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Luigi Nacci<br />

In questa trilogia anche Luigi Nacci si muove nell’orizzonte del post-umano, <strong>un</strong> orizzonte declinato<br />

in senso epico, dove, nel tentativo ricostruttivo che la parola mette in atto, si squadernano<br />

i bordi di <strong>un</strong> tessuto etico.<br />

Eppure la ricompattazione delle tracce sembra il compito affidato a <strong>un</strong> cadavere, come è<br />

forse sottolineato dal ritmo da ballata del primo componimento (organizzato nella sigla minacciosa<br />

del refrain), espressione di <strong>un</strong> Io ancora ansioso di tenersi a galla, ma già costretto a fare<br />

i conti con <strong>un</strong> cupio dissolvi che lo marca stretto.<br />

È poi evidente che ci si trova di fronte a <strong>un</strong> rito, d<strong>un</strong>que di fronte ad <strong>un</strong>a classificazione<br />

simbolica, dove lo strumento della ripetizione diviene tecnica di insegnamento ma anche segnale<br />

di morte, rovesciato però nell’utilizzo del tempo futuro che, ambiguamente, ricatta il rito<br />

stesso preparando così il campo alla fase successiva: quella della metamorfosi.<br />

Ma è poi davvero <strong>un</strong>a fase successiva? Non è forse tutto intricato? La Voce che dà <strong>un</strong>ità<br />

all’opera e l’orchestrazione dei piani e dei personaggi che ne segnalano la dialogicità?<br />

I nomi da fare sono certo quelli di Pagliarani, di <strong>un</strong> certo Caproni, ma la saturazione scenografica<br />

priva di raccordi sintattici porta <strong>un</strong> gradino sopra gli altri Corrado Govoni: è <strong>un</strong>a scena<br />

nominale affollata che risente di <strong>un</strong> certo gusto liberty vissuto in <strong>un</strong>a simpatetica riedificazione<br />

d’antan. Lo slegamento del tessuto sintattico (presente in parte anche nel secondo e nel terzo<br />

componimento) presuppone <strong>un</strong>a poesia dove le «cose», abbandonate spesso nella loro nudità<br />

fenomenica, si rivelano feticci implosi del senso, ma proprio in virtù di ciò memorabili e non<br />

crepuscolari. E a fare al futuro <strong>un</strong> poemetto della memoria viene fuori la lezione della sconfitta,<br />

fondo urlante dell’intera opera del triestino Nacci.<br />

INTER NOS. Trilogia del prima e del dopo (2005-2006)<br />

I<br />

Avrai poche cose ma quelle le avrai:<br />

la forfora nei vasetti, i ciuffetti<br />

di sebo, il pelo perso a primavera.<br />

L’urna che mi conterrà non la mettere<br />

nell’atrio: scoperchiala presto, riempila<br />

di bora, fanne <strong>un</strong>a fioriera<br />

di cicloni. Stappali i vini,<br />

versali a terra, allaga il corridoio:<br />

chiama alla festa il condominio.<br />

Avrai poche cose ma quelle le avrai:<br />

febbri psicosomatiche, cirrosi<br />

aut<strong>un</strong>nali, climatiche sciatalgie.<br />

Della mia collezione di tumori<br />

salva i pezzi più rari.<br />

Un paio di aritmie le ho lasciate<br />

sotto il materasso matrimoniale:<br />

aggiustale come puoi. Ma l’infarto<br />

sotto il cuscino no, lascialo stare.<br />

62<br />

Avrai poche cose ma quelle le avrai:<br />

i carteggi con il nano, con l’orco,<br />

col vecchio cieco del piano di sotto.<br />

A quelli del circo non dire niente,<br />

piangerebbero troppo. Sul mio cippo<br />

scrivi: qui giace temporaneamente<br />

<strong>un</strong>o che ce l’avrebbe pure fatta.<br />

Non aggi<strong>un</strong>gere niente.<br />

Girati, allontanati via di fretta.<br />

Avrai poche cose ma quelle le avrai:<br />

le multe della biblioteca,<br />

i segnalibri parlanti di notte.<br />

Farai fatica a respirare<br />

d’estate. Più di sette, tanti, troppi<br />

saranno i giorni della settimana.<br />

Sfoglierai calendari come petali.<br />

Costruirai <strong>un</strong>’altalena di nascosto<br />

per venirmi a cercare sugli scivoli.

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