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<strong>12</strong> V I T A D I C O M U N I T À<br />

Pos<strong>ch</strong>iavo - 22 marzo 20<strong>12</strong> No. <strong>12</strong><br />

Quando la «coppia scoppia»<br />

L’interessante conferenza del nostro<br />

Vescovo, Mons. Vitus Huonder, tenutasi<br />

sabato 17 marzo presso il convento e<br />

rivolta a tutte le coppie di sposi e alle<br />

famiglie della nostra Valle, è stata un<br />

valido contributo – molto coraggioso<br />

– alla pastorale familiare delle parroc<strong>ch</strong>ie<br />

del nostro decanato, per riannunciare<br />

la buona notizia sul matrimonio<br />

e sulla famiglia insieme alla grandezza<br />

del ruolo educativo dei genitori<br />

nell’ambito della fede. Sono rimasto<br />

colpito nel leggere nella lettera pastorale<br />

per la Quaresima 20<strong>12</strong> di Mons.<br />

Huonder, «Il matrimonio sia rispettato<br />

da tutti», <strong>ch</strong>e «se nel 1970 erano ancora<br />

il 15% dei matrimoni ad essere separati,<br />

nel 2009 il numero si è triplicato,<br />

fino a raggiungere il 47% (cfr. Bundesamt<br />

fur Statitstik). La dimensione<br />

di questo sviluppo deve seriamente<br />

preoccuparci, dato <strong>ch</strong>e il matrimonio<br />

rappresenta un grandissimo bene<br />

<strong>ch</strong>e ha bisogno della nostra accorta<br />

attenzione». E’ molto dolorosa questa<br />

constatazione. Forse non c’è bisogno<br />

di sottolineare il fatto <strong>ch</strong>e oggi il matrimonio<br />

è in crisi, un fatto <strong>ch</strong>e esperimentiamo<br />

con amarezza tra amici,<br />

conoscenti e familiari. Ma la domanda<br />

<strong>ch</strong>e mi sovviene e alla quale voglio<br />

dare un tentativo di risposta è questa:<br />

per<strong>ch</strong>é la «coppia scoppia»? Una personale<br />

constatazione pastorale è <strong>ch</strong>e<br />

molti giovani hanno paura di sposarsi,<br />

civilmente o in <strong>ch</strong>iesa, proprio per<strong>ch</strong>é<br />

vedono coppie recentemente sposate<br />

<strong>ch</strong>e si sono separate dopo po<strong>ch</strong>i anni,<br />

o addirittura mesi! Non sono sicuri<br />

di poter portare avanti una relazione<br />

di amore maturo per tutta la vita, sia<br />

per<strong>ch</strong>é manca la fiducia in se stessi o<br />

nel partner, sia per<strong>ch</strong>é manca la fede<br />

nel sacramento, rappresentata dalle<br />

«fedi» scambiate durante le nozze.<br />

Ciò denota un’immaturità psicologica<br />

e religiosa. Tale immaturità ha<br />

spesso le sue radici in una mancanza<br />

di amore nell’infanzia da parte di genitori<br />

troppo concentrati su se stessi,<br />

o, al contrario, soffocanti nel loro<br />

attaccamento ai figli. Inoltre, l’ideale<br />

dell’amore presentato nei media non è<br />

altro <strong>ch</strong>e un travestimento e una caricatura<br />

dell’amore <strong>ch</strong>e può rinsaldare<br />

felicemente e indissolubilmente due<br />

coniugi. Basta accendere la televisione<br />

per rendersi conto degli ideali <strong>ch</strong>e si<br />

presentano ai giovani. A parte il fatto<br />

<strong>ch</strong>e la dimensione religiosa è assente<br />

nella maggioranza dei film, ciò <strong>ch</strong>e costituisce<br />

il maggiore pericolo non sono<br />

tanto le scene volgari o di poco gusto<br />

quanto la filosofia subliminale <strong>ch</strong>e si<br />

inietta nella mente dello spettatore immaturo<br />

per cui il normale diventa norma.<br />

Quali sono allora gli ostacoli e le<br />

difficoltà <strong>ch</strong>e si incontrano nel lungo<br />

cammino dello sviluppo della capacità<br />

di amare? Le difficoltà, a mio parere,<br />

