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LA BATTAGLIA DI RAVENNA - Mario Traxino

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Il posto di Gaston de Foix al comando dell’armata fu preso da La Palisse, che ebbe il<br />

suo da fare per imporre la sua autorità agli ufficiali sopravvissuti alla carneficina e<br />

decise di aspettare ordini dal re. Ravenna si arrese a patti, ma fu orrendamente<br />

saccheggiata dalla soldataglia ormai incontrollabile e che attribuiva all’ostinata<br />

resistenza dei ravennati la colpa di quanto era accaduto.<br />

Per spiegare i delicati momenti immediatamente successivi alla battaglia è<br />

importante anche quanto scrive Francesco Vettori, che parlò con alcuni dei<br />

protagonisti di quelle giornate che avrebbero potuto decidere le sorti della guerra:<br />

“Essendo morto, combattendo con grande ardimento, Gaston de Foix e rimasta<br />

l’armata di Francia ad essere guidata da più capi, dei quali alcuni erano italiani, essi<br />

subito, come sono abituati a fare, cominciarono a entrare in discordia fra loro e,<br />

invece di sfruttare la vittoria, consumarono il tempo in infinite discussioni e dispute<br />

finendo così per perdere l’occasione favorevole” (55).<br />

“Tutti possono immaginare - scriverà tre anni dopo Gianandrea Prato - quanto<br />

affanno e quanta paura abbia provato il Papa alla notizia dell’esito della battaglia di<br />

Ravenna e il sollievo che sentì quando fu informato della morte di Gaston de Foix,<br />

cosa di cui egli dovette veramente ringraziare Dio perché, se fosse vissuto, si crede<br />

che Sua Santità avrebbe perso lo stato e la mitria” (56).<br />

La vittoria di Ravenna non tardò a rivelarsi effimera. Alle gravissime perdite subìte e<br />

ai contrasti fra i comandanti sopravvissuti alla battaglia si aggiunsero l’indecisione di<br />

Luigi XII - prima favorevole a una sosta nelle operazioni militari per avviare trattative<br />

col Papa, poi contrario, quando si accorse che questi intendeva solo guadagnare<br />

tempo - e specialmente il ritiro dei lanzi deciso dall’imperatore Massimiliano.<br />

A giugno ventimila elvetici, assoldati da Giulio II grazie al cardinale Schiner, discesero<br />

dalla valle dell’ Adige e, superata la linea del Mincio, dilagarono nel territorio del<br />

ducato di Milano.<br />

Dopo aver inutilmente approntato nuove linee di difesa, i comandanti dell’armata di<br />

Francia presero atto dell’impossibilità di fermare l’avanzata nemica e decisero di<br />

ritirarsi oltre le Alpi.<br />

Mentre fra i vincitori cominciavano le trattative che avrebbero portato, nel<br />

dicembre successivo, a Milano, sotto la protezione elvetica, Massimiliano Sforza, il<br />

primogenito di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, Giano Fregoso entrava in Genova<br />

a nome della Lega con quattromila tra fanti e suoi partigiani e vi era eletto doge.<br />

Contemporaneamente il concilio voluto dagli “scismatici”, iniziato a Pisa e<br />

proseguito prima a Milano e poi ad Asti, si concludeva il 27 giugno a Lione in un<br />

totale fallimento.<br />

Se i presìdi lasciati dai francesi in alcune fortezze facevano prevedere in tempi brevi<br />

un’offensiva per riprendere i territori perduti, le dimensioni della sconfitta erano tali<br />

da non lasciare speranze a chi si reggeva sull’appoggio di Luigi XII.<br />

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