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marzo ’08<br />
Pensiero, parola, assenza, morte.<br />
Note al margine di Sopra-vivere e Glas<br />
1. Pensiero<br />
Heidegger:<br />
solo finché la radura [Licht<strong>un</strong>g, d<strong>un</strong>que<br />
anche illuminazione] dell’essere avviene<br />
(sich ereignet) l’essere si trasmette (übereignet<br />
sich) all’uomo. Ma che il «ci», la radura<br />
[l’illuminazione] della verità dell’essere<br />
stesso, avvenga, è destinamento (Schick<strong>un</strong>g)<br />
dell’essere stesso.<br />
Achille Castaldo<br />
Hegel sapeva ballare? La domanda è<br />
più oscura di quanto non si creda.<br />
J. Derrida<br />
Blanchot:<br />
Ecco <strong>un</strong>o dei suoi giochi. Mi mostrava <strong>un</strong>a<br />
porzione di spazio, tra la parte alta della<br />
finestra e il soffitto: «Voi siete là», diceva.<br />
Io guardavo quel p<strong>un</strong>to con intensità. «Ci<br />
siete?» Lo guardavo con tutta la mia forza.<br />
«Ebbene?» Sentivo fremere le cicatrici del<br />
mio sguardo, la mia vista diveniva <strong>un</strong>a<br />
piaga, la mia testa <strong>un</strong> buco, <strong>un</strong> toro sventrato.<br />
Subito ella gridava: «Ah, io vedo il<br />
giorno, ah Dio», ecc. Io protestavo perché<br />
questo gioco mi affaticava enormemente,<br />
ma lei era insaziabile della mia gloria.<br />
Nei frammenti che seguono, verranno presi brevemente in esame due testi di Derrida, Sopravivere<br />
e Glas.<br />
Sopra-vivere è incentrato su due enigmatici racconti di Maurice Blanchot, L’Arrêt de Mort (La<br />
sentenza di morte) e La Folie du Jour (La follia del giorno), incrociati con The Triumph of Life,<br />
l’ultimo e incompiuto poema di Shelley. Derrida sdoppia la pagina in <strong>un</strong> sopra e <strong>un</strong> sotto,<br />
rendendo così visibile il margine attraverso cui (e in virtù del quale) il testo continuamente<br />
deborda: Diario di bordo è il significativo titolo della sezione inferiore (il testo vive al di sopra<br />
di essa), che affronta problemi relativi alla possibilità e all’impossibilità della traduzione.<br />
Ma prima brevemente L’Arrêt de Mort: si tratta in realtà di <strong>un</strong> doppio racconto, costituito da<br />
due parti speculari, in misteriosa com<strong>un</strong>icazione fra loro, eppure apparentemente del tutto<br />
estranee. Nella prima ci troviamo di fronte a <strong>un</strong> narratore (ma qui, se fosse consentito allargare<br />
il discorso, sarebbe da considerare la distinzione posta da Blanchot tra voce narrante e voce<br />
narrativa) che dice je, che ci racconta <strong>un</strong>a storia avvenuta anni prima: il suo rapporto con <strong>un</strong>a<br />
donna mortalmente malata, J., che egli riporta in vita e poi nuovamente riconduce alla morte.<br />
A seguire, separata da <strong>un</strong>o spazio bianco che Derrida considera imene, d<strong>un</strong>que separazione<br />
e insieme com<strong>un</strong>icazione, la seconda parte, dove je narra il suo rapporto sospeso tra vita e<br />
morte con <strong>un</strong>’altra donna.<br />
Quello che importa qui, è come venga letta la sospensione che è il vero fulcro di ciò che<br />
accade. Innanzitutto ci troviamo ad affrontare <strong>un</strong> problema metatestuale. Quello che Derrida<br />
gnommeri 11