br />

desensibilizzazione.<br />

58


Atopia e stile <strong>di</strong> vita “occidentale”:<br />

l’ipotesi igienica.<br />

59<br />

4. Le allergie alimentari<br />

L’atopia è una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>sposizione allo sviluppo <strong>di</strong><br />

risposte allergiche espresse variamente (eczema, rinite ed<br />

asma), in risposta a comuni ed innocui antigeni ambientali.<br />

Una parte dei fattori pre<strong>di</strong>sponenti è stata identificata:<br />

• nella maggior attitu<strong>di</strong>ne dell’atopico a produrre IgE;<br />

• in una risposta esagerata da parte <strong>di</strong> mastociti ed<br />

eosinofili; nell’ipereattività bronchiale (nel caso dell’asma);<br />

• nell’aumento <strong>di</strong> permeabilità cutanea (nel caso della<br />

dermatite atopica).<br />

Si tratta per lo più <strong>di</strong> caratteri geneticamente determinati (per<br />

i quali sono stati identificati i rispettivi loci) abbastanza comuni<br />

nella popolazione generale. Esistono poi fattori ambientali da<br />

lungo tempo accertati come il fumo <strong>di</strong> sigaretta e l’aumento<br />

del particellato atmosferico, che con<strong>di</strong>zionano l’espressione<br />

della malattia nel soggetto pre<strong>di</strong>sposto.<br />

Negli ultimi 20 anni però si è assistito ad un sorprendente<br />

aumento dell’incidenza e della severità delle malattie atopiche<br />

nei paesi ad alto tenore socio-economico, <strong>di</strong>fficilmente<br />

spiegabile sulla base della genetica e dei sopramenzionati<br />

fattori ambientali.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o condotto dopo l’unificazione tedesca ha<br />

paragonato la prevalenza <strong>di</strong> alcune manifestazioni allergiche


4. Le allergie alimentari<br />

tra bambini in età scolare della ex-Germania Est (Lipsia) e della<br />

Germania Ovest (Monaco). L’incidenza <strong>di</strong> atopia era<br />

lievemente minore nei bambini <strong>di</strong> Lipsia, nonostante questi<br />

fossero esposti a livelli <strong>di</strong> inquinamento atmosferico<br />

sensibilmente maggiori 20 . Da qui nasceva l’idea che esistesse<br />

qualche elemento dello “stile <strong>di</strong> vita occidentale” capace <strong>di</strong><br />

influenzare lo sviluppo <strong>di</strong> atopia in modo più determinante<br />

rispetto all’inquinamento ambientale, come ad esempio un<br />

incremento nell’esposizione all’acaro della polvere in ambienti<br />

domestici più riscaldati. L’idea è sostenuta anche da altri lavori<br />

che hanno riscontrato un aumento dell’incidenza <strong>di</strong> atopia in<br />

seguito alla migrazione in paesi più ricchi <strong>di</strong> soggetti<br />

provenienti da un paese con basso standard socio-<br />

economico 21,22 .<br />

Non è chiaro però quale elemento della “occidentalizzazione”<br />

sia il responsabile <strong>di</strong> questo fenomeno. Alla fine degli anni ‘80<br />

è stato suggerito che quest’andamento potesse <strong>di</strong>pendere<br />

dalle migliorate con<strong>di</strong>zioni igieniche con <strong>di</strong>simpegno del<br />

sistema immune sul fronte delle infezioni e suo riversamento<br />

su una risposta allergica contro allergeni. Infatti, alcune<br />

evidenze suggerivano che le infezioni acquisite durante<br />

l’infanzia potessero prevenire lo sviluppo della febbre da<br />

fieno 23 . Stu<strong>di</strong> successivi hanno riscontrato una relazione<br />

variabile tra specifiche infezioni contratte durante l’infanzia e<br />

lo sviluppo <strong>di</strong> atopia 24-26 . A conferma dell’ipotesi “infettiva” si<br />

60


61<br />

4. Le allergie alimentari<br />

poteva leggere il dato che nelle famiglie più numerose l’atopia<br />

è meno frequente ed in particolare lo è <strong>di</strong> meno nei fratelli<br />

successivi, verosimilmente perché esposti precocemente a<br />

infezioni trasmesse dai fratelli maggiori 27 .<br />

Nello stesso periodo apparve evidente da stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

immunologia che la risposta contro le infezioni è me<strong>di</strong>ata da<br />

meccanismi <strong>di</strong>versi ed antagonisti rispetto alla risposta<br />

allergica. I linfociti Thelper che organizzano la risposta immune<br />

nei due casi sono schematicamente <strong>di</strong>stinguibili in base al<br />

profilo <strong>di</strong> citochine prodotte in Th1 (risposta alle infezioni) e<br />

Th2 (allergia).<br />

In base a questo presupposto teorico è possibile leggere la<br />

relazione inversa tra incidenza delle malattie allergiche e<br />

miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni igienico-sanitarie,<br />

ammettendo che la <strong>di</strong>minuita esposizione a malattie infettive<br />

alteri l’equilibrio delle citochine nell’organismo, con una<br />

maggior <strong>di</strong>sponibilità a fare risposte <strong>di</strong> tipo Th2 e quin<strong>di</strong> a<br />

sviluppare allergia. In realtà dal punto <strong>di</strong> vista immunologico le<br />

cose non sembrano essere così semplici poiché le scelte che<br />

l’organismo può compiere <strong>di</strong> fronte ad una molecola estranea<br />

non prevedono solo la possibilità esclusiva <strong>di</strong> una risposta Th1<br />

o Th2, ma anche l’opportunità <strong>di</strong> imparare a tollerare del tutto<br />

la nuova molecola con una modalità <strong>di</strong> risposta <strong>di</strong>versa o non<br />

rispondendovi affatto.


4. Le allergie alimentari<br />

Di fatto i dati riguardanti la relazione tra infezioni ed atopia<br />

sono ancora controversi. La positività ai prick test per una<br />

batteria <strong>di</strong> allergeni inalanti è risultata <strong>di</strong>mezzata in<br />

adolescenti che avevano avuto il morbillo in età infantile<br />

rispetto a quelli che erano stati vaccinati e non avevano<br />

contratto la malattia 25 . In questo stu<strong>di</strong>o, condotto in Guinea<br />

Bissau, un potenziale fattore confondente potrebbe essere<br />

costituito da un elevato livello <strong>di</strong> infestazione parassitaria.<br />

Infatti la risposta allergica utilizza gli stessi meccanismi che<br />

l’evoluzione ha selezionato per combattere i parassiti ed è<br />

stata osservata una relazione inversa tra infestazioni<br />

parassitarie ed atopia, tanto da suggerire che quest’ultima si<br />

possa sviluppare solo laddove il sistema eosinofili-IgE resta<br />

privo del suo obiettivo naturale.<br />

Poiché il micobatterio della tubercolosi (MBT) è un potente<br />

induttore <strong>di</strong> risposta tipo Th1, si è pensato che la <strong>di</strong>minuzione<br />

dell’incidenza della tubercolosi potesse essere il fattore<br />

infettivologico responsabile dell’aumento dell’atopia. Un<br />

recente stu<strong>di</strong>o anglo-nipponico ha valutato<br />

retrospettivamente la prevalenza <strong>di</strong> sintomi e <strong>di</strong> segni<br />

ematochimici <strong>di</strong> atopia in soggetti che erano stati vaccinati per<br />

la tubercolosi con un protocollo che prevedeva la ripetizione<br />

della dose nel caso che a controlli successivi non fosse<br />

mantenuta la positività alla cutireazione tubercolinica 28 . Nei<br />

soggetti che rispondevano meglio al vaccino si registrava una<br />

62


63<br />

4. Le allergie alimentari<br />

minor prevalenza <strong>di</strong> segni clinici e laboratoristici <strong>di</strong> atopia. Una<br />

possibile interpretazione <strong>di</strong> questo dato è che i responder<br />

siano i meno pre<strong>di</strong>sposti a sviluppare atopia non per effetto<br />

del vaccino ma per caratteristiche geneticamente determinate<br />

del proprio sistema immune. E’ <strong>di</strong>fficile tuttavia utilizzare lo<br />

stato <strong>di</strong> risposta al MBT come in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione<br />

genetica <strong>di</strong> responsività immune, poiché che nell’arco <strong>di</strong><br />

vent’anni la reattività tubercolinica della popolazione<br />

giapponese <strong>di</strong>minuì dal 95% al 58%. Gli autori suggeriscono<br />

che in realtà le risposte più durature al vaccino siano<br />

mantenute dalla circolazione <strong>di</strong> MBT nella popolazione e che<br />

sia questo il vero fattore protettivo nei confronti dell’atopia.<br />

Un altro dato interessante che emerge da questo lavoro è<br />

l’aumento <strong>di</strong> incidenza <strong>di</strong> atopia in soggetti che si sono<br />

negativizzati alla tubercolina.<br />

Un altro lavoro svolto in Svezia, tuttavia, non ha riscontrato<br />

alcun effetto prottetivo della vaccinazione precoce con BCG<br />

sullo sviluppo <strong>di</strong> allergie in soggetti con familiarità per atopia<br />

29 . D’altra parte è noto che il BCG è dotato <strong>di</strong> un’efficacia<br />

estremamenrte più scarsa rispetto all’esposizione naturale<br />

all’MBT, che in Svezia è pressocché assente.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o italiano su allievi militari ha <strong>di</strong>mostrato una<br />

relazione inversa tra la prevalenza <strong>di</strong> una pregressa epatite A e<br />

la presenza <strong>di</strong> asma e rinite. La stessa correlazione era<br />

evidente con i parametri <strong>di</strong> laboratorio (positività <strong>di</strong> una


4. Le allergie alimentari<br />

batteria <strong>di</strong> prick test per inalanti, livelli sierici <strong>di</strong> IgE specifiche<br />

contro i comuni allergeni inalanti). Inoltre veniva confermata<br />

in questo lavoro una relazione inversa tra atopia e numero <strong>di</strong><br />

fratelli. Non è chiaro però il ruolo della pregressa infezione da<br />

epatite A, che potrebbe essere semplicemente la spia <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zioni igienico-ambientali, o <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni alimentari <strong>di</strong>verse<br />

26<br />

.<br />

Se le infezioni hanno un ruolo nell’atopia è giusto pensare che<br />

questo sia giocato anche dalle vaccinazioni. Tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

però, le vaccinazioni sono state mirate a ottenere<br />

prevalentemente una risposta <strong>di</strong> tipo anticorpale specifica<br />

(come ad esempio quella bloccante le tossine tetanica e<br />

<strong>di</strong>fterica) che non riproduce quella secondaria all’infezione<br />

naturale. Di fatto una <strong>di</strong>fferenza nell’attivazione <strong>di</strong> linfociti Th1<br />

e Th2 è stata rilevata <strong>di</strong> recente con l’uso <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi vaccini (per<br />

esempio si è evidenziato che il vaccino antipertosse acellulare<br />

dà una risposta sia Th1 che Th2, <strong>di</strong>versamente dal vaccino<br />

cellulare che induce solo una risposta Th1) 30 . In molti casi la<br />

risposta anticorpale al vaccino viene potenziata per mezzo <strong>di</strong><br />

a<strong>di</strong>uvanti, il più usato dei quali è senza dubbio l’idrossido <strong>di</strong><br />

alluminio. L’aggiunta <strong>di</strong> idrossido <strong>di</strong> alluminio a un vaccino<br />

antipertossico cellulare con<strong>di</strong>ziona non solo una maggior<br />

risposta <strong>di</strong> tipo IgG, ma anche IgE 31 .<br />

64


65<br />

4. Le allergie alimentari<br />

In conclusione i dati epidemiologici permettono <strong>di</strong> sostenere<br />

che lo stile <strong>di</strong> vita occidentale si associa a una maggiore<br />

incidenza <strong>di</strong> atopia, ma è tuttora incerto quali aspetti<br />

dell’occidentalizzazione siano responsabili del fenomeno in<br />

questione. Le evidenze a favore <strong>di</strong> un ruolo delle infezioni,<br />

sebbene teoricamente sostenute dall’ipotesi della<br />

polarizzazione immunologica tra Th1 e Th2, necessitano <strong>di</strong><br />

ulteriori stu<strong>di</strong> che sappiano <strong>di</strong>scriminare quali infezioni<br />

abbiano un ruolo maggiore ed in che epoca della vita. In realtà<br />

il problema è ulteriormente confuso dalla eccessiva<br />

semplificazione che si fa parlando <strong>di</strong> una polarizzazione tra<br />

Th1 e Th2, trascurando altre modalità <strong>di</strong> risposta che<br />

conducano ad una tolleranza vera e propria e non al semplice<br />

shift della risposta. E’ verosimile che anche questo processo<br />

sia influenzato da fattori igienico-ambientali, in particolare per<br />

quanto riguarda la colonizzazione delle mucose da parte <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versi microrganismi saprofiti e quin<strong>di</strong> le abitu<strong>di</strong>ni alimentari.<br />

Stu<strong>di</strong> in questo senso potrebbero condurre a nuovi tipi <strong>di</strong><br />

immunoterapia dell’atopia.


5. La malattia celiaca<br />

5. La malattia celiaca<br />

La malattia celiaca viene descritta per la prima volta come<br />

un’entità nosologica definita verso la fine dell’800 da Samuel<br />

Gee, a Londra 32 . Gee in<strong>di</strong>cò la malattia con il nome <strong>di</strong><br />

“malattia celiaca”, nome già utilizzato dal me<strong>di</strong>co greco<br />

Aretaeus <strong>di</strong> Cappadocia nel secondo secolo a.C. per in<strong>di</strong>care<br />

una malattia caratterizzata da <strong>di</strong>sturbi intestinali (koiliakos, in<br />

greco) con <strong>di</strong>arrea untuosa, pallore e calo ponderale. E’ da<br />

notare che questo me<strong>di</strong>co operava proprio nell’Est della<br />

Turchia, in prossimità delle regioni del Me<strong>di</strong>oriente dove si<br />

erano maggiormente sviluppati la coltivazione ed il consumo<br />

<strong>di</strong> frumento. Forse, la descrizione <strong>di</strong> Aretaeus <strong>di</strong> Cappadocia ci<br />

racconta <strong>di</strong> uno dei primi incontri tra l’uomo e questo nuovo<br />

alimento, dopo più <strong>di</strong> un milione <strong>di</strong> anni <strong>di</strong> evoluzione in sua<br />

assenza. Dopo questa descrizione, non si è parlato più <strong>di</strong><br />

malattia celiaca per duemila anni: è possibile che una certa<br />

selezione negativa si sia sviluppata dopo i primi contatti e che<br />

la malattia sia <strong>di</strong>venuta quin<strong>di</strong> più rara e meno evidente.<br />

Successivamente, si è tornati a parlare <strong>di</strong> malattia celiaca nel<br />

XIX secolo, forse in concomitanza con un sensibile aumento <strong>di</strong><br />

concentrazione <strong>di</strong> glutine nel frumento. Infatti, l’agricoltura,<br />

dapprima con la selezione <strong>di</strong> specie più vantaggiose (ad<br />

esempio quelle in cui i semi rimanevano più a lungo sulla spiga<br />

e consentivano quin<strong>di</strong> una mietitura più proficua) e<br />

66


67<br />

5. La malattia celiaca<br />

successivamente favorendo gli incroci tra piante con<br />

determinate caratteristiche (ad esempio la capacità <strong>di</strong><br />

lievitazione della farina, in gran parte <strong>di</strong>pendente dalla sua<br />

collosità, a sua volta determinata dal contenuto in glutine) ha<br />

gradualmente portato a varietà <strong>di</strong> frumento molto più ricche<br />

in glutine (dal 2 al 30% del contenuto proteico del cereale).<br />

Era della nascita della malattia celiaca.<br />

Samuel Gee descrisse la malattia come una “in<strong>di</strong>gestione<br />

cronica” che si può verificare in persone <strong>di</strong> qualsiasi età, ma<br />

che interessa specialmente i bambini tra 1 e 5 anni <strong>di</strong> età.<br />

L’aspetto caratteristico riguarda le feci, che appaiono in gran<strong>di</strong><br />

quantità, sformate ma non liquide, con aspetto chiaro,<br />

consistenza simile a lievito e schiumosa (a suggerire la<br />

presenza <strong>di</strong> fenomeni fermentativi), particolarmente<br />

maleodoranti (suggerendo fenomeni putrefattivi). Il paziente<br />

appariva cachettico, <strong>di</strong> debole muscolatura, pallido e gonfio.<br />

La malattia spesso conduceva a decesso e, anche in caso <strong>di</strong><br />

guarigione, tendeva a ricadere. Ciò che ha reso più innovativa<br />

la descrizione <strong>di</strong> Gee, fu la sua conclusione, secondo cui l’unico<br />

trattamento possibile doveva consistere nella <strong>di</strong>eta. Tuttavia,<br />

le sue osservazioni riguardo a un maggior effetto lesivo <strong>di</strong> riso


5. La malattia celiaca<br />

e mais rispetto a farina <strong>di</strong> frumento si sarebbero poi rivelate<br />

erronee.<br />

Il fatto che la malattia possa essere <strong>di</strong>ventata più frequente<br />

che nei secoli precedenti non è induce inizialmente a ricercare<br />

una correlazione con specifici cambiamenti ambientali.<br />

L’identificazione dell’agente scatenante il morbo celiaco<br />

richiese circa mezzo secolo. Per quanto la comparsa della<br />

malattia dopo lo svezzamento potesse suggerire la<br />

responsabilità delle farine, dapprima questa venne attribuita<br />

alla loro composizione in ami<strong>di</strong>. Ancora nel 1921 la malattia<br />

veniva connotata come una intolleranza ai carboidrati, mentre<br />

i grassi erano tollerati molto meglio. Nel 1949 Sydney Haas<br />

proponeva una <strong>di</strong>eta a base <strong>di</strong> banane, e altri frutti, alimenti<br />

particolarmente gra<strong>di</strong>ti ai bambini celiaci. La buona capacità <strong>di</strong><br />

tollerare questi alimenti permise <strong>di</strong> “riabilitare” i carboidrati.<br />

Contemporaneamente, in Olanda, la transitoria sostituzione<br />

delle farine <strong>di</strong> frumento e segale con quelle <strong>di</strong> riso e patate,<br />

più facilmente <strong>di</strong>sponibili durante la carestia successiva alla<br />

guerra, permise <strong>di</strong> richiamare l’attenzione sull’intolleranza a<br />

specifiche farine. Fu solo nel 1952 che Anderson <strong>di</strong>mostrò la<br />

responsabilità del glutine <strong>di</strong> frumento e non dei carboidrati,<br />

nella intolleranza del celiaco 33 . Nell’anno successivo, l’esame<br />

del contenuto <strong>di</strong> grassi nelle feci venne utilizzato per valutare<br />

l’effetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse farine nell’alimentazione del soggetto<br />

68


69<br />

5. La malattia celiaca<br />

celiaco, permettendo <strong>di</strong> confermare il ruolo del frumento,<br />

dell’orzo, della segale e dell’avena 34 .<br />

La storia della celiachia, tuttavia, non finisce con<br />

l’identificazione del glutine come sua causa scatenante.<br />

L’espressione stessa della malattia sembra assumere <strong>di</strong>verse<br />

facce nel tempo, ogni volta associate a nuove scoperte e<br />

nuove conoscenze. Non è perciò solo un esercizio teorico<br />

quello <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare nella storia <strong>di</strong> questa malattia delle vere<br />

e proprie ere storiche che segnano in parallelismo i mutamenti<br />

del rapporto tra uomo e ambiente, ma anche tra conoscenze<br />

me<strong>di</strong>che e malattie (tab. 5.1).


