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18 la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano – febbraio <strong>2010</strong><br />

nale che gli era riuscita alcuni anni prima al momento del<br />

delitto Matteotti. Certo, fron<strong>di</strong>sta era da sempre, per carattere<br />

ma anche per convinzione: lo <strong>di</strong>mostrò sin dal<br />

1929, precipitandosi, da <strong>di</strong>rettore de “La Stampa” fresco<br />

<strong>di</strong> nomina, a descrivere la realtà sovietica in una serie <strong>di</strong><br />

magnifiche corrispondenze che in<strong>di</strong>gnarono i lettori<br />

benpensanti. E non vi è dubbio che durante il soggiorno<br />

(non esilio) francese del 1931-33, egli abbia dato motivo<br />

<strong>di</strong> alimentare, con atteggiamenti provocatori o semplicemente<br />

incauti, le voci complottiste che gli informatori<br />

dell’Ovra spargevano sul suo conto. Ma il Duce, che conosceva<br />

i suoi uomini, non ne tenne alcun conto, evitandogli<br />

la comparizione e la condanna davanti al Tribunale<br />

speciale. La lezione che volle dargli era in sostanza un<br />

ammonimento prima <strong>di</strong> riprenderlo a bordo, «che beva<br />

un po’ della sua me<strong>di</strong>cina» come <strong>di</strong>sse al <strong>di</strong>rettore del<br />

“Corriere della Sera”, Borelli, venuto a implorare la causa<br />

dell’amico.<br />

In tal modo gli fece un grande regalo, permettendo<br />

al Malaparte post-1943 <strong>di</strong> inventarsi dei titoli <strong>di</strong> antifascismo<br />

retrodatati, mentre egli restò nell’orbita del sistema<br />

fino al 25 luglio, firmando pagine non proprio esemplari<br />

e presto (da lui) <strong>di</strong>menticate sulla guerra <strong>di</strong> Spagna e l’attacco<br />

alla Grecia. Chiese anche a più riprese <strong>di</strong> riavere la<br />

tessera del Pnf, che non gli fu restituita, sempre su or<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> Mussolini, onde non consentirgli <strong>di</strong> sposare Virginia<br />

Agnelli e <strong>di</strong>ventare «il padrone della Fiat»: ennesimo piano<br />

campato in aria, in cui riuscì solo a farsi, come<br />

se già non ne avesse già abbastanza, altri<br />

potenti nemici. Ma il mancato ritorno<br />

nei ranghi del partito non gli impedì,<br />

a cavallo degli anni Trenta-<br />

Quaranta, <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>ventare, dopo<br />

la <strong>di</strong>rezione della Stampa nel<br />

1929-31, una delle firme più<br />

influenti (e meglio retribuite)<br />

del giornalismo italiano,<br />

e anche questo lo dovette<br />

soprattutto, oltre che al<br />

proprio talento, alla benevolenza<br />

dell’inquilino <strong>di</strong> Palazzo<br />

Venezia.<br />

Si <strong>di</strong>rà che la duplicità<br />

era imposta dagli eventi e che,<br />

pagando quell’obolo, Malaparte<br />

riusciva contemporaneamente a pubblicare,<br />

se non tutti, molti suoi libri “ve-<br />

ri”, a far circolare in Italia, tramite una rivista del livello<br />

<strong>di</strong> “Prospettive”, le gran<strong>di</strong> correnti spirituali ormai condannate<br />

a fermarsi alle nostre frontiere, dalla psicanalisi<br />

al surrealismo, e a dare a molti giovani, specie quelli <strong>di</strong><br />

provincia in cui più si riconosceva, l’opportunità <strong>di</strong> venire<br />

alla ribalta. Tutto vero. Com’è vero che dal 1941 in poi<br />

le sue corrispondenze dalla Russia e dalla Finlan<strong>di</strong>a acquistano<br />

un tono sempre più ostile all’Asse, anche se non<br />

fu arrestato dalla Gestapo ed espulso dal fronte orientale<br />

come ha poi preteso.<br />

Basterebbero queste autentiche benemerenze –<br />

senza <strong>di</strong>menticare che non si è mai prestato alle purtroppo<br />

frequenti delazioni tra intellettuali e non ha mai firmato<br />

una riga <strong>di</strong> propaganda antisemitica - a <strong>di</strong>mostrare<br />

che, sull’arco del ventennio e sul bilancio <strong>di</strong> un’intera generazione,<br />

Malaparte aveva meno da farsi perdonare <strong>di</strong><br />

altri suoi colleghi, più abili <strong>di</strong> lui a riciclarsi e riproporsi<br />

nel Dopoguerra. Ma è stato lui stesso, con i suoi travestimenti<br />

tanto incessanti quanto superflui, con la sua psicologia<br />

contrad<strong>di</strong>ttoria fino all’autolesionismo (com’è<br />

proprio dei gran<strong>di</strong> narcisi) ad alimentare le voci peggiori,<br />

negando contro ogni evidenza tutto quel che il suo<br />

amato e o<strong>di</strong>ato “padre padrone” aveva fatto per lui.<br />

Nella biografia <strong>di</strong> Malaparte, temperamento anaffettivo<br />

per il quale gli uomini contavano poco e solo nel<br />

bisogno o nell’azione, e le donne ancor meno, due soli<br />

personaggi si stagliano con la drammaticità degli interlocutori<br />

mancati: Gobetti e Mussolini. Il primo,<br />

fratello separato non indurito dalla guerra,<br />

rappresenta la cultura <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata<br />

ma onnivora, il ra<strong>di</strong>calismo angelico<br />

<strong>di</strong> pensiero, la preferenza del<br />

paradosso sullo sberleffo, il rigetto<br />

dei potenti e del percorso<br />

obbligato e deteriore della<br />

storia italiana vista come<br />

insanabile lotta <strong>di</strong> fazioni:<br />

tutto ciò insomma che egli<br />

vorrebbe possedere e non<br />

possiede. Il motivo per cui<br />

l’amore non travalica nell’o<strong>di</strong>o<br />

(Malaparte poteva essere<br />

feroce nelle sue invi<strong>di</strong>e) è perché<br />

Gobetti ha perso, e lui no.<br />

Il secondo è il demiurgo, il<br />

padre autorevole che non ha avuto, il<br />

grande politico realista della stoffa dei

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