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Zygmunt Bauman LA DECADENZA DEGLI ... - SEPHIROT

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avevano alcun fondamento proprio né una flessibilità sufficiente per riconvertirli facilmente al servizio di<br />

un governo e di un sistema legale centralizzati che superassero i confini delle proprietà nobiliari.<br />

In un recente studio, Ellery Schalk ha scoperto che all'inizio dell'epoca moderna nella storia francese la<br />

nobiltà «era considerata una professione o una funzione, qualcosa che si esercitava, piuttosto che qualcosa<br />

che si ereditava» (7). In realtà, Schalk ha raccolto una vasta documentazione che dimostra in modo<br />

inequivocabile che la nobiltà era percepita (e concepiva se stessa) come entrambe le cose nello stesso<br />

tempo, strettamente legate. Una unione così stretta, indivisibile, tra «ereditare» ed «esercitare» costituiva<br />

il tratto più notevole nella sua immagine e formula di legittimazione. Furono la necessità di scegliere fra i<br />

due aspetti, e la possibilità di concepire l'«ereditare» senza l'«esercitare» (e, prima o poi, viceversa) che<br />

segnarono la fine dell'epoca della supremazia aristocratica e aprirono la strada a una nuova élite.<br />

La nobiltà entrò nell'età moderna come la «classe guerriera». Le due nozioni restarono a lungo sinonimi,<br />

fintanto che le due categorie di uomini che esse designavano coincisero, in virtù della professione militare<br />

praticata e monopolizzata dai membri di famiglie nobili. Nei primi scritti moderni questa sinonimia è<br />

espressa, argomentata e difesa: già un sinistro presagio del divorzio incombente. Per tutto il secolo<br />

sedicesimo, il discorso della legittimazione aristocratica fu incentrato attorno ai concetti di "race" e di<br />

"vertu"; il primo equivale a quello che sarà in seguito noto come il «pedigree», mentre il secondo non si<br />

discosta dall'etimologia latina (da "vis", forza, a "vir", uomo, il maschio; "vertu" aveva il significato<br />

sottinteso di valore, combattività, maestria: il significato che diamo ancora alla nostra idea in qualche<br />

modo civilizzata di "virtuoso". All'inizio dell'età moderna, il valore compreso nella "vertu" aveva soltanto<br />

un uso militare; i detentori di "vertu" erano cavalieri; "vertu" era un attributo necessario ai soldati). Si<br />

presume che la nobiltà sia una combinazione di "race" e "vertu". Ma la stessa articolazione dell'unione e<br />

l'insistenza con la quale essa viene riaffermata in pubblicazioni sempre più numerose lascia pensare che ci<br />

possano essere casi in cui il matrimonio non sia stato consumato. I criteri per la nobiltà sono due, non<br />

uno; se così è, allora da un punto di vista logico essi possono o non possono incontrarsi in un solo e<br />

medesimo individuo. Ma se uno di tali criteri manca, la «nobiltà» di quell'individuo risulta incrinata e<br />

discutibile.<br />

Sempre più spesso, la "noblesse" è trattata come una "profession" o "vocation" (funzione). Per Montaigne,<br />

ad esempio, la funzione militare era «la forma propria ed unica essenziale» della nobiltà francese (8). La<br />

forma propria è evidentemente una forma che almeno in teoria non è automaticamente garantita. E difatti<br />

avviene l'inevitabile: dapprima timidamente, poi con maggior vigore, il divorzio viene denunciato,<br />

diagnosticato, condannato. Già nel 1539-40 Guillaume de la Perrière pubblicò "Le Miroir politique", un<br />

libro che dettò i termini del dibattito sulla legittimazione per il resto del secolo e oltre, nel quale egli<br />

lamenta il fatto che «uno dei più grandi errori che osserviamo attualmente è che alcuni nobili dei nostri<br />

tempi si limitano alla loro eredità ("race"), sperando di essere nobili senza virtù». Questa era la diagnosi,<br />

ed ecco qui la prescrizione per la cura: «Se in gioventù [i vostri figli] sono ben istruiti, essi si riveleranno<br />

nobili, di saldi principi morali e di buone abitudini; se al contrario sono istruiti ed educati mediocremente,<br />

saranno sempre "vilains", cattivi e malvagi». La preoccupazione di de la Perrière non era necessariamente<br />

il frutto di compunzione morale. C'erano altri motivi, più tangibili, di allarme e un senso di urgenza, come<br />

dimostrò François de l'Alouëte nel "Traité des nobles et des vertus dont ils sont formés" alcuni decenni

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