5. La malattia celiaca<br />

Era Anni <strong>Clinica</strong> Diagnosi Biologia<br />

Pre- - Non conosciuta. Minore assunzione <strong>di</strong> glutine<br />

celiaca 1888 nella <strong>di</strong>eta umana. Prevalenza <strong>di</strong> cause infettive.<br />

Nascita 1888 Sindrome <strong>Clinica</strong> Prime ricerche<br />

della m. - intestinale (fattore chimiche<br />

celiaca 1952 (celiaca) tempo)<br />

E. del 1952 Sindrome<br />

Frazioni<br />

glutine - intestinale.<br />

tossiche del<br />

1965 Crisi celiaca.<br />

glutine<br />

E. degli 1965 Forme atipiche: AGA + Inizio stu<strong>di</strong><br />

AGA - anemia<br />

3 Biopsie. immunologici.<br />

HLA “infezione da<br />

glutine”<br />

E. degli 1973 Malattia EMA + Primi<br />

EMA - manifesta / 3 biospie screening AGA<br />

silente / latente<br />

poi EMA.<br />

Autoimmunità.<br />

Ruolo<br />

dell’HLA.<br />

Linfociti CD3+<br />

intraepiteliali.<br />

E. della 1997 L’ampio spettro tTG + Screening su<br />

tTG o - del rischio glutine 1 biopsia goccia <strong>di</strong><br />

era<br />

- associato<br />

sangue.<br />

moleco<br />

Anticorpi anti<br />

alre<br />

pepti<strong>di</strong><br />

deaminati<br />

glia<strong>di</strong>na.<br />

<strong>di</strong><br />

E.<br />

“omica”<br />

2011<br />

-<br />

70<br />

tTG, altro? Anti-tTG nella<br />

mucosa.<br />

Librerie<br />

fagiche.


Tab. 5.1<br />

L’era del glutine.<br />

Possiamo far iniziare verso<br />

metà del secolo scorso<br />

l’Era del glutine. L’aspetto<br />

clinico della malattia è<br />

sempre incentrato sulla<br />

”in<strong>di</strong>gestione cronica” e<br />

sulla compromissione della<br />

funzione intestinale. In<br />

alcuni casi può svilupparsi<br />

una forma grave, la<br />

cosiddetta “crisi celiaca”,<br />

con<strong>di</strong>zione caratterizzata<br />

da un circolo vizioso <strong>di</strong><br />

71<br />

5. La malattia celiaca<br />

Fig. 5.1 Alcuni esempi <strong>di</strong> cibi privi <strong>di</strong><br />

glutine.<br />

amplificazione del danno in seguito a infezioni<br />

gastroenteriche, e che poteva condurre a shock e morte. La<br />

terapia della malattia si base su una <strong>di</strong>eta permanente con<br />

esclusione dei cibi contenti glutine: frumento, orzo, segale ed<br />

in un primo tempo avena. Il celiaco può invece assumere<br />

liberamente altri cereali (riso, mais) e tuberi (patate), carni,<br />

pesci, frutta, verdure, legumi (ve<strong>di</strong> fig. 5.1, da<br />

www.farmacialoreto.it). Questi alimenti alternativi non hanno


5. La malattia celiaca<br />

tuttavia permesso per molti anni <strong>di</strong> produrre vali<strong>di</strong> sostituti<br />

della pasta e del pane, rendendo alquanto <strong>di</strong>fficile<br />

l’esecuzione della <strong>di</strong>eta, soprattutto nelle regioni a <strong>di</strong>eta<br />

me<strong>di</strong>terranea.<br />

Appartiene a questo periodo la descrizione del tipico danno<br />

della mucosa intestinale <strong>di</strong>pendente dall’assunzione <strong>di</strong> glutine<br />

nel celiaco. Campioni bioptici vengono ottenuti dapprima in<br />

seguito ad interventi chirurgici e successivamente per mezzo<br />

<strong>di</strong> una capsula automatica collegata ad un son<strong>di</strong>no e provvista<br />

<strong>di</strong> un meccanismo <strong>di</strong> prelievo per suzione (capsula <strong>di</strong> Crosby-<br />

Kugler)<br />

35<br />

. Questi esami permettono <strong>di</strong> evidenziare<br />

l’appiattimento dei villi intestinali e l’infiltrazione <strong>di</strong> linfociti<br />

nella mucosa (Fig. 5.2). Questo tipo <strong>di</strong> lesione conduce ad una<br />

notevole per<strong>di</strong>ta della superficie <strong>di</strong> assorbimento degli<br />

alimenti: si <strong>di</strong>ce infatti, a titolo d’esempio, che la superficie<br />

che occuperebbe un intestino umano, se venissero svolte<br />

tutte le sue villosità, sarebbe all’incirca pari a quella <strong>di</strong> un<br />

campo da tennis. Per un organismo evolutosi in presenza <strong>di</strong><br />

una <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo molto variabile, la capacità <strong>di</strong><br />

assorbire quanto più possibile le sostanze alimentari ingerite è<br />

infatti un imperativo. Alla presenza <strong>di</strong> un apporto <strong>di</strong>etetico<br />

limitato, però, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> superficie <strong>di</strong> assorbimento<br />

comporta un grave <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> nutrizione. Diversamente, con<br />

un’alimentazione più ricca del necessario, com’è quella<br />

<strong>di</strong>sponibile oggi in molti paesi, la riduzione della superficie <strong>di</strong><br />

72


5. La malattia celiaca<br />

assorbimento può essere in parte compensata dalla quantità<br />

del cibo. Questo, forse, è uno dei motivi che condurrà nelle<br />

ere successive ad altrettanti cambiamenti nell’espressione<br />

della malattia celiaca.<br />

La <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> tecniche semplificate per il prelievo e<br />

l’analisi istologica della mucosa duodenale permette <strong>di</strong><br />

confermare la <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> celiachia <strong>di</strong>mostrando le<br />

caratteristiche alterazioni al momento della <strong>di</strong>agnosi e la loro<br />

guarigione in una seconda biopsia eseguita dopo un congruo<br />

periodo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> esclusione. Non solo, l’esecuzione <strong>di</strong> una<br />

terza biopsia dopo un tentativo <strong>di</strong> reintroduzione del glutine<br />

poteva evidenziare la ricomparsa delle alterazioni tipiche,<br />

permettendo al tempo stesso <strong>di</strong> rinforzare la certezza della<br />

<strong>di</strong>agnosi e anche la convinzione che l’intolleranza costituisse in<br />

questi soggetti una con<strong>di</strong>zione permanente, da trattare con<br />

<strong>di</strong>eta senza glutine per tutta la vita.<br />

Villo intestinale normale Villi tozzi e appiattiti nella mucosa<br />

Fig 5.2. Aspetto morfologico della mucosa nel soggetto normale e nel celiaco.<br />

73


5. La malattia celiaca<br />

74<br />

<strong>di</strong> un soggetto celiaco<br />

L’era degli AGA<br />

(Patogenesi: la celiachia come malattia<br />

dell’immunità; AGA nella <strong>di</strong>agnosi: non solo sintomi<br />

intestinali).<br />

A seguito dell’identificazione della responsabilità del glutine<br />

nella patogenesi della celiachia, anticorpi <strong>di</strong>retti contro questa<br />

proteina vennero identificati nel siero dei soggetti celiaci (AGA<br />

= anti glutine). Di conseguenza, anche l’idea della celiachia<br />

come una “in<strong>di</strong>gestione cronica” venne progressivamente<br />

sostituita dall’interpretazione della malattia come “infezione<br />

cronica” da glutine. Infatti, l‘assunzione <strong>di</strong> glutine nel soggetto<br />

celiaco comportava una risposta immunitaria simile a quella<br />

messa in atto contro agenti infettivi, con la <strong>di</strong>fferenza che in<br />

questo caso l’ “infezione” non può essere debellata, dato che<br />

l’agente che ne è alla base viene continuamente assunto con<br />

gli alimenti. E’ chiaro che non si tratta <strong>di</strong> infezione nel senso<br />

stretto del termine, tuttavia l’immagine ben sintetizza la<br />

natura della risposta immune patologica del celiaco. Qui può<br />

essere utile ricordare quanto abbiamo già detto per gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

von Pirquet sull’allergia per comprendere come il sistema<br />

immunitario, più che l’agente scatenante in sé, potesse essere<br />

il vero responsabile della malattia. Non deve quin<strong>di</strong> stupire se,<br />

negli stessi anni, si scopre che la maggior componente<br />

genetica <strong>di</strong> rischio <strong>di</strong> celiachia risiede in determinati


75<br />

5. La malattia celiaca<br />

polimorfismi degli antigeni <strong>di</strong> istocompatibilità, che possono<br />

con<strong>di</strong>zionare il modo in cui il soggetto riconosce la proteina<br />

estranea.<br />

Se da un lato la presenza degli AGA aveva indotto a<br />

interpretare la patogenesi della celiachia in chiave<br />

immunologica, dall’altro la possibilità <strong>di</strong> dosare questi<br />

anticorpi aveva fornito un nuovo strumento per la <strong>di</strong>agnosi<br />

della malattia. L’era degli AGA è quin<strong>di</strong> anche l’era in cui si<br />

consolida il ruolo della sierologia nella <strong>di</strong>agnosi della malattia:<br />

ciò permetterà <strong>di</strong> espandere le conoscenze cliniche sulla<br />

malattia, includendo casi con sintomi intestinali più sfumati e<br />

con altre patologie associate, come ad esempio l’anemia da<br />

carenza <strong>di</strong> ferro e la bassa statura isolata. Non solo, grazie alla<br />

<strong>di</strong>agnosi sierologica, ci si è accorti che la malattia era in realtà<br />

molto più frequente <strong>di</strong> quanto si pensasse inizialmente e che<br />

potesse presentarsi in alcuni casi ad<strong>di</strong>rittura senza alcun<br />

sintomo rilevante. Anche in questi casi, per i quali venne<br />

coniata l’espressione <strong>di</strong> “celiachia silente”, la biopsia<br />

intestinale mostrava tipiche alterazioni che recedevano<br />

successivamente a <strong>di</strong>eta senza glutine.<br />

In questo periodo viene anche compresa la relazione tra<br />

malattia celiaca e dermatite erpetiforme. Quest’ultima è una<br />

manifestazione cutanea <strong>di</strong> celiachia, che può verificarsi anche<br />

in assenza <strong>di</strong> un’enteropatia manifesta 36-38 o in presenza <strong>di</strong><br />

una celiachia latente.


5. La malattia celiaca<br />

La coscienza del problema aumenta progressivamente, fino<br />

alla costituzione della Celiac Society nel 1968 (11 anni più tar<strong>di</strong><br />

nascerà l’Associazione Italiana Celiachia).<br />

L’era degli EMA<br />

(La celiachia come modello unico <strong>di</strong> <strong>di</strong>sregolazione<br />

autoimmune).<br />

L’idea <strong>di</strong> un’associazione tra malattia celiaca e reazioni<br />

autoimmuni nasce dall’osservazione della relazione tra questa<br />

malattia e il <strong>di</strong>abete <strong>di</strong> tipo 1. Alla fine degli anni ’60 si erano<br />

messe a punto delle meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> immunofluorescenza per<br />

identificare anticorpi correlati ad una particolare nefrite<br />

sperimentale, gli anticorpi anti-reticolina (visualizzabili con<br />

una colorazione su sezioni <strong>di</strong> rene <strong>di</strong> ratto). Nel 1971 vengono<br />

identificati, nel siero <strong>di</strong> soggetti celiaci, anticorpi anti-<br />

reticolina, ai quali non si dà però subito un significato definito<br />

39 . Due anni più tar<strong>di</strong>, viene <strong>di</strong>mostrato che questi anticorpi<br />

sono presenti solo quando il soggetto mangia liberamente,<br />

mentre spariscono con la <strong>di</strong>eta senza glutine 40 . L’osservazione<br />

viene interpretata all’inizio come conseguenza <strong>di</strong> una cross-<br />

reazione tra reticolina e glutine, ipotesi che tuttavia non verrà<br />

confermata. In ogni caso, si comincia a stu<strong>di</strong>are la sensibilità e<br />

specificità <strong>di</strong> questo nuovo test come possibile ausilio per la<br />

<strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> malattia celiaca. L’introduzione successiva<br />

76


77<br />

5. La malattia celiaca<br />

dell’esofago <strong>di</strong> scimmia (e più recentemente del cordone<br />

ombelicale umano) come substrato ha permesso <strong>di</strong> migliorare<br />

molto la qualità del test 41 che si mostrerà ad<strong>di</strong>rittura più<br />

specifico della determinazione degli AGA. La reazione <strong>di</strong><br />

fluorescenza avveniva in questi casi verso il tessuto connettivo<br />

<strong>di</strong> sostegno del muscolo liscio e gli anticorpi venivano perciò<br />

denominati anti-endomisio o EMA o AEA (Fig. 5.3). Anche se<br />

non si sapeva spiegare la loro stretta correlazione con<br />

l’assunzione <strong>di</strong> glutine e con la celiachia, gli EMA <strong>di</strong>ventarono<br />

sempre più un test fondamentale per la <strong>di</strong>agnosi della<br />

malattia. Questo fu tanto vero, che la presenza <strong>di</strong> EMA positivi<br />

permetterà in seguito <strong>di</strong> identificare casi <strong>di</strong> “celiachia latente”,<br />

in assenza <strong>di</strong> un chiaro danno della mucosa intestinale<br />

all’indagine bioptica 42 . L’analisi delle biopsie con anticorpi anti<br />

CD3 marcati permette comunque <strong>di</strong> identificare anche in<br />

questi casi un infiltrato infiammatorio nell’epitelio intestinale<br />

con aumento <strong>di</strong> un particolar gruppo <strong>di</strong> linfociti, provvisti <strong>di</strong><br />

recettore gamma/delta 43-45 .<br />

Fig. 5.3 Disegno <strong>di</strong><br />

fluorescenza anti-<br />

endomisio.


5. La malattia celiaca<br />

Schematicamente, l’era degli EMA è caratterizzata sul piano<br />

clinico dalla definizione dell’associazione tra celiachia e<br />

autoimmunità. Questa associazione viene dapprima attribuita<br />

alla con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> un comune substrato genetico <strong>di</strong><br />

suscettibilità dato da specifici polimorfismi del sistema HLA.<br />

Successivamente, però, alcune osservazioni suggeriranno una<br />

relazione più complessa.<br />

La specifica associazione degli EMA con la malattia celiaca e la<br />

loro <strong>di</strong>pendenza dall’assunzione <strong>di</strong> glutine suggeriscono che<br />

questa proteina sia in grado <strong>di</strong> scatenare fenomeni<br />

autoimmuni in soggetti pre<strong>di</strong>sposti. Inoltre il fatto che gli EMA<br />

potessero essere presenti in assenza <strong>di</strong> evidenti lesioni<br />

intestinali e <strong>di</strong> altre manifestazioni cliniche rinforzava<br />

l’importanza <strong>di</strong> reazioni autoimmuni nella malattia.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o pionieristico italiano (ve<strong>di</strong> Ventura et al., scheda <strong>di</strong><br />

seguito) ha messo in luce la relazione tra rischio <strong>di</strong><br />

autoimmunità e tempo <strong>di</strong> esposizione al glutine nei soggetti<br />

celiaci, suggerendo l’idea <strong>di</strong> un ruolo preventivo della <strong>di</strong>eta<br />

sullo sviluppo delle malattie autoimmuni associate.<br />

Se questo è vero, l’azione preventiva può essere influenzata<br />

dalla capacità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare precocemente i soggetti celiaci. A<br />

questo proposito, è bene osservare che il rischio <strong>di</strong> sviluppare<br />

malattie glutine-correlate potrebbe essere in buona parte<br />

in<strong>di</strong>pendente dall’espressione clinica della malattia. Anzi, il<br />

78


79<br />

5. La malattia celiaca<br />

lavoro coor<strong>di</strong>nato da Ventura suggerisce che proprio i soggetti<br />

con sintomi clinici meno evidenti possano avere un rischio<br />

maggiore <strong>di</strong> sviluppare malattie, in quanto la loro celiachia<br />

rimane più a lungo non <strong>di</strong>agnosticata.<br />

Queste considerazioni sono particolarmente importanti, ove si<br />

consideri che per molti anni si è consigliato <strong>di</strong> ritardare<br />

l’introduzione del glutine nell’alimentazione dei lattanti con la<br />

speranza <strong>di</strong> prevenire lo sviluppo della malattia celiaca: la<br />

posticipazione del glutine dopo l’anno <strong>di</strong> età, infatti, si associa<br />

a sintomi più sfumati e tollerabili. Tuttavia, chi ha assunto il<br />

glutine nei primi mesi <strong>di</strong> vita non ha solo una reazione più<br />

grave ed evidente, con i tipici sintomi gastrointestinali, ma ha<br />

anche una maggior probabilità <strong>di</strong> ricevere una <strong>di</strong>agnosi<br />

tempestiva e un trattamento preventivo efficace. Viceversa,<br />

chi assume il glutine più tar<strong>di</strong>vamente ha maggior probabilità<br />

<strong>di</strong> essere identificato come celiaco in età più avanzata, sulla<br />

base <strong>di</strong> sintomi più sfumati e meno tipici. Questo è quanto è<br />

accaduto in due città non molto lontane l’una dall’altra,<br />

Gotheborg in Svezia e Tampere in Finlan<strong>di</strong>a (ve<strong>di</strong> Ascher et al,<br />

scheda), a testimoniare ancora l’importante ruolo<br />

dell’ambiente nel con<strong>di</strong>zionare i tempi e i mo<strong>di</strong> con cui<br />

l’intolleranza al glutine può esprimersi in una popolazione.<br />

Le <strong>di</strong>fferenze ambientali potevano essere responsabili anche<br />

della convinzione che la celiachia fosse molto più rara negli


5. La malattia celiaca<br />

stati Uniti d’America che nell’Europa. Anche in questo caso,<br />

l’era degli EMA ha permesso <strong>di</strong> effettuare screening <strong>di</strong><br />

popolazione in Europa come negli Stati Uniti, che hanno<br />

mostrato una prevalenza simile della malattia nei <strong>di</strong>versi<br />

paesi 46 .<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista sociale, gli screening<br />

danno maggiore visibilità al problema<br />

della celiachia. Vengono perciò<br />

costituite associazioni a tutela dei<br />

pazienti e dei loro <strong>di</strong>ritti e, più<br />

gradualmente, si giunge ad una<br />

coscienza sociale della celiachia: viene<br />

elaborato un logo per la certificazione<br />

degli alimenti senza glutine (Fig. 5.4);<br />

vengono garantiti pasti senza glutine nelle mense (e anche in<br />

alcuni ristoranti); vengono prodotti prontuari e ricettari per<br />

l’alimentazione senza glutine.<br />

80<br />

Fig. 5.4 Logo utilizzato<br />

per certificare prodotti<br />

privi <strong>di</strong> glutine.