si pongono su tre livelli: quello della<br />

psicopatologia, quello dell’immaturità<br />

e quello della responsabilità morale.<br />

Non mi è possibile essere esaustivo,<br />

tuttavia, considerando il primo livello,<br />

nei primi stadi dello sviluppo,<br />

quando i fattori ambientali hanno un<br />

influsso preponderante sul soggetto,<br />

un difetto o un eccesso di protezione<br />

da parte delle persone più vicine (in<br />

genere la madre) possono provocare<br />

arresti dello sviluppo tali da causare<br />

vere e proprie patologie delle relazioni<br />

affettive, difficilmente risolvibili in<br />

epo<strong>ch</strong>e successive. E’ risaputo <strong>ch</strong>e le<br />

psicosi autisti<strong>ch</strong>e (cioè il rin<strong>ch</strong>iudersi<br />

del bambino nel suo mondo senza<br />

riferimenti alla realtà esterna), quelle<br />

depressive, il narcisismo primitivo e la<br />

stessa s<strong>ch</strong>izofrenia hanno le loro radici<br />

e origini in fissazioni ai primi due<br />

stadi dello sviluppo umano. Ad esempio,<br />

nel caso di narcisismo primitivo,<br />

i soggetti «presentano un grado inconsueto<br />

di riferimento al sé nelle interazioni<br />

con gli altri, un gran bisogno di<br />

essere amati e un’apparente curiosa<br />

contraddizione fra un concetto molto<br />

alto del sé e un bisogno sproporzionato<br />

di riconoscimento da parte degli altri»<br />

(cfr. O. Kernberg, Sindromi marginali<br />

e narcisismo patologico). Queste persone,<br />

condizionate dalla gratificazione<br />

della loro sete di ricevere stima, sono<br />

così incentrate su di sé da mancare di<br />

qualsiasi vero interesse per gli altri,<br />

se non per riceverne ammirazione. In<br />

caso positivo stabiliscono relazioni intense<br />

ma superficiali; in caso negativo,<br />

quando viene a mancare la gratificazione,<br />

sviluppano rabbia e gelosia di<br />

pari intensità, con il totale rifiuto della<br />

persona con cui antecedentemente<br />

erano in relazione positiva. E’ evidente<br />

<strong>ch</strong>e in una relazione a due o con altri<br />

manca della capacità minima di amare<br />

e ha bisogno ancor più di essere amato.<br />

Pur non avendo nessuna pretesa<br />

esaustiva, è necessario ricordare <strong>ch</strong>e<br />

vi sono «patologie dell’amore» meno<br />

gravi, le quali riducono la capacità di<br />

amare senza privare le persone della<br />

possibilità di amare, an<strong>ch</strong>e se in modo<br />

immaturo: tali casi sono classificati<br />

come borderline, nevrosi, disturbi del-<br />

la personalità. Ad esempio, un soggetto<br />

<strong>ch</strong>e soffre di disturbo paranoide di<br />

personalità, an<strong>ch</strong>e se riesce a stabilire<br />

una certa relazione affettiva, manifesterà<br />

continuamente e sottilmente una<br />

tendenza alla sospettosità e diffidenza<br />

fino al dubbio sistematico verso la persona<br />

amata, frutto dei suoi meccanismi<br />

difensivi di proiezione con i quali<br />

interpreta la realtà. Non è difficile<br />

immaginare quali dinami<strong>ch</strong>e possano<br />

logorare l’amore di queste coppie! Rileggendo<br />

alcune parti del celebre testo<br />

di Fromm, L’arte di amare, ho notato<br />

come egli, nel descrivere la pratica<br />

dell’amore, non esiti a ri<strong>ch</strong>iedere come<br />

condizione dell’arte di amare alcune<br />

caratteristi<strong>ch</strong>e: innanzitutto la disciplina,<br />

intesa come auto-controllo per<br />

tutta la vita, contro la tendenza dell’uomo<br />

moderno, <strong>ch</strong>e è quella del relax obbligatorio.<br />

La concentrazione: contro<br />

