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marzo ’08<br />

con pantofole arroventate, in <strong>un</strong>a fiaba come Le scarpette rosse di Hans Christian Andersen è<br />

la protagonista, colpevole di avere indossato le scarpe rosse in chiesa, che deve ballare senza<br />

sosta e infine subire la mutilazione dei piedi.<br />

Con le sue 156 fiabe, pubblicate tra il 1835 e il 1872, Andersen entra nel canone dei classici,<br />

accanto al binomio Perrault-Grimm. Andersen crea <strong>un</strong>a fiaba nuova, <strong>un</strong>endo elementi degli<br />

autori romantici a sp<strong>un</strong>ti autobiografici, con <strong>un</strong>a forte componente di riscatto personale. Zipes<br />

definisce Andersen <strong>un</strong> campione della socializzazione, <strong>un</strong> prosecutore e <strong>un</strong> innovatore del<br />

«canone di fiaba letteraria per bambini e adulti in lode dell’ideologia essenzialista e dell’etica<br />

protestante» 5 . Andersen scrive con esplicito intento didattico, si rivolge a <strong>un</strong> pubblico più di<br />

adulti che direttamente di bambini, inserisce massicciamente il tema religioso nel discorso<br />

fiabesco – come si è visto, con intenti di ammonimento molto marcati – e, da dominato di umili<br />

origini, aspira al riscatto tutto individuale dell’accettazione da parte della classe dominante. A<br />

quell’epoca, nota ancora Zipes, il pregiudizio della classe media contro il carattere fantastico<br />

della fiaba viene meno, con il «graduale riconoscimento del fatto che la fantasia poteva essere<br />

impiegata per le esigenze utilitaristiche della borghesia» 6 . Un concetto centrale nell’opera di<br />

Andersen è quello di nobiltà naturale, dell’attitudine innata che porta ad elevarsi al di sopra<br />

della propria condizione per <strong>un</strong>irsi a chi è veramente affine, come accade nel Brutto anatroccolo,<br />

chiaramente a carattere autobiografico 7 .<br />

Vediamo ora come e perché Oscar Wilde, con altri autori anglosassoni di fine Ottocento,<br />

abbia giocato a rovesciare e parodiare Andersen, ben presto assurto al rango di classico, nelle<br />

sue raccolte di fiabe, Il principe felice e altri racconti (1888) e Una casa di melograni (1891).<br />

La fiaba d’autore di Wilde prende certo Andersen come modello di riferimento (ad esempio, il<br />

personaggio della piccola fiammiferaia nel Principe felice), ma mira a criticare invece che a legittimare<br />

il processo di civilizzazione. All’ideologia essenzialista, che fonda la gerarchia sociale<br />

su <strong>un</strong> ordine biologico naturale, Wilde contrappone <strong>un</strong>’utopia socialista-religiosa, esposta nel<br />

saggio L’anima dell’uomo sotto il socialismo (1891) e illustrata in fiabe come Il gigante egoista,<br />

«forse il suo più intenso pron<strong>un</strong>ciamento sui rapporti capitalisti di proprietà e sul bisogno di<br />

ristrutturare la società sulla base di criteri socialisti» 8 . La prospettiva ideologica polemica si<br />

esprime spesso mediante il rovesciamento (Zipes parla di sovversione) delle trame e dei temi<br />

anderseniani ben noti al lettore. Ad esempio, Il pescatore e la sua anima è in tutto speculare<br />

alla Sirenetta: se nella fiaba di Andersen è la sirena a entrare nel mondo degli uomini per<br />

acquistare <strong>un</strong>’anima immortale, subendo la mutilazione e la sofferenza, qui il pescatore deve<br />

liberarsi della propria anima sfidando il parere della chiesa e della società per vivere nel mare.<br />

È il corpo ad essere sede dei sentimenti positivi, mentre l’anima induce al peccato in quella<br />

che si può leggere come <strong>un</strong>a parodia delle tentazioni di Cristo, oltre che come <strong>un</strong>a ripresa del<br />

mitologico giudizio di Paride. Il brutto anatroccolo trova il suo rovesciamento parodistico nel<br />

Figlio della stella: al cigno incompreso dagli inferiori e accettato dai suoi veri simili corrisponde<br />

<strong>un</strong> bellissimo figlio di re vanitoso e crudele che maltratta chi è meno fort<strong>un</strong>ato di lui finché<br />

non viene p<strong>un</strong>ito nell’aspetto. Dietro questa coppia di fiabe troviamo il mito di Narciso, di cui<br />

Il brutto anatroccolo è <strong>un</strong> rovesciamento: l’anatroccolo si conosce come cigno nel riflesso<br />

dell’acqua, e cioè si scopre uguale agli uccelli da lui ammirati, ma la conoscenza di sé non gli<br />

è fatale, è anzi la ricompensa delle sue disgrazie e comporta l’accettazione definitiva nel ruolo<br />

che gli compete. Per il figlio della stella si rivela invece salvifica la presa di coscienza, sempre<br />

nel riflesso dell’acqua, della propria bruttezza, mentre il recupero della bellezza (del quale fa<br />

fede <strong>un</strong>o scudo-specchio) porta ad <strong>un</strong> finale solo parzialmente lieto: «peraltro egli non regnò<br />

a l<strong>un</strong>go: così grande era stata la sua sofferenza e così violento il fuoco della sua prova, che in<br />

capo a tre anni morì. E il suo successore fu <strong>un</strong> pessimo re» 9 . Un’altra agnizione davanti allo<br />

specchio, grottesca parodia di quella di Narciso, e altrettanto fatale, è quella del nanetto de-<br />

il diavoletto di Maxwell 51

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