81<br />

5. La malattia celiaca<br />

Ventura A, Magazzù G, Greco L.<br />

Duration of exposure to gluten and risk for<br />

autoimmune <strong>di</strong>sorders in patients with celiac<br />

<strong>di</strong>sease. SIGEP Study Group for Autoimmune<br />

Disorders in Celiac Disease.<br />

Gastroenterology. 1999 Aug;117(2):297-303 47<br />

Sono stati stu<strong>di</strong>ati 909 pazienti con malattia celiaca<br />

consecutivamente riferiti in un periodo <strong>di</strong> 6 mesi presso i 10 centri<br />

partecipanti al progetto. L’età al momento dello stu<strong>di</strong>o era<br />

compresa tra 10 e 25 anni. Sono stati inoltre selezionati 1268<br />

controlli sani tra<br />

studenti<br />

universitari (età<br />

me<strong>di</strong>a 21 anni).<br />

Infine, sono stati<br />

analizzati 163<br />

pazienti con<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

come controllo<br />

malato.<br />

I celiaci sono stati sud<strong>di</strong>visi in tre gruppi sulla base dell’età in cui<br />

avevano ricevuto la <strong>di</strong>agnosi. Dato che tutti i pazienti hanno<br />

effettuato una <strong>di</strong>eta senza glutine dopo la <strong>di</strong>agnosi, e dato che l’età<br />

attuale era simile per tutto il gruppo, la precocità della <strong>di</strong>agnosi<br />

correlava con un’esposizione più breve al glutine, mentre i soggetti<br />

con <strong>di</strong>agnosi più tar<strong>di</strong>va erano anche quelli più a lungo esposti alla<br />

<strong>di</strong>eta contenente la proteina. Il grafico mostra che i soggetti esposti<br />

più a lungo al glutine hanno un maggior rischio <strong>di</strong> sviluppare<br />

malattie autoimmuni. Questi dati suggeriscono che una <strong>di</strong>agnosi<br />

precoce ed una <strong>di</strong>eta senza glutine possano prevenire almeno in<br />

parte il rischio <strong>di</strong> sviluppare malattie autoimmuni in soggetti celiaci.


5. La malattia celiaca<br />

H Ascher, K Holm, B Kristiansson, M Maki<br />

Different features of coeliac <strong>di</strong>sease in two<br />

neighbouring countries.<br />

Archives of Disease in Childhood 1993; 69: 375-380 48<br />

E' probabile che le modalità <strong>di</strong> introduzione del glutine nella <strong>di</strong>eta<br />

(precocità, quantità) influenzino il tipo <strong>di</strong> presentazione clinica e, <strong>di</strong><br />

conseguenza, la riconoscibilità della malattia. Di fatto, in Svezia<br />

(Gothenburg), dove il consumo <strong>di</strong> glutine da parte dei lattanti inizia<br />

presto ed è <strong>di</strong>scretamente elevato già dal quarto-quinto mese <strong>di</strong><br />

vita, l'incidenza della malattia celiaca è molto elevata e quasi tutti i<br />

casi vengono <strong>di</strong>agnosticati per la comparsa del classico quadro<br />

gastroenterologico.<br />

In Finlan<strong>di</strong>a (Tampere), dove la somministrazione <strong>di</strong> glutine ai<br />

lattanti è più cauta, la prevalenza della malattia celiaca<br />

<strong>di</strong>agnosticata su base clinica è significativamente inferiore, l'età<br />

me<strong>di</strong>a alla <strong>di</strong>agnosi è significativamente più avanzata e prevalgono<br />

i casi con presentazione atipica.<br />

82


83<br />

5. La malattia celiaca<br />

Gli screening eseguiti mostrano però che la prevalenza reale della<br />

malattia è la stessa nei due paesi 49,50 . E' ragionevole quin<strong>di</strong> pensare<br />

che la precoce e relativamente elevata assunzione <strong>di</strong> glutine con la<br />

<strong>di</strong>eta dai primi mesi favorisca un modo più clamoroso e classico, e<br />

quin<strong>di</strong> riconoscibile, <strong>di</strong> presentazione clinica della malattia celiaca<br />

nei soggetti pre<strong>di</strong>sposti. Il ritardo o la cautela nell'introduzione<br />

dell'alimento potrebbero essere causa dell'aumento <strong>di</strong> forme<br />

paucisintomatiche o atipiche. Non va <strong>di</strong>menticato tuttavia che larga<br />

parte della morbi<strong>di</strong>tà associata alla celiachia (osteopenia, anemia<br />

sideropenica, patologia neurologica, manifestazioni autoimmuni,<br />

linfoma etc.) non è necessariamente correlata al grado<br />

dell'enteropatia ma <strong>di</strong>pende piuttosto dal protrarsi dell'assunzione<br />

<strong>di</strong> glutine. Sembra quin<strong>di</strong> ragionevole che la miglior strategia<br />

preventiva sia quella <strong>di</strong> non ritardare l'introduzione del glutine<br />

nella <strong>di</strong>eta e <strong>di</strong> rendere, così, precocemente manifesta e<br />

riconoscibile la malattia nella sua forma più classica (enteropatica).


5. La malattia celiaca<br />

L’era degli EMA si<br />

chiude con un<br />

immagine che può<br />

ben sintetizzare<br />

molti dei concetti<br />

fin qui espressi:<br />

l’iceberg della<br />

celiachia 51 (Fig 5.5).<br />

Questi possono<br />

essere riassunti nei<br />

seguenti punti.<br />

• La variabilità<br />

dell’espression<br />

e clinica della malattia<br />

Fig. 5.5 L’iceberg della celiachia<br />

• Il ruolo degli anticorpi nella <strong>di</strong>agnosi e negli screening e<br />

le relative conseguenze sulla definizione <strong>di</strong> quadri<br />

clinicamente “silenti” o istopatologicamente “latenti”<br />

• L’idea <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione ancora vaga e da definire <strong>di</strong><br />

intolleranza al glutine geneticamente determinata,<br />

correlata alla presenza degli HLA tipici.<br />

Samuel Gee fu il primo a descrivere la punta emersa <strong>di</strong><br />

questo iceberg, ma fu proprio grazie agli anticorpi che si<br />

riuscì a svelare gradualmente la complessità della parte<br />

84


85<br />

5. La malattia celiaca<br />

immersa. L’idea più importante che si celava sotto il pelo<br />

dell’acqua era quella che una quota più o meno ampia<br />

della popolazione potesse essere esposta ad un rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare un’ampia varietà <strong>di</strong> patologie correlate<br />

all’assunzione del glutine.<br />

L’iceberg conteneva in sé il germe <strong>di</strong> una visione continua<br />

della celiachia con infiniti livelli interme<strong>di</strong>, dalla malattia ad<br />

espressione intestinale conclamata fino a casi in cui solo<br />

sofisticati esami immunologici avrebbero provato la presenza<br />

<strong>di</strong> un’alterata sensibilità al glutine (ve<strong>di</strong> era molecolare).


5. La malattia celiaca<br />

L’era della transglutaminasi tessutale (il<br />

bersaglio molecolare degli anticorpi<br />

anti-endomisio).<br />

Negli anni novanta molti ricercatori erano convinti che<br />

l’in<strong>di</strong>viduazione dell’antigene endomisiale contro cui era<br />

rivolta la risposta autoimmune del celiaco avrebbe permesso<br />

<strong>di</strong> svelare gli aspetti ancora incogniti della patogenesi della<br />

malattia. Molte cose in realtà erano già state <strong>di</strong>mostrate: si<br />

conosceva la sequenza dei pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na (frazione<br />

proteica alcol-solubile del glutine) con maggior affinità per<br />

l’HLA DQ2 o DQ8; si erano isolati da biopsie intestinali cloni <strong>di</strong><br />

linfociti CD4 in grado <strong>di</strong> riconoscere questi pepti<strong>di</strong> su cellule<br />

presentanti l’antigene provviste <strong>di</strong> HLA DQ2 e DQ8 52 ; si era<br />

<strong>di</strong>mostrato che questi linfociti producono gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong><br />

interferone gamma, che sono almeno in parte responsabili del<br />

danno mucosale (l’effetto viene bloccato da anticorpi anti-<br />

interferon gamma) 53 . Insomma, si sapeva che per essere<br />

celiaci era necessario avere un determinato HLA <strong>di</strong> rischio e si<br />

capivano anche le basi immunologiche e molecolari <strong>di</strong> questa<br />

pre<strong>di</strong>sposizione. Tuttavia solo una parte dei soggetti con<br />

questo profilo genetico sviluppava la celiachia. Inoltre, la<br />

malattia si associava alla presenza <strong>di</strong> anticorpi anti-endomisio<br />

ancora più specificamente che agli anticorpi anti-glutine e<br />

sembrava ragionevole ritenere che questa fosse la<br />

86


87<br />

5. La malattia celiaca<br />

caratteristica che meglio <strong>di</strong>fferenziava quell’un per cento <strong>di</strong><br />

celiaci da tutti gli altri soggetti con DQ2 e DQ8. Di<br />

conseguenza, era logico prevedere che l’identificazione del<br />

vero bersaglio molecolare <strong>di</strong> questi anticorpi avrebbe<br />

permesso <strong>di</strong> spiegare anche che cosa <strong>di</strong>fferenzia il celiaco dagli<br />

altri soggetti con gli stessi HLA o, in altre parole, che cosa fa si<br />

che alcuni soggetti con quel determinato HLA riescano a<br />

tollerare il glutine ed altri no.<br />

Molti tentativi <strong>di</strong> isolare l’antigene bersaglio degli anticorpi<br />

anti-endomisio erano basati su western-blot o cromatografia<br />

d’affinità tra siero <strong>di</strong> soggetti celiaci e estratti proteici ottenuti<br />

da tessuti contenenti endomisio (esofago <strong>di</strong> scimmia, cordone<br />

ombelicale umano). Solo nel 1997, un gruppo tedesco riuscì a<br />

Fig. 5.6 Diagramma <strong>di</strong> una reazione<br />

<strong>di</strong> immunoprecipitazione<br />

identificare l’antigene per<br />

mezzo <strong>di</strong> una classica<br />

meto<strong>di</strong>ca biochimica:<br />

l’immunoprecipitazione 54 .<br />

In pratica, si trattava <strong>di</strong><br />

trovare le con<strong>di</strong>zioni ideali<br />

perché l’incontro tra il<br />

siero e l’antigene in fase<br />

solubile portasse alla<br />

formazione <strong>di</strong> complessi<br />

macromolecolari insolubili<br />

che potevano essere poi


5. La malattia celiaca<br />

separati per mezzo <strong>di</strong> ultracentrifugazione. Quando sufficienti<br />

quantità <strong>di</strong> anticorpo sono mischiate con un antigene solubile<br />

macromolecolare (contenente quin<strong>di</strong> più siti <strong>di</strong> legame), si<br />

possono formare aggregati visibili <strong>di</strong> antigene cross-legato con<br />

anticorpo (Fig. 5.6 da: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/bookshelf/br<br />

.fcgi?book=imm&part=A2395&rendertype=figure&id=A2414).<br />

Sfruttando questo principio, Dieterich e collaboratori<br />

identificarono il bersaglio della risposta autoimmune tipico<br />

della celiachia in un enzima denominato transglutaminasi<br />

tessutale (tTG o TG2).<br />

La transglutaminasi tessutale è un enzima <strong>di</strong> grande<br />

importanza in almeno due <strong>di</strong>stinti processi biologici: la<br />

stabilizzazione dei tessuti connettivi e l’apoptosi cellulare. I<br />

fibroblasti rilasciano l’enzima nella matrice extracellulare dove<br />

questo resta adeso a proteine <strong>di</strong> matrice come la fibronectina.<br />

Nelle fasi <strong>di</strong> costruzione o <strong>di</strong> riparazione del tessuto<br />

connettivo, l’enzima stabilisce legami covalenti tra gruppi<br />

glutamminici e lisine <strong>di</strong> proteine a<strong>di</strong>acenti, in particolare <strong>di</strong><br />

fibre collagene, in modo da “cucire” la trama e l’or<strong>di</strong>to del<br />

tessuto (fig. 5.7).<br />

Fig. 5.7 Legame tra lisina e glutammina catalizzato dalla transglutaminasi<br />

tessutale.<br />

88


89<br />

5. La malattia celiaca<br />

All’nterno delle cellule, invece, l’enzima viene indotto e<br />

attivato durante l’apoptosi cellulare. In questo caso, l’azione <strong>di</strong><br />

cucitura permette <strong>di</strong> condensare tutto il contenuto<br />

macromolecolare della cellula in aggregati compatti e<br />

insolubili (corpi apoptotici) che possono essere facilmente<br />

rimossi dal sistema fagocitario senza che avvenga la<br />

<strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> antigeni immunogeni nel sistema. Lo<br />

svolgimento corretto <strong>di</strong> questo processo fa sì che la morte<br />

cellulare sia accompagnata solo da minimi fatti infiammatori e<br />

senza lo sviluppo <strong>di</strong> reazioni immuni verso antigeni “criptici“<br />

(cioè quelli normalmente nascosti al sistema immune).<br />

Ogni tessuto danneggiato presenta <strong>di</strong> conseguenza<br />

un’aumentata attività della transglutaminasi tessutale, e<br />

questo vale ovviamente anche per la mucosa del soggetto<br />

celiaco. Non solo, la mucosa danneggiata del celiaco presenta<br />

anche un’alterata permeabilità epiteliale alle macromolecole,<br />

e può permettere quin<strong>di</strong> il passaggio <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong><br />

pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na, che vengono a contatto con il tessuto<br />

danneggiato e con il sistema immune. Per capire come tutto<br />

questo possa condurre infine alla produzione <strong>di</strong> anticorpi anti-<br />

transglutaminasi, può essere opportuno considerare un<br />

fenomeno denominato “antigen sprea<strong>di</strong>ng”, già noto in altre<br />

malattie come il Lupus eritematoso Sistemico.<br />

Questo fenomeno consiste nella produzione <strong>di</strong> anticorpi con<br />

<strong>di</strong>verse specificità in seguito al riconoscimento <strong>di</strong> un unico


5. La malattia celiaca<br />

antigene da parte dei linfociti Thelper. Infatti, è noto che i<br />

linfociti T riconoscono l’antigene sotto forma <strong>di</strong> brevi pepti<strong>di</strong><br />

presentati in un’apposita tasca delle molecole HLA <strong>di</strong> classe II.<br />

E’ noto anche che i linfociti B possono funzionare da cellule<br />

presentanti l’antigene: a <strong>di</strong>fferenza delle cellule dendritiche,<br />

che possono fagocitare qualsiasi antigene, i linfociti B<br />

presenteranno solo pepti<strong>di</strong> derivati da antigeni riconosciuti<br />

per mezzo dei loro anticorpi <strong>di</strong> superficie. Questo, tuttavia,<br />

non significa necessariamente che i linfociti B presentino ai<br />

linfociti T pepti<strong>di</strong> derivati dalla stessa proteina che<br />

riconoscono con i propri anticorpi. Infatti, gli anticorpi<br />

possono legare anche complessi formati da più molecole<br />

riunite con legami d’affinità o con legami covalenti: in questi<br />

casi l’anticorpo può riconoscere una data molecola, mentre ai<br />

linfociti T può essere presentato un peptide derivante da<br />

un’altra proteina presente nel complesso macromolecolare.<br />

Un esempio “storico” <strong>di</strong> questo meccanismo riguarda la<br />

produzione degli anticorpi anti-DNA nel Lupus Eritematoso<br />

Sistemico: è chiaro, in questo caso, che i linfociti B non<br />

possono presentare ai linfociti T frammenti <strong>di</strong> DNA ma solo<br />

pepti<strong>di</strong> che il linfocito B porta al suo interno perché<br />

complessati al DNA (cioè pepti<strong>di</strong> derivati da proteine<br />

istoniche).<br />

Una cosa simile sembrerebbe accadere nella malattia celiaca.<br />

In questo caso, glia<strong>di</strong>na e transglutaminasi formerebbero un<br />