una civiltà in cui manca la concentrazione,<br />

<strong>ch</strong>e porta gli uomini ad essere<br />

«consumatori con la bocca aperta»<br />

è necessario non volere fare di tutto,<br />

saper rinunciare a ciò <strong>ch</strong>e è meno importante<br />

per potersi dedicare a ciò <strong>ch</strong>e<br />

conta; nel nostro caso sapersi dedicare<br />

alla persona amata. La pazienza, cioè<br />

l’arte di saper attendere, per<strong>ch</strong>é «se si<br />

vogliono raggiungere rapidi risultati<br />

non s’imparerà mai un’arte». Superare<br />

il narcisismo, <strong>ch</strong>e porta a vedere gli<br />

altri solo dal punto di vista dell’utilità<br />

o del pericolo <strong>ch</strong>e rappresentano per<br />

il soggetto. L’umiltà, <strong>ch</strong>e significa «essere<br />

staccati dai sogni di onnipotenza<br />

<strong>ch</strong>e si fanno da bambini». E, infine, «la<br />

pratica dell’arte di amare ri<strong>ch</strong>iede la<br />

pratica della fede» intesa come «convinzione<br />

radicata nella propria esperienza<br />

di pensiero o di sentimento»,<br />

cioè la certezza e fermezza nelle nostre<br />

convinzioni; tale fede, a sua volta, esige<br />

il coraggio, cioè la capacità di correre<br />

un ris<strong>ch</strong>io e di accettare perfino il<br />

dolore e la delusione. Molto spesso ci<br />

sarà capitato di ascoltare quest’obiezione:<br />

per<strong>ch</strong>é impegnarmi per una persona<br />

<strong>ch</strong>e ho amato, ma verso la quale<br />

non sento più lo stesso affetto? Per<strong>ch</strong>é<br />

non seguire un nuovo sentimento appena<br />

sbocciato verso un’altra persona?<br />

Certamente ci sono persone capaci di<br />

superare tali obiezioni e <strong>ch</strong>e an<strong>ch</strong>e<br />

solo in nome dei valori naturali, quali<br />

l’onestà e la coerenza, si impegnano a<br />

migliorare la loro relazione coniugale<br />

e mantenere la fedeltà alla parola data<br />

an<strong>ch</strong>e nel momento della prova. Per<br />

il credente in Cristo invece, e questo<br />

è an<strong>ch</strong>e il bellissimo messaggio della<br />

controversa lettera pastorale di Quaresima<br />

del nostro Vescovo, esiste una<br />

motivazione più forte e determinante<br />

per sostenere la decisione di impegnarsi<br />

nel cambiamento e nel miglioramento,<br />

proprio quando sorgono le<br />

difficoltà e la «coppia scoppia». Questa<br />

motivazione attinge esattamente<br />

al modello di Cristo in cui il cristiano<br />

crede. Per noi credenti, allora, preparare<br />

una coppia per il matrimonio cristiano<br />

diventa sempre più un compito<br />

difficilissimo per<strong>ch</strong>é si deve scavare<br />

in fondo non soltanto nella personalità<br />

dei soggetti, ma si deve an<strong>ch</strong>e andare<br />

controcorrente ai presupposti della società<br />

contemporanea.<br />

Don Davide Redaelli<br />

CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA<br />

Famiglia, scuola della Fede<br />

Ciò <strong>ch</strong>e è umanamente vero è vero<br />

an<strong>ch</strong>e nell’ordine della fede; ciò <strong>ch</strong>e è<br />

vero nell’ambito dell’educazione umana<br />

è vero an<strong>ch</strong>e nell’ambito dell’educazione<br />

alla fede. Anzi, lo è in modo<br />

più profondo. La proposta cristiana è<br />

infatti una proposta di vita. E’ attraverso<br />

la condivisione di tutta la vita,<br />

quale si ha solo nella famiglia, <strong>ch</strong>e<br />

una persona entra nella fede cristiana.<br />

L’esistenza cristiana o è generata dalla<br />

famiglia o non è generata in nessun altra<br />

parte. I coniugi sono poi <strong>ch</strong>iamati<br />

