05.06.2013 Views

LE FRASCHETTE - Associazione Partigiani Cristiani

LE FRASCHETTE - Associazione Partigiani Cristiani

LE FRASCHETTE - Associazione Partigiani Cristiani

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

ASSOCIAZIONE<br />

PARTIGIANI<br />

CRISTIANI<br />

P R O V I N C I A DI FROSINONE<br />

Mario Costantini<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />

da campo di concentramento a luogo della memoria


<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />

da campo di concentramento a luogo della memoria<br />

“Del campo di Alatri, probabilmente<br />

non avrei saputo nulla se non fossi<br />

andato a Carpi. Lì ho comprato il libro<br />

“Un percorso nella memoria”.<br />

Nella parte che riguarda Ferramonti,<br />

Carlo Spartaco Capogreco, una pietra<br />

miliare della ricerca che sto svolgendo,<br />

parla di Alatri come uno dei più grandi<br />

campi di concentramento esistenti in<br />

Italia durante il periodo fascista…<br />

Con la macchina mi dirigo verso il<br />

campo. L’estensione è enorme. Le baracche<br />

pur in rovina, sono conservate e<br />

si ha chiaramente l’idea di quello che<br />

dovevano essere quando funzionavano<br />

.<br />

Mi colpisce il cartello della Presidenza<br />

del Consiglio per i lavori di costruzione<br />

dell’Ostello: “Campo ex profughi”. In effetti,<br />

quella fu l’ultima destinazione del<br />

campo.<br />

Il cartello dà una valenza positiva a<br />

qualcosa di orribile, che è stato ideato<br />

per rinchiudere uomini”.<br />

Fabio Galluccio<br />

da “I lager in Italia”<br />

Stampato con il contributo della<br />

REGIONE LAZIO - Assessorato alla Cultura


Fotografie<br />

Archivio <strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone<br />

Curia Arcivescovile di Gorizia<br />

Curia Vescovile di Trieste<br />

Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia<br />

Antonucci Pietro<br />

Centra Luigi<br />

Costantini Lucia<br />

Costantini Remo<br />

Del Greco Danilo<br />

Macciocca Sistino<br />

Plahuta Slavica<br />

Rossi Antonio<br />

Sagripanti Alessandra<br />

Tassin Ferruccio<br />

EDITO A CURA DEL COMITATO PROVINCIA<strong>LE</strong><br />

DELL’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI DI FROSINONE<br />

CON IL CONTRIBUTO DELL’ASSESSORATO ALLA CULTURA<br />

DELLA REGIONE LAZIO (Legge n. 34/91)<br />

Copertina ed elaborazione fotografica<br />

Giuseppe Rufini<br />

Fotocomposizione e stampa<br />

Tipografia Cav. M. Bianchini & Figli sas<br />

Via Monti Lepini, 154 - Ceccano (FR)<br />

Tel e Fax 0775.640022-640522<br />

e-mail: tip.bianchini@himail.biz<br />

info@grafichebianchini.it<br />

Finito di stampare nel mese di dicembre 2006


A Lino Rossi<br />

e a mio padre Carlo<br />

che hanno tenacemente voluto<br />

questo lavoro.<br />

A Maria Grazia<br />

per il grande impegno profuso.


<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>:<br />

storia del campo di concentramento<br />

(1942-1944)<br />

a cura di Mario Costantini<br />

“Nella seconda metà degli anni Ottanta intrapresi un lungo viaggio che mi<br />

portò a visitare tutti i luoghi dei campi. Potei così constatare lo stato di<br />

abbandono o la completa distruzione degli edifici o delle baracche, e il conseguente<br />

mancato riconoscimento sociale come luoghi della memoria”.<br />

Carlo Spartaco Capogreco<br />

Veduta del Campo di Concentramento Le Fraschette di Alatri<br />

(da un volume della prof.ssa Slavica Plahuta - storica di Nova Gorica<br />

- sugli ex internati nei campi italiani)<br />

5


PREFAZIONE<br />

L’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone ha svolto in questi anni<br />

un’intensa attività di ricerca storica sull’intero periodo che va dall’avvento<br />

in Italia del fascismo alla conclusione del secondo conflitto mondiale.<br />

L’intento divulgativo e di informazione storica è testimoniato dalle mostre<br />

documentarie realizzate e messe a disposizione delle scuole e dagli agili volumi<br />

fin qui editi.<br />

Le indagini storiche da sempre riservano sorprese, finendo per condurre il<br />

ricercatore verso strade imprevedibili, e così è stato anche questa volta.<br />

La storia del campo di concentramento Le Fraschette di Alatri è storia poco<br />

conosciuta. Lino Rossi, già dirigente provinciale e nazionale dell’A.P.C., ne<br />

aveva percepito l’importanza e ne aveva poi approfondito le vicende attraverso<br />

meticolose ricerche di archivio.<br />

Carlo Costantini, presidente provinciale dell’ A.P.C., non ha lasciato cadere<br />

le nobili intenzioni del compianto Lino e, a sua volta, aiutato da un affiatato<br />

gruppo di lavoro, ha portato avanti le indagini, raccogliendo ulteriore, prezioso<br />

materiale.<br />

Il compito di Mario Costantini, autore di questo volume che raccoglie e conclude<br />

anni di appassionate indagini, non è stato affatto agevole.<br />

Infatti, l’autore ha potuto sì contare su materiale estratto dai più importanti<br />

archivi, ma è anche vero che tali documenti risultavano sprovvisti di<br />

segnatura archivistica, per cui non è stato possibile indicarne l’esatta provenienza,<br />

ma solo la generica appartenenza ai fondi archivistici da cui sono<br />

stati estratti.<br />

Non vi è però da dubitare sulla autenticità dei documenti che arricchiscono<br />

la pubblicazione, giacché l’A.P.C. è in possesso di fedeli fotoriproduzioni dei<br />

documenti rinvenuti negli archivi. Ecco spiegata la necessaria genericità<br />

delle indicazioni contenute nelle “Fonti di archivio”.<br />

Questo volume non stupirà gli addetti ai lavori, pochi in verità, ma riuscirà<br />

a colpire l’opinione pubblica, ignara della storia qui raccontata. Colma un<br />

vuoto di informazione e costituisce un altro tassello della preziosa indagine<br />

storica sull’internamento praticato dal fascismo, sulla politica di deportazione<br />

da esso attuata nei territori occupati, sulla preziosa opera di assistenza<br />

posta in essere dalla Chiesa.<br />

L’A.P.C. offre idealmente questo volume alla popolazione e alla civica<br />

Amministrazione perché, con il sostegno della Provincia e della Regione si<br />

7


iesca a trasformare ciò che resta del campo Le Fraschette in luogo della<br />

memoria, secondo l’auspicio emerso nel recente Convegno organizzato<br />

dall’<strong>Associazione</strong> su questo tema.<br />

Roma, dicembre 2006<br />

8<br />

Bruno OLINI<br />

Segretario nazionale A.P.C.


INTRODUZIONE<br />

Le Fraschette è stato il luogo della provvisorietà, dell’emergenza, della sofferenza.<br />

Il campo è a poca distanza da Alatri. Vi si arriva percorrendo la strada<br />

provinciale che sale verso Fumone. Dopo pochi chilometri si lascia la provinciale<br />

e, deviando a destra, si percorre una strada come tante della campagna<br />

ciociara, fatta di una sequenza interminabile di curve e saliscendi.<br />

All’improvviso, segnalato dalle prime baracche, l’arrivo al campo: l’ambiente<br />

si fa completamente diverso da quello finora ammirato. Un muro di cinta<br />

delimita una vasta zona. All’interno, sparse qua e là senza un ordine preciso,<br />

quel che resta delle decine e decine di baracche. In fondo la chiesetta abbandonata,<br />

diroccata, violentata dalla natura e dall’opera dei vandali. La chiesa<br />

è l’ultimo simbolo riconoscibile del campo. E poi la garitta, questa sì ben<br />

conservata, costruita in epoca successiva alla guerra, eppure simbolo di un<br />

tempo che ha conosciuto la guerra. All’epoca del campo di concentramento<br />

non c’erano né muro di cinta, né garitta, e i prigionieri di notte riuscivano a<br />

scappare per procurarsi da mangiare. La storia che proviamo a raccontare in<br />

questo volume abbraccia un arco temporale che va dal 1942 al 1944, quando<br />

migliaia di persone furono strappate dalle proprie terre e costrette a vivere<br />

nel campo di concentramento Le Fraschette.<br />

Quello che come me tanti ad Alatri ricordano, è un altro utilizzo del campo,<br />

un utilizzo successivo alla fine della seconda guerra mondiale: il Centro<br />

Raccolta Profughi (C.R.P.). Il Centro ospitò centinaia di persone che chiedevano<br />

all’Italia una sistemazione abitativa ed un lavoro per ricominciare a<br />

sperare nella vita. Una sorta di purgatorio per persone che avevano incontrato<br />

sulla propria strada delusioni e disillusioni, lavoratori cacciati dalla<br />

Libia, dalla Tunisia, dalla Somalia, dall’Egitto, ma prima ancora profughi<br />

provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est.<br />

Negli anni ’90, qualcuno cominciò a riscoprire la vera storia di Fraschette,<br />

la storia di un villaggio baraccato nato per ospitare prigionieri di guerra e<br />

che finì poi per diventare un campo di concentramento nel corso della seconda<br />

guerra mondiale. Devo esser sincero: all’inizio questa voce mi sembrava<br />

un’esagerazione. Eppure da giovanissimo, in seminario, avevo fatto parte del<br />

gruppo di “correttori di bozze” che don Giuseppe Capone aveva impegnato<br />

nella revisione del suo importante libro-testimonianza “La Provvida Mano”,<br />

pubblicato nel 1973. In quel volume, l’Autore aveva ricostruito mezzo secolo<br />

di attività caritativa svolta dalla Diocesi di Alatri. Evidentemente le pagine<br />

9


del diario di Madre Mercedes Agostini che raccontavano la vita del campo di<br />

concentramento non erano state assegnate a me per la correzione. Quella<br />

verità di cui si cominciava finalmente a parlare ad Alatri negli anni ‘90,<br />

l’aveva già raccontata da tempo don Giuseppe Capone.<br />

Alle prime voci seguirono le ricerche storiche, e tutta la documentazione rinvenuta<br />

negli Archivi di Stato di Frosinone e Roma e nell’Archivio Centrale dello<br />

Stato, mostrarono in modo evidente la vera origine del campo Le Fraschette,<br />

indicato sempre dal 1942 al 1944 come “campo di concentramento”.<br />

Il doloroso fenomeno dell’internamento italiano è stato studiato ed analizzato<br />

da pochi ma valenti storici. Nel 2002 abbiamo avuto la fortuna di ospitare<br />

ad Alatri il prof. Carlo Spartaco Capogreco, docente di Storia<br />

Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della<br />

Calabria, autore del volume “I campi del Duce”. Il suo intervento al primo<br />

convegno di studi sul tema, organizzato dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong><br />

di Frosinone, ha segnato l’inizio di un impegno: riscoprire la verità storica,<br />

proporla nella sua drammaticità, onorare la memoria di quanti nel campo Le<br />

Fraschette hanno sofferto. Ricordiamo in quella occasione l’intervento<br />

appassionato del compianto architetto Floriano Epner della Fondazione<br />

Ferramonti di Tarsia. A fine 2006 ancora un convegno organizzato questa<br />

volta all’interno di Fraschette sul tema più ampio dell’internamento in Italia.<br />

L’intervento di un altro studioso, Fabio Galluccio, autore del volume “I lager<br />

in Italia”, ha segnato questo secondo appuntamento, allargando lo sguardo<br />

al fenomeno complessivo dei campi di concentramento in Italia.<br />

Al termine di questo secondo convegno, anch’esso molto partecipato, l’A.P.C.<br />

ha rivolto ai cittadini di Alatri e agli Amministratori presenti un appello a<br />

ricordare ciò che è stato, anche partendo da iniziative minime: una lapide nel<br />

campo, il recupero di una baracca per realizzare una mostra permanente, il<br />

restauro della chiesetta diroccata e invasa dalla sporcizia, il riconoscimento<br />

del notevole interesse storico di quell’area da parte del Ministero per i Beni<br />

e le Attività Culturali.<br />

Ma l’impegno dell’A.P.C. non si ferma. Ne è testimonianza questo volume che<br />

ricostruisce le vicende del campo attraverso la documentazione d’archivio,<br />

propone le testimonianze di vita nel campo, pubblica gli atti dei due convegni<br />

svolti ad Alatri sul tema.<br />

Il volume cerca di tener viva la memoria e con essa la coscienza delle atrocità<br />

che anche l’Italia ha commesso nel corso della II Guerra mondiale.<br />

10


PARTE PRIMA<br />

LA STORIA DEL CAMPO ATTRAVERSO<br />

LA DOCUMENTAZIONE DI ARCHIVIO<br />

<strong>LE</strong> MISURE DI GUERRA: il confino politico e l’internamento.<br />

Con l’entrata in guerra quale Paese belligerante, anche in Italia iniziarono ad<br />

essere applicate le leggi proprie del tempo di guerra che prevedevano la possibilità<br />

di arrestare e di internare civili sudditi di Stati nemici, “atti a portare<br />

armi”. Il governo fascista organizzò per questo scopo campi di concentramento<br />

in località interne, lontane dal fronte di guerra e di agevole controllo.<br />

L’autorità competente per l’adozione di questi provvedimenti era la Direzione<br />

Generale di Pubblica Sicurezza, mentre le autorità militari vigilavano sui<br />

campi per prigionieri di guerra.<br />

Nel Lazio si realizzarono i campi di concentramento di Ponza, Ventotene,<br />

Castel di Guido e Le Fraschette di Alatri, riadattando vecchie strutture o<br />

costruendone di nuove.<br />

Come ben sintetizza il prof. Carlo Spartaco Capogreco, nel suo volume “I<br />

campi del Duce”: “La deportazione degli avversari mediante il loro confino<br />

su piccole isole o in località sperdute e disagiate, costituì uno degli elementi<br />

chiave del sistema coercitivo e repressivo del regime fascista. Potevano essere<br />

assegnati al confino perché pericolosi per la sicurezza pubblica due categorie<br />

di persone: gli ammoniti e coloro che avevano commesso o manifestato<br />

il deliberato proposito di commettere atti diretti a sovvertire violentemente<br />

gli ordinamenti nazionali, sociali, economici costituiti nello Stato. Apposite<br />

Commissioni provinciali, presiedute dal Prefetto, determinavano le assegnazioni<br />

al confino di persone che spesso, fino al momento dell’arresto, erano del<br />

tutto ignare del procedimento intentato a loro carico, e che non avevano<br />

alcun diritto reale alla difesa”.<br />

La misura che interessò perlopiù Le Fraschette, fu l’internamento, cioè quel<br />

provvedimento che colpendo la libertà personale, costringeva le persone a<br />

vivere in villaggi baraccati delimitati da recinzioni o in località distanti dal<br />

fronte di guerra. Il provvedimento era comminato per via amministrativa ed era<br />

quindi di facile attuazione. L’internamento era preceduto da arresti individuali<br />

o di gruppo, realizzati attraverso operazioni di rastrellamento. Le persone venivano<br />

trasportate nei campi di concentramento e lì subivano l’internamento.<br />

11


L’internamento civile fu operato nei confronti di cittadini stranieri che allo<br />

scoppio della guerra si trovavano sul territorio italiano o su cittadini appartenenti<br />

a Stati occupati in guerra dall’Esercito italiano.<br />

Più in generale, l’internamento in Italia fu preceduto da una serie di prese di<br />

posizione delle più alte cariche dello Stato, politiche e militari.<br />

Il 19 maggio una nota del Comando Supremo, indirizzata al Ministero<br />

dell’Interno, comunicò il proprio assenso al trasferimento di 442 intellettuali<br />

del Kossovo dichiarati “indesiderabili” dal campo di concentramento di Preza<br />

a quelli di Ponza ed Ustica. Questo folto gruppo partì da Valona, in Albania,<br />

verso l’Italia e il loro numero aumentò a 560, come precisò un’informativa<br />

dell’Ufficio Prigionieri di guerra dell’Esercito.<br />

Fu una direttiva del Duce, emanata il 6 giugno 1942, comunicata alle Autorità<br />

italiane in Slovenia dal gen. Roatta, ad avviare le attività di sgombero della<br />

popolazione civile della provincia di Lubiana per un numero massimo di<br />

30.000 persone da inviare nei campi di concentramento in Italia. Questo provvedimento<br />

allarmò non poco l’Alto Commissario della Provincia Emilio<br />

Grazioli, che temette ripercussioni negative nella vita economica della provincia,<br />

“con particolare riferimento alla conduzione della aziende agricole, che<br />

risulterebbero abbandonate, e del patrimonio zootecnico”.<br />

Il duce, intervenendo a Gorizia il 31 luglio 1942, nel corso di una riunione con<br />

gli Alti Comandi Militari, manifestò le seguenti opinioni:<br />

“La relazione del gen. ROATTA la considero esauriente e promettente di<br />

buoni risultati. La situazione è nota. Dopo lo sfacelo della Jugoslavia ci<br />

siamo trovati sulle braccia la metà di una provincia e, bisogna aggiungere, la<br />

metà più povera.<br />

I germanici ci hanno comunicato un confine; noi non potevamo che prenderne<br />

atto - aprile 1941. Inizialmente le cose parvero procedere nel modo migliore.<br />

La popolazione considerava il minore dei mali il fatto di essere sotto la<br />

bandiera italiana. Fu data alla provincia uno Statuto, poichè non consideriamo<br />

territorio nazionale quanto è oltre il crinale delle Alpi, salvo casi di carattere<br />

eccezionale. Si credette che la zona fosse tranquilla; poi si vide, quando<br />

la crisi scoppiò, che i presidi non erano abbastanza consistenti e che non vi<br />

era modo di rinforzarli adeguatamente.<br />

Il 21 giugno, con l’inizio delle ostilità tra la Germania e la Russia, questa<br />

popolazione, che si sente slava, si è sentita solidale con la Russia. Da allora<br />

tutte le speranze ottimistiche tramontarono.<br />

Ci si domanda se la nostra politica fu saggia: si può dire che fu ingenua.<br />

Anche nella Slovenia tedesca le cose non vanno bene. Io penso che sia meglio<br />

12


passare dalla maniera dolce a quella forte piuttosto che essere obbligati<br />

all’inverso. Si ha in questo secondo caso la frattura del prestigio. Non temo<br />

le parole. Sono convinto che al “terrore” dei partigiani si deve rispondere<br />

con il ferro ed il fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani<br />

come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. Questa tradizione<br />

di leggiadria e tenerezza soverchia va interrotta. Come avete detto è cominciato<br />

un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto, per<br />

il bene del paese ed il prestigio delle forze armate.<br />

Questa popolazione non ci amerà mai. Non mi sorprende che i cattolici<br />

vedendo declinare la stella dei partigiani vogliano farsi avanti. Poichè non si<br />

possono respingere si può accettare il loro apporto, quasi come una concessione<br />

che noi si fa loro e senza impegni futuri. Così pure il generale Dalmazzo<br />

può ricevere questo generale Mihajlovic: può darsi che si sia persuaso che la<br />

sua fatica è sprecata. Ascoltatelo quindi. Poi riferirete. Considero ultimata la<br />

prima fase. Il ritmo delle operazioni deve essere sollecito: non possiamo tenere<br />

tante divisioni in Balcania. Occorrerà per noi aumentare la forza alla frontiera<br />

occidentale e in Tripolitania. Attualmente la Balcania costituisce per noi<br />

un’usura ed occorrerebbe ridurre questo schieramento. Richiamo l’attenzione<br />

sul servizio informazioni che è qui molto difficile, ma quindi tanto più deve<br />

essere bene organizzato. L’aviazione ha qui un compito abbastanza importante.<br />

Questo territorio deve essere considerato terreno di esperienza. Non vi<br />

preoccupate del disagio economico della popolazione. Lo ha voluto! Ne sconti<br />

le conseguenze. Così non mi preoccupo dell’Università, che era un focolaio<br />

contro di noi.<br />

Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazioni.<br />

ECC. ROATTA: “ho proposto di dare la proprietà dei ribelli alle famiglie dei<br />

nostri caduti”.<br />

DUCE: “Approvo, annunciatelo pure”.<br />

Così considerate senza discriminazioni i comunisti: Sloveni o Croati se comunisti<br />

vanno trattati allo stesso modo. Le truppe adottino la tattica dei partigiani.<br />

Abbiano mordente”<br />

Molti documenti illustrano la particolare violenza operata dai responsabili<br />

militari italiani nelle zone di occupazione ai confini nord orientali della<br />

Penisola, al fine di stroncare ogni possibile opposizione all’Esercito italiano.<br />

Secondo il gen. Orlando: “è necessario eliminare: tutti i maestri elementari,<br />

tutti gli impiegati comunali e pubblici in genere, tutti i medici, i farmacisti, gli<br />

avvocati, i giornalisti, i parroci, gli operai, gli ex-militari italiani che si sono<br />

trasferiti dalla Venezia Giulia dopo la data suddetta”.<br />

13


Il gen. Orlando, intendeva realizzare “l’eliminazione della massa di manovra<br />

attraverso la deportazione di migliaia di uomini nei campi di concentramento,<br />

che i comandi militari hanno aperto e stanno aprendo in Italia e in<br />

Dalmazia per sloveni e croati”.<br />

Per i generali italiani la soluzione della questione jugoslava poteva avvenire<br />

“soltanto con l’impiego della forza, che senza indecisioni, intervenga, giusta,<br />

inesorabile, immediata a reprimere ogni manifestazione di banditismo od atto<br />

di rivolta”.<br />

La famigerata circolare “3C” del generale Mario Roatta, emanata l’1 marzo<br />

1942 prese in considerazione l’internamento di intere famiglie, l’uso di ostaggi,<br />

la distruzione di abitati e la confisca di beni.<br />

Il 24 agosto 1942 il gen. Emilio Grazioli auspicò l’internamento di massa<br />

della popolazione slovena e la sua sostituzione con la popolazione italiana:<br />

“Lubiana, lì 24 agosto 1942-Anno XX. A seguito del foglio n. 1362/2/Ris. del<br />

16 corrente, mi permetto prospettare nelle sue linee generali il programma di<br />

attività che mio intendimento svolgere in questa provincia: Attività politica -<br />

popolazione slovena: Linea di condotta “durissima” nei riguardi degli sloveni,<br />

sino a quando non saranno tangibili e provate le manifestazioni di ravvedimento,<br />

e molto dura anche in seguito. Indirizzo però unitario nella linea di<br />

condotta da seguire, e specialmente nell’applicazione dei provvedimenti che<br />

debbono essere emanati dall’autorità competente, e non lasciati all’arbitrio<br />

dei singoli. In quest’ultimo caso si dà manifestazione di confusione e di debolezza<br />

anziché di ordine e di forza. Il problema della popolazione slovena può<br />

essere risolto nei seguenti modi: distruggendola o trasferendola; eliminando<br />

gli elementi contrari, attuando una politica dura, però di giustizia e di avvicinamento,<br />

onde creare le basi per una proficua e leale collaborazione prima<br />

e possibilità di assimilazione poi, che però solo col tempo si potrà realizzare.<br />

Occorre quindi stabilire quale linea di condotta si intende seguire. - Per l’internamento<br />

in massa della popolazione procedere secondo un piano prestabilito,<br />

che possa avere uniforme applicazione in tutti i territori della provincia.<br />

Meglio costituire “campi di lavoro” anziché campi di internamento, dove si<br />

ozia. - Per la sostituzione con popolazione italiana di quella slovena occorre<br />

stabilire:<br />

1) dove deve esser trasferita la popolazione slovena; 2) dove deve esser presa<br />

la corrispondente popolazione italiana, facendo presente che è più adatta,<br />

quella settentrionale e centrale; 3) se si intende “italianizzare” innanzi tutto<br />

una fascia di frontiera, stabilendone la profondità (20/30 chilometri); 4) se si<br />

intende invece trasferire tutta la popolazione slovena. In tal caso sarebbe<br />

14


opportuno iniziare dalla zona slovena a cavallo del vecchio confine. A mio<br />

avviso il trasferimento totale o parziale della popolazione sarà difficilmente<br />

possibile durante la durata della guerra. L’Alto Commissario (F.to: Alto<br />

Commissario Emilio Grazioli)”.<br />

La costruzione del campo di concentramento Le Fraschette e degli oltre cento<br />

campi realizzati in tutta Italia, furono la diretta conseguenza delle scelte operate<br />

dai vertici militari e politici. A Fraschette, dal 1942 al 1944, furono internati<br />

cittadini anglo-maltesi residenti in Libia, civili provenienti dalla Venezia<br />

Giulia, dalla Slovenia, dalla Dalmazia e dalla Croazia. A questi si aggiunsero<br />

alcune centinaia di confinati politici trasferiti a Fraschette dalla colonia di<br />

confino dell’isola di Ustica quando le truppe Alleate iniziarono lo sbarco in<br />

Sicilia.<br />

IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />

Il 18 dicembre 1941, il sottosegretario all’interno Guido Buffarini-Guidi,<br />

autorizzò il prefetto di Frosinone a provvedere alla fornitura dei servizi indispensabili<br />

per la costruzione del campo. Per portare acqua a Le Fraschette, fu<br />

stipulato con la ditta Francesco Renzetti un contratto di cottimo fiduciario per<br />

i lavori di costruzione dell’acquedotto derivato da quello di Capofiume. I<br />

lavori vennero eseguiti sotto la direzione del Genio Civile. In quei primi mesi<br />

del 1942 l’Ispettorato di Guerra chiese di costruire a Fraschette una colonia<br />

agricola su una superficie di circa 15 ettari. Ad una ricognizione eseguita in<br />

loco dall’Ispettorato provinciale dell’Agricoltura, il terreno disponibile per la<br />

colonia poteva avere una consistenza di 60/70 ettari.<br />

Il 7 maggio 1942, presso la Prefettura di Roma, ufficiale rogante il comm.<br />

avv. Salvatore Fiaccamento, fu stipulato un contratto tra l’Ispettorato dei<br />

Servizi di Guerra e la Società Legnami Pasotti, per la costruzione di un villaggio<br />

di accantonamento per internati in località “Fraschetti” del Comune di<br />

Alatri. Come si legge nel documento, si pensò di costruire 15 baracche dormitorio,<br />

5 baracche refettorio, 1 baracca infermeria, 1 edificio cucina e<br />

magazzino viveri, 2 edifici gruppo latrine, docce, lavabi, 5 baracche magazzino,<br />

1 cinematografo, 1 biblioteca, 1 cappella religiosa, 2 baracche normali per<br />

il Comando del corpo di guardia, 4 baracche normali per la truppa, 1 baracca<br />

cucina, 2 edifici magazzino per rimessa automezzi e autopompe, 4 baracche<br />

per quartiere Ufficiali.<br />

15


“Tutto il Villaggio sarà completo di arredamento comprendente: 2.500 letti<br />

biposto, 2.000 letti monoposto, 1.000 armadi biposto, 1.250 armadi a 4 posti,<br />

675 tavoli per refettorio, 1.750 panche”. Per l’intera fornitura fu pattuita la<br />

somma di £. 33.051.763,75. Gli otto lotti dovevano essere completamente realizzati<br />

in tre mesi e consegnati entro il 31 luglio 1942. Ciò a sottolineare l’urgenza<br />

di far entrare in funzione il campo.<br />

Il 15 agosto 1942, con una nota indirizzata<br />

all’Ispettorato per i Servizi di<br />

guerra e al Prefetto di Frosinone, il<br />

direttore del Campo, dott. Camillo<br />

Santamaria-Nicolini, comunicò che<br />

“il campo sfollati Le Fraschette di<br />

Alatri ha assunto la denominazione<br />

di Villaggio Lazzaro Liberatori”.<br />

Questi, nativo di Collepardo, era<br />

stato eroe della Guerra Civile di<br />

Spagna. Deceduto in azione di guerra<br />

il 16 gennaio 1939, era stato insignito<br />

della Medaglia d’oro al valor militare.<br />

Lo scopo nobile del dott.<br />

Santamaria non ebbe però un seguito,<br />

perché in realtà il campo fu chiamato<br />

secondo il toponimo, e cioè “Campo<br />

di concentramento Le Fraschette”, o,<br />

come inizialmente si scrisse erroneamente<br />

“Campo Fraschetti”.<br />

Il 21 settembre 1942 il dott. Camillo<br />

Santamaria-Nicolini effettuò il passaggio<br />

di consegne della struttura al<br />

nuovo Direttore del Campo, dott.<br />

Giovanni Fantusati, Ispettore<br />

Generale di Pubblica Sicurezza. Fu<br />

eseguita una minuziosa ricognizione<br />

dei beni mobili ed immobili del<br />

campo e stilata una relazione finale<br />

sullo stato delle pratiche in atto. Il<br />

passaggio di consegne avvenne pochi<br />

Lazzaro Liberatori<br />

giorni prima dell’entrata in funzione<br />

16


del campo con l’arrivo dei primi gruppi di civili ad esso destinati.<br />

Tra i documenti ritrovati nell’Archivio di Stato di Frosinone, questa interessante<br />

planimetria del campo e la mappa del territorio di Alatri con<br />

particolare della zona Le Fraschette. La documentazione è contenuta nel<br />

fondo Genio Civile, Opere pubbliche, b.n.170.<br />

17


I PRIMI ARRIVI AL CAMPO<br />

Il campo di concentramento Le Fraschette entrò ufficialmente in funzione il<br />

1° ottobre 1942. I primi ad arrivare, come preannunciato da una nota<br />

dell’Ispettorato per i servizi di guerra, “saranno 500 maltesi che si trovano<br />

attualmente a Montecatini Terme, Bagni di Lucca e Fiuggi”.<br />

L’on. Buffarini, in una nota del Ministero dell’Interno, prot. n.327-15, inviata<br />

al Duce, ricostruì il movimento di popolazioni civili avviate dal fronte<br />

orientale verso i campi di internamento italiani. In essa, il Sottosegretario fece<br />

ampio riferimento alla funzione che Le Fraschette avrebbe dovuto svolgere:<br />

“Per richiesta dello S.M. del R. Esercito il Ministero dell’Interno dovrebbe<br />

provvedere a sistemare nelle province del Regno un complesso di altri 50 mila<br />

elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle<br />

operazioni di polizia in corso. Detto contingente risulta da dati approssimativi<br />

pervenuti così composto: 1-elementi pericolosi 20.000; 2–elementi<br />

sospetti 5.000; 3-che hanno richiesto la nostra protezione 10.000; 4-donne<br />

abbandonate dai mariti, con bambini a carico 12.000; 5-bambini privi di<br />

genitori tra i quali un’aliquota di lattanti 2.000. Essi sono attualmente internati<br />

nei campi territoriali di Gonars, Treviso e Padova, nonché nel Campo<br />

d’armata di Arbe. Inoltre, per richiesta del governatore della Dalmazia,<br />

dovranno essere sgombrati al più presto 2.300 elementi - in gran parte donne<br />

e bambini - che attualmente sono attendati nell’Isola di Melada, mentre il<br />

Comando Supremo ha comunicato che, d’intesa col Ministero degli Affari<br />

Esteri, è opportuno far affluire nel Regno 1.500 Montenegrini che si trovano<br />

nei Campi di concentramento dell’Albania.<br />

Capacità ricettiva delle provincie: la sistemazione degli sgombrati deve essere<br />

attuata nelle provincie dell’Italia Settentrionale e Centrale, dovendo escludere<br />

quelle dell’Italia Meridionale e Insulare per ragioni - soprattutto - di<br />

ordine militare. Le capacità ricettive di dette Provincie sono notevolmente<br />

ridotte per effetto della continua affluenza di connazionali rimpatriati dall’estero,<br />

dall’Africa Italiana e da altre zone di operazioni e di frontiera dall’inizio<br />

della guerra ad oggi. Inoltre nei mesi di luglio e agosto di questo anno<br />

sono stati avviati nelle regioni dell’Italia Settentrionale e Centrale oltre 3<br />

mila sfollati (congiunti di ribelli e famiglie che avevano chiesto la nostra protezione)<br />

dalle Provincie del Carnaro e di Lubiana. Campo di concentramento<br />

“Le Fraschette” - Frosinone – Il Campo “Le Fraschette”, costruito per<br />

conto dei Ministero dell’Interno potrà ospitare al massimo 6 mila civili. Col<br />

1 ottobre p.v. vi saranno ospitati oltre l.000 anglomaltesi - sfollati dalla Libia<br />

18


- attualmente residenti a Fiuggi-Montecatini Terme-Bagni di Lucca ed Ascoli<br />

Piceno - i quali attraverso l’opera di discriminazione compiuta dai Prefetti<br />

interessati e dal Segretario del Fascio di combattimento di Malta - sono risultati<br />

di sentimenti irriducibilmente anglofili. Nello stesso campo saranno fatti<br />

affluire i 2300 sgombrati dall’Isola di Melada, ove non potranno ulteriormente<br />

permanere perché sistemati provvisoriamente sotto le tende.<br />

A prescindere dai problemi dell’alloggio, dell’alimentazione e della vestizione,<br />

è necessario tenere nel debito conto una considerazione di ordine politico.<br />

L’attrezzatura dei campi di concentramento di cui dispone il Ministero<br />

dell’Interno è ormai esaurita per gli internamenti predisposti. Gli sfollati<br />

della frontiera orientale dovrebbero quindi essere avviati nei Comuni che<br />

offrono ancora possibilità ricettive e di avviamento al lavoro, principalmente<br />

in quelli rurali. Ove si consideri che nei piccoli Comuni, nei quali dovranno<br />

essere smistati, spesso manca anche la stazione dei Carabinieri Reali, la vigilanza<br />

non potrà giungere ovunque pienamente efficace, e quindi questi nuclei<br />

di sfollati finiranno col costituire altrettanti focolai d’infezione che non sarà<br />

facile neutralizzare in pieno, determinando così un pericolo per la compagine<br />

politica del Paese e per l’ordine pubblico. Giova anche tener presente che<br />

le popolazioni mal sopportano la loro presenza, essendo ad esse note le atrocità<br />

commesse dai ribelli contro i nostri soldati. Si ravvisa pertanto opportuno<br />

che gli elementi pericolosi e sospetti siano mantenuti nei campi di concentramento<br />

di cui dispone l’Autorità Militare. Il Ministero dell’Interno potrebbe,<br />

tuttalpiù, provvedere alla ricezione e sistemazione nelle provincie del<br />

Regno delle popolazioni che hanno richiesto la nostra protezione, delle donne<br />

e dei bambini, avvalendosi anche nei propri istituti, delle organizzazioni della<br />

G.I.L., e dell’Opera Nazionale Protezione Maternità ed Infanzia”.<br />

Il 1° ottobre 1942, dunque, da Fiuggi, a scaglioni di 60 persone al giorno arrivarono<br />

gli anglo-maltesi. In tutto 780 civili, con precedenza per gli elementi<br />

isolati e successivo arrivo dei nuclei familiari. Terminata questa prima fase,<br />

iniziò il trasferimento di 2.300 internati dell’isola di Melada (Dalmazia) per<br />

gruppi di 250 al giorno. I nominativi furono comunicati alla Prefettura di<br />

Frosinone con distinti elenchi. Gli internati arrivarono a Le Fraschette con le<br />

poche cose che erano riusciti a portare con sé, pochi bagagli a mano presi<br />

all’ultimo istante dalle proprie abitazioni durante le concitate fasi del rastrellamento<br />

effettuato dalla polizia militare italiana. Ancora dalla Dalmazia. dopo<br />

questo nutrito primo gruppo, arrivarono altri 2.900 civili.<br />

Durante una riunione tenutasi a fine settembre presso il Comando supremo, si<br />

esaminò la questione della sistemazione complessiva di 25.000 civili prove-<br />

19


nienti dalla Jugoslavia. “Secondo i calcoli delle Autorità militari, 5.000 di<br />

detti internati sono costituiti da nuclei famigliari di proteggendi, 2.000 da<br />

bambini, 15.000 da uomini comunisti politicamente pericolosi e 3.000 da<br />

famigliari di elementi arruolati fra i ribelli”. L’Ispettorato dei Servizi di<br />

Guerra declinò l’invito ad occuparsi della totalità degli internati, escludendo<br />

in particolare dalla propria competenza i 18.000 definiti “politicamente pericolosi”<br />

di cui avrebbe dovuto occuparsi, invece, la Direzione Generale di P.S.<br />

Il passaggio importante del documento riguardò proprio la questione dello<br />

status da assegnare a quei 18.000 civili. Per l’estensore del documento “più<br />

che di internati si tratta di sfollati, con provvedimenti di carattere generale<br />

delle Autorità Militari, la cui sistemazione dovrebbe rientrare non nella competenza<br />

della Direzione Generale di P.S., poiché i campi di concentramento e<br />

le località di internamento, in conseguenza del continuo afflusso d’internandi<br />

dalle nuove province e dai territori occupati, sono del tutto saturi, non in<br />

grado di poter ospitare le 18.000 persone succitate”.<br />

Il 19 novembre 1942, l’on. Guido Buffarini-Guidi, Sottosegretario di Stato<br />

per gli affari dell’Interno, inviò alcune riflessioni al Duce sottolineando quello<br />

che stava accadendo. I numeri di cui era in possesso il Sottosegretario<br />

assommavano a ben 50.000 cittadini sloveni sgombrati dai territori della frontiera<br />

orientale in seguito ad operazioni di polizia. Di questi, 25.000 presentavano<br />

problemi di pericolosità politica. La sistemazione di queste persone,<br />

secondo il Sottosegretario, doveva essere realizzata nelle province dell’Italia<br />

centro-settentrionale, per ragioni di ordine militare. L’on. Buffarini fece di<br />

nuovo esplicito riferimento a quel che si stava realizzando a Le Fraschette.<br />

Con Decreto del 26 novembre dei Ministri delle Finanze e dell’Interno, si<br />

dotò il campo di un adeguato personale civile non di ruolo per la gestione di<br />

circa 7.000 presenze preventivate.<br />

<strong>LE</strong> VICENDE DEL 1943<br />

All’inizio dell’anno il Segretario federale fascista di Frosinone, Augusto<br />

Pescosolido, trasmise al Prefetto le proteste dei fascisti di Alatri per i comportamenti<br />

tenuti dagli internati di Le Fraschette. Lamentava la loro eccessiva<br />

libertà di movimento nelle campagne circostanti e nelle città vicine, con lo<br />

scopo di trafficare per procurarsi cibo. In particolare sottolineò, non senza<br />

malizia, le visite “di giovanette alquanto avvenenti” nelle case dei gerarchi<br />

locali.<br />

20


Seguirono indagini accurate da parte dei Carabinieri che alla fine confermarono<br />

il motivo di quelle sortite, legate alla necessità di elemosinare cibo nei<br />

dintorni del campo. Si consigliò di sostituire la staccionata che delimitava il<br />

perimetro del campo con reticolati e di aumentare il numero dei militari in<br />

servizio di vigilanza. Fu inviata a Le Fraschette una pattuglia di circa una sessantina<br />

di carabinieri, comandati da un ufficiale, con il precipuo compito di<br />

impedire agli internati le fughe notturne.<br />

In un ulteriore rapporto, il Maggiore Francesco Giammusso, comandante del<br />

Gruppo carabinieri di Frosinone, illustrò al Prefetto la difficoltà di controllare<br />

gli internati anche potendo disporre di un maggior numero di uomini. Ciò<br />

a causa della lunghezza del perimetro del campo (2 km. circa), l’accidentalità<br />

del terreno difficile da tenere sotto controllo, la mancanza di una seria barriera,<br />

la scarsa illuminazione perimetrale e il divieto di far uso delle armi contro<br />

i fuggitivi. Lo stesso consigliò di adottare provvedimenti coerenti con le<br />

osservazioni proposte e suggerì una maggiore severità verso i recidivi.<br />

Si pensò anche di dotare il campo di attrezzature adeguate per la preparazione<br />

dei pasti. Così, il 28 febbraio si incaricò la ditta Pasotti di Brescia di fornire<br />

30 cucine costruite secondo progetti della stessa ditta. Il provvedimento<br />

fu preso anche in previsione di nuovi e consistenti arrivi di civili dai confini<br />

orientali.<br />

Ma all’aumentato numero di cucine non dovette corrispondere un miglioramento<br />

nelle razioni di cibo, se il Questore di Frosinone fu costretto a<br />

comunicare al Prefetto il caso dello slavo Juretic Bonaventura, il quale,<br />

nonostante tutte le misure adottate, era uscito più volte dal campo per<br />

procurarsi del cibo (cinque volte nel mese di gennaio e tre nel mese di febbraio).<br />

Tra l’altro il Questore rilevò come, impiegando la quasi totalità del<br />

contingente militare nella sorveglianza perimetrale, veniva a mancare il controllo<br />

all’interno del campo, in quello spazio ridotto ove convivevano già circa<br />

3.500 persone. Auspicò un ulteriore sensibile aumento del personale in servizio,<br />

e consigliò la redazione di cartelle biografiche “per conoscere tendenze e<br />

propositi di ciascuno e della relativa famiglia”. Ultima proposta riguardò l’uso<br />

delle armi da fuoco sia pure da utilizzare con le dovute cautele.<br />

Rimase aperta la questione dei terreni requisiti e non più utilizzati. I terreni,<br />

al momento, erano coltivati ancora dai vecchi proprietari, sebbene fossero<br />

ormai diventati proprietà dello Stato. La Direzione Generale dei servizi di<br />

guerra suggerì “di provvedere a far coltivare tali terreni dagli stessi internati<br />

conferendo il raccolto per il miglioramento del loro vitto, o regolare, se dal<br />

caso con contratti di locazione, le concessioni stesse”.<br />

21


Nonostante la situazione di quasi completa saturazione dei campi, continuarono<br />

i rastrellamenti nelle zone di guerra e i susseguenti invii di civili in Italia.<br />

In una nota del Ministero dell’Interno si dispose: “Questo Ministero, in considerazione<br />

che i campi di concentramento di cui dispone sono saturi e date<br />

le esigenze connesse allo sfollamento delle popolazioni civili dai centri sottoposti<br />

ad offese aeree nemiche, conferma che potrà accogliere solamente mille<br />

elementi (donne e bambini) nel campo di concentramento Le Fraschette –<br />

Alatri, mentre alla sistemazione di tutti gli altri internati è stato convenuto<br />

che provvederà direttamente l’Amministrazione Militare mediante la costituzione<br />

di appositi campi”.<br />

L’AZIONE DEI VESCOVI DI TRIESTE E GORIZIA<br />

Nella Venezia Giulia, già dal 1925, ai gruppi minoritari era stato fatto divieto<br />

di parlare nella propria lingua e molti istituti scolastici erano stati chiusi. Era<br />

stato portato avanti un programma di italianizzazione degli “allogeni”, cioè<br />

degli appartenenti ad altri gruppi etnici che avevano una propria cultura specifica.<br />

Non si volle tener conto delle diversità presenti in quella regione, ove<br />

diversi gruppi avevano convissuto per secoli, e si procedette rapidamente alla<br />

cancellazione e soppressione di ogni diversità, arrivando ad italianizzare persino<br />

i cognomi.<br />

Il provvedimento più drammatico fu la “bonifica etnica” che si voleva<br />

perseguire attraverso il massiccio trasferimento di popolazione. Il vescovo<br />

di Trieste e Capodistria mons. Antonio Santin e l’arcivescovo di<br />

Gorizia mons. Carlo Margotti furono impegnati in un’intensa attività di<br />

sostegno e difesa di quelle popolazioni.<br />

In una lettera al Duce, scritta da mons. Santin, condivisa da mons. Margotti,<br />

dai vescovi di Fiume e Pola e dalla Conferenza Episcopale Triveneta, venne<br />

tra l’altro richiesto:<br />

“che sia impedito che si brucino case, che non siano uccise persone non in<br />

combattimento, che sia reso più abbondante il vitto nei campi di internamento,<br />

che sia permesso di visitare gli internati nei campi di Cairo Montenotte e<br />

Le Fraschette di Alatri, che sia riesaminata la situazione degli internati e di<br />

coloro che erano leali cittadini, specie i vecchi, i malati, le donne, i fanciulli,<br />

di molte persone che soffrono lontano dalle loro case senza alcun motivo”.<br />

Il 20 aprile l’Ispettorato Generale di P.S. per la Venezia Giulia informò il<br />

Comandante del Campo Le Fraschette e altre Autorità che “in occasione di<br />

22


alcuni fermi, recentemente operati in diverse stazioni ferroviarie della<br />

Venezia Giulia, questo Ufficio ha avuto modo di accertare che le persone fermate,<br />

provenienti da Cairo Montenotte e Le Fraschette di Alatri, erano in possesso<br />

di pacchetti di lettere che gli internati - ai quali avevano portato dena-<br />

Donne slave internate al campo, dal volume di Slavica Plahuta<br />

“Sloveni e Montenegrini internati...” Goriski Muzej<br />

23


o, viveri e corrispondenza - avevano loro consegnato, brevi manu, per recapitarlo<br />

alle proprie famiglie. Qualcuna ha dichiarato di aver avuto esplicito<br />

permesso dal Comando Stazione CC.RR. di provenienza, prima di intraprendere<br />

il viaggio. Occorre che tale traffico abbia immediatamente termine per<br />

le seguenti ragioni:<br />

1°) Nella Venezia Giulia, tale forma di soccorso ha assunto l’aspetto di vera<br />

manifestazione di solidarietà con gli internati, da parte della popolazione<br />

allogena, che fa a gara col dare denaro, indumenti o commestibili.<br />

Permettendo ciò, si darebbe la sensazione che i campi di concentramento<br />

siano luoghi di villeggiatura, la qualcosa annullerebbe il fine per il quale<br />

questo Ispettorato speciale di Polizia provvede all’internamento dei famigliari<br />

dei ribelli, che è di ottenere così la costituzione di coloro che fra essi sono<br />

fortemente attaccati alla famiglia e la successiva costituzione anche dei<br />

recalcitranti, quando saranno venuti a conoscenza che alla costituzione dei<br />

loro compagni è seguito il ritorno immediato dei congiunti internati, chiesto<br />

direttamente e tempestivamente da questo Ispettorato come da autorizzazione<br />

della Circolare del Ministero dell’Interno. Insomma i campi di concentramento<br />

debbono essere ritenuti luoghi di severa punizione morale ed economica,<br />

e la liberazione dei familiari dei ribelli, ritornati a noi, un premio ed una<br />

leva per indurre gli altri, rimasti con i ribelli, a costituirsi.<br />

2°) Non può essere consentito che individui internati ricevano lettere o ne<br />

possano scrivere per farle recapitare clandestinamente, sottraendole alla<br />

necessaria censura.<br />

Premesso quanto sopra, presi gli ordini superiori, prego voler disporre che<br />

sia impedita, con tutti i mezzi, l’esplicazione di siffatta attività procedendo al<br />

fermo, sia in partenza, che in arrivo delle persone che si recano nei comuni,<br />

sedi di campo di concentramento, per recapitare danari, indumenti, lettere e<br />

viveri, e provvedendo al sequestro del materiale del quale siano trovati in<br />

possesso. I fermati dovranno a mezzo di ordinaria corrispondenza dell’Arma<br />

essere tradotti ed internati nel carcere di Trieste a disposizione di questo<br />

Ispettorato Speciale.<br />

Particolare raccomandazione viene rivolta ai sigg. Questori di Gorizia<br />

Savona e Frosinone in considerazione che il maggior traffico di persone si<br />

svolge tra le stazioni ferroviarie suddette”.<br />

Un curioso episodio avvenne il 1° maggio a Le Fraschette:<br />

“Verso le 11, pattuglie di agenti di P.S. e CC.RR. si avvedevano che alcune<br />

internate slave portavano intrecciati tra i capelli piccoli nastrini rossi. Tra di<br />

esse c’era un giovane dalmata che si era fregiato il petto con una coccarda<br />

24


ossa…Le donne fermate ed interrogate hanno dichiarato essere solite adornarsi<br />

ogni 1° maggio di nastrini rossi per celebrare la festa dei lavoratori”.<br />

Il 12 maggio, mons. Santin ebbe il permesso di visitare i campi di<br />

Fraschette e Cairo Montenotte, nei quali rilevante era la presenza di civili<br />

provenienti dalle diocesi del Triveneto. A Fraschette, comunicò mons.<br />

Edoardo Facchini in una lettera diretta a mons. Santin, dopo l’intervento<br />

autorevole di mons. Borgoncini-Duca, Nunzio apostolico del Vaticano<br />

presso lo Stato Italiano, erano stati “spazzati via tutti i dirigenti del campo,<br />

tenuto in condizioni disumane”.<br />

La visita di mons. Santin venne<br />

segnalata dal direttore del campo<br />

con fonogramma inviato al Prefetto<br />

di Frosinone: “alle ore 10 è qui giunto<br />

l’Eccellenza il Vescovo di Trieste<br />

col suo segretario accompagnato dal<br />

vescovo di Alatri. Fu desiderato di<br />

riunire sloveni e dalmati nel piazzale<br />

antistante la Chiesa ed ivi ha fatto<br />

un discorso a sfondo cristiano<br />

dando poi notizia che il Vaticano ha<br />

preparato 400 posti per ospitare<br />

bambini d’ambo i sessi in due Istituti<br />

uno a Roma e l’altro a Loreto. Ha<br />

fatto sperare a loro una prossima<br />

liberazione ed ha impartito la sua<br />

benedizione. Il discorso è stato poi<br />

ripetuto in lingua slovena dal suo<br />

mons. Antonio Santin<br />

Segretario. Prima di allontanarsi ha lasciato al cappellano del campo una<br />

somma da distribuire fra i più bisognosi fra sloveni e dalmati. Nessun incidente”.<br />

Ma chi era mons. Santin? Nominato vescovo della diocesi di Trieste e<br />

Capodistria nel 1938, presule amato e ricordato ancor oggi dalla sua gente,<br />

scrisse:<br />

“Fui e sono sacerdote cattolico e mi sforzai sempre di essere giusto. Mi sforzai<br />

di esserlo in tempi difficili, quando tenere duro in certi settori (lingua<br />

slava nelle chiese, difesa dei sacerdoti slavi ecc.) e affermare certe tesi (i<br />

diritti delle popolazioni slave) era difficile e pericoloso…E se ieri difesi ebrei<br />

25


e slavi perseguitati, oggi difendo gli italiani cacciati dalle loro terre…Alludo<br />

alle terre che, da sempre abitate da italiani, sono state aggiudicate contro<br />

ogni diritto ad altra nazione”.<br />

In generale, tutta la chiesa del nord-est si mobilitò a difesa della propria<br />

gente. A questo proposito, l’Alto Commissario Emilio Grazioli riferì dell’incontro<br />

del vescovo di Lubiana con il Pontefice. Grazioli era venuto in possesso<br />

del memoriale presentato dal presule, in accordo con il vescovo di<br />

Arbe. Vi si descrivevano le condizioni degli sloveni internati nei campi di<br />

concentramento:<br />

“Per circa 300.000 fedeli della Diocesi di Lubiana che si trovano nella<br />

Provincia di Lubiana, ne sono stati finora internati in diversi campi di concentramento<br />

quasi 30.000, cioè il 10 % di tutta la popolazione. In maggior<br />

parte sono nei seguenti campi di concentramento: a Gonars (diocesi di<br />

Udine) circa 4.000. Da Gonars vennero trasportati ultimamente una parte<br />

rilevante di questi in un campo di concentramento vicino ad Arezzo; a Monito<br />

(Treviso) circa 3.500 (fra questi 700 bambini al di sotto dei 10 anni); a<br />

Padova circa 3.500; ad Arbe (diocesi di Veglia) circa 15.000 (fra questi oltre<br />

1000 bambini).<br />

E per di più si trasporta nei campi di concentramento quasi ogni giorno ancora<br />

altra gente di ambedue i sessi e di tutte le età. Nessuno può sapere quanto<br />

tempo ciò durerà ancora. Le condizioni di vita dei campi di concentramento<br />

non sono buone. Tutti soffrono moltissimo. La mancanza di nutrimento non è<br />

il peggiore male per gli adulti, bensì per i bambini. Il male più insopportabile<br />

per gli adulti è l’ozio, la mancanza di occasioni per un lavoro utile, specialmente<br />

risentono ciò le persone colte che non possono avere nemmeno dei<br />

libri, sebbene questi fossero stati raccolti e pronti per la spedizione a<br />

Lubiana, ma venne respinto il permesso di trasportarli nei campi di concentramento...<br />

Ecco i provvedimenti più urgenti da farsi: - I bambini dovrebbero essere<br />

immediatamente rimandati a casa assieme alle loro madri…- Gli ammalati<br />

gravi e quelli che sono affetti da malattie croniche dovrebbero venire liberati<br />

e rimandati alle rispettive famiglie, dove potranno essere meglio curati. Vi<br />

sono casi veramente terribili: per es. a Gonars vi fu uno studente universitario<br />

che aveva un tumore nel cervelletto ed in seguito a ciò perdette la vista.<br />

Proprio nel giorno in cui fu arrestato a Lubiana in occasione della razzia<br />

generale, aveva ricevuto dal medico un ordine scritto per recarsi alla clinica<br />

per un’operazione urgentissima. Nessuno badò a ciò, venne trasportato a<br />

Gonars ed ivi trattenuto. Egli perdette completamente la vista. Dopo alcuni<br />

26


mesi si è riuscito a liberarlo… - La separazione degli studenti e degli altri<br />

adolescenti dai rimanenti internati. - I bambini e gli adolescenti che sono<br />

negli accampamenti dovrebbero venire nutriti più convenientemente e più<br />

abbondantemente, affinché non soccombano a causa dell’esaurimento e delle<br />

malattie che nell’inverno sono ancor più pericolose…<br />

Tutti saranno riconoscentissimi alla<br />

Santa Sede, se potesse appoggiare<br />

queste nostre proposte presso le<br />

competenti autorità italiane”.<br />

Anche mons. Carlo Margotti,<br />

Arcivescovo di Gorizia, con una<br />

lettera indirizzata alle Autorità<br />

fasciste intervenne in difesa della<br />

sua gente. Il presule rivolse una<br />

petizione in favore “di quelle centinaia<br />

di uomini e donne, padri e<br />

madri di famiglia … che si vedono<br />

privati della libertà personale e<br />

giacciono ancora in carcere o in<br />

mal riparati campi di concentramento,<br />

mentre la loro casa e le loro<br />

mons. Carlo Margotti<br />

modeste risorse sono confiscate”.<br />

Mons. Margotti scrisse al Capo di<br />

Stato Maggiore, maresciallo Pietro Badoglio, implorando “un gesto generoso<br />

verso le popolazioni di origini e lingua slovena che formano la maggioranza<br />

della diocesi di Gorizia: sfollamento dei campi di concentramento e ritorno<br />

di molte braccia al lavoro delle campagne ormai quasi abbandonate e ripresa<br />

della vita famigliare in troppe case su cui è piombato il dolore e la desolazione<br />

con la lontananza forzata del padre e della madre”. Lo stesso vescovo<br />

segnalò alle Autorità alcuni casi particolarmente pietosi chiedendo il ritorno<br />

a casa dai campi di concentramento, “ma – annotò amaramente nell’agosto<br />

1943 – da Le Fraschette è ritornata finora solo una donna”.<br />

Questa amara constatazione finale trova una spiegazione nel documento che<br />

l’Ispettore Speciale di Polizia, Giuseppe Gueli aveva inviato al Capo della<br />

Polizia il 10 luglio. In esso si delineava la strategia da seguire per tenere a<br />

bada l’iniziativa del clero che perorava insistentemente la causa del ritorno a<br />

casa degli internati della Venezia Giulia inviati nei campi di concentramento<br />

italiani. Scriveva Gueli: “Nell’adunanza tenuta il 6 corrente presso la sede<br />