90


91<br />

5. La malattia celiaca<br />

complesso macromolecolare che può essere riconosciuto sia<br />

da anticorpi anti-glutine (AGA) che da anticorpi anti-<br />

transglutaminasi (TGA). Entrambi i linfociti B, produttori <strong>di</strong><br />

AGA o TGA, potranno presentare ai linfociti T gli stessi pepti<strong>di</strong><br />

derivati dalla glia<strong>di</strong>na. Dell’esistenza <strong>di</strong> questi linfociti T nella<br />

mucosa del celiaco abbiamo già parlato. Questo meccanismo<br />

renderebbe conto del fatto che sia la produzione <strong>di</strong> AGA che<br />

quella <strong>di</strong> TGA appaiono similmente <strong>di</strong>pendenti dall’assunzione<br />

<strong>di</strong> glutine (Fig. 5.8).<br />

Fig. 5.8 Possibile ruolo del glutine nella produzione <strong>di</strong> autoanticorpi antitransglutaminasi


5. La malattia celiaca<br />

Innanzitutto, se è vero che glia<strong>di</strong>na e transglutaminasi<br />

possono trovarsi in complessi macromolecolari, qual è il senso<br />

<strong>di</strong> questa interazione? Primo, la glia<strong>di</strong>na ha una struttura tale<br />

da essere un buon substrato per la transglutaminasi. L’azione<br />

della tTG sulla glia<strong>di</strong>na può essere varia: la glia<strong>di</strong>na può essere<br />

legata covalentemente ad altre proteine; la glia<strong>di</strong>na può<br />

essere deaminata su residui glutamminici. La prima possibilità,<br />

che può teoricamente creare gravi problemi per la formazione<br />

<strong>di</strong> neoantigeni, non è stata estesamente indagata. La seconda<br />

possibilità, invece, è stata verificata, ed anzi è stato <strong>di</strong>mostrato<br />

che i pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na così trattati dalla tTG aumentano la<br />

loro affinità per l’HLA DQ2 e la loro tossicità per il celiaco 55,56 .<br />

Secondariamente, la risposta anticorpale contro i pepti<strong>di</strong><br />

deaminati <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na (DGP) 57 è stata utilizzata recentemente<br />

per mettere a punto nuovi test <strong>di</strong>agnostici, che presentano<br />

migliore sensibilità e specificità rispetto ai vecchi anticorpi<br />

anti-glutine (AGA) 58 .<br />

Questo insieme <strong>di</strong> dati può permetterci <strong>di</strong> costruire un<br />

modello patogenetico della reazione immunopatologia tipica<br />

della mucosa del soggetto celiaco (Fig. 5.9).<br />

92


Fig. 5.9 Un qualsiasi<br />

insulto della parete<br />

determina un<br />

aumento della<br />

permeabilità<br />

epiteliale con ingresso<br />

<strong>di</strong> pepti<strong>di</strong> tossici <strong>di</strong><br />

glia<strong>di</strong>na e<br />

contemporaneamente<br />

un’attivazione<br />

tessutale <strong>di</strong><br />

transglutaminasi.<br />

L’azione della tTG<br />

sulla glia<strong>di</strong>na<br />

aumenta la reattività<br />

<strong>di</strong> questa per l’HLA<br />

93<br />

5. La malattia celiaca<br />

DQ2 e l’attivazione dei linfociti CD4 specifici, avviando un circolo<br />

vizioso, con mantenimento del danno tessutale, ulteriore ingresso <strong>di</strong><br />

glia<strong>di</strong>na e ulteriore attivazione <strong>di</strong> tTG.<br />

Si riproduce così, ad un livello maggiore <strong>di</strong> conoscenza, il<br />

modello già visto in precedenza dell’infezione cronica da<br />

glutine.<br />

Questo modello può spiegare come mai i sintomi<br />

gastroenterici della celiachia possono essere slatentizzati e<br />

aggravati in seguito a infezioni. Tuttavia, ancora una volta, il<br />

modello non ci spiega la <strong>di</strong>fferenza tra il soggetto


5. La malattia celiaca<br />

geneticamente pre<strong>di</strong>sposto e il celiaco vero e proprio. Un<br />

ipotesi recente valorizza il ruolo <strong>di</strong> una sovra-produzione <strong>di</strong><br />

IL-15 nella mucosa dei soggetti con malattia celiaca. Questa<br />

anomalia può essere scatenata da particolari infezioni<br />

intestinali e può a sua volta influenzare l’omeostasi intestinali,<br />

favorendo lo sviluppo <strong>di</strong> una risposta immune agli antigeni e<br />

ostacolando il fisiologico programma <strong>di</strong> tolleranza. Una volta<br />

rotta la tolleranza alla glia<strong>di</strong>na, il sistema potrebbe amplificarsi<br />

grazie alle particolari interazioni tra glutine transglutaminasi e<br />

HLA, fino ad auto mantenersi anche al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> cause<br />

infettive 59-62 .<br />

Altri autori hanno a suggerito che un altro meccanismo in<br />

gioco nella patogenesi della celiachia potrebbe risiedere in<br />

una risposta attivatoria dell’immunità naturale in seguito al<br />

contatto con la glia<strong>di</strong>na, che potrebbe avere tra l’altro anche<br />

delle proprietà simili a quelle <strong>di</strong> alcuni pattern patogeni<br />

batterici e virali (PAMPs). Tuttavia, i dati <strong>di</strong>sponibili non<br />

permettono ancora una chiara interpretazione in tal senso.<br />

L’era della tTG non ha avuto solo importanti ripercussioni sulle<br />

conoscenze patogenetiche, ma anche su quelle cliniche. La<br />

standar<strong>di</strong>zzazione <strong>di</strong> test ELISA basati su transglutaminasi<br />

umana ricombinante ha permesso infatti un notevole<br />

miglioramento della <strong>di</strong>agnostica della celiachia, consentendo<br />

la realizzazione <strong>di</strong> nuovi e più sensibili screening <strong>di</strong><br />

94


popolazione. Uno <strong>di</strong><br />

questi è stato condotto<br />

nelle scuole elementari<br />

<strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>, per mezzo<br />

dell’analisi <strong>di</strong> poche<br />

gocce <strong>di</strong> sangue<br />

ottenuto per puntura <strong>di</strong><br />

polpastrello 63 . Questa<br />

iniziativa ha consentito<br />

<strong>di</strong> misurare la<br />

prevalenza della<br />

celiachia al <strong>di</strong> sopra<br />

dell’ 1% e <strong>di</strong><br />

95<br />

5. La malattia celiaca<br />

contribuire ad una <strong>di</strong>sseminazione nella società delle<br />

conoscenze sull’argomento (nella figura 5.10, un <strong>di</strong>segno dei<br />

bambini che hanno partecipato allo screening).<br />

La forza degli anticorpi anti-transglutaminasi ha consentito<br />

inoltre <strong>di</strong> poter confermare la <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> celiachia con<br />

l’esecuzione <strong>di</strong> una sola biopsia senza necessità <strong>di</strong> ripetere<br />

l’indagine a <strong>di</strong>eta e dopo scatenamento. Anzi, in casi con<br />

sintomatologia riferibile a celiachia e anticorpi positivi, la<br />

negativizzazione <strong>di</strong> questi e la regressione della sintomatologia<br />

possono, secondo alcuni, essere sufficienti a confermare la<br />

<strong>di</strong>agnosi anche senza biopsia.<br />

Fig 5.10 La tossicità del frumento<br />

contenuto in una pizza sull’epitelio del<br />

celiaco, in un <strong>di</strong>segno dei bambini delle<br />

scuole elementari


5. La malattia celiaca<br />

L’era delle “omiche”: indagando la base<br />

dell’iceberg e cercando nuove terapie.<br />

Al pari <strong>di</strong> quanto avviene per molti test <strong>di</strong>agnostici<br />

quantitativi, la definizione della celiachia sulla base della<br />

positività degli anticorpi anti-transglutaminasi rappresenta<br />

un’approssimazione matematico-statistica più che una<br />

certezza biologica. Infatti, i valori patologici <strong>di</strong> anticorpi sono<br />

definiti sulla base della me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> una popolazione sana più due<br />

volte la deviazione standard della <strong>di</strong>stribuzione. Il valore<br />

concettuale <strong>di</strong> quest’approssimazione può cambiare a seconda<br />

<strong>di</strong> come si voglia vedere la malattia celiaca: se si tratta <strong>di</strong> una<br />

malattia “tutto o niente”, il significato degli anticorpi anti tTG<br />

è quello <strong>di</strong> un’approssimazione probabilistica; se si tratta <strong>di</strong><br />

una con<strong>di</strong>zione continua, con <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> malattia,<br />

l’approssimazione riguarda la “quantità” <strong>di</strong> celiachia. Il<br />

modello dell’iceberg della celiachia suggerisce che<br />

quest’ultimo tipo <strong>di</strong> interpretazione possa descrivere meglio la<br />

realtà. Nella base immersa si nasconderebbero quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />

livelli <strong>di</strong> intolleranza al glutine, il cui significato deve essere<br />

ancora valutato.<br />

Per essere chiari, è bene <strong>di</strong>re che dal punto <strong>di</strong> vista clinico vale<br />

la pena, per ora, <strong>di</strong> accettare un compromesso, e <strong>di</strong> fermarsi a<br />

considerare come celiachia solo quella più facilmente<br />

identificabile sulla base dei sintomi clinici, dei livelli sierici <strong>di</strong><br />

96


97<br />

5. La malattia celiaca<br />

anticorpi, delle lesioni bioptiche. Dal punto <strong>di</strong> vista della<br />

ricerca, invece, può essere interessante capire se, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

questi casi, esista uno spettro più ampio <strong>di</strong> intolleranza al<br />

glutine e se questo possa comportare o meno il rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare altre malattie associate.<br />

Per indagare quest’aspetto, sono stati proposti <strong>di</strong>versi<br />

approcci, i principali dei quali consistono nella ricerca <strong>di</strong>retta<br />

degli anticorpi anti-transglutaminasi nella mucosa intestinale<br />

con meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> immunofluorescenza e nella<br />

caratterizzazione degli anticorpi prodotti nella mucosa con la<br />

tecnologia delle libraries fagiche. Ulteriori dati sono attesi<br />

dall’applicazione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> genomici e proteomici ad alta resa<br />

(high throughput).<br />

Partendo dal modello dell’iceberg della celiachia, è<br />

ragionevole domandarsi se possano esistere livelli “interme<strong>di</strong>”<br />

<strong>di</strong> intolleranza al glutine, che sfuggano agli attuali criteri<br />

<strong>di</strong>agnostici della malattia. E’ possibile, infatti, definire un<br />

gruppo <strong>di</strong> soggetti con elevato rischio teorico <strong>di</strong> essere celiaci<br />

(parenti <strong>di</strong> celiaci o <strong>di</strong>abetici con HLA DQ2 e/o DQ8) che<br />

risultano negativi alle indagini sierologiche per la malattia<br />

celiaca e all’esame morfologico della biopsia intestinale.<br />

Ebbene, in alcuni <strong>di</strong> questi soggetti è possibile identificare<br />

anticorpi anti-transglutaminasi, deposti nella mucosa a<br />

contatto con il proprio bersaglio (ve<strong>di</strong> Koskinen et al, scheda).<br />

Inoltre, anche con la meto<strong>di</strong>ca delle librerie fagiche (ve<strong>di</strong>


5. La malattia celiaca<br />

Marzari et al, scheda) è stato possibile <strong>di</strong>mostrare che alcuni<br />

soggetti con queste caratteristiche producono nella mucosa<br />

anticorpi anti-transglutaminasi, indotti dall’esposizione al<br />

glutine. Quest’ultima tecnologia ha permesso inoltre <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare che questi anticorpi sono prodotti proprio dai<br />

linfociti situati nella mucosa e non da linfociti del sangue<br />

periferico 64 . Infine, sempre applicando questa meto<strong>di</strong>ca è<br />

stato possibile caratterizzare dalla mucosa <strong>di</strong> soggetti la<br />

produzione <strong>di</strong> altri autoanticorpi (ad esempio contro il<br />

pancreas o contro strutture del cervello), anch’essi con<br />

comportamento glutine-<strong>di</strong>pendente. Se questo è vero, sembra<br />

ragionevole pensare che una <strong>di</strong>eta senza glutine possa<br />

contribuire alla prevenzione del rischio <strong>di</strong> autoimmunità anche<br />

in questo gruppo, come già abbiamo visto per i soggetti con<br />

celiachia più tipica. La <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> questi soggetti con<br />

“intolleranza interme<strong>di</strong>a”, quin<strong>di</strong>, potrebbe permettere <strong>di</strong><br />

prevenire una quota supplementare <strong>di</strong> malattie autoimmuni<br />

indotte dal glutine.<br />

Va detto comunque, che è probabile che anche nei soggetti<br />

celiaci il glutine non sia l’unico fattore ambientale in causa<br />

nello scatenamento <strong>di</strong> reazioni autoimmuni. D’altra parte, è<br />

possibile che l’esposizione al glutine agisca amplificando il<br />

rischio che altri fattori ambientali provochino una risposta<br />

autoimmune. La spiegazione più semplice per questa ipotesi è<br />

che il particolare tipo <strong>di</strong> infiammazione indotta dal glutine<br />

98


99<br />

5. La malattia celiaca<br />

nella mucosa interferisca con il normale funzionamento dei<br />

meccanismi <strong>di</strong> tolleranza nella mucosa stessa: un antigene<br />

estraneo simile ad antigeni endogeni (mimetismo molecolare)<br />

potrebbe rischiare <strong>di</strong> indurre una risposta autoimmune<br />

piuttosto che una risposta <strong>di</strong> tolleranza.<br />

Un’altra spiegazione potrebbe risiedere più specificamente nei<br />

rapporti tra glutine, transglutaminasi tessutale e risposta<br />

autoimmune contro questo enzima. In realtà, non c’è alcuna<br />

<strong>di</strong>mostrazione consistente che la risposta anti-<br />

transglutaminasi in sé abbia un ruolo preponderante nelle<br />

malattie autoimmuni associate alla celiachia, tanto che alcuni<br />

considerano tuttora questi anticorpi soprattutto come un<br />

epifenomeno della malattia, specifico e utilissimo per la<br />

<strong>di</strong>agnosi, ma forse non fondamentale nella patogenesi delle<br />

manifestazioni della malattia. Sicuramente non in<strong>di</strong>spensabile<br />

allo sviluppo dell’enteropatia (che come abbiamo visto<br />

<strong>di</strong>pende soprattutto dalla produzione <strong>di</strong> Interferon gamma da<br />

parte <strong>di</strong> linfociti T CD4 specifici per il glutine). Tuttavia,<br />

esistono alcune con<strong>di</strong>zioni autoimmuni associate alla celiachia<br />

dove il ruolo patogenetico <strong>di</strong> questi anticorpi è<br />

definitivamente <strong>di</strong>mostrato o altamente probabile. In primo<br />

luogo, la dermatite erpetiforme, manifestazione cutanea<br />

autoimmune che sembrerebbe <strong>di</strong>pendere dalla produzione <strong>di</strong><br />

anticorpi contro la transglutaminasi epidermica (leggermente<br />

<strong>di</strong>versa rispetto a quella tessutale). E’ possibile anche che, al


5. La malattia celiaca<br />

pari degli anticorpi anti-transglutaminasi, altri autoanticorpi<br />

siano prodotti nella mucosa per un meccanismo <strong>di</strong> “antigen<br />

sprea<strong>di</strong>ng” cioè in seguito al riconoscimento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi antigeni<br />

in complesso con pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na: come già <strong>di</strong>scusso per gli<br />

anticorpi anti-transglutaminasi, la glia<strong>di</strong>na potrebbe fornire i<br />

pepti<strong>di</strong> riconosciuti da linfociti T anti-glia<strong>di</strong>na che a loro volta<br />

fornirebbero l’aiuto per la produzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi autoanticorpi.<br />

Come al solito, è possibile che nella realtà siano coinvolti<br />

<strong>di</strong>versi <strong>di</strong> questi meccanismi. Di fatto, la sola produzione <strong>di</strong><br />

autoanticorpi potrebbe spiegare alcune con<strong>di</strong>zioni<br />

autoimmuni (atassia, dermatite) ma più <strong>di</strong>fficilmente altre<br />

come il <strong>di</strong>abete e la tiroi<strong>di</strong>te autoimmune, in cui è<br />

ampiamente riconosciuto un ruolo patogenetico prevalente<br />

dell’immunità cellulare.<br />

Tutto questo, quando ancora alcuni autori <strong>di</strong>scutono se la<br />

celiachia debba o meno essere considerata essa stessa una<br />

malattia auto-immune. L’autore <strong>di</strong> queste <strong>di</strong>spense ritiene <strong>di</strong><br />

no, anche se questa <strong>di</strong>scussione non può avere che risvolti<br />

scolastici. Pensare alla celiachia come una malattia<br />

autoimmune mi sembra confondente, perché non si chiarisce<br />

quale sia il nucleo che noi vogliamo considerare malattia. In<br />

altre parole, se l’intolleranza al glutine è autoimmune, tutti i<br />

malati devono avere aspetti clinici della malattia a patogenesi<br />

autoimmune, e non semplicemente fenomeni autoimmuni<br />

come la presenza <strong>di</strong> autoanticorpi.<br />

100


101<br />

5. La malattia celiaca<br />

Per esercizio, ricor<strong>di</strong>amo che la definizione <strong>di</strong> una malattia<br />

come autoimmune prevede il sod<strong>di</strong>sfacimento <strong>di</strong> alcuni criteri<br />

abbastanza simile ai postulati <strong>di</strong> Koch per le malattie infettive.<br />

Lasciamo al lettore il giu<strong>di</strong>zio su quanto la celiachia possa<br />

sod<strong>di</strong>sfare questi criteri.<br />

• Deve essere identificata una risposta adattativa<br />

autoimmune anticorpale e/o cellulare in tutti i soggetti<br />

affetti dalla malattia.<br />

• La risposta autoimmune deve essere responsabile <strong>di</strong> un<br />

danno caratterizzante della malattia.<br />

• Il trasferimento delle cellule e/o anticorpi autoreattivi<br />

deve essere in grado <strong>di</strong> riprodurre in un altro soggetto la<br />

stessa malattia (cosa non facile da <strong>di</strong>mostrare, in assenza<br />

<strong>di</strong> modelli animali della malattia).<br />

In ogni caso, la definizione della celiachia come autoimmune o<br />

meno non cambia sostanzialmente il suo ruolo nell’aumentare<br />

il rischio <strong>di</strong> sviluppare autoimmunità. Anzi, questo ruolo<br />

apparirebbe più chiaro e netto proprio se si ammettesse che la<br />

malattia non è in se autoimmune.