a trasmettere l’amore di Cristo diventando<br />

comunità salvante. Ha ricordato<br />

inoltre <strong>ch</strong>e l’uomo deve lottare per il<br />

bene. Quando il matrimonio è minacciato<br />

dal male, solo Dio può aiutare. E’<br />

infatti il peccato <strong>ch</strong>e ferisce l’amore<br />

degli sposi: le discordie, lo spirito del<br />

dominio, l’infedeltà, la gelosia, e conflitti<br />

<strong>ch</strong>e possono arrivare fino all’odio<br />

e alla rottura. Solo l’aiuto e la grazia<br />

di Dio possono aiutare l’uomo e la<br />

donna a guarire. Il Vescovo ha insistito<br />

sull’importanza del sacramento<br />

dell’Eucarestia e della Riconciliazione,<br />

sulla preghiera in famiglia. La preghiera<br />

– ha continuato il Vescovo – ci<br />

unisce a Dio, e di conseguenza ci unisce<br />

tra di noi. Citando un’espressione<br />

di Madre Teresa di Calcutta ha ricordato<br />

<strong>ch</strong>e una famiglia <strong>ch</strong>e prega unita<br />

resta unita! Ha esortato i genitori a<br />

pregare il rosario con i figli, educandoli<br />

fin dai teneri anni a questo momento<br />

giornaliero: non è certo la soluzione a<br />

tutti i problemi – ha detto – ma è un<br />

La verità sulla Sacrosantum Concilium.<br />

Una doverosa precisazione<br />

Dalle colonne di questo giornale,<br />

giovedì 1 marzo, ho letto l’articolo di<br />

Remo Tosio, Costituzione conciliare<br />

sulla Sacra Liturgia: Sacrosantum Concilium.<br />

Ritengo necessario, per il bene e<br />

la corretta informazione dei fedeli cattolici<br />

delle nostre Parroc<strong>ch</strong>ie rettificare<br />

le grossolanità riportate nell’articolo.<br />

Sono del parere <strong>ch</strong>e si debba scrivere<br />

di teologia quando si hanno le debite<br />

competenze. Sin dall’inizio dell’articolo,<br />

il tono irriverente <strong>ch</strong>e definisce il<br />

Beato Papa Giovanni XIII, un «bonaccione<br />

Contadino bergamasco arrivato a<br />

tanto», presenterebbe il Pontefice come<br />

un incapace qualsiasi salito al soglio<br />

pontificio. Mi risulta <strong>ch</strong>e Papa Roncalli,<br />

a ventidue anni, fosse già dottore in<br />

teologia, ed in seguito, fine studioso di<br />

storia della Chiesa, coraggioso cappellano<br />

militare durante la seconda guerra<br />

mondiale, nunzio apostolico, quindi<br />

Vescovo, in Bulgaria, Tur<strong>ch</strong>ia, Grecia,<br />

promosso poi da Pio XII all’importante<br />

nunziatura di Parigi, Patriarca di Venezia…<br />

Giovanni XXIII, aprendo il Concilio<br />

Vaticano II l’11 ottobre 1962, affermò<br />

<strong>ch</strong>e esso era un Concilio pastorale<br />

e non dogmatico, per<strong>ch</strong>é si proponeva<br />

di presentare con un nuovo linguaggio<br />

pastorale l’immutabile dottrina della<br />

Chiesa cattolica. L’esigenza di trovare<br />

un nuovo linguaggio per il mondo<br />

nasceva, e non poteva <strong>ch</strong>e nascere, dal<br />

desiderio di dilatare la fede. Quanto ho<br />

letto nell’articolo di Tosio non dilata<br />

affatto la fede. Anzi… Come sacerdote<br />

mi è difficile rassegnarmi all’idea <strong>ch</strong>e<br />

una tra le più belle Costituzioni del<br />

Concilio Ecumenico Vaticano II sia stata<br />

strapazzata con tanta superficialità.<br />

Trovo mes<strong>ch</strong>ino e riduttivo estrapolare<br />

alcuni passaggi di una Costituzione,<br />

<strong>ch</strong>e vanta ben sette capitoli e centotrenta<br />

paragrafi, per tentare di giustificare<br />

degli ideologici luoghi comuni ormai<br />

fuori moda. Trovo ancor più ridicolo<br />

ascoltare, a distanza di cinquant’anni,<br />

<strong>ch</strong>e ciò <strong>ch</strong>e si possa osannare del Concilio<br />

