Il concerto della natura accenna ad affievolirsi e si fonde col suono del ney di Mehmet che riprende vigore. Umit lo sente: è come un richiamo a rientrare. Malvolentieri egli dà fine al suo volo e, come una piuma,lentamente si posa sul promontorio. Onde, gigantesche sembrano voler scalare la rocca in un susseguirsi di assalti. Umit le guarda senza alcun timore e fiducioso, col pensiero, le invita a sé. La più vigorosa, finalmente, lo raggiunge, rallenta la sua corsa, con un braccio enorme lo avvolge e, come una grande madre premurosa, dolcemente lo trascina via.
Piazza Francesca Una verità incredibile L’anziana signora era troppo stanca e dolorante, così preferì rimanere in macchina ad attendere che il marito uscisse dal supermercato. La mattina era piuttosto calda, un delizioso venticello denunciava una primavera avanzata riempiendo l’aria d’intensi profumi agresti e regalava agli animi attenti sensazioni già conosciute, sottili brividi di quelle piacevolezze godute negli anni della gioventù. Piacere di soffermarsi ad ammirare un cielo azzurro, di aspirare gli acri odori dei campi di godere del frastuono gradevolissimo degli uccellini sui rami, il profumo delle zagare in fiore e quello più intenso del gelsomino arabo, capace d’inebriare, quasi stordire! Vera, l’anziana signora sussultò a tali pensieri; si chiese se non stesse andando oltre con la fantasia nei suoi ricordi, si compiacque però ugualmente, di riconoscersi appartenere a quella forse limitata sfera d’animi attenti, e quindi provare alla sua età, quei brividi di pacata beatitudine che appagano la mente e scaldano il cuore. Rapita per quel benefico piacere di sentirsi viva sospirò, poi socchiuse gli occhi adagiò mollemente il capo all’indietro sullo schienale e diede vita ai suoi teneri ricordi, infine respirò a pieni polmoni quella dolcissima aria carica d’essenze. Dopo alcuni istanti, ancora pervasa da un languido torpore, schiuse gli occhi pian piano… Fu così che vide il possente albero frondoso locato nella parte finale del vasto parcheggio. Vera non si sa perché ne fu attratta, l’osservò intensamente, le apparve maestoso, magnifico! Subito dopo si accorse di un allampanato smilzo lampione grigio posto vicinissimo al suntuoso albero: le apparve squallido, misero, triste; Vera pensò che volesse nascondere la sua pochezza tra le rigogliose fronde del suo magnifico vicino, quasi si vergognasse di essere posto accanto a tanta bellezza. Improvvisamente senza rendersene conto, prese ad apostrofare il povero lampione con accenti che apparvero sconosciuti alle sue stesse orecchie: “Come osi tu, squallido arnese, stare accanto a tanta possanza? Che ci fai? Non ti accorgi di essere in un posto sbagliato? Vorresti far credere che la pallida luce che tu arrechi possa darti il diritto di stare vicino a questo magnifico esemplare? Fossi in te farei di tutto per andarmene”! Il povero lampione parve arrossire, la sua già sbiadita e screpolata vernice sembrò scolorire e sgretolarsi ulteriormente in un sussulto di sofferenza, ad un tratto emise una flebile e timida vocina e disse:” Mia cara povera signora, non è da te parlare così dei più miseri ed afflitti, tu che conosci la sofferenza dovresti capire e tollerare meglio d’ogni altro le disparità, le ingiustizie! Io sono qui, perché degli uomini mi cinsero ed imbracarono per collocarmi dove tu mi vedi, accanto a quest’altezzoso albero; faccio il mio dovere fornisco luce e chiari sentieri ogni sera favorendo le persone che passano evitandone gli inconvenienti dell’oscurità”. Vera non parve turbarsi alle sommesse parole dell’umile lampione, alzò le spalle e riprese a contemplare l’oggetto della sua ammirazione. Rimase molto tempo in silenzio poi rivolse all’albero il suo dire; questa volta assunse un tono dolcissimo carezzevole e cominciò: “Ti ho tanto osservato e ora vorrei esprimerti tutto il mio compiacimento per la tua bellezza, che sarà sicuramente pari alla tua bontà ed alla tua generosità”. Continuò ancora con accenti densi d’enfasi: “ Tu che svetti in alto, che offri la tua chioma quale rifugio ai teneri uccellini ospitandone i nidi, che offri ombra e ristoro con le tue rigogliose fronde a passanti stanchi ed accaldati, il più delle volte affranti e curvi per il peso degli anni o degli affanni, tu hai tutta la mia ammirazione, quando sembri voler tendere i tuoi capaci e robusti rami come per abbracciare e proteggere il viandante che soffre, quando lo stormire delle tue foglie sembra voler confortare gli animi turbati, quando il loro argenteo luccichio ricorda lacrime di tenerezza e altresì lievi sussurrii di lode e compiacimento per gli animi lieti e sereni”! Dopo aver rivolto queste parole al tanto ammirato albero, cercò di uscire dalla macchina per raggiungere il posto più vicino ad esso, purtroppo non vi riuscì, le sue povere gambe cedettero e dovette <strong>nuova</strong>mente adagiarsi sul sedile della macchina. Il desiderio di recarsi il più vicino possibile al tanto magnificato albero era troppo forte così volle ritentare, ma fu inutile. Una profonda mestizia la colse, e con essa un profondo torpore… Fu allora che udì una voce robusta e profonda che l’apostrofò quasi con insolenza: “ Tu che mi hai tanto incensato credi proprio d’essere tanto sapiente ed infallibile conoscitrice degli esseri viventi? Credi realmente che tutto ciò che hai pensato e detto di me sia pura verità? Cosa sai di me, dei miei pensieri del mio modo di essere, del mio modo di pormi agli altri? Credi e pensi proprio che stare piantato qui, giorno e notte, sotto un sole cocente d’estate ed in inverno esposto alle intemperie, in balia della pioggia e del vento dei fulmini che squarciano la mia chioma, sia un piacere per me? Credi sia un diletto dare ospitalità a ciarlieri noiosi uccelli che turbano il mio riposo sporcano i miei rami? Sopportare il brulichio d’eserciti di formiche che senza tregua percorrono il mio tronco rendendomi impossibile la quiete e il sonno? E no, è ora di finirla con la solita sdolcinata retorica che vuole noi, poveri alberi, creature magnanime e devote sottomesse al servizio ed al benessere dell’uomo! Se ciò avviene è perché lo ha deciso la natura, quella stessa natura che si occupa e decide della sorte degli uomini”! A queste inverosimili dure parole, Vera sembrò destarsi da un lunghissimo torpore. Confusa ed allibita impallidì. Improvvisamente temette di essere stata lei stessa a dare vita a qualcosa d’immorale.