5. La malattia celiaca<br />

Koskinen O, Collin P, Korponay-Szabo Ilma, Salmi T, Iltanen S,<br />

Haimila K, Partanen J, Mäki M, Kaukinen K.<br />

Gluten-dependent Small Bowel Mucosal<br />

Transglutaminase 2-specific IgA Deposits in Overt<br />

and Mild Enteropathy Coeliac Disease<br />

J Pe<strong>di</strong>atr Gastroenterol Nutr 2008;47:436-442. 65<br />

Vengono riportate immagini <strong>di</strong> immunofluorescenza (riquadri<br />

gran<strong>di</strong>) e corrispondenti immagini morfologiche dei villi intestinali<br />

(rettangoli piccoli), alla prima valutazione (A e B), dopo due anni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>eta contenente glutine (D e E) e dopo una <strong>di</strong>eta priva <strong>di</strong> glutine (E<br />

e F).<br />

A e B mostrano un quadro <strong>di</strong> celiachia “latente”: I villi sono normali<br />

(B) mentre si osservano dei depositi <strong>di</strong> IgA che co-localizzano con la<br />

transglutaminasi tessutale (A). Non si evince dall’immagine in<br />

bianco e nero, ma le frecce in<strong>di</strong>cano il colore arancione derivante<br />

dalla fusione della fluorescenza gialla dovuta alla presenza <strong>di</strong> IgA e<br />

rossa dovuta alla presenza <strong>di</strong> transglutaminasi.<br />

D: due anni dopo la mucosa mostra segni <strong>di</strong> atrofia, sono sempre<br />

presenti anticorpi nella mucosa, ma non nel siero. Viene avviata la<br />

<strong>di</strong>eta senza glutine.<br />

F e E: a <strong>di</strong>eta senza glutine, la mucosa guarisce e scompaiono i<br />

depositi <strong>di</strong> anticorpi IgA anti-transglutaminasi.<br />

102


103<br />

5. La malattia celiaca<br />

Marzari R, Sblattero D, Florian F, et al.<br />

Molecular <strong>di</strong>ssection of the tissue transglutaminase<br />

autoantibody response in celiac <strong>di</strong>sease.<br />

J Immunol. 2001 Mar 15;166(6):4170-6. 66<br />

Per prima cosa è utile ricordare che ciascun linfocito B mucosale<br />

presenterà nel proprio genoma dei riarrangiamenti che<br />

permettono la produzione <strong>di</strong> anticorpi funzionali con un elevato<br />

grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità. Utilizzando dei primers che fiancheggiano le<br />

regioni variabili delle immunoglobuline, è possibile collezionare<br />

sotto forma <strong>di</strong> DNA copia (cDNA) tutto il patrimonio <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità<br />

anticorpali co<strong>di</strong>ficate nell’intestino. Per eseguire l’analisi <strong>di</strong> questa<br />

enorme biblioteca, può essere sfruttata la tecnologia delle libraries<br />

fagiche. In pratica, questa tecnologia permette <strong>di</strong> associare a<br />

ciascuna sequenza <strong>di</strong> DNA co<strong>di</strong>ficante per una catena anticorpale la<br />

corrispondente proteina: per far ciò, il DNA viene trasferito<br />

all’interno <strong>di</strong> fagi in modo tale che la catena anticorpale venga<br />

espressa sul capside. In questo modo il fago fornisce un potente<br />

strumento <strong>di</strong> analisi e selezione: esso accoppia una proteina<br />

(esposta sulla superficie del fago ed utilizzabile per processi <strong>di</strong><br />

selezione su base <strong>di</strong> affinità) al relativo DNA. Una volta identificata<br />

una catena anticorpale <strong>di</strong> interesse, questo sistema permette <strong>di</strong><br />

amplificare ulteriormente il fago e <strong>di</strong> valutare agevolmente le<br />

caratteristiche molecolari dell’anticorpo, cioè con quali moduli <strong>di</strong><br />

DNA questo è stato assemblato durante la ricombinazione<br />

genetica. Il limite <strong>di</strong> questa tecnologia è che non permette <strong>di</strong><br />

effettuare l’accoppiamento giusto tra catene leggere e pesanti e<br />

quin<strong>di</strong> non riproduce con certezza l’anticorpo esattamente come è<br />

in vivo. D’altra parte, è noto che la catena pesante contribuisce per<br />

la maggior parte alla specificità antigenica, e quin<strong>di</strong> si ritiene che<br />

l’approssimazione delle librerie fagiche sia più che sod<strong>di</strong>sfacente.<br />

Questo tipo <strong>di</strong> analisi ha permesso <strong>di</strong> caratterizzare la risposta<br />

autoanticorpale del soggetto celiaco, identificare le regione


5. La malattia celiaca<br />

variabili più comunemente utilizzate negli anticorpi antitransglutaminasi,<br />

mappare la specificità per <strong>di</strong>versi epitopi<br />

dell’antigene e identificare la sede <strong>di</strong> produzione della risposta<br />

autoimmune. Insieme ai risultati dell’immunofluorescenza in situ,<br />

questa meto<strong>di</strong>ca ha permesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che gli anticorpi anti<br />

tTG vengono prodotti e depositati nella mucosa, non solo nella<br />

celiachia, ma anche in alcuni soggetti con <strong>di</strong>abete senza una<br />

celiachia manifesta 67 . La meto<strong>di</strong>ca è stata adattata per un uso<br />

routinario mirato a identificare se esista uno spettro <strong>di</strong> sensibilità al<br />

glutine più ampio della celiachia tipica 68 .<br />

Di seguito riportiamo anche un piccolo approfon<strong>di</strong>mento sulle<br />

relazioni tra malattia celiaca e <strong>di</strong>abete <strong>di</strong> tipo 1.<br />

104


Il <strong>di</strong>abete visto dall’intestino.<br />

105<br />

5. La malattia celiaca<br />

Il <strong>di</strong>abete insulino-<strong>di</strong>pendente (DMT1) è una malattia<br />

multifattoriale legata a fattori ere<strong>di</strong>tari multigenici ed elementi<br />

ambientali. Il peso dei fattori ambientali sembra essere<br />

preponderante (la concordanza della malattia in gemelli<br />

monozigoti è intorno al 30%), ma un substrato genetico<br />

“permissivo” è in<strong>di</strong>spensabile al realizzarsi della malattia. In<br />

particolare, l’associazione con particolari HLA offre un interessante<br />

collegamento tra la genetica e l’ambiente.<br />

La possibilità <strong>di</strong> identificare soggetti ad alto rischio <strong>di</strong> sviluppare il<br />

<strong>di</strong>abete insulino-<strong>di</strong>pendente (<strong>di</strong>abete <strong>di</strong> tipo 1) porta in sé la<br />

frustrazione derivante dall’assenza <strong>di</strong> un’efficace strategia<br />

preventiva della malattia. La presenza <strong>di</strong> anticorpi <strong>di</strong>retti contro il<br />

pancreas e l’analisi dell’HLA consentono <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re con elevata<br />

affidabilità lo sviluppo del <strong>di</strong>abete in età pe<strong>di</strong>atrica (fratelli o figli <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>abetici), quando il rischio <strong>di</strong> sviluppare la malattia è ancora<br />

elevato e i tempi per la prevenzione sono più lunghi. In familiari <strong>di</strong><br />

1° grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>abeteci, il valore pre<strong>di</strong>ttivo degli autoanticorpi contro<br />

il pancreas varia dal 5 al 70% (in caso <strong>di</strong> positività multiple). E può<br />

essere rinforzato dalla concordanza degli HLA <strong>di</strong> rischio.<br />

E’ chiaro che la determinazione <strong>di</strong> questo rischio ha senso, ed è<br />

eticamente accettabile, solo in presenza <strong>di</strong> efficaci strategie<br />

preventive o nell’ambito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sperimentali <strong>di</strong> prevenzione.<br />

D’altra parte, la presenza <strong>di</strong> una risposta autoanticorpale<br />

persistente contro il pancreas in<strong>di</strong>ca forse qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> una<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> rischio, qualcosa che è forse già l’inizio della malattia,<br />

lo specchio dell’insulite, cioè dell’attivazione <strong>di</strong> linfociti autoreattivi<br />

che infiltrano le insule pancreatiche, conducendo lentamente ad<br />

una <strong>di</strong>struzione delle beta-cellule fino alla comparsa del <strong>di</strong>abete<br />

manifesto. Un intervento a questo punto avrebbe già il significato<br />

<strong>di</strong> una prevenzione secondaria.<br />

Tra le strategie preventive, è stata valutata anche la


5. La malattia celiaca<br />

somministrazione orale <strong>di</strong> insulina, allo scopo <strong>di</strong> indurre attraverso<br />

il sistema immune dell’intestino una risposta <strong>di</strong> tolleranza<br />

all’ormone e al tempo stesso alle cellule pancreatiche. Per quanto<br />

questa strategia non abbia portato finora ad apprezzabili risultati<br />

clinici, essa contiene un’idea originale: quella che l’intestino possa<br />

avere un ruolo nella genesi, e d’inverso nella prevenzione, del<br />

<strong>di</strong>abete autoimmune.<br />

Gli stu<strong>di</strong> epidemiologici hanno mostrato che l’incidenza del <strong>di</strong>abete<br />

negli anni può variare molto più <strong>di</strong> quanto vari il patrimonio<br />

genetico della stessa popolazione, suggerendo che sia possibile<br />

identificare i fattori ambientali attivi nella genesi della malattia. Un<br />

recente stu<strong>di</strong>o collaborativo europeo ha mostrato inoltre che<br />

l’aumento <strong>di</strong> incidenza del <strong>di</strong>abete mellito è maggiore nei bambini<br />

più piccoli (+ 6.3% negli ultimi 15 anni), con una tendenza<br />

all’anticipazione dell’età <strong>di</strong> insorgenza. Tra i possibili fattori<br />

ambientali in causa, appaiono <strong>di</strong> particolare importanza<br />

l’alimentazione e le infezioni, in particolare quelle a carico del<br />

tratto gastro-intestinale. Entrambi questi fattori si confrontano con<br />

l’organismo a livello della mucosa dell’intestino e il me<strong>di</strong>atore del<br />

confronto tra la genetica e l’ambiente è quin<strong>di</strong> il sistema immune<br />

della mucosa intestinale. L’ipotesi che stiamo valutando, e cioè che<br />

il <strong>di</strong>abete nasca dall’intestino, appare coerente con questi dati. Di<br />

fatto, come vedremo, l’osservazione che nei soggetti <strong>di</strong>abetici<br />

siano identificabili sottili alterazioni del sistema immune<br />

intestinale, è coerente con una visione più allargata della<br />

patogenesi del <strong>di</strong>abete e <strong>di</strong> altre malattie autoimmuni d’organo.<br />

Glutine, latte vaccino e infezione da enterovirus sono tre fattori<br />

ambientali per i quali è stato ipotizzato un ruolo nella patogenesi<br />

del DMT1. La prima caratteristica che questi hanno in comune è<br />

quella <strong>di</strong> entrare in contatto con l’organismo a livello della mucosa<br />

intestinale. I due alimenti hanno poi una seconda caratteristica in<br />

comune, quella cioè <strong>di</strong> aver fatto parte nei secoli recenti <strong>di</strong> un<br />

importante cambiamento delle abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>etetiche (almeno per<br />

106


107<br />

5. La malattia celiaca<br />

quanto riguarda le quantità), che non ha avuto né il tempo né le<br />

con<strong>di</strong>zioni (almeno nei paesi ad elevato sviluppo socio-sanitario) <strong>di</strong><br />

indurre un adattamento della specie in termini <strong>di</strong> selezione<br />

naturale. E’ possibile che il cambiamento <strong>di</strong>etetico spieghi, almeno<br />

in parte, la variabile incidenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>abete nel tempo che si è<br />

osservata in più paesi.<br />

L’evidenza <strong>di</strong> un ruolo patogenetico del glutine, almeno in una<br />

percentuale <strong>di</strong> <strong>di</strong>abetici (intorno al 5-10%), nasce dall’osservazione<br />

che i celiaci non <strong>di</strong>agnosticati, esposti a lungo alla <strong>di</strong>eta contenente<br />

glutine, hanno un rischio elevato <strong>di</strong> sviluppare il <strong>di</strong>abete (fino al<br />

25% dopo 30 anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>eta contenente glutine). Questo rischio si<br />

riduce fortemente nei soggetti celiaci <strong>di</strong>agnosticati precocemente,<br />

e quin<strong>di</strong> a <strong>di</strong>eta, in<strong>di</strong>cando che un’alimentazione senza glutine<br />

potrebbe essere in grado <strong>di</strong> prevenire in essi lo sviluppo <strong>di</strong> <strong>di</strong>abete.<br />

Coerente con questi dati è l’osservazione che gli anticorpi antipancreas,<br />

quando presenti in soggetti celiaci, tendono a scomparire<br />

a <strong>di</strong>eta senza glutine.<br />

Per concludere, in soggetti con il substrato genetico della celiachia<br />

(HLA ed altro non noto), il glutine potrebbe favorire una risposta<br />

autoimmune anti-pancreas ed infine il <strong>di</strong>abete conclamato.<br />

L’associazione con la celiachia sembra spiegare solo una parte<br />

minore dei casi <strong>di</strong> DMT1 (meno del 10 %), ma è possibile che anche<br />

in soggetti non tipicamente celiaci il glutine abbia un ruolo nel<br />

favorire l’insorgere del <strong>di</strong>abete. Questa ipotesi, finora mai valutata,<br />

è attualmente oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o con le nuove tecniche dell’era<br />

molecolare della celiachia.


5. La malattia celiaca<br />

108<br />

Cambiamenti nella epidemiologia e nella clinica della malattia celiaca nelle successive<br />

ere della malattia. La sequenza scritta in bianco riassume le <strong>di</strong>verse ere della celiachia.<br />

Le immagini sull’orizzonte della figura in<strong>di</strong>cano i cambiamenti della prevalenza <strong>di</strong><br />

malattia in coincidenza con l’applicazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi strumenti e strategie <strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi. La<br />

riga in basso, in nero, riassume l’evoluzione della clinica della malattia, dovuta sia a<br />

cambiamenti ambientali che al miglioramento delle strategie <strong>di</strong>agnostiche. L’ultima<br />

colonna propone due possibili scenari per il futuro, a seconda che la <strong>di</strong>agnostica<br />

biotecnologia permetta <strong>di</strong> leggere l’intolleranza al glutine come una singola malattie o<br />

come una costellazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> ipersensibilità.


6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

109<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Fig. 6.1 Pubblicazioni sulla malattia <strong>di</strong> Crohn negli anni su due delle<br />

maggiori riviste me<strong>di</strong>che internazionali.<br />

Nel grafico in figura 6.1 viene riportato il numero <strong>di</strong><br />

pubblicazioni sulla malattia <strong>di</strong> Crohn sulle due principali riviste<br />

me<strong>di</strong>che internazionali: l’americano “New England Journal of<br />

Me<strong>di</strong>cine” ed il britannico “The Lancet”.<br />

L’interesse verso questa malattia non è stato sempre uguale<br />

per le due riviste. Si possono inoltre notare alcuni picchi che<br />

rispecchiano verosimilmente altrettanti perio<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

avanzamanto delle conoscenze. Il primo picco, alla fine degli<br />

anni ’60 si associa a molte <strong>di</strong>verse novità, dall’introduzione <strong>di</strong><br />

terapie me<strong>di</strong>che <strong>di</strong> fondo alla caratterizzazzione <strong>di</strong><br />

manifestazioni associate alla malattia; il secondo picco, <strong>di</strong> più<br />

ampia durata per il giornale britannico, rispecchia un ulteriore<br />

aumento delle conoscenze, favorito anche dall’introduzione<br />

della colonscopia con fibre ottiche; agli inizi degli anni ’90 si


5. La malattia celiaca<br />

prende atto <strong>di</strong> cambiamenti epidemiologici e alla fine dello<br />

stesso decennio si assiste all’avvio della “rivoluzione<br />

biologica”, con l’introduzione in terapia degli anticorpi anti<br />

TNF-alfa; l’inizio del 2000, infine, è caratterizzato<br />

dall’identificazione <strong>di</strong> uno dei geni maggiormente associati al<br />

rischio <strong>di</strong> malattia, NOD2.<br />

110


Tab. 6.1 Le ere della malattia <strong>di</strong> Crohn.<br />

111<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Era Anni <strong>Clinica</strong> Diagnosi<br />

terapia<br />

e Biologia<br />

B. Crohn 1932 Ileo terminale: Chirurgica Granuloma.<br />

Chirurgia<br />

infiammazione<br />

infiammazione<br />

cronica: ulcere,<br />

ma non tumore<br />

fistole e stenosi<br />

né infezione<br />

69<br />

; Complicanze<br />

nutrizionali della<br />

E. me<strong>di</strong>ca<br />

del<br />

cortisone e<br />

dell’azatiopr<br />

ina<br />

E. della<br />

<strong>di</strong>eta e<br />

dell’ambient<br />

e<br />

1951<br />

-<br />

1967<br />

chirurgia 70<br />

Anche carcinoma,<br />

eritema nodoso,<br />

amiloidosi,<br />

febbre, ritardo <strong>di</strong><br />

crescita,<br />

spon<strong>di</strong>lite<br />

anchilosante,<br />

pioderma<br />

gangrenoso<br />

Anemia 71<br />

1970 Aumento <strong>di</strong><br />

incidenza e<br />

progresso socio-<br />

igienico<br />

77 ;<br />

aumento della<br />

MC pe<strong>di</strong>atrica<br />

Effetto del<br />

cortisone 72 ;<br />

rischi del<br />

cortisone 73 ;<br />

Sigmoidosco<br />

74<br />

pia . 6mercaptopu<br />

rina 75 76 .<br />

Ileostomia<br />

78 79,80<br />

. Dieta .<br />

Doppio<br />

contrasto 81 ;<br />

82<br />

E. biologica 1997 Talidomide<br />

90,91<br />

Infliximab 92<br />

Leucociti nel<br />

sangue 83 e nel<br />

muco rettale 84 .<br />

Permeabilità 85 ,<br />

Infezione<br />

86 ;<br />

<strong>di</strong>fetto immune<br />

87,88 ; ASCA 89<br />

Modelli murini<br />

E. genetica 2001 NOD2 come<br />

gene rischio 93,94<br />

E. del 2002 GM-CSF<br />

sistema<br />

come<br />

immune<br />

possible<br />

naturale<br />

terapia 95-97<br />

Difetto del<br />

fagocita 98,99 .<br />

Difetto <strong>di</strong> switch<br />

off 100<br />

E. delle 2009<br />

101<br />

interazioni


5. La malattia celiaca<br />

La nascita <strong>di</strong> una nuova<br />

malattia: Crohn, 1932<br />

All’inizio degli anni ‘30, un gruppo <strong>di</strong><br />

chirurghi del Mount Sinai Hospital <strong>di</strong><br />

New York, osservò una serie <strong>di</strong> pazienti<br />

con una malattia infiammatoria cronica<br />

dell’intestino a patogenesi ignota (né<br />

infettiva, né tumorale). Nel 1932, Crohn<br />

(fig. 6.2), Ginzburg e Oppenheimer descrissero questa<br />

con<strong>di</strong>zione sul Journal of American Me<strong>di</strong>cal Association<br />

(JAMA) come una nuova entità nosologica, che avrebbe<br />

successivamente preso il nome <strong>di</strong> Malattia <strong>di</strong> Crohn 69 .<br />

112<br />

Fig. 6.2 Burrill B. Crohn<br />

Fig 6.3 La prima descrizione dell’Ileite Regionale, in seguito denominata<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn.