Vaticano II sia solamente il fatto<br />

dell’abolizione del latino e della conversione<br />

degli altari verso il popolo.<br />

E’ ridicolo per<strong>ch</strong>é delle due presunte<br />

riforme <strong>ch</strong>e vengono citate nell’articolo,<br />

la prima non è per nulla corretta e<br />

la seconda non appare nemmeno nella<br />

Sacrosantum Concilium!<br />

Circa il latino. Il Codice di Diritto<br />

Canonico, promulgato nel 1983, al can.<br />

928, stabilisce: «La celebrazione eucaristica<br />

venga compiuta in lingua latina<br />

o in altra lingua, pur<strong>ch</strong>é i testi liturgici<br />

siano stati legittimamente approvati».<br />

Questo canone traduce in modo sintetico,<br />

e tenendo presente l’attuale situazione,<br />

l’insegnamento della Costituzione<br />

liturgica del Concilio Vaticano II. Al<br />

n. 36, la Sacrosantum Concilium stabilisce<br />

come principio: «L’uso della lingua<br />

latina, salvo diritti particolari, sia<br />

conservato nei riti latini» (§ 1). In questo<br />

senso, il Codice afferma innanzitutto:<br />

«La celebrazione eucaristica venga<br />

compiuta in lingua latina». Nei successivi<br />

commi, la Sacrosantum Concilium<br />

ammette la possibilità di utilizzare an<strong>ch</strong>e<br />

le lingue nazionali:«Dato però <strong>ch</strong>e,<br />

sia nella Messa <strong>ch</strong>e nell’amministrazio-<br />

aiuto spirituale da non sottovalutare!<br />

Una delle cose più importanti però è<br />

l’esempio concreto, la testimonianza<br />

viva dei genitori. Ha dato an<strong>ch</strong>e una<br />

regola di buon senso: non forzare ma<br />

educare alla fede con gradualità e fedeltà.<br />

Al termine della conferenza diverse<br />

sono state le domande e le testimonianze<br />

<strong>ch</strong>e i presenti hanno rivolto<br />

al Vescovo. Il tutto si è svolto in un clima<br />

di grande cordialità e familiarità.<br />

Il pomeriggio poi si è concluso con la<br />

celebrazione della Messa nella parroc<strong>ch</strong>ia<br />

della Sacra Famiglia a Campocologno<br />

durante la quale gli sposi hanno<br />

rinnovato le promesse del loro matrimonio.<br />

Prima di partire il Vescovo si<br />

è intrattenuto con i numerosi giovani<br />

delle classi secondarie <strong>ch</strong>e hanno partecipato<br />

alla celebrazione. Famiglia,<br />

scuola della fede: la scelta di questo<br />

tema è stata determinata dall’idea <strong>ch</strong>e<br />

occorra aiutare le coppie e le famiglie<br />

cristiane a riscoprire la bellezza del<br />

dono <strong>ch</strong>e hanno ricevuto, cioè il Sacramento<br />

del Matrimonio e la famiglia<br />

<strong>ch</strong>e da lì nasce. Se non c’è simile<br />

convinzione non si potrà essere felici<br />

testimoni del tesoro del Matrimonio e<br />

della famiglia.<br />

Guarda la galleria fotografica<br />

e il video da venerdì su<br />

www.ilgrigioneitaliano.<strong>ch</strong><br />

ne dei sacramenti, sia in altre parti della<br />

liturgia, non di rado l’uso della lingua<br />

nazionale può riuscire di grande utilità<br />

per il popolo, si conceda alla lingua nazionale<br />

una parte più ampia, specialmente<br />

nelle letture e nelle monizioni,<br />

in alcune preghiere e canti, secondo le<br />

norme fissate per i singoli casi nei capitoli<br />

seguenti» (§ 2). Come si vede, an<strong>ch</strong>e<br />

nelle attuali disposizioni normative,<br />

la lingua latina resta ancora al primo<br />

posto, come quella <strong>ch</strong>e la Chiesa preferisce<br />

in linea di principio, pur riconoscendo<br />

<strong>ch</strong>e la lingua nazionale può<br />

risultare utile per i fedeli. Non a caso,<br />