27


arcivescovile di Gorizia, diversi parroci allogeni si sono rivolti a me direttamente<br />

per ottenere il rilascio di alcuni internati nei campi di concentramento.<br />

Pur contenendo l’accettazione di tali richieste in una misura assai limitata,<br />

ritengo di dover aderire, perché solo in tale maniera si potrà ottenere che<br />

l’azione del clero contro le bande armate, anziché cauta, com’è stata decisa,<br />

sia palese e definitiva. Infatti, salvo ordine contrario dell’Eccellenza Vostra,<br />

io mi riservo di disporre inizialmente la liberazione di uno sparuto numero di<br />

internati, che farei convenire, man mano, presso la sede di questo Ispettorato,<br />

ove li consegnerei personalmente ai parroci richiedenti con acconce parole,<br />

atte a far comprendere ed a far subito divulgare nella zona la notizia di una<br />

azione comune svolta contro le bande armate da questo Ispettorato e dal<br />

clero locale. Ho avuto occasione di conferire sull’argomento con il<br />

Comandante dell'VIII Armata, il quale condivide con me l’idea che un tale<br />

procedimento varrà di sicuro a mettere il clero allogeno in situazione di lotta<br />

aperta con le bande dei ribelli, capeggiate dai comunisti”.<br />

In effetti pochissimi furono i civili tornati anzitempo da Le Fraschette, segno<br />

che la strategia disegnata dall’assai temuto Ispettore Gueli, fu rigorosamente<br />

osservata e messa in atto.<br />

L’AZIONE DI MONS. EDOARDO FACCHINI<br />

Mons. Edoardo Facchini, vescovo di Alatri dal 30 giugno 1935, cercò di<br />

tutelare e proteggere con la sua presenza al campo gli internati di<br />

Fraschette e per questo si recò al campo a piedi anche più volte al giorno.<br />

Nel mese di aprile del 1943 la Direzione informò la Prefettura di Frosinone<br />

“che il cappellano ha ricevuto da S.E. il Vescovo di Alatri la somma di<br />

L.15.000 e in precedenza altra di minore entità per gli internati più poveri e<br />

bisognosi. Dallo stesso Cappellano mi è stata data l’assicurazione che la<br />

distribuzione viene fatta nella misura di una cinquantina di lire per famiglia,<br />

tra quelle che non ricevono vaglia e nulla posseggono, in modo da non trovarsi<br />

in contrasto con le disposizioni in vigore”. Lo stesso mons. Facchini, qualche<br />

giorno dopo “ha mandato al campo per essere distribuiti gratuitamente<br />

agli internati, una cassa di medicinali di cui è difficile avere l’acquisto, trattandosi<br />

di specialità”. Il Ministero dell’Interno invitò successivamente il<br />

Direttore del Campo a ringraziare mons. Facchini “per l’apprezzato dono”.<br />

Mons. Facchini fu in quegli anni il riferimento unico per la popolazione di<br />

Alatri e, dopo l’8 settembre, costituì l’ultimo baluardo contro i soprusi dei<br />

28


nazifascisti. L’intensa attività assistenziale posta in essere dal vescovo e dal<br />

clero fu malsopportata dalle autorità. Durante l’estate del 1943 le città della<br />

Ciociaria a sud di Frosinone subirono pesanti bombardamenti. Rispetto alla<br />

città capoluogo, Alatri sembrò città più sicura, tanto che si decise di trasferirvi<br />

il Distretto militare, il Comando provinciale militare, il Comando della<br />

guardia nazionale repubblicana, il Comando tedesco per la piazza di<br />

Frosinone ed il Comando provinciale della polizia militare tedesca. La<br />

Prefettura e la Questura furono trasferite a Fiuggi.<br />

Si ridussero in questo modo gli spazi di libertà e anche il vescovo fu sottoposto<br />

a stretta sorveglianza. Ogni suo atto fu spiato e segnalato. Tuttavia, potendo<br />

contare su una valida rete di protezione, egli continuò ad adoperarsi perché<br />

non si commettessero abusi nella gestione degli aiuti alimentari alla popolazione,<br />

agli sfollati, agli internati. Arrivò ben presto allo scontro con le autorità<br />

in difesa della popolazione e per questo unanimemente gli venne riconosciuto<br />

il titolo di “Defensor civitatis”.<br />

Nel campo, gestito dalle autorità civili e militari italiane, avvenivano furti e<br />

abusi ai danni degli internati e alcuni agenti di P.S. si resero responsabili di<br />

episodi di molestie a carico di giovani donne, come annotò, peraltro, il<br />

Questore di Frosinone in una nota del 23 maggio indirizzata al Direttore del<br />

Campo. Mons. Facchini pensò che un presidio di suore all’interno del campo<br />

avrebbe potuto essere una garanzia migliore per gli internati e una risorsa da<br />

mettere a disposizione dei più deboli: anziani e bambini.<br />

Solo le suore, con il loro spirito di abnegazione, avrebbero potuto confortare,<br />

proteggere, educare, insegnare. Così si rivolse alle suore Giuseppine di<br />

Veroli e ottenne che un drappello di queste si trasferisse in una baracca<br />

del campo.<br />

L’esperienza delle suore fu raccontata da Madre Mercedes Agostini nel diario<br />

che è riproposto in altra parte del volume in versione integrale. Grandissima<br />

fu la preoccupazione del vescovo quando i tedeschi, sul finire del 1943, si<br />

insediarono al campo requisendo alcune baracche in dispregio della<br />

Convenzione di Ginevra, che considerava quei luoghi “zone di rispetto”. Da<br />

quel momento iniziarono pesanti attenzioni nei confronti delle donne. Pur in<br />

presenza di questa grave situazione, mons. Facchini chiese alle suore di continuare<br />

la propria attività, cosa che avvenne fino al 7 aprile 1944, quando<br />

anche l’ultimo gruppo di internati lasciò Le Fraschette per essere trasferito al<br />

campo di concentramento di Fossoli, nel comune di Carpi. Le suore condivisero<br />

con questo gruppo anche il lungo e pericoloso viaggio verso il nord.<br />

Il 26 agosto il rappresentante della Nunziatura apostolica, mons. Riberi, fece<br />

29


18-7-1943 Prima Comunione al Campo con mons. Facchini e le suore Giuseppine<br />

visita al campo. A Le Fraschette arrivò mons. Riberi, Nunzio del Santo<br />

Padre per i campi di concentramento. Della visita venne informata la<br />

Prefettura di Frosinone: ”Questa mane alle ore 8,30 è qui giunto l’Eccellenza<br />

Mons. Riberi accompagnato dal vescovo di Alatri e da altri prelati. L’alto<br />

presule dopo aver celebrato la messa all’aperto nello spiazzo antistante la<br />

chiesetta del Campo ha rivolto alla massa dei fedeli parole di occasione invitandoli<br />

alla Fede e alla Provvidenza che lo Stato della Città del Vaticano va<br />

promuovendo in loro favore fino alla prossima liberazione. Ha preso la parola<br />

S.E. il Vescovo di Alatri a sua volta seguito da un giovanetto internato che<br />

ha recitato una poesia sacra inneggiante al Papa. Terminata la cerimonia<br />

religiosa S.E. mons. Riberi ha visitato le scuole, alcuni dormitori, le infermerie<br />

del campo e i vari refettori. Alle 12,30 ha lasciato il campo esprimendo il<br />

suo vivo compiacimento per l’organizzazione avvenuta nel campo. S.E. il<br />

Vescovo di Alatri ha inviato un telegramma a Sua Santità il Papa. Frosinone<br />

26/8/1943”.<br />

Mons. Riberi parlò quindi di una prossima liberazione degli internati, soprattutto<br />

di quelli provenienti dal Friuli e di origine slava. In effetti sempre più<br />

30


spesso si ripetevano gli appelli delle autorità religiose e si nutrivano concrete<br />

speranze di una prossima liberazione di migliaia di civili. D’altronde, non<br />

avrebbe avuto alcun senso sollecitare con vane promesse la speranza di tante<br />

persone ridotte allo stremo da condizioni di vita impossibili.<br />

28-8-1943 Il Nunzio apostolico parla agli internati<br />

ANCORA ARRIVI AL CAMPO<br />

Il Direttore del Campo, Gian Domenico De Sanctis, ben cosciente delle enormi<br />

difficoltà di gestione di una situazione che rischiava di sfuggirgli di mano,<br />

scrisse al Prefetto chiedendo di valutare “l’opportunità che per il momento si<br />

soprassieda dall’ulteriore destinazione a questo Campo di altri contingenti di<br />

internati o confinati”, dal momento che “la popolazione degli internati<br />

ascende in questo momento ad oltre 4.300 unità, tra cui, da alcuni giorni<br />

31


vanno annoverati confinati ed internati politici connazionali, sfollati da<br />

Ustica, e sui quali occorre specifica vigilanza”.<br />

Ritornò qualche giorno dopo sull’argomento per precisare il proprio pensiero<br />

circa l’effettiva capacità del campo. Infatti lo stesso era stato inizialmente progettato<br />

per 7.000 persone, ma “avrebbe dovuto trovarvi sistemazione una<br />

massa di internati militari o militarizzati. Ma nel corso dei lavori molte<br />

costruzioni hanno subito trasformazioni per essere adattate ad alloggio di<br />

nuclei familiari di internati, riducendo in tal modo la capienza di esse ed il<br />

numero dei posti. Il previsto arrivo di tali nuclei familiari, oltre gli internati<br />

singoli, ha consigliato peraltro l’utilizzazione, già avvenuta da alcuni mesi,<br />

di alcune baracche a vari servizi e necessità tecniche, per cui la preventivata<br />

disponibilità di circa 7000 posti si riduce, a lavori ultimati, ad un massimo di<br />

poco più di 5000. In vero la Ditta Pasotti ha costruito 174 baracche delle<br />

quali solo un centinaio sono attrezzate a dormitori; le altre sono utilizzate per<br />

refettori, cucine, alloggi di Corpi Militari, sale di isolamento, magazzini e<br />

negozi…A conclusione di tali precisazioni, pregasi l’Eccellenza Vostra di<br />

voler prospettare superiormente la situazione effettiva del Campo e provocare<br />

di conseguenza la sospensione di ulteriori invii di internati, oltre quelli già<br />

previsti o preannunziati”.<br />

Importante, per la vita del campo e la sua organizzazione, fu la nota del<br />

Ministero dell’Interno del 2 luglio 1943, con la quale si stabilì il passaggio di<br />

gestione del campo dalla Direzione Generale per i servizi di guerra alla<br />

Direzione Generale di Pubblica Sicurezza:<br />

“Il Campo di concentramento Le Fraschette, costruito per l’internamento di<br />

sfollati provenienti dalla Libia, accoglie alla data odierna un complesso di<br />

circa 4500 unità, fra cui anglo-maltesi sgombrati dall’Africa Settentrionale<br />

che hanno manifestato sentimenti ostili all’Italia, sloveni e croati rastrellati a<br />

seguito di operazioni di polizia dai territori annessi ed occupati della frontiera<br />

orientale e dalle province della Venezia Giulia, ed anche elementi sospetti<br />

in linea politica provenienti da altri campi di concentramento della Direzione<br />

generale di Pubblica Sicurezza. Fra breve vi saranno fatte affluire alcune centinaia<br />

di internati per reati annonari. Il campo è stato amministrato fino ad<br />

oggi, per ragioni contingenti, dalla Direzione Generale per i servizi di guerra.<br />

Al riguardo è da tenere presente che tutti gli internati predetti debbono<br />

essere assoggettati ad un particolare regime di sorveglianza che esula dai<br />

compiti istituzionali della Direzione Generale per i servizi di guerra, la quale<br />

è chiamata a provvedere allo sfollamento, assistenza e ricovero dei connazionali<br />

sfollati dalle zone di operazioni, nonché dei sinistrati da azioni belliche.<br />

32


A conferma di ciò si precisa che questo Ministero ha istituito nel proprio<br />

bilancio due distinti capitoli di spesa dalle seguenti denominazioni:<br />

a) spese per l’impianto ed il funzionamento di campi di concentramento per<br />

internati per motivi di P.S.;<br />

b) spese per l’impianto ed il funzionamento di campi di concentramento e di<br />

locali per profughi e sfollati di guerra e per l’apprestamento di locali per il<br />

ricovero di danneggiati da azioni belliche.<br />

Il primo capitolo è gestito dalla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza;<br />

il secondo dalla Direzione Generale per i servizi di guerra.<br />

Appare quindi evidente che la gestione del campo Le Fraschette, rientri nella<br />

specifica competenza della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, la<br />

quale finora ha provveduto a fornire il personale occorrente per la Direzione<br />

e per i servizi di vigilanza.<br />

Si dispone pertanto che entro il 31 luglio p.v. la gestione del campo medesimo<br />

passi dalla Direzione Generale per i servizi di guerra alla Direzione<br />

Generale di Pubblica Sicurezza. Le Direzioni interessate provvederanno alle<br />

regolari consegne di tutti gli atti e documenti relativi alla gestione del Campo<br />

e dei materiali ivi esistenti. S’intende che tutte le pratiche concernenti i lavori<br />

già eseguiti per la costruzione del Campo e quelli in corso di attuazione<br />

saranno definite dalla Direzione Generale per i servizi di guerra”.<br />

Ormai, però, l’evoluzione delle vicende politiche e belliche stavano per prendere<br />

il sopravvento sui problemi amministrativi e si stava entrando in un<br />

periodo storico contrassegnato da incertezze e provvisorietà. Il 10 luglio le<br />

truppe alleate avevano iniziato lo sbarco in Sicilia, il 19 luglio le prime bombe<br />

alleate caddero su Roma, mentre il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo<br />

sfiduciò Mussolini che venne privato di ogni carica e arrestato. Le autorità<br />

non lasciarono trapelare notizie, limitandosi ad osservare i comportamenti<br />

all’interno del campo. A tal proposito, il Direttore del campo informò il 27<br />

luglio il Prefetto che “in seguito agli ultimi avvenimenti politici, il contegno<br />

degli internati si è mantenuto durante la giornata disciplinato e normale. Solo<br />

verso le 11,30 si è notato che gli internati si andavano riunendo lungo il viale<br />

centrale del campo in numero superiore del normale. Immediato intervento<br />

degli organi di polizia ha eliminato qualsiasi assembramento e nulla si è<br />

avuto a verificarsi. Oltre ad avere intensificato i servizi di vigilanza già in<br />

atto, ho disposto la momentanea chiusura, per misura preventiva, degli spacci<br />

di bevande alcoliche esistenti nel campo.”<br />

Nonostante i ripetuti appelli, si ipotizzò la possibilità di internare a Le<br />

Fraschette “duecento donne, parenti e favoreggiatrici di ribelli, già fermate”<br />

33


e “altrettanti internandi per motivi annonari”, per i quali invece la Direzione<br />

Generale di P.S. chiese l’internamento nel campo di Farfa Sabina.<br />

La drammaticità della situazione fu evidenziata dall’alto numero di decessi tra<br />

bambini registratisi nella prima metà del 1943. Questo il triste elenco, sia pure<br />

sommario: Pavic Nicola di 11 anni, Sarson Miranda di 2 mesi, Zoretic Angela,<br />

anch’essa di 2 mesi, Popovac Giovanni Bigliana di 18 anni, Intelia Natale di<br />

13 anni, Rosic Albina di 1 mese, Ielenc Antonio di 6 mesi, Skok Mario Merea<br />

di 7 mesi, Ban Emilia di 17 mesi, Santor Milena di 4 mesi, Toman Vieno di 5<br />

mesi. In totale, nei registri dello Stato civile del Comune di Alatri, furono<br />

registrati 20 decessi nel corso del 1942, 11 nel 1943 e 85 nel 1944 di persone<br />

che vivevano al campo.<br />

L’avanzata delle truppe Alleate dalla Sicilia, provocò la chiusura del campo di<br />

concentramento di Ustica e un gruppo di circa cento confinati politici ed internati<br />

fu trasferito a Le Fraschette, ove giunsero a fine di giugno. Tra di essi,<br />

numerosi italiani e slavi, uomini e donne, accusati di essere comunisti, sovversivi,<br />

sospettati di intese con i partigiani.<br />

Il 10 luglio il Direttore del campo scrisse al Prefetto di Frosinone:<br />

”Dall’esame dei fascicoli personali si deduce che trattasi per la maggior<br />

parte di elementi effettivamente pericolosi, sia dal lato politico, sia dal lato<br />

morale, trattandosi di pregiudicati per reati di ogni specie e qualcuno confinato<br />

anche per avere manifestato propositi di attentati alla vita del Duce,<br />

come ad esempio Ferraresi Armando fu Baldassarre e Vaglio Francesco Polo<br />

fu Luigi. Vi si notano anche elementi i quali, oltre che essere pericolosi per i<br />

loro precedenti politici e morali, debbono scontare ancora un lungo periodo<br />

di confino come: Coco Vincenza fu Esilio in Arnoldi; Guida Alberto di ignoti;<br />

Holobar Giustino di Martino; La Torre Antonino fu Antonio; Manni<br />

Giuseppe di Francesco; Nardizzi Pasquale fu Giovanni; Novak Oveta di<br />

34<br />

Il bombardamento di Roma - La Basilica di San Lorenzo devastata


Giuseppe; Olivieri Arnaldo di Salvatore; Pallottino Pasquale fu Rocco;<br />

Fasetta Francesco di ignoti; Petro Marko fu Marco; Ravarrino Vittorio fu<br />

Pietro; Savio Giovanni di Carlo; Salvatori Mario fu Anchise; Tedesco Davide<br />

fu Bartolomeo; Tosi Alfredo fu Angelo; Zenetin Elvira di Carlo. Per tutti<br />

costoro non sembra prudente la permanenza in località che, come attualmente<br />

questo campo di concentramento, è da considerare aperto perché tuttora<br />

privo di recinzione e che non offre alcun mezzo o possibilità che valga a impedirne<br />

l’allontanamento”.<br />

Proprio sulla scorta di quanto richiesto dal direttore del campo, il Prefetto di<br />

Frosinone qualche giorno dopo chiese alcuni interventi urgenti per rendere<br />

più sicuro il campo e migliorarne al tempo stesso la vita. In particolare, oltre<br />

ad avvicendamenti del personale amministrativo, chiese di “eliminare i militari<br />

dell’81° Reggimento Fanteria addetti alle 18 cucine, affidando ogni<br />

cucina ad un capo baracca da farsi coadiuvare nella preparazione delle<br />

vivande dagli stessi internati … Assegnare un secondo medico in sostituzione<br />

del dott. Tordela richiamato alle armi, un assistente sanitario che coadiuvi<br />

i due medici, quattro infermieri, tre inservienti per le pulizie dei locali e<br />

tre vigili sanitari”.<br />

Il Prefetto fece richiesta di personale al Ministero della Guerra “affinché<br />

metta a disposizione del campo un ufficiale medico giustificando la richiesta<br />

col rilievo che trattasi di internati in dipendenza dello stato di guerra”.<br />

Suggerì ancora di “costruire latrine comunicanti con le baracche essendo le<br />

attuali molto distanti, sicché d’inverno e di notte gli internati non hanno possibilità<br />

di servirsene”. Con ulteriore comunicazione alla Direzione Generale<br />

di P.S., il Prefetto fece proprie le osservazioni del Direttore del campo, chiedendo<br />

di attuare al più presto il trasferimento degli ultimi confinati politici<br />

arrivati da Ustica in altro campo ove fosse possibile attuare più severa sorveglianza.<br />

La risposta fu però negativa, vista l’assoluta mancanza di posti in altri<br />

campi di concentramento. “Ciò premesso – aggiunse il Capo della Polizia –<br />

si prega codesta Prefettura di affrettare, per quanto possibile, i lavori di<br />

recinzione del campo in oggetto, formulando, nel contempo, proposte concrete<br />

per l’eventuale aumento della forza pubblica per i servizi di vigilanza del<br />

campo medesimo”.<br />

Il 18 luglio 1943, il Direttore del campo fotografò esattamente la situazione<br />

dell’internamento a Le Fraschette:<br />

“Anglo maltesi (sudditi inglesi): donne 503 – uomini 469;<br />

Croati: donne 764 – uomini 467;<br />

Serbi: donne 6 – uomini 0;<br />

35


Albanesi: donne 0 – uomini 3;<br />

Dalmati: donne 689 – uomini 473;<br />

Sloveni: donne 791 – uomini 101;<br />

Italiani: donne 17- uomini 31.<br />

Totale individui n. 4.314 fra cui vi sono 107 ex confinati ed internati politici”.<br />

Nello stesso documento, il Direttore invocò “la sostituzione del comandante<br />

della stazione agenti di P.S. maresciallo Raso Gino e tutti gli agenti qui in servizio<br />

con elementi anziani, pratici dei servizi di polizia e massimamente di<br />

effettiva provata e indiscussa serietà, forniti tutti di divisa. Vi è da portare la<br />

forza della Stazione a 40 elementi inquadrandola con un congruo numero di<br />

abili e provetti sottufficiali”.<br />

A questa popolazione presto si aggiunsero, per disposizione del<br />

Sottosegretario al Ministero dell’Interno, anche 200 donne, parenti e favoreggiatrici<br />

di ribelli, fermati da vario tempo dall’Ispettorato Speciale di Polizia<br />

per la Venezia Giulia.<br />

L’arrivo di questo ulteriore gruppo avvenne il 12 agosto.<br />

Nello stesso giorno giunse una delegazione svizzera accompagnata da un<br />

funzionario del Ministero degli Interni. La delegazione si preoccupò di<br />

verificare la situazione degli anglo-maltesi, il regime a cui questi erano sottoposti,<br />

gli alloggi da essi occupati. La visita durò l’intera giornata, alla presenza<br />

del direttore del campo che ne fornì notizia alla Prefettura.<br />

Nel mese di agosto l’Opera Pontificia di Assistenza di Gorizia incaricò Madre<br />

Clementina Drole di far pervenire per il tramite di Padre Cortesi, la somma di<br />

£.11.115 alle internate di Le Fraschette provenienti da quella diocesi.<br />

Il Ministero dell’Interno il 16 settembre invitò la direzione del Campo a pagare<br />

gli internati e confinati “che svolgono lavori inerenti al campo, come avviene<br />

negli altri campi di concentramento, ovvero con 100-150 lire mensili”. Il 5<br />

ottobre un violento incendio scoppiò a Le Fraschette. Diverse baracche furono<br />

distrutte. Ne dette immediata notizia il Direttore al Prefetto.<br />

36


L’ARMISTIZIO<br />

Se il 25 luglio non produsse ripercussioni, ben altra situazione si registrò a<br />

seguito dell’armistizio dell’8 settembre e l’allontanamento dei carabinieri e di<br />

buona parte degli agenti di P.S.. Scrisse il Prefetto Gullotta:<br />

“Il contegno degli internati croati diviene sempre più aggressivo, anche per il<br />

fatto che ad essi, data la difficilissima situazione alimentare della provincia,<br />

non può distribuirsi il vitto giornaliero se non limitatamente al pane, a patate<br />

e a quegli altri generi che<br />

offre il mercato locale. Ad<br />

aggravare tale difficile situazione<br />

di cose, è intervenuto un<br />

nuovo inconveniente: da dieci<br />

giorni in qua, un aereo di<br />

nazionalità sconosciuta, quasi<br />

tutte le sere, alla stessa ora,<br />

sorvola il campo, eseguendo<br />

mitragliamenti; il 10 ottobre<br />

sganciava anche due bombe<br />

dirompenti sulle baracche della<br />

Direzione, che hanno subito<br />

gravi danni. A ciò è da aggiungere<br />

il contegno deplorevole dei<br />

funzionari di P.S. rimasti tuttora<br />

in servizio al campo, i quali<br />

si mantengono indifferenti e<br />

passivi di fronte al disordine<br />

che vi regna, subdolamente istigando<br />

internati ed agenti di P.S.<br />

a rivoltarsi contro la direzione,<br />

e profittando, appunto, della confusione, per procedere ad indebiti profitti,<br />

specialmente per quello che riguarda il materiale vestiario e lettereccio”.<br />

ARRIVA LA GUERRA. VERSO LA CHIUSURA DEL CAMPO.<br />

La guerra sempre più vicina e la conseguente aumentata insicurezza, fece<br />

prendere in considerazione l’idea di trasferire gli internati in città, ad Alatri,<br />

37


muniti di tessera di alimentazione e con il beneficio del prescritto sussidio di<br />

£.9 al giorno. Ma si presero in considerazione anche soluzioni più drastiche,<br />

quali la liberazione per i civili di nazionalità slava e il trasferimento in altro<br />

campo per gli anglo-maltesi.<br />

Riconoscendo l’inutilità di quell’internamento di una così grande massa di<br />

popolazione, il Ministro della Guerra del Governo Badoglio, Antonio Sorice,<br />

propose l’immediata liberazione dei civili in una lettera indirizzata alle autorità<br />

ecclesiastiche. Il provvedimento avrebbe dovuto riguardare “4.500 croati<br />

e sloveni tra cui molte donne e bambini, internati al campo di Alatri, 5.000<br />

uomini croati e sloveni del campo di Anghiari-Renicci, 3.800 sloveni e croati<br />

del campo di Chiesa Nuova, 1.400 uomini e donne del campo di Monito,<br />

2.000 croati e sloveni del campo di Visco e 2.500 internati di Gonars”.<br />

A novembre il numero di internati a Le Fraschette era sceso a 2.570, di cui<br />

1.615 dalmati e 955 anglo-maltesi. La difficoltà di approvvigionamento di cibi<br />

e vestiario si fece sempre più pressante, ma nello stesso tempo le Autorità<br />

erano ben consapevoli della difficoltà di trasferire una massa di persone composta<br />

perlopiù da bambini, donne ed anziani, inabili al lavoro e incapaci di tentare<br />

da soli un improbabile ritorno a casa.<br />

La disperazione aveva prodotto il saccheggio del campo. Pur di procurarsi<br />

cibo, gli internati, ma non solo loro, vendettero o barattarono tavoli, materassi,<br />

coperte, lenzuola, tutto materiale che era servito per le truppe fino a poco<br />

tempo prima lì presenti.<br />

Per risolvere il problema del trasferimento degli anglo-maltesi verso campi<br />

ubicati in Alta Italia, lontani dal teatro di guerra, e nello stesso tempo riavvicinare<br />

gli slavi verso casa, il Ministero degli Affari Esteri il 4 dicembre si<br />

rivolse alle autorità tedesche proponendo:<br />

“1. Il trasferimento al nord del gruppo degli anglo maltesi. Per far ciò le autorità<br />

militari germaniche dovrebbero provvedere l’adeguato mezzo di trasporto,<br />

dopo aver preso accordi con il Ministero dell’Interno circa la località dove<br />

potrebbero essere concentrati gli elementi di cui si tratta.<br />

2. Far rimpatriare nei loro rispettivi paesi i nuclei croati e sloveni, composti<br />

in gran parte da vecchi, donne e bambini, eccezion fatta per gli uomini validi<br />

che dovrebbero essere internati nell’Italia settentrionale, allo scopo di evitare<br />

che essi, rimpatriando, possano andare ad ingrossare le file dei ribelli.<br />

Il lasciare insoluta la questione potrebbe, in caso di ulteriore avanzata degli<br />

eserciti anglo-americani, portare alla dispersione del gruppo in questione,<br />

con evidente danno per gli interessi sia italiani sia tedeschi”.<br />

La missiva naturalmente era partita da Salò e dalle autorità della neonata<br />

38


Repubblica Sociale Italiana che aveva assunto il controllo delle zone ancora<br />

occupate dalle truppe tedesche. Ma la mancanza di mezzi di trasporto e la difficile<br />

individuazione di località del Nord Italia con adeguata capacità ricettiva,<br />

fecero rimandare il progetto. La Direzione Generale di P.S. suggerì lo<br />

scioglimento del campo, la liberazione degli internati e la custodia da parte di<br />

pochi agenti di P.S. delle strutture che costituivano pur sempre patrimonio<br />

dello Stato.<br />

“La situazione, già abbastanza grave, è divenuta ora addirittura insostenibile<br />

per il fatto che i Comandi tedeschi succedutisi nella Provincia di Frosinone<br />

e il cui atteggiamento verso gli internati era, in principio, conforme alla<br />

Convenzione di Ginevra, si sono addirittura insediati con le loro truppe nel<br />

campo, dimenticando trattarsi di una zona di rispetto. Per tale accampamento<br />

sono stati requisiti oltre alle baracche degli internati, magazzini ed alloggi<br />

della Direzione con il conseguente deterioramento di molto materiale d’arredamento<br />

ch’era stato possibile salvare. A seguito di ciò gli internati vivono<br />

in preda a continuo panico e molti si sono ritirati in case di contadini delle<br />

contrade vicine scendendo nel campo solamente per ritirare il pane. Dato tale<br />

stato di cose e poiché le operazioni militari si avvicinano sempre di più a<br />

quella zona ed i bombardamenti e mitragliamenti sono continui (il 10 ottobre<br />

ebbe a verificarsi uno sgancio di spezzoni incendiari proprio sugli uffici della<br />

Direzione e non è raro il caso che schegge di proiettili vengano a cadere sulle<br />

baracche), è necessario adottare d’urgenza provvedimenti che valgano ad eliminare<br />

lo stato di cose suindicate”.<br />

In tutta questa contingenza, l’ingegnere capo del Genio Civile di Frosinone il<br />

5 novembre trovò il tempo e i denari per incaricare l'Impresa Malandrucco di<br />

eseguire i lavori di costruzione della recinzione del Campo.<br />

Il 7 dicembre il Capo della Polizia fu informato “del contegno poco corretto<br />

di alcuni militari di dette truppe (tedesche) i quali nelle ore notturne hanno<br />

tentato di accedere nelle baracche delle internate e perfino in quelle del cappellano<br />

e delle suore reclamando donne per scopi facilmente immaginabili,<br />

ed esplodendo alcuni colpi di pistola a scopo intimidatorio…Si ritiene doveroso<br />

far presente che il nucleo anglo-maltese mantiene, nei limiti consentiti<br />

dalla necessità del momento, una disciplina ed un contegno correttissimi<br />

assai diverso da quello degli internati croati e sloveni…Si fa presente che il<br />

IX Comando Militare del Lazio ha disposto che il Comando Provinciale<br />

Militare di Frosinone assuma il compito della vigilanza del campo”.<br />

39


IL 1944<br />

Il 7 gennaio 1944, il Capitano e Comandante del Paese (Alatri), Schumacher,<br />

scrisse al Direttore del Campo:<br />

“Il campo di concentramento nelle sue attuali condizioni non è sopportabile<br />

nell’interesse dell’esercito germanico per la difesa dell’Europa e del mantenimento<br />

della sicurezza e dell’ordine delle retrovie.<br />

Il campo da lungo tempo insorvegliato, gli internati vivono in completa libertà.<br />

Razzie fatte inaspettatamente, hanno dimostrato che il campo offre in certo<br />

qual modo rifugio ad agenti al servizio di Potenze nemiche come pure a prigionieri<br />

di guerra fuggitivi.<br />

L’approvvigionamento alimentare degli internati è in parte deficiente, sia per<br />

mancanza di organizzazione provinciale, sia per la effettiva mancanza di<br />

viveri.<br />

In seguito alla mancanza di cure mediche ed allo scarso nutrimento, come<br />

pure alla deficienza di igiene, è prevedibile fin d’ora che il campo diverrà<br />

fonte di epidemie e malattie, ciò che costituirebbe un grande pericolo oltre<br />

che per la popolazione, per le Forze Armate germaniche.<br />

In considerazione di ciò, Vi prego di sollecitare presso i Vostri superiori lo<br />

sgombero del campo. Anch’io per mio conto interesserò al riguardo le superiori<br />

Autorità germaniche”.<br />

Di lì a qualche giorno, la questione del campo venne ripresa nel corso di un<br />

colloquio presso l’Ambasciata tedesca di Roma, tra un rappresentante della<br />

Direzione Generale di P.S., il Commissario Travaglio e il capitano Wuth della<br />

Polizia germanica. Quest’ultimo pose il problema della vicinanza del campo<br />

alla zona delle operazioni di guerra e quindi ribadì la necessità urgente di trasferire<br />

al nord ed in luogo sicuro i circa 1.000 anglo-maltesi e gli altri mille<br />

croati distinti per nuclei familiari presenti al campo. Il Commissario Travaglio<br />

rispose che il numero degli internati era inferiore a quello prospettato: 972<br />

anglo maltesi e circa 200 croati e sloveni. La difficoltà di realizzare il trasferimento,<br />

dipendeva dalla mancanza di una idonea struttura al nord che potesse<br />

ospitare il folto gruppo di internati e dalla mancanza di mezzi di trasporto.<br />

In attesa di realizzare il trasferimento, gli internati sarebbero stati trasportati<br />

ad Alatri, anche se rimaneva la difficoltà di individuare il luogo in cui ospitare<br />

il gruppo. Per il capitano Wuth, trasporto e sistemazione al nord degli internati<br />

erano compito delle autorità italiane. Oltre agli internati di Le Fraschette,<br />

secondo Wuth, dovevano essere spostati al nord anche gli ebrei delle province<br />

di Aquila, Frosinone, Pescara e Teramo.<br />

40


Ma il tempo passava e la condizione degli internati dipendeva sempre più<br />

dalla generosità dei contadini della zona. Su tutti incombeva minacciosa la<br />

guerra. La pressione delle truppe Alleate sul fronte di Cassino stava creando<br />

grosse difficoltà ai sistemi difensivi tedeschi.<br />

Il 15 febbraio le prime avvisaglie con il mitragliamento del campo descritto<br />

in un rapporto dal direttore del campo:<br />

“ Stamane, verso le otto, aerei, probabilmente anglo-americani, hanno effettuato<br />

una rapida azione di mitragliamento su questo Campo. Le raffiche, sparate<br />

da bassa quota, hanno investito diverse baracche attraversandone le sottili<br />

pareti di faisite e colpendo alcuni internati che, data l’ora, si trovavano<br />

parte ancora a letto e parte intenti alle faccende domestiche.<br />

L’internato Loriente Giovanni fu Ignazio e di Azzaro Concetta, nato a Tripoli<br />

il 25.2.1918, coniugato, colpito in atto di attingere acqua nei pressi della propria<br />

baracca, decedeva poco dopo nell’infermeria del Campo.<br />

L’internato Ellul Michele fu Angelo e fu De Bono Maria, nato a Tripoli il<br />

17.4.1894 e il figlio Ellul Vincenzo di Michele e di Darmanin Giuseppina,<br />

nato a Tripoli l’8.2.1935 venivano feriti mentre si trovavano ancora a letto.<br />

L’internata Cassar Carmela fu Giuseppe e fu Giommi Caterina, nata a<br />

Tripoli il 12.10.1886, veniva anch’essa ferita mentre si trovava nella cucina<br />

della propria baracca.<br />

È stato inoltre colpito, ed è deceduto poco dopo nell’Ospedale Civile di Alatri<br />

senza che lo si fosse potuto interrogare, uno sconosciuto che dalle indagini di<br />

questo ufficio è risultato essere un prigioniero inglese evaso che viveva alla<br />

macchia nelle campagne vicine, e che si recava di tanto in tanto nel Campo,<br />

talvolta anche pernottandovi, ospite dell’internata Bajec Michela fu Giorgio<br />

nata a San Vito di Vipacco il 30.9.1914. Quest’ultima, interrogata, ha dichiarato<br />

di aver spesso aiutato ed ospitato il predetto prigioniero, del quale non<br />

ha saputo indicare che il nome, Jimm Murdoch, ed il recapito familiare, 5<br />

Belgrave Road, Rathmines Dublino (EIRE). Costui è stato raggiunto da una<br />

raffica mentre si trovava a letto nell’appartamentino della Bajec.<br />

I feriti, gravissimi, dopo le prime cure prestate loro da un ufficiale medico<br />

tedesco di passaggio nel Campo, venivano fatti trasportare nell’Ospedale<br />

civile di Alatri, dove erano ricoverati con prognosi riservata presentando:<br />

Ellul Michele, ferita da proiettile nella coscia sinistra con frattura comminata<br />

ed esposta del femore al terzo superiore e recisione dell’arteria femorale,<br />

ferita all’addome probabilmente penetrante, ferita alla regione anteriore dell’avambraccio<br />

destro;<br />

Ellul Vincenzo, ferita da proiettile al terzo superiore della coscia sinistra con<br />

41


frattura comminata ed esposta del femore e vasta asportazioni delle parti<br />

molli;<br />

la Cassar Carmela, vasta ferita al terzo superiore della gamba destra con<br />

spappolamento delle ossa della gamba e del braccio;<br />

tutti sono in pericolo di vita. La collettività degli internati si è mantenuta<br />

calma e disciplinata.“.<br />

Da alcune testimonianze raccolte da contadini che abitavano nella zona, è<br />

emerso che un aereo tedesco, probabilmente un ricognitore, tutte le mattine<br />

sorvolava il Campo e si dirigeva verso il fronte di Cassino. Aerei alleati, quel<br />

giorno, seguirono l’aereo tedesco nel suo viaggio di ritorno, e su Le<br />

Fraschette quella mattina, fu ingaggiato lo scontro. Poiché gli aerei volavano<br />

radenti al suolo, accidentalmente, secondo queste ricostruzioni, i colpi di<br />

mitragliatrice furono diretti verso le baracche provocando morti e feriti.<br />

Altro bombardamento avvenne il 22 febbraio alle 11,30. Anche questa volta<br />

riferì in maniera circostanziata Silvio San Giorgio, Direttore:<br />

“Per effetto del bombardamento decedevano quasi subito le seguenti persone:<br />

Mallia Salvatore, nato a Tripoli il 6.5.1896, suddito britannico;<br />

Attard Lazzaro, nato a Tripoli, di 21 anni;<br />

Lanzone Giuseppe, nato a Tripoli, di anni 43, internato suddito britannico;<br />

Ban Giuseppina, di anni 10, internata croata;<br />

D’Ario Licinia, nata a Roccasecca, di anni 37, sfollata che trovavasi per caso<br />

nel campo;<br />

Scarselletta Pasqua, di anni 43, nata a Fumone;<br />

Buccetti Emilio, di anni 16, contadino di passaggio nel campo.<br />

Sono rimasti soltanto feriti:<br />

Costa Pasquale, Turak Maria, Pataria Francesco, D’Ascanio Elodia.<br />

Dopo espletate le operazioni di soccorso, è stato necessario trasportare in<br />

Alatri, sistemandoli alla meglio in locali messi a disposizione dal Comune,<br />

quasi tutti gli internati i quali, in preda a vivissima agitazione, non hanno<br />

voluto permanere ulteriormente nel Campo, per la seconda volta sottoposto<br />

ad azione aerea. Il trasporto ad Alatri degli internati e delle loro masserizie<br />

è stato effettuato con la massima rapidità e senza incidenti di sorta”.<br />

I numerosi morti al campo nei due episodi di mitragliamento e bombardamento,<br />

lasciarono il segno e se ne dispose l’immediato abbandono. Alatri, che già<br />

stava ricevendo i numerosi sfollati del fronte di Cassino, si preparò ad accogliere<br />

i quasi 1.400 ormai “ex internati” del campo Le Fraschette. Perlopiù<br />

ospitati presso l’Istituto Stampa, assistiti sollecitamente dalle autorità ecclesiastiche<br />

e dalla popolazione, essi erano ormai in procinto di essere trasferiti<br />

42


in campi dell’Italia settentrionale.<br />

Con l’intensificarsi delle offensive alleate e delle controffensive tedesche sul<br />

fronte di Cassino, le popolazioni del Lazio meridionale, della Campania e del<br />

vicino Molise erano state anche esse costrette a fuggire per cercare un riparo<br />

in zone più sicure.<br />

I primi sfollati giunsero ad Alatri provenienti da Venafro, Filignano, Pozzilli<br />

e da altre cittadine delle province di Isernia e di Campobasso. Fu quindi la<br />

volta delle popolazioni di Formia e Gaeta e poi, mano a mano che la pressione<br />

degli eserciti alleati sulla linea Gustav aumentava, arrivarono sfollati da<br />

Cassino, Aquino, Roccasecca, Picinisco, San Biagio Saracinisco, Pignataro<br />

Interamna, Terelle. Quando anche Frosinone fu fatta oggetto di continui e<br />

rovinosi bombardamenti, si aggiunsero le popolazioni dei centri più vicini che<br />

trovarono riparo nelle campagne e sulle montagne di Alatri.<br />

Gli sfollati erano stati fatti evacuare senza lasciar loro il tempo di prendere le<br />

proprie cose, perché si diceva loro che, una volta giunti a destinazione, avrebbero<br />

trovato alloggi ed aiuti di ogni genere. In realtà essi furono abbandonati in<br />

zone a loro sconosciute e senza alcuna assistenza.<br />

Si incontrarono ad Alatri le due grandi emergenze, quella degli sfollati e<br />

quella degli ex internati.<br />

Mons. Facchini chiese al clero di occuparsi di tutta quella povera gente e lui<br />

stesso mise a disposizione alcuni edifici come l’episcopio, il seminario vescovile,<br />

alcune case di suore, il convitto Conti Gentili. Il palazzo Stanislao<br />

Stampa, dapprima occupato dai soldati italiani e poi da quelli tedeschi, fu liberato<br />

dai militari per l’intervento diretto del vescovo che riuscì a far prevalere le<br />

esigenze di questa folla in cerca di un riparo.<br />

Furono organizzate delle cucine per la preparazione di pasti caldi, ricoveri per<br />

le persone più anziane, si attivarono gruppi di volontari con il compito di<br />

curare l’igiene delle persone.<br />

Il vescovo che ben conosceva il campo di Le Fraschette, riuscì a far prelevare<br />

da lì centinaia di materassi, coperte e lenzuola ancora stipati nei magazzini<br />

del campo e ormai inutilizzati, facendone così preziosi giacigli.<br />

43


IL VIAGGIO VERSO FOSSOLI<br />

Dopo numerosi rinvii, si decise, infine, la destinazione per gli ex internati<br />

rimasti, quasi un migliaio di anglo-maltesi e qualche centinaio di croati.<br />

Dovevano partire in due giornate successive, a gruppi di cinquecento per<br />

volta, con prima destinazione la stazione Prenestina di Roma e, destinazione<br />

finale, il campo di Fossoli presso Carpi.<br />

I croati, una volta giunti a Bologna, via Venezia sarebbero stati poi rimpatriati.<br />

Per gli anglo-maltesi si decise l’ulteriore internamento a Fossoli. Così,<br />

almeno, dispose la Direzione Generale di P.S. con fonogramma del 24 febbraio<br />

1944 indirizzata al Direttore del campo.<br />

Ma con quale stato d’animo queste persone si disposero ad affrontare il viaggio<br />

in tempi di così grande insicurezza? Tutti ormai avevano capito che la<br />

guerra, almeno in quelle zone dell’Italia centrale, sarebbe durata ancora poco.<br />

Le Forze alleate premevano sul fronte di Cassino e da Anzio e si sapeva che<br />

con l’arrivo della ormai prossima primavera sarebbe stato sferrato l’attacco<br />

decisivo che avrebbe liberato in breve tempo tutta la Ciociaria e Roma. Come<br />

è naturale che fosse, gli internati vissero con grande disappunto l’idea di partire<br />

verso nord. Lo spostamento avrebbe significato non solo esporsi al pericolo<br />

di bombardamenti, ma avrebbe allontanato nel tempo la loro definitiva<br />

liberazione. Potendo contare sulla solidarietà della popolazione alatrense, in<br />

molti avevano trovato modo di alleviare le proprie sofferenze e di superare le<br />

enormi difficoltà della vita quotidiana. Per vincere la riluttanza, le Autorità<br />

promisero che all’arrivo a Fossoli avrebbero trovato comodità e cibo in<br />

abbondanza. Ben altra fu, invece, l’accoglienza loro riservata.<br />

44<br />

Il Campo di Fossoli nel Comune di Carpi (Modena)


Di questi stati d’animo si fece portavoce il Direttore del campo, che il 24 febbraio<br />

scrisse:<br />

”Sarebbe opportuno che i competenti organi mettessero a disposizione un<br />

treno di vagoni viaggiatori e non di carri, tenuto presente la lunghezza del<br />

viaggio, i rigori invernali e le precarie condizioni di salute della massa degli<br />

internati, costituita in gran parte di bambini, di donne e di vecchi. L’orario di<br />

partenza dovrebbe essere fissato per le ore serali onde avere la possibilità di<br />

effettuare il trasporto dal campo allo scalo ferroviario e il successivo carico<br />

durante le ore diurne.<br />

Poiché vi sono tra gli internati vari casi di donne incinte delle quali molte in<br />

procinto di partorire, e numerosi vecchi in condizioni da sopportare difficilmente<br />

i disagi del viaggio, pregasi voler far conoscere se, previ accertamenti<br />

sanitari del caso da parte del Medico provinciale, tali persone possano restare<br />

nel campo o altrove, e, nel caso affermativo, se con essi possano rimanere<br />

i congiunti…La notizia della partenza non fu accolta di buon grado dagli<br />

internati, i quali hanno dimostrato la loro preferenza di restare dove si trovano<br />

anziché affrontare gli imprevisti e le fatiche di un viaggio lungo e pericoloso<br />

a causa della continua offesa nemica”.<br />

La sera del 25 febbraio 1944, dalla piazza di Alatri si mossero i primi torpedoni<br />

carichi di internati da trasferire alla Stazione ferroviaria di Frosinone.<br />

Sul viaggio fece minuziosa relazione nel suo diario Madre Mercedes<br />

Agostini.<br />

Il campo di concentramento di Le Fraschette subì un ulteriore bombardamento<br />

anglo-americano il 30 marzo, a seguito del quale fu abbandonato anche<br />

dalle truppe tedesche. “Immediatamente – scrisse il direttore del campo –<br />

numerose turbe di contadini vi si sono riversate provocando l’incendio di<br />

sette baracche e devastando le altre per asportare materiale da costruzione.<br />

Neanche la piccola chiesa è stata risparmiata dai ladri che ne hanno asportato<br />

le finestre, le porte, le panche e il confessionale. Quest’ufficio, coll’esiguo<br />

personale interamente impegnato nei servizi di trasferimento e scorta<br />

degli internati, non ha potuto impedire la vandalica opera di distruzione.<br />

Sembra che i contadini siano stati indotti a distruggere il campo dalla convinzione<br />

di evitare così che lo stesso continuasse ad essere obbiettivo di azione<br />

aerea nemica con conseguente pericolo per le case viciniori”.<br />

In effetti, la presenza di truppe tedesche all’interno del campo era stata la<br />

causa scatenante dei bombardamenti. Prima dell’arrivo di quelle truppe non si<br />

erano verificati bombardamenti e il campo era stato risparmiato da azioni di<br />

45


guerra, come stabilito dalle convenzioni internazionali.<br />

La reale situazione del campo venne descritta dal ragionier Spampinato, alla<br />

vigilia della liberazione di Alatri ed il passaggio delle truppe alleate. Infatti,<br />

la nota è datata 29 maggio 1944 e la liberazione avvenne il 2 giugno. Così<br />

scrisse il solerte funzionario:<br />

“In seguito alla partenza di 1.600 internati, dei quali 604 liberati, e gli altri<br />

destinati al campo di Carpi, sono rimasti 358 internati che sono stati trasportati<br />

a Roma presso la caserma La Marmora, in attesa del loro avviamento a<br />

destinazione, non appena sarà possibile effettuarne il trasporto. Detti internati<br />

sono forniti del materiale di casermaggio indispensabile e degli indumenti<br />

che a suo tempo vennero loro distribuiti. Del complesso dei beni costituenti il<br />

campo ben poco si è potuto recuperare a seguito delle asportazioni ed acquisizioni<br />

da parte delle truppe germaniche, nonché dell’opera distruttrice dei<br />

bombardamenti aerei, quando il campo era occupato da truppe tedesche, dai<br />

furti commessi su vasta scala dagli internati e dalle popolazioni viciniori.<br />

Per quanto riguarda il residuo delle baracche e relativi materiali, giusta<br />

disposizioni ministeriali impartite con la nota del 10 aprile 1944 n.999, si è<br />

provveduto, tramite la Prefettura di Frosinone alla vendita mediante trattativa<br />

privata.<br />

L’acquirente è stata la ditta Igliozzi Urbano, di Alatri, per il prezzo di complessive<br />

£. 725.000, ritenuto congruo dall’Ufficio del Genio Civile… In seguito<br />

alle indagini per il recupero dei materiali asportati dai contadini, si è potuto<br />

individuare qualche elemento che aveva asportato i materiali di pertinenza<br />

del campo e così, mediante mezzi persuasivi, si è potuto fare pagare ai<br />

responsabili la somma di £. 89.000, prezzo presunto dei materiali. Con tale<br />

somma ho provveduto alle spese per la partenza degli internati per Carpi in<br />

attesa del rimborso da parte della Prefettura di Frosinone che, per mancanza<br />

di fondi presso la filiale della Banca d’Italia di Alatri e per deficiente funzionamento<br />

di tutti i servizi, non ha potuto provvedere alle ordinarie anticipazioni<br />

per le spese di mantenimento degli internati”.<br />

Su quelle preziose baracche di Le Fraschette si fecero, come era facilmente<br />

prevedibile, diverse ipotesi di riutilizzo: dapprima dovevano essere trasferite a<br />

Cassino per le esigenze di quelle popolazioni duramente provate dalla guerra;<br />

successivamente se ne fece richiesta per le famiglie sfollate che, al momento<br />

della liberazione, avevano occupato il palazzo della Provincia di Frosinone e<br />

non intendevano uscirne senza rassicurazioni e provvedimenti concreti.<br />

Il 2 giugno 1944 le truppe Alleate entrarono ad Alatri.<br />

46


CONCLUSIONI<br />

La guerra è finita.<br />

La gente in festa percorre le vie della città.<br />

La storia del campo fin qui<br />

proposta attraverso la documentazione<br />

d’archivio, è<br />

naturalmente “storia ufficiale”.<br />

Rappresenta, comunque,<br />

un’importante ricostruzione<br />

della vita del campo e, nonostante<br />

l’ufficialità, emergono<br />

con chiarezza le enormi difficoltà<br />

di gestione della vita<br />

quotidiana, le carenze strutturali,<br />

le privazioni, gli stenti e<br />

i soprusi che dovettero subire<br />

gli internati. Nel corso di due<br />

anni si contarono decine e<br />

decine di morti per malattia e<br />

per sfinitezza a cui si aggiunsero<br />

le morti provocate dalle<br />

azioni belliche. Bambini e<br />

vecchi furono rinchiusi nel<br />

campo, bambini e vecchi in<br />

prevalenza vi trovarono la<br />

morte. C’è altra documentazione preziosa che arricchisce questo volume:<br />

alcune testimonianze di ex internati e il diario di madre Mercedes Agostini.<br />

Certo non stiamo parlando di “soluzione finale”, di Shoah, di sterminio, dei<br />

crimini nazisti, ma la storia proposta invita a riflettere su quanto è avvenuto<br />

in Italia durante gli anni del fascismo.<br />

Scrive Fabio Galluccio: “Molti sostengono che il fascismo fu più umano del<br />

nazismo, dato che non gassificò gli ebrei, pur avendoli sbattuti fuori dalle<br />

scuole e sostanzialmente dal lavoro, vietando di frequentare gli alberghi, di<br />

possedere una radio, di innamorarsi di una donna o di un uomo ariano. Se<br />

nell’orrore, nel male, c’è una graduatoria, è vero: il fascismo fu meno orribile.<br />

Ma questo non attenua le colpe di chi accettò tutto, di chi permise le leggi<br />

e le omissioni degli anni successivi”.<br />

Una storia che non si può dimenticare.<br />

Una storia accaduta anche lì, a Le Fraschette, a due passi da Alatri.<br />

47


APPENDICE ALLA PRIMA PARTE<br />

UN’INTERESSANTE RELAZIONE ISPETTIVA SUL CAMPO<br />

Tra il maggio e giugno 1943 notizie di fughe dal campo Le Fraschette attuate<br />

da internati croati giunsero direttamente al Duce. Tale intollerabile situazione<br />

provocò una serie di visite ispettive richieste dalle Autorità. Al termine<br />

di questa attività ispettiva venne redatto il lungo ed interessante documento<br />

che riportiamo integralmente. La relazione venne stilata dal Servizio<br />

Ispettivo della Regia Prefettura di Frosinone e riguarda le condizioni del<br />

campo, le modalità di realizzazione del campo e la sua organizzazione, ma<br />

contiene anche colorite sottolineature nei confronti del personale in servizio<br />

a Le Fraschette.<br />

Interessante è anche quella relativa alla diversa condizione vissuta dal<br />

numerosissimo gruppo di jugoslavi, privati di tutto e il gruppo di anglo-maltesi<br />

che comunque era assistito dalla Croce Rossa.<br />

“Il Campo di Concentramento Le Fraschette, come avete rilevato nelle visite<br />

effettuatevi, presenta varie deficienze costruttive, organizzative e funzionali.<br />

Irreparabili le prime, salvo poche modifiche di ripiego da apportarvi con<br />

molto accorgimento; brillantemente superabili le altre quando vi si dedichino,<br />

con i fondi necessari, volontà, intelligenza e cure assidue.<br />

Il suo atto di nascita risale ai primi del 1942. Ma si tratta di una nascita illegittima,<br />

avulsa da ogni legge della più elementare dottrina topografica ed<br />

urbanistica anche nel senso più primitivo della parola.<br />

Scelta la località, che invero risponde al criterio di impianto di un campo di<br />

concentramento perché ben lontano da centri abitati e da vie di comunicazione,<br />

di difficile evasione e contemporaneamente di facile sorveglianza, si trovò<br />

uno spiazzo circolare di circa seicento metri di diametro, pianeggiante, circondato<br />

da monti, e su quello spiazzo di terreno, così come si trovava, si buttarono<br />

a caso circa duecento baracche. Il costruttore - non si può parlare di<br />

progettista poiché non si vede una traccia nella costruzione di un abbozzo<br />

nemmeno embrionale di progetto razionale - non si preoccupò di tracciare un<br />

piano regolatore e mise in esecuzione le baracche prima di pensare alle strade,<br />

agli acquedotti, alle fognature.<br />

Non livellò il terreno, sicché tra una baracca e l’altra si hanno dislivelli di vari<br />

metri e, per un falso senso di economia di tempo, non di danaro, piuttosto che<br />

livellare la platea dove doveva sorgere ogni baracca, preferì colmare gli avval-<br />

48


lamenti, per ogni baracca con costosi muri in pietra sovraelevantisi, anche di<br />

vari metri, sul piano del terreno. Oggi, a strade costruite, si hanno baracche<br />

sottostanti di molto al livello stradale e tutto il campo si presenta con una serie<br />

di montagne russe che intralciano seriamente il deflusso delle acque di rifiuto<br />

e delle fognature e la regolare distribuzione idrica dell’impianto interno del<br />

campo. Vero è che il concetto originario era di adibire il campo a prigionieri<br />

di guerra, mentre poi, a costruzioni quasi ultimate, si mutò detta destinazione.<br />