113<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

La descrizione con cui iniziava l’articolo (fig. 6.3) costituisce<br />

tuttora un’ottima sintesi delle caratteristiche della malattia:<br />

“noi proponiamo <strong>di</strong> descrivere, nei suoi dettagli patologici e clinici,<br />

una malattia dell’ileo terminale, che colpisce soprattutto i giovani<br />

adulti e che è caratterizzata da un’infiammazione subacuta o<br />

cronica necrotizzante e cicatrizzante. L’ulcerazione della mucosa si<br />

accompagna a una sproporzionata reazione del tessuto connettivo<br />

della restante parete della zona <strong>di</strong> intestino coinvolta, un processo<br />

che conduce frequentemente a stenosi del lume intestinale associata<br />

alla formazione <strong>di</strong> fistole multiple”.<br />

Può essere utile <strong>di</strong>scutere alcuni aspetti <strong>di</strong> questa descrizione<br />

ai fini della nostra trattazione:<br />

- La frase iniziale - noi proponiamo <strong>di</strong> descrive una malattia<br />

– tra<strong>di</strong>sce già che si sta parlando <strong>di</strong> una malattia<br />

precedentemente sconosciuta, il che può suggerire che<br />

cambiamenti ambientali abbiano avuto un ruolo nella sua<br />

comparsa;<br />

- Malattia dell’ileo terminale: oggi sappiamo che l’ileo<br />

terminale è la localizzazione più caratteristica della<br />

malattia, ma che altre porzioni dell’apparato <strong>di</strong>gerente<br />

possono essere ugualmente interessate, lasciando <strong>di</strong> solito<br />

ampie porzioni del tutto sane (si parla <strong>di</strong> “lesioni a salto” o<br />

skip lesions);<br />

- Colpisce soprattutto i giovani adulti: questo resta vero, ma<br />

negli ultimi decenni sono <strong>di</strong>ventati sempre <strong>di</strong> più i casi ad


5. La malattia celiaca<br />

esor<strong>di</strong>o più precoce, in età pe<strong>di</strong>atrica, suggerendo ancora<br />

un ruolo <strong>di</strong> cambiamenti dell’ambiente nel mo<strong>di</strong>ficare<br />

l’espressione della malattia;<br />

- Infiammazione subacuta o cronica necrotizzante e<br />

cicatrizzante, … sproporzionata reazione della parete …<br />

stenosi e fistole: i sintomi della malattia <strong>di</strong>pendono<br />

dall’infiammazione in sé (febbre, astenia, calo ponderale),<br />

ma in modo ancora più caratteristico dagli aspetti<br />

<strong>di</strong>struttivi a pieno spessore <strong>di</strong> parete dell’infiammazione<br />

(ascessi, fistole, stenosi, masse addominali, occlusione).<br />

Meno importante è invece il sintomo dovuto<br />

all’infiammazione superficiale della mucosa (<strong>di</strong>arrea con<br />

muco e sangue) rispetto a quanto si poteva osservare in<br />

altre malattie come la colite ulcerativa.<br />

- Più avanti, si descrive il carattere granulomatoso (ve<strong>di</strong><br />

scheda) dell’infiammazione, non riconducibile a cause note<br />

(in primis la tubercolosi e le cause infettive).<br />

L’infiammazione granulomatosa.<br />

L’infiammazione granulomatosa è un tipo particolare <strong>di</strong> risposta<br />

infiammatoria cronica, caratterizzata da raccolte focali <strong>di</strong><br />

macrofagi, cellule epitelioi<strong>di</strong> e cellule giganti multinucleate.<br />

Questa modalità viene messa in atto in presenza <strong>di</strong> una relativa<br />

incapacità da parte dei fagociti <strong>di</strong> rimuovere in modo efficiente un<br />

agente patogeno, a causa <strong>di</strong> caratteristiche intrinseche del<br />

patogeno o a causa <strong>di</strong> un <strong>di</strong>fetto dei meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong><br />

114


115<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

questo da parte della cellula. In tali casi, le citochine e chemochine<br />

rilasciate nella sede del danno richiameranno linfociti, che a loro<br />

volta produrranno citochine in grado <strong>di</strong> potenziare e modulare<br />

l’attività dei fagociti. Il risultato è il granuloma che può evolvere in<br />

vari mo<strong>di</strong>, in base alla persistenza o meno dei fattori che ne hanno<br />

indotto la formazione.<br />

Gli esempi più classici <strong>di</strong> reazione granulomatosa si trovano nella<br />

tubercolosi (resistenza del micobatterio alla <strong>di</strong>struzione da parte<br />

dei fagociti), nel corpo estraneo (in<strong>di</strong>geribilità) e in un particolare<br />

<strong>di</strong>fetto dei fagociti, la malattia granulomatosa cronica (per un<br />

<strong>di</strong>fetto della capacità ossidativa dei fagociti).<br />

Detto questo, appare comprensibile come in questa prima era<br />

della malattia <strong>di</strong> Crohn la malattia avesse soprattutto<br />

connotati “chirurgici”.<br />

Gli unici farmaci utilizzati, su base empirica, erano i<br />

sulfami<strong>di</strong>ci, che si erano da poco rivelati preziosi nel<br />

trattamento <strong>di</strong> malattie infettive. Tra questi farmaci, la<br />

salazopirina sembrava essere dotato <strong>di</strong> una certa efficacia, ma<br />

è incerto se questa fosse dovuta più alle qualità anti-<br />

batteriche o a quelle anti-infiammatorie (contenuto <strong>di</strong><br />

salicilato).<br />

Nel 1950 cominciano a evidenziarsi le prime complicazioni a<br />

<strong>di</strong>stanza della gestione esclusivamente chirurgica della<br />

malattia: dopo aver resecato la parte <strong>di</strong> intestino malata, la<br />

malattia tende a ricadere e a richiedere nuovi interventi, fino a<br />

portare a una rilevante <strong>di</strong>minuzione della superficie <strong>di</strong><br />

assorbimento con conseguenti problemi nutrizionali 70 .


5. La malattia celiaca<br />

Dal cortisone all’azatioprina: la prima<br />

era farmacologica<br />

All’inizio degli anni ‘50 l’uso del cortisone entra con<br />

prepotenza nell’armamentario terapeutico delle malattie<br />

infiammatorie, inclusa la malattia <strong>di</strong> Crohn 72 . L’efficacia del<br />

farmaco è subito evidente e sembra permettere in molti casi<br />

<strong>di</strong> evitare o posticipare il ricorso alla terapia chirurgica, tanto<br />

che si parlerà <strong>di</strong> una vera e propria “era degli steroi<strong>di</strong>” 102 . Solo<br />

più tar<strong>di</strong>, si cominceranno a rendere evidenti anche i rischi <strong>di</strong><br />

un trattamento steroideo prolungato (ve<strong>di</strong> scheda) 73 . Infatti,<br />

l’esperienza insegnerà ben presto che la malattia tende a<br />

ricadere alla sospensione del trattamento che viene quin<strong>di</strong><br />

mantenuto a tempo indefinito. Non solo, in alcuni pazienti si<br />

sviluppava una certa tolleranza nei confronti del farmaco, che<br />

costringeva ad aumentarne le dosi. Oggi sappiamo che il<br />

trattamento steroideo nella malattia <strong>di</strong> Crohn si limita a<br />

bloccare le manifestazioni correlate all’infiammazione, senza<br />

influire positivamente sulla storia naturale della malattia.<br />

Negli anni successivi si cercherà <strong>di</strong> aggiungere al cortisone altri<br />

farmaci immunosoppressori, a cominciare dalla 6-<br />

mercaptopurina, fino alle mostarde azotate 75 76,103 . L’era del<br />

cortisone rappresenta quin<strong>di</strong> il momento in cui la scoperta <strong>di</strong><br />

farmaci con effetto anti-infiammatorio e immunosoppressivo<br />

permette l’attuazione delle prime terapie me<strong>di</strong>che dotate <strong>di</strong><br />

116


117<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

una certa efficacia sui sintomi infiammatori della malattia. I<br />

trattamenti me<strong>di</strong>ci proposti in precedenza, infatti, non<br />

avevano basi razionali altrettanto solide e spesso<br />

rispondevano a pensieri logici arbitrari e a volte bizzarri (per<br />

una trattazione storica ve<strong>di</strong> Kirsner, The Lancet 1998 104 ).<br />

In questo periodo, vengono descritti i primi casi familiari e<br />

pe<strong>di</strong>atrici della malattia, si introducono esami non-chirurgici<br />

per una migliore <strong>di</strong>agnosi (biopsia rettale, sigmoidoscopia) e<br />

vengono descritte altre con<strong>di</strong>zioni morbose che si associano o<br />

che complicano spesso la malattia <strong>di</strong> Crohn: carcinoma del<br />

colon, eritema nodoso, amiloidosi, febbre, ritardo <strong>di</strong> crescita,<br />

anemia, spon<strong>di</strong>lite anchilosante, pioderma gangrenoso.


5. La malattia celiaca<br />

Cortisone: meccanismi <strong>di</strong> azione ed effetti<br />

collaterali<br />

Dal 1949, quando Hench e coll. <strong>di</strong>mostrano l’efficacia<br />

antinfiammatoria dei corticosteroi<strong>di</strong> o dell’ACTH nell’artrite<br />

reumatoide, i cortisonici <strong>di</strong>ventano il prototipo dei farmaci<br />

antinfiammatori (tanto che altre categorie <strong>di</strong> farmaci verranno poi<br />

in<strong>di</strong>cate come “farmaci antinfiammatori non steroidei” o ancora,<br />

come farmaci “risparmiatori <strong>di</strong> cortisone”).<br />

La potenza degli steroi<strong>di</strong>, giu<strong>di</strong>cata in base alla capacità <strong>di</strong><br />

mantenere la sopravvivenza nel soggetto adrenalectomizzato,<br />

correla con l’effetto <strong>di</strong> ritenzione <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o (effetto<br />

mineralcorticoide). Attraverso il legame ad un altro tipo <strong>di</strong><br />

recettore i cortisonici possono me<strong>di</strong>are anche un effetto più<br />

complesso sul metabolismo, con aumento della glicemia,<br />

<strong>di</strong>minuzione dell’uso del glucosio ed accumulo <strong>di</strong> glicogeno epatico<br />

(effetto glucocorticoide). La potenza glucocorticoide correla con<br />

l’azione antinfiammatoria del farmaco.<br />

I cortisonici sono molecole liposolubili, in grado <strong>di</strong> attraversare<br />

facilmente le membrane e raggiungere il proprio recettore nel<br />

citoplasma della cellula. In seguito al legame con il cortisone, il<br />

recettore me<strong>di</strong>a una serie <strong>di</strong> effetti <strong>di</strong> regolazione della sintesi<br />

proteica, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente per mezzo del legame ad<br />

altri fattori <strong>di</strong> trascrizione (ve<strong>di</strong> immagine). Gli effetti immunologici<br />

<strong>di</strong>pendono da molteplici meccanismi: da un lato la repressione<br />

della produzione <strong>di</strong> citochine come l’IL-1, il TNF-alfa, l’IL-6 e la<br />

<strong>di</strong>minuita produzione <strong>di</strong> prostaglan<strong>di</strong>ne, leucotrieni e <strong>di</strong> enzimi<br />

litici; dall’altro un effetto immunosoppressore più complesso sulle<br />

cellule dell’immunità naturale e sui linfociti.<br />

118


119<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

L’effetto dei glucocorticoi<strong>di</strong> è molto potente, grazie anche al largo<br />

spettro <strong>di</strong> azione su più sostanze e funzioni cellulari. Purtroppo,<br />

però, l’utilizzo <strong>di</strong> questi farmaci nelle malattie infiammatorie<br />

croniche comporta una serie <strong>di</strong> problemi: primo, il farmaco ha un<br />

effetto sintomatico e non sembra cambiare la storia naturale della<br />

malattia (anzi, forse potrebbe aggravarne alcuni aspetti); oltre agli<br />

effetti sul sistema immunitario i cortisonici hanno marcati effetti<br />

sul metabolismo cellulare, tanto più importanti quanto più la<br />

somministrazione viene protratta. Non solo, l”assuefazione”<br />

dell’organismo ad elevati livelli <strong>di</strong> cortisone comporta la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

un’efficace risposta ormonale da stress (a causa della cosiddetta<br />

soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene). I principali effetti<br />

indesiderati <strong>di</strong> terapie <strong>di</strong> lunga durata a base <strong>di</strong> corticosteroi<strong>di</strong> sono<br />

<strong>di</strong> seguito riassunti:<br />

- Car<strong>di</strong>ovascolari: ipertensione<br />

- Cute: ecchimosi, petecchie, strie rubre, acne<br />

- Endocrino-metabolici: soppressione asse ipotalamo-ipofisisurrene,<br />

irsutismo, aspetto cushingoide, impotenza, irregolarità<br />

mestruali, ritardo e arresto della crescita nei bambini, <strong>di</strong>abete,<br />

catabolismo proteico, <strong>di</strong>sturbi elettrolitici ritenzione <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o e<br />

acqua, ipokaliemia, ipocalcemia, calciuria.<br />

- Gastrointestinali: ulcera peptica, emorragia gastrica


5. La malattia celiaca<br />

- Immunitari: aumentata suscettibilità alle infezioni, ritardata<br />

guarigione <strong>di</strong> ferite<br />

- Neuropsichici: iperattività psico-motoria, euforia, insonnia,<br />

sindrome depressivo-maniacale, psicosi<br />

- Oftalmici: cataratta, glaucoma, cheratiti<br />

- Osteomuscolari: osteoporosi, necrosi asettica della testa del<br />

femore e dell’omero, miopatia<br />

Ambiente e immunità: dalla <strong>di</strong>eta ad<br />

una nuova epidemiologia<br />

Il ruolo <strong>di</strong> cambiamenti ambientali nella patogenesi della<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn <strong>di</strong>viene sempre più evidente: gli stu<strong>di</strong><br />

epidemiologici mostrano un aumento della prevalenza della<br />

malattia nel tempo 77 ; la transitoria esclusione <strong>di</strong> anse<br />

intestinali dal transito alimentare, eseguita per finalità<br />

chirurgiche, permetteva in esse la guarigione del processo<br />

infiammatorio 78 ; la nutrizione con <strong>di</strong>eta elementare o semi-<br />

elementare (cioè a base <strong>di</strong> molecole non complesse)<br />

permetteva non solo <strong>di</strong> affrontare il <strong>di</strong>fetto nutrizionale tipico<br />

della malattia, ma anche la risoluzione del processo<br />

infiammatorio 79,80 (ve<strong>di</strong> scheda). Queste e altre osservazioni<br />

erano coerenti con un ruolo chiave dell’ambiente (ed in<br />

particolare <strong>di</strong> quell’ambiente che entra a contatto con<br />

l’intestino attraverso l’alimentazione) nella malattia <strong>di</strong> Crohn.<br />

Tuttavia, non era chiaro quali elementi <strong>di</strong> quest’ambiente<br />

120


121<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

fossero i veri responsabili della malattia. Si osservava che<br />

l’aumento dell’incidenza della malattia nei <strong>di</strong>versi paesi<br />

rispecchiava il progresso socio-igienico-economico, tanto che<br />

si cominciò a parlare <strong>di</strong> malattie correlate alla<br />

“occidentalizzazione” dello stile <strong>di</strong> vita 105,106 . Non solo, la<br />

malattia, inizialmente descritta come più frequente nella<br />

popolazione ebraica, risultava meno frequente in Israele che<br />

negli Stati Uniti 107 . Nonostante questo, non fu possibile<br />

identificare singoli fattori ambientali sicuramente associati con<br />

la malattia.<br />

Dall’altra parte, cominciava a prendere piede l’ipotesi che la<br />

malattia potesse derivare da una risposta immune anomala a<br />

qualche mutamento ambientale non ben identificato. Infatti,<br />

la conta dei globuli bianchi nel sangue e nel muco fecale<br />

<strong>di</strong>ventano al tempo stesso una prova del coinvolgimento<br />

generale del sistema immunitario nella malattia e strumenti<br />

per la <strong>di</strong>agnosi ed il monitoraggio <strong>di</strong> questa 83,84 . Ancora una<br />

volta, però, non è facile comprendere in che cosa consista<br />

questa anomala risposta all’ambiente: si ipotizza che la<br />

malattia nasca dalla risposta ad agenti infettivi trasmissibili<br />

che tuttavia non vengono mai identificati in modo convincente<br />

86 ; si ipotizza un <strong>di</strong>fetto della tolleranza immune contro i<br />

comuni saprofiti, che sarebbe coerente con l’identificazione <strong>di</strong><br />

un’alterata reattività cellulare e anticorpale contro alcuni<br />

commensali 87,89 ; infine, si ipotizza che una patologica risposta


5. La malattia celiaca<br />

in<strong>di</strong>viduale a determinati fattori ambientali possa derivare da<br />

una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetto immunitario 88,108 . A ciò si<br />

aggiungeva l’evidenza <strong>di</strong> un’alterata permeabilità intestinale,<br />

che, oltre a provocare malassorbimento e <strong>di</strong>fetto nutrizionale,<br />

poteva svolgere un ruolo patogenetico anche favorendo il<br />

confronto tra componenti ambientali e immunità mucosale. La<br />

misura della permeabilità intestinale <strong>di</strong>ventò <strong>di</strong> fatto un<br />

ulteriore in<strong>di</strong>catore biologico dell’attività <strong>di</strong> malattia,<br />

precedendo nel tempo l’aumento dei leucociti e degli in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong><br />

flogosi e la ricaduta clinicamente manifesta 85 .<br />

Contemporaneamente, lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> loci associati alla malattia<br />

in famiglie con più casi affetti, promette <strong>di</strong> fornire una chiave<br />

interpretativa, forse in grado <strong>di</strong> trovare una sintesi tra queste<br />

<strong>di</strong>verse teorie.<br />

122


Dieta elementare nella malattia <strong>di</strong> Crohn 79,80<br />

123<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

La figura mostra gli effetti della sola <strong>di</strong>eta elementare su <strong>di</strong>versi<br />

parametri in<strong>di</strong>catori sia dello stato nutrizionale che dello stato<br />

infiammatorio.<br />

Come si vede, la <strong>di</strong>eta ha <strong>di</strong> per sé oltre all’effetto nutrizionale<br />

anche un effetto anti-infiammatorio. Il meccanismo con cui si<br />

ottiene questo effetto non è ancora del tutto noto, ma è probabile<br />

che passi attraverso mo<strong>di</strong>ficazioni della composizione e del<br />

metabolismo della flora batterica intestinale.


