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soprattutto parli al contempo per noi. Parlare del linguaggio, dei nostri concetti, non è citare<br />

statistiche sugli usi prevalenti di <strong>un</strong>a parola o fare indagini in merito, vuol dire piuttosto<br />

affrontare noi stessi in quanto parlanti, chiederci ciò che diremmo in <strong>un</strong> dato caso, come<br />

adopereremmo e adoperiamo quel termine, che cosa che conterebbe come corretto lì e proprio<br />

lì e provare così a parlare per noi, fra (intra)dialogo e interrogazione, e quindi per gli altri. Tutto<br />

ciò che abbiamo a disposizione, al termine delle ragione e delle parole, siamo noi stessi, come<br />

soggetti sì ma senza solipsismi di sorta, piuttosto impegnati app<strong>un</strong>to in giochi proiettivi e di<br />

immaginazione mai specularmente identici o solo auto-riferiti, ché già il linguaggio e l’immagine<br />

mettono in campo <strong>un</strong> qualcosa d’altro. Noi stessi siamo già d<strong>un</strong>que linguaggio e metalinguaggio,<br />

soggetto ed intersoggetto, affermazione e consenso possibile, primari e secondari<br />

come la filosofia. Come ha scritto in merito alla filosofia wittgensteiniana, al suo ricorrere al<br />

soggetto come alla com<strong>un</strong>ità, il filosofo stat<strong>un</strong>itense Stanley Cavell:<br />

Se io devo trovare la mia voce devo parlare per gli altri, e consentire agli altri di parlare per me: l’alternativa a<br />

parlare per me stesso in modo rappresentativo (per il consenso di qualc<strong>un</strong> altro) non è: parlare per me stesso<br />

privatamente. L’alternativa è non avere niente da dire, essere senza voce e neppure essere muti. 4<br />

L’intersezione di cui prima parlavamo fra le due modalità del linguaggio, il suo essere metodo<br />

e oggetto della filosofia, è d<strong>un</strong>que <strong>un</strong>’intersezione di piani del soggetto stesso che prende le<br />

distanze da sé ma app<strong>un</strong>to per parlare di sé e per sé, aprendo così la possibilità del linguaggio,<br />

della domanda e del dialogo, ovvero la possibilità che l’altro – che è già il sé come oggetto<br />

– parli per lui, di lui e con lui di <strong>un</strong>a realtà che diviene dicibile e di cui si possono tracciare<br />

dall’interno i limiti e le sue altre possibilità. Un luogo è <strong>un</strong> linguaggio si intitolava la acuta e<br />

disarmante postfazione/saggio che Giorgio Manganeli scrisse per Flatlandia (logico e divertito<br />

racconto ottocentesco dell’abate inglese Edwin Abbott, in cui <strong>un</strong> abitante di <strong>un</strong> mondo bidimensionale<br />

entra in contatto con quelli a tre o ad <strong>un</strong>a dimensione): ebbene la filosofia stessa è<br />

app<strong>un</strong>to entrambi, in essa luogo e (meta)linguaggio coincidono, è qualcosa in cui ci possiamo<br />

trovare, ri-trovare e quindi riconoscere – come scrisse sempre Cavell è l’educazione degli adulti,<br />

la capacità di pensare largamente – ma in cui possiamo essere ingabbiati identificandoci<br />

specularmente con essa. Porta infatti con sé gli stessi rischi tirannici di eliminazione dell’alterità<br />

che Manganelli trovava nel linguaggio ed in particolare nel suo continuo ipotetico riferirsi<br />

negativamente ad <strong>un</strong> altro luogo, ad altri mondi alternativi, perché «ogni linguaggio “sa” che<br />

altri sistemi linguistici sfidano la sua totalità; che infiniti possibili “come se” si pongono come<br />

alternativi, […] sono legati da <strong>un</strong> conflitto formale, irrisolvibile»; 5 d<strong>un</strong>que il gioco filosofico solo<br />

se conscio del contatto analogico con l’altro dato dal “come se” e dalla sua apertura immaginativa,<br />

solo se consapevole e compartecipe della «polifonia di <strong>un</strong>a sola voce» (Dávila, dalla<br />

citazione iniziale) del soggetto pensante informalmente contraddittorio e conflittuale, riesce<br />

ad abbracciare i diversi piani di realtà compossibili ed a trovare la propria dimensione.<br />

senonlamail@gmail.com<br />

1 E. Garroni, Senso e Paradosso, Roma-Bari, Laterza, 1995, p.113.<br />

2 Ibidem, pp.96-97, grassetto mio.<br />

3 Per la cronaca, è il titolo di <strong>un</strong> raccolta di viaggi di Giorgio Manganelli ora pubblicata da Adelphi.<br />

4 S. Cavell, La riscoperta dell’ordinario, Roma, Carocci, 2001, p.74.<br />

5 G. Manganelli, La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi, 2004, p.49.<br />

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