La trasformazione nell’impiego ricettivo del campo non diminuisce, anzi<br />

aggrava le deficienze.<br />

Nel campo di concentramento<br />

Le Fraschette, anziché i prigionieri<br />

di guerra, si immisero<br />

internati di guerra: cioè uomini<br />

e donne; bambini e vecchi; persone<br />

sane, ammalati e tarati;<br />

forti, ardenti tripolini e donne<br />

di razza slava che non lasciano<br />

dubbi sulla loro lascivia; famiglie<br />

organiche, numerose, e<br />

persone sole di ambo i sessi.<br />

Restando per ora ad esaminare<br />

il problema dal punto di vista<br />

costruttivo del campo, appare<br />

chiaro che le baracche, così<br />

addossate come sono fra di<br />

loro, la maggior parte delle<br />

quali formanti un unico dormitorio<br />

indiviso per settanta persone,<br />

costituiscono una continua<br />

istigazione alla immoralità<br />

ed un serio pericolo per il propagarsi<br />

di malattie infettive e di<br />

parassiti dell'uomo. I gabinetti<br />

distanti dalle baracche, non<br />

sono raggiungibili, specie nella<br />

stagione invernale e di notte,<br />

dai vecchi, dai bambini, dagli<br />

ammalati e dalle gestanti.<br />

49


Mancano cucinette familiari per le necessità vittuarie sussidiarie delle famiglie,<br />

che per tale deficienza cucinano dentro le baracche, mentre le diciotto<br />

cucine per il vitto normale non sono facilmente controllabili; i canali di rifiuto<br />

sono lontani dalle baracche e le donne, piuttosto che recarvisi, imbrattano<br />

il terreno circostante.<br />

Altre sono certamente le necessità di un campo di concentramento di soldati,<br />

tutti più o meno giovani, sani e disciplinabili, altre quelle di elementi così eterogenei<br />

come si trovano tra gli internati civili. Della differenza di disciplina<br />

risentono vari servizi come quello della distribuzione idrica, sottoposto a<br />

maggior usura e soprattutto la moralità.<br />

Il Campo Le Fraschette è destinato ad avere una capacità ricettiva di settemila<br />

internati. Attualmente ne ospita circa cinquemila. Fra questi circa un<br />

migliaio sono anglo-maltesi ed il resto croati, sloveni e dalmati, provenienti<br />

dalle province italiane alloglotte e dal territorio conquistato.<br />

50


La suddetta promiscuità di razze, in uno spazio così ristretto, procura numerosi<br />

e vari inconvenienti sia tra gli internati che per gli organi preposti alla sorveglianza<br />

del campo. Nuoce anche alla futura assimilazione degli elementi di<br />

razza slava che fanno severi confronti tra la loro povertà, il trattamento deficiente<br />

che ricevono al campo e la ricchezza dei mezzi degli anglo-maltesi continuamente<br />

ed a profusione provvisti di ogni ben di Dio, anche del superfluo,<br />

dal Governo Inglese, attraverso la Croce Rossa.<br />

È auspicabile, allorché il Ministero dell’Interno disporrà di altri campi di concentramento,<br />

che i vari campi ricevano internati di un’unica nazionalità. Altre<br />

divisioni si imporrebbero per la tutela della morale e per una più proficua sorveglianza:<br />

i celibi ed uomini senza famiglia potrebbero concentrarsi in appositi<br />

campi con personale di sorveglianza tutto maschile; le donne sole e le<br />

nubili in altri campi ed i nuclei familiari in campi opportunamente predisposti<br />

con baracche divise in appartamenti.<br />

Allo stato attuale della situazione, perché il Campo Le Fraschette si organizzi<br />

e funzioni in modo regolare, occorre tenere ben presente che i dirigenti di<br />

esso sono responsabili di un’organizzazione che ha le necessità di un Comune<br />

di cinquemila abitanti, elevabile ad una popolazione di settemila, con l’aggravante<br />

che in questo Comune l’iniziativa degli organi dirigenti deve sostituirsi<br />

e sovrapporsi a quella privata; bisogna cioè che questi cinquemila abitanti<br />

siano approvvigionati di viveri da mercati lontani e di vestiario; che si riparino<br />

le loro abitazioni; che si facciano funzionare gli impianti elettrici casalinghi<br />

oltre a quelli pubblici; che si forniscano di mobili, suppellettili, coperte e<br />

lenzuola; che si curi la conservazione di questo ingente materiale; che si puliscano<br />

le loro case e i cessi; che si curino gli ammalati; che si tengano puliti e<br />

si disinfestino; che si impedisca il deterioramento doloso di tanto materiale.<br />

La popolazione di questa città non è normale; è nostra nemica; ha voglia di<br />

sottrarsi ad ogni disciplina; vive nell’ozio più assoluto e deleterio; pensa ad<br />

allontanarsi al più presto possibile ed anche evadere; a procacciarsi un nutrimento<br />

maggiore e migliore, ed i giovani, costretti al celibato coatto vogliono<br />

comunque soddisfare gli stimoli dei sensi, acutizzati dalla promiscuità e dalla<br />

proibizione a cui fa contrapposto l’istigazione delle donne.<br />

A tutte queste necessità provvedono attualmente un Direttore del Campo, due<br />

funzionari di ragioneria, un medico, un Commissario di PS ed un ufficiale<br />

subalterno dei CC.RR.; nessun organo tecnico per i servizi di tale natura,<br />

pochi agenti dell’ordine, nessun coadiutore amministrativo. Dopo queste<br />

necessarie premesse d’ordine generale passiamo ad esaminare singolarmente<br />

i vari servizi:<br />

51


SERVIZI AMMINISTRATIVI<br />

Sotto questa dizione attualmente si comprende l’organizzazione ed il funzionamento<br />

dei servizi amministrativi e tecnici, di polizia urbana, mortuaria ecc.<br />

Vi sono a capo: il Rag. Capo Cav. Uff. V. P. con le funzioni di consegnatario<br />

dei materiali mobili ed immobili, nonché del magazzino vestiario ed il Rag.<br />

Cav. Giovanni Spampinato addetto ai servizi viveri e trasporti, all’economato,<br />

alla segreteria ed ai servizi di cassa per conto degli internati. Sono coadiuvati:<br />

da un magazziniere per i viveri, carbone e legna; una dattilografa-archivista;<br />

quattro uomini di fatica per il carico e lo scarico degli automezzi e per<br />

i trasporti entro il campo; un operaio specializzato per la manutenzione degli<br />

impianti idrici, sfornito però degli attrezzi necessari, un elettricista, anch’esso<br />

sfornito di attrezzi e materiale; 30 internati addetti al servizio di nettezza<br />

urbana e di pulizia dei cessi.<br />

Per la rimozione delle immondizie dal campo provvede, mediante appalto,<br />

una ditta di Alatri. Per la fornitura delle casse funebri, dovrebbe provvedere il<br />

fornitore del Comune di Alatri, ma, sebbene provvisto dell’assegnazione del<br />

legname, recentemente ha lasciato una salma per tre giorni in baracca prima<br />

di fornire la relativa cassa.<br />

Alla confezionatura del rancio per gli internati provvede un reparto dell’81°<br />

Reggimento Fanteria comandato da un subalterno.<br />

Il Rag. P. fu assegnato al Campo Le Fraschette nell’ottobre 1942 con l’incarico<br />

di prendere le consegne dal Commendator Ugo Auritano. Non è a dire<br />

che il P. abbia trovato ordine e precisione. Iniziò nel disordine più assoluto<br />

che gli fece trovare il suo predecessore. I due lavorarono assieme fino al<br />

marzo del corrente anno nell’intento di scambiarsi le consegne del materiale,<br />

ma si lasciarono più confusi di prima, senza addivenire alle consegne né<br />

all’atto basilare di queste: cioè la compilazione dell’inventario.<br />

Il P. che è pignolo di quella pignoleria improduttiva e ritardatrice che Voi gli<br />

conoscete, Eccellenza, rimase solo a ricamare sulle sue carte ed a torturarsi il<br />

cervello, invero non fosforescente, con troppi “ma” e con innumerevoli “se”;<br />

sicché nella Vostra recente visita alla Colonia avete trovato il lavoro del P.<br />

quasi allo stato iniziale e gli assegnaste il termine del 30 giugno per concludere<br />

i suoi lavori.<br />

Eseguita l’ispezione, nei riguardi della compilazione dell’inventario ho trovato<br />

i registri dei buoni di carico, anche quelli riferentisi alla situazione originaria<br />

del campo, incompleti per omissione imputabile ad Auritano che non vi ha<br />

segnato alcuni materiali forniti dalla S.A. Pasotti e dall’ECA di Frosinone.<br />

52


Ora i due predetti Enti hanno fornito l’elenco dei materiali dati in carico…<br />

Al P. è altresì affidato il magazzino vestiario. Sulla distribuzione del vestiario<br />

egli ha idee tutte personali. Nulla distribuisce gratuitamente agli internati,<br />

anche se indigenti fino alla miseria, anche se materialmente scalzi e seminudi.<br />

Si decide a fare qualche vendita a lunghi intervalli, ed allora, in quei rari<br />

mattini di vendita si forma un affollamento incontenibile dalla forza pubblica;<br />

così i giorni di vendita diradano sempre più. Quest’inverno non ha distribuito<br />

nessun cappotto, sia maschile che femminile. Attualmente vi sono in<br />

magazzino varie casse di scarpe, ma restano chiuse. Attende di avere il tempo<br />

di controllarle e poi inscriverle nei buoni di carico, così per vari indumenti che<br />

restano chiusi e non inseriti nei buoni di carico. Il fatto è che egli considera<br />

tale servizio avulso dalle sue mansioni, tanto è vero che recentemente, e precisamente<br />

il 12 giugno, provocò, a mezzo della Direzione del Campo, una<br />

richiesta di suo compenso del 4% sugli incassi provenienti dalla vendita di<br />

indumenti agli internati. Al Vostro giusto diniego derivante dalla mancanza di<br />

disposizioni legislative e regolamentari che consentano la corresponsione di<br />

siffatta percentuale, il P. risponde col disinteressarsi del servizio.<br />

In merito alla mancata distribuzione e vendita degli indumenti, le lamentele<br />

degli internati sono state continue ed hanno oltrepassato il recinto del Campo.<br />

La cosa fu constatata, su delazione degli anglo-maltesi, anche da ispettori<br />

inviati appositamente dalla legazione svizzera e dopo un mese dalla visita,<br />

pervennero a questi, per tramite della Croce Rossa Internazionale, un’infinità<br />

di indumenti, - ivi compresi, per colmo d’ironia, pigiama e guanti - molti dei<br />

quali tuttora residuano presso il magazzino di deposito del materiale proveniente<br />

dal Governo Inglese.<br />

Per quanto riguarda il P. non resta, dall’evidenza delle risultanze, che confermare<br />

la proposta del Direttore del Campo tendente all’immediata sostituzione.<br />

Il nuovo consegnatario dovrà essere coadiuvato da altro impiegato di concetto,<br />

poiché, se un impiegato tiene la contabilità ed aggiorna le scritturazioni,<br />

occorre che il secondo si occupi del magazzino vestiario, della sua contabilità,<br />

che curi la consegna del materiale agli internati che arrivano, che proceda<br />

alla riconsegna ed alla presa in carico del materiale degli internati che<br />

partono, che controlli detto materiale, che lo faccia lavare o disinfettare, che<br />

vigili e passi in rivista il materiale dato in uso agli internati.<br />

Si tratta di conservare materiale ingente, del valore di varie diecine di milioni,<br />

disparato, sparso in cento e più baracche dormitorio, in venti alloggi del<br />

personale amministrativo, di Polizia, militare, di operai artigiani, in undici<br />

uffici, in 20 cucine internati e 4 cucine delle Forze Armate, in 16 refettori, in<br />

53


6 caserme, in 3 infermerie, nei depositi viveri, nei depositi dei bagagli degli<br />

internati, nei depositi combustibili, nell’autorimessa, nella baracca per la<br />

lavorazione dei materassi, in due Chiese. E tutto ciò con una popolazione non<br />

statica, pronta a sopprimere e a distruggere…<br />

In quanto ad automezzi per trasporto di cose il Campo possiede un automezzo<br />

che si trova nell’impossibilità di funzionare per eccessivo consumo di benzina<br />

(circa un litro per km.). Per il trasporto giornaliero del pane, del latte e<br />

di piccoli quantitativi di merce si è noleggiato in permanenza un motofurgoncino<br />

per 4000 lire al mese. Per altri trasporti si noleggia un autotreno (1500<br />

lire per un viaggio da Frosinone) oppure, nelle suddette proporzioni, si rimborsa<br />

il trasporto alle ditte fornitrici. I trasporti, come si vede, sono molto<br />

costosi; sarebbe auspicabile che il campo venisse munito di un proprio autofurgone….<br />

…Per gli internati il Ragionier Spampinato esegue il servizio di riscossione<br />

dei vaglia e del pagamento di essi agli interessati. Si tratta di varie centinaia<br />

di vaglia che si ricevono al giorno. Per le somme destinate agli internati eccedenti<br />

le loro necessità normali,<br />

esegue il servizio di cassa. Dette<br />

somme vengono trattenute e per<br />

ogni internato si stabilisce una<br />

contabilità dei depositi in appositi<br />

libretti in duplice copia, una<br />

delle quali va all’internato stesso.<br />

Detto servizio, attualmente affidato<br />

ad internati, per maggior<br />

sicurezza, dovrebbe essere affidato<br />

all’impiegato che, come<br />

sopra ho proposto, dovrebbe coadiuvare<br />

Spampinato.<br />

Tavola di progetto per la realizzazione di 30<br />

cucine - Prefettura di Frosinone, II versamento<br />

b. n. 837 - Roma 28 febbraio 1943<br />

54<br />

SERVIZIO CUCINE<br />

Come ho già detto il Campo ha<br />

18 cucine internati in funzione.<br />

Vi è preposto un distaccamento<br />

dell’81° Fanteria comandato da<br />

un sottotenente, della forza di tre<br />

sottufficiali, cinque graduati, e 45


uomini di truppa. Graduati e sottufficiali hanno mansioni generiche di sorveglianza,<br />

ma non la esercitano. Degli altri, tolti gli uomini addetti alla spesa<br />

pane per gli internati, alla spesa viveri internati, spesa truppa, magazzino<br />

viveri, cucinieri truppa, distribuzione latte, aiutante di contabilità, ripostigliere,<br />

piantoni alle camerate, barbiere, attendente, pulizie refettori ecc., a ciascuna<br />

delle suddette cucine rimane addetto un solo soldato, incontrollato. Ogni<br />

soldato ha creduto di costituirsi il suo harem in cucina assumendo le più belle<br />

ragazze alle sue dipendenze. Faceva il gallo del pollaio, coccolato e servito.<br />

Nella Vostra visita, Eccellenza, avete proibito questo sconcio e sono stati<br />

assunti ragazzi al posto delle donne, col compenso del supplemento del pane.<br />

Ciò non di meno, per deficiente sorveglianza, le donne ho visto che continuano<br />

a sfarfalleggiare attorno alle cucine, i soldati continuano a far niente e le<br />

cucine sono in mano degli internati. Come vengono lavate le verdure nessuno<br />

sa; sta di fatto che nelle minestre non è raro di trovare, opportunamente bolliti,<br />

bachi e vermi di verdura.<br />

Quello che arriva poi di derrate nelle marmitte, della razione prescritta, è cosa<br />

ancora più misteriosa. Cosa succede nel tragitto che va tra i magazzini e le<br />

diciotto cucine? Quanti generi vanno distratti per costituire devoto omaggio<br />

dei giovani soldatini alle più belle del Campo? Tutti interrogativi senza risposta<br />

poiché manca ogni controllo. L’ufficiale non si è mai visto al Campo<br />

all’ora dei pasti; lo stesso per i sottufficiali. Tutti però, all’ora della libera<br />

uscita passeggiano gaiamente dentro il campo assassinando, con occhiate e<br />

con motti, le belle del loro cuore.<br />

La disciplina non si conosce; il sottotenente che comanda il distaccamento è<br />

troppo giovane ed inesperto per mantenerla nelle condizioni, specie, in cui<br />

vivono incontrollati, i militari del distaccamento. Fra essi vi è qualcuno, teoricamente<br />

cuciniere, figlio di ricchi commercianti romani che sta a Le<br />

Fraschette per evitare di essere mobilitato; ma per sé, per i suoi compagni e<br />

per qualche donna spende, in media, a Le Fraschette le sue quattromila lire<br />

settimanali.<br />

In queste condizioni occorre un rimedio radicale; o aumentare l’organico del<br />

reparto portandolo ad una Compagnia, comandata da un Capitano che, coadiuvato<br />

da subalterni, voglia e sappia mantenere la disciplina, la sorveglianza<br />

ed i controlli, e che dia ad ogni cucina almeno tre uomini ed un graduato che<br />

provvedano da soli alla confezionatura ed alla distribuzione del rancio; ovvero<br />

eliminare del tutto i militari affidando ogni cucina ai capo baracca, che<br />

almeno hanno interesse a che tutto vada in pentola e sia cucinato a dovere, ed<br />

istituire sorveglianti borghesi.<br />

55


SERVIZI IGIENICI E SANITARI<br />

Sono ambedue disimpegnati dal Dottor Aurelio Mizzi, profugo della Tunisia.<br />

Egli è molto attivo, sebbene professionalmente non si elevi a grandi altezze,<br />

e soprattutto entusiasta della sua missione, che assolve con molta dedizione,<br />

anche se non pienamente soddisfatto del trattamento economico che riceve.<br />

Ma il solo entusiasmo non è sufficiente per ottenere un rendimento appropriato<br />

quando il Dr. Mizzi oltre a provvedere a tutti i servizi igienici, deve<br />

curare circa cinquemila internati che hanno subito privazioni, che sono nutriti<br />

appena sufficientemente per evitare un collasso generale, molti dei quali,<br />

specie donne e bambini, sono tubercolotici predisposti, incipienti ed alcuni<br />

anche con forme aperte, moltissimi dei quali sono anemici, pleuritici, affetti<br />

da malattie croniche, ecc. Inoltre il Mizzi è medico delle Forze Armate presenti<br />

al Campo (carabinieri, agenti di PS, vigili del fuoco, distaccamento di<br />

fanteria).<br />

Non mi dilungo a scrivere in merito alla soluzione del problema del deflusso<br />

delle acque luride e dei rifiuti liquidi del Campo perché è Vostra, e di recentissima<br />

data, Eccellenza, la proposta, fatta al Ministero dell’Interno di costruire<br />

cunette in muratura e coperte lungo le strade interne del Campo ed un canale<br />

collettore coperto, fucina ininterrotta di pericolose esalazioni mefitiche.<br />

L’assunzione di un operaio fognatore darebbe tranquillità per la manutenzione<br />

dell’impianto.<br />

Anche lo stato di manutenzione delle latrine è migliorato dopo la Vostra visita<br />

al Campo per effetto della assunzione di internati addetti alle pulizie delle<br />

latrine stesse. Il fatto che queste si otturino spesso si deve attribuire, oltre al<br />

malvezzo persistente di gettarvi oggetti di scarto, principalmente alla irrazionale<br />

costruzione del Campo, con molti e sensibili dislivelli, dove le pendenze<br />

sono sproporzionate, i tubi collettori dai cessi alle fognature, e le fognature<br />

stesse alquanto deficienti di diametro per la popolazione che nel Campo si<br />

accoglie rispetto alla popolazione, prigionieri, per la quale furono costruiti.<br />

Sarebbe opportuno che almeno i tubi collettori delle fognature venissero<br />

aumentati di diametro.<br />

Appunto per le latrine ho già detto, in principio, come l’attuale ubicazione,<br />

distanziata dalle baracche, sia irrazionale ed impedisca d’inverno e di notte<br />

che vi si possa accedere. Sia per ragioni sanitarie evidenti, sia per evitare che<br />

di notte si eluda la disciplina del coprifuoco, sarebbe, a questo proposito,<br />

necessario studiare la possibilità di costruire altre latrine direttamente comunicanti<br />

con le baracche.<br />

56


La campagna contro le mosche deve essere intrapresa e condotta su basi serie.<br />

Occorre abbandonare d’urgenza l’uso della innocua Miafonina la cui mistificazione<br />

è nota anche nelle più accreditate assemblee di mosche. Perché un<br />

moschicida invogli le mosche ad accorrervi e cibarsene, a prescindere dalla<br />

sua azione insetticida, è necessario che sia confezionato con miele. Il miele<br />

nella Miafonina non esiste, le mosche non abboccano e volano allegramente<br />

per il Campo a stormi in cerca di cibi più succulenti, ridendosi di chi spreca<br />

inutilmente tanto denaro per ottenere in compenso una prolificazione sorprendente<br />

della loro specie.<br />

La disinfezione degli indumenti è affidata, per tutto il Campo, ad una sola<br />

stufa Gianoli di proporzioni modestissime, capace soltanto di tre materassi.<br />

La disinfestazione non si può attualmente praticare, né per uomini né per<br />

cose.<br />

È necessario che, con la lavanderia si metta in funzione la sala di disinfezione<br />

costruita nel Campo, già munita di diverse stufe tutte capaci. Perché il servizio<br />

però funzioni come si deve, occorre, a detta sala, apportare poche ed<br />

indispensabili modifiche tutte ricavabili dagli spazi esistenti nell’attuale stabile<br />

in muratura.<br />

Bisogna, cioè, costituire un camerino spogliatoio, una barberia ed una sala di<br />

attesa e vestizione. Si otterrà una perfetta e completa disinfestazione degli<br />

internati associata alla disinfezione dei loro indumenti. L’infestato, così,<br />

entrando nella sala si sveste e, mentre i suoi indumenti vengono sterilizzati,<br />

egli, previa rasatura qualora occorra, passa alla doccia, esistente, e quindi<br />

nella sala di attesa dove trova i suoi indumenti da indossare già perfettamente<br />

sterilizzati. Con tali accorgimenti di costo modestissimo si metterebbe in<br />

funzione, veramente proficua, l’attuale impianto che è costato tanto denaro.<br />

La lavanderia, bella, moderna e capace, potrebbe già funzionare e basterebbe<br />

che lo facesse anche una sola volta la settimana; ma, come ho già detto, non<br />

è ancora passata al consegnatario degli immobili. Si eviterebbe, col suo funzionamento,<br />

lo sconcio da Voi rilevato di panni stesi dovunque, e si eviterebbe<br />

che si immagazzinassero, come ho già detto, coperte e lenzuola, sudicie,<br />

nello stesso magazzino del materiale nuovo. Perché i due organismi, lavanderia<br />

e sala di disinfezione, interdipendenti, funzionino deve assumersi un solo<br />

caldaista. Il resto del personale sarebbe assunto fra gli internati.<br />

Le docce, così come sono attualmente, non possono funzionare. Sono troppe<br />

e sprecano troppa acqua, preziosa per gli altri servizi del Campo. L’acqua ha<br />

una temperatura troppo bassa, inadatta a bagnarvisi anche d’estate, specie per<br />

le donne, per i vecchi e per i bambini. Occorrerebbe ridurre il numero funzio-<br />

57


nabile delle docce e munirle di impianto di riscaldamento. I bagni sarebbero<br />

disciplinati da turni.<br />

Il servizio delle vaccinazioni ha incominciato a funzionare. In mancanza d’altro<br />

personale è affidato ad una infermiera di Alatri. Manca il personale di vigilanza<br />

che elimini le evasioni all’obbligo delle vaccinazioni.<br />

Manca ogni forma di assistenza. Occorrerebbe istituire un asilo per i bambini,<br />

molti dei quali attualmente sono lasciasti in uno stato di abbandono, di<br />

sporcizia e di denutrizione che fanno pietà, ed un reparto cronici, specie per<br />

il ricovero dei vecchi, attualmente abbandonati alla mercé di Dio nelle baracche<br />

e nel loro sudiciume.<br />

I servizi sanitari non procedono<br />

meglio di quelli igienici.<br />

Manca al Sanitario un armadio<br />

farmaceutico di cui è<br />

urgente sia dotato. Lo strumentario<br />

chirurgico è insufficiente<br />

e va completato.<br />

Attualmente sono adibite ad<br />

infermeria quattro baracche ed<br />

una in via di recinzione da<br />

adibirsi a locale d’isolamento.<br />

Si potrebbero portare a tre a<br />

condizione che subiscano la<br />

trasformazione necessaria a<br />

darvi la forma degna e corrispondente<br />

alla mansione di<br />

infermeria. Una di esse sarebbe<br />

da adibirsi ad ambulatorio<br />

e pronto soccorso, le altre due<br />

a ricovero, rispettivamente di<br />

uomini e donne. I pavimenti,<br />

attualmente in mattoni rustici,<br />

dovrebbero essere sostituiti<br />

con mattonelle in cemento. Le<br />

mattonelle in marmo, già nel Campo, residuate dalla copertura dei muri della<br />

camera frigorifera, potrebbero formare un igienico zoccolo attorno ai muri<br />

delle baracche.<br />

A baracca d’isolamento è stata adibita, e come ho detto si sta recintando, una<br />

58


qualsiasi baracca già costruita distante non più di sei metri da altre adibite a<br />

dormitorio. Se si vogliono veramente isolare ammalati infetti, senza pericolo<br />

per i sani, occorre, fuori del Campo, costruire altra baracca con i servizi<br />

necessari e col personale di sorveglianza. È necessario che l’infermeria sia<br />

dotata di un’autoclave per le disinfezioni d’uso. Attualmente lo strumentario<br />

chirurgico viene disinfettato in pentolini su un fornello elettrico.<br />

Il Campo manca di autoambulanza. Gli ammalati e le gestanti dovrebbero fare<br />

la lunga strada al più vicino ospedale di Alatri in traballanti carrozzelle a<br />

cavallo. Né si può richiedere, in casi di urgenza, altre autoambulanze perché<br />

l’ospedale di Alatri ne è sprovvisto. Manca la camera mortuaria, sarebbe<br />

opportuno che venisse istituita. Al regolare funzionamento di tutti i suddetti<br />

complessi e delicati servizi deve presiedere un personale adatto numericamente<br />

e preparato professionalmente. Non v'ha chi non veda la necessità,<br />

urgente, che al Campo venga assegnato almeno un altro medico, giovane, attivo,<br />

e di buona volontà, ed un assistente sanitario che collabori con i due medici,<br />

specie per le vaccinazioni. Quattro infermieri, di cui due suore per il reparto<br />

femminile, tre inservienti per la pulizia dei locali e tre vigili sanitari si<br />

impongono. Nessuno attualmente presiede alla vigilanza ed al controllo della<br />

pulizia delle baracche e degli internati, della pulizia degli alimenti nelle cucine,<br />

della pulizia delle latrine e delle strade; nessuno evita che, quando gli<br />

automezzi hanno scaricato la verdura, gli internati più affamati, specie sloveni,<br />

raccattino e mangino rimasugli sporchi e fradici rimasti a terra; nessuno<br />

evita che gli infermi ricoverati, quando lo credano necessario e lo desiderino,<br />

escano a spasso per il Campo e stiano in contatto con gli elementi sani; né i<br />

medici, da soli, possono provvedere a questa enorme mole di lavoro e di attività<br />

e contemporaneamente curare la regolare tenuta dei registri delle nascite,<br />

dei decessi, ospedalizzazioni, vaccinazioni, delle malattie infettive con conseguenti<br />

denunzie, le cartelle cliniche, le anamnesi degli ammalati. Il personale<br />

sanitario deve essere munito di adatti camici. L’attuale medico ne è sprovvisto<br />

e non trova da acquistarne sul mercato. Al servizio ostetrico provvede la<br />

Condotta ostetrica di Alatri.<br />

SERVIZIO IDRICO<br />

Come è noto l’acquedotto che alimenta il Campo, derivato da quello di<br />

Ferentino, è stato costruito per una portata di sette litri al minuto secondo. In<br />

principio detta erogazione era sufficiente ai bisogni del Campo, ma successivamente<br />

si è lamentato, in modo sempre più allarmante, la deficienza di<br />

59


acqua... Per fare affluire l’acqua nella zona degli uffici e degli alloggi, che è<br />

la più elevata, si è decisa l’impostazione di una saracinesca che, diminuendo<br />

la pressione verso il Campo, l’aumenti verso la zona degli uffici ed alloggi.<br />

Attualmente è in via di allestimento il serbatoio che raddoppierà la portata<br />

attuale dell’acqua; ma nelle more di detta costruzione, che sarà ultimata nel<br />

prossimo inverno, se le cose procederanno bene, occorre evitare le attuali<br />

dispersioni, unico rimedio perché la lamentata mancanza d’acqua si elimini.<br />

L’attuale operaio idraulico deve essere munito di tutto il materiale necessario<br />

alle riparazioni e di rubinetteria di ricambio; la sua opera dovrebbe essere<br />

affiancata da quella di un fontaniere, da assumersi. Un solo operaio non può<br />

provvedere ad un lavoro così vasto e pesante ed alla necessaria sorveglianza.<br />

SERVIZIO ANTINCENDI<br />

Dovrebbe essere disimpegnato, ma non lo è, da otto giovani e robusti vigili del<br />

fuoco presenti al Campo che dicono di aver ricevuto soltanto il compito di spegnere<br />

eventuali incendi che si verificassero. Si rifiutano di eseguire qualsiasi<br />

altro servizio e così, in mancanza per fortuna di incendi, oziano dalla mattina<br />

al pomeriggio, ora in cui, come i soldati, come i carabinieri e come gli agenti<br />

di PS, si recano nell’interno del Campo per godersi in libera uscita il passeggio<br />

ed i motti delle ragazze da marito e delle donne dal marito assente.<br />

Non si preoccupano del fatto che alcune baracche sono prive di estintori,<br />

come ho potuto constatare, né di verificare le cariche degli estintori in uso, né<br />

di impedire che nell’interno delle baracche si mantengano innumerevoli fornelli<br />

permanentemente accesi e che molte altre accensioni di fornelli si fanno<br />

all’aperto ma troppo prossimamente alle baracche.<br />

Detti vigili, che certamente sono i peggiori come succede in ogni distaccamento,<br />

vanno sostituiti con elementi più volonterosi e più disciplinati, ben<br />

comandati ed aventi consegne precise di prevenire più che di reprimere.<br />

Le possibilità di incendi, nel Campo, costruito in legno e faesite, sono innumerevoli<br />

tra cui l’accennata tolleranza all’accensione di fornelli nell’interno<br />

o nelle immediate vicinanze delle baracche…<br />

SERVIZI DI SICUREZZA E DI POLIZIA<br />

Non è compito di un ispettore amministrativo indagare sui compiti affidati<br />

agli organi di polizia e sul più o meno regolare funzionamento di essi; infatti<br />

mi sono astenuto da siffatte indagini. Ma per debito e per amore professiona-<br />

60


le non posso astenermi, Eccellenza, dal riferirVi quanto ho potuto vedere, sentire<br />

e constatare nei giorni che, per eseguire la mia ispezione ho vissuto ininterrottamente<br />

la vita del Campo di concentramento, né dal proporVi quanto<br />

possa essere opportuno per ottenere il miglioramento dei suddetti servizi. I<br />

lavori da Voi ordinati per una<br />

sicura recinzione perimetrale<br />

del campo, per l’illuminazione<br />

di esso, e per la costruzione di<br />

una zona esterna di rispetto<br />

hanno avuto inizio. Lo stato di<br />

avanzamento dei lavori, che<br />

quindicinalmente Vi sarà trasmesso<br />

dal Genio Civile, Vi<br />

darà la misura per giudicare se<br />

procedano o meno col ritmo da<br />

Voi voluto. Data la mole del<br />

lavoro in un perimetro di due<br />

chilometri è da prevedere che<br />

per l’ultimazione dello stesso<br />

dovrà ancora trascorrere un<br />

semestre.<br />

I Carabinieri addetti alla vigilanza<br />

esterna del Campo, considerati<br />

in missione disagiata,<br />

fanno al Campo turni di servizio<br />

per soli quattro mesi; sia ufficiali,<br />

che sottufficiali e truppa. A<br />

meno che non ne facciano<br />

espressa domanda contraria,<br />

dopo i quattro mesi vengono<br />

sostituiti con elementi nuovi.<br />

Da questo contesto di precarietà<br />

Nota - Il presente documento e quelli pubblicati<br />

nelle pagine precedenti della<br />

“Relazione” sono tratti dalla Mostra sul<br />

Campo Le Fraschette, realizzata<br />

dall’Archivio di Stato di Frosinone nel 2006<br />

del servizio deriva il disinteresse<br />

ed un certo rilassamento<br />

disciplinare. Ho potuto vedere<br />

nuclei di carabinieri in servizio<br />

di pattuglia fermi tra di loro a<br />

discorrere beatamente anche<br />

61


con le sentinelle. Anche per i carabinieri, come per i fanti e per i vigili del<br />

fuoco, ho potuto constatare il malvezzo del passeggio pomeridiano per il<br />

campo, l’assembramento, in unione con gli internati, nel locale adibito a spaccio<br />

tabacchi, bar e gelateria. Tutto questo va evitato con apposita, precisa ordinanza<br />

della Direzione del campo.<br />

Alla porta principale d’ingresso del campo è bene che sia istituito un servizio<br />

di sentinella con baionetta, fissa davanti la sua garitta, che rende gli onori a chi<br />

prescritto ed un corpo di guardia che disciplini l’afflusso ed il deflusso di chi<br />

ha motivi di servizio per accedere al campo. Attualmente il piantone non cura<br />

eccessivamente tale servizio ed è poco decoroso che all’ingresso del campo si<br />

trovi un piantone che passeggia a suo piacimento, che conversa con militari e<br />

borghesi e che, quando è stanco, appoggia un piede sul muro del ponte e col<br />

gomito sulle ginocchia si regga il mento. Tutte cose da me viste. I funzionari<br />

della direzione del campo non sono salutati dai carabinieri, e questo nuoce alla<br />

disciplina degli internati, che anch’essi si credono in dovere di non rispettare.<br />

Per gli agenti di PS le cose vanno ancora peggio. Numericamente sono insufficienti<br />

al servizio d’istituto e molti di essi sono distratti da altri servizi; scritturali,<br />

addetti alla censura postale, interpreti, piantoni, cucinieri, postini,<br />

addetti all’accompagnamento di internati. I pochi che restano sono adibiti al<br />

servizio di pattuglia: due pattuglie. Giovanissimi tutti, scapoli, tutti in borghese<br />

e per giunta mal vestiti, non disciplinati, pensano ad accattivarsi le simpatie<br />

e le grazie delle più avvenenti internate. Quando ho visto pattuglie le ho<br />

trovate sempre ferme in dolce colloquio con giovani internate.<br />

Sarà fatalità del caso? Credo piuttosto si tratti di norma di vita. Tanto più, a<br />

riprova, che un mattino, sbucando tra una baracca e l’altra fui molto prossimo<br />

ad una coppia di agenti di pattuglia ferma con altra coppia di ragazze. Al mio<br />

apparire si allontanarono alla svelta, ma una delle ragazze, che certamente<br />

non mi conosceva, una giovane formosa anglo-maltese, si doleva del repentino<br />

allontanamento ed a voce alta prometteva agli agenti di pizzicarli dappertutto<br />

la prossima volta.<br />

Detti agenti nella quasi totalità vanno sostituiti con elementi più anziani, più<br />

disciplinati e più seri. Soprattutto debbono essere sostituiti con agenti tutti in<br />

divisa. Occorre aumentarne il numero ed istituire una squadra da adibirsi a<br />

servizi di polizia urbana …Perché l’opera di detta squadra sia più redditizia<br />

occorre stabilire una serie di graduali comminatorie a carico degli internati<br />

trasgressori. Il sistema delle contravvenzioni pecuniarie non sarebbe a carico<br />

degli indigenti che ne sarebbero naturalmente esclusi.<br />

Bisogna ricorrere alla costruzione, distinta ovviamente per uomini e donne, di<br />

62


camere di punizione e, come secondo grado di punizione, di camere di sicurezza.<br />

Perché ciascun componente la popolazione di Le Fraschette: internati,<br />

militari, organi di polizia, operai, sappia quali sono i propri diritti, quali i<br />

doveri e quali le sanzioni cui va incontro in caso di trasgressione, occorre che<br />

dalla Direzione del campo venga redatto e reso di pubblica ragione un regolamento<br />

interno per il funzionamento del campo di concentramento. Non mi<br />

costa che tale regolamento sia stato adottato.<br />

L’Ufficio di PS, perché conosca e segua la vita degli internati deve impiantare<br />

il servizio anagrafico, non potendo così chiamarsi l’attuale schedario<br />

non aggiornato e mancante di varie centinaia di schede riferentesi ad internati<br />

in atto.<br />

SERVIZI DI MANUTENZIONE ED ARTIGIANATO<br />

All’infuori del più volte ricordato operaio idraulico, e dell’elettricista, ambedue<br />

mancanti di attrezzi e di materiale di ricambio, manca un servizio idoneo<br />

alla manutenzione della città degli internati e degli impianti ivi esistenti.<br />

Occorre quindi, come in ogni Comune del Regno, istituire all’uopo un Ufficio<br />

Tecnico, retto anche da un geometra, che provveda a tutte le manutenzioni e<br />

riparazioni del Campo, avendo alle proprie dipendenze personale specializzato<br />

quale muratori, stradini, falegnami, carpentieri, stagnini, fabbri, fognaiolo,<br />

idraulico, fontaniere, spazzini, pulitori di latrine, caldaista per la lavanderia,<br />

elettricista, fornaio, frigorista, e magazzini dotati del materiale necessario.<br />

Basterebbero pochi operai; in quanto alla manovalanza sarebbe assunta tra gli<br />

internati, molti dei quali si toglierebbero dallo stato deleterio d’ozio in cui<br />

vivono. Anzi alle dipendenze di ciascun operaio si potrebbe istituire una scuola<br />

di mestiere, obbligatoria per i giovani atti ad imparare un’arte.<br />

La costruzione delle casse funebri potrebbe essere affidata al falegname per<br />

evitare il lamentato incidente della salma rimasta per tre giorni in baracca in<br />

attesa della cassa da Alatri, ovvero si dovrebbe costituire in un magazzino un<br />

deposito fornito di poche casse delle varie dimensioni.<br />

Non sarebbe poi male che fossero disciplinate altre attività artigiane. Il<br />

Campo non fornisce, per uso degli internati, né sarti, né barbieri, né calzolai.<br />

Gli internati “si arrangiano” come possono e pagano quello che sarti, calzolai<br />

e barbieri vogliono. Accentrare gli attuali artigiani sparsi per il Campo in<br />

apposite baracche, istituire tariffe adatte alla potenzialità economica degli<br />

internati, istituire una scuola di mestiere delle suddette attività tra ragazzi<br />

internati, sarebbe opera umanitaria.<br />

63


SERVIZI: POSTA<strong>LE</strong> - TE<strong>LE</strong>GRAFICO - TE<strong>LE</strong>FONICO - GENERI<br />

DI PRIVATIVA<br />

Occorre che venga sollecitata l’apertura dell’ufficio postelegrafonico già<br />

autorizzato e l’impianto del centralino telefonico, anche questo autorizzato e<br />

già sollecitato alla Teti dalla Prefettura. L’unico apparecchio telefonico installato<br />

nell’ufficio del Direttore del Campo collegato con Alatri di giorno e con<br />

Frosinone di notte, è insufficiente e reca fastidio al direttore nel cui ufficio si<br />

ricevono e si trasmettono tutte le telefonate. In questi tempi in cui il sale non<br />

sempre si trova altrove non è possibile rifornirne gli internati; l’attuale concessionario<br />

delle vendite dei tabacchi agli internati, dovrebbe essere autorizzato<br />

anche alla vendita del sale.<br />

PERSONA<strong>LE</strong>, UFFICI, ALLOGGI<br />

La necessità che il personale venga aumentato l’ho rilevata man mano che se<br />

ne è presentata l’occasione nel trattare delle manchevolezze dei vari servizi.<br />

Nel fare le proposte mi sono mantenuto nei limiti della più stretta economia di<br />

personale, ma mi preme aggiungere che la gran parte delle deficienze del funzionamento<br />

saranno eliminate quando la Direzione potrà disporre del personale<br />

necessario numericamente ed adatto qualitativamente. Solo allora la<br />

Direzione potrà restituirsi alla sua funzione coordinatrice del complesso che<br />

produce. Al problema dell’aumento del personale va pure connesso quello dell’aumento<br />

della capienza degli uffici, già attualmente inadatti, della costruzione<br />

di nuovi alloggi per impiegati ed operai…Perché il personale dello Stato,<br />

comandato e da comandarsi al campo di concentramento di Le Fraschette<br />

venga giustamente compensato per lo stato di disagio in cui lavora, perché si<br />

affezioni al servizio delicato e gravoso, perché lavori con tranquillità e senza<br />

preoccupazione di indole economica, sarebbe da proporre che la missione di<br />

cui gode sia resa continuativa nella misura della prima mensilità.<br />

L’analisi delle necessità funzionali del campo di concentramento Le Fraschette<br />

tracciata nella presente relazione ed i molteplici argomenti trattati, attraverso i<br />

quali ho voluto dare una visione generale di quanto occorre fare ancora,<br />

potrebbe far pensare, in una prima lettura, ad una serie di provvedimenti da<br />

adottare troppo complessa e quasi scoraggiante per la sua attuabilità.<br />

Attraverso un rigido concetto di discriminazione, invece, si troverà, in questo<br />

farraginoso elenco di proposte, che alcune di esse sono urgentissime, altre<br />

urgenti ed altre ancora attuabili gradualmente nel tempo. Con questa progres-<br />

64


sività di programma si troverà il modo, il tempo e il danaro necessari per fare<br />

di Le Fraschette un Campo di concentramento perfetto, se non nella sua costituzione<br />

almeno nella sua organizzazione, e gli internati, rientrando nelle terre<br />

di provenienza, che sono terre Italiane, dovranno riconoscere la superiorità<br />

della nostra civiltà e gridarla al mondo”.<br />

Frosinone, 2 luglio 1943 – XXI Il Vice Prefetto Ispettore.<br />

La prosa finanche piacevole espressa dal redattore del documento viene<br />

bruscamente interrotta dall’affermazione finale sulla superiorità della<br />

razza italica che sarebbe stata capace di realizzare a Le Fraschette il<br />

“campo di concentramento perfetto”. Tale affermazione ci riconduce ad<br />

una realtà storica capace di trarre vanto dall’accostamento di due concetti<br />

aberranti: la superiorità della razza e il campo di concentramento!<br />

65


PARTE SECONDA<br />

TESTIMONIANZE DI VITA NEL CAMPO<br />

In questa sezione abbiamo raccolto alcune testimonianze di internati nel<br />

campo Le Fraschette. Le testimonianze sono riportate in rapida sequenza,<br />

senza commento alcuno. Esprimono compiutamente la sofferenza ed il<br />

disagio della condizione dell’internamento.<br />

Rimandiamo agli atti del convegno del 2 dicembre 2006, parte quinta, la lettura<br />

di ulteriori testimonianze proposte nell’intervento di Marilinda<br />

Figliozzi.<br />

Milena Giziak, slovena di Vertoiba, frazione del comune di Gorizia, arrestata<br />

con tutta la famiglia nel settembre 1942 perché aveva un fratello partigiano,<br />

rinchiusa in carcere (aveva solo 13 anni!) fino al marzo 1943, con cibo<br />

scarsissimo, così ricorda il suo internamento a Le Fraschette:<br />

“Il campo Le Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata da<br />

monti. Eravamo quasi solo donne. Il vitto era impossibile: un mestolo di brodaglia<br />

e un etto di pane al giorno e non vi era solo il problema della scarsità,<br />

ma anche quello della sporcizia rivoltante dei luoghi dove il cibo veniva preparato.<br />

Molti ricevevano dei pacchi dai parenti, ma noi non avevamo nessuno<br />

che ci potesse aiutare. Spaventose soprattutto le condizioni delle croate e delle<br />

greche, alle quali non arrivava mai nulla, tanto da essere costrette ad aggirarsi<br />

attorno ai bidoni della spazzatura della cucina, onde recuperare bucce di<br />

patate e qualche altro scarto. Nel complesso posso dire che il comportamento<br />

del Comando era corretto, non animato da ostilità verso le recluse. Il 25 luglio<br />

66


che aprì le carceri a tanti detenuti antifascisti, passò per noi inosservato.<br />

È soltanto dopo l’8 settembre 1943 che, verificatasi la fuga dei militari di<br />

guardia, il Campo venne a trovarsi così aperto, permettendo una prima fuga<br />

di quanti, avendone i mezzi, erano in grado di provvedere autonomamente ad<br />

allontanarsi dal posto. Una certa solidarietà - afferma la Giziak - veniva dai<br />

giovani soldati di guardia, i quali tolleravano le uscite clandestine delle internate<br />

per saccheggiare nelle campagne circostanti la frutta e quant’altro<br />

potesse attenuare gli stimoli della fame”.<br />

Luisa Deskovic, dalmata, fu arrestata per le sue idee politiche. Confinata a<br />

Ventotene senza alcun processo, nell’agosto 1943 fu trasferita a Le<br />

Fraschette.<br />

“All’ingresso c’era il posto di polizia e tutto attorno era stata scavata una<br />

specie di trincea con ai bordi il filo spinato, però senza corrente elettrica.<br />

All’arrivo ci immatricolarono: cognome, nome, nazionalità, religione; ci<br />

dichiarammo Jugoslave ed atee, suscitando le proteste dei poliziotti. Ma la<br />

Dalmazia è in Italia ci dicevano, non sapendo distinguere tra nazionalità e<br />

cittadinanza. Il villaggio era costituito da baracche in compensato che dovevano<br />

essere freddissime in inverno. Anche a Ventotene mancava il riscaldamento,<br />

ma là i padiglioni erano in muratura e poi c’era il mare; fortunatamente<br />

era d’estate. A Le Fraschette si trovavano in quell’epoca circa 4000<br />

internati jugoslavi, in maggioranza donne e bambini, parenti di partigiani o<br />

abitanti di zone in cui operavano i partigiani. Interi paesi erano stati sgomberati<br />

per impedire i rifornimenti ai ribelli, come li chiamava il fascismo. Non<br />

c’era mazzetta, sussidio giornaliero: due volte al giorno ti davano il rancio<br />

con la gavetta, una brodaglia su cui galleggiavano alcuni pezzi di zucca,<br />

qualche volta pochi grammi di riso. Non ho mai mangiato, né prima né dopo<br />

di allora, una roba tanto disgustosa.<br />

A Ventotene avevo acquistato una grande esperienza su come, anche in condizioni<br />

disperate, fosse possibile e si dovessero difendere i propri diritti e<br />

dignità. Il giorno successivo al mio arrivo a Le Fraschette organizzai una<br />

delegazione di donne ed andammo in Direzione a protestare contro la mancata<br />

assegnazione di latte ai bambini. Dopo aver insistito a lungo fummo<br />

ricevuti; il caso volle che proprio quel giorno fosse presente un Ispettore, non<br />

so chi con precisione, insomma un personaggio venuto da Roma: parlai con<br />

veemenza, dissi che conoscevamo quali erano i nostri diritti e che se si ostinavano<br />

a negarceli ci saremmo rivolte alla Croce Rossa. Il giorno seguente<br />

ogni bambino ricevette una razione di latte.<br />

67


Un’altra vittoria sul piano personale questa volta l’ottenni rivendicando il<br />

mio diritto ad un vitto migliore perché malata. Ci mandarono a fare le lastre<br />

radiologiche a Frosinone e in quell’occasione ebbi un vivace battibecco con<br />

un giovane ignorante poliziotto, il quale mi si rivolse con il tu e pretendeva<br />

che io gli dessi del voi: alla fine, non potendo averla vinta sul piano verbale<br />

voleva picchiarmi: dovettero intervenire due carabinieri a sedare la lite”.<br />

Dopo l’8 settembre, tra la confusione generale, la Deskovic decise di allontanarsi.<br />

Prese il treno per Roma e da lì risalì al Nord Italia. Erano arrivate in<br />

gruppo dall’isola di Ventotene, confinate ed internate politiche. Tra la prima e<br />

la seconda misura c’erano differenze pratiche. L’internamento era un provvedimento<br />

rapido e definitivo, mentre il confino aveva bisogno di maggiore<br />

burocrazia e quindi di tempi lunghi. L’elenco delle confinate ed internate provenienti<br />

da Ventotene, che comprende naturalmente anche Luisa Deskovic, lo<br />

si ritrova in calce al seguente documento di protesta indirizzato all’onorevole<br />

Ministro degli Interni il 27 agosto 1943:<br />

“Le confinate ed internate politiche: Buonacosa Emilia, Babek Giovanna,<br />

Kemperle Appolonia, Zalai Maria, Deskovic Vjekoslava, Deskovis Iulya,<br />

Belamaric Desanka, Nakicenovic Bojana, Tranak Nadia, Raineri Vincenza,<br />

trasferite dall’Isola di Ventotene al campo di concentramento Le Fraschette-<br />

Alatri, fanno presente a codesto Ministero quanto segue: Noi a Ventotene avevamo<br />

un trattamento come confinate ed internate politiche, questo campo<br />

invece non è adatto per noi. Inoltre facciamo presente che l’alimentazione è<br />

un’alimentazione di fame. Tutte le tessere sono state ritirate e per questo non<br />

si riceve neppure la metà di roba che ci spetta secondo la legge d’alimentazione<br />

in tempo di guerra. Ancora peggiore è il fatto che tutta la mazzetta di<br />

£.9, la quale ci spetta come confinate ed internate politiche viene presa per<br />

due razioni di minestra uso acqua calda e per 150 grammi di pane. A noi non<br />

rimane neppure una lira per i nostri bisogni personali, per la frutta, della<br />

quale abbiamo assolutamente bisogno come di altra roba fresca. Il comportamento<br />

con gli ammalati non si distingue dagli altri. Tutti i supplementi qui<br />

vengono a mancare. Facciamo presente che tra di noi la maggioranza non<br />

può ricevere nulla dalle famiglie e fra di noi ci sono delle ammalate di TBC,<br />

ammalate di stomaco, di reni, cuore e quelle che hanno subito operazioni<br />

molto gravi e che devono continuamente curarsi. Noi tutte protestiamo energicamente<br />

contro questo trattamento e chiediamo la nostra immediata liberazione<br />

come confinate ed internate politiche. Inoltre chiediamo il nostro immediato<br />

trasferimento nei comuni liberi quando le nostre pratiche siano pronte.<br />

68


Con osservanza in nome di tutte.<br />

Emilia Buonacasa. Confinata politica.<br />

Le Fraschette 27/8 1943”.<br />

Il documento, di cui riportiamo copia<br />

dell’originale, fu sottoscritto da<br />

Emilia Buonacosa, antifascista, confinata<br />

dal dicembre 1940 perché<br />

“pericolosa alla sicurezza pubblica,<br />

agli ordinamenti politici, economici e<br />

sociali dello Stato”. Per lei il 7 settembre<br />

1943 fu decisa la liberazione,<br />

ma l’armistizio si frappose tra il<br />

provvedimento e la sua attuazione, e<br />

così Emilia Buonacosa fu costretta a<br />

rimanere ancora alcuni mesi a Le<br />

Fraschette.<br />

69


Scrisse di Emilia Buonacosa lo storico Giuseppe Aragno:<br />

“Ha 48 anni ed è confinata dal dicembre del 1940. Antifascista e anarchica<br />

ma null’altro. Nessun reato. Alle spalle un passato di lotte per la libertà e la<br />

democrazia: la militanza sindacale alla Camera del lavoro di Nocera<br />

Inferiore e la partecipazione alle grandi lotte operaie del primo dopoguerra,<br />

che le costano la fama di “sovversiva”, un terribile incidente sul lavoro in<br />

una fabbrica di conserve alimentari - ne porterà i segni e le sofferenze per il<br />

resto dei suoi giorni - la tenace e coraggiosa opposizione al fascismo che<br />

dilaga, la fuga in Francia tra i fuorusciti, i rapporti con “Giustizia e<br />

Libertà”, Barcellona, dove la democrazia fa le prove generali della lotta decisiva<br />

al nazifascismo, e lo stalinismo prova inutilmente a spegnere la voce dei<br />

libertari, il ritorno nella Francia travolta dalla furia nazista, l’arresto e la<br />

consegna ai fascisti, il calvario di Ventotene, con la salute che si deteriora<br />

progressivamente, senza che le sofferenze consiglino la resa. Un soldato. In<br />

quel fatidico 7 settembre del ‘43, la Buonacosa è un soldato come i tanti che<br />

resistono e pagano prezzi altissimi alla scelta di non passare al nemico: la<br />

scelta di non tradire. A Badoglio, il vecchio fascista della continuità, all’antico<br />

nemico che già medita la fuga, mentre patteggia con tutti e chiude nella<br />

vergogna una vita spesa male, l’ha scritto, a nome delle compagne presenti<br />

nel campo con lei - otto slave ed un’italiana - con la chiarezza senza fronzoli<br />

di chi ha vissuto senza ambiguità: “noi tutte [...] chiediamo la nostra immediata<br />

liberazione, come confinate politiche, il nostro immediato trasferimento<br />

nei comuni liberi”. Il generale indugia sino alla fine e decide mentre fugge:<br />

“ Si prega di voler liberare e rimpatriare le confinate in oggetto recentemente<br />

trasferite da Ventotene in codesto campo”. Un indugio fatale, lo stesso che<br />

decide della sorte dei soldati sorpresi fuori confine, di quella parte d’Italia<br />

che cade in mano ai nazisti: l’indugio che sprofonda il paese in un abisso. La<br />

furia della guerra, che l’armistizio riaccende invece di fermare, trova Emilia<br />

prigioniera, coi problemi di sempre. Lei stessa è allo stremo. L’ordine di liberarla<br />

attraversa l’Italia che si divide e si incendia. A Le Fraschette d’Alatri,<br />

il 4 novembre del ‘43, Emilia Buonacosa è ancora in campo di concentramento:<br />

“non può, per il momento raggiungere il proprio paese nativo, Pagani di<br />

Salerno, a causa degli eventi bellici”, scrisse il direttore del campo, per il<br />

quale Emilia Buonacosa è ancora “una confinata politica”.<br />

Vittorio Ravarino, confinato politico trasferito a Le Fraschette. Arrestato<br />

per ubriachezza il 22 febbraio 1943 in un’osteria di Roma, aveva pronunzia-<br />

70


to la frase “Io sono comunista, mi vanto di avere questa idea e mantengo la<br />

mia fede!”, e ancora “Io sono un comunista ed un proletario e mi vanto di<br />

aver fatto quindici anni di galera!”. In effetti, Ravarino il 12.8.1929 era stato<br />

assegnato al confino di polizia per la durata di cinque anni per aver pronunciato<br />

parole offensive all’indirizzo del Capo del Governo, on. Mussolini.<br />

Inoltre aveva precedenti per violenze ed oltraggio a militi della Sicurezza<br />

Nazionale. All’atto della sua liberazione da Le Fraschette, nell’agosto 1943,<br />

il suo rientro a Roma fu segnalato alla locale Questura “per le opportune<br />

misure di vigilanza”.<br />

Tra i confinati politici, prigionieri a Le Fraschette:<br />

Pasquale Pallottino, trasferito da Ustica a Le Fraschette, aveva scritto sui<br />

muri di Potenza frasi avverse al fascismo. Per questo scontò tre anni di prigionia.<br />

Mario Salvadori, “giovane designato quale fervente comunista, figlio di<br />

anarchico”, fu assegnato al confino perché accusato di propaganda comunista.<br />

Giovanni Savio, “combattè nelle file dell’esercito rosso spagnolo e, nel<br />

1941, reduce dal campo di concentramento di Fernet, venne consegnato dalle<br />

autorità francesi alle nostre autorità di frontiera”. Fu assegnato al confino di<br />

polizia per 5 anni, scontati in parte a Le Fraschette. All’interno del campo,<br />

Antonino La Torre, confinato politico proveniente da Ustica, doveva essere<br />

rinchiuso nelle carceri di sicurezza del campo, ma protestò contro il provvedimento<br />

colpendo ripetutamente un agente. Fu arrestato e tradotto nelle carceri<br />

mandamentali di Alatri. Davide Tedesco, Armando Ferraresi e<br />

Francesco Vaglio, internati a Le Fraschette, furono associati alle carceri di<br />

Frosinone in quanto ritenuti elementi capaci di organizzare attentati. Al termine<br />

della loro detenzione, il Prefetto di Frosinone chiese che gli stessi fossero<br />

trasferiti “in una colonia di confino più adatta, perché a Le Fraschette mancavano<br />

garanzie contro le evasioni, “essendo tuttora in costruzione il muro di<br />

recinzione”.<br />

La ricercatrice storica, prof.ssa Slavica Plahuta, racconta in un suo libro, a<br />

proposito del ritorno a casa degli internati slavi, che “la fuga dal campo non<br />