5. La malattia celiaca<br />

I farmaci biologici: la seconda era<br />

farmacologica<br />

La seconda era farmacologica potrebbe essere anche chiamata<br />

“biotecnologica”. L’idea è quella <strong>di</strong> ottenere lo stesso potere<br />

anti-infiammatorio del cortisone, senza i pesanti effetti<br />

indesiderati <strong>di</strong> questo farmaco. Di seguito sono riassunte le<br />

basi <strong>di</strong> quest’approccio terapeutico.<br />

Sebbene il sistema immune sia in grado <strong>di</strong> riconoscere una<br />

moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> patogeni ed organizzare nei loro confronti<br />

risposte <strong>di</strong> volta in volta <strong>di</strong>verse, le fasi iniziali della <strong>di</strong>fesa<br />

primaria verso gli antigeni sono con<strong>di</strong>vise. La modalità <strong>di</strong><br />

risposta può tuttavia essere modulata dalle caratteristiche del<br />

patogeno, dando luogo alla produzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi profili <strong>di</strong><br />

citochine. Quando prodotte in grande quantità, queste<br />

citochine me<strong>di</strong>ano effetti sistemici come la reazione febbrile<br />

(azione sull’ipotalamo <strong>di</strong> IL-1 e TNF-α) e la sintesi delle<br />

proteine della fase acuta (azione sul fegato <strong>di</strong> IL-1, TNF-α e IL-<br />

6). A queste azioni si associa un programma <strong>di</strong> risparmio<br />

energetico da parte dell’organismo, finalizzato a concentrare<br />

tutte le forze sul fronte della <strong>di</strong>fesa immune. In quest’ottica si<br />

devono leggere la sonnolenza provocata dall’IL-1 e dal TNF-α e<br />

l’inibizione della crescita me<strong>di</strong>ata dall’IL-6.<br />

Tra le citochine prodotte nelle malattie infiammatorie<br />

croniche, quella che ha sicuramente il maggior potenziale<br />

124


125<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

lesivo è il TNF-α (ve<strong>di</strong> scheda), anche in ragione della sua<br />

capacità <strong>di</strong> amplificare la produzione <strong>di</strong> citochine pro-<br />

flogogene, a loro volta dotate <strong>di</strong> notevole tossicità. Ad<br />

esempio la secrezione protratta <strong>di</strong> IL-1 conduce a<br />

riassorbimento osseo, mentre la secrezione cronica <strong>di</strong> IL-6,<br />

attraverso una <strong>di</strong>minuzione dell’IGF-I, ostacola<br />

l’accrescimento.<br />

Le citochine vengono prodotte per brevi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> tempo da<br />

cellule attivate del sistema immune. La loro sintesi avviene<br />

ex novo ed è regolata a partire da segnali <strong>di</strong> membrana<br />

trasdotti attraverso una cascata <strong>di</strong> eventi, che culminano con<br />

l’attivazione <strong>di</strong> particolari fattori <strong>di</strong> trascrizione tra cui l’NF-kB,<br />

in grado <strong>di</strong> regolare la sintesi delle citochine pro-flogogene e<br />

degli enzimi implicati nel metabolismo delle prostaglan<strong>di</strong>ne e<br />

dei tromboxani. E’ bene <strong>di</strong>re che uno degli antagonisti più<br />

potenti dell’azione dell’NF-kB è proprio il cortisone, ma come<br />

abbiamo visto questo farmaco ha anche altri importanti effetti<br />

indesiderati.<br />

Dato il suo ruolo centrale del TNF-α nell’amplificazione della<br />

risposta infiammatoria, si è pensato <strong>di</strong> controllare<br />

specificamente gli aspetti più gravi dell’infiammazione per<br />

mezzo dell’inibizione <strong>di</strong> questa citochina. Per la sua selettività,<br />

questo intervento non è teoricamente gravato dagli effetti<br />

collaterali propri <strong>di</strong> farmaci come il cortisone, anche se esiste il


5. La malattia celiaca<br />

rischio che una soppressione prolungata dell’attività del TNF-α<br />

possa associarsi ad un’aumentata suscettibilità alle infezioni.<br />

Le strategie finora stu<strong>di</strong>ate al fine <strong>di</strong> inibire il TNF-α<br />

comprendono l’infusione endovenosa <strong>di</strong> anticorpi monoclonali<br />

contro questa citochina 92 , l’uso del recettore solubile per il<br />

TNF-α coniugato con il frammento Fc <strong>di</strong> immunoglobuline <strong>di</strong><br />

classe IgG e la somministrazione <strong>di</strong> farmaci che <strong>di</strong>minuiscono<br />

l’emivita dell’RNA messaggero del TNF-α (la talidomide<br />

sembrerebbe agire in parte con questo meccanismo).<br />

Sulla base dei trials effettuati, l’inibizione del TNF-α si è<br />

rivelata essere una terapia fondamentale nelle fasi critiche<br />

delle malattie infiammatorie croniche (M. <strong>di</strong> Crohn, Artrite<br />

Reumatoide), ottenendo un’azione antinfiammatoria molto<br />

marcata, a spese <strong>di</strong> effetti collaterali contenuti.<br />

Effetti del TNF-α<br />

Basse concentrazioni<br />

induce molecole <strong>di</strong> adesione endoteliali, attiva leucociti<br />

infiammatori ad uccidere i microbi<br />

stimola la produzione <strong>di</strong> citochine pro-flogogene (IL-1, IL-6, TNF),<br />

potenzia la <strong>di</strong>fesa contro infezioni virali<br />

Concentrazioni sistemiche (ad esempio nella sepsi)<br />

azione pirogena ipotalamica, risposta fase acuta, attivazione del<br />

sistema <strong>di</strong> coagulazione<br />

inibisce la replicazione midollare, inappetenza<br />

Quantità massicce (ad esempio nello shock settico)<br />

depressione della contrattilià miocar<strong>di</strong>ca, <strong>di</strong>minuito tono della<br />

muscolatura vasale<br />

coagulazione <strong>di</strong>sseminata, ipoglicemia<br />

126


127<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Gli anticorpi anti-TNF sono oggi entrati a far parte<br />

dell’armamentario terapeutico della malattia <strong>di</strong> Crohn, grazie<br />

alla loro elevata potenza e alla loro relativa selettività.<br />

E’ bene tuttavia non concedersi troppo alla facile equivalenza<br />

tra selettività e sicurezza: per quanto meglio tollerate dei<br />

cortisonici, le nuove terapie biologiche non sono scevre da<br />

effetti collaterali. La loro elevata potenza e la lunga durata<br />

d’azione possono produrre una potente soppressione <strong>di</strong> alcuni<br />

meccanismi <strong>di</strong> risposta antimicrobica con elevato rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare infezioni gravi da alcuni patogeni, come ad esempio<br />

il micobatterio tubercolare. Inoltre, anche questi farmaci<br />

sembrano al pari del cortisone, avere un effetto<br />

prevalentemente sintomatico, senza influenzare in modo<br />

chiaro l’evoluzione della malattia. In conclusione, questi<br />

farmaci rappresentano un indubbio passo avanti nella terapia<br />

della malattia <strong>di</strong> Crohn, ma solo una maggiore conoscenza<br />

patogenetica della malattia potrà permettere <strong>di</strong> trovare il<br />

giusto ruolo <strong>di</strong> questi farmaci, all’interno <strong>di</strong> terapie sequenziali<br />

o combinate che uniscano il trattamento del sintomo<br />

infiammatorio e le cause immuni ed ambientali che ne sono<br />

alla base.<br />

A questo proposito vengono messi a punto numerosi modelli<br />

murini della malattia, ma come si vedrà in seguito, pochi <strong>di</strong><br />

questi si riveleranno in grado <strong>di</strong> dare informazioni utili a<br />

comprendere meglio la malattia umana.


5. La malattia celiaca<br />

Nella tabella 6.2, i modelli murini <strong>di</strong> malattia infiammatoria<br />

dell’intestino sono sud<strong>di</strong>visi in quattro gruppi, a seconda <strong>di</strong><br />

quale sia stato il <strong>di</strong>fetto indotto. Va detto che nella<br />

maggioranza dei casi quello che si ottiene è un’infiammazione<br />

intestinale aspecifica che non riproduce necessariamente la<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn né la retto-colite ulcerativa umane.<br />

Il primo gruppo, comprende alcuni ceppi murini che<br />

sviluppano spontaneamente infiammazione. Gli altri tre gruppi<br />

comprendono i modelli indotti: per mezzo <strong>di</strong> agenti lesivi per<br />

la mucosa; per mezzo dell’induzione <strong>di</strong> svariati <strong>di</strong>fetti<br />

immunologici; per trasferimento <strong>di</strong> particolari sottogruppi <strong>di</strong><br />

linfociti in topi con immunodeficienza. Anche se non<br />

riproducono esattamente la malattia <strong>di</strong> Crohn, questi esempi<br />

possono testimoniare la facilità con cui vari <strong>di</strong>sturbi<br />

dell’immunità si ripercuotono sull’omeostasi intestinale.<br />

D’altra parte, è nozione comune che molte immunodeficienze<br />

primitive possano associarsi a vari livelli <strong>di</strong> infiammazione<br />

intestinale. E’ opportuno sottolineare come questi modelli<br />

siano per lo più basati sulla convinzione che il <strong>di</strong>fetto immune<br />

alla base della malattia riguardasse i linfociti della risposta<br />

adattativa, mentre come vedremo, l’identificazione <strong>di</strong> geni<br />

coinvolti nella malattia umana ha recentemente spostato<br />

l’attenzione su <strong>di</strong>fetti a carico dei fagociti e dell’immunità<br />

naturale.<br />

128


129<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Tab. 6.2 Modelli animali <strong>di</strong> malattia infiammatoria dell’intestino 109 .<br />

L’era genetica e della nuova patogenesi.<br />

Il nuovo millennio si apre con l’identificazione del principale<br />

gene associato al rischio <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> Crohn (NOD2) 93,94<br />

promettendo finalmente una migliore comprensione della<br />

patogenesi della malattia. NOD2 (Nucleotide<br />

Oligo<strong>di</strong>merization Domain 2) è una proteina citoplasmatica,<br />

espressa in particolar modo nelle cellule del sistema<br />

fagocitario e coinvolta nel controllo della reazione<br />

infiammatoria.


5. La malattia celiaca<br />

Fig. 6.4 Struttura del gene NOD2 e varianti associate a m. <strong>di</strong> Crohn<br />

NOD2 appartiene ad una famiglia molto vasta <strong>di</strong> proteine<br />

coinvolte nel riconoscimento <strong>di</strong> componenti batteriche<br />

(PAMPs, Pathogen Associated Molecular Patterns) e nella<br />

regolazione della risposta infiammatoria (attivazione <strong>di</strong> NK-kB<br />

e Caspasi-1) oltre che nella regolazione <strong>di</strong> varie modalità <strong>di</strong><br />

maturazione e morte dei fagociti (apoptosi, piroptosi). Questo<br />

sistema è anche descritto come un insieme <strong>di</strong> piattaforme<br />

molecolari (o inflammasomi) che garantisce una fine<br />

regolazione degli eventi suddetti, per mezzo <strong>di</strong> un continuo<br />

riassestamento <strong>di</strong> interazioni, omo- ed etero-<strong>di</strong>merizzazioni,<br />

che permettono <strong>di</strong> trasdurre il segnale producendo la<br />

<strong>di</strong>merizzazione e l’attivazione <strong>di</strong> molecole. Tale meccanismo <strong>di</strong><br />

trasduzione viene anche detto “trasduzione per contiguità o<br />

per prossimità”, ed è comune alla maggior parte delle<br />

molecole degli inflammasomi. Nell’ultimo ventennio, una<br />

grande mole <strong>di</strong> dati sul funzionamento <strong>di</strong> questi sistemi è<br />

130


131<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

derivata dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> alcune malattie monogeniche umane:<br />

le cosiddette sindromi autoinfiammatorie. Si tratta <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zioni dovute a <strong>di</strong>fetti genetici a carico <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong> queste<br />

proteine (pirina, nella febbre me<strong>di</strong>terranea familiare;<br />

CIAS1/NALP3 nelle criopirinopatie) e caratterizzate dalla<br />

ricorrenza <strong>di</strong> gravi sintomi infiammatori fin dai primi anni, o<br />

ad<strong>di</strong>rittura giorni <strong>di</strong> vita. L’identificazione <strong>di</strong> NOD2 come<br />

principale gene associato a rischio <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> Crohn ha<br />

quin<strong>di</strong> indotto a seguire l’analogia tra NOD2 e le altre proteine<br />

degli inflammasomi, ritenendo che anche la malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

potesse in qualche misura rientrare tra le sindromi<br />

autoinfiammatorie, dovute ad un eccesso <strong>di</strong> attivazione e/o ad<br />

un <strong>di</strong>fetto del feedback infiammatorio. Tuttavia, già i primi<br />

lavori mostravano un apparente paradosso, che smorzava un<br />

po’ l’illusione <strong>di</strong> svelare la patogenesi della malattia <strong>di</strong> Crohn.<br />

Le varianti <strong>di</strong> NOD2 associate a malattia <strong>di</strong> Crohn, erano state<br />

trasdotte in cellule <strong>di</strong> rene insieme ad un sistema reporter<br />

dell’attività <strong>di</strong> NF-kB: sorprendentemente, lo stimolo con vari<br />

PAMPs (tra cui il muramil <strong>di</strong>peptide o MDP) produceva una<br />

risposta <strong>di</strong> attivazione <strong>di</strong> NF-kB minore e non maggiore<br />

rispetto al NOD2 wild type. In altre parole, in un sistema<br />

cellulare semplificato, il risultato delle varianti associate a<br />

malattia sembrava quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuire piuttosto che<br />

aumentare l’attivazione infiammatoria.


