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Scarica il romanzo pdf - SG Associati

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e l’adulazione erano <strong>il</strong> modo migliore per dimostrare fedeltà e ottenere<br />

gratitudine, cioè promozioni.<br />

Sicché si finiva per dire incompromettenti cazzate tutto <strong>il</strong> giorno solo<br />

per far passare <strong>il</strong> tempo. Oppure si cantava.<br />

Era cominciata così, la faccenda del canto, un venerdì sera dopo le 18,<br />

l’ora in cui i capireparto se ne andavano per <strong>il</strong> fine settimana. Avevo<br />

domandato a una collega anziana se sapeva le parole di una certa<br />

canzone in dialetto che ricordavo dalla mia infanzia, lei disse sì, ma ne<br />

so appena un paio di strofe, allora la vicina di macchina disse che ne<br />

ricordava altre, le mettemmo insieme e io proposi per scherzo, dai,<br />

cantiamole, e allora cantammo, a due, tre, quattro voci. Si unirono<br />

anche i meccanici della manutenzione e fu una serata entusiasmante.<br />

Lavoravamo persino più in fretta.<br />

Fu così che per <strong>il</strong> resto dell’anno, tutti i venerdì che ci toccava <strong>il</strong> turno<br />

del pomeriggio ci mettevamo a cantare, e ognuno faceva a gara a ricordare<br />

e ricostruire i vecchi testi originali.<br />

Tornavo a casa sempre stanca, e dormivo senza sogni, viaggiavo al<br />

minimo per <strong>il</strong> gran dispendio di energia fisica e psichica che la<br />

fabbrica richiedeva. Studiavo un po’ di notte, quando non ero di turno,<br />

finché mi addormentavo sui libri.<br />

Certe sere le passavo col naso schiacciato contro <strong>il</strong> vetro della finestra<br />

a guardare <strong>il</strong> mondo di fuori, <strong>il</strong> viale e la collina di fronte, aspettando<br />

che tornasse la primavera, pensando a Parigi, ai miei compagni di università,<br />

al mio mondo che mi mancava, sentendomi come in es<strong>il</strong>io.<br />

Giocavo con l’alone che <strong>il</strong> mio fiato condensava sul vetro come facevo<br />

da bambina, quando soffiavo sui vetri freddi e poi disegnavo i paesaggi<br />

col dito. A volte ripetevo, amore mio amore mio, come una cant<strong>il</strong>ena,<br />

come se lui avesse potuto ascoltarmi, volevo mandargli la mia<br />

energia perché non si sentisse solo, quando invece a sentirmi sola ero<br />

io, ma non volevo deluderlo, volevo che lui fosse fiero di me e della<br />

mia forza.<br />

Mi aveva proposto di leggere ‘Stato e Rivoluzione’ di Lenin, cosa che<br />

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