è stata semplice. Il viaggio fino a casa è stato lungo e faticoso e difficili perché<br />

tra un luogo e l’altro le comunicazioni erano sotto il controllo dei tedeschi.<br />

Il viaggio è stato molto più facile per sloveni e croati che conoscevano<br />

la lingua italiana. Ciononostante qualcuno di loro è caduto in mano ai tedeschi<br />

e di nuovo sono tornati nel campo. Il gruppo guidato da Vincenzo<br />

71


Giganti per esempio, è arrivato tranquillamente fino in Istria”.<br />

Sempre la Plahuta racconta: “Nel gruppo di Lojzeta Bukavca c’erano sei<br />

internati. Questo gruppo si è alleato con i partigiani italiani e sono rimasti lì<br />

invece di tornare a casa. Si sa che alcuni di loro sono tornati in Jugoslavia<br />

via mare.<br />

Nell’estate del ’44 c’erano settecento internati, che da Roma, sono passati<br />

verso Bologna. Lì, nelle baracche, si sa che c’erano anche persone di Cassino<br />

e dintorni. Quando l’Italia ha perso la guerra, nel campo si provava un gran<br />

sollievo. La direzione del campo si è sciolta. Gli internati si sono spartiti i<br />

viveri e biancheria. Il giorno dopo la caduta dell’Italia nel campo sono<br />

subentrati i tedeschi. La guardia italiana è fuggita dal campo seguita da alcuni<br />

prigionieri”.<br />

“L’amministrazione del campo s’è dunque trovata di fronte ad una fuga<br />

disorganizzata - come scrive nelle sue memorie Jolanda Simscic - I tedeschi<br />

infatti avevano deciso di rimandare gli internati a gruppi e attendevano istruzioni<br />

e il via da Nova Gorica.<br />

Il primo gruppo a partire fu il gruppo Primorak, facilitato dalla conoscenza<br />

della lingua. Il giorno dopo i primi gruppi di internati sono arrivati a Roma<br />

e da lì si sono mossi verso Trieste e poi verso casa.<br />

Dal campo a Roma sono andati con il treno preso alla stazione di Frosinone.<br />

Il gruppo dove ha viaggiato Simciceva è stato qualche giorno fermo in un<br />

convento, dopodichè ha proseguito col treno fino a Bologna, sotto i bombardamenti<br />

proprio in quel giorno, e poi fino a Gorizia.<br />

I maschi erano rimasti in Italia per i documenti per il rimpatrio. Entro<br />

Dicembre ’43 tutti i gli sloveni hanno abbandonato il campo. Altri internati,<br />

provenienti da Tripoli, sono rimasti nel campo fino a primavera del ’44,<br />

dopodichè sono stati trasferiti nel campo di Carpi, vicino Modena”.<br />

72


PARTE TERZA<br />

IL DIARIO DI MADRE MERCEDES AGOSTINI<br />

18 luglio 1943 - 6 aprile 1944<br />

Torniamo all’estate del 1943. Uno dei documenti più interessanti e completi<br />

sulla vita del campo è senz’altro il diario di Madre Mercedes Agostini, che<br />

riproponiamo integralmente nella versione già pubblicata da don Giuseppe<br />

Capone nel libro “La Provvida Mano”. Il documento descrive con minuziosità<br />

le attività svolte nel campo dal gruppo di suore “Giuseppine di<br />

Chamberj” di Veroli dal 18 luglio 1943, data di arrivo a Le Fraschette, fino<br />

al 6 aprile 1944, quando le suore accompagnarono un numeroso gruppo di<br />

internati al campo di concentramento di Fossoli, nel comune di Carpi.<br />

Nella ricchezza di riferimenti, notizie, dettagli, il documento ci consente di<br />

calarci nella realtà quotidiana della vita del campo, documentando le difficoltà<br />

e le angosce dell’internamento.<br />

Madre Mercedes Agostini è deceduta a Veroli il 15 aprile 1976 all’età di 93<br />

anni.<br />

Madre Mercedes Agostini<br />

con bambine croate<br />

Una proposta<br />

“L’opera che il Signore volle affidarci<br />

nel 1943, terzo anno di guerra, fu<br />

l’opera del tutto nuova ed è da riguardarsi<br />

come un privilegio della Bontà<br />

Divina per la nostra Congregazione,<br />

perché nessun altro campo di concentramento<br />

in Italia ha avuto l’assistenza<br />

delle Suore. Sua Eccellenza il<br />

Vescovo di Alatri mons. Facchini,<br />

uomo infaticabile e pieno del più<br />

ardente zelo apostolico, parlando con<br />

la Superiora del nostro Istituto di<br />

Veroli del campo di concentramento a<br />

Le Fraschette di Alatri, distante da<br />

Veroli circa 17 km., mostrò tutto il suo<br />

dolore poiché vedeva ben 5.500 inter-<br />

73


nati (Croati, Slavi, Sloveni, Montenegrini, Albanesi, Tripolini, Italiani) tra cui<br />

un numero rilevante di bambini, senza quell’assistenza di cui avrebbero avuto<br />

estremo bisogno.<br />

La mortalità nel campo, specialmente tra i piccoli, era grande. I fanciulli<br />

infatti erano privi di ogni cura e lasciati per tutta la giornata in balia di se<br />

stessi. La ristrettezza delle baracche induceva le mamme a spingerli fuori.<br />

All’accenno che il Vescovo fece di avere possibilmente le Suore di San<br />

Giuseppe, la Superiora provò infinita gioia, ma, insieme grande pena, sembrandole<br />

impossibile l’accettazione, perché il lavoro di ogni casa era superiore<br />

alle forze delle operaie che c’erano impegnate, e per il campo di concentramento<br />

di Alatri si richiedevano una quindicina di suore.<br />

Il seme però era gettato e la Divina provvidenza ebbe cura di farlo germogliare<br />

e fruttificare. Mons. Facchini parlò ancora dell’opera. Intanto, a causa<br />

delle condizioni belliche, l’educandato e le scuole comunali di Veroli (in parte<br />

affidate alle suore) si chiusero prestissimo e con la prospettiva di un ben<br />

lungo riposo. La Madre provinciale era stata già messa al corrente della<br />

richiesta, ma desiderava altre spiegazioni. La Superiora allora si recò a<br />

Roma per dare gli schiarimenti richiesti e per illustrare la bellezza della<br />

nuova missione, facendo in cuor suo i più ardenti voti perché fosse accettata,<br />

ma s’impose di non dire una sola parola che potesse sembrare una perorazione.<br />

A Dio solo la cura dell’esito.<br />

Fu adunato il Consiglio. Tutte le consigliere riconobbero la bellezza dell’opera,<br />

ma dovettero riconoscere che una difficoltà grandissima era appunto la<br />

mancanza di soggetti. Dopo molte discussioni, dopo aver esaminato le ragioni<br />

favorevoli e quelle contrarie, fu deciso di accettare la proposta del Vescovo<br />

di Alatri, mettendo però a disposizione un numero di suore molto più esiguo<br />

di quello richiesto. Per Superiora fu scelta la Superiora di Veroli.<br />

La risposta affermativa riempì di immensa gioia il grande cuore di mons.<br />

Facchini, il quale si adattò all’esiguo numero di suore, fiducioso, prima nell’aiuto<br />

di Dio, poi in quello di ottime giovani scelte tra le internate del campo<br />

stesso. L’inizio della missione doveva essere sollecito e tutto fu disposto per<br />

l’imminente partenza. Alcune delle suore destinate furono scelte tra quelle<br />

che lavoravano nella casa di Veroli. Però, attendi, attendi, nessuno si faceva<br />

più vivo. Una telefonata di mons. Facchini confermò i dubbi. Il Demonio,<br />

sempre invidioso del bene, aveva intralciato la pratica per opera di alti funzionari,<br />

ma mons. Facchini, sempre battagliero, non si perdette di animo e,<br />

uso alle vittorie in ogni causa di bene, ebbe piena fiducia di trionfare anche<br />

in questa, e così fu.<br />

74


Inaugurazione<br />

Il 18 luglio, di domenica, nelle primissime ore del mattino, sotto un cielo limpidissimo,<br />

col cuore pieno di santa emozione, la nostra piccola carovana<br />

composta di sette persone, stipata in una carrozzella da cinque posti con<br />

bagagli su bagagli, muoveva alla volta di Le Fraschette. Facevano parte della<br />

comitiva: Madre Giacinta Palustri-Galli, Provinciale, Madre Mercedes<br />

Agostini, Suor Leandra Piunti, Suor Maria Felice Colazilli, Suor Carmelina<br />

Ippolito, Suor Antonietta, Suor Pacifica Cappella, Suor Elisabetta Magini,<br />

Suor Elisabetta Sperticato.<br />

La preghiera accompagnò tutto il viaggio. Quel giorno era grande festa al<br />

campo, perciò fu scelto per il nostro ingresso. Una quarantina, tra bambine e<br />

bambini avrebbe ricevuto la Prima Comunione e la Cresima. La Messa si<br />

sarebbe dovuta celebrare alle nove, ma il ritardo del nostro arrivo fece protrarre<br />

la celebrazione oltre il previsto. In realtà si pensava che avremmo compiuto<br />

il viaggio in automobile. Finalmente, dopo quattro ore di viaggio, giungemmo<br />

al campo, ma dovemmo sostare al posto di comando per le formalità<br />

richieste. Intanto Sua Eccellenza, visto che l’ora si faceva tarda, aveva incominciato<br />

a celebrare, ma, giunto allo scoprimento del calice, attese. Non c’è<br />

bisogno di dire che al nostro ingresso nella baracca-chiesa ogni sguardo si<br />

appuntò su di noi.<br />

La chiesa era letteralmente gremita. Il nostro posto era presso l’altare a lato<br />

dei comunicandi. L’altare era addobbato con la più grande cura, e a renderlo<br />

tanto bello aveva collaborato chiunque aveva presso di sé tappeti od altre<br />

suppellettili.<br />

I comunicandi erano assistiti da signorine e da giovani di Azione Cattolica, i<br />

quali si prendevano cura rispettivamente delle bambine e dei bambini. Costoro<br />

erano in vero abito da cerimonia. A farglielo avere aveva provveduto l’opera<br />

sempre paternamente solerte di mons. Facchini. Bellissimi erano i canti eseguiti<br />

dalle giovani slave, vere specialiste in questo campo, che rendevano la<br />

già tanto suggestiva cerimonia ancor più suggestiva e commovente. Giunto il<br />

momento della S. Comunione, Sua Eccellenza, visibilmente commosso, presentò<br />

le Suore invitando i presenti a ringraziare il Signore per il dono che loro<br />

faceva: incoraggiò a ricorrere ad esse in ogni bisogno, a stimarle come madri,<br />

perché tali sarebbero state, essendo felici della missione che il Signore loro<br />

affidava e stimandosi fortunate di poter dividere con loro le sofferenze materiali<br />

e morali che accompagnavano la loro vita di internati.<br />

Sua Eccellenza fece una vera e propria apologia dell’opera religiosa; la<br />

75


quale, se valse a disporre ognor più gli animi in nostro favore, ci sprofondò<br />

nell’umiltà e ci fece sentire potentissimo il bisogno dell’aiuto di Dio per il<br />

nostro nuovo compito.<br />

Dopo la Santa Messa sul grande piazzale ebbero luogo i convenevoli; poi,<br />

nella piccola abitazione del cappellano ci fu offerta la colazione. Mons.<br />

Vescovo, prima di allontanarsi dal campo, acconsentì a posare per una fotografia<br />

insieme alle Suore e ai bambini che avevano fatto la Prima<br />

Comunione.<br />

Un locale di un piano con sei aule ampie e luminosissime, ben corredate, un<br />

corridoio molto ampio con tredici finestre, un largo ingresso, tre belle camerette:<br />

una direzione, un piccolo refettorio e un’altra stanzetta, tutto nuovo e<br />

rispondente alle esigenze moderne, ecco la baracca delle suore. Però nessuna<br />

suppellettile, nemmeno una stoviglia, nessun indizio di cucina. E il nostro<br />

pasto? Mangiammo qualche cosa che avevamo portato con noi, liete di<br />

cominciare con il sacrificio. Alla sera, però, eravamo già abbastanza sistemate.<br />

Dai grandi magazzini del campo furono portati letti, materassi, biancheria<br />

e qualche stoviglia. Gli utensili di cucina più necessari ed il fornello<br />

vennero a poco a poco nei giorni seguenti. Intanto i buoni internati Tripolini<br />

facevano a gara nel portarci scatole di carne, di latte condensato, di cacao,<br />

zucchero, farina ecc. Gli altri internati non potevano partecipare a questa<br />

gara perché erano poverissimi; ma anche essi, mancandoci il fuoco, si prestavano<br />

per fare caffè e tutti venivano a prestarci i loro buoni uffici,, tutti<br />

erano orgogliosi di adoperarsi per noi. Non si saziavano di vedere le Suore,<br />

di chiederne il nome, di domandare quando avremmo cominciato la scuola.<br />

Occhi sorridenti e curiosi – Inizio e progresso dell’opera<br />

Era tanto il desiderio dei ragazzi di stare vicini alle suore che ci erano sempre<br />

presenti, in ogni momento ed in ogni luogo. Dalle finestre del lungo corridoio,<br />

da quelle delle sei aule, decine e decine di occhi sorridevano, curiosavano,<br />

interrogavano. Bimbi e bimbe, irrequieti e tranquilli, anche a porte<br />

chiuse sbucavano da ogni parte. Compiere la scalata dalle finestre era per<br />

loro la cosa più semplice e più naturale. E questo assalto affettuoso e … non<br />

sempre simpatico, durò per giorni e giorni.<br />

Il secondo giorno si iniziarono le iscrizioni e ciò fu una cosa laboriosissima,<br />

sia per la ressa, sia per la difficoltà di comprendere la loro lingua. La maggior<br />

parte erano Croati, Sloveni, Slavi. Alcune ragazze Slave ci fecero da<br />

interpreti. In questo lavoro di iscrizione, nonché di prima sistemazione e<br />

76


Padre Goffredo Anfussi cappellano e le suore Giuseppine<br />

La chiesetta del Campo<br />

77


organizzazione, ci fu di validissimo aiuto l’ottima Madre provinciale, Madre<br />

Giacinta che si dimostrò abilissima e si prestò anche per i più umili uffici. In<br />

breve gli iscritti furono in numero di 400 e le scuole funzionarono subito<br />

meravigliosamente. In capo ad una settimana si videro progressi, sia nell’ordine<br />

intellettuale che in quello disciplinare e religioso. Era una smania venire<br />

a scuola. Prima delle ore stabilite, i bimbi si trovavano alle tre porte d’ingresso,<br />

impazienti nell’attesa. Sappiamo come, in genere, i bimbi amino il<br />

canto: i Croati hanno per esso una spiccata disposizione, quindi, nel più<br />

ristretto periodo di tempo si impossessarono di un largo repertorio di canzoncine<br />

scolastiche, sacre, patriottiche. Uscivano di scuola a passo di marcia,<br />

cantando, accompagnati dalle suore fin nel piazzale della chiesa, con grande<br />

ammirazione e soddisfazione, specialmente dei genitori. Dopo qualche giorno<br />

dal nostro arrivo, due altre valenti e zelanti operaie vennero ad aiutarci:<br />

Suor Elisabetta e Suor Gesualda, e la Madre Provinciale tornò a Roma.<br />

Fra le baracche e nelle infermerie<br />

Oggetto delle primissime e più solerti cure furono le infermerie. Intanto si iniziava<br />

la visita alle baracche. Gli Ortodossi e i così detti Scapoli (gli uomini<br />

che non avevano famiglia al campo) furono i primi ad essere visitati e soccorsi.<br />

Sul principio costoro ci guardavano non so se con diffidenza o con poca<br />

simpatia. È da notare che fra quel paio di centinaia di uomini ve ne erano di<br />

tutte le confessioni religiose, di tutte le tinte politiche. L’interesse da noi<br />

dimostrato per tutti e per ciascuno, senza alcuna distinzione, il desiderio<br />

palese di poter sovvenire ad ogni loro bisogno, cambiarono a poco a poco le<br />

disposizioni di quegli animi verso le Suore. La carità raggiunse la via del<br />

cuore e produsse il benefico effetto. In ogni bisogno ricorrevano alle Suore, le<br />

quali, con l’aiuto materiale, non mancavano di somministrare quello morale,<br />

sia pure con una parola che spesso pareva gettata a caso. Tra i molti beneficati<br />

ci furono dei vecchi ottuagenari e due giovani Montenegrini, l’uno studente<br />

universitario, l’altro maestro, entrambi tubercolotici, venuti dal campo<br />

di Ustica.<br />

Con gli aiuti, direi diuturni, la loro salute migliorò assai. Non si saprebbero<br />

ripetere le parole di squisita riconoscenza che uno di loro, a nome anche dell’altro,<br />

perché conosceva meglio la lingua italiana, rivolse alle Suore al<br />

momento della partenza dal campo. Dio voglia che il ricordo della carità di<br />

Cristo sia faro di Fede per quelle anime e che un giorno esse siano rischiarate<br />

dalla luce indefettibile della Chiesa Cattolica.<br />

78


La vigile Provvidenza<br />

Da mesi era stato annunziato l’arrivo di viveri per tramite e per parte del<br />

Vaticano; ma, come succede per le opere di bene che trovano sempre ostacoli,<br />

così fu per questa Provvidenza così vivamente invocata. Ma un bel giorno,<br />

quasi subito dopo l’apertura delle scuole, all’improvviso giunse un autocarro<br />

con ogni ben di Dio: circa 7.000 kg. di gallette, e, inoltre, frutta secca,<br />

marmellata, latte condensato, pesce in scatola, medicinali ecc.; una vera<br />

provvidenza che commosse fino alle lagrime e richiamò larghe, larghissime<br />

benedizioni su coloro che erano i messi di questa mano provvida. Si iniziò<br />

subito la refezione scolastica, con tanta gioia di quelle povere creature che<br />

per circa un anno avevano tanto sofferto! Ma la gioia ed il conforto furono<br />

ancora più grandi per le povere madri che avevano visto tanto deperire i loro<br />

figlioletti. Con il cibo furono distribuiti anche ricostituenti, e così, in breve,<br />

quei piccoli esseri ripresero vigore e salute. Sempre per la munificenza di<br />

Roma e di altre fonti benefiche, i bambini poterono avere un vestitino e, in<br />

seguito, zoccoletti e maglie. È veramente grande la carità di Cristo, quella<br />

carità che apre il cuore e tende la mano a tutti, senza distinzioni di nazionalità,<br />

di idee e di credenze.<br />

Il rappresentante del Vaticano<br />

La prima comparsa, potrei dire ufficiale, di tutto il campo, fu fatta il giorno in<br />

cui S.Ecc. mons. Riberi, Nunzio per i campi di concentramento, fece la sua<br />

visita, a nome del Santo Padre, a Le Fraschette. Fu giorno di grande festa<br />

quello. Nella vigilia fervettero i preparativi e, come sempre, ciascuno dette<br />

quello che aveva. L’arrivo di S. Ecc. si fece un poattendere. La Messa doveva<br />

essere celebrata all’aperto: l’altare era stato preparato sulla sommità della<br />

gradinata della chiesetta in muratura, prospiciente il piazzale centrale. I bambini<br />

furono disposti ai lati e dietro di loro c’era tutta la popolazione del campo.<br />

Un plotone di carabinieri faceva scorta di onore. Erano presenti anche il<br />

Direttore del campo, il Commissario di P.S., il Questore di Frosinone ed altre<br />

personalità. Finalmente giunse l’automobile che portava il Nunzio, il Vescovo<br />

di Alatri con alcuni canonici della cattedrale ed un sacerdote del Vaticano.<br />

Le giovani slave cantarono dei mottetti. Al Vangelo il Nunzio pronunziò un sentito<br />

discorso che, a mano a mano, veniva tradotto in lingua croata dal<br />

Reverendo P. Zorè, un padre Gesuita venuto da diversi giorni al campo per<br />

tenere conferenze ed ascoltare confessioni. Alla Santa Comunione generale si<br />

79


accostarono numerosissime persone. Dopo la S. Messa un ragazzo tripolino<br />

pronunziò un caldo e sentitissimo indirizzo di omaggio al Santo Padre e una<br />

piccola croata di poco più di tre anni recitò una graziosa poesia in italiano. È<br />

inutile dire che ebbe carezze dal Nunzio. Una modesta colazione fu servita dalle<br />

Suore. Il minuscolo refettorio era stato preparato per la circostanza con l’aiuto<br />

di tutti. Per dare a quella modestissima agape una tinta di festa pontificia i<br />

tovaglioli erano stati piegati a forma di colomba con un ramoscello di ulivo in<br />

bocca: lo stemma di Pio XII. In seguito furono fatte fotografie. Il desinare fu<br />

offerto ad Alatri da mons. Facchini. Nel pomeriggio il Nunzio visitò le infermerie<br />

ed alcune baracche. Visite di alte personalità furono frequenti al campo.<br />

Rappresentanti della Croce Rossa, della Legazione svizzera, Ispettori del<br />

Ministero, alti ufficiali dell’esercito, tutti si recarono alle scuole, interessandosi<br />

all’opera e compiacendosi dei ragazzi.<br />

Assistenza paterna<br />

Le due figure che maggiormente emergono nel quadro del campo sono quelle<br />

di mons. Facchini, vescovo di Alatri e del cappellano Padre Goffredo<br />

Anfussi. Sono figure che rimarranno indelebilmente scolpite nel cuore di tutti<br />

gli internati che ne faranno conoscere il nome anche ai più lontani nipoti.<br />

Parlerò del primo in questo capitolo; del secondo parlerò a suo tempo, inquadrandolo<br />

nella vita spirituale del campo.<br />

Mons. Facchini, anima di apostolo, considerò gli internati, fin dal loro primo<br />

arrivo, cuore del suo cuore. Ed il suo è uno di quei cuori che traggono le proprie<br />

aspirazioni, le proprie energie dal cuore stesso di Dio. Egli solo sa il<br />

lavoro, le lotte che dovette sostenere per tutelare i diritti degli internati, per<br />

difenderli dai soprusi, per dar loro aiuti materiali e morali. Le sue visite al<br />

campo erano frequenti; spesso veniva a piedi, non badando al freddo, al<br />

caldo, alla pioggia. Al suo arrivo molti gli si facevano incontro, sapendo di<br />

avere in lui un padre vigile e buono che di tutti si interessava, che a tutto provvedeva<br />

e prendeva rimedi, e sempre con quella dirittura morale che è la<br />

caratteristica del suo spirito e che sfida uomini e cose. Anche con gli sfollati<br />

si dimostrò vero padre.<br />

Quando cominciarono gli sfollamenti dai paesi vicini al fronte, le sue energie<br />

si moltiplicarono, le sue industrie crebbero col crescere dei bisogni.<br />

Procurò viveri, letti, abiti, medicinali; lui stesso rimase per ore a sorvegliare<br />

la cucina economica, ad aiutare nella distribuzione della minestra a centinaia<br />

di sfollati che da giorni non mangiavano e che si succedevano nell’arrivo.<br />

80


Che cosa non fece per risolvere la questione del latte per i bambini per i quali<br />

ebbe premure specialissime? Tutti indistintamente trovarono in lui, non dico<br />

il padre buono, ma la madre più solerte e provvida.<br />

Ogni mattina scendeva dall’Episcopio situato sull’Acropoli e visitava alloggio<br />

per alloggio, e di tutti ascoltava i bisogni e le pene, pensando a certi particolari<br />

da sorprendere. Non era una sola volta al giorno, ma c’erano giorni<br />

in cui per tre o quattro volte scendeva in paese per i bisogni dell’uno e dell’altro,<br />

per risolvere situazioni scabrose.<br />

Senza dubbio il ricordo del Vescovo di Alatri sarà il solo confortante tra i<br />

moltissimi casi dolorosi e tragici.<br />

Fra i nostri<br />

L’opera delle suore si svolse anche tra i nostri soldati, soprattutto fra quelli<br />

addetti alla sorveglianza del campo, le sentinelle. Oggi era un medicinale,<br />

domani una sigaretta per ingannare la noia delle ore della notte, ora una tazzina<br />

di infuso di tiglio per quello che tossiva, altre volte un oggettino religioso<br />

da portare o da mandarsi in famiglia per una Prima Comunione, insomma<br />

delle piccole cose, delle piccole attenzioni che servivano ad avvicinare e ad<br />

avvincere, riaccendendo la fede un po’ sopita, riconducendo alla pratica religiosa<br />

chi se ne era allontanato.<br />

Se essi venivano a noi come madri e sorelle, noi avevamo trovato in loro le<br />

vigili sentinelle, pronte ad aiutarci in ogni bisogno. E veramente ci sentivamo<br />

al sicuro in quell’immensa baracca con le finestre quasi a par di terra, che<br />

nella parte posteriore era volta verso la campagna e che aveva, a pochi metri<br />

di distanza, un oscuro castagneto.<br />

Quante notti in cui le batterie di cannoni, poste nelle vicinanze, cercavano di<br />

abbattere gli apparecchi nemici e illuminavano sinistramente il cielo di<br />

Fraschette, una voce dal di fuori ci esortava a non temere o a metterci meglio<br />

al riparo!<br />

Era una delle vigili sentinelle che con noi invocava l’aiuto del cielo. In alcune<br />

circostanze in cui i nostri soldati erano minacciati di gravi punizioni<br />

potemmo avere la gioia di essere felici intermediarie.<br />

8 settembre 1943<br />

Dopo questa dolorosa data, la vita del campo prese un aspetto tutto diverso,<br />

assai triste, anzi desolante. In balìa di se stessi, internati, contadini, civili dei<br />

81


paesi vicini cominciarono immediatamente il depredamento e la distruzione.<br />

È una cosa dolorosissima, anche solo a raccontarsi, perché, oltre che indice<br />

di inciviltà e di anarchia, denotava la negazione di ogni senso di rispetto ad<br />

una legge che, se pure non era tutelata, doveva però essere ugualmente norma<br />

di condotta. L’audacia di uno, sebbene biasimata da un altro, veniva disgraziatamente<br />

poco dopo imitata.<br />

Che ore, che giorni dolorosi!<br />

Non si credeva ai propri occhi e non si sarebbe voluto vedere. Ci furono ripetuti<br />

momenti di panico. Una mattina, di buonissima ora, la periferia del<br />

campo è piantonata da soldati tedeschi, schierati a poca distanza l’uno dall’altro.<br />

Quale ne sarà il motivo? Certo per impedire che gli uomini sfuggano<br />

al rastrellamento e per rastrellare quelli che ignari rientrano al campo, dopo<br />

aver passato la notte fuori, onde sfuggire al pericolo di venir sorpresi durante<br />

il sonno. Proprio quella notte, quattro carabinieri, i quali più degli altri<br />

vivevano sotto l’incubo di essere presi, erano di guardia nella nostra baracca<br />

per custodire migliaia di indumenti che in quei giorni si sarebbero distribuiti<br />

agli internati. Avvertito il pericolo che li minacciava, i quattro e noi<br />

suore con loro fummo presi da gran timore che ben presto divenne intenso<br />

panico. Uno dei soldati tedeschi (mi pare un graduato), dopo aver rivolto<br />

alcune domande ad una suora che stava trepidante fuori della porta, salì<br />

sulla scala di accesso ed entrò. Ci siamo! Il cuore martellava mentre invocavamo<br />

l’aiuto del Cielo. In men che non si dica, i quattro carabinieri si resero<br />

conto della gravità del pericolo. Dove rifugiarsi? Nel solaio? Certamente i<br />

tedeschi non ignoravano tale rifugio. In uno stanzino? Peggio ancora.<br />

Fuggire da una delle porte o dalle numerose finestre? Impossibile, perché<br />

erano guardate dalle sentinelle tedesche. Ma anche questa volta il Signore e<br />

il nostro padre San Giuseppe ci allontanarono dal pericolo. Il soldato, dopo<br />

aver dato uno sguardo intorno, ridiscese la scala e se ne andò. Con quanta<br />

riconoscenza ringraziammo il Signore!<br />

La sera dello stesso giorno, altro panico. Era ora piuttosto tarda e pioveva.<br />

Il buio era fitto e il campo giaceva in un silenzio di morte. Ad un tratto si udirono<br />

due colpetti alla porta che dava sul bosco. “Chi è?”. Una voce sommessa<br />

rispose: “Carabiniere”. Aprimmo. Era un giovanotto di poco più di diciotto<br />

anni, il quale invano aveva cercato ricovero in campagna. Troppi erano i<br />

fuggiaschi già ricoverati dai buoni contadini che in quei poveri giovani vedevano<br />

i propri figli. “Tenetemi qui”, disse il ragazzo con voce supplichevole.<br />

“Oh, se ti terremmo!, ma non sai il pericolo che abbiamo corso questa mattina?”.<br />

Intanto dal grande viale centrale del campo giungeva il rumore di una<br />

82


macchina. A tutte le ore venivano i tedeschi, spesso per un rastrellamento.<br />

“Che fare? E se venissero anche da noi?”, “Mettiamo il termometro al ragazzo<br />

come se fosse febbricitante”, disse una. “Ma no, è meglio fasciargli un<br />

braccio come ad un ferito”, disse un’altra. E così fu fatto. Dopo un po’ di<br />

riflessione decidemmo di accompagnarlo in infermeria. Il mattino seguente,<br />

di buon’ora, avrebbe continuato la sua via. Anche quella volta ci andò bene.<br />

In seguito ai fatti dell’8 settembre, l’opera fra i nostri s’intensificò. Coi bisogni<br />

dello spirito sorsero quelli gravissimi del corpo. A tutte le ore del giorno,<br />

ed anche quando era già buio, le persone venivano dalle suore per avere il soccorso<br />

del pane, di un indumento, di una coperta per ripararsi dai rigori del<br />

freddo. Che pena non poter fare per loro tutto quello che avremmo voluto!<br />

Serata di fuoco<br />

Al terribile spettacolo di sfacelo a cui si era dovuto assistere impotenti, si<br />

aggiunse un giorno l’orrore dell’incendio. Era già buio quando alte grida ci<br />

richiamarono alla finestra. Credevamo che si trattasse di un rastrellamento di<br />

uomini, perché fatto con violenza. Invece, fiamme sinistre, a poca distanza, si<br />

innalzavano minacciose nell’aria. Mamme, babbi, con i figlioletti in braccio,<br />

con indumenti e masserizie sulle spalle, cercavano di mettersi in salvo. Per di<br />

più piovigginava. Come Dio volle, alcuni volenterosi, tra cui il cappellano<br />

con i suoi giovani, riuscirono ad isolare il fuoco; e l’incendio si limitò a due<br />

baracche, una delle quali era vuota.<br />

Vita spirituale del campo<br />

Il Padre cappellano del campo era Padre Goffredo. Era parroco in Tripoli da<br />

dieci anni, quando la guerra strappò dal proprio focolare ricchi e poveri, giovani<br />

e vecchi, famiglie intere insomma. I parrocchiani del Padre Goffredo,<br />

supplicarono il vescovo che concedesse loro di farsi seguire dal proprio parroco.<br />

Ciò fu concesso, ed il padre Goffredo, lieto, li seguì, nel solo desiderio<br />

di recare aiuto e conforto. E così fece. Nel periglioso viaggio, negli anni di<br />

internamento, nel doloroso ricordo delle case lontane, che non avrebbero<br />

forse più trovate, nella dura separazione dai parenti, molti, anche dai più<br />

stretti, rimasti internati in altri campi, che cosa sarebbe stato di loro se non<br />

avessero avuto a fianco il padre amato? Pronto sempre ad aiutarli, incoraggiarli,<br />

ammonirli anche, o dall’altare o dal confessionale, in casa ed in ogni<br />

altra occasione.<br />

83


Il Padre, così era chiamato, e fu tale, non solo per i tripolini, ma per ogni<br />

altro membro del campo. I 5.500 internati furono tutti considerati come suoi<br />

parrocchiani amatissimi. I sussidi in denaro ottenuti personalmente a Roma<br />

e sollecitati con lo scritto raggiunsero qualche centinaio di migliaia di lire.<br />

Egli conosceva i bisogni di tutti e tutti adeguatamente soccorreva.<br />

Intensissima era la vita spirituale del campo…<br />

Il Padre aveva adottato il principio di Don Bosco, quello cioè di non tenere<br />

mai in ozio. Solo così ebbe dei giovani esemplari in tutto, e di cui le famiglie<br />

erano orgogliose. Nella baracca-chiesa si svolgevano le funzioni, come in<br />

una parrocchia in efficienza.<br />

Il monte di Fumone soprastante, con la sua torre medievale, e le colline circostanti<br />

sparse di casette e di capanne seminascoste tra il verde, mentre facevano<br />

corona a quel ristretto lembo di terra ove si soffriva, pareva che volesse<br />

occultarlo agli occhi degli uomini.<br />

Alternative di timori e di speranze<br />

Più di una volta corsero voci, e spesso parevano accreditate, che il nostro<br />

campo dovesse essere trasportato altrove, in alta Italia. L’incertezza del<br />

luogo e il pensiero di doversene andare quando forse gli Alleati li avrebbero<br />

presto liberati, affliggeva tutti. È vero che là avevano molto sofferto, ma è pur<br />

vero che l’ignoto spaventa ed il luogo, che è stato testimone di tante sofferenze,<br />

finisce con l’esserci caro.<br />

Molti di loro poi avrebbero lasciato poco distante di là, nel cimitero di Alatri,<br />

una cara persona; c’era chi ne lasciava quattro. Il 22 di febbraio (1944), proprio<br />

dall’autorità fu dato ordine di prepararsi per la partenza. Quale sconforto!<br />

I preparativi fervettero; per tutta una notte non si udirono che colpi di martello<br />

per chiudere casse. Anche noi suore ci preparammo. La mattina dopo i<br />

primi camion con bagagli dovevano dirigersi alla stazione di Ferentino, da cui<br />

si doveva partire per Roma e poi alla volta dell’Italia Settentrionale. Verso le<br />

otto e mezza antimeridiane un festoso agitarsi di persone e di grida di gioia si<br />

udirono nel campo. Un agente di Pubblica Sicurezza e un carabiniere in motocicletta<br />

erano venuti a portare la lieta notizia che la partenza era stata rinviata;<br />

forse, poteva pure andare a mone. Bombe anglo-americane avevano colpito<br />

la linea ferroviaria e quella stessa mattina Ferentino veniva fortemente<br />

bombardata. E se fossimo partite? Un altro tratto della Provvidenza Divina a<br />

cui tutti furono sensibilmente riconoscenti.<br />

84


Lutti nel campo<br />

Prima che le suore giungessero al campo, l’assistenza sanitaria lasciava<br />

molto a desiderare, sia per la mancanza di organizzazione e di personale, sia<br />

per la deficienza di medicinali e di vitto. C’era perciò grande mortalità specialmente<br />

di bimbi e di vecchi. Se la morte di una persona cara è sempre<br />

molto dolorosa, quanto più non doveva esserlo là, dove si vedevano languire<br />

gli ammalati senza poter dare loro gli aiuti necessari? E quanto grande non<br />

sarà stata l’amarezza dell’ammalato, al pensiero di dover morire lontano<br />

dalla patria! Dolori che non hanno nomi, ma che hanno un valore infinito<br />

davanti a Dio. E meno male che il conforto della fede interviene ad addolcire<br />

le amarezze le più acerbe! Non dico poi del distacco, allorché, giunti<br />

all’estremità del campo, dove era il posto di blocco, si doveva veder partire<br />

il caro perduto, per l’ultima dimora, solo, sopra un rozzo barroccio, poiché<br />

mancavano altri mezzi, racchiuso in cassa rudimentale e mal connessa.<br />

Spesso, neppure un fiore poteva denotare il tributo dell’affetto di chi vedeva<br />

allontanare l’essere caro, perché là dentro non c’erano fiori. Tuttavia qualche<br />

volta poteva essere dato il tributo di qualche umilissimo fiore, di qualche<br />

ramoscello verde strappato dalla cinta del campo. Dopo l’otto settembre,<br />

quando il campo non ebbe più sentinelle, si ebbe almeno il conforto di accompagnare<br />

i propri cari fino all’ultima dimora.<br />

Acqua, fitte tenebre, vento<br />

Un po’emozionante l’episodio di una visita notturna ad un ammalato di campagna.<br />

In un tardo pomeriggio una giovane venne a chiamare l’infermiera<br />

per un suo fratello che da più giorni aveva febbri altissime. Essa non tornò<br />

dalle visite che verso il crepuscolo. Sebbene stanca, accompagnata da me,<br />

secondo le indicazioni ricevute, si recò nella casetta dell’ammalato. La pioggia,<br />

caduta abbondante, aveva reso il terreno talmente scivoloso che per<br />

discendere e poi salire, fu un vero pericoloso problema. Come Dio volle giungemmo.<br />

La suora si informò del male, somministrò ciò che ritenne più opportuno<br />

e ce ne saremmo tornate, se una fitta pioggia non ci avesse trattenute.<br />

Appena appena diminuita, riprendemmo il cammino accompagnate da un<br />

contadino. Il buio era fittissimo; una lucerna fatta alla meglio da quei buoni<br />

contadini avrebbe dovuto rischiarare il cammino, ma, non appena giungemmo<br />

all’aperto, il vento ce la spense. Nonostante tutte le più accurate precauzioni,<br />

era un continuo accendersi e spegnersi; finché non rimanemmo con due<br />

85


soli fiammiferi. Che trepidazione! Camminammo a tentoni; avremmo voluto<br />

riaccendere, ma il vento prepotente sfidava la nostra pazienza. Intanto la<br />

pioggia rinforzava. In mezzo ad un terreno scosceso, con i piedi affondati<br />

nella melma, circondate dalle più fitte tenebre, strette l’una all’altra sotto un<br />

unico ombrello, tremanti per il freddo, non si sapeva dove e come andare. Ci<br />

assalse il dubbio di dover restare là fino a giorno. Chiesi se fosse possibile<br />

trovare un po’ di paglia per farne una torcia. L’uomo che ci accompagnava si<br />

allontanò da noi. L’attesa fu lunga e penosa. Intanto pregavamo. Finalmente<br />

l’uomo tornò portando della paglia che aveva preso in una capanna, spaventando<br />

degli uomini che lì si erano rifugiati nascondendosi per paura di essere<br />

presi. Col nuovo sistema di illuminazione riprendemmo alla meglio il cammino,<br />

sempre lottando con la melma. Discendemmo ad un torrentello e, sostenendoci<br />

agli alberi, potemmo risalire la china. Il cuore ci si allargò quando<br />

scorgemmo, nel buio, il campo. Le suore stavano in pensiero. Non dico se fu<br />

necessario cambiarci.<br />

Continui spaventi ci furono causati dalle ripetute aggressioni, specialmente<br />

notturne, fatte ai magazzini di vestiario e di masserizie. Spesso, verso sera o<br />

nel cuore della notte, si udivano ripetuti colpi di rivoltella, di bombe a mano,<br />

di moschetto. Si rubò dagli internati, si rubò dagli esterni, si rubò dai vicini,<br />

si rubò dai lontani, tanto più che varie baracche erano rimaste vuote di abitanti,<br />

poiché molti internati, croati e sloveni, erano partiti. Anche per la campagna<br />

veniva compiuto lo stesso depredamento. E così, in breve, il campo non<br />

si riconobbe più e quel grazioso e comodo villaggio che avrebbe potuto poi<br />

servire all’abitazione di tanta gente rimasta senza tetto, non era che un<br />

ammasso di rovine.<br />

Natale<br />

Le truppe tedesche da qualche tempo si succedevano al campo, con grande<br />

pericolo del medesimo e con panico degli internati. Nella settimana prima di<br />

Natale giunsero gli Alpini, quasi tutti austriaci e cattolici. Fu pensato di dare<br />

anche a loro un po’ di conforto spirituale e di far sentire un alito di festa familiare.<br />

Fu richiesto a Roma un sacerdote che parlasse tedesco e fu concesso.<br />

All’improvviso però quasi tutti furono fatti partire per il fronte. Noi pensammo<br />

ai pochi rimasti. Per uno di quegli incidenti che a quel tempo erano all’ordine<br />

del giorno, il sacerdote giunse all’ultimo momento; quindi non ci furono confessioni<br />

e neppure comunioni. Dopo la messa, cantata dalle internate, offrimmo<br />

nella nostra baracca una discreta colazione: latte o caffè, cioccolata e<br />

86


dolci. Ciascuno aveva al proprio posto una immaginetta ricordo, con un pensiero<br />

scritto in tedesco ed una medaglietta. La tavola era preparata a festa.<br />

Quei baldi giovani si mostrarono commossi per quello che era stato dato loro.<br />

Nel pomeriggio furono radunati al campo tutti i bambini per la distribuzione<br />

di arance e castagne che il sacerdote venuto da Roma aveva portato con sé.<br />

Assistettero alla distribuzione diciotto soldati tedeschi, ai quali pure offrimmo<br />

qualcosa. Quei pochi dolcetti che potemmo offrire li fecero tornare con il<br />

ricordo alla famiglia lontana, ed essi ce ne furono grati. Ai cattolici offrimmo<br />

una medaglietta, ma la vollero anche gli altri, e mostrarono la loro gratitudine,<br />

lasciando un’offerta per i bambini più poveri del campo.<br />

Uragano<br />

La notte tra l’ultimo ed il primo dell’anno fu una notte terribile. Un uragano<br />

che si protrasse per dodici ore, ci tenne tra la vita e la morte. Quasi una ventina<br />

di baracche cedettero. Meno male che alcune erano vuote e gli abitatori di<br />

altre fecero in tempo ad allontanarsi dal pericolo. Le tegole volavano come<br />

piume, le baracche ondulavano; l’ululato del vento metteva terrore; sopra l’impalcatura<br />

delle nostre stanze era un precipitare ed un rincorrersi di pezzi e di<br />

tegole. I cartoni del soffitto erano bucati in più punti. Per non esporre la vita,<br />

andammo in una stanza più riparata. La lue del giorno ci presentò tutta l’azione<br />

demolitrice di quella vera ira di Dio. Molti avevano trovato scampo nelle<br />

cucine e nei magazzini, che erano locali costruiti in muratura, e lì stabilirono<br />

la loro dimora. Infatti, dopo otto giorni, si ebbe una ripresa, ma con poche conseguenze.<br />

La mattina del primo dell’anno, siccome la baracca-chiesa era in<br />

condizioni pericolose, la Santa Messa fu celebrata in un’aula delle nostre<br />

scuole. È da immaginarsi come i lavori di riparazione furono laboriosi. Anche<br />

in questa circostanza dovemmo riscontrare l’affetto dei nostri protetti.<br />

Cattura<br />

Fra gli episodi più drammatici è quello della cattura di sette giovani inglesi<br />

che avevano trovato ricovero nel campo. Che mattinata di emozione, che ore<br />

di trepidazione! Albeggiava quando il Campo fu circondato da soldati<br />

Tedeschi. Nessuno conosceva la ragione di quella manovra e si formulavano<br />

le ipotesi più disparate. “Prenderanno i nostri uomini? Ci porteranno via da<br />

questo campo?”. Man mano che le persone uscivano dalle baracche, venivano<br />

mandate nell’immenso locale del cinema. Ciascuno doveva essere munito<br />

87


delle carte di riconoscimento. Era un guardarsi, un interrogarsi muto. Anche<br />

in questa contingenza le Suore poterono rendersi utili, sia con l’andare a<br />

prendere documenti lasciati nelle baracche, sia con il riportare tra le braccia<br />

di una madre un piccolo rimasto a letto. Verso le tredici, l’esame dei documenti<br />

personali e l’ispezione delle baracche erano compiuti, ma sette inglesi<br />

ex prigionieri venivano di nuovo catturati e, poco dopo, scortati da soldati<br />

tedeschi, con il loro fagottello sulle spalle, erano condotti via di là.<br />

Dopo tanti disagi sofferti, dopo ripetute fughe condotte tra il panico quasi<br />

continuo (alcuni erano fuggiti dalle mani dei tedeschi sei o sette volte), come<br />

quella sorte sarà riuscita penosa per quei poveretti, se tanta pena produsse<br />

nel cuore di tutti e richiamò lacrime negli occhi di molti!<br />

Visite impressionanti<br />

Una sera, per condurre a termine un atto di carità, tardammo ad andare a<br />

letto e il ritardo ci fu provvidenziale. Ad un tratto, la ragazza croata che avevamo<br />

al servizio, sentì del rumore, come se forzassero una delle porte d’ingresso.<br />

Si corse immediatamente alla finestra più vicina. Alla domanda:”Chi<br />

è?” fu risposto “Aprite!” Erano due o tre soldati tedeschi. Non li potemmo<br />

scorgere bene. “Forse volete fiammiferi?” chiedemmo tanto per chiedere<br />

qualcosa.<br />

Spesso, anche nel cuore della notte, bussavano a qualche baracca per questo.<br />

Senza attendere risposta, fu riabbassato l’avvolgibile e in un attimo furono<br />

portati i fiammiferi. Uno di loro, assai giovane salì sopra una piccola sporgenza<br />

del muricciolo su cui era basata la baracca e si spinse con una spalla<br />

e la testa dentro. Gli bastava un salto per entrare in casa. Le sue intenzioni<br />

erano tutt’altro che buone e ci volle l’aiuto di Dio e le lacrime di due bambine<br />

croate che ci erano state affidate e che dormivano in quella stessa stanza,<br />

per indurlo a lasciarci in pace.<br />

Un’altra sera, verso le 23, mentre dormivamo tranquillamente, si udirono<br />

voci maschili proprio davanti all’ingresso. La Suora che per prima aveva<br />

avvertito le voci gridò: “Aspettate che ci vestiamo!”. È da immaginare se e<br />

quanto ci spaventassimo. In quella stessa notte erano arrivati gli alpini<br />

austriaci, i quali andavano in cerca di baracche vuote. Vista la nostra così<br />

ampia, pensarono certo di trovarvi alloggio, tanto più che alle prime bussate<br />

nessuno rispose e la credettero disabitata. Certo, non erano dei malintenzionati,<br />

perché, appena udito che c’era gente, se ne andarono, ma intanto la<br />

paura era stata grande.<br />

88


Tante altre emozioni, tanti altri episodi ci sarebbero da registrare, molti dei<br />

quali noti a Dio solo, e, se pure noti agli uomini, quasi incredibili per chi ne<br />

udisse il racconto.<br />

Dopo 1’8 di settembre, gli alunni della scuola ogni giorno diminuivano di<br />

numero. Non essendoci più le sentinelle, l’uscita dal Campo era libera, e quei<br />

poveri uccelletti, rimasti in gabbia per mesi e mesi, sentirono tutta l’attrattiva<br />

dei liberi voli.<br />

Chi li reggeva più?<br />

La campagna circostante offriva loro le più seducenti tentazioni: le frutta,<br />

soprattutto. Altra causa della suddetta diminuzione fu l’inizio della partenza<br />

dei croati e sloveni. Fu un vero dolore veder morire a poco a poco ciò che era<br />

stato così fiorente. Tre suore tornarono a Roma. Dopo il mitragliamento poi,<br />

la scuola fu sospesa”.<br />

Primi allarmi e mitragliamenti<br />

Quantunque ognuno credesse che il campo sarebbe rimasto incolume dai<br />

bombardamenti aerei, pure si provava un certo senso di timore, specie di<br />

notte, al passaggio frequentissimo di apparecchi, poiché da un certo tempo il<br />

campo era privo di quelle luci che lo segnalavano. E non ci si ingannava. Una<br />

sera udimmo i colpi di mitraglia proprio sul nostro cielo. Il ripetuto tac tac<br />

delle mitragliatrici fu seguito da scoppi fortissimi. Alcuni spezzoni erano<br />

caduti vicino alla baracca del Comando.<br />

Ringraziammo Dio perché non c’era stata alcuna vittima, ma... non ci si sentiva<br />

più sicuri, sebbene si argomentasse che il mitragliamento e lo spezzonamento<br />

erano avvenuti per un errore. Una mattina, verso le nove, bassissimi<br />

sulle nostre baracche, due aerei si scontrano: tac, tac, tac. Si odono grida: la<br />

mitraglia ha fatto le sue vittime. Si sta per correre a prestar soccorso, quando<br />

due feriti vengono portati all’ambulatorio. Uno, giovane padre di famiglia, è<br />

gravissimo, forse già morto. L’altro, un bimbo di una diecina di anni, ha una<br />

gamba frantumata; suo padre giace nella baracca nelle stesse condizioni.<br />

Giungono due giovanotti trafelati e ci supplicano di correre presso un giovane<br />

inglese gravemente ferito. Corro a perdifiato. Il giovane aveva pernottato al<br />

campo. Lo trovai in condizioni apparentemente buone, ma esaminandolo mi<br />

accorsi che le ferite erano gravissime, aveva il ventre squarciato dai proiettili,<br />

dei quali almeno uno gli era rimasto dentro. Anche una gamba era ferita. Era<br />

un protestante. Gli prestai i soccorsi del caso e, prima di tutto, gli dissi una<br />

parola buona. Gli feci baciare il Crocifisso e dire: Gesù mio, misericordia.<br />

89


Sembrava sereno, ma intanto mi chiese se doveva morire. Era un atleta da<br />

giovane, dalla fisionomia buona: uno studente universitario. Giunse intanto<br />

l’Ufficiale medico tedesco che era accampato là, e dispose subito che il ferito<br />

venisse trasportato con gli altri allospedale di Alatri. Approvò pienamente<br />

quello che aveva fatto la suora infermiera per i feriti.<br />

Il giovane ferito venne posto su un graticcio. Poiché dalla porta non poteva<br />

passare, fu calato, con la massima cautela, dalla finestra. Fu deposto su un<br />

camion con i feriti più gravi. Dopo poche ore, parlando della mamma lontana,<br />

lasciò questa terra.<br />

Per un equivoco nessuna delle suore seguì il camion, e così il poveretto che<br />

pure aveva dimostrato di essere disposto ad abbracciare la religione cattolica,<br />

non poté avere nel momento decisivo la parola che forse lo avrebbe fatto<br />

spirare nella nostra Santa Religione. Dio, nella sua misericordia, ne avrà<br />

tenuto conto. Un altro ferito morì nella notte, dopo che gli era stata amputata<br />

la gamba.<br />

Era il padre del ragazzo anch’egli ferito alla gamba. Morì lasciando cinque<br />

figli tutti piccoli, e uno che doveva nascere. Adoriamo i disegni di Dio. Il trasporto<br />

delle tre salme fu commoventissimo e non solo la popolazione del<br />

campo, ma quella della campagna e di Alatri dette il suo tributo, specialmente<br />

a Jimmi, il giovane inglese.<br />

Molti ne avevano potuto apprezzare le doti, molti lo avevano aiutato, ne avevano<br />

conosciuto le peripezie. Dispiaceva vederlo morto così lontano dai suoi,<br />

quasi alla vigilia del giorno, da lui tanto aspettato, dell’arrivo dei suoi connazionali.<br />

Una donna della campagna, che lo aveva ospitato e custodito per<br />

vari mesi, lo pianse come un figlio.<br />

Una quindicina di giorni prima, verso sera, c’era stata data la tristissima<br />

notizia che uno dei carabinieri addetti al campo fino a pochi mesi innanzi,<br />

mentre compiva il suo dovere, era stato ucciso con una bomba a mano. Era<br />

un bravissimo giovane, buono tra i buoni.<br />

Il pensiero della mamma tanto lontana dal figlio che moriva, e il saperlo solo,<br />

senza forse una persona amica che pregasse per lui, mi spinse ad accorrere<br />

allospedale. Giaceva nella buia e fredda camera mortuaria. Da una larga<br />

ferita al cranio era sgorgato il sangue che ora s’era raggrumato sul volto,<br />

composto dalla morte in una grande serenità. Non potei trattenere le lacrime.<br />

C’erano anche altri che piangevano con me. Pregai, gli misi la corona al<br />

braccio, come avrebbe fatto la sua povera mamma. Gli tagliai una ciocca di<br />

capelli per mandarla a lei con una parola di conforto, non appena fossero<br />

passati gli alleati.<br />

90


Bombardamento<br />

“Veroli è stata bombardata”. Voci discordi mi tennero in un’alternativa di trepidazione<br />

e di speranza. Era il pomeriggio del 21 di febbraio del 1944, e mi<br />

trovavo ad Alatri per una delle mie frequenti corse in città, motivate dai bisogni<br />

del campo. Domanda a destra, domanda a sinistra, riuscii finalmente, e<br />

con dolore, ad appurare la notizia. Due giorni innanzi Veroli aveva avuto il<br />

primo battesimo di fuoco e... di sangue, limitato, però, grazie a Dio. Seppi che<br />

le nostre case e le suore erano tutte salve.<br />

Quella sera non fu possibile partire. Il giorno seguente, ancora a notte,<br />

lasciai il campo e con una carrozza salii alla volta di Veroli. Il mio arrivo colà<br />

fu salutato dallo scoppio ritardato di alcune bombe. Veroli sembrava un paese<br />

evacuato; le poche persone in cui mi imbattei avevano l’aspetto della sofferenza<br />

e di chi è invaso da panico. Le Suore furono felicissime della mia visita,<br />

questa volta non affatto improvvisa, perché pensavano che sarei corsa da<br />

loro. Nelle prime ore del pomeriggio ripresi la via del ritorno. Giunta in vicinanza<br />

di Alatri, sentii che il mattino c’era stato un bombardamento.<br />

Domandai:“Dove?”, mi risposero:“A Le Fraschette”.<br />

Veramente non mi scossi troppo, perché altre volte si era diffusa la notizia, ma<br />

sempre poi era risultata falsa. Fatto un altro tratto di strada, domandai ad<br />

altre persone dove fosse stato bombardato. “A Le Fraschette mi fu risposto.<br />

Tale conferma mi mise in seria apprensione e non vedevo l’ora di giungere.<br />

Arrivata ad Alatri, si strinsero intorno alla carrozza alcune persone dicendomi:<br />

“Madre, stia tranquilla, che le suore sono salve e si trovano qui ad Alatri.<br />

Ci sono anche gli internati”.<br />

“Ci sono morti? feriti?”<br />

“Sei morti e qualche ferito”<br />

Corsi all’ospedale; quale dolorosa impressione!Due padri di famiglia morti:<br />

uno era rimasto sul colpo, l’altro era spirato all’ospedale poco prima. Questi<br />

lasciava cinque figli, l’altro due. Un santo giovane, due donne, due bambini,<br />

tutti giacevano irriconoscibili sul pavimento della piccola, umida, oscura<br />

camera mortuaria. Col cuore stretto, o piuttosto sanguinante, corsi ove si<br />

erano ricoverati i fuggiti dal campo.<br />

Era una scena penosissima.<br />

“Madre, Madre!” udii da più parti. I colpiti nel cuore erano come inebetiti,<br />

ma rassegnati: tutti erano rassegnati. Mi sentii confortata spiritualmente.<br />

Meditavo e mi edificavo, considerando la prova di virtù che quella povera<br />

gente stava dando. E dire che le prove si erano sovrapposte alle prove, i mesi<br />

91


di sofferenze morali e fisiche erano succeduti ai mesi! Una vera Via Crucis.<br />