il Beato Giovanni Paolo II ha ricordato<br />

<strong>ch</strong>e: «La Chiesa romana ha particolari<br />

obblighi verso il latino, la splendida<br />

lingua dell’antica Roma e deve manifestarli<br />

ogni qualvolta se ne presenti<br />

l’occasione» (Dominicae cenae, n. 10).<br />

In continuità con il Magistero del suo<br />

Predecessore, il Papa Benedetto XVI,<br />

oltre ad auspicare un maggior utilizzo<br />

della lingua tradizionale nella celebrazione<br />

liturgica, specialmente nei raduni<br />

internazionali, ha addirittura scritto:<br />

«Più in generale, <strong>ch</strong>iedo <strong>ch</strong>e i futuri<br />

sacerdoti, fin dal tempo del seminario,<br />

siano preparati a comprendere e a celebrare<br />

la santa Messa in latino, non<strong>ch</strong>é<br />

ad utilizzare testi latini e a eseguire il<br />

canto gregoriano; non si trascuri la possibilità<br />

<strong>ch</strong>e gli stessi fedeli siano educati<br />

a conoscere le più comuni preghiere in<br />

latino, come an<strong>ch</strong>e a cantare in gregoriano<br />

certe parti della liturgia (Sacramentum<br />

Caritatis, n. 62)». Non voglio<br />

aggiungere altro. Il discorso meriterebbe<br />

tutta una spiegazione particolare sul<br />

concetto di «lingua sacra» per<strong>ch</strong>é la<br />

posta in gioco è molto più alta. Alla lingua<br />

è infatti indissolubilmente legata<br />

una cultura e una tradizione. Tuttavia<br />

mi piace riportare quanto il Cardinale<br />

Albert Malcolm Ranjith, Arcivescovo<br />

di Colombo, in Sri Lanka, ha rilasciato<br />

in un’intervista su uno dei quotidiani<br />

italiani più laicisti: «L’uso di una lingua<br />

sacra è tradizione in tutto il mondo.<br />

Nell’Induismo la lingua di preghiera è il<br />

sanscrito, <strong>ch</strong>e non è più in uso. Nel Buddismo<br />

si usa il pali, lingua <strong>ch</strong>e oggi solo<br />

i monaci buddisti studiano. Nell’Islam<br />

si impiega l’arabo del Corano. L’uso di<br />

una lingua sacra ci aiuta a vivere la<br />

sensazione dell’al-di-là» (La Repubblica,<br />

31 luglio 2008, p. 42).<br />

Circa l’altare. Dell’orientamento<br />

dell’altare verso il popolo non si fa parola<br />

nella Sacrosantum Concilium. Se<br />

ne parla solo in istruzioni postconciliari.<br />

La più importante di esse è la Institutio<br />

generalis Missalis Romani, cioè l’Introduzione<br />

generale al nuovo Messale<br />

Romano del 1969 dove al numero 262<br />

è scritto: «L’altare maggiore deve essere<br />

costruito staccato dal muro, in modo<br />

<strong>ch</strong>e si possa facilmente girare intorno<br />

ad esso e celebrare, su di esso, verso il<br />

popolo (versus populum)». Questa indicazione,<br />

ovviamente, riguarda la costruzione<br />

di nuove <strong>ch</strong>iese. L’introduzione<br />

alla nuova edizione del Messale<br />

Romano del 2002 ha ripreso questo<br />

testo alla lettera, ma alla fine ha fatto<br />

la seguente aggiunta: «è auspicabile<br />

laddove è possibile». Questa aggiunta<br />

è stata erroneamente letta da molte<br />

parti come un irrigidimento del testo<br />

del 1969, nel senso <strong>ch</strong>e adesso ci sarebbe<br />

un obbligo generale di costruire<br />

– «laddove possibile» – gli altari rivolti<br />

verso il popolo. Questa interpretazione,<br />

però, era stata respinta dalla competente<br />

Congregazione vaticana per il<br />

Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti<br />

già in data 25 settembre 2000, in<br />

risposta ad una domanda sottoposta<br />

nientemeno <strong>ch</strong>e dal Card. Christoph<br />

S<strong>ch</strong>önborn, Arcivescovo di Vienna.<br />

La Congregazione spiegò <strong>ch</strong>e la parola<br />