5. La malattia celiaca<br />

Il meccanismo con cui le varianti <strong>di</strong> NOD2 conducono ad un<br />

aumentato rischio <strong>di</strong> sviluppare la malattia <strong>di</strong> Crohn deve<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendere da equilibri più complessi, per cui è <strong>di</strong>fficile<br />

considerare la malattia <strong>di</strong> Crohn come una “semplice” malattia<br />

autoinfiammatoria. A completare questo <strong>di</strong>fficile puzzle si<br />

aggiunge la caratterizzazione <strong>di</strong> un’altra malattia legata a<br />

mutazione del gene NOD2: la sindrome <strong>di</strong> Blau, una malattia<br />

granulomatosa con artrite granulomatosa, iridociclite e<br />

granulomi cutanei. In questo caso, le mutazioni (<strong>di</strong>verse da<br />

quelle associate con m. <strong>di</strong> Crohn) portano ad una “gain of<br />

function” della proteina e la malattia può essere più<br />

chiaramente inclusa nel gruppo delle malattie auto-<br />

infiammatorie.<br />

Il <strong>di</strong>fetto dell’immunità naturale: dai<br />

fagociti all’immunità degli epiteli<br />

Abbiamo arbitrariamente de<strong>di</strong>cato quest’era al ruolo<br />

dell’immunità naturalei nella malattia, anche se questa scelta<br />

potrebbe non essere pienamente con<strong>di</strong>visa dalla comunità<br />

scientifica. Sta <strong>di</strong> fatto che numerose evidenze hanno<br />

coerentemente suggerito che un <strong>di</strong>fetto non ben identificato<br />

dell’immunità naturale potesse variamente contribuire alla<br />

patogenesi della malattia <strong>di</strong> Crohn. In altre parole, nonostante<br />

il probabile ruolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi geni e <strong>di</strong>versi fattori ambientali,<br />

132


133<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

potrebbe essere possibile identificare nella malattia alcuni<br />

aspetti funzionali con<strong>di</strong>visi dalla maggior parte dei casi. A ben<br />

pensare, a suggerire questa idea, stava già da tempo la<br />

specificità della lesione istologica granulomatosa con tendenza<br />

alla formazione <strong>di</strong> fistole e all’elevata produzione <strong>di</strong> TNF-α.<br />

Nell’ultimo decennio, <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> evidenze hanno<br />

permesso <strong>di</strong> formulare nuove ipotesi riguardo alla patogenesi<br />

dell’infiammazione tipica della malattia.<br />

• Alcuni dei principali geni <strong>di</strong> rischio della malattia (a<br />

cominciare da NOD2) hanno un ruolo nella risposta<br />

immune naturale dell’epitelio e/o nella corretta funzione<br />

dei fagociti (ve<strong>di</strong> <strong>di</strong> seguito).<br />

• Tentativi terapeutici basati sullo stimolo dei fagociti per<br />

mezzo del fattore <strong>di</strong> crescita dei granulociti e dei monociti<br />

(GM-CSF) hanno portato a qualche miglioramento in alcuni<br />

gruppi <strong>di</strong> pazienti con malattia <strong>di</strong> Crohn 95-97 .<br />

• Alcuni <strong>di</strong>fetti congeniti dei fagociti (classificati come<br />

immunodeficienze primitive) possono esprimersi con<br />

un’infiammazione intestinale in buona parte<br />

sovrapponibile a quella tipica della malattia <strong>di</strong> Crohn (ve<strong>di</strong><br />

scheda).<br />

• E’ stato <strong>di</strong>mostrato che monociti ottenuti da soggetti con<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn hanno un <strong>di</strong>fetto (e non un eccesso)<br />

nella produzione <strong>di</strong> alcune citochine (tra cui l’IL-8) e hanno


5. La malattia celiaca<br />

un relativo <strong>di</strong>fetto a rimuovere batteri non patogeni<br />

aggiunti in elevata carica 98,99 .<br />

• Topi knock out per NOD2 sviluppano un’infiammazione<br />

granulomatosa dopo colonizzazione con H.hepaticus. Il<br />

trapianto <strong>di</strong> cellule staminali non è sufficiente a<br />

proteggere dall’infiammazione, suggerendo che<br />

l’espressione del <strong>di</strong>fetto nell’epitelio intestinale sia<br />

sufficiente a pre<strong>di</strong>sporre alla malattia. Al contrario,<br />

l’espressione forzata <strong>di</strong> α-defensina nelle cellule<br />

dell’epitelio intestinale è in grado <strong>di</strong> prevenire lo sviluppo<br />

della malattia infiammatoria 110 .<br />

• Tra i <strong>di</strong>fetti immuni associati ad infiammazione simil-<br />

Crohn, è particolarmente interessante citare la <strong>di</strong>splasia<br />

ectodermica anidrotica con immunodeficienza, dovuta al<br />

<strong>di</strong>fetto del gene IKK-gamma, co<strong>di</strong>ficante la proteina<br />

NEMO. Anche in questo caso, come per NOD2, il <strong>di</strong>fetto<br />

interessa l’attivazione <strong>di</strong> NF-KB ed è espresso sia nel<br />

sistema immune che nell’epitelio. I pazienti affetti da<br />

questa malattia possono sviluppare una colite<br />

infiammatoria. Questo rischio non <strong>di</strong>minuisce in seguito a<br />

trapianto <strong>di</strong> cellule staminali ematopoietiche,<br />

sottolineando anche in questo caso il ruolo patogenetico<br />

del <strong>di</strong>fetto epiteliale 111 .<br />

134


135<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Immunodeficienze associate a infiammazione<br />

Crohn-like<br />

La presenza <strong>di</strong> infiammazione intestinale con le caratteristiche della<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn è descritta da molti anni in alcune<br />

immunodeficienze primitive. Nella malattia granulomatosa cronica<br />

(CGD) l’infiammazione intestinale può presentarsi anche in assenza<br />

<strong>di</strong> sintomi infettivi 112-118 . Le caratteristiche dell’infiammazione<br />

intestinale nella CGD sono <strong>di</strong> fatto in<strong>di</strong>stinguibili rispetto a quelle<br />

della malattia <strong>di</strong> Crohn 112 . Una malattia <strong>di</strong> Crohn si può sviluppare<br />

anche in soggetti con vari <strong>di</strong>sturbi dei neutrofili, tra cui la<br />

glicogenosi <strong>di</strong> tipo 1b 119 , la neutropenia ciclica 120 , il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

adesione dei neutrofili 121 , la neutropenia cronica e<br />

autoimmune 122,123 . Alcuni <strong>di</strong> questi pazienti hanno mostrato una<br />

buona risposta al trattamento con GM-CSF 124-127 , che come<br />

abbiamo visto è un trattamento che ha dato qualche beneficio<br />

anche in pazienti con malattia <strong>di</strong> Crohn senza un evidente <strong>di</strong>fetto<br />

dei fagociti 95-97,128 . Una colite infiammatoria simile alla malattia <strong>di</strong><br />

Crohn può essere presente anche in soggetti con sindrome <strong>di</strong><br />

Wiskott Aldrich, possibilmente correlata ad un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

produzione <strong>di</strong> IL-10 129 .<br />

Prese nell’insieme, queste evidenze suggeriscono che la<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn possa svilupparsi sul substrato <strong>di</strong> una più o<br />

meno grave immunodeficienza dell’immunità naturale <strong>di</strong><br />

parete e/o dei fagociti. Quanto più grave è il <strong>di</strong>fetto, tanto più


5. La malattia celiaca<br />

la malattia avrà un esor<strong>di</strong>o precoce e si assocerà ad un elevato<br />

rischio infettivo. Tanto più sottile è il <strong>di</strong>fetto, tanto più invece<br />

saranno necessari altri fattori genetici e/o ambientali e la<br />

malattia tenderà <strong>di</strong> conseguenza ad avere un esor<strong>di</strong>o più<br />

tar<strong>di</strong>vo. Questa idea è rappresentata nella fig. 5.6. Diverse<br />

anomalie genetiche conducono a conseguenze funzionali<br />

simili, con sviluppo d’infiammazione cronica granulomatosa<br />

130<br />

.<br />

Fig. 5.6 L’universo dei <strong>di</strong>fetti dell’immunità naturale nella patogenesi della<br />

m. <strong>di</strong> Crohn.<br />

Quanto più vicina è l’orbita al granuloma, tanto maggiore sarà<br />

il ruolo della genetica e la precocità <strong>di</strong> esor<strong>di</strong>o. La maggior<br />

parte dei casi <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> Crohn è associata ad anomalie<br />

periferiche <strong>di</strong> quest’universo. Tuttavia, i casi più precoci e a<br />

maggior componente genetica possono offrire un prototipo<br />

semplificato per comprendere la patogenesi della malattia.<br />

136


137<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Se questo è vero, è possibile provare a rileggere il meccanismo<br />

<strong>di</strong> funzionamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi farmaci nella malattia (tab. 6.3) e<br />

pensare a nuovi trattamenti che prendano in considerazione<br />

sia la necessità <strong>di</strong> bloccare l’infiammazione che quella <strong>di</strong><br />

compensare un possibile <strong>di</strong>fetto immune sottostante o una<br />

<strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> parete.<br />

Tab. 6.3 L’azione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi farmaci riletta sulla base delle ipotesi<br />

patogenetiche.<br />

L’era delle interazioni: ambiente,<br />

mucosa e immunità.<br />

Questa è l’era attuale. Le informazioni <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponiamo ci<br />

permettono <strong>di</strong> tentare una lettura funzionale complessiva<br />

partendo dai dati genetici e ambientali <strong>di</strong>sponibili.<br />

Nella maggior parte dei casi, è verosimile che la malattia si<br />

sviluppi solo in presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni: un<br />

cambiamento della flora batterica intestinale; una


5. La malattia celiaca<br />

<strong>di</strong>minuzione della capacità <strong>di</strong> barriera fisica e immunologica<br />

della parete intestinale (teoria del “leaky gut” 131 );<br />

un’anomalia del funzionamento dei sistema fagocitico, con<br />

relativa incapacità <strong>di</strong> eliminare elevate cariche batteriche. E’<br />

ragionevole pensare che <strong>di</strong>fetti più gravi <strong>di</strong> una <strong>di</strong> queste<br />

componenti possano condurre a sviluppare la malattia anche<br />

in assenza <strong>di</strong> altri fattori, come accadrebbe ad esempio in<br />

forme ad esor<strong>di</strong>o precoce legate a gravi <strong>di</strong>fetti dei fagociti.<br />

Una teoria che cerca <strong>di</strong> mettere insieme tutti questi fattori è<br />

stata recentemente proposta da Segal e collaboratori 101 . La<br />

malattia si svilupperebbe quando tre <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni si<br />

verificano, ciascuna variamente influenzata da fattori genetici<br />

e ambientali: aumentata carica batterica; <strong>di</strong>fettosa risposta da<br />

parte dell’immunità naturale con insufficiente clearance<br />

batterica; attivazione del sistema adattativo con tentativo <strong>di</strong><br />

compenso e mantenimento <strong>di</strong> una risposta cronica<br />

granulomatosa (fig. 6.6).<br />

138


139<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Fig 6.6 Un’ipotesi patogenetica a tre sta<strong>di</strong> per la malattia <strong>di</strong> Crohn, da<br />

Segal et al. 101


8. Bibliografia<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

ACTH: Adreno Cortico Tropic Hormone. Ormone<br />

adrenocorticotropo. Prodotto dall’ipofisi, stimola la produzione <strong>di</strong><br />

ormoni steroidei nella corticale del surrene.<br />

AGA: anticorpi anti glutine<br />

Allergeni: antigeni coinvolti in risposte allergiche.<br />

Angioedema: improvviso passaggio <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong> nell’interstizio<br />

(sottocute, sottomucose) per rilascio <strong>di</strong> sostanze attive sulla<br />

permeabilità vasale. A livello della glottide, può provocare <strong>di</strong>fficoltà<br />

respiratoria, asfissia e morte.<br />

Apoptosi: morte cellulare programmata con basso rilascio <strong>di</strong><br />

antigeni e molecole infiammatorie nell’ambiente. Utilizzata per<br />

rimuovere cellule danneggiate o cellule che hanno compiuto la<br />

propria funzione.<br />

Autofagia: meccanismo utilizzato per la rimozione <strong>di</strong> proteine<br />

degradate, organelli danneggiati e/o componenti estranei dal<br />

citoplasma. In pratica, si forma una membrana in grado <strong>di</strong> avvolgere<br />

una data porzione del citoplasma, formando una vescicola più o<br />

meno grande, che successivamente si fonderà con un lisosoma per<br />

permetterne la degradazione del contenuto.<br />

BCG: Bacillo <strong>di</strong> Calmette Guérin. Preparato ottenuto da un ceppo<br />

attenuato <strong>di</strong> Micobatterio tubercolare.<br />

DGP: deamidated glia<strong>di</strong>n peptide. Anticorpi contro pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

glia<strong>di</strong>na deaminati dall’azione della transglutaminasi tessutale. Il<br />

test ELISA per la misura <strong>di</strong> questi anticorpi ha mostrato risultati<br />

migliori rispetto al test allestito con la glia<strong>di</strong>na in forma nativa.<br />

DMT1: <strong>di</strong>abete mellito <strong>di</strong> tipo 1. E’ il <strong>di</strong>abete autoimmune, tipico<br />

dell’età giovanile e non correlato al sovrappeso.<br />

EGF: epidermal growth factor. Fattore <strong>di</strong> crescita dell’epidermide.<br />

140


EMA: anticorpi anti-endomisio.<br />

141<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

GM-CSF: Granulocyte Monocyte Colony Stimulating Factor. Fattore<br />

<strong>di</strong> crescita dei granulociti e monociti<br />

HLA: human leukocyte antigens. Antigeni del sistema <strong>di</strong><br />

istocompatibilità presenti sui globuli bianchi umani.<br />

IBD: malattia infiammatoria cronica dell’intestino<br />

Ig: Immunoglobulina<br />

Istamina: sostanza contenuta nelle granulazione dei mastociti e<br />

rilasciata in seguito all’attivazione <strong>di</strong> queste cellule (<strong>di</strong> solito per<br />

legame <strong>di</strong> un allergene alle IgE specifiche adese sulla membrana).<br />

L’istamina aumenta la permeabilità vasale e stimola la sensazione<br />

del prurito. E’ responsabile delle caratteristiche lesioni del pomfo e<br />

dell’orticaria.<br />

Inflammasoma: piattaforma molecolare che comprende <strong>di</strong>verse<br />

proteine caratterizzate da tipici domini funzionali. In seguito ad<br />

attivazione da parte <strong>di</strong> un ligando (in genere un PAMP), queste<br />

proteine innescano una catena <strong>di</strong> omo- e oligo-<strong>di</strong>merizzazioni,<br />

inducendo prossimità tra domini funzionali (ad esempio CARD o<br />

PYD) in grado <strong>di</strong> attivare <strong>di</strong>versi meccanismi effettori (caspasi e/o<br />

fattori <strong>di</strong> trascrizione).<br />

IGF-1: Insulin –like Growth Factor 1. Anche chiamato Somatome<strong>di</strong>na<br />

C. Ormone indotto dall’ormone della crescita, <strong>di</strong> cui me<strong>di</strong>a parte<br />

dell’attività <strong>di</strong> stimolo alla crescita cellulare.<br />

IPEX: Immuno<strong>di</strong>sregolazione, Poliendocrinopatia, Enteropatia legata<br />

al cromosoma X. E’ un <strong>di</strong>fetto congenito dei meccanismi della<br />

tolleranza immune. In questa malattia, le cellule T regolatorie non<br />

svolgono correttamente la loro funzione a causa <strong>di</strong> mutazioni nel<br />

gene Foxp3.<br />

LPS: lipopolisaccaride batterico. E’ un complesso macromolecolare<br />

in grado <strong>di</strong> stimolare le cellule dell’immunità naturale attraverso i<br />

toll like receptors.


8. Bibliografia<br />

MALT: sistema immune associato alle mucose. Comprende linfociti<br />

intra-mucosali, noduli linfatici solitari e formazioni organizzate come<br />

le placche del Peyer, le tonsille e le adenoi<strong>di</strong>.<br />

MBT: micobatterio tubercolare<br />

MDP: muramil <strong>di</strong>-peptide. Componente della parete batterica in<br />

grado <strong>di</strong> stimolare toll-like receptors umani. Appartiene al gruppo<br />

dei cosiddetti PAMPs.<br />

NF-kB: Fattore Nucleare kB. E’ un fattore <strong>di</strong> trascrizione<br />

fondamentale in numerose funzioni leucocitarie tra cui la<br />

proliferazione e la produzione <strong>di</strong> citochine infiammatorie.<br />

NOD2: Nucleotide-bin<strong>di</strong>ng oligo<strong>di</strong>merization domain 2. E’ una<br />

proteina (nota anche come CARD15) le cui mutazioni costituiscono il<br />

più comune fattore genetico <strong>di</strong> rischio per la malattia <strong>di</strong> Crohn nella<br />

popolazione caucasica.<br />

PAMPs: profili molecolari associati ai patogeni. Si tratta <strong>di</strong> marcatori<br />

generici del mondo procariotico, con<strong>di</strong>visi tra più microrganismi, e<br />

riconosciuti dal sistema dell’immunità naturale per mezzo dei toll<br />

like receptors.<br />

PIDs: immunodeficienze primitive. Difetti congeniti (geneticamente<br />

determinati) del funzionamento <strong>di</strong> una o più componenti del<br />

sistema immune. Possono accompagnarsi ad un’anomala<br />

suscettibilità a infezioni gravi, malattie autoimmuni e infiammatorie,<br />

tumori.<br />

Piroptosi: morte cellulare programmata, senza contrazione<br />

citoplasmatica e con rilascio <strong>di</strong> varie molecole pro-infiammatorie.<br />

Questo meccanismo potrebbe essere attivato quando la cellula non<br />

può andare in apoptosi in modo sicuro ad esempio per incapacità <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere microrganismi fagocitati, e occorre garantire un<br />

potenziamento della risposta immune.<br />

142


143<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

Placche del Peyer: aggregati linfoi<strong>di</strong> mucosali strutturati,<br />

comunicanti con il lume intestinale per mezzo <strong>di</strong> cellule specializzate<br />

(M cells).<br />

Pomfo: lesione elementare cutanea, caratterizzata da rilievo<br />

cutaneo rotondeggiante e liscio, dovuto a trasudazione <strong>di</strong> liquido<br />

nel derma per effetto dell’istamina sulla permeabilità vasale. Nei<br />

casi più gravi, è circondato da un alone eritematoso (dovuto a<br />

maggior afflusso <strong>di</strong> sangue) e può assumere forma irregolare con<br />

estroflessioni (pseudopo<strong>di</strong>).<br />

RAST: ra<strong>di</strong>o-allergo sorbent test. Test ra<strong>di</strong>oimmunologico per la<br />

misura delle IgE specifiche contro allergeni.<br />

Reagine: IgE specifiche contro allergeni e in grado <strong>di</strong> scatenare<br />

risposte allergiche imme<strong>di</strong>ate con degranulazione <strong>di</strong> mastociti e<br />

rilascio <strong>di</strong> istamina.<br />

TCR: recettore dei linfociti T.<br />

TGA: anticorpi anti-transglutaminasi.<br />

TLR: toll like receptors. Recettori <strong>di</strong> membrana o citoplasmatici in<br />

grado <strong>di</strong> attivarsi in seguito al legame con alcuni componenti<br />

molecolari con<strong>di</strong>visi tra <strong>di</strong>versi microbi (o PAMPs).<br />

Treg: linfociti T regolatori. Caratterizzati dall’espressione<br />

dell’antigene CD4 insieme ad elevati livelli <strong>di</strong> CD25 e FOXP3 (ma<br />

bassi livelli <strong>di</strong> CD127), sono i principali responsabili del<br />

mantenimento della tolleranza immune periferica.<br />

tTG: transglutaminasi tessutale. E’ il più specifico auto antigene<br />

della celiachia.


8. Bibliografia<br />

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