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LA BATTAGLIA DI RAVENNA - Mario Traxino

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accanto all’argine del fiume e gittatisi per suo comandamento distesi in terra, non<br />

potevano essere percossi. Gridava con alta voce Fabrizio (Colonna), e con<br />

spessissime imbasciate importunava il viceré (Raimundo de Cardona), che senza<br />

aspettare di essere consumati da’ colpi delle artiglierie si uscisse alla battaglia; ma<br />

ripugnava il Navarra, mosso da perversa ambizione, perché presupponendosi dovere<br />

per la virtù de’ fanti spagnuoli rimanere vittorioso, quando bene fussino periti tutti<br />

gli altri, riputava tanto augmentarsi la gloria sua quanto più cresceva il danno<br />

dell’esercito. Ma era già tale il danno che nella gente d’arme e ne’ cavalli leggieri<br />

faceva l’artiglieria che più non si poteva sostenere; e si vedevano, con miserabile<br />

spettacolo mescolato con gride orribili, ora cadere per terra morti i soldati e i cavalli<br />

ora balzare per aria le teste e le braccia spiccate dal resto del corpo. Però Fabrizio,<br />

esclamando: “Abbiamo noi tutti vituperosamente a morire per la ostinazione e per<br />

la malignità di uno marrano? Ha da essere distrutto tutto questo esercito senza che<br />

facciamo morire uno solo degli inimici? Dove sono le nostre tante vittorie contro a’<br />

franzesi? Ha l’onore di Spagna e di Italia a perdersi per uno Navarro?” spinse fuora<br />

del fosso la sua gente d’arme, senza aspettare o licenza o comandamento del<br />

viceré” (Francesco Guicciardini, “Storia d’Italia” libro decimo, cap. XIII). “Sed<br />

Navarrus fatali pertinacia, salutari consilio nequaquam animum inflexit, utpote qui<br />

sub aggere depresso tutoque loco constitutis legionibus sibi omnino expectandos<br />

hostes, non ultro invadendos importuna ratione decreverat, ita ut exitiali proposito<br />

deserviret, nihil tanta et miserabili equitatum clade commoveretur. Confisus etenim<br />

mirifice militum virtuti et carrorum item munimentis, in animum caeca obstinatione<br />

perversum induxerat, se deletis etiam equitibus uno incolumi peditatu victoria haud<br />

dubie, nequaquam communicata cum sociis laude, potiturum. Adiuvit etiam<br />

obstinati hominis insaniam suorum tormentorum respectus, quae perite collocata,<br />

emissaque strenue, Gallicum peditatum, velut clades alternante fortuna, perquam<br />

effuse prosternebant. Fabritius fremens et gemens, ubitotum equitatum<br />

animadvertit ingenti ea clade perturbatum, et multos duces in oculis crudeliter<br />

interfectos, ne inglorius caderet, cum globo reliquorum equitum in consertos hostes<br />

incurrit...” (Giovio, III, pp. 53-54). Lo scontro fra le gendarmerie si svolse – secondo<br />

Jacques de Mailles, il Loyal Serviteur, testimone oculare della battaglia – “en ung<br />

beau champs” (p. 42), forse il “Campatel” di cui si scrive alla nota 54. Per uscire dal<br />

campo trincerato i gendarmi spagnoli (almeno quelli guidati da Antonio de Cardona,<br />

marchese della Palude) dovettero passare su un terreno ricco di fossi e di rovi che<br />

ne disturbò fortemente i movimenti e non permise loro di giungere compatti al<br />

combattimento (Giovio, II, p. 292).<br />

32) “El signor vicerè (Raimundo de Cardona) senza dirme mandò el conte de Monte<br />

Lione (Ettore Pignatelli) a Carviale (Alonso Carvajal) che se atachase con el<br />

retrovardia, et il medesimo feze intendere al marchexe de la Padula (Antonio de<br />

Cardona) che fazese con la bataglia senza ch’io lo sapese; et vedendo io questi dui<br />

squadroni andar ad atacharsi, che lo parer mio saria stato che fossino retirati drieto<br />

anche per fuzir l’artelaria, dubitando che non potriano resister, come fu, rezerchai el<br />

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