Quel che resta di Kindu ono passati 50 anni dai tragici giorni di Kindu. Quello che resta non è, <strong>per</strong> l’<strong>Aeronautica</strong> S<strong>Militare</strong>, solo qualche foto sbiadita, ma ciò che fece da cornice a quei drammatici eventi: <strong>la</strong> prima missione internazionale che <strong>la</strong> Forza Armata affrontava dopo il secondo conflitto mondiale. Fu un impegno notevole. Sotto il mantello dell’ONU cominciavano a concretizzarsi quel<strong>la</strong> serie di interventi di tipo umanitario, oggi genericamente identificati dal grande pubblico nelle attività di “peace-keeping”, necessari <strong>per</strong> il mantenimento di qualcosa di più di una semplice parvenza di coesistenza civile in un mondo, purtroppo, da sempre sconquassato da guerre e conflitti etnici. In Congo, allora, <strong>la</strong> situazione era dis<strong>per</strong>ata; i nodi da districare troppi e tutti complessi, anche <strong>per</strong> un’organizzazione come quel<strong>la</strong> delle Nazioni Unite, che scontava tra l’altro una certa ines<strong>per</strong>ienza di fondo. Troppe poi le divergenze interne e molteplici gli opposti interessi, soprattutto economici, in gioco. La possibilità che potesse verificarsi una tragedia nel<strong>la</strong> tragedia era, vista col senno del poi, molto alta. Poteva succedere e accadde. La Forza Armata in quel<strong>la</strong> o<strong>per</strong>azione si era prodigata oltremodo, <strong>la</strong>vorando sempre al limite delle possibilità di uomini e mezzi, raccogliendo il p<strong>la</strong>uso internazionale. Ma, in quel fatale 11 novembre 1961, pagò un prezzo sa<strong>la</strong>to. La notizia del brutale massacro dei 13 aviatori a o<strong>per</strong>a di una soldataglia eccitata e fuorviata da false informazioni colse il Paese di sorpresa. Era l’Italia del boom economico, un’Italia che aveva col <strong>la</strong>voro e l’ingegno su<strong>per</strong>ato i tempi bui del<strong>la</strong> guerra, a<strong>per</strong>to nuovi orizzonti ai propri figli e che, soprattutto, voleva dimenticare i lutti e le distruzioni di un quindicennio prima. I drammatici resoconti, le cronache giornalistiche che non risparmiarono i dettagli più raccapriccianti del massacro fecero inorridire e sussultare <strong>la</strong> Nazione, che si strinse idealmente alle famiglie dei caduti, in un’incredibile gara di solidarietà. Ma come spesso accade da queste parti, quel che seguì furono l’oblio collettivo e le polemiche sterili, parzialmente compensati da riconoscimenti tardivi. Per noi, ricordare Kindu è sempre motivo di commozione e orgoglio; farlo a 50 anni di distanza, con questo libro, è un’occasione <strong>per</strong> offrire alle generazioni presenti e future un utile strumento affinché <strong>la</strong> memoria possa rinnovarsi e mai <strong>per</strong>dersi. Soprattutto, si s<strong>per</strong>a che il riproporre <strong>la</strong> narrazione di questi avvenimenti, che solo apparentemente possono sembrare appartenere a un tempo lontano, sia monito e sprone <strong>per</strong> tutta <strong>la</strong> comunità nazionale a riflettere sul fatto che <strong>la</strong> via <strong>per</strong> il mantenimento del<strong>la</strong> pace non è solo <strong>la</strong>stricata di buone intenzioni, ma da atti e fatti concreti; e che su quel difficile cammino può, purtroppo, capitare di seppellire piccoli grandi eroi del quotidiano. Così è stato a Kindu, così come lo è stato a Nassiriya. E allora si capisce come mezzo secolo sia stato, <strong>per</strong> l’<strong>Aeronautica</strong> <strong>Militare</strong>, solo un attimo trascorso sul<strong>la</strong> via del dovere.
ECCIDIO DI KINDU: 50 anni fa <strong>la</strong> tragedia degli aviatori italiani