«expedit» (per <strong>ch</strong>i non conosce il latinorum<br />

significa «è auspicapile») non<br />

esprime un obbligo, ma una semplice<br />

raccomandazione. L’altare, inoltre, è il<br />

centro della Celebrazione Eucaristica,<br />

nella sua parte più specificamente eucaristica<br />

e sacrificale. E’ il luogo dove<br />

avviene l’azione divina per mezzo del<br />

ministero sacerdotale: quello <strong>ch</strong>e lì avviene<br />

è eminentemente rivolto a Dio,<br />

Santissima Trinità. L’altare è il centro<br />

del presbiterio, verso il quale tutta la<br />

celebrazione deve essere orientata, ma<br />

<strong>ch</strong>e deve distinguersi dall’aula assembleare,<br />

<strong>ch</strong>e contiene la fisica presenza<br />

del popolo di Dio partecipante. Questo<br />

principio, dunque, esclude la presenza<br />

del popolo di Dio dentro il presbiterio<br />

(lo spazio dove c’è l’altare) ed esclude<br />

la presenza dell’altare dentro l’aula<br />

assembleare, (in mezzo alla <strong>ch</strong>iesa,<br />

per capirci). Inoltre, la posizione del<br />

celebrante all’altare deve primariamente<br />

indicare l’orientamento di tutti<br />

e di tutto e solo secondariamente può<br />

pedagogicamente favorire la maggiore<br />

vicinanza dell’animo dei fedeli a ciò<br />

<strong>ch</strong>e avviene sull’altare. Ma la buona<br />

logica, non l’ideologia, dice <strong>ch</strong>e ove la<br />

partecipazione dell’animo dei fedeli<br />

sia ugualmente possibile con la cele-<br />

brazione del celebrante e del popolo<br />

orientati allo stesso modo, cioè «versus<br />

orientem» non è affatto contrario<br />

allo spirito della riforma liturgica, ma<br />

anzi è significativo <strong>ch</strong>e la posizione del<br />

celebrante e dei fedeli indi<strong>ch</strong>i l’orientamento<br />

di tutti e di tutto a Dio. Nelle nostre<br />

Chiese dove l’altare antico è in posizione<br />

centrale e ben visibile per tutta<br />

l’assemblea ivi si può legittimamente e<br />

lodevolmente celebrare il Divino Sacrificio<br />

di Cristo. Non posso qui entrare<br />

nei dettagli: mi limito solo a dire <strong>ch</strong>e<br />

la celebrazione della S. Messa «verso<br />

il popolo» è un concetto entrato a far<br />

parte della mentalità cristiana solo in<br />

epoca moderna, come dimostrato da<br />

studi seri e ribadito da Papa Benedetto<br />

XVI: «L’idea <strong>ch</strong>e sacerdote e popolo<br />

nella preghiera dovrebbero guardarsi<br />

reciprocamente è nata solo nell’epoca<br />

moderna ed è completamente estranea<br />

alla cristianità antica. Infatti, sacerdote<br />

e popolo non rivolgono l’uno all’altro la<br />

loro preghiera, ma insieme la rivolgono<br />

all’unico Signore» (Teologia della Liturgia,<br />

Città del Vaticano 2010, pp. 7-8).<br />

Nonostante il Vaticano II non avesse<br />

mai toccato questo aspetto, la posizione<br />

del sacerdote «verso il popolo», pur<br />

non essendo obbligatoria, è divenuta il<br />

modo più comune di celebrare Messa.<br />

Stando così le cose, il Card. Joseph Ratzinger<br />

propose, an<strong>ch</strong>e in questo caso,<br />

di non perdere il significato antico di<br />

preghiera «orientata» e suggerì di ovviare<br />

alle difficoltà ponendo al centro<br />

dell’altare il Crocifisso (cfr. Teologia<br />

della Liturgia, p. 88). Forse in qual<strong>ch</strong>e<br />

Chiesa della Valle manca ancora questo<br />

semplice adeguamento. Teologi di<br />

diverse tradizioni osservano come proprio<br />

la preghiera orientata sia una delle<br />

prati<strong>ch</strong>e più anti<strong>ch</strong>e <strong>ch</strong>e distinguono il<br />

