Argentovivo - febbraio 2009 - Spi-Cgil Emilia-Romagna
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hanno convinto: c’era da liberare l’Eritrea<br />
e servivano tanti giovani. Mi hanno<br />
tirato dentro perché vedevo che tanti<br />
giovani venivano ammazzati e portati in<br />
piazza: li legavano con la corda, così in<br />
questo modo il governo etiope cercava di<br />
intimorire la popolazione mostrando la<br />
fine che spetta a quelli che vanno in guerra.<br />
Anche due miei amici sono stati presi,<br />
ammazzati, portati in piazza, legati con<br />
la corda e lasciati lì per due giorni. Così<br />
io sono diventato partigiano, non c’era un<br />
fronte, era la guerra civile.<br />
(…) Ogni tanto l’organizzazione ci dava<br />
i soldi per comperare la sigarette e una<br />
volta all’anno ce ne dava un po’ da mandare<br />
alla famiglia, ma pochissima roba.<br />
Per gli spostamenti usavamo i cavalli, i<br />
cammelli oppure le auto sottratte ai governativi<br />
feriti o morti. Io ho ammazzato<br />
perché se non ammazzavi tu ti ammazzavano<br />
loro, la guerra è guerra e non<br />
è bella, non è cosa bella la guerra, la<br />
guerra è brutta, non auguro a nessuno<br />
di fare la guerra perché ho visto tanti<br />
morti. Quando sono stato ferito nel 1977<br />
eravamo in 1700 soldati e siamo rimasti<br />
in 35, morti tutti. Sopra, gli aerei che<br />
bombardavano, sotto, i carri armati che<br />
sparavano: 1700 morti. È stato un sabato<br />
mattina alle 9, in questo inferno sono<br />
rimasto ferito e poiché non potevo muovermi<br />
perché perdevo sangue e le ossa<br />
mi uscivano dalla carne, sono rimasto lì<br />
per terra fino al lunedì. Quando mi hanno<br />
portato via ormai in stato di semincoscienza,<br />
ero gravissimo. Dopo un po’ di<br />
tempo ho cominciato a riprendermi, ma<br />
l’inizio è stato duro, molto duro.<br />
Nel 1977 l’Eritrea non era ancora una<br />
nazione ma una provincia dell’Etiopia,<br />
e io ero un guerrigliero del “Fronte di<br />
liberazione” che combatteva per la liberazione<br />
dell’Eritrea dall’Etiopia. Di noi<br />
feriti si occupavano gli eritrei attraverso<br />
e per mezzo dell’aiuto di una organizzazione<br />
internazionale. Io non potevo<br />
camminare perché la ferita di arma da<br />
fuoco mi ha paralizzato le gambe e allora<br />
i trasferimenti avvenivano per la maggior<br />
parte in aereo e poiché non avevo<br />
I temi della memoria<br />
nessuno, niente fratelli, niente cugini,<br />
completamente solo, di me si occupava<br />
l’organizzazione guerrigliera e devo dire<br />
che sono stato trattato sempre bene anche<br />
se alcuni ospedali non erano molto<br />
buoni. Per esempio nell’ospedale militare<br />
di Bagdad è stata dura, molto dura,<br />
e anche in Siria non ho ricevuto molte<br />
cure anche perché eravamo molti e tutti<br />
feriti gravi. (…)<br />
La campanella<br />
Cittadini attivi, ma come?<br />
Ce lo spiega Foa<br />
Io non volevo emigrare ma sono stato costretto<br />
per motivi di salute, a causa di<br />
questa ferita di arma da fuoco che mi ha<br />
costretto su una sedia a rotelle e che ogni<br />
tanto si riapre creandomi tuttora non pochi<br />
problemi.<br />
Non ho però nostalgia del mio paese di origine,<br />
mi spiace ma non ce la faccio, i ricordi<br />
sono troppo brutti, ricordo sempre ma<br />
sono troppo brutti.<br />
Grazie alla bella intervista del luglio 2008 di Anna Maria Pedretti a Vittorio<br />
Foa, tre mesi prima della sua scomparsa, pubblicata sul numero di gennaio<br />
di Argento Vivo, posso ritornare su un tema che mi è sempre stato molto<br />
a cuore e che Vittorio ha esposto con la semplicità della sua saggezza e<br />
l’autorevolezza della sua testimonianza di vita. “Come possiamo utilizzare<br />
i vecchi? Rivolgiamoci ai pensionati non chiedendo loro “di che cosa avete<br />
bisogno?” ma domandando “che cosa potete dare voi alla società”… perché<br />
i pensionati possono essere disponibili a molte cose … preziosissime<br />
se lo Stato decidesse di creare una serie di strumenti - di coordinamento,<br />
di servizio sul territorio…(certo parlo di diverse età: se hanno 97 anni non<br />
possono far molto, ma se ne hanno 56…). Per i vecchi - e gli immigrati – ci<br />
vuole un costante e attento lavoro – sul territorio, nelle zone - “bisogna informarsi<br />
su come la persona vive, discutere con lei e con la sua famiglia …<br />
sapendo che le cose cambiano nel tempo, cioè che dopo un mese, un anno<br />
non è detto che la situazione sia la stessa… Ora io avevo sostenuto una tesi,<br />
molti anni fa, che era quella di dare a tutti gli uomini e le donne il compito<br />
di dedicare un anno della loro vita a un servizio collettivo – servizio civile<br />
obbligatorio – l’obbligo è che ognuno deve dare un pezzo della sua vita per<br />
gli altri - il sindacato non ne ha voluto sapere, lo ha respinto con l’idea che<br />
qualunque cosa succeda deve essere pagata da un contributo, mentre io<br />
penso che molte cose vengono date e incidono sul bilancio dello Stato senza<br />
che io paghi il contributo. … Ora, a mio giudizio, sarebbe possibile gradatamente,<br />
nello spazio di due o tre anni, creare le condizioni perché ragazzi e<br />
ragazze, uomini e donne per un anno si dedichino a dei servizi civili che vuol<br />
dire: occuparsi dei vecchi, portare a scuola i bambini, supplire alle esigenze<br />
famigliari. … Secondo me, se questa organizzazione di servizi viene fatta<br />
in modo capillare da un lato hai il lavoro volontario dei giovani, dall’altro<br />
hai le forze per sostenere l’impegno di aiutare i vecchi” col coordinamento<br />
dei giovani pensionati che volontariamente si prestano. “Mi è stato chiesto<br />
come faccio io avendo quasi 100 anni ad occuparmi di tutto questo: è la mia<br />
vita, non posso farne a meno!”.<br />
Miriam Ridolfi<br />
<strong>Argentovivo</strong> <strong>febbraio</strong> <strong>2009</strong><br />
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