"Sport in Piemonte" Ago - CONI Piemonte

gara, sotto la guida di coach Bechi,
fino a entrare nei playoff, dove la
bella favola ha rischiato di trasformarsi
in leggenda, grazie all’incredibile
decisiva vittoria ottenuta a
Roma alla fine di una serie bellissima,
combattutissima, contro una
squadra costruita con possibilità
economiche che la piccola Biella
neppure si sogna. E poi Milano: il
“piccolo” sponsor Angelico contro
il ricco, famosissimo Armani. Se i
canestri si segnassero impilando
i milioni di euro spesi dal patron,
non ci sarebbe stata gara, ma a
questo livello conta anche il cuore,
e quello dei biellesi ha continuato
a battere forte forte per tre partite,
perdendone due per un soffio,
per un peccato di inesperienza, e
vincendone una, prima di arrendersi,
ormai senza forze, alla quarta
partita.
Così Biella ha finalmente riportato
il Piemonte a dire la sua nel
grande basket: semifinale scudetto,
terzo o quarto posto che sia,
la differenza è minima. Ma Biella
è tra le quattro grandi della pallacanestro
italiana, con Siena, Milano
e Treviso. Il Piemonte esiste
ancora, si torna a respirare l’aria
della vetta, come in quei tre magnifici
campionati, tra il 1984 e il
1986, quando l’Auxilium Berloni di
Torino fu davvero a un passo dallo
scudetto, fermata spesso più dalla
sfortuna che dalla reale forza degli
avversari.
Era la Torino di coach Dido Guerrieri,
che per tre anni di fila dovette
cedere il passo in semifinale
alla squadra che si sarebbe poi
cucito sul petto lo scudetto. 1984:
la Berloni di Caglieris, Sacchetti
e Vecchiato, tre freschi campioni
d’Europa in maglia azzurra, cede
in semifinale alla Virtus Granarolo
Bologna, ma contro le storiche “V
nere” manca, per infortunio, il geniale
regista Caglieris, l’uomo che
fa girare tutta la squadra. 1985: con
Morandotti al posto di Sacchetti
(ceduto per i soliti problemi di bilancio)
è ancora semifinale, contro
la Simac Olimpia Milano, che vince
a Torino per un punto, grazie a Joe
Barry Carroll, autentica stella della
Nba venuto in dorato “esilio” in
Italia per liberarsi di un contratto
americano che non gradiva più (e
in finale Pesaro viene travolta da
Milano con passivi
ben più pesanti
dei torinesi!). E
ancora, 1986: via
anche Caglieris
e, jella nerissima,
nelle ultime due
giornate della stagione regolare
Vecchiato si rompe il tendine
d’Achille, Morandotti lo scafoide e
Croce il naso (ma almeno lui può
giocare, con la maschera). Eppure,
mandando in campo i bambini,
come Pessina e Vidili, Torino
arriva in semifinale ancora contro
D’Antoni e Meneghin e vince a Milano;
poi, con Scott May anche lui
semibloccato dalla tendinite, deve
alzare bandiera
bianca nelle due
successiva gare, ma
fa pur sempre miglior
figura di Ca-
Gli azzurri dell“era Racalcati”:
nell’ordine Di Bella, Garri, Spinelli, Aradori e Soragna
serta, battuta nettamente nella
finalissima tricolore.
Altri tempi, altro basket, se vogliamo,
dove l’importanza dei
giocatori italiani era decisamente
superiore a quella attuale, e se ne
vedevano i risultati anche a livello
di Nazionale. Era, quella di Torino