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Calogero Rasa - Cerda nuova compagnia

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stalla, appena riscaldata dal calore dei loro corpi. Ricordò, l’asino, la mano nodosa dell’artigiano che lo guidava, ferma<br />

ma gentile, il peso, lieve, del corpo della donna che trasportava e la sua mano serena e affettuosa accarezzargli il collo.<br />

Ricordò, il bue, il vagito del neonato, così piccolo eppure così immensamente grande, che a fatica il suo fiato umido<br />

riusciva a riscaldare. Ricordarono, i due animali, il cielo cosparso di stelle, una più grande, più luminosa, e l’accorrere<br />

stupito degli uomini.<br />

Per un istante il ricordo di quella notte riempì le loro vite, cancellò dolori e fatiche: condivisero, il bue e l’asino, così<br />

come avevano fatto tanti anni prima, l’emozione di quel momento e la certezza che di quella notte, che per sempre<br />

sarebbe stata ricordata dagli uomini, anche loro facevano parte. Strattonò le redini, il padrone dell’asino, per trascinare<br />

la bestia che sembrava essersi fermata. Lo stesso fece il vecchio contadino e il bue ricominciò a camminare con il suo<br />

passo pesante.<br />

Sul muso delle due bestie sembrava ora essere apparsa una ruga, quasi una smorfia. Chiunque l’avesse notata, avrebbe<br />

pensato ad una smorfia dovuta alla fatica, alla vecchiaia; o ad un involontario fremito nervoso per la percezione istintiva<br />

della loro prossima sorte. Nessun uomo avrebbe mai definito quel verso un sorriso.<br />

Ma gli uomini non sanno quello che c’è nel cuore degli animali.

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