Com’è vero che la prova, per chi veramente crede e spera in Dio, è mezzo di<br />

crescente perfezionamento, di crescente linfa cristiana per chi trasmette l’eredità<br />

della fede e per chi la riceve. I profughi del campo erano ricoverati sotto<br />

il tetto ospitale appartenente all’Ente Conte Stampa. Quel palazzo aveva già<br />

veduto l’apice della miseria e del dolore negli sfollati di Cassino, Napoli e<br />

dintorni; aveva contato le lacrime di sangue, di tante umili madri già costrette<br />

a nascondersi per mesi nelle grotte e nelle miniere di asfalto, ove avevano,<br />

non vissuto, ma lentamente perduto le già tanto misere forze fisiche e morali,<br />

e che avevano il cuore più che le orecchie martoriato dal grido ripetuto:<br />

“Mamma, ho fame”.<br />

Quelle stanze, lasciate dai primi fuggiaschi in condizioni deplorevoli di pulizia,<br />

ospitavano ora quest’altra turba di profughi. Si ebbe un bel da fare per<br />

pulire. C’era mancanza di tutto! Quante riflessioni non feci in quei pochi<br />

istanti che passai là?<br />

Poco dopo, con le altre suore, corsi al Campo, ove dovemmo pernottare,<br />

nonostante la prospettiva della quasi completa solitudine. Per non esporci<br />

sole, in quella immensa baracca, temendo pericolose visite notturne, cercammo<br />

chi potesse vegliare la notte con noi.<br />

Un comunista croato e un altro internato promisero di venire. Più tardi però<br />

giunsero gli agenti di Polizia e cosi fummo sotto la loro preziosa protezione.<br />

Nel brigadiere trovammo un vero gentiluomo. Fu nostro dovere di mostrarci<br />

grate con l’offrire ai nostri protettori, durante la notte, modo di scaldarsi non<br />

solo le membra, ma anche lo stomaco.<br />

Dimenticavo di dire che, poco dopo il bombardamento, ci fu chi forzò una<br />

delle porte della nostra baracca, depredando le lenzuola, le fodere del letto e<br />

una ventina di sottocoperte, cosicché la notte avemmo da offrire qualche altra<br />

cosa al Signore.<br />

I poveri internati, ad Alatri, stavano certo peggio di noi! La sera dopo fummo<br />

ospitate dalle ottime Suore Calvariane. Il vice direttore del campo e la sua<br />

signora, sempre molto gentili e buoni con noi, avrebbero voluto ad ogni costo<br />

averci per loro ospiti. Non posso tacere come in questa nuova e tanto dolorosa<br />

calamità rifulgesse la virtù cristiana dei più duramente colpiti:”Sia fatta<br />

la volontà di Dio! Egli ce l’aveva dato, Egli ce l’ha tolto! Sia benedetto il suo<br />

santo nome!”<br />

Erano espressioni che colpirono e commossero grandemente chiunque le udì.<br />

Per quante congetture si siano fatte circa la ragione del bombardamento del<br />

campo, non so se una sola abbia colto o si sia avvicinata al segno.<br />

92


I campi di concentramento, per legge di guerra, debbono essere rispettati.<br />

Aggiungiamo poi che i Tripolini erano considerati come sudditi inglesi. Il<br />

tempo risponderà, forse, a tale interrogativo.<br />

Le nostre piccole cinque croate<br />

Dal ricordo del Campo non andrà mai disgiunto quello delle cinque bambine<br />

croate affidateci, già prima che partissimo per Le Fraschette, nel nostro<br />

Istituto in Veroli il 4 marzo 1943 da Sua Eccellenza il Prefetto di Frosinone<br />

comm. Gullotta, sollecitato dal cuore paterno del Vescovo di Alatri. Eccone i<br />

nomi:<br />

Skeric Liubica di Ilia ( 5 anni)<br />

Skeric Milica di Ilia ( 9 anni)<br />

Skeric Stefania di Bose ( 7 anni)<br />

Tommasovic Danica di Duje (12 anni)<br />

Mattjvic Milica di Milos ( 7 anni)<br />

Quando ce le affidarono venivano dal campo Le Fraschette, e due di esse ci<br />

tornarono con noi e ci stettero per tre mesi. Erano cinque povere creature<br />

strappate alle proprie famiglie, e là al campo quasi abbandonate a se stesse.<br />

Le attendemmo a lungo queste povere bimbe, con cuore e braccia aperte,<br />

desiderosissime di addolcire la grande amarezza della lontananza dalla propria<br />

famiglia e di rifare quelle innocenti vite dopo tante sofferenze e privazioni.<br />

Finalmente giunsero.<br />

Quale impressione! Che amarezza! Nessuna di noi poté trattenere le lacrime,<br />

e prima di noi aveva pianto chi le aveva viste passare per le strade di Veroli.<br />

Anzi ci fu chi dette loro pane ed altro. Il loro viso, la loro magrezza erano una<br />

perorazione. Camminavano scalze, tenendo in mano gli zoccoli troppo grandi.<br />

Parevano cinque poveri uccellini smarriti e tremanti. Non dicevano né<br />

capivano una parola d’italiano. Alla nostra commossa tenerezza rispondevano<br />

quasi con meraviglia. Furono fatte rifocillare. Non credevano ai loro occhi<br />

dinanzi a tanta grazia di Dio. Fu fatto poi loro il bagno: la più piccola pianse<br />

nel doversi mettere in acqua. Cambiammo loro tutti i vestiti che avevano<br />

indosso e le mettemmo a letto. Quale felicità per loro trovarsi in un bianco<br />

lettino tutto ben riscaldato! Non appena ci fummo allontanate per farle dormire,<br />

cominciò la conversazione: pareva un cinguettio di passerotti.<br />

Per molti giorni stettero mute. Scambiavano solo qualche rara parola tra<br />

loro. Erano meste; in alcuni momenti, accorate. Ma un giorno, lasciate a<br />

bella posta sole, con alcuni giocattoli, sembrarono risvegliarsi alla vita.<br />

93


Parlarono, risero, giocarono. Ne avemmo il cuore confortato. Da quel giorno<br />

si sentirono e le sentimmo più nostre. Tre stettero con noi quattro mesi o poco<br />

più; finché non furono richiamate dalle famiglie. Le altre due le avemmo per<br />

sette mesi e per tre mesi le avemmo con noi a Le Fraschette. Tutte e cinque ci<br />

dettero tante soddisfazioni, e la loro partenza ci riuscì assai penosa. Quanto<br />

ci eravamo affezionate!<br />

Che Dio le protegga, specie le due senza mamma, e il ricordo di quello che<br />

appresero sotto il tetto di S. Giuseppe faccia sì che un giorno riconoscano<br />

quanto bella e dolce è la religione cattolica.<br />

Voci di partenza<br />

Fin dai primi allarmi di cambiamento di campo, la nostra Reverenda Madre<br />

Provinciale, pur con dispiacere dovette dichiarare che non avrebbe permesso<br />

che le suore andassero così lontane, nel periodo pericoloso che si attraversava.<br />

E, perché i poveri internati non rimanessero senza l’aiuto delle suore,<br />

pregò mons. Riberi di interessarsi per trovarne altre nella località dove sarebbe<br />

stato trasferito il campo.<br />

Gli internati Tripolini (solo per loro ci sarebbe stato il trasferimento, perché<br />

gli altri sarebbero stati rimpatriati) supplicarono di essere almeno accompagnati<br />

nel viaggio da noi, e ciò fu concesso con piacere.<br />

Intanto, dopo qualche giorno, mons. Riberi sarebbe andato a Carpi, la nuova<br />

destinazione, ed avrebbe pensato alla sostituzione.<br />

Partenza sicura<br />

Da qualche giorno si parlava nuovamente di trasferimento in Alta Italia, e,<br />

dopo il bombardamento, esso divenne una necessità e fu affrettato. La sera<br />

del 25 di febbraio 1944 doveva aver luogo la partenza per Roma del primo<br />

scaglione di internati. Fu domandato se sarebbe stato necessario che una di<br />

noi suore li accompagnasse. Dapprima ci dissero che sarebbe stato più<br />

opportuno attendere, poi cambiarono idea e la scrivente fu scelta come<br />

accompagnatrice. A tutto vapore furono fatti i preparativi. I congedi avvennero<br />

di notte.<br />

Verso le 21 il torpedone si mosse dalla piazza centrale di Alatri, fra i saluti<br />

commossi tanto di chi partiva, quanto di chi restava, fra gli auguri e le raccomandazioni<br />

di parenti, di amici, di autorità.<br />

Il viaggio si iniziò con la preghiera collettiva, ed anche durante il percorso si<br />

94


pregò. A causa delle temute incursioni aeree, si dovette viaggiare pressoché<br />

al buio e sempre con l’orecchio teso. Dalla parte di occidente giungeva il<br />

sordo rumore del cannone e sul cielo si vedevano bagliori di battaglia. Era il<br />

fronte di Anzio.<br />

Lungo il percorso si intravedevano, spesso, nel buio, pattuglie e sentinelle<br />

tedesche. Tutto l’insieme era qualcosa di tetro e di fantastico: pareva di assistere<br />

al succedersi di scene sullo schermo cinematografico.<br />

Alla stazione Prenestina<br />

Giungemmo a Roma alla stazione Prenestina, verso la mezzanotte, dopo aver<br />

girovagato a destra e a sinistra per vie sconosciute, senza che qualcuno potesse<br />

indicarci la meta. Scendemmo e, nel buio, ci fu indicato il luogo di sosta.<br />

No, mai come in quella notte pensai all’orrore del buio infernale: meditazioni<br />

su meditazioni. La stazione, costruita in stile moderno, era tutta a vetri.<br />

Ogni tanto si accendeva una candela, avendo la massima cura di nasconderne<br />

il più possibile il fioco bagliore, ma il rumore di un motore c’induceva a<br />

spegnerla subito.<br />

Il freddo, il disagio (non vi erano neppure sufficienti posti per sedere), il passaggio<br />

degli aerei, il fascio luminoso di un riflettore, tutto ci teneva in panico.<br />

La preghiera però fu il grande conforto. Ogni tanto si udiva il pianto di<br />

un bambino, il colpo di tosse di qualche vecchio o un lamento di chi soffriva<br />

per il disagio. Tutti però si rimettevano alla volontà di Dio.<br />

“Madre, domani, per carità, veda di farci togliere da qui”.<br />

“State tranquillissime, che domattina subito mi metterò in moto”. Infatti,<br />

appena giorno, accompagnata da un’internata, mi recai in città e, dopo<br />

ascoltata la messa, implorando l’aiuto del Cielo, andammo alla Legazione<br />

Svizzera per gli interessi Britannici e, per la Bontà del Signore, trovammo<br />

tutti pieni di comprensione e disposti a darci il più largo aiuto.<br />

Confortate e riconoscentissime a Dio, portammo la notizia che fu accolta con<br />

infinita gioia. La Provvidenza Divina ci offrì, nella stessa mattinata, un altro<br />

tratto della sua Bontà.<br />

Ero preoccupata perché non c’era la possibilità di distribuire qualche cosa di<br />

caldo da mangiare, quando un signore si presentò e mi disse che era il padrone<br />

della trattoria annessa alla stazione (nessuno s’era accorto che lì vicino<br />

c’era la trattoria, perché era situata in un punto fuori di vista). Il bravo uomo<br />

ci disse che avrebbe potuto fornire un piatto di minestra o d’altro e che si<br />

rimetteva poi a me per quelli che non avessero potuto pagare; avrebbe fatto<br />

95


volentieri un atto di carità. In tal modo potettero rifocillarsi tutti quelli che ne<br />

avevano bisogno.<br />

A Valle Giulia<br />

Nel pomeriggio, due torpedoni ci accompagnarono all’Accademia Britannica<br />

a Valle Giulia, dove i profughi ebbero latte ed altri aiuti. Furono ospitati in<br />

una grande sala dell’Accademia stessa, in attesa che giungessero gli altri da<br />

Alatri. Giunsero la notte del 27, ma non tutti per mancanza di mezzi di trasporto,<br />

e cosi alcune famiglie rimasero divise. Erano accompagnati dal cappellano<br />

e dalla suora infermiera.<br />

Dolori sopra dolori! E purtroppo in seguito il disagio sarebbe cresciuto, per<br />

la mancanza di indumenti, di masserizie e di utensili, rimasti ad Alatri. La partenza<br />

per Carpi fu fissata per il 28 a sera alle ore 18,30 dalla Stazione Termini.<br />

La Stazione Termini negli anni ’40<br />

Il viaggio si sarebbe dovuto effettuare sempre nelle ore notturne, per timore<br />

dei bombardamenti aerei; ma una inqualificabile sequela di incidenti protrasse<br />

la partenza fin verso le ore 6 del mattino seguente. Ci furono ritardi nell’arrivo<br />

di persone; il camion con i viveri non arrivava e poi sapemmo che<br />

era caduto in un fosso. Il convoglio ferroviario era composto di quarantadue<br />

96


vagoni, tutti carri bestiame, meno tre. Noi suore eravamo in coda al convoglio,<br />

nel vagone del pronto soccorso, insieme al capitano su cui pesava la<br />

maggiore responsabilità, al capitano medico, ad un maresciallo ed ai loro<br />

attendenti. Quando il treno si mosse non ci sembrò vero. Pregammo e con noi<br />

pregarono tutti.<br />

Incidenti<br />

Un primo incidente si ebbe dopo poco più di un’ora di viaggio. Una scossa<br />

violentissima del treno ci fece pensare a qualche causa bellica. Ci furono sei<br />

feriti leggeri. L’incidente era stato causato dall’imperizia del macchinista.<br />

Man mano che il treno avanzava, ci si presentava davanti allo sguardo smarrito<br />

il triste spettacolo della terribile azione dei bombardamenti. Circa dieci<br />

minuti dopo che eravamo transitati per Orte, questa stazione, che ci era già<br />

apparsa come un terrorizzante ammasso di rovine, fu di nuovo bombardata.<br />

Più oltre, durante una sosta del treno, il rumore di un apparecchio ci mette<br />

sull’attenti: eccolo infatti. Il panico invade la massa, moltissimi si precipitano<br />

a terra e si mettono sotto i vagoni; ma, con l’aiuto del Cielo, l’apparecchio<br />

prosegue per la sua via. Altra grazia della Divina Provvidenza l’avemmo<br />

a Chiusi. Il rumore di apparecchi volteggianti sul nostro treno ci tenne in<br />

agitazione. “Madre, venga con noi”, supplicavano dal vagone comunicante,<br />

ove erano radunati i bambini e le donne bisognose di riguardi. La vicinanza<br />

della suora che pregava ad alta voce, dava loro il più gran conforto. Ed anche<br />

quella volta il Signore allontanò il pericolo.<br />

Da Firenze a Carpi<br />

Dopo numerose soste in mezzo alla campagna, nelle stazioni o poco fuori di<br />

esse, (l’ufficiale di comando procurava che le fermate fossero fatte il più possibile<br />

fuori stazione), nel cuor della notte giungemmo a Firenze ed ivi rimanemmo<br />

fino alla sera seguente. Là la Croce Rossa ci fu larga di conforto. Gli internati<br />

approfittarono di quelle ore di sosta per fare acquisti e visitare la città.<br />

Dopo la quarta notte di viaggio, il 2 marzo, giungemmo a Carpi. Provammo<br />

un senso di sollievo, ignorando le disillusioni e le difficoltà che ci attendevano.<br />

Mentre si smontava l’enorme bagaglio e si attendevano i torpedoni che ci<br />

avrebbero trasportati a Fossoli, la località in cui era situato il Campo, a 6<br />

Km. da Carpi, noi suore, insieme al cappellano, entrammo in città per far<br />

visita al Vescovo. Fummo accolte benignamente e ristorate.<br />

Per i primi giorni ci avrebbe fatte ospitare dalle Suore Orsoline addette al<br />

97


Seminario. Ci accolse la più squisita ospitalità. Ma quella ospitalità che<br />

avrebbe dovuto essere di pochi giorni si protrasse dal 2 al 24 marzo. In tutte<br />

le suore, ma soprattutto nella Madre Superiora Suor Maria Silvia, trovammo<br />

la nostra madre affettuosissima, premurosa, preveniente. Il ricordo di quel<br />

soggiorno sarà indelebile nel nostro cuore, come imperituro sarà il ricordo<br />

della edificazione ricevuta e del bene riportato.<br />

La mattina ci recammo al campo e la delusione fu tanto più grave in quanto<br />

ci avevano assicurato che era bellissimo. Il campo era stato assai devastato<br />

dopo il famoso 8 di settembre. Quelle casette grigie ad un piano, in mezzo ad<br />

un terreno anch’esso grigio, spoglio di alberi, quel doppio reticolato che<br />

girava tutto intorno al campo e, nell’interno, circondava ogni reparto, mi<br />

strinsero il cuore.<br />

Il campo di Fossoli<br />

Più grande fu lo stringimento quando il Direttore del Campo ci disse che né<br />

il Cappellano, né noi Suore potevamo restare là: non c’era abitazione e non<br />

potevano mantenerci. Ci accorgemmo di essere giudicati come sospetti.<br />

Certamente pareva loro impossibile che disinteressatamente, solo per spirito<br />

di carità, ci si potesse relegare in quel luogo. Che amarezza! Nel pomeriggio<br />

tornammo ancora là, e fu uno schianto, la sera, nel doverci allontanare da<br />

quelle carissime povere creature già così duramente provate.<br />

Cercammo di nascondere loro la realtà (un po’ l’avevano subodorata); ma ai<br />

loro affettuosi saluti al di là del reticolato. alla vista di quegli occhi che pare-<br />

98


vano volersi accertare della dolorosa verità, non potemmo trattenere le lagrime.<br />

Promettemmo di tornare la mattina dopo e in cuor nostro facemmo promessa<br />

di non lasciar nulla di intentato perché i nostri amatissimi internati<br />

avessero l’assistenza delle suore. Quale contrasto fra l’accoglienza al campo<br />

Le Fraschette e l’amara delusione di quel giorno! Laggiù ad Alatri c’era stata<br />

data la massima fiducia, la più devota deferenza: eravamo state perfino interpellate<br />

e richieste di aiuto in varie circostanze.<br />

Dolorosa conferma<br />

Il giorno dopo ritornammo al campo. I nostri cari Tripolini, appena ci scorsero,<br />

corsero al reticolato, e che festa!Pareva che rivedessero le persone più<br />

care rimaste lontane chissà da quanto tempo.<br />

“Rimarrete con noi, vero? Non ci abbandonerete”. Il cuore ci si faceva piccolo<br />

piccolo. “ Ma si, ma si dicevamo nulla risparmieremo per voi”. Che vita<br />

di sacrificio attendeva quei poverini colà!<br />

Cercammo del Direttore del campo per vedere di risolvere la questione che ci<br />

stava sommamente a cuore. Alle sue difficoltà rispondemmo che ci saremmo<br />

contentate di una sola stanzetta e che al mantenimento e alle suppellettili<br />

avremmo pensato noi.<br />

La risposta definitiva fu che ci sarebbe stato concesso di prestare la nostra<br />

opera per un’ora o un’ora e mezza al giorno, ma che dovevamo abitare fuori<br />

del campo. Era già qualche cosa. Liete ci mettemmo in moto e finalmente<br />

potemmo trovare una cameretta nella campagna circostante, alla distanza di<br />

due chilometri circa.<br />

Per ottenere una maggiore libertà di azione dentro il campo, ci rivolgemmo<br />

al Vescovo di Carpi e a quello di Modena e ci spingemmo fino a Milano per<br />

parlare con la Legazione Svizzera.<br />

Vento e neve<br />

Il 5 marzo, essendo Domenica, il Cappellano, la cui sorte non era diversa<br />

dalla nostra, ottenne il permesso di andare a celebrare la Messa al campo,<br />

tra i suoi. Egli abitava presso il parroco di Fossoli, a circa due chilometri dal<br />

campo. Avemmo noi l’incarico di portare l’altare portatile e quello che occorreva<br />

per la S. Messa.<br />

Il vento quella mattina minacciava, e l’aria era rigida; ad un tratto cominciò<br />

a nevicare. Salimmo sul camioncino scoperto che doveva trasportarci, ma il<br />

99


vento non ci permetteva di tenere l’ombrello aperto; era necessario ripararci<br />

dal freddo. La buona superiora ci dette due coperte che mettemmo in testa,<br />

e in quell’arnese attraversammo le vie di Carpi. Fu proprio il caso di dire:<br />

Questa é perfetta letizia!<br />

Fu un vero problema per il Cappellano trovare un luogo dove celebrare.<br />

In un posto mancavano le finestre, in un altro non era possibile per altre<br />

ragioni. Finalmente si decise per un dormitorio; parecchi si comunicarono e<br />

quella Messa fu assai commovente. Il Cappellano chiese al Direttore il permesso<br />

di andare ogni giorno a celebrare la Messa tra gli internati, ma non gli<br />

fu concesso e così i poveri Tripolini rimasero senza quel conforto. Se ne rammaricarono<br />

soprattutto gli impareggiabili giovani di Azione Cattolica.<br />

Mons. Riberi non si vedeva e la nostra permanenza a Carpi pareva che dovesse<br />

necessariamente protrarsi. Questa soluzione era piena di difficoltà per noi<br />

che avevamo lasciato tutto o quasi tutto ad Alatri.<br />

Dolorosa decisione<br />

Intanto il Campo passò sotto la direzione tedesca e fu dichiarato che le suore<br />

sarebbero state accettate nel campo, al patto però di essere considerate come<br />

vere internate. Ci saremmo adattate anche a questo, ma tante sarebbero state<br />

le difficoltà e i pericoli: non ultimo quello di essere trasportate in Germania.<br />

Vi erano inoltre difficoltà di ordine morale. Tutto considerato, fummo consigliate<br />

a deciderci di tornare a Roma. Questa decisione, preceduta da intense<br />

preghiere, ci sembrò conforme alla volontà di Dio. Soprattutto la voce del<br />

Cappellano ci sembrò quella di Dio. La partenza fu definitivamente decisa.<br />

Il Cappellano, per conto suo, rimaneva nella dolce speranza di poter restare.<br />

I giorni che sostammo a Carpi furono tutti spesi nel fare acquisti per i<br />

Tripolini: da mattina a sera fu un continuo girare. Per lo stesso scopo, ci<br />

recammo anche ripetutamente a Modena, liete di poter sollevare un poco quei<br />

nostri cari. Solo una volta però ci fu concesso di entrare nel campo per la<br />

distribuzione. Un’altra volta ci fu concesso di farlo solo attraverso il reticolato;<br />

e da allora non li vedemmo più.<br />

Tornammo tuttavia per risalutarli definitivamente, nella dolcissima speranza<br />

di trovare un pò più di bontà in coloro che erano addetti al comando. Ma ci<br />

eravamo illuse. Ci fu fatto rispondere da uno dei funzionari, e non so se era<br />

vero, che quel giorno, per alcune circostanze, non era possibile entrare. Che<br />

amarezza! Il giorno dopo saremmo dovute ripartire. Intanto lontano, dalla<br />

parte di Verona si udiva il rumore di un lungo bombardamento.<br />

100


Col cuore molto addolorato riprendemmo la via del ritorno. Il pensiero però<br />

era sempre rivolto ai nostri Tripolini, e immaginavamo il loro dolore, non<br />

solo per non averci più tra loro, ma anche per non averci potuto salutare. Ci<br />

eravamo congedate con una lettera affidata al Padre Cappellano: molti occhi<br />

avranno versato lagrime.<br />

Prima di partire, ci eravamo recate dal Vescovo di Carpi a pregarlo che si<br />

occupasse, se le cose in seguito avessero presa altra piega, di trovare altre<br />

suore per l’assistenza dei nostri carissimi internati.<br />

Appena arrivate a Roma, saremmo andate da mons. Riberi, affinché influisse<br />

con i suoi uffici nella buona riuscita di ciò che ci stava cosi a cuore.<br />

Tornate nella casa delle Suore Orsoline, quale gradita visita ci attendeva!<br />

Sul viso della Superiora, che venne ad aprirci, c’era qualcosa di molto gaio.<br />

Appena entrate, ci vediamo correre incontro la carissima Madre Maria<br />

Grazia e suor Pierina, le quali, non curandosi della difficoltà del viaggio,<br />

erano venute da Gragnano Trebbiense per vederci. Che visita gradita! Il giorno<br />

dopo, 22 marzo, terminammo i preparativi per la partenza e il 23, con il<br />

primo treno, partimmo per Modena.<br />

Speranze e delusioni<br />

Un vero problema ci si presentava dinanzi; come tornare a Roma?<br />

Le ferrovie per il mezzogiorno erano pressoché tutte interrotte, almeno da<br />

Firenze in giù. Già nelle nostre visite a Modena ci eravamo date da fare per<br />

trovare qualcuno dei camions che da Roma venivano lassù per caricare viveri.<br />

Ci rivolgemmo anche alla Questura di Carpi, di Modena e di Milano, ma<br />

non ottenemmo nulla. A Modena tentammo nuovamente, ma invano. Allora<br />

proseguimmo per Piacenza, e la Questura di là ci disse di provare a Milano,<br />

e, con prospettiva di miglior esito, a Brescia.<br />

Giacché ci trovavamo tanto vicine a Gragnano, accontentammo la buona<br />

Madre Maria Grazia e andammo là. Di quante attenzioni, di quante cure non<br />

fummo fatte oggetto! Madre e figlie avrebbero voluto trattenerci per qualche<br />

tempo allo scopo di farci riposare e rimettere alquanto. Ma a noi premeva<br />

fare ritorno a Roma e la dilazione poteva farci perdere qualche buona occasione<br />

per il ritorno.<br />

Ci trattenemmo due giorni, che furono veramente benefici.Non so che cosa di<br />

più avrebbero potuto farci o darci. Speravamo di vedere anche le suore di<br />

Vigolo Marchese. Noi però non avevamo tempo di andarci, e le attendemmo<br />

invano.<br />

101


Col cuore pieno di riconoscenza lasciammo le nostre carissime consorelle e<br />

proseguimmo il nostro viaggio.<br />

Piacenza, Milano, Brescia<br />

Cariche di diciotto bagagli, sempre però assistite dalla Provvidenza che ci<br />

faceva imbattere in persone caritatevoli pronte ad aiutarci, prendemmo la via<br />

di Milano. La buona Madre Maria Grazia ci aveva accompagnate fino a<br />

Piacenza. E durante il viaggio un signore si interessò tanto di noi, e, giunti a<br />

Milano, ci fece da guida per alcune ore: certamente, senza di lui, non saremmo<br />

potute andare, in breve tempo, nei posti più disparati. Sebbene trovassimo<br />

persone disposte ad aiutarci, non fu possibile trovare il mezzo per il ritorno,<br />

ed anche lì fummo consigliate a proseguire per Brescia, ove spesso giungevano<br />

da Roma torpedoni per conto del Ministero.<br />

Di notte giungemmo lassù. Scendemmo nel buio, nel buio cercammo di sistemare<br />

i bagagli, nel buio tentammo di orientarci verso la città: erano circa le<br />

ventuno. Anche allora la Divina Provvidenza venne in nostro aiuto.<br />

Una voce maschile ci domandò: “Vogliono che le accompagni?”<br />

Sebbene un po’ diffidenti, dicemmo di sì. “ Che? vanno dalle Orsoline?”<br />

Proprio lì eravamo dirette e, strada facendo, il nostro buon angelo ci fece<br />

osservare che le Orsoline erano molto distanti e disse che, se avessimo voluto,<br />

ci avrebbe accompagnate all’Ufficio per la Protezione della Giovane.<br />

Acconsentimmo. Anche là fummo caritatevolmente ospitate.<br />

Saremmo volute andare subito all’albergo Brescia, ove avremmo potuto<br />

informarci circa i mezzi in partenza per Roma; ma era troppo tardi. Sentivo<br />

peraltro che il ritardo anche di un’ora poteva essere determinante.<br />

Telefonai. La risposta fu questa: “Proprio domattina c’è partenza per<br />

Roma”. Non è da dire la nostra commossa riconoscenza a Dio. Finalmente<br />

spuntava la sospirata alba!<br />

Il mattino seguente, assai presto, ci recammo all’albergo e, dopo altre peregrinazioni<br />

e difficoltà, verso le undici, riuscimmo a partire; ma, delusione!<br />

quel torpedone ci avrebbe portate solo fino a Riccione, dove avremmo dovuto<br />

attendere altra occasione. Per quanto tempo? Incognita.<br />

Quattro giorni di sosta<br />

Strada facendo, eravamo un po’ preoccupate per l’ora in cui saremmo arrivate<br />

e ci chiedevamo da chi saremmo potute andare. Speravamo, peraltro, che<br />

102


vi fosse qualche convento che, come sempre, ci accogliesse.<br />

Giunte a Parma, salì sull’autobus una signora, la quale si sedé accanto<br />

all’infermiera: una signora mandata dalla Provvidenza.<br />

Saputo da dove venivamo e dove andavamo, prese molto interesse di noi e ci<br />

consigliò di non andare a Riccione, ma di fermarci ad Imola, dove lei stessa<br />

andava e dove si sarebbe adoperata perché trovassimo un conveniente alloggio<br />

o presso Suore o dal Parroco; in caso contrario, ci avrebbe ospitate in<br />

casa di suo padre. Ma v’è di più.<br />

Siccome conosceva l’autista, si fece promettere che, non appena avesse<br />

disbrigate le sue incombenze, in quella località, per ritornare a Roma passasse<br />

di là, e, sebbene non potesse caricare che merce, prendesse anche noi due.<br />

Il passaggio poteva avvenire anche dopo un giorno; ma non era molto probabile<br />

che ciò avvenisse. Pazienza! Non fu davvero quella signora un angelo<br />

mandatoci dal Cielo?<br />

Giungemmo ad Imola verso le 20. Il torpedone fu fermato davanti all’Istituto<br />

delle Suore Ancelle del Sacro Cuore, nel quale la signora era stata educata.<br />

Ci affrettammo a mostrare una lettera di presentazione della Curia di Carpi,<br />

ed anche lì la Carità di nostro Signore ci accolse, e molto fraternamente. Il<br />

ricordo del breve soggiorno a Imola è tra i più cari. Là trovammo persone che<br />

ci furono generose di attenzioni ed anche di offerte. Entrate in una fabbrica<br />

di ceramiche per comperare piatti ed altro, il padrone non volle essere pagato;<br />

e così altri per altri generi.<br />

Ci sarà sempre gradito il ricordo delle Suore della Misericordia che prestavano<br />

la loro opera nel Manicomio. Saputo dello scopo del nostro viaggio e che<br />

quasi tutta la nostra roba era rimasta ad Alatri, ci offersero della biancheria<br />

e, con pensiero gentilissimo, ci dettero uova, biscotti e vino per il viaggio.<br />

Altre ospitalità fraterne<br />

Il ricordo delle ottime Suore Orsoline di Carpi e delle Adoratrici del Sacro<br />

Cuore di Imola mi richiama alla mente le molte altre suore che, secondo i<br />

bisogni, furono con noi generose, buone, piene di carità. Nella sosta a<br />

Firenze, prima della quarta notte di viaggio, fummo accolte dalle Suore<br />

Bianche e nella loro casa prendemmo un po’di riposo. A Modena, durante un<br />

allarme, trovammo cortesissima ospitalità dalle Suore della B. Thouret che ci<br />

fecero rifocillare.<br />

Nel nostro primo viaggio a Milano, dopo giri su giri per trovare alloggio, lo<br />

trovammo a braccia aperte dalle Suore dei Poveri. La loro casa era stata col-<br />

103


pita dai bombardamenti; non c’era posto; ma un posticino per noi seppero<br />

trovarlo; e con quanto cuore si adoperarono perché stessimo meno scomode<br />

e ben calde! Quanta delicatezza notammo nella cena e nella colazione che ci<br />

offrirono. Pensarono anche a darci qualcosa da mangiare durante il viaggio.<br />

Fummo veramente commosse e la superiora Madre Maria dell’Assunzione<br />

non potremo mai dimenticarla.<br />

Per due volte, a Piacenza, avemmo bisogno di ricorrere alle suore. Anche lì<br />

le Orsoline e le Basiliane ci trattarono con la più amabile fraternità. Come è<br />

bella e confortante la carità di Cristo, e quanto bene fece al nostro cuore con<br />

le sue delicatezze e generosità!<br />

Da Imola a Riccione<br />

Il ritorno del torpedone si fece attendere, ma non avevamo dubbi sul suo passaggio,<br />

perché la buona signora, da Parma, ebbe pensiero di rassicurarci che<br />

immancabilmente sarebbe passato a prenderci.<br />

Infatti il quarto giorno, verso sera, prendemmo la via di Riccione.<br />

Giungemmo a notte inoltrata. Che fare? Rimanere in macchina fino alle<br />

prime ore del mattino quando avremmo proseguito per Roma, oppure andare<br />

all’albergo? Fummo consigliate di cercare un albergo.<br />

Quanta gente! Chi era in procinto di partire per l’Alta Italia, chi per Roma,<br />

chi arrivava, chi partiva. Donne, uomini, bambini: era un parlare sommesso,<br />

interrotto tratto tratto dalla voce di un bambino e dal pianto di un altro.<br />

In complesso, tutta gente stanca, preoccupata, in orecchio. per avvertire il<br />

passaggio degli aerei. Dopo poco decidemmo di tornare al nostro torpedone,<br />

perché là c’erano tutti i nostri bagagli, e ci avevano detto che ogni notte<br />

si rubava.<br />

Nella quasi completa oscurità, ritrovammo la nostra macchina e ci chiudemmo<br />

dentro, non per dormire, ma per stare alla vedetta. Dopo un po’ di tempo<br />

sentimmo bussare ai vetri. Era un agente di pubblica sicurezza, il quale ci<br />

avvertiva di non impressionarci se, nel corso della notte, avessimo avuto<br />

qualche visita.<br />

L’autista di un altro torpedone ci chiese per favore di stare attente che non gli<br />

rubassero le gomme di riserva: lui era tanto stanco ed avrebbe desiderato<br />

riposarsi un pochino. E così il lavoro di... vedetta fu duplicato. È proprio vero<br />

che la carità non è di solo pane.<br />

Fu una nottata veramente laboriosa; ogni movimento, anche il più lieve, ci<br />

metteva ognor più sull’attenti. Tratto tratto il rumore di una macchina e due<br />

104


luci ci annunziavano l’arrivo di torpedoni provenienti da Roma o diretti laggiù;<br />

erano quelli che viaggiavano per conto del Ministero. Attraverso la fioca<br />

luce si vedevano uomini, donne, bambini che scendevano per andare all’albergo.<br />

C’era chi rimaneva in macchina, attendendo l’ora di proseguire.<br />

Quanti disagi! Quante lagrime in quei cuori! E come incerto l’avvenire!<br />

Si fuggiva da un pericolo per andare incontro chissà a quanti altri.<br />

Quello che più ci disturbò fino ad una certa ora della notte, fu il passaggio,<br />

sopra il nostro capo, di apparecchi. Quella lunga teoria di torpedoni poteva<br />

essere individuata. Si diceva che poche ore prima era stata bombardata Fano.<br />

La preghiera fu il nostro conforto. Molto vicino si udiva il rumore del mare.<br />

Come Dio volle, cominciò ad albeggiare: era la Domenica delle Palme.<br />

Un anno prima chi ci avrebbe detto che in quel giorno solenne ci saremmo<br />

trovate là? In una chiesetta vicina facemmo la S. Comunione ed ascoltammo<br />

la S. Messa.<br />

Verso Roma<br />

Verso le ore otto risalimmo in macchina. Facemmo le nostre consuete preghiere<br />

e, anche per espresso desiderio dell’agente di pubblica sicurezza che<br />

accompagnava la macchina, ci mettemmo in vedetta. Il cielo era terso: cosa<br />

poco gradita a chi doveva intraprendere un così lungo viaggio in piena guerra.<br />

Pochi giorni innanzi, sulla stessa strada, un camion era stato mitragliato<br />

e vi erano stati morti e feriti. Pensai che forse la stessa sorte poteva capitare<br />

a noi, se non ci fossimo fermate ad Imola.<br />

Da Brescia a Viterbo attraversammo tante città e paesi. Il viaggio fu molto<br />

interessante per le bellezze della natura, ma fu soprattutto impressionante per<br />

gli orrori della guerra. Non solo i centri più grandi, ma paesi, villaggi, case<br />

disperse tra le gole dei monti, stazioni, ponti, strade, avevano avuto il battesimo<br />

di fuoco.<br />

Ed ora? Ora tante illustri città, tantissimi ponti, strade, boschi devastati e<br />

incendiati, tante chiese, monumenti di arte e di cultura, ospedali, asili di<br />

beneficenza, tesori artistici creati dal genio degli avi formano, con i loro<br />

ruderi, un vasto cimitero il quale sembra che dica: Qui giace l’Italia gloriosa<br />

dei secoli passati.<br />

Dappertutto si vedono macerie sotto cui sono sepolti i nostri morti, macerie<br />

su cui piangeranno, forse, intere generazioni. Ogni pietra infranta conserva<br />

la storia di una famiglia che costruì con tanta fatica e tanto amore il proprio<br />

nido e che, ritornando domani a ricercare il suo focolare, sentirà il cuore<br />

105


stretto da una terribile morsa e non potrà soffocare torrenti di lagrime.<br />

Ma che cosa sono tutte queste catastrofi materiali a confronto di quelle<br />

morali?<br />

Purtroppo, sotto tante macerie e tanto grigiore di cenere, sono rimaste soffocate,<br />

o anche magari solo nascoste, come faville, tante e tante anime.<br />

Oh, le anime! È ben desolante lo spettacolo dello scempio morale e la constatazione<br />

che un infinito numero di esse non avverte più i colpi che la mano<br />

divina infligge per il risanamento spirituale dei singoli e delle masse. Quanto<br />

da lagrimare; ma, soprattutto, quanto da rifare!<br />

Povera, bella, cara Italia nostra, così varia e così operosa, come oggi sei sfigurata!<br />

Oh, tu non fossi stata mai tanto bella, perché i nostri occhi non avessero<br />

a mirarti cosi!<br />

Passando presso Foligno, pregammo l’autista di farci entrare in città per<br />

vedere se le nostre suore fossero ancora li, e per dare loro un salutino a...<br />

vapore. Ci accontentò. Le persiane erano tutte chiuse. Bussammo: nessuno;<br />

bussammo ancora: ci fu aperto. Oh, la sorpresa della portinaia Suor<br />

Romualda! Le suore erano a tavola.<br />

Intanto un aereo volava sulla città. La mattina era stata bombardata la stazione<br />

di Spello. L’autista sollecitava, sollecitava il ritorno in macchina, per<br />

andare in aperta campagna. Il saluto fu proprio a... vapore. L’ottima Madre<br />

Maria Teresa e le altre suore chissà che cosa non avrebbero voluto fare per<br />

noi, che cosa non ci avrebbero voluto dare? In quel poco tempo ci mostrarono<br />

tutta la loro affettuosa premura. Risalimmo in macchina e... via.<br />

La distruzione di Terni e delle sue tanto note acciaierie, e la via Flaminia specialmente<br />

sul tratto Viterbo Roma, con i numerosi relitti di autotrasporti colpiti,<br />

ci strinsero il cuore e lo fecero lacrimare. Veniva da pensare a chi non<br />

c’era più, e specialmente a chi era rimasto a piangere. Il viaggio durava da<br />

quasi nove ore. Roma era vicina. Quanto dovevamo essere grate al Signore<br />

per il ritorno e per l’incolumità!<br />

Finalmente fummo nei sobborghi. Alla casa Provinciale nessuno ci aspettava.<br />

Da un mese non avevamo più notizie reciproche. Alle 17,30 del 2 aprile raggiungemmo<br />

la meta: il “ Casaletto”.<br />

Proprio col torpedone entrammo nel cortile tra la casa e l’orfanotrofio. A1<br />

rumore della macchina ed alle esclamazioni delle orfanelle che si trovavano<br />

lì fuori, accorsero alcune suore, altre si affacciarono alla finestra. Se a loro<br />

pareva impossibile di rivederci, a noi pareva addirittura un sogno di ritrovarci<br />

alla nostra oasi, dopo tante peripezie ed incertezze.<br />

Poco dopo venne l’ottima e carissima Madre Provinciale che ci aperse le<br />

106


accia con commozione. Aveva tanto trepidato per noi dal luglio del ‘43 al<br />

marzo del ‘44. Il piccolo drappello di Fraschette era stato il suo continuo<br />

assillo.<br />

Il giorno dopo ci recammo subito alla Caserma La Marmora, ove erano ricoverati<br />

i Tripolini che avevamo lasciati ad Alatri. Sono da immaginarsi la<br />

festa, le domande, specialmente di quelli rimasti divisi dai loro cari. Ci<br />

recammo anche presso la Legazione Svizzera e da mons. Riberi, per informarli<br />

della triste condizione in cui si trovavano quelli di Fossoli e per pregarli di<br />

provvedere.<br />

Ci fu promesso il più grande interessamento.<br />

Da Roma ad Alatri<br />

Secondo il desiderio della Madre Provinciale, saremmo dovute rimanere a<br />

Roma sette o otto giorni per riposarci un pò; ma ci si presentò una buona<br />

occasione per Alatri, dove dovevamo recarci, e dopo tre giorni ripartimmo.<br />

Altre peripezie ci attendevano: minaccia di mitragliamento, strade ostruite,<br />

lunghe soste per dar luogo al passaggio di autocolonne ecc.<br />

Giungemmo alle 23 circa sulla piazza di Alatri: non un’anima in giro.<br />

Anche lì la Provvidenza venne in nostro aiuto.<br />

Il commissario di Pubblica Sicurezza ed i suoi agenti, che erano stati tutti al<br />

servizio del campo Le Fraschette, ci usarono tante cortesie e da uno di loro<br />

fummo accompagnate alla casa delle suore del Monte Calvario per chiedere<br />

ospitalità.<br />

Bussa, bussa, ma nessuno risponde. Che fare? Ovunque è buio pesto. Ci dirigemmo<br />

altrove, ma tutti dormivano. Ci saremmo adattate a dormire nell’autobus,<br />

ma l’agente volle assolutamente ritentare dalle suore del Monte<br />

Calvario. Si bussò ancora. Ci fu aperto e, come sempre, fummo accolte con<br />

squisita carità. Noi però eravamo mortificate oltre ogni dire. La mattina dopo<br />

facemmo una corsa nei pressi del campo per salutare alcuni di quei contadini<br />

che erano stati tanto buoni con noi. Quale accoglienza! Una di quelle care<br />

famiglie volle prepararci il desinare, e con quanto amore!<br />

Alla mèta<br />

Tornate ad Alatri per sistemare quello che avevamo lasciato al momento della<br />

partenza per Carpi, trovammo un mezzo di trasporto per Veroli. Che fare?<br />

Forse in seguito sarebbe stato impossibile trovarne un altro. Sebbene a malin-<br />

107


cuore, mi accomiatai dalla mia consorella che sarebbe tornata a Roma,<br />

lasciai lì tutta la roba e partii per la mia sede.<br />

È più facile immaginare che descrivere la sorpresa prodotta, laccoglienza<br />

ricevuta al mio arrivo. Mi si immaginava ancora in Alta Italia, ed ecco che<br />

all’improvviso mi vedevano lì!<br />

Le prime suore che incontrai richiamarono le altre con le loro esclamazioni:<br />

qualcuna delle lontane credette che si trattasse dallarme. Dopo esserci tutte<br />

riunite, sentimmo il bisogno, anzi il dovere, di recarci in cappella per recitare<br />

un devoto e caldo Te Deum, e per ringraziare commosse il nostro grande<br />

Padre S. Giuseppe. E in vero, in tutta la nostra opera al campo, si dovette<br />

sempre riscontrare il grande, il paterno aiuto di Dio.<br />

Come non riconoscere la mano di Dio che ci assisteva nei momenti di pericolo<br />

più grave?<br />

Quando fu mitragliato il campo Le Fraschette, due proiettili, uno incendiario<br />

ed uno esplosivo, attraversarono le pareti della nostra baracca, ma rimasero<br />

inesplosi. Il giorno del bombardamento la suora infermiera prestò i soccorsi<br />

ai feriti proprio con la mitraglia che le passava sul capo.<br />

Quando i poveri internati, anche per lungo tempo, non ebbero distribuzione<br />

alcuna di viveri, e dovettero fare sacrifici immensi per procurarsi qualche<br />

cosa da mangiare, noi non soffrimmo mai la fame; anzi spesso avevamo in<br />

abbondanza. Ora giungeva una provvidenza, ora un’altra.<br />

E non fu un vero miracolo la resistenza fisica, nonostante il caldo e il freddo<br />

del campo, il lavoro diuturno e pesante, il correre continuo dalla casa alle<br />

baracche, dalle baracche all’infermeria, soprattutto per la suora infermiera,<br />

la salute della quale aveva dato tanto pensiero alla reverenda Madre<br />

Provinciale nell’affidarle quel compito?<br />

Quante notti insonni non passò, perché chiamata presso un ammalato del<br />

campo o anche della campagna? Fin due volte nella stessa notte fu chiamata.(Il<br />

medico stava di residenza ad Alatri e con il coprifuoco non era facile<br />

andarlo a chiamare).<br />

Ma Dio l’aiutò sempre, la protesse sempre, ed anche in interventi difficili,<br />

quando sarebbe stata necessaria l’opera del medico, ebbe un aiuto specialissimo<br />

dal Cielo. E che dire della continua protezione, non solo nei viaggi di<br />

andata e di ritorno, ma nelle continue peregrinazioni durante il soggiorno a<br />

Carpi? Avevamo continuo sul labbro un “Deo Gratias” o un “Agimus tibi<br />

gratias”.<br />

Ed il ricordo di tanta protezione divina servirà ad aver sempre più fiducia nel<br />

Signore che mai ci abbandonerà; e nel nostro amatissimo Padre S. Giuseppe,<br />

a cui è doveroso promettere una più fervente vita religiosa”.<br />

108


Conclusione<br />

Il diario di Madre Mercedes termina qui. Nel proporne la lettura integrale,<br />

don Giuseppe Capone nel suo libro “La Provvida Mano” aveva scritto:<br />

“Certi esempi hanno una voce insopprimibile che il tempo non affievolisce,<br />

e che nemmeno la storia del nostro dopoguerra riesce a seppellire sotto il<br />

cumulo dei suoi troppi errori”.<br />

109


PARTE QUARTA<br />

CONVEGNO DI STUDI 2002<br />

“CAMPI DI CONCENTRAMENTO FASCISTI<br />

TRA OBLIO ED INDIFFERENZA. IL CASO DEL CAMPO<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI”<br />

Alatri – Sala della Biblioteca Comunale - 24 aprile 2002<br />

L’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone, con il patrocinio del Centro<br />

per i Luoghi della Memoria - Fondazione Ferramonti di Cosenza, ha organizzato<br />

un Convegno di studi sul tema: “CAMPI DI CONCENTRAMENTO<br />

110


FASCISTI TRA OBLIO ED INDIFFERENZA. IL CASO DEL CAMPO <strong>LE</strong><br />

<strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI.”<br />

Le Fraschette, località situata a 4 km. da Alatri, ha ospitato negli anni dal<br />

1942 al 1944 un campo di concentramento in cui furono internati fino a 5000<br />

persone. Si è parlato di memoria scomoda. Un fatto è certo: tutti ad Alatri<br />

ricordano il campo profughi Le Fraschette, attivo negli anni successivi alla<br />

fine del secondo conflitto mondiale, pochi conoscono invece la realtà di<br />

campo di concentramento emersa e documentata chiaramente nel corso del<br />

convegno. Come ha sottolineato il prof. Carlo Spartaco Capogreco docente<br />

dell’Università della Calabria nel suo intervento al convegno, questa, organizzata<br />

dall’A.P.C. è la prima iniziativa realizzata in 58 anni per ricordare e<br />

documentare quella realtà.<br />

La documentazione d’archivio presentata al convegno, frutto di una paziente<br />

ed esauriente ricerca condotta negli Archivi di Stato di Frosinone e Roma e<br />

nell’Archivio centrale dello Stato da Lino Rossi, compianto presidente provinciale<br />

dell’A.P.C., ha delineato la storia del campo.<br />

L’A.P.C. ha chiesto il recupero di una baracca del campo Le Fraschette ove<br />

poter realizzare un “Museo della Memoria”.<br />

Hanno partecipato al convegno anche il sindaco di Alatri, avv. Patrizio<br />

Cittadini, gli assessori del Comune di Alatri, Ilaria DOnorio – cultura, M.R.<br />

Muzzopappa – pubblica istruzione, Antonio D’Alatri – urbanistica, Paride<br />

Bricca – ambiente, il dr. Bruno Olini, dirigente regionale del Lazio dell’<br />

A.P.C., il dr. Mario Costantini, coordinatore delle manifestazioni, l’arch.<br />

Floriano Epner, ex internato in campi italiani, rappresentante della<br />

Fondazione Ferramonti, Carlo Costantini, dirigente provinciale dell’A.P.C..<br />

La dr. Carla Roncati, dirigente nazionale dell’A.P.C. ha ricordato Lino Rossi,<br />

dirigente provinciale e nazionale dell’<strong>Associazione</strong>, ad essa si è unito, con un<br />

messaggio, il sen. Giacinto Minnocci, esponente della Resistenza ciociara.<br />

Hanno inviato comunicazioni Luigi Centra, autore di una pubblicazione sul<br />

Campo “Le Fraschette”, Danilo Sacchi che ha scritto “Fossoli: transito per<br />

Auschwitz” ed il dr. Gioacchino Giammaria, presidente dell’Istituto di Storia<br />

e Arte del Lazio Meridionale.<br />

Telegrammi di augurio sono pervenuti dal sen. Gerardo Agostini, presidente<br />

nazionale della F.I.V.L., dall’avv. Franco Franchini e dal p.i. Felice Ziliani,<br />

rispettivamente presidente e segretario nazionali dell’A.P.C. .<br />

111


ATTI DEL CONVEGNO<br />

“CAMPI DI CONCENTRAMENTO FASCISTI<br />

TRA OBLIO ED INDIFFERENZA. IL CASO DEL CAMPO<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI.”<br />

GLI INTERVENTI<br />

Patrizio Cittadini, sindaco di Alatri<br />

UN CONVEGNO COME QUELLO CHE OGGI VIENE PROPOSTO, CI<br />

AIUTA A CONOSCERE LA NOSTRA STORIA E CI CONSENTE DI RIN-<br />

NOVARE LA MEMORIA SULLA REALTÀ DEI CAMPI DI CONCEN-<br />

TRAMENTO E SU QUELLO CHE LA TRAGICA REALTÀ DEI CAMPI<br />

HA RAPPRESENTATO.<br />

Questo convegno mi fa tornare alla mente la cara persona di Lino Rossi, al<br />

quale mi ha legato una profonda amicizia personale e familiare. Se oggi celebriamo<br />

questo convegno di studi, in larga parte lo dobbiamo alla sua attività<br />

112<br />

da sx Carla Roncati, Patrizio Cittadini, Carlo Spartaco Capogreco,<br />

Bruno Olini, Carlo Costantini, Mario Costantini.


di dirigente dell’A.P.C..<br />

Il tema del campo di Le Fraschette lo aveva ben presente. A questo aveva<br />

dedicato ricerche e studi. Voleva che non si perdesse la memoria di ciò che il<br />

campo è stato.<br />

L’argomento anche dal punto di vista amministrativo è oggi di estrema attualità.<br />

Si parla di un ingente investimento della Regione Lazio per circa 20-30<br />

miliardi di vecchie lire per la realizzazione di una struttura all’interno del<br />

campo. L’Amministrazione comunale su questo argomento ha una posizione<br />

chiara: è necessario investire prima sulle infrastrutture per la riqualificazione<br />

dell’intera area.<br />

Tornando al convegno, esprimo la mia soddisfazione nel vedere tanti giovani<br />

oggi nella nostra Biblioteca interessati ad un tema di così rilevante spessore.<br />

Domani è la Festa della Liberazione, festa importante anche per il momento<br />

storico in cui cade. Proprio in questi giorni infatti, abbiamo commentato la<br />

sorprendente affermazione della Destra di Le Pen in Francia. Questo ritorno<br />

di una Destra che cerca di riproporre la propria avversione alle regole della<br />

democrazia e della civile convivenza deve essere ricollegata all’esperienza<br />

storica di una Destra antidemocratica e guerrafondaia che tanti lutti e distruzioni<br />

ha procurato alla nostra Italia e alla nostra terra. È un ritorno al passato<br />

dal quale dobbiamo liberarci. Un convegno come quello che oggi viene proposto,<br />

ci aiuta a conoscere la nostra storia e ci consente di rinnovare la memoria<br />

sulla realtà dei campi di concentramento e su quello che la tragica realtà<br />

dei campi ha rappresentato.<br />

Ringrazio l’A.P.C. che ha organizzato il convegno, i relatori e tutti i presenti.<br />

Auguro a tutti una giornata di utile e proficuo lavoro.<br />

Carla Roncati, dirigente nazionale dell’A.P.C.<br />

NEL DARE INIZIO AL CONVEGNO DI STUDI, È DOVEROSO RICOR-<br />

DARE CHI NE FU L’IDEATORE E IL PROMOTORE: L’INDIMENTICA-<br />

BI<strong>LE</strong> AMICO LINO ROSSI CHE CON TANTO IMPEGNO HA LAVORA-<br />

TO PER LA SUA REALIZZAZIONE.<br />

Nel dare inizio al convegno di studi, è doveroso ricordare chi ne fu l’ideatore<br />

e il promotore: l’indimenticabile amico Lino Rossi che con tanto impegno ha<br />

lavorato per la sua realizzazione.<br />

Un particolare pensiero va alla moglie e alle figliole qui presenti in sala.<br />

113


Quando nell’ultimo periodo della guerra a ridosso del fronte di Cassino si<br />

cercò di organizzare la resistenza in questi luoghi, Lino Rossi insieme ad altri<br />

giovani di Alatri, compì non solo atti di sabotaggio per contrastare l’avanzata<br />

delle colonne tedesche, ma si fece anche promotore, insieme ad altri, della<br />

redazione di un foglio clandestino, “Libertà”, per la propaganda antifascista<br />

ed antinazista.<br />

Venne arrestato perché in casa sua fu trovato il materiale per la stampa del<br />

giornale. Rimase in balìa del comando tedesco per oltre un mese, tanto che si<br />

temette per la sua vita. Fu liberato con l’arrivo degli alleati. Troviamo una<br />

minuziosa descrizione di quel periodo di detenzione, scritta dallo stesso Lino<br />

in un articolo sui giovani cattolici e la Resistenza. Vale la pena rileggerlo perché<br />

lo scritto riporta tanti episodi di quel periodo.<br />

Nel 1947 Lino è stato tra i fondatori dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>,<br />

aderente alla Federazione Italiana Volontari per la Libertà. L’A.P.C. allora era<br />

presieduta da Enrico Mattei e, dopo la sua tragica scomparsa, fu presieduta<br />

fino al 1997 dal sen. Mario Ferrari Aggradi .<br />

Fino alla sua morte Lino Rossi ha ricoperto l’incarico di vice-segretario nazionale<br />

dell’A.P.C., di segretario per il Lazio e per la Provincia di Frosinone.<br />

L’A.P.C. lo ricorda per le sue alte qualità morali, per l’attaccamento sincero<br />

all’associazione, per l’infaticabile attività e per la sua profonda onestà. Ha<br />

sempre mantenuto ottimi rapporti con gli amici iscritti e in particolare con<br />

quelli dell’Italia Centrale e Meridionale. Ha trattato sempre i problemi anche<br />

difficili con la discrezione e umana signorilità che lo hanno distinto.<br />

Dal dopoguerra si è adoperato con intelligenza e tenacia per portare avanti e<br />

realizzare importanti iniziative al fine di non dimenticare la storia di un movimento<br />

che ha prodotto, con il sacrificio di molti, la Liberazione dell’Italia e la<br />

definitiva affermazione dei valori sui quali è basata la Costituzione<br />

Repubblicana e la vita democratica del nostro Paese.<br />

Lino Rossi è stato attento cultore della memoria storica della Resistenza.<br />

Per la sua competenza fu nominato dal Sen. Paolo Emilio Taviani, membro<br />

del Consiglio di Amministrazione del Museo Storico di Via Tasso a Roma,<br />

incarico che ha mantenuto fino al giorno della sua morte.<br />

L’impronta della sua opera è emersa pure in altri settori, dove ha mostrato la<br />

sua competenza e la sua professionalità, sempre ancorata ai princìpi del cattolicesimo<br />

sociale e quindi alla concezione del solidarismo.<br />

Lino Rossi ebbe personalmente e come <strong>Associazione</strong>, grande attenzione ai<br />

problemi dei giovani e del loro avvenire: già nel 1958 l’<strong>Associazione</strong><br />

<strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone istituì un centro di addestramento professio-<br />

114


nale che nel 1963 divenne Centro Professionale “Don Morosini” e successivamente<br />

I.A.L. Roma e Lazio.<br />

La sua scomparsa è stata certamente per tutti noi una grande perdita, ma,<br />

come lui avrebbe desiderato, dobbiamo cercare di portare a compimento i<br />

progetti che con tanto entusiasmo e dedizione stava realizzando.<br />

Carlo Spartaco Capogreco, docente di Storia contemporanea<br />

dell’Università degli Studi della Calabria<br />

DIVERSE MEMORIE DEL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> SI SONO<br />

SOVRAPPOSTE NEL TEMPO, PERCHÉ IL CAMPO È STATO UTILIZ-<br />

ZATO IN VARI MODI NEL CORSO DEI DECENNI. LA MEMORIA PIÙ<br />

FRESCA È QUELLA CHE RICORDA IL CAMPO COME CENTRO DI<br />

RACCOLTA DEI PROFUGHI; LA MEMORIA DI PIÙ LUNGA DURATA<br />

DOVREBBE RICORDARE LA PRESENZA DEL CAMPO DI CONCEN-<br />

TRAMENTO.<br />

Ringrazio per l’invito rivoltomi dall’A.P.C. a partecipare a questo convegno e<br />

porgo a tutti voi il saluto della Fondazione Ferramonti e del Centro per i luoghi<br />

della Memoria. Quest’ultimo sta intessendo un’opera di raccordo tra tutti<br />

i centri dove sono ubicati i campi di concentramento fascisti e pubblica quaderni<br />

monografici dedicati ai campi. Ci auguriamo che uno di questi quaderni,<br />

grazie anche alla vostra collaborazione, possa essere dedicato interamente<br />

al Campo di Le Fraschette.<br />

Il Centro per i luoghi della memoria si fa portavoce di un’istanza, che è quella<br />

di realizzare in questa occasione una lapide in ricordo degli internati del<br />

campo Le Fraschette. Purtroppo ancor oggi, al campo di Le Fraschette non<br />

c’è alcun segno che chiarisca al visitatore cosa ha rappresentato quali, tragedie<br />

vi sono state vissute, con quali finalità fu costruito. È un silenzio che dura<br />

da 57 anni se è vero che oggi, per la prima volta ad Alatri si parla della storia<br />

del campo di concentramento Le Fraschette.<br />

Diverse memorie del campo si sono sovrapposte nel tempo, perché il campo è<br />

stato utilizzato in vari modi nel corso dei decenni. La memoria più fresca è quella<br />

che ricorda il campo come centro di raccolta dei profughi; la memoria di più<br />

lunga durata dovrebbe ricordare la presenza del campo di concentramento.<br />

Proviamo oggi a ravvivare la memoria di più lunga durata, come era nell’intento<br />

di Lino Rossi a cui va il mio grato ricordo per quella collaborazione sviluppatasi<br />

negli ultimi anni in preparazione a questo convegno. Con Lino Rossi<br />

115


ci siamo mossi per ottenere per il campo Le Fraschette quello stesso riconoscimento<br />

ottenuto due anni fa con decreto del Ministro per i Beni e le Attività<br />

culturali per il campo Ferramonti di Tarsia, in Calabria. La nostra collaborazione<br />

puntava proprio ad ottenere questo riconoscimento di importante testimonianza<br />

storica derivante dall’insediamento di Le Fraschette.<br />

Entriamo nel vivo della relazione: che cosa è stata la deportazione fascista,<br />

l’internamento fascista negli anni della seconda guerra mondiale?<br />

L’internamento fascista è un fenomeno diverso da quello nazista. Pensare ad<br />

Auschwitz è fuorviante. La Shoah, l’Olocausto, lo sterminio degli Ebrei sono<br />

una tragedia incomparabile. In questo momento noi vogliamo parlare dei<br />

campi fascisti, un fenomeno di cui raramente si parla.<br />

La ricerca storica in tutti questi anni si è occupata in maniera quasi esclusiva<br />

della Resistenza, dell’occupazione tedesca, di Cefalonia, dimenticando che<br />

anche noi siamo stati il popolo che ha causato diverse Marzabotto ad altri<br />

popoli. Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Federale di Germania,<br />

in visita in Italia, si è inginocchiato ed ha chiesto perdono per l’eccidio di<br />

Marzabotto. Questo è un atto che fa crescere l’Europa nata dai lager e rinsaldata<br />

da questi atti di estrema umanità, da questo riconoscere innanzitutto i<br />

propri errori. Non possiamo continuare ad esaltare le colpe degli altri omettendo<br />

l’esame dei nostri errori che si chiamano confino ed internamento.<br />

Nel nostro caso queste due misure sono state realizzate da un governo pienamente<br />

legittimato, dal fascismo monarchico, libero e sovrano, e non da un<br />

governo delegittimato come poteva essere quello di Salò. Il fascismo ha partorito<br />

il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri.<br />

Vediamo che cosa è stato questo campo di concentramento: Le Fraschette è<br />

particolarmente significativo perché racchiude in sé diverse tipologie di internamento<br />

e risponde alle diverse fasi dello sviluppo dei campi di concentramento<br />

fascisti.<br />

Fino a pochi anni fa, c’era un cartello al campo che indicava Le Fraschette, in<br />

modo molto sommario, come “ex campo profughi internati dalmati”. Un<br />

modo abile di nascondere una verità molto più complessa.<br />

L’Italia fascista è entrata in guerra aggredendo la Francia e la Jugoslavia, proclamando<br />

le leggi razziali che sarebbe preferibile chiamare leggi razziste perché<br />

tali in realtà erano. Nel 1926 il fascismo istituì il confino, misura realizzata<br />

per limitare la libertà di coloro che commettevano reati politici.<br />

L’internamento risale invece a giugno del 1940 ed è misura di guerra. Il provvedimento<br />

colpisce civili di Paesi in guerra con l’Italia ed è misura di controllo,<br />

pienamente legittima, attuata anche da altri Paesi e prevista dalla<br />

116


Convenzione di Ginevra. Il fascismo ne estese però l’applicazione a persone<br />

sospette per le quali le norme di Pubblica Sicurezza prevedevano invece il<br />

confino. L’internamento fascista e la deportazione non furono provvedimenti<br />

riservati a cittadini stranieri ma applicato del tutto impropriamente anche a<br />

cittadini italiani sospettati di antifascismo. Quali vantaggi derivavano al fascismo<br />

nell’applicare l’internamento piuttosto che il confino? Per comminare il<br />

confino erano necessari alcuni passaggi burocratici, il destinatario del provvedimento<br />

poteva appellarsi, la misura era temporanea e durava per cinque anni,<br />

anche se si poteva procedere a rinnovi del provvedimento di anno in anno. Per<br />

fare un esempio, ci sono stati confinati come Mario Magri, martire delle Fosse<br />

Ardeatine, che hanno subìto il confino per circa 16 anni continuativi.<br />

L’internamento invece non aveva bisogno di commissioni né di rinnovi. Era<br />

un provvedimento pratico, rapido e definitivo. La differenza tra i due istituti<br />

non è di poco conto!<br />

C’è stato l’internamento fascista a partire dalla fine del 1941 e sviluppatosi nel<br />

’42 che concedeva un sussidio per gli internati. Una seconda forma di internamento,<br />

gestito direttamente dai militari e completamente illegale, non rispettava<br />

le normative del Ministero dell’Interno, non concedeva alcun sussidio ed era<br />

realizzato nei territori occupati. Per territori occupati intendo per un buon 80<br />

% il territorio dell’ex Jugoslavia. Gli slavi infatti erano internati e deportati in<br />

Italia. La deportazione di massa non la realizzò quindi solo la Germania, ma<br />

fu attuata anche dall’Italia. Gli slavi venivano deportati in Italia non come cittadini<br />

di Paesi stranieri in guerra con l’Italia, perché con l’occupazione l’Italia<br />

annetteva al proprio territorio nazionale i territorio occupati. Gli slavi venivano<br />

deportati in qualità di cittadini italiani dei territori annessi. Essendo gli slavi<br />

sudditi italiani godevano di minori diritti e protezioni rispetto ai cittadini stranieri,<br />

per lo più anglo-maltesi o anglo-libici che a Le Fraschette ricevettero<br />

l’assistenza della Croce Rossa Internazionale. Tra le due categorie di internati<br />

si verificava quindi una notevole differenza di trattamento e gli slavi soffrirono<br />

veramente la fame e le privazioni di ogni genere.<br />

Il campo Le Fraschette venne progettato nell’aprile del 1941 per ospitare<br />

7.000 prigionieri di guerra e doveva essere gestito dal Ministero della Guerra.<br />

Il dramma degli sfollati che fuggivano dalle zone di guerra provocò un primo<br />

ripensamento sull’utilizzo del campo. L’Ispettorato Generale dei Servizi di<br />

guerra (che successivamente diventò Direzione Generale dei Servizi di guerra),<br />

organo del Ministero dell’Interno che si occupava del problema, avanzò<br />

richiesta perché Le Fraschette fosse utilizzato come ricovero degli sfollati.<br />

Prevalse alla fine un terzo utilizzo: campo di internamento per le migliaia di<br />

117


slavi ai quali non si sapeva quale ricovero offrire. La gestione del campo non<br />

fu trasferita però alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza che pure<br />

aveva il compito di gestire l’internamento. Nell’estate del 1942 la decisione<br />

fu presa e nell’ottobre dello stesso anno iniziarono ad arrivare i primi internati<br />

civili al campo. La soluzione “all’italiana” della gestione impropria del<br />

campo da parte dell’Ispettorato Generale dei servizi di guerra, provocò la<br />

mancata corresponsione agli internati del sussidio giornaliero, la cosiddetta<br />

“mazzetta” di £.6,50 al giorno a persona. Quel sussidio aveva permesso agli<br />

internati di altri campi di organizzare addirittura mense cooperative, come<br />

sull’isola di Ventotene, o comunque di approvvigionarsi direttamente di generi<br />

di prima necessità. Al campo Le Fraschette fu invece la fame più nera. Si<br />

mangiava quel po’ di brodaglia preparata dai militari. All’interno del campo<br />

c’era, come detto, un migliaio di anglo-maltesi che riceveva dalla Legazione<br />

svizzera della Croce Rossa in rappresentanza del Governo britannico, visite e<br />

pacchi alimentari. Per tutti gli internati operò fattivamente il vescovo di Alatri,<br />

mons. Edoardo Facchini.<br />

Un terzo gruppo di internati era costituito dai cosiddetti “allogeni”, italiani<br />

della Venezia Giulia, della Slovenia e della Croazia. Erano considerati cittadini<br />

italiani “diversi”, inseriti in un processo di assimilazione. Furono vittime<br />

di tutte le misure coercitive messe in atto dal fascismo.<br />

Nell’ultima fase di vita del campo, a partire cioè dalla tarda primavera del<br />

1943, a Le Fraschette furono portati anche gli internati dei campi del sud, evacuati<br />

dalle zone di guerra. A Le Fraschette arrivarono gli internati di Ponza e<br />

Ventotene. A partire dal 25 luglio gli internati italiani generici, comunisti,<br />

anarchici, cominciarono ad essere liberati. Gli slavi e gli “allogeni” rimasero<br />

fino all’8 settembre.<br />

Dal luglio del 1943, provvidenzialmente, a Le Fraschette iniziarono ad operare<br />

le Suore Giuseppine provenienti dalla Casa di Veroli, che dettero un gran<br />

contributo al miglioramento delle condizioni di vita degli internati. Il 12 maggio<br />

del 1943 giunse in visita al campo il vescovo di Trieste, preoccupato per<br />

le condizioni di vita dei suoi diocesani.<br />

Il campo non era stato concepito per una popolazione civile, ma rispondeva ai<br />

requisiti di un campo militare. Alla data del 15 luglio 1943 su 1162 dalmati<br />

presenti al campo, si registrava la presenza di circa 500 bambini, quasi tutti<br />

orfani. Immaginate quali difficoltà presentava la vita del campo! Molti di questi<br />

ragazzi furono salvati dalla Chiesa. Il Nunzio apostolico presso l’Italia,<br />

mons. Riberi, si impegnò a ricoverare presso collegi una gran parte di questi<br />

ragazzi.<br />

118


Gli internati erano civili, familiari di ribelli slavi, tenuti in ostaggio per convincere<br />

i partigiani a rinunciare alle loro attività in cambio di un ritorno a casa<br />

degli internati. Il Ministero dell’Interno, a partire da una certa data, accentrò<br />

a Le Fraschette tutti gli slavi presenti nei vari campi italiani. Molti arrivavano<br />

direttamente da un altro grande campo realizzato in territorio dalmata e precisamente<br />

dall’isola di Melada, attuale Otok Molat.<br />

Dopo l’8 settembre 1943 carabinieri e pubblica sicurezza non sorvegliarono<br />

più il campo. Durante l’estate del 1943 si era raggiunta una punta massima di<br />

presenze di circa 4500 persone. A novembre dello stesso anno le presenze si<br />

erano ridotte a 2000, perché senza la sorveglianza molti decisero di andar via.<br />

Addirittura alcuni si assentavano di giorno, girovagando per le campagne, e la<br />

notte si ripresentavano al campo per dormire. A novembre i circa 1300 internati<br />

rimasti furono trasferiti in pullman alla stazione di Ferentino e poi in<br />

treno al campo di Fossoli, presso Carpi, d’intesa tra le autorità italiane e germaniche.<br />

In quel lager, gestito dalle autorità tedesche, erano transitati a<br />

migliaia gli ebrei italiani con destinazione finale verso i campi di sterminio.<br />

Qui a Fossoli fu internato anche Primo Levi che ne rese testimonianza nel suo<br />

libro “Se questo è un uomo”. Escludo che gli slavi provenienti da Le<br />

Fraschette abbiano subìto la stessa sorte, perché per lo più vennero liberati<br />

anche attraverso l’intervento della Croce Rossa, a meno che non avessero particolari<br />

imputazioni.<br />

Spero che, quale esito di questo convegno, si dia luogo alla pubblicazione di<br />

uno studio sulle vicende legate al campo Le Fraschette e ringrazio tutti voi per<br />

l’attenzione con cui avete seguito questo mio intervento.<br />

don Giuseppe Capone, storico-scrittore<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> FURONO UN CAMPO DI DOLORE, DI ANGOSCIA,<br />

DI ANSIA, DI GRANDI NOSTALGIE PER LA PROPRIA TERRA<br />

Le Fraschette non furono un campo di concentramento del tipo realizzato in<br />

Polonia dai nazisti, ma fu comunque un campo di dolore, di angoscia, di ansia,<br />

di grandi nostalgie per la propria terra.<br />

Mons. Facchini andava due o tre volte al giorno con la sua “balilla” a Le<br />

Fraschette perché capiva che c’era bisogno di aiutare quella gente. Pensò ad un<br />

certo punto che la presenza di un gruppo di suore potesse essere di aiuto, e<br />

119


domandò la disponibilità delle suore “Giuseppine” di Veroli che però all’inizio<br />

erano un po’ restie. Ci volle tutta la sua costanza per convincerle. Il vescovo<br />

voleva questa presenza non solo per realizzare al campo l’assistenza, l’asilo,<br />

l’infermeria, ma soprattutto perché vedeva la dignità della persona umana calpestata.<br />

Illuminante sulla situazione al campo è il diario di Madre Mercedes Agostini,<br />

responsabile del gruppo che operava al campo. Il diario, poi pubblicato nel<br />

mio libro “La provvida mano” è un resoconto del dolore. Quando Madre<br />

Mercedes parla di mons. Facchini, lo descrive come un uomo infaticabile, un<br />

sostenitore incrollabile dei diritti degli internati, un difensore strenuo dai<br />

soprusi che continuamente si perpetravano, un uomo sempre pronto a dare<br />

aiuto materiale e morale.<br />

Quanti episodi si affacciano alla mia memoria !<br />

Gli appelli continui delle suore per le difficili condizioni di vita degli internati,<br />

la richiesta di un bisturi da parte di un internato che nella vita civile era chirurgo<br />

e che la notte precedente aveva dovuto operare d’urgenza un internato<br />

per un’appendicite utilizzando una lametta da barba… “perché l’ospedale di<br />

Alatri è troppo lontano e l’ammalato rischiava di morire sulla barella”.<br />

Alla fine della guerra mons. Facchini fu insignito della medaglia di bronzo al<br />

valor militare per quanto aveva fatto per la popolazione e per la sua attività nel<br />

campo di concentramento.<br />

Ma anche questo fatto dette luogo ad un siparietto che nessuno conosce e che<br />

oggi voglio ricordare.<br />

L’appuntamento per la cerimonia della consegna della medaglia doveva svolgersi<br />

a Frosinone alle 9 e trenta del mattino. Mi disse di tenermi pronto per la<br />

partenza fissata l’indomani alle 8 e trenta. Partimmo da Alatri alle 9 con mezz’ora<br />

di ritardo. Arrivati a Tecchiena mi disse di girare a destra. Alle mie rimostranze<br />

mi disse che dovevamo andare a Roma. “E la medaglia?”…silenzio.<br />

Mons. Facchini non parlava mai in macchina. Io davanti alla guida e lui dietro<br />

zitto. Arrivati a Colleferro si svolse questo dialogo: “don Giuseppe, che<br />

ora è?”, risposi “le 10 e tre quarti”. “pensi che a quest’ora la cerimonia per<br />

la consegna delle medaglie a Frosinone sarà finita?”, risposi di si, che molto<br />

probabilmente la cerimonia era già finita da un pezzo, e allora mons. Facchini<br />

mi disse “Ma allora don Giuseppe possiamo tornare ad Alatri”.<br />

Questo era mons. Facchini. Non siamo andati alla cerimonia perché significava<br />

avere un premio per quello che lui reputava esclusivamente un dovere di<br />

cristiano e di pastore.<br />

120


Bruno Olini, dirigente dell’APC.<br />

È doveroso ricordare che tra le varie adesioni a questo nostro incontro è pervenuta<br />

quella del Sen. Gerardo Agostini, Presidente della Federazione<br />

Nazionale Italiana dei Volontari per la Libertà.<br />

È pervenuto anche il telegramma del Segretario Nazionale dell’<strong>Associazione</strong><br />

<strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>.<br />

Ho citato questi due telegrammi perché chi avrà anche il compito di fare un<br />

po’di cronaca di questo interessante convegno, conosca le autorevoli adesioni<br />

pervenute.<br />

Non vorrei aggiungere altro. Sottolineo l’importanza dei due interventi del<br />

prof. Capogreco e di don Capone che sono senz’altro serviti ad arricchire culturalmente<br />

ciascuno di noi. Ringrazio la dr.ssa Carla Roncati per il bellissimo<br />

ricordo di Lino Rossi.<br />

Una menzione particolare meritano i giovani del Liceo “Luigi Pietrobono” di<br />

cui si parlerà in seguito, segno che la svolta impressa con l’istituzione della<br />

Giornata della Memoria ha avuto l’effetto di uno studio più attento ed esauriente<br />

dei fatti della II a guerra mondiale e più in generale del periodo fascista.<br />

Spero che l’impegno dei docenti di storia, unitamente a queste nostre doverose<br />

testimonianze, consegnino ai nostri giovani una profonda conoscenza della<br />

nostra storia.<br />

Carlo Costantini, segretario del comitato provinciale di Frosinone<br />

dell’A.P.C.<br />

SI DEPORTAVANO DALLA EX JUGOSLAVIA DONNE, BAMBINI,<br />

ANZIANI E FAMIGLIE INTERE, SI PROVVEDEVA CIOE’ ALL’INTER-<br />

NAMENTO DEI FAMILIARI DEI RIBELLI IN CAMPI DI CONCENTRA-<br />

MENTO DALLA DURA DISCIPLINA, AL FINE DI OTTENERE LA<br />

COSTITUZIONE DEI RIBELLI <strong>LE</strong>GATI AL<strong>LE</strong> PROPRIE FAMIGLIE.<br />

Molti degli argomenti da me preparati sono stati già svolti dal prof.<br />

Capogreco che ha agevolato così il mio compito. Parlerò rapidamente del<br />

campo Le Fraschette nei documenti degli archivi comunali e statali. Le ricerche<br />

sono state effettuate con meticolosità dal nostro compianto Lino Rossi nel<br />

corso degli ultimi anni.<br />

Inizialmente il Campo di Le Fraschette fu denominato “Villaggio<br />

121


Accantonamento Profughi di Fumone”, ma già in una comunicazione del<br />

Settembre 1942 se ne precisò la denominazione che rimarrà “ Campo di concentramento<br />

Le Fraschette di Alatri”. Vennero realizzate 174 baracche in un<br />

luogo pianeggiante, lontano dai centri abitati, ma senza realizzare le necessarie<br />

infrastrutture, quali le strade, le fogne e l’acquedotto. L’elenco delle categorie<br />

di persone internate, il numero e le provenienze le ha già indicate il professor<br />

Capogreco.<br />

Voglio sottolineare, come diceva don Giuseppe Capone, che non era certamente<br />

un campo di villeggiatura, ma un campo d’internamento duro. Una<br />

nota dell’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza spiega il fine dell’operazione<br />

fatta nei territori occupati militarmente ed annessi all’Italia. Non si<br />

deportavano in Italia gli uomini, ma donne, famiglie intere. Si provvedeva<br />

cioè all’internamento dei familiari dei ribelli in campi di concentramento<br />

dalla dura disciplina al fine di ottenere la costituzione dei ribelli legati alle<br />

proprie famiglie e la successiva costituzione anche dei recalcitranti “quando<br />

saranno venuti a conoscenza che alla costituzione dei loro compagni è seguito<br />

il ritorno immediato dei congiunti internati”.<br />

Documenti d’archivio testimoniano l’opera di mons. Facchini. In una nota, la<br />

Direzione del Campo avvisò la Prefettura di Frosinone che il Vescovo di<br />

Alatri “ha elargito la somma di £ 15.000 al cappellano per aiuti alle famiglie<br />

più bisognose. Questi aiuti vengono suddivisi nella misura di £ 50 a famiglia”.<br />

Il Vescovo inviò al campo anche alcune casse di medicinali.<br />

Negli archivi si scoprono anche fatti curiosi: il 1° maggio del ’43 vengono<br />

122<br />

da sx Bruno Olini, Carlo Spartaco Capogreco, Carlo Costantini,<br />

Mario Costantini, Luigi Centra


sorprese donne slave con piccoli nastrini rossi intrecciati fra i capelli. Sono in<br />

compagnia di un giovane anch’esso slavo che si era fregiato il petto con una<br />

coccarda rossa: tutti si giustificarono affermando che così erano soliti celebrare<br />

la festa dei lavoratori nei paesi di provenienza. Il Prefetto informato raccomandò<br />

maggiore vigilanza.<br />

Il Prefetto di Frosinone fu informato sulla situazione delle 18 cucine tenute<br />

dal personale militare. “In ciascuna cucina rimane addetto un solo soldato<br />

incontrollato e questi soldati si prendono libertà nei confronti delle ragazze,<br />

assumendo in cucina le più belle di esse”. Il Prefetto cercò di impedire questo<br />

sconcio.<br />

Nonostante le difficoltà ricettive arrivarono il 30 luglio 1943 dalla provincia<br />

di Venezia altre 200 donne. Come ha detto il Professor Capogreco, i fatti del<br />

25 luglio non ebbero molte ripercussioni nel campo. Il 26 agosto S. Ecc.<br />

mons. Riberi, Nunzio per i campi di concentramento, visitò il campo accompagnato<br />

da mons. Facchini. La visita sortì l’impegno ad affrontare con decisione<br />

il problema delle pietose condizioni di bambini e ragazzi presenti al<br />

campo.<br />

Con la nascita della Repubblica di Salò, il ministro repubblichino degli Affari<br />

Esteri chiese all’Ambasciata di Germania il trasferimento al nord degli anglomaltesi<br />

internati a Le Fraschette e degli internati croati e sloveni, eccezion<br />

fatta per i più giovani.<br />

Il 9 dicembre 1943 il direttore del campo avvisò il capo della polizia che nelle<br />

ore notturne soldati tedeschi avevano tentato di accedere alle baracche delle<br />

donne e delle suore reclamando donne ed esplodendo colpi di pistola. Fu il<br />

comandante tedesco della piazza a chiedere il sollecito sgombero verso il nord<br />

degli internati. Il trasferimento fu programmato per il 25 gennaio 1944. Nei<br />

documenti d’archivio c’è una fitta corrispondenza tra autorità italiane e germaniche<br />

su chi avrebbe dovuto occuparsi del trasporto degli internati e con<br />

quali mezzi. Si verificarono in quel periodo due bombardamenti del campo<br />

che provocarono alcuni morti.<br />

Finalmente il 25 febbraio ebbe inizio il lungo trasferimento per Fossoli, di cui<br />

si è già parlato. Del convoglio faceva parte anche il personale religioso del<br />

campo che volle accompagnare gli internati fino alla nuova destinazione. Si<br />

decise che gli anglo-maltesi raggiungessero Fossoli, mentre i croati furono<br />

destinati a Venezia per il successivo rimpatrio. 400 anglo-maltesi raggiunsero<br />

la stazione Tiburtina con il treno, altri 100 furono trasportati in pullman. A<br />

tutti questi si aggiunsero 200 anglo-maltesi provenienti da una caserma di<br />

Valle Giulia. Dopo lungo ed estenuante viaggio durato più giorni, i 700 anglo-<br />

123


maltesi raggiunsero il campo di concentramento di Fossoli che di lì a pochi<br />

giorni sarebbe passato sotto la rigorosa gestione dell’esercito tedesco. Altri<br />

anglo-maltesi che si erano dispersi nelle campagne di Alatri all’arrivo al<br />

campo dei tedeschi chiesero di poter raggiungere i propri connazionali. Anche<br />

questi, in numero approssimativo di 160, con un successivo convoglio furono<br />

destinati a Fossoli.<br />

Il 7 aprile ’44, dunque a pochi mesi dall’arrivo degli alleati il direttore del<br />

campo Le Fraschette poté comunicare al Ministero degli Interni l’ultimazione<br />

del trasferimento dal campo di tutti gli internati. Alcuni sudditi britannici<br />

furono ospitati nella caserma La Marmora di Roma e di lì fuggirono.<br />

Un altro bombardamento aereo colpì il campo il 30 marzo del 1944.<br />

Per quanto riguarda l’interessante capitolo del centinaio di politici presenti<br />

nel campo di Le Fraschette, si trattava in maggior parte di intellettuali indesiderabili<br />

provenienti da Kosovo, inizialmente ristretti nel campo di concentramento<br />

di Preza e, nel maggio del ’42, trasferiti nelle isole di Ponza e Ustica.<br />

Con l’avanzata degli alleati, da questi campi i politici furono trasferiti a Le<br />

Fraschette.<br />

“Il 6 luglio del ‘43 si decise lo sgombero del campo di concentramento di<br />

Ustica e il trasferimento degli internati politici a Le Fraschette di Alatri,<br />

da aggiungere a questi alcuni italiani, per lo più definiti comunisti, ritenuti<br />

pericolosi al punto di poter attentare alla vita del Duce.”<br />

In conclusione, la documentazione ritrovata negli archivi ci consente di ricostruire<br />

buona parte degli avvenimenti succedutisi dal ‘42 al ‘44 nel campo di<br />

concentramento di Le Fraschette. La nostra indagine si ferma al 1944, cioè<br />

all’arrivo degli alleati. Ciò che non ci è stato possibile comprendere è a quale<br />

destino siano andati incontro gli oltre 600 internati trasferiti nel campo di<br />

Fossoli. Abbiamo ripetutamente inviato elenchi nominativi perché se ne fornissero<br />

riscontri ma finora mai nessuno ha risposto ai nostri interrogativi,<br />

forse perché si dice che i tedeschi nel lasciare precipitosamente Fossoli abbiano<br />

bruciato tutti i libri matricola degli entrati e usciti da quel campo.<br />

Di recente è stato pubblicato un volume di Danilo Sacchi che ha assicurato<br />

nei prossimi giorni la sua presenza qui alla mostra. Il libro si chiama “Fossoli,<br />

transito per Auschwitz”, un titolo che potrebbe indirizzare le nostre ricerche<br />

verso un finale tragico.<br />

Per terminare voglio segnalare un’interessante intervista a Luisa Deskovic<br />

Ghini che è stata a Le Fraschette quando nel campo si trovavano circa 4000<br />

internati slavi, in maggioranza donne e bambini, parenti di partigiani. La<br />

signora proveniva dall’isola di Ventotene, quindi aveva già avuto un’esperien-<br />

124


za di internamento piuttosto pesante e aveva acquistato una grande esperienza<br />

su come difendere i propri diritti e la propria dignità .<br />

Propongo che il testo integrale, che consegno alla presidenza, venga allegato<br />

agli atti del Convegno.<br />

Floriano Epner, rappresentante della Fondazione Ferramonti di Tarsia<br />

IL MURO DI RECINZIONE DI QUESTO CAMPO SEGUE IL CONFINE<br />

TRA LA LIBERTA’ E L’UMILIAZIONE E IL DOLORE; RICORDATELO<br />

SOPRATTUTTO VOI GIOVANI CHE DOVETE ESSERE I “GUARDIANI<br />

DELLA LIBERTÀ” NEL NOSTRO PAESE<br />

Vi ringrazio per l’invito. Non mi aspettavo di dover parlare e sarò brevissimo.<br />

Sono figlio di un’ebrea tedesca e di un pittore, di un artista sgradito al regime<br />

tedesco. Tornato in Italia dove era nato, ha disertato l’esercito tedesco e quindi<br />

sono cresciuto figlio di un’ebrea e di un disertore dell’esercito. Potete<br />

quindi immaginare che tipo di infanzia abbia vissuto. Sono consigliere del<br />

Consiglio di amministrazione della Fondazione legata alla memoria del<br />

campo Ferramonti di Tarsia.<br />

Ho incontrato un giorno un anziano internato nel campo Ferramonti e gli ho<br />

chiesto: “Io ho vissuto dieci lunghi anni in Germania e sono vivo per miraco-<br />

Convegno 2002 - interviene l’arch. Floriano Epner della Fondazione Ferramonti<br />

125


lo, tu invece te ne sei stato tranquillo all’interno di questo campo: che differenza<br />

tra le nostre vite!” Mi ha risposto: “Tu sei ancora un uomo libero, io sento<br />

ancora oggi invece il filo spinato del campo nelle carni e ho perso per sempre<br />

la mia libertà e la mia dignità, questa è la grande differenza tra noi due”.<br />

Ricordatevi il tesoro che significa questo vostro campo qui. Quelle mura<br />

segnano il confine tra la libertà e l’umiliazione. Voi giovani ricordatevi che<br />

grazie a questo campo voi siete i “guardiani della libertà”.<br />

Noi della Fondazione Ferramonti avevamo un sogno tempo fa ed era quello di<br />

confederare tutti i luoghi della memoria in modo da avere un unico grande e<br />

forte strumento di informazione.<br />

Il nostro centro per i luoghi della memoria è una testimonianza di questa<br />

volontà. Grande, forte e potente è il vincolo con il quale abbiamo sognato tutti<br />

insieme di portare avanti questa iniziativa. Ma siamo solo all’inizio. Fate in<br />

modo che questo convegno di oggi non si esaurisca, ma grazie a questa iniziativa,<br />

fate vostra la volontà di far sopravvivere questo centro perché continui<br />

ad esistere e a combattere per la libertà e per la verità.<br />

Mario Costantini, coordinatore del Convegno e curatore delle Mostre<br />

documentarie dell’A.P.C.<br />

Agli atti del convegno alleghiamo un indirizzo di saluto e un breve scritto del<br />

dott. Danilo Sacchi, autore del libro “Fossoli, transito per Auschwitz”, che ha<br />

assicurato la sua presenza nei prossimi giorni.<br />

Un’altra relazione scritta ci è stata inviata dal prof. Gioacchino Giammaria.<br />

La relazione ha per tema: “Saggi per una bibliografia sulla resistenza in provincia<br />

di Frosinone”. Ringraziamo anche il prof. Gioacchino Giammaria e<br />

alleghiamo agli atti la sua preziosa relazione completata anche da una bibliografia<br />

sulla seconda guerra mondiale e la lotta di liberazione in provincia di<br />

Frosinone.<br />

È presente al convegno l’autore del volume “I deportati”, Luigi Centra.<br />

Nella sua opera, Centra ha raccolto alcune testimonianze sul campo Le<br />

Fraschette. Ringraziamo l’autore per il prezioso dono del suo libro che alleghiamo<br />

agli atti.<br />

Leggo il messaggio inviato dal sen. Giacinto Minnocci:<br />

“Dovrei essere il più vecchio fra i superstiti di quell’esiguo manipolo di cittadini<br />

che subito dopo l’armistizio dell’8 settembre del ‘43 senza distinzione<br />

di carattere ideologico e con la vigile e protettiva comprensione del vescovo<br />

126


mons. Facchini decisero di contribuire come potevano al tentativo di riscattare<br />

l’Italia da un ventennio di soppressione della libertà e contemporaneamente<br />

di sforzarsi di attenuare con il loro impegno le conseguenze disastrose<br />

di una guerra incautamente intrapresa e rovinosamente perduta. Spetta a me,<br />

e lo considero un privilegio, complimentarmi con Carlo Costantini e con i<br />

suoi collaboratori, per aver organizzato l’odierna mostra sulla seconda<br />

Guerra Mondiale e la Resistenza in Ciociaria, dedicandola al nostro carissimo<br />

amico Lino Rossi , per tanti anni dirigente provinciale dell’A.P.C.<br />

Questa mostra Lino Rossi la voleva e la preparava da molti anni, e il motivo<br />

per il quale principalmente la desiderava risulta chiaramente dalle parole<br />

con le quali l’A.P.C. ed io per l’<strong>Associazione</strong> Nazionale <strong>Partigiani</strong> Italiani<br />

accompagnammo nel 1997 la diffusione degli atti del convegno sul cinquantesimo<br />

anniversario della costituzione ad Alatri del Comitato di Liberazione<br />

Nazionale clandestino nel novembre del 1943, “Guerra e Resistenza in<br />

Ciociaria”, che vale la pena in questa occasione rileggere integralmente:<br />

In un periodo della nostra patria nel quale viene posta in discussione la stessa<br />

unità nazionale e si richiede da più parti una revisione del giudizio finora<br />

dato su alcuni controversi o ancora oscuri episodi della resistenza che nessuno<br />

respinge, a condizione che con essa non si pongano in discussione gli ideali<br />

e i valori che la ispirarono, Rossi e Minnocci ritengono opportuno diffondere<br />

queste due pubblicazioni, testimonianze di quanti lutti e sacrifici è costata<br />

in questa zona del Lazio la conquista della libertà e della pace, nella fiducia<br />

che i documenti vengano accolti come modesto contributo per ricordare<br />

L’ingresso della Mostra dell’APC sulla Resistenza - da sx Mario Costantini, Carlo<br />

Spartaco Capogreco, Carlo Costantini, Bruno Olini, Antonio D’Alatri<br />

127


un’epoca della storia recente del nostro paese, triste e perigliosa, ma anche<br />

traboccante di quel senso del dovere e di quelle speranze che ancora oggi debbono<br />

animare chiunque voglia che l’Italia abbia un futuro di democrazia”.<br />

Per terminare la nostra giornata di lavoro espongo alcune proposte operative:<br />

- organizzazione di un sito web che raccolga i dati sui campi di concentramento<br />

in Italia e sulle vicende legate all’internamento;<br />

- tutela della memoria del campo di concentramento Le Fraschette di<br />

Alatri attraverso il recupero di un baraccamento o il restauro della torretta<br />

di guardia e di locali adiacenti, da destinare a mostra permanente<br />

sul campo;<br />

- sistemazione di una lapide sul muro esterno del campo, a perenne<br />

ricordo delle sofferenze inflitte alle popolazioni ivi internate;<br />

- pubblicazione degli atti del convegno al fine di diffondere la conoscenza<br />

della storia del campo Le Fraschette, che è poi la nostra storia.<br />

AL<strong>LE</strong>GATI:<br />

n. 1 - Le Fraschette di Alatri: descrizione tecnica del campo<br />

Quello di Le Fraschette, progettato come campo di concentramento per prigionieri<br />

di guerra, sorse su un pianoro rotondeggiante di 600 metri di diametro<br />

in località Le Fraschette, una conca naturale alle falde del monte Fumone<br />

distante circa 4 chilometri dal comune di Alatri. Cominciò a funzionare nel<br />

luglio 1942, quando venne approntato un primo nucleo abitativo per 1000 persone.<br />

La sua costruzione era stata avviata alla fine di dicembre del 1941, e in base<br />

al progetto avrebbe potuto accogliere 7000 soldati prigionieri. In corso d’opera,<br />

tuttavia, venne cambiata destinazione e, di conseguenza, la tipologia delle<br />

strutture abitative; furono così realizzate circa 200 baracche idonee ad accogliere<br />

una popolazione composta in gran parte da nuclei familiari. L’intento,<br />

infatti, era quello di farne un “villaggio accantonamento profughi” da affidare<br />

all’Ispettorato per i servizi di guerra, l’organismo governativo responsabile<br />

della sistemazione degli sfollati. Ma, per ragioni legate allo sviluppo delle<br />

operazioni belliche, anche questo secondo proposito decadde, e la baraccopoli<br />

di Le Fraschette divenne infine un “campo di concentramento” per internati<br />

civili.<br />

128


La struttura era delimitata da una staccionata in legno, intervallata da una ventina<br />

di garitte attorno alle quali i carabinieri effettuavano il servizio pattugliamento.<br />

All’interno del campo, invece, agenti di pubblica sicurezza svolgevano<br />

i compiti di polizia. Rispetto agli altri campi amministrati dal Ministero<br />

dell’Interno, quello di Le Fraschette (diretto dal commissario Stanislao<br />

Rodriguez cui successe Giovanni Fantussati) ebbe delle importanti peculiarità:<br />

1) fu sottoposto alla Direzione generale servizi di guerra, mentre alla<br />

Direzione generale di pubblica sicurezza vennero affidati soltanto compiti “di<br />

sicurezza”; 2) si configurò principalmente come luogo d’internamento per<br />

nuclei familiari, in particolare per donne e bambini; 3) non fornì agli internati<br />

alcun sussidio in denaro, ma solamente i pasti, preparati da cucine militari<br />

appositamente impiantate sul posto.<br />

n. 2 - Testimonianza registrata di Luisa Deskovic Ghini<br />

“Il giorno successivo al mio arrivo a Le Fraschette organizzai una delegazione<br />

di donne e andammo in direzione a protestare per la mancata assegnazione<br />

di latte ai bambini. Dopo aver insistito a lungo fummo ricevute. Il caso<br />

volle che proprio quel giorno fosse presente un ispettore venuto da Roma.<br />

Parlai con veemenza e dissi che conoscevamo quali erano i nostri diritti e che<br />

se si ostinavano a negarceli ci saremmo rivolti alla Croce Rossa. Il giorno<br />

seguente ogni bambino ricevette una razione di latte. Un’altra vittoria, sul<br />

piano personale questa volta, la ottenni quando rivendicai un mio diritto ad<br />

un vitto migliore perché malata. Mi mandarono a fare le lastre radiologiche<br />

a Frosinone e in quella occasione ebbi un vivace battibecco con un giovane<br />

dottore, il quale mi rivolse la parola dandomi del tu e pretendeva che io gli<br />

dessi del voi. Alla fine, non potendo averla vinta sul piano verbale voleva picchiarmi.<br />

Dovettero intervenire due carabinieri a sedare la lite.<br />

Il mio soggiorno a Le Fraschette fu fortunatamente molto breve: le condizioni<br />

di vita nel campo erano terribili ma ci sorreggeva la consapevolezza che il<br />

fascismo era ormai caduto e che anche la nostra liberazione era ormai imminente.<br />

Venne invece l’8 settembre, poche ore di gioia e di speranza e poi arrivarono<br />

i tedeschi. Non era un fatto del tutto inatteso almeno per me. A<br />

Ventotene avevamo spesso discusso dell’eventualità che in caso di capitolazione<br />

militare i nazisti avrebbero occupato il paese e non ci sarebbe restata a<br />

quel punto alternativa alla lotta armata contro di essi. Ora i tedeschi erano<br />

lì, nel campo, a minacciare, urlando con i fucili spianati. Ci chiudemmo nelle<br />

baracche e intanto ci era chiaro in quel momento lo stato di grande confusio-<br />

129


ne. Le sentinelle italiane non venivano più al campo e i nazisti non le avevano<br />

sostituite, non essendosi ancora resi conto loro stessi della situazione. Era<br />

quello il momento buono per scappare. Ma alcuni compagni sollevarono<br />

obiezioni di carattere morale: potevamo abbandonare le donne più deboli e i<br />

bambini, lasciandoli alla mercé del nemico? Non era questo un tradimento?<br />

Obiettai che l’unica cosa da fare per aiutare le donne e bambini era di fuggire<br />

per collegarci con i compagni italiani e dare inizio alla lotta armata. I<br />

pareri erano discordi e decidemmo ciascuno di agire secondo la propria<br />

coscienza: alle due del mattino con un po’ di roba da mangiare che avevamo<br />

portato da Ventotene proprio per i casi di emergenza e un paio di pentole fuggimmo.<br />

Fu relativamente facile sollevare il filo spinato e calarci nella trincea,<br />

un po’più difficile fu risalire dall’altra parte, ma arrampicandoci gli uni sugli<br />

altri alla fine ci riuscimmo. Camminammo per quattro ore e alle 6 del mattino<br />

giungemmo in prossimità di Alatri dove prendemmo il trenino per Roma,<br />

confondendoci tra i numerosi sfollati.<br />

Ignoro esattamente che cosa sia successo a quelli rimasti a Le Fraschette,<br />

anche se so che molti si sono salvati non essendo caduti nelle mani dei nemici.<br />

Questi ultimi infatti si comportavano in modo diversificato ed anche contraddittorio<br />

nei confronti degli internati . Non avendo evidentemente ricevuto<br />

ordini precisi da Berlino, a volte liberavano tutti, in altri casi ne liberavano<br />

solo una parte deportando gli altri nei campi di sterminio tedeschi, o fucilavano<br />

sul posto gli elementi ritenuti più pericolosi. La razza superiore, quella<br />

tedesca sfuggiva alle regole delle persone normali”.<br />

n. 3 - Testimonianza scritta di Milena Giziak.<br />

Mi arrestarono con tutta la famiglia, nella notte del 27 settembre 1942, a<br />

Vertoiba, frazione del comune di Gorizia, dove abitavamo. Avevo tredici<br />

anni e mezzo, ed ero la più giovane di tre sorelle e due fratelli. … Perché<br />

quell’improvviso arresto ? Era avvenuto che mio fratello maggiore – anzi fratellastro<br />

perché mio padre, rimasto vedovo, si era risposato, era fuggito come<br />

altri della zona con i partigiani. Erano venuti carabinieri a chiedere notizie e<br />

noi avevamo detto che il fratello si era allontanato in cerca di lavoro, ma siccome<br />

da tempo erano molti quelli che sparivano così, in modo sospetto, non<br />

ci credettero.<br />

Così quella notte fecero una retata di varie famiglie e ci portarono alla caserma<br />

dei carabinieri di S. Pietro di Gorizia, dove restammo per l’intera giornata.<br />

… Dalla caserma di S. Pietro ci trasferirono in Questura, a Gorizia; breve<br />

130


interrogatorio e nuova traduzione al locale carcere giudiziario. … Il 15<br />

marzo 1943 ci portarono con degli autocarri alla stazione ferroviaria di<br />

Gorizia.<br />

Eravamo circa 150 donne, salimmo su un treno speciale cellulare. Non avevamo<br />

idea di dove saremmo andate. Rinchiuse in cellette, in verità a me fu<br />

concesso di rimanere nel corridoio, il treno partì verso le due del pomeriggio<br />

e, salvo una breve sosta in aperta campagna dopo Mestre, viaggiammo<br />

ininterrottamente fino al mezzogiorno dell’indomani, giungendo a<br />

Frosinone. Di qui, sul camion, dopo un non lungo tragitto, arrivammo al<br />

campo di Le Fraschette, nel comune di Alatri. Durante l’intero viaggio nessuno<br />

ci diede da mangiare. Nel frattempo gli uomini vennero internati nel<br />

campo di Sdraussina – Poggio Terzarmata – nella stessa provincia di Gorizia,<br />

a pochi chilometri da casa e lì rimasero fino all’8 settembre 1943.<br />

Il campo di Le Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata<br />

da monti, fra i quali primeggia il Monte Fumone. Era un campo enorme,<br />

destinato ad accogliere migliaia di prigionieri. Eravamo quasi solo donne;<br />

soprattutto slovene, croate e greche. C’erano anche alcune famiglie americane<br />

sistemate in baracche-appartamento. Il vitto era impossibile: un mestolo<br />

di brodaglia e un etto di pane al giorno. E non vi era solo il problema della<br />

scarsità ma anche quello della sporcizia rivoltante dei luoghi dove il cibo<br />

veniva preparato... Molte ricevevano dei pacchi dai parenti, ma noi non avevamo<br />

nessuno, fuori, che ci potesse aiutare. Spaventose soprattutto le condizioni<br />

delle croate e delle greche, alle quali non arrivava mai nulla, tanto da<br />

essere costrette ad aggirarsi attorno ai bidoni della spazzatura della cucina<br />

onde recuperare bucce di patate e qualche altro scarto. Invidiabili invece le<br />

condizioni delle famiglie americane, le quali ricevevano abbondanti pacchi<br />

tramite la Croce Rossa.<br />

Alle gravi carenze alimentari suppliva quel minimo di solidarietà umana (che<br />

si esprimeva anche spontaneamente) ma che, data l’entità del numero delle<br />

internate bisognose, serviva ben poco a lenire le condizioni generali.<br />

Comunque malgrado ciò, non si verificarono, che io sappia, casi di decesso<br />

per denutrizione. Il campo era comandato da carabinieri, con servizio di<br />

guardia svolto dai militari dell’esercito. All’interno, fra la massa internata, si<br />

aggiravano dei “questurini” a controllo degli umori del campo. Nel complesso<br />

posso dire che il comportamento del comando era corretto, non animato<br />

da ostilità verso le recluse, senza angherie. Migliore ancora quello dei militari<br />

in servizio, con i quali si stabilirono rapporti quasi cordiali, se non addirittura<br />

di complicità, come quando tolleravano le uscite clandestine delle<br />

131


internate per saccheggiare nelle campagne circostanti la frutta e quant’altro<br />

potesse attenuare gli stimoli della fame. Il 25 luglio, che aprì le carceri a tanti<br />

detenuti antifacisti, passò per noi inosservato. È soltanto dopo l’8 settembre<br />

1943 che, verificatasi la fuga dei militari di guardia, il campo venne a trovarsi<br />

quasi aperto, permettendo una prima fuga di quanti, avendone i mezzi,<br />

erano in grado di provvedere autonomamente ad allontanarsi dal posto.<br />

La sensazione dello “ sfascio “ alimentava progressivamente la psicosi della<br />

fuga tanto che anche chi era senza danaro si gettava allo sbaraglio. Infatti il<br />

disservizio era tale da rendere aleatoria la stessa fornitura dello scarso pasto<br />

quotidiano. Un’esistenza impossibile per tutti e in quel momento arrivarono<br />

i tedeschi. Costoro, assicuratisi che non c’erano ebrei e comunisti tra gli<br />

internati distribuirono generi alimentari in abbondanza, tanto da consentirci<br />

di rimetterci un po’ in forze. Poi, improvvisamente, ogni rifornimento cessò.<br />

In questa situazione, il maresciallo dei carabinieri, addetto al vettovagliamento,<br />

unica autorità rimasta, ci suggerì lui stesso di andarcene, facendo in<br />

modo che non gli derivasse alcuna responsabilità. Dato che non avevamo<br />

mezzi, dovevamo dire in treno che eravamo delle internate, così avremmo<br />

potuto viaggiare senza biglietto. Così uscimmo dal campo verso mezzanotte,<br />

raggiungemmo a piedi la stazione di Frosinone e di qui prendemmo il primo<br />

treno diretto a Roma. Nella capitale trovammo la calda solidarietà dei ferrovieri<br />

che misero a nostra disposizione una delle sale d’aspetto impegnandosi<br />

contemporaneamente a trovarci posto su un convoglio che ci portasse a nord.<br />

Per combinazione in stazione incontrammo alcuni dei militari già di guardia<br />

al campo che ci offrirono dei gelati. E l’indomani ebbe inizio il viaggio verso<br />

casa. Senza mai mangiare, giungemmo a Rubbia, vicino a Gorizia. A Savogna<br />

trovammo accoglienza, aiuto e conforto. Eravamo oramai a casa, fra la<br />

nostra gente. Ma il rientro fu ben triste. Non avevamo più casa. I nostri beni<br />

mobili ci erano stati sequestrati al momento dell’arresto e successivamente<br />

venduti all’asta. Nostro padre (classe 1882, come mia madre) era rientrato<br />

da qualche tempo perché, come ho detto, era stato internato in un campo<br />

vicino; era gravemente ammalato e sistemato in un fienile. Riuscimmo a<br />

farlo ricoverare all’ospedale di Gorizia, ma morì tre giorni dopo. I nostri<br />

due fratelli partigiani erano caduti in combattimento. Non ci rimaneva che<br />

cercare individualmente ospitalità presso altre famiglie.<br />

Avevo ormai 14 anni e mezzo.<br />

132


APPENDICE: VISITA - SOPRALLUOGO AL MUSEO<br />

MONUMENTO DI CARPI E ALL’EX CAMPO DI FOSSOLI<br />

Sabato 11 Ottobre 2003 una delegazione composta dal Sindaco di Alatri Ing.<br />

Giuseppe Morini e dai rappresentanti della locale <strong>Associazione</strong> Carabinieri<br />

in congedo, Valentino Capitanelli, della <strong>Associazione</strong> Bersaglieri in congedo,<br />

Enrico Celani e dell'<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, Carlo Costantini e<br />

Aldo Fanfarillo, hanno effettuato<br />

una visita - sopralluogo<br />

nel comune di Carpi (Modena)<br />

e nel ex campo di concentramento<br />

di Fossoli.<br />

Accolti dal Sindaco di Carpi<br />

Dr. Demos Malavasi e dal vice<br />

Presidente della Fondazione ex<br />

campo di Fossoli Dr. Mauro<br />

Benincasa, i rappresentanti di<br />

Alatri hanno visitato il sito<br />

museale realizzato nel Palazzo<br />

Pio di Carpi e successivamente<br />

il luogo dove sorgeva il campo<br />

di concentramento di Fossoli.<br />

Al termine del cordiale incontro<br />

i rappresentanti del Comune<br />

di Carpi e della Fondazione<br />

sono stati invitati a visitare<br />

Alatri e il luogo dove sorgeva il<br />

campo di concentramento Le<br />

Fraschette.<br />

da sx Mauro Benincasa, presidente<br />

consiglio comunale di Carpi,<br />

Demos Malavasi sindaco di Carpi,<br />

Giuseppe Morini<br />

sindaco di Alatri,<br />

Carlo Costantini e Aldo Fanfarillo<br />

dirigenti APC Frosinone<br />

Enrico Celani Ass. Bersaglieri c., Valentino<br />

Capitanelli Pres. Ass. Carabinieri c.,<br />

Carlo Bordone, guida,<br />

ing. Giuseppe Morini sindaco, Aldo Fanfarillo<br />

133


PARTE QUINTA<br />

CONVEGNO DI STUDI 2006<br />

“LA GIORNATA DELLA MEMORIA:<br />

I CAMPI DI INTERNAMENTO ITALIANI -<br />

IL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI”<br />

Le Fraschette di Alatri - Ostello della Gioventù - 2 dicembre 2006<br />

Si è tenuto, presso il Salone dell’Ostello della Gioventù a Le Fraschette di<br />

Alatri, il Convegno di studi su<br />

“I campi di internamento in Italia. Il campo d’internamento<br />

Le Fraschette (1940/1945)”.<br />

Organizzato dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone, il convegno<br />

ha inteso riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica e dei rappresentan-<br />

134


ti delle Istituzioni, la necessità di recuperare la funzione di “Luogo della<br />

memoria” per il campo Le Fraschette.<br />

Sorto per volontà del fascismo subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il<br />

campo prese a funzionare il 1° ottobre 1942 come campo di concentramento<br />

per internati civili. Ai primi anglo-maltesi deportati dalla Libia, si aggiunsero<br />

presto migliaia di ex jugoslavi, giuliani, confinati e deportati provenienti da<br />

Ponza, Ventotene ed Ustica.<br />

Nel momento di maggior affluenza, al campo erano internate circa 7.500 persone<br />

in condizioni di assoluta precarietà.<br />

Il campo continuò a funzionare fino ad aprile del 1944, cioè fino a pochi giorni<br />

prima della liberazione di Alatri da parte delle truppe anglo-americane.<br />

Di questa storia ancora poco nota, hanno parlato lo storico Fabio Galluccio,<br />

autore del volume “ I lager in Italia ”, Marilinda Figliozzi, ricercatrice di<br />

testimonianze dell’epoca che ha dato lettura di toccanti testimonianze, don<br />

Giuseppe Capone, che ha ricordato l’infaticabile opera di assistenza posta in<br />

essere da mons. Edoardo Facchini, Luigi Centra, autore del volume “I deportati”.<br />

Significativa la presenza al convegno e l’intervento del sindaco di Carpi, dott.<br />

Enrico Campedelli e del Direttore della Fondazione “Fossoli”, dott.<br />

Giovanni Taurasi.<br />

Questi ultimi hanno proposto il percorso realizzato da quelle comunità<br />

dell’Appennino modenese, che hanno vissuto esperienze molto simili a quelle<br />

di Alatri.<br />

Il campo di internamento di Fossoli è stato Campo poliziesco e di transito,<br />

gestito dalle SS e, dopo la guerra, è diventato campo di prigionia per internati<br />

fascisti e ancora campo per profughi stranieri.<br />

Opportunamente attrezzato per la riflessione e per la ricerca storica, il Campo<br />

di Fossoli e il Museo-Monumento al deportato di Carpi sono visitati ogni<br />

anno da migliaia e migliaia di studenti.<br />

ALL’INIZIATIVA, DELL’ODIERNA “GIORNATA DELLA MEMORIA”<br />

HANNO PARTECIPATO: L’ARCHIVIO DI STATO DI FROSINONE CHE<br />

HA REALIZZATO UNA MOSTRA DOCUMENTARIA SUL<strong>LE</strong> VICENDE<br />

DEL CAMPO; IL LICEO “LUIGI PIETROBONO” DI ALATRI CHE HA<br />

PRODOTTO UN DOCUMENTARIO IN DVD PRESENTATO AD INIZIO<br />

CONVEGNO; L’ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE DI ALATRI, I<br />

CUI ALLIEVI HANNO DATO <strong>LE</strong>TTURA DI ALCUNI SAGGI SUL TEMA.<br />

135


ERANO PRESENTI AL CONVEGNO IL SEGRETARIO NAZIONA<strong>LE</strong> DEL-<br />

L’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI, DR. BRUNO OLINI E IL PRE-<br />

SIDENTE REGIONA<strong>LE</strong> DELL’A.N.P.I., PROF. MASSIMO RENDINA, L’AS-<br />

