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114 33 Vaso di fiori, 1930. Olio su tela, cm 80x62,5. In basso a destra: de Pisis / 30. Provenienza: Em<strong>il</strong>io Jesi, M<strong>il</strong>ano. Esposizioni XXVIII Esposizione Biennale Internazionale d’arte, Venezia, 1956, sala XIII «F<strong>il</strong>ippo de Pisis», in cat. n. 20 (Fiori). Bibliografia G. Ballo, De Pisis, Torino, 1968, riprodotto n. 243 (Fiori) De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n.1930/70. Il dipinto fu inserito nella sala personale, 65 opere, che la Biennale di Venezia, 1956, cit., dedicò a F<strong>il</strong>ippo de Pisis, appena scomparso a M<strong>il</strong>ano, <strong>il</strong> 2 apr<strong>il</strong>e di quell’anno, affidando la scelta agli studiosi che si erano occupati del maestro: commissari Umbro Apollonio e Marco Valsecchi, testo in catalogo di Francesco Arcangeli. Il critico bolognese dava sguardo d’insieme all’opera: «È fac<strong>il</strong>e, da parte dei giovani bombardieri della critica f<strong>il</strong>oastratta o f<strong>il</strong>orealista, accusare questa storia di de Pisis di letteratura o di decadenza; ma egli la patì fino all’ultima goccia di vita, del suo bene e del suo male fu <strong>il</strong> primo eroe e la prima vittima. Sarebbe davvero ingiusto imprimere i tratti apparenti d’una vicenda che resta privata su un’opera che fu, non c’è dubbio, quella d’un “uomo di buona volontà”. Proprio perché pagò fino in fondo gli fu possib<strong>il</strong>e riscattare una vecchia vicenda italiana in storia universale, ben leggib<strong>il</strong>e per noi, e anche per gli stranieri che avranno antenne per intenderla e per non confonderla con molti casi ben più generici di postimpressionismo. Perché, dai suoi maestri immediati di pittura, di letteratura, di costume (a stenderlo, sarebbe un catalogo ben divertente e bizzarro) che gli diedero una prima, indispensab<strong>il</strong>e modernità, de Pisis risalì a una sual tradizione, secondo <strong>il</strong> processo che è naturale, per solito, alle personalità vere; non per <strong>il</strong> gusto dei ritorni, ma per quel bisogno, che a un certo punto si fa strada anche nell’artista più rivoluzionario, di sentire più certo, più profondamente radicato nel tempo <strong>il</strong> proprio gesto. De Pisis delibò appena, e scartò presto dal suo cammino, le strutture solenni e intellettuali dei primitivi italiani, e ritrovò invece i suoi lari sulla grande strada che conduce da Tiziano a Manet. Questo poté dare ad alcune sue opere <strong>il</strong> sapore della rievocazione culturale (denunciata talvolta dagli entusiastici , evviva rivolti dal suo pennello a questo o a quel maestro), ma fu anche la scuola per una libera e ricca presa sul reale, che non fa mai cadere <strong>il</strong> pittore, anche quando vola più libero, nell’inespresso o nel vago. Qui si costituì la forza di base, <strong>il</strong> nerbo della sua operazione artistica: quasi un letto visivo in analogia con Matisse (ma su due dimensioni, appunto, quasi sempre più elaborate e antiche) o con Soutine. Di qui partì per le sue mirab<strong>il</strong>i partenze; spesso, come un nuovo Guardi, per una meta elegante, divertita, estrosa; ma quando <strong>il</strong> suo animo si spoglia degli ornamenti e della cultura più <strong>il</strong>lustre, l’incontro diretto con i luoghi, con gli esseri, con le cose, accadde quasi per risorgiva d’un impressionismo del tutto inedito. Qui è, probab<strong>il</strong>mente, l’aspetto più nuovo e moderno di de Pisis. È miracoloso come, nelle sue visite memorab<strong>il</strong>i a Parigi, Londra, Venezia, Roma, M<strong>il</strong>ano, de Pisis sappia restare fedele allo spirito d’un luogo come un vedutista del ’700 o come un impressionista; e come in pari tempo <strong>il</strong> suo occhio sia un tramite per estrarre dalla realtà una carica vitale assai più complessa. Quando piantava, intrepidamente, <strong>il</strong> cavalletto nelle piazze delle capitali, dovettero accadere coram populo fenomeni d’ordine medianico: non più un occhio, ma un assorbente, una spugna: dalla gente lì intorno, ai rumori, ai colori nella retina, alla voce dei rami, agli odori, ai microbi, che grandinata d’arrivi alla stazione dei sensi! Così, anche la sua famosa stenografia pittorica è anzitutto <strong>il</strong> mezzo per far coincidere tutto lo sperimentab<strong>il</strong>e col fitto sussurrante monologo che l’artista intrattiene con se stesso. Anche se ridotta al minimo della presenza attiva, la coscienza è al massimo della vibrazione. Sulla tela scoperta, vuoto dell’animo in apparenza annullato, de Pisis, solo entro la pienezza della vita, capta messaggi indecifrab<strong>il</strong>i al comune alfabeto. Resta all’opera realizzata <strong>il</strong> senso, esistenziale senza nessuna retorica, di cosa afferrata sul vuoto, in una condizione disperata e felice; da non travisare in tragedia, ma da non deprimere, tanto meno, in fac<strong>il</strong>ità. “Voli, ombre, punti, / echi, note, un nulla”: sono parole d’una sua poesia, che appuntano <strong>il</strong> senso della sua vita verso uno dei vertici dell’arte del nostro secolo.»
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Indice dei testi 7 Presentazione, F