Cristianesimo dalle altre religioni del<br />

vicino Oriente: gli ebrei pregano verso<br />

Gerusalemme, i musulmani verso la<br />

Mecca, mentre i cristiani verso Oriente.<br />

Per concludere. Mi sarei aspettato<br />

di leggere la bella e profonda definizione<br />

di liturgia contenuta nella Costituzione.<br />

Invece no. Che cos’è, dunque,<br />

la liturgia? Dice la Sacrosantum<br />

Concilium: «Giustamente... la Liturgia<br />

è ritenuta l’esercizio del Sacerdozio<br />

di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di<br />

segni sensibili viene significata e, in<br />

modo ad essi proprio, realizzata la santificazione<br />

dell’uomo, e viene esercitato<br />

dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè<br />

dal Capo e dalle sue membra, il culto<br />

pubblico integrale. Perciò ogni celebrazione<br />

liturgica, in quanto opera di<br />

Cristo Sacerdote e del suo Corpo, <strong>ch</strong>e è<br />

la Chiesa, è azione sacra per eccellenza<br />

e nessun’altra azione della Chiesa,<br />

allo stesso titolo ed allo stesso grado,<br />

ne uguaglia l’efficacia (SC 7)». Questa<br />

luminosa definizione ci fa capire <strong>ch</strong>e la<br />

prima, ed essenziale attitudine di <strong>ch</strong>i<br />

partecipa all’azione liturgica è quella<br />

dell’ascolto, dell’aprirsi, del ricevere,<br />

non quella del fare, di ricevere la Grazia<br />

di Dio cioè quello <strong>ch</strong>e Lui vuole<br />

operare in noi: la trasformazione della<br />

mente e del cuore; la redenzione, l’elevazione<br />

e la santificazione del nostro<br />

essere, di modo <strong>ch</strong>e in Cristo diventiamo<br />

capaci di adorare Dio come si conviene,<br />

di offrirgli il culto a Lui gradito,<br />

di riconoscere il suo assoluto dominio<br />

ed il suo infinito amore, di riconoscere<br />

i nostri peccati, la nostra reale miseria<br />

ed indegnità, il nostro radicale bisogno<br />

di misericordia e di perdono. Di tutto<br />

questo l’uomo è incapace, se non è<br />

reso capace da Dio. Questo è il primo<br />

significato della «piena, consapevole e<br />

attiva partecipazione» opportunamente<br />

ri<strong>ch</strong>iamata dal testo conciliare (cfr.<br />

SC 14). Il grande problema è <strong>ch</strong>e la liturgia<br />

è stata privata del sacro per diventare<br />

un’attività sociale. Il risultato è<br />

<strong>ch</strong>e, al posto della sacralità, è comparsa<br />

la comunità. Infine, il sacerdote, solo e<br />

soltanto nell’esercizio del culto e degli<br />

atti sacramentali, è Alter Christus. Egli,<br />

nonostante le sue umane e limitanti caratteristi<strong>ch</strong>e,<br />

è immesso come persona<br />

nel Mistero trinitario in rappresentanza<br />

di tutti i fedeli, ma è lui solo a rendere<br />

presente l’atto del sacrificio della<br />

Messa. Tutti partecipano all’offerta del<br />

sacrificio, ma solo il sacerdote lo compie.<br />

Questo breve ragionamento teologico<br />

mi piace riassumerlo con un passo<br />

fulminante della Lettera a don Camillo<br />

<strong>ch</strong>e il grande Giovannino Guares<strong>ch</strong>i<br />

scrisse nel 1968: «Cristo viene espulso<br />

dalla Casa di Dio, l’altare viene trasformato<br />

in tavola calda, l’Ostia viene trasformata<br />

in sandwi<strong>ch</strong> da consumare in<br />

piedi, al banco». Forse con tutto questo,<br />

si pensava di rendere un servizio ai fedeli<br />

rendendo esplicito tutto quanto riguarda<br />

il culto di Dio. Tutto doveva essere<br />

innovatore, tutto intelligente, tutto<br />

comprensibile. Ma la tentazione di rendere<br />

comprensibile il «Mistero di Dio»,<br />

rac<strong>ch</strong>iudendolo nei nostri s<strong>ch</strong>emi, non<br />

è semplicemente assurda?<br />

Don Pietro Zanolari,<br />

Parroco di San Carlo

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