SESSORE PROVINCIA<strong>LE</strong> DR. ORESTE DELLA POSTA, L’ASSESSORE<br />

ALLA CULTURA DEL COMUNE DI ALATRI AVV. REMO COSTANTINI ED<br />

I CONSIGLIERI COMUNALI DR.FABIO DI FABIO, DOTT. FAUSTO LISI E<br />

DR. MAURIZIO CIANFROCCA.<br />

ALL’ASSESSORE AVV. REMO COSTANTINI, IN RAPPRESENTANZA<br />

DEL SINDACO DOTT. COSTANTINO MAGLIOCCA, È TOCCATO IL<br />

COMPITO DI RASSICURARE I PRESENTI SULL’INTERESSE DEL-<br />

L’AMMINISTRAZIONE A PROCEDERE PRIMA ALLA SDEMANIALIZ-<br />

ZAZIONE DEL TERRENO SU CUI SORGE IL CAMPO E A DAR LUOGO<br />

SUCCESSIVAMENTE AL<strong>LE</strong> PIÙ OPPORTUNE INIZIATIVE.<br />

IL CONSIGLIERE PROVINCIA<strong>LE</strong> DR. A<strong>LE</strong>SSANDRO SEMPLICI HA<br />

SOTTOLINEATO IL VALORE DELL’INIZIATIVA E LA PARTECIPAZIO-<br />

NE ED IL SALUTO DEL PRESIDENTE AVV. FRANCESCO SCALIA.<br />

TRA I MESSAGGI DI ADESIONE, QUELLI GIUNTI DAL PRESIDENTE<br />

DELLA REGIONE LAZIO, DR. MARRAZZO, CHE HA ESPRESSO LA PIÙ<br />

VIVA CONSIDERAZIONE PER L’INIZIATIVA, DAGLI ASSESSORI REGIO-<br />

NALI DR.RANUCCI E DR. DE ANGELIS, DAI CONSIGLIERI REGIONALI<br />

DR. CANALI E DR. CIARALDI, DAL SEN. DIANA E DAL PRESIDE CELANI.<br />

Il Direttore dell’Archivio Storico della Diocesi di Anagni-Alatri, don<br />

Claudio Pietrobono ha espresso il compiacimento del vescovo mons.<br />

Lorenzo Loppa per l’iniziativa.<br />

Ha quindi preso la parola padre Umberto Fanfarillo, nativo di Le Fraschette<br />

per auspicare la realizzazione di opere tendenti a ricordare nel futuro gli eventi<br />

dolorosi verificatisi nel Campo.<br />

È poi intervenuto il funzionario dell’Archivio di Stato di Frosinone dr.<br />

Franco Nardi che ha illustrato i documenti che hanno formato la Mostra<br />

documentaria realizzata in occasione del Convegno.<br />

Ricordando la preziosa attività di ricerca, condotta da Lino Rossi, già<br />

136


Presidente provinciale dell’A.P.C. e la spinta dell’iniziativa attuale voluta<br />

dalla Segreteria provinciale dell’<strong>Associazione</strong>, l’Archivio di Stato di<br />

Frosinone ha ricostruito le vicende legate alla costruzione del Campo di internamento<br />

di Le Fraschette a partire dal primo carteggio riconducibile alla<br />

seconda metà del 1940. Nel 1942 si pose mano alla costruzione del Campo.<br />

Altri documenti illustrano le vicende fino al 1944. Il materiale documentario,<br />

per concessione della dott.ssa Viviana Fontana, direttrice dell’Archivio di<br />

Stato di Frosinone, rimarrà a disposizione dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong><br />

<strong>Cristiani</strong> e costituirà una prima base per la realizzazione di una Mostra permanente<br />

sulle vicende del Campo.<br />

Presenti numerose personalità politiche e culturali, studenti e docenti, dirigenti<br />

scolastici, tra cui i proff. Mantovani e D’Agostini, il prof. Affinito con le<br />

insegnanti Santucci e Mercaldo, la prof.ssa Martina con gli insegnanti Boezi<br />

e Cervoni, la prof.ssa Sperduti, il presidente del Centro studi Tolerus, Pizzuti,<br />

il dirigente della Casa dei diritti sociali di Roma, Russo, il dirigente<br />

dell’Archeoclub, ins. Culicelli, il dr. Minnucci ed il dr. Quadrozzi, il dirigente<br />

prov.le dell’ANPI, Morsino, i dirigenti e collaboratori provinciali<br />

dell’A.P.C., funzionari dell’Archivio di Stato di Frosinone, i rappresentanti<br />

della stampa tra cui Antonucci, Pistilli, Del Greco, Gigino Minnucci e<br />

Mignini.<br />

Nell’occasione è stato presentato il volume “ Lino Rossi, partigiano cristiano<br />

“ , pubblicato dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone, con il<br />

contributo dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio; nel volume<br />

sono contenuti anche i risultati delle lunghe e accurate ricerche sul Campo Le<br />

Fraschette, compiute dallo stesso Rossi presso gli Archivi di Stato di<br />

Frosinone e di Roma.<br />

Ha coordinato i lavori del Convegno, il dr. Mario Costantini, funzionario<br />

dell’Archivio di Stato di Bari che aveva diretto anche il primo Convegno sull’argomento<br />

svoltosi ad Alatri nel 2002 e curato le varia Mostre documentarie<br />

sugli avvenimenti nazionali e locali del periodo storico 1919 – 1948.<br />

L’iniziativa del Convegno odierno è stata realizzata grazie al contributo della<br />

Regione Lazio, Assessorato alla Cultura e alla collaborazione della Banca<br />

Popolare del Frusinate.<br />

Al termine del convegno, il Presidente provinciale dell’A.P.C., Carlo<br />

137


Costantini, si è augurato un efficace intervento delle Istituzioni per il riconoscimento<br />

del Campo Le Fraschette quale “Luogo della Memoria”, da realizzarsi<br />

attraverso lo sviluppo di opportuni interventi di recupero di parti significative<br />

del campo ed iniziative di ricerca.<br />

138<br />

CONVEGNO 2006 - Il coordinatore dr. Mario Costantini presenta i relatori<br />

da sx Enrico Campedelli, sindaco di Carpi - Fabio Galluccio, scrittore<br />

a dx dr. Massimo Rendina, presidente ANPI<br />

di Roma e Lazio - Luigi Centra, scrittore-artista


CONVEGNO DI STUDI 2006<br />

“LA GIORNATA DELLA MEMORIA:<br />

I CAMPI DI INTERNAMENTO ITALIANI -<br />

IL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI”<br />

Documentario DVD con ricerche ed<br />

interviste realizzato<br />

dal Liceo “L. Pietrobono” di Alatri<br />

progetto Tv on line<br />

coordinato dalla prof.ssa<br />

Agnese Sperduti<br />

“Le Fraschette”<br />

Storia di un campo<br />

1942-1944<br />

Riportiamo di seguito la trascrizione integrale del DVD che comprende interviste<br />

alternate a documenti di archivio.<br />

Alatri, piccolo centro della Ciociaria, crocevia di popoli, etnie, per gran parte<br />

del 1900. Popoli diversi che si sono incontrati loro malgrado ad Alatri nel<br />

Campo di internamento prima, di concentramento e di raccolta profughi poi<br />

di Le Fraschette: da Tripolini e Libici a Croati, Sloveni, Anglomaltesi fino<br />

agli Istriani di Fiume e Pola e ai profughi Italiani provenienti dall’Africa e a<br />

quelli fuggiti dall’Ungheria dopo l’occupazione russa.<br />

Il Campo di Le Fraschette fu istituito insieme ad altri campi con il decreto<br />

numero 439 del 4 settembre del 1940 ed era destinato ad ospitare 7000 prigionieri<br />

di guerra; la sua costruzione risale ai primi mesi del 1942 ad opera<br />

della ditta Pasotti.<br />

139


MAESTRO GIUSEPPE EVANGELISTI: - Era una pianura di circa 18/20<br />

ettari di terreno tutto lavorato in grano, segale, granturco e patate: una bella<br />

mattina ci svegliammo e trovammo che il campo era stato circondato; nel giro<br />

di una settimana furono messi gli stecconati, quindi senza dirci niente si impadronirono<br />

del terreno e cominciò la costruzione del Campo di Le Fraschette.<br />

INS. CARLO COSTANTINI: - Il Campo Le Fraschette è stato un campo che<br />

è stato costruito nel 1942, in piena guerra, per mandarvi innanzitutto dei<br />

Libici, degli abitanti della Libia e di Malta che non erano di idee favorevoli<br />

all’Italia.<br />

E al 3 luglio 1943 era costituito da 174 baracche prefabbricate in compensato<br />

innalzate senza preventivo livellamento del terreno.<br />

INS. LUIGI MINNUCCI: - Erano di cartone, di compensato veramente, si<br />

chiamava compensato. La prima volta che ho visto il compensato fu a Le<br />

Fraschette.<br />

INS. CARLO COSTANTINI: - Ci potevano stare fino a 5000 internati in quel<br />

campo di concentramento, di tutte le nazionalità, persone che si ritenevano<br />

contrarie al Regime e alla guerra dell’Italia li mandavano in quel campo.<br />

140<br />

Il primo trasferimento di internati risale al 1 ottobre 1942, come si<br />

evince dall’Appunto per il Duce numero 327/15 del 1942 e dalla testimonianza<br />

scritta da un internato, sig. Romeo Cini, attualmente residente<br />

in Australia.<br />

Anno 1942 - numero 327/15 - Campo di concentramento Le<br />

Fraschette, Frosinone<br />

Il Campo Le Fraschette costruito per conto del Ministero dell’Interno<br />

potrà ospitare al massimo 6000 persone. Col 1 ottobre prossimo venturo<br />

vi saranno ospitati oltre 1000 Anglomaltesi sfollati dalla Libia,<br />

attualmente residenti a Fiuggi, Montecatini, Bagni di Lucca ed Ascoli<br />

Piceno, i quali, attraverso l’opera di discriminazione compiuta dai<br />

Prefetti interessati e dal Segretario del Fascio di Combattimento di<br />

Malta, sono risultati di sentimenti irriducibilmente anglofili. Nello stesso<br />

campo saranno fatti affluire 2300 sgombrati dall’isola di Melata.


INS. CARLO COSTANTINI: - Voi sapete che la Libia era stata occupata<br />

dall’Italia e quindi quando la guerra si svolse in quelle zone il nostro Governo<br />

aveva paura che dei cittadini facessero le spie o sabotassero la guerra per cui<br />

li presero e li mandarono qui in questo campo, Le Fraschette<br />

Agli internati Anglomaltesi si aggiunsero intere famiglie deportate dai territori<br />

dell’ex Jugoslavia occupati dagli Italiani e annessi all’Italia per<br />

costringere alla resa gli uomini adulti che avevano dato vita a formazioni<br />

partigiane.<br />

Successivamente mandarono anche altre persone da tutt’altra parte, cioè dalla<br />

Jugoslavia, perchè in lì c’era la Resistenza (questo nella seconda parte della<br />

guerra, c’era la Resistenza) e allora, per domare la Resistenza, le famiglie dei<br />

<strong>Partigiani</strong> venivano rastrellate e portate qui ad Alatri nel Campo Le<br />

Fraschette.<br />

DON GIUSEPPE CAPONE: - Erano dei Croati, che venivano da casa loro, e<br />

furono deportati a Le Fraschette.<br />

Ufficio Segreteria Particolare - Roma - Ministero dell’Interno<br />

A seguito del foglio numero 1362/2 del 16 corrente mi permetto prospettare<br />

nelle sue linee generali il programma di attività che è mio intendimento<br />

svolgere in questa provincia. Il problema della popolazione slovena<br />

può essere risolto nei seguenti modi:<br />

1 – Distruggendola;<br />

2 – Trasferendola;<br />

3 - Eliminando gli elementi contrari.<br />

L’Alto Commissario<br />

Emilio Grazioli<br />

Comando dell’11° Corpo d’Armata - 20 luglio 1942 - Anno 20°<br />

Ufficio Informazioni - Protocollo numero 1/6815<br />

Oggetto: Provvedimenti a carico delle famiglie e di elementi sloveni<br />

che hanno abbandonato il proprio domicilio.<br />

Trasmetto in allegato copia di due elenchi di elementi sloveni che<br />

hanno abbandonato il loro domicilio per unirsi a bande armate.<br />

A norma della Circolare numero 3c del Comando della Seconda<br />

Armata e delle successive disposizioni impartite mio foglio numero<br />

141


02/7037 in data 18 corrente dispongo siano adottati i seguenti provvedimenti<br />

a carico delle famiglie in oggetto:<br />

- Arresto ed internamento di tutti i loro membri;<br />

- Distruzione delle loro case e confisca dei loro beni.<br />

Il Generale di Corpo d’Armata<br />

Comandante Mario Robotti<br />

INS. CARLO COSTANTINI: - Soprattutto a un certo punto mandarono diverse<br />

centinaia di persone dalla Dalmazia, dalla Croazia , dalla Slovenia, allora<br />

era tutta Jugoslavia; perché le mandarono qui ? Perchè lì c’era veramente la<br />

guerra di Resistenza ai Tedeschi e ai Fascisti e allora rastrellavano interi villaggi,<br />

portavano via donne, bambini e anziani per costringere quelli che stavano<br />

alla macchia, organizzati per difendersi e per attaccare le truppe tedesche<br />

e fasciste ad arrendersi.<br />

Ma come si viveva nel Campo?<br />

INS. LUIGI MINNUCCI: - Non si sapeva niente di quello che succedeva nel<br />

Campo. C’erano soltanto delle storie così.<br />

INS. CARLO COSTANTINI: - Era un Campo in cui si viveva male, in cui<br />

c’era la fame, in cui ovviamente non c’era possibilità di libertà e per cui era<br />

un vero e proprio Campo di prigionia.<br />

Le condizioni di vita degli internati inizialmente erano terribili per tutti: vitto<br />

insufficiente, igiene pessima, internati stipati in grandi baracche-dormitorio<br />

con file di cuccette e materassi di paglia, ma dal 5 gennaio 1943 gli<br />

Anglomaltesi, per intervento della Croce Rossa britannica, attraverso la<br />

Legazione Svizzera, ottennero razioni di cibo più abbondanti, medicine e il<br />

regolare sussidio di internamento. La sorte degli internati Slavi era invece<br />

molto diversa.<br />

Il 18 luglio del 1943, su invito pressante di Monsignor Facchini, Vescovo di<br />

Alatri che si era già adoperato in favore degli internati di Le Fraschette elargendo<br />

la somma di 15.000 lire, giunsero al Campo le prime Suore Giuseppine<br />

di Veroli, per prestare la propria opera di aiuto e soccorso.<br />

Il nostro Vescovo, che si chiamava mons. Facchini, (al quale abbiamo dedicato<br />

questo libro che io adesso vi do) andava quasi tutti i giorni giù al Campo di<br />

142


Le Fraschette, che stava a 6 o 7 km e spesso ci andava a piedi (perchè a quei<br />

tempi non so se il Vescovo avesse la Balilla ma comunque andava molto spesso<br />

a piedi) e data la gravità della situazione, la mancanza di assistenza specialmente<br />

per i bambini, il Vescovo ottenne che 5 Suore di Veroli, dell’ordine<br />

delle Giuseppine, si trasferissero proprio al Campo di Le Fraschette e queste<br />

cominciarono la loro attività di assistenza, sia morale, sia spirituale, sia religiosa<br />

e anche materiale, ai bambini soprattutto, che erano ricoverati nel<br />

Campo di Le Fraschette.<br />

Nel gennaio del 1944 un forte uragano colpì il Campo Le Fraschette facendo<br />

volare le coperture di molte baracche. Il 15 febbraio del 1944 e il 22 febbraio<br />

del 1944 poi, aerei alleati bombardarono il Campo provocando 7 morti e<br />

molti feriti, costringendo la Direzione all’evacuazione del Campo e al trasferimento<br />

degli internati prima ad Alatri e poi a Carpi.<br />

SIG.RA IRENE GALUPPI: - Era un Campo tutto fatto di legno, tutte baracche<br />

e stavano là tutti ammassati. Poi quando sono andata al Campo, avevano<br />

mitragliato e ho trovato alcuni feriti e li ho portati con il camion all’ospedale<br />

di Alatri.<br />

Ecco la testimonianza di Madre Mercedes Agostini, che condivise la sorte<br />

degli internati sia al Campo che durante il trasferimento al Campo di Fossoli,<br />

avvenuto nel febbraio del 1944:<br />

“La mortalità nel Campo, specialmente tra i piccoli, era grande. I fanciulli<br />

infatti erano privi di ogni cura e lasciati per tutta la giornata in balia di se<br />

stessi. […] Il 2 marzo giungemmo a Carpi: grande fu lo stringimento quando<br />

il Direttore del Campo ci disse che né il Cappellano né noi Suore potevamo<br />

restare là. “ .<br />

Viene letta la testimonianza di Romeo Cini, che giunse a Fossoli con gli altri<br />

internati del campo Le Fraschette, che verso la fine del 1944, per ordine delle<br />

SS, che dirigevano il Campo di Fossoli, poterono lasciare il Campo: anche per<br />

loro l’odissea era finita.<br />

Il Campo di Le Fraschette fu smantellato, come testimonia la Relazione del<br />

Direttore del Campo del 29 maggio 1944:<br />

143


“Dalla Relazione conclusiva del Ragionier Spampinato del Campo di<br />

Le Fraschette alla Direzione generale di Pubblica Sicurezza: dei 1600<br />

internati che erano rimasti al Campo di Le Fraschette, 604 internati<br />

sono stati liberati, 358 sono stati trasportati a Roma presso la Caserma<br />

La Marmora, 638 trasportati al Campo di Carpi. Per le residue baracche<br />

e relativi materiali, giusta disposizione ministeriale del 10 aprile<br />

1944 numero 999, si è provveduto alla vendita a trattativa privata: l’acquirente<br />

è risultata essere la ditta Igliozzi per lire 725.000. Alcuni contadini,<br />

individuati per il saccheggio del Campo hanno pagato per il<br />

risarcimento lire 89.000, somma poi utilizzata per il trasporto a Carpi<br />

degli internati”.<br />

Questo documento precede di solo 3 giorni la liberazione di Alatri, avvenuta<br />

il 2 giugno 1944.<br />

144


GLI INTERVENTI<br />

CONVEGNO DI STUDI 2006<br />

Bruno Olini – Segretario nazionale <strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong><br />

OGGI SIAMO QUI RIUNITI PER RIBADIRE AD ALTA VOCE, LA<br />

FERMA VOLONTA’ DELLA VALORIZZAZIONE DI QUESTO EX<br />

CAMPO DI CONCENTRAMENTO, E<strong>LE</strong>VANDOLO A “LUOGO DELLA<br />

MEMORIA STORICA”<br />

Con sincero compiacimento rilevo l’interesse suscitato nell’opinione pubblica<br />

della meritoria iniziativa avviata, da anni, dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong><br />

<strong>Cristiani</strong> di Frosinone, perché quello che è stato il Campo profughi e rifugiati<br />

di Le Fraschette di Alatri, nel periodo della seconda guerra mondiale, venga<br />

eretto a museo della memoria storica.<br />

L’iniziativa, avviata dal compianto Lino Rossi, instancabile dirigente<br />

dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, deceduto nell’ottobre del 2001, ha trovato<br />

degna continuazione nell’appassionata e paziente opera dell’amico<br />

Carlo Costantini, Consigliere nazionale e Segretario provinciale dell’A.P.C.,<br />

ma , soprattutto, uomo legato alla sua Alatri, città della quale è stato Sindaco.<br />

Ne sono concrete testimonianze, il convegno sul Campo Le Fraschette, svoltosi<br />

nell’aprile 2002 e la contemporanea Mostra documentaria sul “Secondo<br />

conflitto mondiale ed episodi della guerra e della Resistenza in Ciociaria”, le<br />

“Giornate della memoria”, con relativa Mostra, promosse dal Comune di<br />

Alatri e dall’A.P.C., nel gennaio 2004, per ricordare le vicissitudini di quegli<br />

anni a Le Fraschette, come emerge dalle preziose risultanze archivistiche e<br />

documentarie raccolte.<br />

E oggi, siamo qui riuniti – autorità comunali, provinciali e regionali, dirigenti<br />

di Associazioni resistenziali, insegnanti, studenti delle scuole superiori e<br />

abitanti locali, alcuni dei quali hanno condiviso la tragedia di migliaia di<br />

internati e profughi a Le Fraschette – per ribadire ad alta voce, la ferma volontà<br />

della valorizzazione di questo ex Campo di concentramento, elevandolo a<br />

“Luogo della memoria storica”.<br />

L’intento, non è soltanto quello di sottrarre dalla stato di totale abbandono<br />

quest’area demaniale di 27 ettari, eliminando il degrado in cui versano i vari<br />

immobili e recuperando le parti più significative del Campo ma, inoltre, tendere<br />

a valorizzare un luogo di importante significato storico, con il coinvolgi-<br />

145


mento delle pubbliche istituzioni e di tutti coloro che ritengono ancora doveroso<br />

il richiamo agli orrori, ai drammi, alle iniquità ed alle sofferenze di un<br />

passato recente che non può e non deve ripetersi. Infatti, se si riconosce valido<br />

il principio in base al quale ogni uomo ha diritto alla vita e ad un livello di<br />

vita che gli consenta l’assolvimento dei suoi doveri nei confronti della società,<br />

riesce oltremodo difficile comprendere come il principale male che travaglia<br />

anche l’inizio del ventunesimo secolo, sia ancora rappresentato dalla<br />

guerra in varie parti del mondo. Quali uomini di pace, non ci stancheremo mai<br />

di affermare che la pace è possibile. Dunque, è doverosa. Per questo, la pace<br />

bisogna volerla; la pace bisogna procurarla.<br />

Questa pace, non possiamo non ricordarlo, l’Europa è riuscita a garantirla ai<br />

suoi abitanti, nella seconda metà del secolo ventesimo, favorita dalla costruzione<br />

dell’Unione Europea, che attualmente vede 25 Paesi (che diverranno 27<br />

nel gennaio 2007), protesi a realizzare l’unione dei popoli europei non soltanto<br />

sul piano economico e monetario, ma anche su quelli della sicurezza e della<br />

politica estera, consentendo all’Europa di parlare al mondo con una sola voce.<br />

Impegno, dunque, a ricordare, a insegnare, a testimoniare. Un impegno che<br />

non esclude nessuno, nella consapevolezza che la lotta per la libertà, per la<br />

giustizia, per la pace, per la dignità della persona, non conosce soste.<br />

Riflettere, quindi, sul passato, per guardare avanti, mantenendo vivi quei<br />

valori che hanno contrassegnato un periodo drammatico non soltanto del<br />

nostro paese, ma dell’intera Europa e che debbono rappresentare un riferimento<br />

costante per l’ulteriore corso della nostra storia.<br />

Massimo Rendina – Segretario regionale Lazio dell’A.N.P.I.<br />

DA QUESTO LUOGO EMERGE UGUALMENTE SOFFERENZA FISICA,<br />

IL DOLORE E L’UMILIAZIONE DELLA PERSONA UMANA CHE<br />

ACCOMUNANO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> AD ALTRI LUOGHI SIMILI SPARSI<br />

NELLA PENISOLA<br />

Porto il saluto di tutte le Associazioni partigiane, dei familiari dei martiri, dei<br />

superstiti dei campi di sterminio; sono stato incaricato dai vari presidenti di<br />

comunicarvi il nostro compiacimento e ringraziamento a Mario Costantini, a<br />

Carlo Costantini, alla sig.ra Rossi e a tutti quelli che hanno organizzato questa<br />

bellissima manifestazione. Sono un po’ emozionato perché in effetti, guar-<br />

146


dare questi fabbricati fatiscenti ci porta col pensiero al concentrazionismo<br />

che fu uno dei fenomeni più tristi e drammatici della seconda guerra mondiale.<br />

Il concentrazionismo risale a molto prima, lo troviamo nella storia millenaria<br />

delle sopraffazioni di etnie, popoli , nazioni su altri per ridurre il<br />

“nemico” in stato di schiavitù, ma nel 900 diventa mezzo punitivo e di sfruttamento<br />

mediante il lavoro forzato degli oppositori ai regimi autoritari. Il termine<br />

gulag è emblematico nella storia dello stalinismo come la parola lager<br />

in quella del nazismo, anche se paragonare le due dittature è un azzardo compiuto<br />

da certo revisionismo, inaccettabile a causa di differenze sostanziali<br />

delle cause e degli eventi che videro protagonisti Stalin e Hitler. Nel primo<br />

caso è la trasformazione in dittatura, ferocemente oppressiva, della palingenesi<br />

comunista tradendo i principi stessi dell’umanesimo marxista, nel<br />

secondo si tratta dell’applicazione di una ideologia che investe di poteri di<br />

morte l’Herrevolk, il “popolo dei signori” espresso dalla “razza ariana”,<br />

sino al genocidio di intere popolazioni, etnie, gruppi sociali -al primo posto,<br />

destinato alla distruzione totale il popolo ebraico- combinazione perversa di<br />

teorie senza fondamento con il pan germanesimo, il revanchismo che addossa<br />

principalmente agli ebrei la sconfitta della Germania nella prima guerra<br />

mondiale.<br />

Anche l’Italia fascista non è da meno quanto a razzismo, certamente non con<br />

la tecnica ”industriale” dello sterminio praticata dai nazisti e con quella diffusione<br />

del concentrazionismo della Germania e dell’Unione Sovietica, ma<br />

oggi, proprio ponendo al centro di questo incontro Le Fraschette, vediamo<br />

anche qui, luogo di reclusione e confino di intere famiglie slave strappate<br />

dalla loro terra, farsi avanti lo spettro del razzismo, per il ruolo dato da<br />

Mussolini ad una pretesa “stirpe italica” o “romana” investita dalla “missione”<br />

di aggredire e occupare militarmente altre nazioni. Le Fraschette sono<br />

elemento emblematico del “concentrazionismo” nell’Italia fascista e nazifascista<br />

anche se non con la drammaticità di altri “campi”, come Fossoli e specialmente<br />

la risiera di San Sabba. Qui non sono stati consumati omicidi di<br />

massa, non sono state istallate camere a gas, inceneritori delle ”fabbriche<br />

della morte”, ma da questo luogo emerge ugualmente sofferenza fisica, il<br />

dolore e l’umiliazione della persona umana che accomunano Le Fraschette<br />

ad altri luoghi simili sparsi nella penisola, come ci ha ricordato Olini. Qui<br />

nasce, però, con la presa di coscienza che occorra battersi, oggi, in questo<br />

stesso momento, contro uguali violenze ancora perpetrate nel mondo, nasce<br />

la speranza che ciò che è accaduto oltre mezzo secolo fa ci serva da monito<br />

per renderlo storicamente e moralmente irripetibile.<br />

147


Dobbiamo superare lo scoramento che ci prende nel registrare il fallimento<br />

della storia, della nostra storia di partigiani, quando conclusa la guerra, pensavamo<br />

all’avvento di una intramontabile stagione di pace e solidarietà certi<br />

che quello sarebbe stato il premio del sacrificio di martiri e caduti .<br />

Un’impresa che sembra impossibile mentre nel mondo permangono teatri di<br />

guerra, dove anche il terrorismo fanatico concorre alle stragi di innocenti,<br />

mentre si susseguono in Africa le lotte tribali con bilanci che sfiorano il milione<br />

di morti, mentre per incapacità e egoismo dei centri di potere internazionali<br />

continuano a consumarsi gigantesche morie per inedia e malattie nel<br />

terzo e quarto mondo.<br />

Dobbiamo impegnarci, laici e cristiani, per fedeltà alla nostra storia e ai nostri<br />

ideali nella battaglia per la pace, battaglia per la solidarietà.<br />

C’è un altro problema cui voglio accennare. Questo nostro incontro è anche<br />

una risposta al revisionismo, a quel movimento pseudo-culturale che vuole<br />

cancellare la storia. Qui dichiariamo, con questa rievocazione, che la storia<br />

non può essere stravolta, offesa nelle verità inoppugnabili. Ci sono vari revisionismi,<br />

un revisionismo chiamiamolo assoluto che è il negazionismo, che<br />

addirittura nega l’Olocausto. Poi abbiamo un revisionismo strisciante che è<br />

quello che dice che in fondo tutti siamo uguali, fascisti e antifascisti, che questa<br />

guerra ha accomunato tutti e pertanto non andrebbe riconosciuto chi combatteva<br />

per la libertà e chi combatteva contro la libertà, tutti coinvolti in<br />

un’unica tragedia.<br />

Questo revisionismo presenta dei lati che vorremmo definire grotteschi se non<br />

rivelassero nell’ideologia fascista che si rinnova a causa dei cattivi maestri lo<br />

stesso disprezzo per i sentimenti umani. Facciamo un esempio. Mentre noi<br />

partigiani riconosciamo nella madre che piange il figlio morto, fascista o antifascista,<br />

la medesima, identica. indistinguibile espressione di dolore, e altrettanto<br />

uguali sono la nostra commiserazione e la pietà per lei e per chi è caduto,<br />

anche dalla parte avversaria, ciò non accade, negli epigoni fascisti e neonazisti..<br />

Mai una lapide un monumento, un segno che ricordi un morto fascista<br />

è stato rovinato da un partigiano o da un antifascista, mentre lordare le<br />

lapidi che ricordano i nostri caduti, danneggiarle. è costume e vanto dei fascisti<br />

e neofascisti capaci anche di oltraggiare i cimiteri ebraici.<br />

A parte le scritte infamanti sui muri, anche scurrili, contro la Resistenza e a<br />

dileggio e disprezzo dell’olocausto ebraico, il mito dello squadrismo fascista,<br />

con le spedizioni punitive, sta trovando adepti specialmente nelle scuole.<br />

Abbiamo contato più di 150 aggressioni in pochi giorni, negli istituti romani<br />

da parte di giovani fascisti, vittime ragazze e ragazzi che non ne accettano la<br />

148


propaganda ideologica. Vorremmo che vi fosse più attenzione della polizia<br />

verso questi fenomeni. Da questa sala, da questo incontro tanto suggestivo,<br />

proprio per i fatti che abbiamo evocato nella storia di Le Fraschette, prenda<br />

sostanza e si diffonda come dovere, e richiamo alla libertà, alla convivenza<br />

civile, alla promozione della persona umana, l’impegno antifascista.<br />

Fabio Galluccio – storico - scrittore<br />

LA SITUAZIONE DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA<br />

OGGI È TRAGICA, NON C’È NULLA CHE LI RICORDI, TRANNE IN<br />

ALCUNI CASI. AD ESEMPIO A FOSSOLI<br />

La prima volta che sono venuto qui ad Alatri era il 1999 ed era una delle tante<br />

tappe di un viaggio che ho iniziato a fare in questo Paese, nel mio Paese, dove<br />

purtroppo di “memoria” se ne parla il 27 gennaio, ma non si ricorda nei luoghi<br />

dove l’internamento e non solo l’internamento è avvenuto.<br />

Noi siamo stati alleati dell’esercito americano che ci ha liberato ma dopo<br />

essere stati sconfitti nella rovinosa guerra in cui ci ha trascinato il fascismo.<br />

Questa doppia veste ha permesso forse alla giovane democrazia di dimenticare<br />

tutto quello che è avvenuto durante il ventennio.<br />

Il fatto stesso che dei campi di internamento se ne siano occupati non gli storici,<br />

ma cittadini comuni la dice lunga.<br />

Io lavoro per un’azienda, Carlo Spartaco Capogreco è un medico, Gianni<br />

Oliva, un giornalista. Solo Costantino Di Sante è un giovane ricercatore. Enzo<br />

da sx<br />

Enrico Campedelli<br />

sindaco di Carpi<br />

Fabio Galluccio<br />

scrittore<br />

149


Collotti ne ha parlato in alcuni suoi libri, ma non so citare un professore accademico<br />

che si sia interessato in modo specifico di questo tema .<br />

Ho iniziato il mio viaggio in giro per l’Italia alla scoperta dei campi da<br />

Ferramonti in Calabria per arrivare poi ad Alatri passando da Rocca Toderighi,<br />

Civitella del Tronto, Campagna, Montechiarugolo e tante altri paesi. Non c’è<br />

regione italiana che non abbia avuto il suo campo. Erano più di 240.<br />

Il mondo concentrazionario vede la sua origine nel 1940. Con legge pubblicata<br />

in Gazzetta Ufficiale furono istituiti campi di concentramento per cittadini<br />

cosiddetti stranieri, ma in realtà vi furono deportati per la maggior parte<br />

ebrei anche italiani, zingari, omosessuali, slavi e persone che erano cittadini<br />

di paesi in guerra con l’Italia (inglesi o francesi e così via). Questi campi<br />

risultano essere circa 40 . Quaranta campi istituiti soprattutto nell’Italia centro<br />

meridionale: l’Abbruzzo ne conta ben 16, ma non c’è un censimento ancora<br />

definitivo. Gli altri campi furono realizzati nel corso degli anni, soprattutto<br />

nel periodo della Repubblica Sociale.<br />

Spesso le persone erano internate in edifici o istituti requisiti oppure erano<br />

campi costruiti ad hoc come questo de Le Fraschette vicino ad Alatri e come<br />

quello di Ferramonti.<br />

Il 6 aprile del 1941 l’Italia poi invade la Jugoslavia, una pagina pochissimo<br />

conosciuta - l’ha citata Costantini nel filmato girato dai ragazzi delle scuole<br />

di Alatri -. Ci furono saccheggi di villaggi, morti, incendi e furono costruiti<br />

vari campi di concentramento non solo in Italia: Renicci, Anghiari, Gonars,<br />

Padova, Rab e molti altri che ospitarono un gran numero di sloveni e croati.<br />

A Rab, dove sono andato due anni fa ci furono parecchi morti, non si sa ancora<br />

quanti, ma chi vi si reca ha lo sconforto di vedere 1400 nominativi di persone,<br />

per lo più ebrei, che là trovarono la morte. Non c’è una bandiera italiana<br />

e non c’è una targa italiana che ricordi e che si scusi di quello che è avvenuto<br />

in quell’isola. C’è stata soltanto la Fondazione Ferramonti, che è una<br />

Fondazione privata, presieduta da Carlo Spartaco Capogreco. che ha apposto<br />

una targa in sloveno e in italiano per ricordare quello che è avvenuto.<br />

A Gonars vi fu un altro campo di concentramento. Lì si contano circa 500<br />

morti. Renicci è un altro campo dove la vita era molto dura. Lì furono internati<br />

prevalentemente slavi. La gente del posto ricorda che arrivavano persone<br />

prese con il camice da medico, con il vestito di sposi. Molte persone sopravvissero<br />

mangiando ghiande a Renicci. I morti pare che furono circa 200. Non<br />

abbiamo cifre esatte perché questo lavoro di documentazione è lungo e<br />

dovrebbe essere affidato al mondo accademico e al mondo politico i quali<br />

sembrano latitanti.<br />

150


Ad Alatri c’era inizialmente un’alta mortalità soprattutto tra i bambini. Poi<br />

l’intervento di mons. Facchini, vescovo di Alatri, con la creazione di un asilo<br />

all’interno del campo affidato alle suore Giuseppine, come è stato ricordato<br />

qui, migliorò questa situazione.<br />

Però anche qua non sappiamo quanti furono i morti; c’è un elenco di quaranta,<br />

cinquanta persone che non ce la fecero. So che il comune di Alatri ha aperto<br />

gli archivi e quindi vi invito anche a lavorare su questo.<br />

Le leggi razziali che noi in qualche modo attribuiamo soltanto al mondo<br />

ebraico, promulgate nel 1938, erano già in qualche modo realizzate nei territori<br />

limitrofi alla Jugoslavia nel 1925 nei confronti degli slavi che erano cittadini<br />

italiani. Non si poteva parlare lo slavo , furono chiuse tutte le associazioni<br />

culturali slovene, tutti i nomi slavi furono trasformati in nomi italiani.<br />

Perfino i vescovi e le suore non potevano parlare sloveno. I vescovi slavi furono<br />

sostituiti con vescovi italiani. Il generale Robotti scriveva in quel periodo<br />

“si ammazza troppo poco” e poi “non dente per dente ma testa per dente”.<br />

A voler dire dobbiamo uccidere il più possibile e fare pulizia etnica.<br />

Vi dico queste cose non perché mi compiaccia nel dirle, ma perché questa storia<br />

è pochissimo conosciuta in Italia. La BBC ha realizzato su quel periodo un<br />

documentario “Fascist legacy”. Ebbene, questo documentario acquistato dalla<br />

Rai, nel 1989 non è stato mai trasmesso. Il documentario, che ho avuto la fortuna<br />

di vedere in una Giornata della Memoria a Reggio Emilia, è un’accusa<br />

molto dettagliata dei crimini italiani non solo in Jugoslavia ma anche in Africa.<br />

La situazione dei campi di concentramento in Italia oggi è tragica, non c’è<br />

nulla che li ricordi, tranne in alcuni casi. Ad esempio a Fossoli che però fu un<br />

campo soprattutto di transito ed era governato dai nazisti. Alla Risiera di San<br />

Sabba a Trieste, ma anche lì erano i nazisti a dirigere il campo. Gli altri<br />

campi sono in uno stato di abbandono. In Abruzzo l’anno scorso sono andato<br />

in una scuola a Nereto dove c’era un campo fascista. Ho detto che non mi<br />

interessa più venire a parlare di memoria, perché parliamo solo di Auschwitz<br />

e portiamo i nostri ragazzi a vedere Auschwitz, quando non vediamo le cose<br />

che sono sotto i nostri occhi, sotto casa nostra. Questa è secondo me una cosa<br />

incomprensibile perché non si può insegnare la memoria, la storia in questa<br />

maniera. E in effetti quest’anno hanno apposto a Nereto una targa che ricorda<br />

quanto avvenuto. Le scuole in questo panorama sono quelle che fanno<br />

molto più delle autorità civili ed io ringrazio veramente i professori ed i ragazzi<br />

che hanno fatto questo.<br />

Nel campo di concentramento di Civitella del Tronto dove sono praticamente<br />

morti tutti, tranne una persona, perché sono stati trasportatii ad Auschwitz, oggi<br />

151


è una villa dove si festeggiano matrimoni. Potrei citare altre realtà come questa.<br />

Nel 2003 il 31 gennaio, poco dopo la Giornata della Memoria, la<br />

Commissione cultura della Camera ha impegnato il Governo a farsi promotore<br />

di un progetto per l’individuazione di tutti i luoghi che sono stati sede di<br />

campi di concentramento in Italia e di un percorso della Memoria che colleghi<br />

tutti questi luoghi. Credo sia rimasta lettera morta come tante altre cose<br />

rimangono tali in questo Paese.<br />

La Commissione Tina Anselmi, istituita dal primo governo Prodi, che ha lavorato<br />

in maniera egregia per la restituzione dei beni tolti agli ebrei e per fare un<br />

censimento di quanto avvenuto in quegli anni ha finito lavori ormai da quasi<br />

un quinquennio. Di questa Commissione non è stato dato nessun seguito.<br />

Grazie<br />

Enrico Campedelli – sindaco di Carpi<br />

ABBIAMO CONTINUATO NEL PROMUOVERE LA MEMORIA,<br />

ATTRAVERSO <strong>LE</strong> GIUSTE COMMEMORAZIONI MA SOPRATTUTTO<br />

ATTRAVERSO RICERCHE STORICHE, AVVIANDO DEI PERCORSI<br />

IMPORTANTISSIMI DI INFORMAZIONE E DI SENSIBILIZZAZIONE<br />

DEI CITTADINI E SOPRATTUTTO DEI GIOVANI<br />

Il sindaco ricorda innanzitutto la tradizione partigiana di Carpi e riferisce che<br />

alcuni episodi della Resistenza sono stati commemorati proprio di recente.<br />

Nel nostro territorio, nel nostro comune si è lavorato da sempre sul tema della<br />

memoria, sul ricordare, sull’analizzare le situazioni, cioè leggere la storia.<br />

Carpi, prima zona partigiana, medaglia d’argento al valor militare e medaglia<br />

d’oro al valor civile per fatti legati appunto ai momenti resistenziali, ha contato<br />

sul suo territorio numerosi atti di coraggio da parte dei cittadini e ha toccato<br />

con mano la presenza di un campo di smistamento verso i campi di sterminio<br />

del nord Europa. È proprio partendo da queste eredità che<br />

l’Amministrazione comunale ha iniziato questo lavoro fin dai primi anni 50,<br />

con la creazione di una mostra itinerante che riguardava l’olocausto e la<br />

shoah, mostra che ha portato alla ribalta nazionale ciò che era accaduto pochi<br />

anni prima. E di amministrazione in amministrazione si è arrivati al 1973 con<br />

l’inaugurazione del “Museo monumento del deportato politico e razziale nei<br />

152


campi di sterminio nazisti”, proprio all’interno del palazzo storico di Carpi,<br />

sulla piazza dei Martiri, la piazza principale della città. Scelta molto significativa,<br />

molto importante quella di arrivare alla costruzione di un Museo, oggi<br />

noi possiamo contare più di 30 mila visitatori l’anno tra Museo e Campo di<br />

Fossoli, e visitare quei luoghi rappresenta un momento molto ma molto toccante,<br />

alcuni di voi, visto il rapporto già esistente con Carpi, il sindaco che mi<br />

ha preceduto ha mantenuto un rapporto con i vostri amministratori, alcuni di<br />

voi dicevo, sono già venuti a Carpi a visitare sia il Campo che il Museo monumento<br />

e possono confermare questo stato d’animo. Nel 1984 la nostra<br />

Amministrazione è riuscita ad acquisire il Campo di Fossoli dal Demanio e da<br />

lì è iniziato un lavoro di sensibilizzazione delle persone e del territorio. Si è<br />

partiti prima con un concorso di idee che ha visto progettisti di fama nazionale<br />

intervenire e presentare delle proprie proposte per un possibile recupero del<br />

sito concentrazionale, si è recuperata inizialmente una baracca, ma soprattutto<br />

si sono costruite le basi per la creazione del percorso per arrivare a dare vita<br />

e gambe a questo progetto, a questa idea. Nel 1995, anche sotto la spinta di<br />

una <strong>Associazione</strong> di cittadini che si era formata, l’“<strong>Associazione</strong> amici del<br />

Museo Monumento”, viene istituita la Fondazione del Campo di Fossoli.<br />

Fondazione che ha, ad arrivare ad oggi, vissuto tre fasi molto importanti. La<br />

prima è stata quella dell’acquisizione del sito e della partenza del progetto<br />

culturale e storico, quindi anche di ricerca che ha visto l’Amministrazione<br />

comunale impegnata in prima fila. Non a caso all’atto della costituzione della<br />

Fondazione il presidente era il sindaco ed è stato molto importante perché<br />

comunque non è sempre facile costituire e far crescere istituzioni di questo<br />

tipo. Vi è stata poi una seconda fase che ha coinciso con il reperire le risorse<br />

per iniziare a rendere visitabile il campo e quindi la ristrutturazione di una<br />

baracca, l’individuazione e la delimitazione dei confini e quindi l’avvio della<br />

ricerca e della progettazione sul campo. Oggi la Fondazione si occupa della<br />

gestione non solo del Campo ma anche del Museo Monumento, attraverso<br />

guide e volontari che si fanno carico quotidianamente di tutta l’organizzazione.<br />

Nel 2005 lo Statuto della Fondazione Campo Fossoli è stato modificato<br />

nel senso che ha preso l’avvio una terza fase con lo scopo di rendere maggiormente<br />

autonoma la Fondazione e consentirle anche di andare al di là del singolo<br />

rapporto con l’Amministrazione comunale di Carpi. Con lo scopo quindi<br />

di allacciare diversi rapporti con altri enti locali, con altri soggetti privati,<br />

con altre istituzioni. Questo ha voluto significare di fatto un’uscita da parte<br />

dell’Amministrazione Comunale dagli organismi direttivi della Fondazione, il<br />

che non ha significato disimpegno, ma possibilità concreta di partecipazione<br />

153


attiva ad altri soggetti quali l’Università di Modena e Reggio, la Regione e<br />

altri. Non a caso ora il presidente della Fondazione è l’avv. Francesco Berti<br />

Arnoaldi Veli che tanti di voi conosceranno certamente e il direttore il Dott.<br />

Giovanni Taurasi che è carpigiano, ricercatore di storia contemporanea. Si è<br />

partiti dunque con un’ottica un po’ diversa e si è partiti, devo dire, bene, nel<br />

senso che ad oggi noi stiamo organizzando diverse importanti iniziative.<br />

Prima parlavo del territorio carpigiano, della nostra città, devo dire che si sono<br />

incrementate diverse iniziative, diverse ricerche anche sull’utilizzo successivo<br />

perchè il Campo è stato utilizzato in vari modi negli anni successivi la<br />

guerra, da sede della comunità di Nomadefia di Don Zeno Saltini a campo per<br />

i profughi giuliani. La Fondazione per studiare queste trasformazioni ha di<br />

recente pubblicato ricerche sul Campo, l’ultima è stata quella sui profughi<br />

giuliani che hanno vissuto nel Campo di Fossoli fino ai primi anni settanta<br />

fino a quando cioè l’amministrazione comunale non ha costruito abitazioni<br />

all’interno della città. Ricerca che poi è stata presentata nella giornata del<br />

ricordo dello scorso anno. Chiaramente all’interno del campo si intrecciano<br />

diverse storie e diversi avvenimenti, impegni e sacrifici di persone di svariate<br />

provenienze, se pensiamo all’impegno dello stesso vescovo di Carpi nel<br />

periodo fascista, mons. Federico Vigilio della Zuanna che ha ricevuto la<br />

medaglia d’oro al valor civile per il sostegno e l’aiuto dato non solo agli internati<br />

del campo ma che è stato anche protagonista del salvataggio in extremis<br />

di molte persone, come quelle che dovevano essere fucilate nella vicina frazione<br />

di Limidi per un atto di rappresaglia. Il suo intervento ha consentito che<br />

ciò non avvenisse e che si salvassero. Così come il parroco di Fossoli, don<br />

Francesco Venturelli che ha ricevuto la medaglia d’oro al valor civile per il<br />

sostegno e l’aiuto dato agli internati del campo, era quello che faceva da tramite<br />

all’interno del campo e che aveva rapporti con il “Giusto tra le Genti”<br />

Odoardo Focherini che era stato scoperto mentre stava aiutando a salvare<br />

dalla deportazione centinaia di ebrei insieme a don Dante Sala. Per il campo<br />

di Fossoli, comunque sono passate figure molto importanti come ad esempio<br />

Primo Levi insieme ai tanti partigiani che hanno combattuto per la liberazione<br />

del nostro paese dal nazifascismo. Quindi, in conclusione abbiamo continuato<br />

nel promuovere la memoria, attraverso le giuste commemorazioni ma<br />

soprattutto attraverso ricerche storiche, avviando dei percorsi importantissimi<br />

di informazione e di sensibilizzazione dei cittadini e soprattutto dei giovani.<br />

Tanto per citare una delle iniziative che ricordo sempre perché mi ha toccato<br />

particolarmente appena diventato sindaco, non è l’unica iniziativa che<br />

costruiamo, ma è forse quella che dà più il senso delle cose, mi è stato chie-<br />

154


sto, essendo allora anche presidente della Fondazione, di partecipare all’iniziativa<br />

intitolata “Il treno per Auschwitz” aperto agli studenti delle scuole<br />

medie superiori.<br />

Il sindaco di Carpi illustra detta iniziativa (che è alla sua terza edizione)<br />

che è nata inizialmente con la collaborazione di altri Enti e Istituzioni (il<br />

comune di Brescia, provincia di Milano ecc.) e che oggi vede il sostegno<br />

anche della regione Emilia Romagna, il Ministero della Pubblica Istruzione,<br />

l’Unione Europea che ha coinvolto più di 650 ragazzi della Provincia di<br />

Modena e quella in programma sui 67 fucilati del poligono di tiro di Carpi<br />

(anche in vista della costruzione di un particolare monumento alla memoria<br />

di essi).<br />

Remo Costantini – Assessore alla Cultura del Comune di Alatri<br />

PERSONALMENTE, ESSENDO ANCHE UN AMANTE DELLA STORIA<br />

DI ALATRI, NON MI DISPIACEREBBE LA VOSTRA IDEA DI ISTITUI-<br />

RE UN CAMPO DELLA MEMORIA E DEL RICORDO, PERCHÉ È UNA<br />

PAGINA DELLA STORIA DI ALATRI E D’ITALIA CHE DEVE ESSERE<br />

CONOSCIUTA.<br />

da sx Enrico Campedelli, Fabio Galluccio, il coordinatore Mario Costantini presenta<br />

l’assessore del comune di Alatri avv. Remo Costantini, a dx Rendina e Centra<br />

155


Buongiorno a tutti. Premetto subito di non poter prendere alcun impegno in<br />

relazione alla futura destinazione del luogo in cui ci troviamo, in quanto il<br />

campo Le Fraschette non è ancora di proprietà del Comune di Alatri e bisogna<br />

vedere se il contributo di 1 milione di euro sarà sufficiente o meno per<br />

l’acquisto dell’area. Come Amministrazione non abbiamo ancora discusso<br />

sull’eventuale destinazione di quest’area: personalmente, essendo anche un<br />

amante della storia di Alatri, non mi dispiacerebbe la vostra idea di istituire<br />

un campo della memoria e del ricordo, perché è una pagina della storia di<br />

Alatri e di Italia che deve essere conosciuta anche per evitare che si commettano<br />

in futuro gli stessi errori. Questo è sicuramente un messaggio che come<br />

amministratori dobbiamo alla collettività ed alla città: posso assicurare, pertanto,<br />

l’impegno e la vicinanza alle manifestazioni che si vorranno porre in<br />

essere. Mi dispiace di aver interrotto il convegno e di dover andare via, ma<br />

avevo preso degli impegni prima di ricevere il Vostro invito: mi informerò<br />

comunque sul prosieguo e sulle conclusioni di questa giornata. Auguro buon<br />

convegno a tutti.<br />

156


Dalla relazione di Giovanni Taurasi direttore<br />

della “Fondazione ex Campo Fossoli”<br />

IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FOSSOLI:<br />

STORIA, RICERCA, ATTIVITÀ<br />

CULTURALI E DIDATTICHE.<br />

Nascita e collocazione del Campo<br />

Il campo di Fossoli nasce nel maggio 1942<br />

in seguito al “decreto di occupazione d’urgenza”<br />

di un’area nella frazione carpigiana da parte<br />

del Ministero della guerra.<br />

Probabilmente la scelta dipende da fattori strategici<br />

e di sicurezza: la frazione di Fossoli, relativamente isolata,<br />

dista 5 Km dal comune di Carpi, dotato di buoni<br />

collegamenti viari e di una stazione ferroviaria.<br />

Si tratta di una zona all’interno della quale è facile<br />

tenere sotto controllo un alto numero di prigionieri<br />

e sono al contempo vicini collegamenti veloci<br />

sia in direzione nord-sud (la linea ferroviaria<br />

Modena-Mantova) sia est-ovest (la via Emilia).<br />

157


158<br />

Le fasi di utilizzo del Campo<br />

Giugno 1942 – Settembre 1943<br />

Prigionieri di guerra<br />

angloamericani<br />

Dicembre 1943 – Novembre 1944<br />

Ebrei italiani e stranieri - Oppositori politici al regime<br />

Rastrellati civili destinati al lavoro nel Reich<br />

Estate 1945 – Maggio 1947<br />

Stranieri indesiderabili e dispersi<br />

Maggio 1947 – Agosto 1952<br />

Bambini abbandonati e famiglie adottive<br />

Nomadelfia<br />

Luglio 1954 – Marzo 1970<br />

Profughi giuliano-dalmati<br />

Villaggio San Marco


La strage di Cibeno<br />

Il 12 luglio 1944 sessantasette internati politici di Fossoli<br />

vengono fucilati nel poligono di tiro della vicina frazione<br />

di Cibeno.<br />

La strage è predisposta dalla Gestapo centrale per l’Italia<br />

con sede a Verona.<br />

La storiografia più recente esclude precedenti interpretazioni<br />

secondo le quali la strage sarebbe stato un atto di<br />

rappresaglia e la collega invece alla volontà di stroncare<br />

un’organizzazione di resistenza interna, eliminando personalità<br />

di rilievo come ex ufficiali, tra i quali il capo della resistenza<br />

“badogliana” Jerzi Sass Kulzyschi, e un gruppo di<br />

intellettuali lombardi di area cattolica, come l’ingegner Carlo<br />

Bianchi e Teresio Olivelli.<br />

La mattina del 12 luglio 1944 settanta internati politici (in<br />

realtà sessantanove, perché Teresio Olivelli riesce a nascondersi),<br />

vengono prelevati in tre riprese dal Campo e portati al<br />

Poligono di tiro di Cibeno, dove vengono uccisi.<br />

Due condannati del secondo gruppo si ribellano e riescono a<br />

fuggire.<br />

L’eccidio, anomalo rispetto ad episodi simili, non ha ancora<br />

avuto giustizia né sono chiare le ragioni.<br />

159


La politica della memoria<br />

Negli anni Cinquanta l’amministrazione comunale<br />

affronta la questione di come conservare la memoria<br />

delle sofferenze che hanno attraversato il Campo e promuoverne<br />

il ricordo.<br />

Nel 1955 organizza una mostra fotografica e documentaria<br />

sulla deportazione nei campi nazisti, la prima in Italia,<br />

che viene successivamente portata con grande successo di<br />

pubblico in numerose città italiane.<br />

Le successive amministrazioni comunali realizzano il progetto,<br />

a lungo studiato, di un<br />

“ Museo Monumento al Deportato politico e razziale”<br />

all’interno del rinascimentale Palazzo dei Pio, inaugurato<br />

nel 1973.<br />

In quell’occasione il Comune avanza all’Intendenza di<br />

Finanza una richiesta ufficiale per l’acquisto dell’area del<br />

Campo, ancora di proprietà demaniale.<br />

160


Dopo l’acquisizione del Campo<br />

Nel 1984 l’amministrazione locale acquisisce dal demanio<br />

il Campo a titolo gratuito e dà inizio alla riflessione in merito<br />

alla possibilità di un recupero di tipo filologico, giudicato,<br />

all’epoca, sostanzialmente improponibile.<br />

Nasce così l’idea di indire un concorso internazionale per<br />

progetti, con la dichiarata intenzione di trasformare il Campo<br />

in un Parco per la cittadinanza.<br />

Agli inizi degli anni ’90, un generale ritrovato interesse<br />

per il tema memoria della deportazione porta alla nascita<br />

dell’<strong>Associazione</strong> degli Amici del Museo Monumento e<br />

riporta Campo e Museo Monumento al centro dell’attenzione<br />

dell’amministrazione comunale, mentre il progetto<br />

di recupero viene sostanzialmente abbandonato.<br />

Sull’onda di una nuova sensibilità di stampo europeo, viene<br />

ripresa in considerazione un’ipotesi dichiaratamente filologica<br />

che non stravolga il sito.<br />

Viene così recuperata una delle baracche del campo nella<br />

quale è iniziato il lavoro di allestimento della parte est, destinata<br />

alle attività didattiche e culturali, e della parte ovest che<br />

accoglierà una mostra permanente.<br />

161


La Fondazione ex – Campo di Fossoli<br />

Nel 1995 il Comune di Carpi, nell’ambito dell’assessorato<br />

alla cultura, dà vita ad uno specifico Progetto-memoria<br />

e istituisce nel 1996 la “Fondazione ex-Campo Fossoli”,<br />

promossa congiuntamente all’<strong>Associazione</strong> “Amici del<br />

Museo Monumento” e dotata di un proprio statuto e di una<br />

struttura organizzativa.<br />

Gli obiettivi della Fondazione, che non ha scopo di lucro,<br />

sono la diffusione della memoria storica mediante la conservazione,<br />

il recupero e la valorizzazione dell’ex campo di concentramento<br />

di Fossoli; la promozione della ricerca storicodocumentaria<br />

sul Campo di Fossoli nelle sue diverse fasi di<br />

occupazione; la progettazione e l’attivazione di iniziative a<br />

carattere divulgativo, didattico e scientifico, rivolte in particolare<br />

alle scuole e ai giovani, negli ambiti di competenza<br />

propri della Fondazione, nonché dei diritti umani e dell’educazione<br />

interculturale.<br />

La Fondazione svolge attività di raccolta di documenti e<br />

testimonianze, di ricerca storica sul Campo di Fossoli e promuove<br />

attività didattiche e culturali sui temi di carattere storico.<br />

Dal 2001 la Fondazione si occupa direttamente della<br />

gestione dell’ex campo di concentramento di Fossoli e del<br />

Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale, grazie<br />

ad una convenzione con il comune di Carpi.<br />

162


Marilinda Figliozzi – Ufficio Cultura del Comune di Alatri<br />

SENZA AMBIZIONI DI RIGORE SCIENTIFICO O STORIOGRAFICO LA<br />

MIA È STATA UNA RICERCA DI TESTIMONIANZE DIRETTE DI CHI<br />

HA VISSUTO IN PRIMA PERSONA QUEGLI EVENTI, ALLO SCOPO DI<br />

DARE UN CONTRIBUTO PER RICOSTRUIRE IL CLIMA, LO STATO<br />

D’ANIMO, <strong>LE</strong> PAURE E <strong>LE</strong> SPERANZE CHE HANNO PERMEATO LA<br />

