Con un cenno m’invitò a correre ed io, immensamente felice, risposi con un sorriso e con un gesto di consenso. Corremmo non so per quanto tempo fino a perdere quasi il fiato, inseguiti dall’amico gabbiano, rincorsi da un indimenticabile tramonto e dall’immensa felicità d’esser diventati amici… I nostri cuori battevano all’unisono scandendo le note di quelle magiche onde che accarezzavano le nostre orme…. Samuel lotterà ancora ed ancora, aspettando sempre di cogliere un sorriso donato a lui con il cuore… il pensiero di chi insieme a lui vorrà coltivare e dividere un’emozione, perché egli non è un “diverso” ma rende “diversi”…. “liberi nello spirito”. Anche il mio cuore aveva aderito perfettamente al suo, come tutti quelli che col cuore d’un bambino sordo riescono ad ascoltare la grande voce dell’amore.
Iasio Lucia Virginia Se provava a chiedersi quale senso poteva avere in quel preciso momento la sua vita sentiva lo stesso smarrimento che molti anni prima aveva provato all’uscita di scuola, sovrastata dalla frenesia della folla ed in disperata ricerca dello sguardo materno; tuttavia in quella sera solitaria non erano bastate le confortevoli parole della madre a placare l’inquietudine. La tortura più grande era la consapevolezza di avere sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivata quella notte insonne il cui unico riparo era la <strong>compagnia</strong> di Baffo, il gatto che qualche anno prima aveva prelevato dal cassonetto della spazzatura. Perché non aveva reagito prima, perché si sentiva in colpa, perché si era fatta così tanto del male? Aveva sempre pensato all’amore come ad una musica con i crescendo e diminuendo, i forti ed i piano, gli accordi melodici e contrastanti ma mai aveva intuito quel sapore amaro del fallimento; eppure si sentiva svuotata ed inerme come una fallita. Ancora le risuonavano nelle orecchie le ultime parole “il problema è tuo, risolvilo, sei tu il problema, non io” ma quando una storia finisce non esiste più alcun problema, in un modo o nell’altro è stato risolto; come avevano fatto ad ignorare per cinque anni i loro giorni no, le loro risposte taglienti, i loro silenzi? Forse doveva smettere di cercare una soluzione logica, perché razionalizzare dei sentimenti? Forse doveva solo farsi trascinare da quella tempesta, non opporsi a quel vortice di rabbia, amore, dolore e sarebbe affiorata con i ricordi più belli. Si alzò dal letto, ormai rassegnata alle occhiaie del giorno dopo, si sedette alla scrivania nel tentativo di trovare conforto in un diario segreto, come quando era ragazzina, ma l’unica cosa che riuscì a scrivere fu il suo nome nel centro della pagina bianca: Virginia; ebbene si sentiva proprio così, nel mezzo di un vuoto esistenziale. 2. L’alba arrivò silenziosa mentre lei sorseggiava il caffé, in un paradossale ossimoro ne percepiva la dolcezza gustandolo amaro; sorrideva pensando che se mai avesse incontrato un uomo capace di comprendere quel sottile piacere allora avrebbe ricominciato a pensare ad una <strong>nuova</strong> storia, diversa da quella che si lasciava alle spalle, ma per il momento sapeva di non correre questo rischio. Spinse tutto ciò che aveva partorito la notte nell’angolo più recondito di se stessa e si preparò ad affrontare un’altra giornata fatta di un lavoro che non le piaceva, scelto per necessità e così tremendamente lontano dall’immagine che aveva a quindici anni del suo mondo da adulta; proprio non capiva come era potuta arrivare a quel punto, incastrata tra un amore sbagliato ed una quotidianità castrante. Con la mente così distratta si vestì tra il rituale serpeggiare mattutino di Baffo che non le dava tregua fino al totale riempimento della ciotola di croccantini; nonostante quel sano opportunismo felino il gatto era l’unico essere che riusciva ad acquietare le angosce di Virginia, regalandole quel senso di pace che aveva provato solo da bambina nelle feste di Natale. Dopo un’ultima occhiata d’intesa con la palla di pelo si tirò la porta alle spalle e con lo stesso spirito di un guerriero che indossa la propria armatura accese il cellulare. Una scarica di bip risuonò nella tromba delle scale del palazzo inducendola a pensare che forse non era l’unica a passare le notti insonni, ed armata di auricolare iniziò il giro di telefonate ai clienti. Tutte le volte che si trovava imbottigliata nel traffico si chiedeva perché aveva scelto di vivere in città, perché non aveva comprato quel piccolo terratetto in campagna ma la risposta era sempre la stessa: per amore aveva messo da parte ogni sua esigenza, solo ora capiva di essere stata la prova evidente di un grande egoismo. Al semaforo inchiodò, fortunatamente mentre scattava il rosso, perché ciò che aveva innescato l’impulso incontrollato sul freno della macchina era stato il numero di telefono registrato in un messaggio del cellulare e non il colore dell’apparecchio stradale. Quelle cifre per un periodo della sua vita avevano rappresentato tutto: l’amicizia, il conforto, l’amore e la delusione. Quante cose erano cambiate da allora e niente era riuscito a farle rivivere, nemmeno in minima parte, quell’atmosfera impalpabile e pura che si creava ogni volta che stavano insieme lei e Matteo, l’unico ragazzo a cui pensava ancora con un profondo affetto. Il loro era sempre stato un rapporto molto intimo anche se non avevano mai fatto l’amore, cresciuti l’uno l’ombra dell’altra si scoprirono reciprocamente gelosi a tredici anni ed arrivarono ai diciotto così, oscillando tra amicizia e baci rubati senza mai chiedersi di più per paura di rovinare un qualcosa di unico e bellissimo, ignari del fatto che prima o poi sarebbe, comunque, finito. Non si sentivano da quasi un anno, lui aveva accettato un lavoro in Giappone e Virginia non sapeva altro se non che si trovava bene ed era molto entusiasta di quell’esperienza; non aveva idea di dove fosse al momento ma fu assalita da un’irrefrenabile voglia di vederlo e stare ore a parlare con lui come ai vecchi tempi. Allo scattare del verde ripartì, con un leggero batticuore che si tramutò in rabbia non appena vide quel nome sul display del telefonino, non capiva perché continuasse a cercarla nonostante non avessero più niente da dirsi, ormai c’era stato l’addio definitivo, quello che non fa tornare più indietro e lei era decisa a recuperare se stessa dopo anni di smarrimento volontario; un tepore si diffuse sul volto fino a bagnarle di sale le labbra, così si ritrovò a piangere, sola e piena di rancore verso quei particolari che riuscivano con troppa facilità ad incrinarle l’animo. Per istinto si aggrappò all’unico antidoto in grado di non farla precipitare nell’angoscia più profonda selezionando un cd dell’autoradio, come fumo impercettibile le note le riempivano il cervello entrandovi dagli occhi, dal naso, dalle