caratteristiche programmatiche. Sarà soprattutto Bellieni a chiarire nel II congresso del partito nel 1922 <strong>il</strong> proprio concetto di federalismo. «Il riordinamento in senso autonomistico – affermava Bellieni – deve dare luogo ad uno Stato federale. Esempi: la grande Confederazione americana (da notare che Bellieni usa indifferentemente i termini di Confederazione e di Federazione), la Svizzera e la Germania. Quasi tutti gli Stati federali si sono costituiti attraverso un processo storico di coordinazione di diversi Stati sovrani in unico organismo che avoca a sé la sovranità; nel caso dello Stato italiano, <strong>il</strong> processo di trasformazione sarebbe anche un processo di disintegrazione: parti giuridicamente indifferenziate dell’organismo burocratico uniforme, st<strong>il</strong>e francese, assurgerebbero a vita autonoma. Questa rivoluzione – proseguiva Bellieni – può apparire, e in effetti è, nella sua funzionalità, molto pericolosa; però è certo che se essa venisse compiuta contemporaneamente, con profondo senso di italianità, in tutte le Regioni d’Italia, ciò che potrebbe rappresentare desiderio di dissoluzione, sarebbe invece volontà di rinnovamento». (Sembra quasi incredib<strong>il</strong>e la grande attualità che scaturisce dalle parole pronunciate da Cam<strong>il</strong>lo Bellieni ben 85 anni fa!). Da parte di Bellieni (però parlarono su questo tema anche altri importanti esponenti del primo sardismo, quali Luigi Battista Puggioni ed Egidio P<strong>il</strong>ia) vi fu un momento in cui si cercò di trasferire <strong>il</strong> “federalismo interno” (quello cioè relativo dello Stato italiano), per approdare ad un tipo speciale e originale di “federalismo esterno”, proiettato non verso un’Europa di Stati (gli Stati Uniti d’Europa dei federalisti dell’‘800), ma piuttosto verso una Federazione di libere Regioni mediterranee, trasversali agli Stati esistenti. Questa Federazione avrebbe dovuto comprendere, oltre la Sardegna, la Sic<strong>il</strong>ia, la Corsica, la Provenza, la Catalogna, le Baleari e Creta. Non tutti i leaders sardisti condivisero questo progetto. Lussu, ad esempio, secondo la testimonianza di Antonio Gramsci, giudicava utopistica la proposta e se ne dissociava con una punta di garbata ironia. E tuttavia, è suggestivo riflettere sul fatto che una proposta quasi sim<strong>il</strong>e – ben più articolata, dal punto di vista programmatico – verrà fatta 50 anni più tardi dal sardista Antonio Simon Massa, quando, verso la fine degli anni ‘60, parlerà di “Federazione delle Regioni e delle Etnie”. Ma erano quelli, anche gli anni dell’ascesa del Fascismo al potere e lo stesso Mussolini, allarmato per quel tipo di proposta (anche per le complicazioni internazionali che avrebbe comportato, interessando <strong>il</strong> progetto, non solo l’Italia, ma anche la Francia, la Spagna e la Grecia), la denunciò come un’iniziativa separatistica del Partito Sardo d’Azione, nel suo discorso pronunciato alla Camera dopo la Marcia su Roma. Il governo fascista assunse i pieni poteri nel 1926 e, con la soppressione dei partiti d’opposizione, sciolse anche <strong>il</strong> Partito Sardo d’Azione, facendo arrestare <strong>il</strong> suo leader, Em<strong>il</strong>io Lussu (non senza aver prima dato corso al tentativo, solo in parte riuscito, di assorbire i quadri e i m<strong>il</strong>itanti sardisti). Di conseguenza, moriva nell’isola <strong>il</strong> fecondo dibattito impostato dai sardisti sul federalismo, che però si trasferiva in Francia, dove era approdato anche Lussu dopo la sua avventurosa fuga da Lipari. A Parigi, Lussu avrebbe subito fondato, assieme a Carlo Rosselli, <strong>il</strong> Movimento “Giustizia e Libertà”. Sarà proprio nella stampa del Movimento (<strong>il</strong> settimanale omonimo e i “Quaderni di Giustizia e Libertà”) che la tematica <strong>federalista</strong>, specie per opera di Lussu, raggiungerà <strong>il</strong> suo punto più alto di elaborazione programmatica. 18
Nel secondo dopoguerra, <strong>il</strong> Partito Sardo d’Azione confermò la sua opzione <strong>federalista</strong> e <strong>il</strong> dibattito si trasferì all’Assemblea Costituente dove però nonostante la battaglia ingaggiata da Lussu, si consumò la seconda sconfitta del federalismo italiano e si dovette ripiegare per uno Stato a struttura regionale e con la concessione di statuti speciali d’autonomia per le regioni etniche e per le due grandi isole. Nonostante la sconfitta, <strong>il</strong> Partito Sardo d’Azione continuò a propugnare l’idea <strong>federalista</strong> (importanti contributi in materia diedero Gonario Pinna e Luigi Oggiano), anche se dovette accontentarsi di lottare per la difesa di una tiepida autonomia strappata, all’ultimo momento, ad uno Stato rimasto in sostanza centralizzato. Verso la metà degli anni ‘60 si assisterà ad una vera rivoluzione programmatica con l’emergere della figura del sardista Antonio Simon Mossa, <strong>il</strong> propugnatore del “federalismo delle Regioni e delle Etnie” e con la nascita del neo-sardismo. ***** 19
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