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“Nei confronti della fotografia ero colto da un ... - Lettere e Filosofia

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linguaggio deittico. Essa non può mai essere slegata <strong>da</strong> ciò che dà a<br />

vedere; se così fosse sarebbe vuota. Pertanto porta sempre con sé<br />

l’oggetto che riproduce. Ma Barthes dice di più. Infatti, non si limita a<br />

sostenere che, in quanto immagine, anche <strong>un</strong>a foto è sempre<br />

immagine-di-qualcosa; egli p<strong>un</strong>ta il dito su <strong>un</strong>a declinazione<br />

particolare del rapporto immagine-oggetto che pare appartenere<br />

<strong>un</strong>icamente alla <strong>fotografia</strong>, e cioè: l’aderenza del referente. La<br />

<strong>fotografia</strong> scompare per poter mostrare. Potremmo anche dire: non si<br />

vede l’immagine, ma solo l’oggetto. 64<br />

Ad <strong>un</strong> primo sguardo sembra <strong>da</strong>vv<strong>ero</strong> che le cose stiano così: la<br />

<strong>fotografia</strong> pare realmente sui generis; <strong>da</strong>vv<strong>ero</strong> pare portare con sé<br />

tutto il peso del paradosso di essere al contempo immagine e referente.<br />

Il suo vincolo con la realtà appare innegabile, e tanto forte <strong>da</strong><br />

sembrare inscindibile. Ad <strong>un</strong> dipinto non attribuiremmo, viceversa,<br />

tali virtù. L’immagine pittorica rimane, in ogni caso, raffigurazione.<br />

Di fronte ad <strong>un</strong> quadro come la Veduta di Delft di Ian Vermeer (fig.<br />

4), ad esempio, non diremmo, guar<strong>da</strong>ndolo, di avere <strong>da</strong>vanti proprio la<br />

cittadina olandese di Delft – al più ne avremo l’illusione, ma si tratta<br />

di <strong>un</strong> breve gioco di equivoci. L’immagine, in questo caso, si vede e<br />

non scompare.<br />

Una tale distinzione è sicuramente supportata <strong>da</strong>l senso com<strong>un</strong>e, e<br />

tuttavia rimane oscura nelle sue ragioni. Ed è questo che ora dobbiamo<br />

in<strong>da</strong>gare. A tal fine hanno <strong>un</strong> certo interesse le argomentazioni di<br />

64 A tal proposito si ve<strong>da</strong> anche R. Barthes, “Il messaggio fotografico”, in L’ovvio e<br />

l’ottuso. Saggi critici III, tr. it. cit. (in particolare pp 5-10). Qui la <strong>fotografia</strong> viene<br />

definita “<strong>un</strong> messaggio senza codice” (p. 7).<br />

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