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Bellezza, emozione piena<br />

Cesare Zavattini<br />

De Pisis l’ho praticato poco o niente e purtroppo non conosco neppure le sue<br />

elogiate poesie. Una volta sola scrissi di lui per ricordarlo alle nozze di Alberto<br />

Mondadori che mangiava in piedi una fetta di torta, c’era lui solo e la torta<br />

mentre gli altri lo urtavano nel passargli vicino; quando ebbe finito andò a<br />

deporre <strong>il</strong> piatto e dopo si aggirava fra gli invitati sorridente con le mani alzate<br />

come un cinese muovendo le dita gent<strong>il</strong>mente per liberarsi dell’appiccicaticcio.<br />

Lo incontrai anche all’albergo Colonna con una vestaglia di seta rosso<br />

cupo dove uno strappo pareva fatto apposta, e infine nella sua ultima dimora<br />

lombarda cinque o sei anni fa dove stava sempre tutto agitato nell’attesa di una<br />

cosa che non si capiva; stava tra le sue tele nuove, belle, delicate però sbiancate<br />

rispetto a prima quasi che nell’impasto ora entrasse un po’ di calcina.<br />

Per me, non c’è un solo quadro di de Pisis che non mi faccia trasalire e subito<br />

dico mi piace, lo ripeto infant<strong>il</strong>mente, mi piace, mi piace, mi piace, è un trasalire<br />

dei sensi per cui potrei dire che io li guardo con la lingua i suoi quadri<br />

ma la lingua i polpastrelli delle dita le labbra sono in quel momento incorruttib<strong>il</strong>i<br />

come certi oggetti investiti dal sole in un’ora favorevole. Si vorrebbe<br />

essere spremuti da un tubetto di de Pisis e lasciati lì sulle spiagge tra quelle<br />

sue mandorle in primo piano che ho visto da Chiurazzi giorni fa in cui tra la<br />

scorza e <strong>il</strong> frutto con una pennellata da niente fa vedere – io non l’avevo mai<br />

visto – che c’è del bianco tenero che esprime l’alba d’una stagione. Non ho<br />

vergogna di ripetere che mi si muove la lingua le mani tutto davanti a uno<br />

qualsiasi dei suoi quadri come fossi una tastiera percorsa da un colpo di vento.<br />

Ancora un attimo e la sua materia così buttata poteva colare giù ma egli la<br />

ferma un fiato prima. Comincia insomma la sua opera forse con ingordigia e<br />

la finisce sempre nell’astinenza, e questo press’a poco è lo st<strong>il</strong>e, che de Pisis ha<br />

avuto subito dalla natura come <strong>il</strong> respiro.<br />

«Ricordo di de Pisis», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma, 1956.<br />

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