VITA DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> IN QUEGLI ANNI.<br />

Vorrei spendere preliminarmente qualche attimo per spiegare la mia presenza<br />

tra i relatori di questo convegno. Per aiutare mia figlia a realizzare un filmato,<br />

mi sono lasciata prendere dalla storia del Campo Le Fraschette per cui ho<br />

messo insieme i miei ricordi e quello che avevo letto e sentito. Ho cominciato<br />

a documentarmi e soprattutto a fare domande ai miei concittadini più<br />

attempati. È emersa una grande confusione di date, di persone, di ricordi.<br />

Lo stimolo alla ricerca mi è stato dato dall’amico Carlo Costantini che ha<br />

tanto preso a cuore la storia del Campo Le Fraschette, pervasa dal dramma di<br />

tante famiglie e tanti uomini; ho cercato quindi di ricomporre gli eventi: dagli<br />

anni ’42-’45, alla ricostruzione nel ’47, alla fase di ristrutturazione del ’59,<br />

fino alla chiusura e all’abbandono definitivo.<br />

L’occasione che mi è stata data non si esaurisce in questo autorevole<br />

Convegno, ma continua con ulteriore impegno di ricerca e di approfondimento<br />

volti a comprendere che cosa abbia rappresentato il campo Le Fraschette<br />

nelle sue varie fasi<br />

Le Fraschette ti appassiona in tutta la sua vicenda, perché è la sintesi di mezzo<br />

secolo di storia dell’Europa e del nord Africa. Tale periodo ci è passato accanto<br />

e noi Alatresi non ce ne siamo accorti. Ben pochi si sono resi conto di chi<br />

siano stati gli “ospiti” del campo e si sono chiesti perché portati a Le<br />

Fraschette, e comunque di quanto dolore sia passato di lì, perché tutti – buoni<br />

o meno buoni - avevano lasciato la Patria, la casa, la famiglia, gli amici, gli<br />

affetti.<br />

Senza ambizioni di rigore scientifico o storiografico la mia è stata una ricerca<br />

di testimonianze dirette di chi ha vissuto in prima persona quegli eventi,<br />

allo scopo di dare un contributo per ricostruire il clima, lo stato d’animo, le<br />

paure e le speranze che hanno permeato la vita di Le Fraschette in quegli<br />

anni.<br />

163


Per quel che riguarda il periodo che in quest’occasione ci interessa, è da fare<br />

riferimento all’unica lettera autografa partita dal campo da cui traspare la<br />

rassegnazione e il senso di impotenza di fronte alle lungaggini burocratiche<br />

di una certa Lidia Geber che chiede aiuto ad un cappellano militare.<br />

“caro don Ignazio (…) spero che questa mia vi troverà in buona salute come<br />

godo pure io, fino ad ora grazie a Dio. Come vedete sono ancora sempre qui,<br />

attendo giorno per giorno che mi venisse di andare a casa, ma finora niente:<br />

mi pare molto strano (...) La prego di informarsi al ministero degli interni e<br />

di mandare avanti la mia liberazione già che a Trieste l’hanno fatta e anche<br />

mia madre mi scrive che hanno detto all’ispettorato a Trieste che pare strano<br />

che ci tengono ancora qui dopo tanto che siamo chiusi qui.<br />

Vi prego di farmi questa carità .Qui è molto caldo, insopportabile di giorno,<br />

di notte fa molto freddo. Per ora vi ringrazio”<br />

Ben diverso è l’ardore con cui rivendica i suoi diritti Emilia Buonacosa, trasferita<br />

da Ventotene a Le Fraschette perché considerata pericolosa per la sicurezza<br />

pubblica e dal punto di vista politico e sociale.<br />

Protesta scrivendo alla sezione confinati politici del Ministero degli Interni<br />

perché “…l’alimentazione è un’alimentazione di fame. Tutte le tessere sono<br />

state ritirate e per questo non si riceve neppure la metà di roba che ci spetta<br />

secondo la legge d’alimentazione in tempo di guerra. Ancora peggiore è il<br />

fatto che tutta la mazzetta di lire 9 - la quale ci spetta come confinate ed inter-<br />

164


nate politiche- viene presa per due razioni di minestra uso acqua calda e per<br />

100 grammi di pane. A noi non rimane nemmeno una lira per i nostri bisogni<br />

personali, per la frutta, della quale abbiamo assolutamente bisogno come di<br />

altra roba fresca.<br />

(…) Facciamo presente che fra di noi la maggioranza non può ricevere nulla<br />

dalle famiglie e fra di noi ci sono delle ammalate di TBC, ammalate di stomaco<br />

di reni, cuore e quelle che hanno subito delle operazioni molto gravi e<br />

che devono continuamente curarsi. Noi tutte protestiamo energicamente contro<br />

questo trattamento e chiediamo la nostra immediata liberazione come<br />

confinate e internate politiche.<br />

con osservanza in nome di tutte (8 slave e una italiana) Buonacosa Emilia,<br />

Confinata politica Le Fraschette 27/8/1943”<br />

La storia di un altro gruppo di internati -gli anglo maltesi- la racconta Romeo<br />

Cini, che attualmente vive in Australia<br />

“Nel gennaio 1942, come un fulmine a ciel sereno, l’intera comunità venne<br />

arrestata. La comunità era formata allora da circa 2500 persone. Il 18 gennaio<br />

1942 fummo imbarcati su tre navi merci. Io arrivai a Napoli e con gli<br />

altri fui messo su un treno, senza sapere la nostra destinazione. Con la mia<br />

famiglia e con la maggior parte della comunità (600 persone), arrivai a<br />

Fiuggi, presso il Grande Albergo, un hotel chiuso da tempo ma riadattato ad<br />

alloggio per internati politici. Non avevamo nulla, perché ci avevano fatto<br />

abbandonare i bagagli al porto di Napoli. Fummo spogliati e disinfettati. Il<br />

giorno dopo ricevemmo i nostri abiti puliti e vedemmo, piacevolmente sorpresi,<br />

che stava nevicando. Era la prima volta che vedevamo la neve.<br />

Il primo ottobre 1942 ci fu ordinato di prepararci per il trasferimento al<br />

campo Le Fraschette […] Quando arrivammo al campo trovammo fango dappertutto<br />

a causa della pioggia torrenziale e dei lavori non ancora terminati.<br />

Ci stabilimmo in una grossa baracca dove trovammo file di cuccette con un<br />

materasso di paglia, tre coperte militari e un cuscino ciascuno. Le baracche<br />

erano divise in camerate con un lungo corridoio. Appendemmo alcune coperte<br />

per garantire un po’ di intimità alle donne. Il cibo era disgustoso e scarso,<br />

soffrivamo la fame. Mio padre si lamentò con il direttore del campo che era<br />

una brava persona, ma che non poteva andar contro alle direttive ricevute.<br />

La fame cominciò a farci deperire fisicamente. Mi ricordo che, quando riuscivamo<br />

a trovarle, le castagne erano l’unico alimento per calmare la terribile<br />

fame. Mi ricordo anche che alcuni soldati italiani che sorvegliavano il campo,<br />

165


davano parte della loro razione di pane ai bambini. Uno di loro era un siciliano<br />

di Canicattì, il cui nome non scorderò mai: Zettero.<br />

Una sera a fine novembre 1942, mentre eravamo seduti ai tavoli aspettando<br />

il pasto, la luce se ne andò lasciandoci al buio per parecchi minuti. Facemmo<br />

molto rumore con le nostre scodelle e un bimbo di 4 anni preso dal panico<br />

scappò dal controllo di sua madre. Inciampò e andò a finire nel calderone di<br />

zuppa bollente. I soldati accorsero e lo tirarono fuori, lo portarono subito<br />

all’ospedale di Alatri, ma le sue ustioni erano così gravi che morì. Quel bambino<br />

si chiamava Gaetano Falzon ed è sepolto al cimitero di Alatri. La fame<br />

era così terribile che non ci permise di rifiutare quella terribile zuppa. Oggi,<br />

con il cuore che mi trema, devo ammettere che tutti la mangiammo.<br />

Mio padre continuava a scrivere alla delegazione svizzera chiedendo l’intervento<br />

della Croce Rossa. Il 4 gennaio 1943, il primo vagone di viveri arrivò<br />

alla stazione di Frosinone. Le provviste furono conservate in un magazzino<br />

assegnato alla nostra comunità come dispensa e ufficio amministrativo. Mio<br />

padre ed altri maltesi gestivano l’ufficio. Da allora la situazione migliorò.<br />

Dopo pochi mesi i lavori nel campo furono terminati. C’era una piccola chiesa<br />

molto bella dedicata a San Francesco, una scuola e un sanatorio gestiti<br />

dalle suore, docce, campi sportivi, un bar all’entrata del campo e negozi di<br />

alimentari gestiti da tripolitani che avevano ottenuto l’autorizzazione a gestire<br />

piccoli esercizi commerciali. A febbraio fummo trasferiti in una parte<br />

migliore. (…) Passavamo qualcosa ai prigionieri slavi che non ricevevano<br />

aiuti umanitari nemmeno dalla Croce Rossa. Il campo era diventato per noi<br />

un piccolo villaggio abitato da internati politici che aspettavano solo la fine<br />

della guerra, avevamo anche una buona squadra di calcio e giocavamo contro<br />

la squadra degli slavi e quella dei guardiani del campo. Avevamo fatto<br />

amicizia con dei soldati italiani, tanto che quando loro tornavano a casa gli<br />

davamo sigarette cioccolato e the che noi ricevevamo con gli aiuti, perché li<br />

portassero alle famiglie. Indimenticabile per le sue azioni malvagie è rimasto<br />

un sergente soprannominato “Marionette”. Era basso, prepotente e soprattutto<br />

geloso dei nostri ragazzi che frequentavano le belle slave, spesso li puniva<br />

con la detenzione in isolamento..<br />

L’8 settembre 1943, due jeep di tedeschi arrivarono al campo per disarmare<br />

gli Italiani. Alcuni di loro si nascosero nelle nostre baracche e noi demmo<br />

loro degli abiti civili con cui poter scappare. I tedeschi ci dissero di non<br />

lasciare il campo, ma gli slavi fuggirono, ma noi restammo al campo senza<br />

custodia. I problemi ricominciarono di nuovo: gli aiuti non arrivavano più e<br />

i negozi erano vuoti, tre giovani furono inviati in missione presso la delega-<br />

166


zione svizzera, la pericolosa impresa riuscì e arrivò una grossa somma di<br />

denaro che noi usammo per comprare da mangiare. Un giorno arrivarono dei<br />

tedeschi e presero gli uomini per portarli ai lavori forzati: dopo alcune settimane<br />

essi fuggirono e tornarono al campo. Temendo una seconda retata mio<br />

padre suggerì ai giovani e agli uomini idonei a lavorare di fuggire sulle montagne<br />

circostanti. Ci rifugiammo nei fitti boschi aiutati dalla gente che abitava<br />

là e dalle nostre donne che venivano a trovarci e a portarci da mangiare.<br />

A metà dicembre tornammo al campo.<br />

Il 15 febbraio una squadra di aerei americani bombardò Le Fraschette, noi<br />

eravamo vittime innocenti dei nostri stessi alleati. Non avevamo vie di fuga.<br />

Alla fine contammo i morti e i feriti, questi ultimi furono trasporti da mezzi<br />

civili giunti in nostro aiuto all’ospedale di Alatri. I feriti erano molti e anche<br />

i mutilati permanenti, tra loro c’era Pasqualino Costa che è con noi a<br />

Melbourne, che perse il braccio destro. In quel tempo di paura le autorità<br />

civili italiane e quelle militari tedesche ad Alatri ordinarono l’immediato<br />

sgombro del campo.”<br />

Anche nel diario di Madre Mercedes Agostini è riportata la cronaca di quella<br />

terribile giornata del bombardamento, e alcuni particolari sono stati confermati<br />

e arricchiti dalla Signora Concetta Ellul in una mail trasmessami dal<br />

Canada, che vi leggo così come mi è pervenuta:<br />

“Il 5 febbraio 1944 alle ore 8 di mattina una squadriglia di aerei americani<br />

attaccò violentemente il campo Le Fraschette mitragliandoci senza pietà. Tanti<br />

morti e feriti, portati all’ospedale sugli autocarri dai paesi vicini Alatri. Mio<br />

padre, Michele Ellul con suo figlio Vincenzo erano feriti tutti e due sulla<br />

gamba. Nello stesso giorno il mio fratello ha fatto nove anni e perso l’intera<br />

gamba sinistra. Il nostro papà è morto il giorno dopo all’ospedale. Il mio papà<br />

è stato seppellito insieme con la gamba di Vincenzo ad Alatri. (…) Noi eravamo<br />

liberati alla fine di giugno 1944 da prigione del campo. Siamo andate con<br />

il treno da Roma fino a Napoli, era pieno di gente e pure di corpi morti. Mezzo<br />

viaggio di Roma a Napoli il treno era bombardato. Mia madre da quel giorno<br />

di la avuto tanto di difficultà con mia sorella Antonia aveva 9 anni. Maria<br />

aveva 5 anni, io avevo due anni e mezzo e il piccolo aveva tre settimane.”<br />

Romeo Cini ci racconta infine lo sgombro del Campo:<br />

“Il trasferimento iniziò nel pomeriggio di quello stesso giorno sotto una pioggia<br />

torrenziale. Prima donne anziani e bambini furono aiutati a salire sui<br />

camion e furono portati in un convento di suore ad Alatri, alloggiati in grandi<br />

sale su coperte stese sul pavimento. Nel pomeriggio del giorno seguente<br />

167


solo una piccola parte della nostra comunità venne trasferita a Roma,<br />

all’Accademia Britannica. Il resto arrivò il giorno dopo.”<br />

Dopo un lungo viaggio i Maltesi arrivano a Carpi. Da qui li portano al campo<br />

di concentramento di Fossoli, Cini ricorda:<br />

“(…) Nell’aprile del ’44, il giorno di Pasqua, l’intera popolazione di Fossoli,<br />

accompagnata dal Sindaco e dal medico locale, chiese alle autorità tedesche<br />

di permettere ai bambini di lasciare il campo e di trascorrere il giorno di<br />

Pasqua e quello seguente nel tepore delle loro case. La gente di Fossoli disse<br />

che si sarebbero presi loro ogni responsabilità. Questo fu un grande gesto, a<br />

cui i tedeschi acconsentirono. Tutte le famiglie di Fossoli vennero al campo a<br />

prendere i nostri bambini e li riportarono la sera con vestiti nuovi e molte<br />

altre cose buone. Questa dimostrazione di umanità dei modenesi toccò così a<br />

fondo i nostri cuori che non la dimenticheremo mai.<br />

La Gestapo, dopo aver saputo il motivo per cui eravamo nel campo, ci garantì<br />

la libertà e anche i documenti. I Modenesi, ancora una volta mostrarono la loro<br />

bontà e misero a nostra disposizione tutto quello che potevano. Così fummo<br />

alloggiati nelle varie case di contadini anche nelle frazioni vicine. Alla nostra<br />

partenza, la gente ci salutò con calore augurandoci ogni bene. Che brava<br />

gente! Meritano che per un momento io li ricordi per il loro grande cuore.”<br />

E infine la preziosa testimonianza di Ivan Galantic professore emerito di arte<br />

alla Tufts University negli USA<br />

“Primavera 1941 la Germania attacca la Yugoslavia, Un giorno una nave da<br />

guerra italiana attraccò al piccolo porto del mio villaggio Malinska. Il capitano<br />

della nave disse: “Sono venuto in nome di Vittorio Emanuele III re di<br />

Italia ad occupare questo villaggio”. Il responsabile del Porto chiese:” In<br />

nome di chi?“ In nome di Vittorio Emanuele III, capito?” “ Capito Signore”<br />

Tutti avevano capito che eravamo stati occupati da una forza straniera e che<br />

saremmo stati governati da un regime oppressivo.<br />

Non passò molto tempo che mi ritrovai ad essere trasferito dalla prigione<br />

locale a un campo di concentramento in Italia. (…)<br />

Dopo l’8 settembre, noi prigionieri del campo Le Fraschette ci ritrovammo<br />

liberi. E senza cibo. L’unica consolazione veniva dall’udire i colpi di cannone<br />

degli Alleati che combattevano a Cassino, che noi aspettavamo da un giorno<br />

all’altro. Ma passavano i mesi e la vita era difficile senza cibo. I contadini<br />

che vivevano nelle montagne intorno al campo non erano molto felici di<br />

168


vederci lì intorno. Infatti i tedeschi avevano fatto sapere loro che chiunque<br />

avesse aiutato i prigionieri politici sarebbe stato fucilato. (…)<br />

Io ero sempre molto affamato. Alla mia età qualche uovo o un frutto caduto<br />

non erano certo sufficienti. Un giorno di fine ottobre decisi che dovevo mangiare.<br />

Scelsi la casa di un contadino , che era isolata con l’intenzione di rubare<br />

qualcosa da mangiare. Aspettai fino a che la famiglia si fosse riunita per<br />

cenare. Quando vidi attraverso la porta aperta che la pietanza era stata portata<br />

in tavola , entrai. Sul tavolo basso c’era un piatto di legno fatto a mano<br />

che conteneva una pasta di granturco che si chiama polenta, con sopra della<br />

cicoria condita con aglio e olio. C’erano 6 o 7 persone intorno al tavolo e<br />

tutte mangiavano dallo stesso piatto.<br />

Li salutai e chiesi un po’ di acqua perché avevo sete. Loro mi guardavano<br />

senza rispondere. Avevo tenuto tutto il tempo gli occhi sulla polenta, con la<br />

chiara intenzione di affondarvi entrambe le mani, prenderla e scappare.<br />

Preso in queste considerazioni, con gli occhi sempre incollati sul pasto<br />

caldo, sentii le parole più belle della mia vita, accompagnate dal rumore di<br />

un altro sgabello avvicinato al tavolo e di un’altra forchetta che si piantava<br />

nella polenta. Non in Dante, nemmeno in Shakespeare e nemmeno nel<br />

Vangelo si possono trovare parole più belle , anche se pronunciate in un<br />

dialetto molto marcato: “che po fa’, pur’iss è figlie de mamma” In quella<br />

casa di contadini ho avuto testimonianza del più grande valore che l’uomo<br />

possa conoscere. Ho visto la bontà.”<br />

“Pur’iss è figlie de mamma”, “ anche lui è figlio di una mamma” ! Tale emblematica<br />

affermazione unisce Alatri alla città di Fossoli, che sono state entrambe<br />

testimoni di quella grande sventura che è la guerra e hanno entrambe dato<br />

prova di generosità nei confronti delle sue vittime.<br />

In conclusione ritengo opportuno un doveroso ringraziamento per la collaborazione<br />

ad Agnese Sperduti e Pietro Antonucci, alle mie figlie Marta e<br />

Miriam, a Carla, Alessandra e Anna per le traduzioni dal tedesco, inglese,<br />

croato, albanese.<br />

Grazie ancora all’Avv.Remo Costantini, ora Assessore alla Cultura, alla<br />

Dott.ssa Infante, già Commissaria al Comune Peppe Evangelisti, Gino<br />

Minnucci, Filippo Petricca, Valentino Capitanelli e al Sig Benenati, per avermi<br />

concesso di visionare il materiale in loro possesso. Grazie soprattutto ai<br />

miei concittadini un po’ attempati che hanno scavato nei loro ricordi.<br />

169


Don Giuseppe Capone – storico – scrittore<br />

QUANDO PUBBLICAI IL LIBRO “LA PROVVIDA MANO” PARLAI<br />

CON MADRE MERCEDES; <strong>LE</strong> CHIESI “POSSO PUBBLICARE IL TUO<br />

DIARIO ?” … MI DISSE “SAREI CONTENTA SE LO PUBBLICASSE” E<br />

MI ACCORSI CHE <strong>LE</strong> LACRIME <strong>LE</strong> USCIVANO DAGLI OCCHI, ERA<br />

COMMOSSA.<br />

Quando venni qui ad Alatri, nel lontano 1945 sentivo tanto parlare di Le<br />

Fraschette: il Campo era stato chiuso e la gente non c’era più; ma si potevano<br />

riconoscere pannelli e moduli di prefabbricato che una volta erano appartenuti<br />

alle abitazioni del Campo.<br />

S’era trattato solo … di cambio di proprietà.<br />

Durante il tempo di quell’internamento io non c’ero; mentre sono stato a<br />

sostituire il Cappellano, ma nel Campo successivo, e fu in quella circostanza<br />

che vidi quanta sofferenza c’era dietro i fili spinati …<br />

Gli internati del primo Campo erano stati seguiti da mons. Facchini, che quasi<br />

tutti i giorni veniva quaggiù; ma tutta quella storia triste l’ho vissuta nei<br />

ricordi e nel diario di Madre Mercedes, la superiora delle suore che operavano<br />

nel Campo, fatte venire da mons. Facchini… Quando preparavo la pubblicazione<br />

del libro “La provvida mano”,<br />

andai a parlare con questa suora: accettò che<br />

si stampasse il suo diario, e mi accorsi che,<br />

a quei ricordi, s’era tanto commossa…<br />

Mons. Facchini, oltre che all’assistenza spirituale<br />

spesso provvedeva a lasciare cospicue<br />

offerte per gli internati più bisognosi, e<br />

la “Pontificia Opera Assistenza” seguiva con<br />

attenzione tutte le vicende del Campo, tramite<br />

inviati che la rappresentavano..<br />

Dopo tanto tempo, abbiamo ancora ricordi<br />

vivi da Le Fraschette… Venendo quaggiù,<br />

questa mattina, sentivo un brivido strano;<br />

ma non so dire perché questa via e questo<br />

luogo mi crea quest’emozione profonda...<br />

Nel secondo Campo, infatti, ero stato colto<br />

dall’angoscia del filo spinato e delle garitte<br />

Don Capone storico-scrittore<br />

con le guardie armate di fucile… Certe real-<br />

170


tà non si scordano più … anche da mons. Baldelli, presidente della Pontificia<br />

Opera di Assistenza, seppi di quanta ansia e di quanta pena è sparso questo<br />

terreno sempre umido di Le Fraschette …<br />

Ora ci stiamo domandando che farne di questo Campo… Quale potrebbe<br />

essere il più appropriato “ricordo storico”… Dopo sessanta anni, aspettiamo<br />

che qualcuno ci dica cosa farne, per non lasciare sepolta e dimenticata, tra<br />

erbacce e rovi, tanta storia di dolore …<br />

Franco Nardi - Archivio di Stato di Frosinone<br />

IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> APRÌ LA SUA<br />

ATTIVITÀ UFFICIALMENTE IL 1° OTTOBRE 1942. IL PRIMO DOCU-<br />

MENTO DELL’ARCHIVIO DI STATO CHE LO MENZIONA È DATATO<br />

11 DICEMBRE 1941. VARIE ERANO <strong>LE</strong> NAZIONALITÀ CHE DOVEVA<br />

RACCOGLIERE: CROATI, SLAVI, TRIPOLINI, SLOVENI, MONTENE-<br />

GRINI, ALBANESI, ITALIANI.<br />

Ancora una volta il presidente dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di<br />

Frosinone, ci ha coinvolti in un impegnativo e avvincente progetto di ricerca<br />

e di studio.<br />

La materia è vasta, ma tanti lati però sono ancora da approfondire e mettere in<br />

luce. La nostra attenzione si è rivolta su alcune pubblicazioni che sono illuminanti<br />

per la validità e l’indirizzo di ricerca che esse offrono. Prima di tutto<br />

voglio dare lustro in una città, Alatri, che può essere presa a simbolo per l’arte<br />

e la cultura dell’intero territorio della Ciociaria, ad una nostra conterranea,<br />

nonché collega archivista, Gina ANTONIANI PERSICHILLI, ora impiegata al<br />

Tribunale di Frosinone. Quando era all’Archivio Centrale dello Stato a Roma<br />

ha inventariato il fondo del Ministero dell’Interno ed ha pubblicato nella<br />

“Rassegna degli Archivi di Stato” uno studio di esemplare lucidità su normative<br />

e fonti archivistiche per l’internamento in Italia degli anni 1940-1943.<br />

Ciò che ci inorgoglisce è che oggi abbiamo, tra i relatori, storici e scrittori<br />

qualificati sulla materia.<br />

Di Fabio GALLUCCIO non si può tacere l’appassionata ricerca di luoghi e<br />

memorie che, come abile pittore, tratteggia in forma leggera e decisa quei fatti<br />

perché alla mente degli spettatori fossero sempre presenti nella loro tragicità,<br />

ma con altrettanta lucida razionalità, vengano per sempre rifiutati.<br />

Ho provato grande sollievo nel leggere le memorie scritte dalle Suore<br />

171


Giuseppine di Veroli, che il presule mons. FACCHINI, sempre vivo nella<br />

memoria degli Alatrensi, volle a sostegno e sollievo dei malcapitati internati.<br />

Da questo racconto si può capire che anche le più grandi tragedie, come quelle<br />

vissute nella II Guerra Mondiale possono essere riscattate, umanizzate e<br />

superate da un volto, da una parola, da un gesto di chi ti sta vicino, come seppero<br />

fare con coraggio quelle suore.<br />

Il campo di concentramento di Le Fraschette aprì la sua attività ufficialmente<br />

il 1° ottobre 1942, ma già la notizia della sua costruzione era circolata in<br />

Alatri dal 1940. Il primo documento dell’Archivio di Stato che lo menziona è<br />

datato 11 dicembre 1941. Varie erano le nazionalità che doveva raccogliere:<br />

croati, slavi, tripolini, sloveni, montenegrini, albanesi, italiani.<br />

Così tante nazionalità si spiega con il fatto che l’Italia dal 10 giugno 1940 era<br />

entrata in guerra.<br />

Le sue azioni molto spesso avevano eguagliato l’efferatezza dei nazisti, con<br />

repressioni e deportazioni di massa.<br />

Le Fraschette presto raggiunsero l’elevato numero di 5.500 unità, che portano,<br />

dalla documentazione consultata, ad essere il maggior campo di concentramento<br />

in Italia. La sua attività cessa con la partenza dei tripolini il 25 e 27<br />

febbraio 1944 per Fossoli di Carpi, mentre gli altri gruppi etnici o vengono<br />

rimpatriati (come dicono le suore, nel memoriale di quelle vicende) o vengono<br />

inviati a Cairo Montenotte (come si afferma nel recente volume su mons.<br />

FACCHINI).<br />

Le suore accompagnano il gruppo tripolino, ma non trovano spazio per la loro<br />

benefica assistenza. Il loro giudizio è negativo per le condizioni igieniche e<br />

per l’angustia degli spazi che trovarono nel nuovo campo di concentramento.<br />

Gruppo di ricerca: Franco NARDI, Onorina RUGGERI, Maria DE SORBO,<br />

Giulio BIANCHINI. Elaborazione informatica: Gianni PULCINELLI e collaborazione<br />

di Gina SANTORO.<br />

Gatta Veronica e Cappella Valentina - studentesse della classe 5/F<br />

dell’Istituto Chimico Biologico di Alatri<br />

UNO DI QUESTI CAMPI, CHE ANDREBBE RECUPERATO AL SUO<br />

VALORE STORICO E DI MEMORIA È PROPRIO AL<strong>LE</strong> PORTE DELLA<br />

NOSTRA CITTADINA, ALATRI, ED È IL CAMPO DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>,<br />

PROGETTATO IN UN PRIMO TEMPO PER ACCOGLIERE I PRIGIONIE-<br />

172


RI DI GUERRA E IN UN SECONDO TEMPO ADIBITO ALL’INTERNA-<br />

MENTO DEI CIVILI DEPORTATI.<br />

Nell’Europa occupata da Hitler vennero costruiti campi di ogni genere e di<br />

ogni grandezza: campi di lavoro, campi di transito, campi per prigionieri di<br />

guerra, campi di concentramento.<br />

Tra tutti, i più numerosi furono i campi di concentramento, i lager, il cui scopo<br />

era quello di uccidere le persone che vi giungevano.<br />

La costruzione di tali teatri dell’orrore si ebbe soprattutto nel territorio tedesco<br />

e polacco: AUSCHWITZ, TREBLINKA, DACHAU, BELZEC….<br />

Altri campi di concentramento, alcuni dei quali non preposti al piano di<br />

ambientamento noto come “soluzione finale” e strutturati come veri e propri<br />

campi di rifugio per profughi, vennero costruiti anche in Italia.<br />

Uno di questi, che andrebbe recuperato al suo valore storico e di memoria è<br />

proprio alle porte della nostra cittadina, Alatri, ed è il campo di Le<br />

Fraschette, progettato in un primo tempo per accogliere i prigionieri di guerra<br />

e in un secondo tempo adibito all’internamento dei civili deportati.<br />

Nel 1943 ospitava circa 5.500 internati croati, sloveni, montenegrini, albanesi<br />

e tripolini italiani. Molti erano i bambini.<br />

È opinione diffusa che la vita all’interno dei campi sia indescrivibile e irrappresentabile.<br />

Chi ha avuto la fortuna, come noi, di vivere in un’epoca di pace può solamente<br />

immaginare una vita che non può definirsi tale, in baracche sovraffollate<br />

dove elevata era la mortalità dovuta alle precarie condizioni igieniche, al freddo,<br />

alla scarsità di cibo, al vestiario inadeguato, una vita difficile, disordinata,<br />

fatta di sacrifici, nostalgia, rimpianti e contrassegnata da emozioni e sentimenti<br />

legati alla paura, al senso di vuoto e di morte.<br />

Persone che venivano trattate in modo disumano, eliminate …<br />

Ma cosa avevano di diverso dai carnefici?<br />

Non avevano forse un cuore, un cervello, mani, braccia, piedi e gambe come<br />

loro?<br />

Già … eppure in quei campi smise di battere il cuore di milioni di persone<br />

ormai quasi dimenticate e fatte resuscitare solo in occasioni come queste.<br />

173


Falconi Valeria e Lisi Morena - studentesse della classe 5/A dell’I.T.C. di<br />

Alatri<br />

LA STORIA È TROPPO IMPORTANTE PERCHÉ RESTI MATERIA DI<br />

POCHI, BISOGNA COMBATTERE LA TENDENZA A DIMENTICARE E<br />

A RIMUOVERE IL PASSATO; SOPRATTUTTO È NECESSARIO<br />

RIF<strong>LE</strong>TTERE SUI CAPITOLI DELLA COSIDDETTA STORIA DELLA<br />

DISUMANITÀ.<br />

“Meditate che questo è stato”. La storia è troppo importante perché resti<br />

materia di pochi, bisogna combattere la tendenza a dimenticare e a rimuovere<br />

il passato; soprattutto è necessario riflettere sui capitoli della cosiddetta storia<br />

della disumanità. “Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango<br />

e non conosce pace, che lotta per mezzo pane e che muore per un Si o per un<br />

No! “i versi di Primo Levi ricordano a tutti la storia dei lager ovvero dell’umiliazione,<br />

dell’offesa e della degradazione dell’uomo prodotta da altri uomini.<br />

Diffusi in tutta Europa, i lager erano luoghi di internamento per nuclei familiari,<br />

in particolare donne e bambini. La vita nei lager era durissima. Gli internati<br />

venivano svegliati all’alba, veniva consegnato loro un tozzo di pane e<br />

dopo l’appello si recavano sul posto di lavoro. Lavoravano fino al tramonto<br />

con un intervallo di mezz’ora per il loro misero pasto e alla fine della giornata<br />

tornavano al campo, dove li aspettava una scodella di minestra e una piccola<br />

cuccetta, che doveva ospitare necessariamente almeno due persone. Le condizioni<br />

igienico-sanitarie erano estremamente precarie, ma la cosa che più<br />

deve far riflettere è che gli internati non erano uomini ma numeri. Privati di<br />

qualsiasi diritto e della propria identità. Il campo geograficamente più vicino<br />

a noi fu quello di Le Fraschette, inizialmente progettato per farne un “villaggio<br />

accantonamento profughi”.<br />

Ma per ragioni legate allo sviluppo militare e politico divenne un campo di<br />

concentramento per internati civili. Oggi ciò che resta di quel campo è una<br />

semplice distesa di terreno sulla quale i bambini dei dintorni trascorrono il<br />

loro tempo libero giocando a pallone, inconsapevoli del fatto che in quello<br />

stesso luogo e sotto lo stesso cielo, centinaia di bambini sono stati strappati<br />

alla loro infanzia. Qui di seguito riportiamo la testimonianza di Maria, una<br />

ragazza allora undicenne, sopravvissuta al lager “Vedevo quel grande camino<br />

fumare, ma mi avevano detto che lì bruciavano l’immondizia e anche i nostri<br />

bagagli. Noi bambini eravamo per lo più terrorizzati perché vivevamo rin-<br />

174


chiusi nei carri bestiame. Eravamo chiusi dentro senza mangiare e senza<br />

poter soddisfare necessità di nessun genere. Non c’era niente e a me bastavano<br />

poche ore per cominciare a perdere il senso delle cose e della vita stessa”<br />

Queste parole trasmettono infatti le emozioni ed i ricordi di una voce cui fu<br />

imposto il silenzio; per noi che viviamo in un mondo libero privo di restrizioni<br />

è difficile immedesimarsi in situazioni del genere eppure è successo ed è<br />

nostro compito fare in modo che tutto questo rimanga vivo nei nostri pensieri.<br />

Aspettiamo con ansia il giorno in cui si riconoscerà a tutti, indistintamente,<br />

il diritto di essere uomini, cosicché l’uomo potrà imparare a vivere e a<br />

sognare senza temere la morte e la distruzione.<br />

don Claudio Pietrobono – direttore dell’Archivio diocesano<br />

SI È PARLATO DI MONS. FACCHINI MA CI SONO NOTIZIE DI INTE-<br />

RESSAMENTO DI ALTRI VESCOVI COME QUELLO DI TRIESTE E<br />

QUELLO DI GORIZIA, DUE DEL<strong>LE</strong> DIOCESI CHE AVEVANO CENTI-<br />

NAIA DI PERSONE PRESENTI QUI A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>.<br />

Il nostro vescovo mons. Loppa è a Roma per la visita “ad limina” e quindi non<br />

è potuto essere presente: mi ha incaricato di portare il suo saluto.<br />

Si è parlato di mons. Facchini ma ci sono notizie di interessamento di altri<br />

vescovi come quello di Trieste e quello di Gorizia, due delle diocesi che avevano<br />

centinaia di persone presenti qui a Le Fraschette.<br />

Il vescovo di Gorizia, Carlo Margotti, è stato vescovo dal 1934 al 1951 e ha<br />

fatto un intervento particolare in data 23.08.1943 presso il generale Badoglio,<br />

allora capo del Governo, in favore degli internati della sua diocesi. C’è stata<br />

poi anche una visita al Campo il 12.05.1943 di mons. Antonio Santin, vescovo<br />

di Trieste, con il nostro vescovo Facchini.<br />

Questi interventi e anche queste visite andrebbero un po’ approfondite con<br />

ricerche apposite, ma non c’è stato abbastanza tempo per farlo, abbiamo scritto<br />

a Trieste e Gorizia, ma ancora non ci danno risposta su questi personaggi<br />

che sono ricordati come mons. Facchini per la loro vicinanza alle vittime della<br />

barbarie.<br />

Non mi dilungo ulteriormente anche perché non c’è tempo, ringrazio tutti.<br />

175


Padre Umberto Fanfarillo - contributo di un testimone<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> LUOGO DI SOFFERENZE E DI TRISTEZZA O DI<br />

MORTE, COME L’EBBE A CHIAMARE UN PROFUGO DELLA TUNI-<br />

SIA, POSSA DIVENTARE UN LUOGO DI ACCOGLIENZA, DI<br />

SOLIDARIETÀ, DI CONVIVENZA CIVI<strong>LE</strong> E DI APPUNTAMENTI CUL-<br />

TURALI E RELIGIOSI.<br />

GLI OCCHI DI UN BAMBINO RACCONTANO<br />

Indelebili tornano ad affollare la mente gli anni della mia fanciullezza, trascorsa<br />

nella casa paterna a poche centinaia di metri dal Campo di concentramento<br />

Le Fraschette, in Alatri. Impaurito, con gli occhi che assistono<br />

impietriti a scene di violenza, di grida e a ripetuti tentativi di evasione dal terribile<br />

campo n. 1. Avevo allora, appena otto anni, quando insieme ai miei<br />

cugini, vissi un’esperienza unica permeata di paura e di un sottaciuto interesse<br />

di curiosità o di gioco da bambino.<br />

1. Un tedesco colpito a fucilate<br />

Ricordo con chiarezza un episodio che, solo ora, riesco a decifrare e a definirlo<br />

come un gesto pieno di odio e di vendetta. Gli spari a ripetizione di un<br />

moschetto richiamano forte la mia attenzione verso un uomo che, calatosi dal<br />

muro del campo adiacente la mia casa, tenta disperatamene la fuga verso i<br />

boschi e le colline. I miei occhi da bambino assistono impietriti e vedono poliziotti<br />

armati che, mentre corrono all’inseguimento, continuano a sparare nella<br />

direzione del fuggiasco. Ma ciò che sto per raccontare sembra incredibile!<br />

Grida da lontano: è un tedesco, è un tedesco, prendetelo! Dalle case limitrofe<br />

escono fuori contadini, donne, giovani e bambini, tra questi anch’io, partecipo<br />

alla battuta per prendere il fuggiasco. Premetto che, un mio conoscente, era<br />

da poco tornato dalla Germania, dove era stato deportato dai nazisti e rinchiuso<br />

per più di due anni nel campo di concentramento di Dachau, una prigionia<br />

vissuta con un trattamento da cane!<br />

Quella parola: è un tedesco! è un tedesco! genera una reazione di vendetta a<br />

questo conoscente, il quale imbraccia subito il fucile da caccia, lo carica a pallettoni<br />

e si dirige all’inseguimento dell’odiato tedesco. Accompagnato da una<br />

decina di ragazzi e bambini che gridavano, quasi fosse una battuta di caccia o<br />

di gioco: fermati, non scappare, brutto tedesco! Sulla collina della contrada<br />

“Castagneto”, l’inseguitore con la rabbia in corpo vede quell’uomo, ormai<br />

176


stanco e provato e fa fuoco senza pietà! “Vendicato il tedesco” esclama!<br />

Noi bambini, terrorizzati, ci siamo allontanati dal luogo senza più grida, ma<br />

un grande silenzio avvolge le nostre tenere vite!<br />

2. Le gambe fratturate<br />

Una luce accecante illuminava di notte le colline antistanti il campo Le<br />

Fraschette: era un faro posto sopra ad una garitta e serviva per controllare<br />

qualsiasi tentativo di fuga degli internati. Furono più di venti gli internati<br />

che, in una notte piovosa, riuscirono a fuggire, dopo aver scavato un tunnel<br />

sotto il muro. La guardia della garitta vicina al luogo della fuga era ritenuto<br />

responsabile e quindi soggetto a punizione pesante. Pietrosanti Camillo, quella<br />

sera era di guardia: quando si accorse della fuga, senza pensarci due volte,<br />

si gettò dalla garitta aggrappato solo ai fili del telefono e cadendo si fratturò<br />

le gambe. Così i fuggitivi riacquistarono la libertà.<br />

3. La carità dei bambini verso i prigionieri<br />

Noi bambini solidali con i profughi e la guardie: il campo n° 2 era quello che<br />

dava permessi d’uscita agli internati. Una volta fuori si riversavano per le<br />

campagne in cerca di qualcosa da mangiare o da vestire. Noi bambini davamo<br />

frutta e altre cose della campagna, era tutto ciò che potevamo dare!<br />

4. La memoria del tempo:<br />

1955 quel bambino di otto anni, entrava in seminario a Fossanova<br />

1969 e diventò sacerdote francescano dei Frati Minori Conventuali della<br />

Provincia Romana<br />

1969 Domenica delle Palme .... Prima Messa a Le Fraschette del Novello<br />

Sacerdote P. Umberto Fanfarillo.<br />

5. La Prima Messa del novello sacerdote P. Umberto Fanfarillo a Le<br />

Fraschette<br />

È sicuramente commovente far memoria di eventi che hanno segnato la storia<br />

del Campo Le Fraschette. Una lunga processione con le palme e ramoscelli<br />

d’olivo si snodava lungo il viale che portava verso la cappella del Sacro<br />

Cuore dentro il campo. Erano i francescani Conventuali ad assistere in quel<br />

177


periodo gli ospiti di Le Fraschette. P. Alfredo Spigone, insieme ad altri<br />

Confratelli, parenti e molti fedeli convenuti dalle contrade limitrofe erano presenti<br />

per partecipare alla Prima Messa di P. Umberto Fanfarillo, loro concittadino,<br />

a ridosso della casa paterna.<br />

Quella cappella, allora così accogliente e preziosa per i profughi, ma anche per<br />

tanti cristiani provenienti dalle campagne delle zone circostanti, ora purtroppo,<br />

appare solo un rudere e un ricettacolo di vandalismo e di prostituzione.<br />

6. Per una nuova dignità alla Cappella del Sacro Cuore<br />

2006 Un desiderio: ridare dignità a questo luogo, teatro, un tempo, di tante sofferenze,<br />

restaurare il piccolo tempio di Cristo, la Cappella del Sacro Cuore di<br />

Gesù, e poter tornare a celebrarvi la S. Messa! È un mio sogno, ma anche il<br />

sogno, più volte espresso, di moltissimi abitanti del posto. È un appello che<br />

desidero rivolgere, oggi, alle autorità competenti, in primis, al Sindaco di Alatri!<br />

7. La festa della Madonna di Lourdes !<br />

Sono più di dieci anni che, grazie al Comitato formato da alcune volenterose<br />

persone delle contrade Le Fraschette e Castagneto, sono invitato a partecipare<br />

ogni anno nella prima domenica di agosto a questa bella festa della<br />

Madonna di Lourdes. Tre serate all’insegna di numerose manifestazioni religiose<br />

e ricreative: suggestiva la fiaccolata la sera del sabato, proprio lungo il<br />

viale che conduce alla piccola chiesa del Sacro Cuore, come pure la processione<br />

per la strada che fiancheggia il campo di Le Fraschette. Oltre all’afflusso<br />

di numerose persone, famiglie, giovani e ragazzi, ho sempre visto, con piacere<br />

la presenza delle autorità del Comune di Alatri, spesse volte il Sindaco,<br />

con tanto di compiacimento e di incoraggiamento da parte del parroco di S.<br />

Maria, Don Luigi. Vedere tanta gente alla Messa da me celebrata, per me è<br />

sempre stata una grande gioia e lo sarà, sono sicuro, anche per il futuro!<br />

8. Un auspicio:<br />

L’Ostello di Le Fraschette possa veramente segnare la rinascita di un<br />

ambiente, un tempo definito “lager”, luogo di sofferenze e di tristezza o di<br />

morte, come l’ebbe a chiamare un profugo della Tunisia, per diventare un<br />

luogo di accoglienza, di solidarietà, di convivenza civile e di appuntamenti<br />

culturali e religiosi. Grazie!<br />

178


Alessandro Semplici – consigliere della “Provincia” di Frosinone<br />

SONO QUI OGGI A PORTARE IL SALUTO DEL PRESIDENTE DEL-<br />

L’AMMINISTRAZIONE PROVINCIA<strong>LE</strong> AVV. FRANCESCO SCALIA A<br />

QUESTO CONVEGNO DI STUDI IN UN LUOGO CHE È STATO DI SOF-<br />

FERENZA CHE DEVE DIVENTARE LUOGO DI MEMORIA.<br />

Sono onorato di essere qui a portare il saluto del Presidente<br />

dell’Amministrazione provinciale avv. Francesco Scalia, della Giunta provinciale<br />

e del Consiglio provinciale.<br />

Sono due volte che l’Amministrazione Provinciale mi manda a rappresentare<br />

l’Istituzione in due appuntamenti importanti<br />

che, riguardano entrambi l’<strong>Associazione</strong><br />

<strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>.<br />

Sono qui, oggi a portare il saluto a questa<br />

importante manifestazione in un luogo che è<br />

stato purtroppo di sofferenza, ma che credo<br />

debba diventare un luogo di memoria, un luogo<br />

che possa insegnare soprattutto alle generazioni<br />

future (qui ci sono dei giovani, ci sono le<br />

scuole) che gli errori e gli orrori che si sono<br />

commessi in passato non vengano più ripetuti.<br />

Come ha scritto Italo Calvino “il futuro ha un<br />

cuore antico”: noi non possiamo cercare di<br />

essere migliori domani se non ricordando ciò<br />

che è stato nel passato; perché la storia, anche<br />

recente, ci insegna che nell’ex Jugoslavia c’è<br />

stata purtroppo ancora l’esperienza dei campi di<br />

concentramento.<br />

Parlavo di una felice casualità: due settimane fa<br />

sono stato, infatti, ad Avellino a consegnare il<br />

premio “Don Giuseppe Morosini” nato a<br />

Ferentino, medaglia d’oro al valor militare,<br />

eroe e martire della Resistenza (ricordato splendidamente<br />

da Rossellini nel film “Roma città<br />

aperta”, in cui Aldo Fabrizi interpretava don<br />

Giuseppe Morosini anche se nel film aveva un<br />

Il consigliere provinciale<br />

Alessandro Semplici<br />

porta il saluto del Presidente<br />

della Provincia di Frosinone<br />

avv. Francesco Scalia<br />

179


altro nome, si chiamava don Pietro). In quell’occasione ho consegnato il premio<br />

“Don Morosini” al senatore Agostini, Presidente nazionale<br />

dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, ed oggi mi trovo qui a Le Fraschette in<br />

un Convegno di studi organizzato dalla stessa A.P.C..<br />

Faccio i miei migliori complimenti a tutti coloro che hanno lavorato per organizzare<br />

il Convegno, ai relatori e a quanti sono intervenuti.<br />

Vi auguro buon lavoro. Grazie.<br />

Carlo Costantini – Segretario provinciale di Frosinone dell’A.P.C., già<br />

Sindaco di Alatri<br />

IL MIO AUGURIO È CHE VENGA ESAMINATA E ACCETTATA L’IDEA<br />

DI UNA FONDAZIONE CHE PORTI AVANTI LA VALORIZZAZIONE DI<br />

QUESTO CAMPO, PER QUELLO CHE RAPPRESENTA E SOPRATTUT-<br />

TO PER L’INSEGNAMENTO CHE PUÒ DERIVARNE AL<strong>LE</strong> GENERA-<br />

ZIONI FUTURE E IN PARTICOLARE AI RAGAZZI<br />

Io non devo fare un discorso perché ne sono stati fatti tanti che in gran parte<br />

condivido. Ho ascoltato, con particolare commozione, due ricordi, due segnalazioni<br />

di Marilinda, una riguardante gli abitanti di Fossoli e una riguardante<br />

gli abitanti di Alatri per la generosità e l’affetto che hanno dimostrato nei confronti<br />

degli internati dei rispettivi campi. Anche per questo noi da tempo, da<br />

quattro anni, lavoriamo a questa memoria e vorremmo che al più presto si realizzasse<br />

un qualche cosa di concreto. Quattro anni fa lo abbiamo fatto, in un<br />

Convegno nella biblioteca comunale, oggi lo facciamo qui a ridosso del<br />

Campo; speriamo di poterlo fare l’anno prossimo dentro uno di questi capannoni<br />

finalmente restaurati. Quella che volevo fare è una proposta pratica, e mi<br />

rivolgo ai rappresentanti del Comune, della Provincia, della Regione, ai rappresentanti<br />

delle Banche locali, in particolare a quelle tre che operano qui ad<br />

Alatri oltre che nella provincia di Frosinone, perché si arrivi ad una<br />

Fondazione che vada oltre le istituzioni comunale e provinciale e porti questo<br />

problema alla ribalta regionale anche per quanto riguarda il finanziamento.<br />

Perché, come diceva giustamente l’assessore Costantini, non sappiamo se<br />

quel milione di euro siano sufficienti per sdemanializzare tutto il territorio del<br />

campo. Permettete che sottolinei la cosa assurda che il Comune e la Regione<br />

debbano pagare un prezzo allo Stato quando dovrebbe essere lo Stato a valorizzare<br />

luoghi come questi; purtroppo la burocrazia italiana è così. Questa è<br />

180


l’unica proposta che io sento di poter fare in base all’esperienza avuta in questi<br />

cinque anni nei quali ci siamo occupati di questo Campo; il mio augurio è<br />

che venga esaminata e accettata l’idea di una Fondazione, come del resto<br />

hanno fatto egregiamente a Fossoli e in Calabria, che porti avanti la valorizzazione<br />

di questo Campo, per quello che rappresenta e soprattutto per l’insegnamento<br />

che può derivarne alle generazioni future e in particolare ai ragazzi<br />

come quelli che oggi sono venuti qui e che hanno collaborato con noi per<br />

questa manifestazione.<br />

Ringrazio il coordinatore del Convegno, dr. Costantini, l’Archivio di Stato, il<br />

Liceo “Luigi Pietrobono”, l’Istituto di Istruzione Superiore, il prof. Galluccio,<br />

gli amici di Fossoli che noi non conoscevamo mentre abbiamo conosciuto i<br />

loro predecessori, perché siamo stati a Fossoli con il sindaco Morini e siamo<br />

stati accolti con calore e amicizia; ci hanno fatto visitare le due splendide realizzazioni<br />

che sono il Museo e il Campo Fossoli dove c’è una baracca restaurata<br />

che è meta anche delle tante visite di cui ci ha parlato il sindaco.<br />

Ringrazio ovviamente tutti e i collaboratori tecnici, Angelucci, Fiorini e gli<br />

altri che hanno collaborato alla riuscita del Convegno, i membri del comitato<br />

provinciale dell’A.P.C., il prof. Rendina, segretario regionale dell’ANPI, il dr.<br />

Olini, segretario nazionale dell’A.P.C. e la dott.ssa Carla Roncati, delegata<br />

femminile nazionale dell’A.P.C.. Ringrazio la stampa che è stata presente e<br />

che ha dato un adeguato spazio a questa manifestazione.<br />

La Prof.ssa Slavica Plahuta, ricercatrice e scrittrice già citata, mi ha mandato<br />

da Nova Gorica due altre testimonianze di internati nel campo Le Fraschette,<br />

di cui do lettura:<br />

Testimonianza di Iolanda Simcic Majolka<br />

Le guardie ci hanno portato sull’autobus. Con altre viaggiatrici siamo andati<br />

nella prigione femminile Kostagnevci in Gorizia. Nel marzo del 1943 ci<br />

hanno portato nel campo Le Fraschette ad Alatri in provincia di Frosinone<br />

vicino Roma.<br />

Dopo la caduta del fascismo le guardie hanno deposto le armi e tutti siamo<br />

stati liberati. Abbiamo camminato fino alla stazione di Frosinone; mi ricordo<br />

che la gente ci ha aiutato senza egoismi.<br />

Ci siamo messi sul primo treno fino a Roma. Lì siamo scesi, ci attendeva della<br />

brava gente e ci hanno sistemate in un convento femminile. Ci hanno offerto<br />

vitto, alloggio e vestiti e siamo stati lì per alcuni giorni. Da là ci siamo messi<br />

181


in viaggio sul treno fino a Bologna dove abbiamo vissuto il bombardamento.<br />

Abbiamo lasciato le carrozze e ci siamo nascosti. Il giorno dopo abbiamo<br />

fatto il viaggio a piedi da Bologna fino alla prima stazione ferroviaria attiva e<br />

da là siamo arrivati in qualche modo a Gorizia.<br />

Testimonianza di Franc Pasetta<br />

Il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri si trova a 80 km a sud di<br />

Roma in provincia di Frosinone su una collina sotto i monti Ernici. Li si trovavano<br />

gli sloveni e i deportati da Tripoli, Libia. Nel 1941 tante persone della<br />

Jugoslavia sono state catturate e smistate nei campi. In una parte hanno sistemato<br />

i gruppi Dalmati e Montenegrini. Nell’estate del 1942 sono arrivati i<br />

gruppi dalla Slovenia, dalla Croazia (Gorskega Kotarja). In alcune baracche a<br />

parte c’erano i deportati di Tripoli, lì c’erano anche Slovene prese in buona<br />

parte nelle zone costiere e qualche italiano. Le slovene più anziane erano<br />

internate perché avevano i figli nei partigiani per cui l’esercito italiano dubitava<br />

di una loro collaborazione. Capivano che gli jugoslavi erano organizzati<br />

tra loro. Nel 1943 l’Italia ha subito una grande sconfitta in Africa e nel frattempo<br />

gli alleati sono sbarcati in Sicilia. Il governo fascista aveva deciso che<br />

i confinati per motivi politici nelle isole del Sud Italia fossero spostati nel<br />

campo Le Fraschette. Fra loro c’erano all’incirca 100 maschi la cui maggior<br />

parte erano italiani, albanesi e qualche sloveno. Le slovene hanno insegnato<br />

alle giovani la lingua materna. Si percepiva un grande sollievo quando l’Italia<br />

capitolò. I primi che scapparono dal campo erano i rappresentanti del partito<br />

fascista. Il primo gruppo ad andarsene è stato il gruppo di Primorak, quelle<br />

che più di tutti conoscevano l’italiano. I maschi sono rimasti indietro e con<br />

l’aiuto dei partigiani hanno avuto i documenti e sono tornati a casa. Qualcuno<br />

è rimasto per combattere a fianco dei partigiani. Entro il dicembre 1943 tutti<br />

gli sloveni hanno abbandonato le Fraschette.<br />

Mi auguro di non dover fare più manifestazioni per chiedere che si faccia<br />

qualche cosa per la memoria del dolore e della sofferenza degli internati nel<br />

Campo, ma che la prossima manifestazione si possa svolgere in una baracca<br />

restaurata del campo dove inviteremo, certamente, gli amici qui presenti oggi<br />

e anche altri che oggi non sono potuti intervenire. Grazie<br />

182


RINGRAZIAMENTI<br />

Archivio Centrale dello Stato di Roma<br />

Archivio di Stato di Frosinone<br />

il suo direttore dr.ssa Viviana Fontana<br />

i componenti del gruppo di ricerca, Franco Nardi, Onorina Ruggeri, Maria De<br />

Sorbo, Giulio Bianchini, l’ elaboratore inf. Gianni Pulcinelli e la collaboratrice<br />

Gina Santoro<br />

Archivio di Stato di Trieste<br />

Curia Arcivescovile di Gorizia<br />

Curia Vescovile di Trieste<br />

Fondazione CRTrieste<br />

Istituto di Istruzione Superiore di Alatri<br />

il suo dirigente scolastico prof. Matteo Affinito<br />

la prof.ssa M.Sofia Mercaldo, la prof.ssa Adele Santucci<br />

e gli studenti<br />

Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli<br />

Venezia Giulia<br />

Istituto di Storia sociale e religiosa di Gorizia<br />

il suo direttore don Luigi Tavano<br />

Liceo “Luigi Pietrobono” di Alatri<br />

il suo dirigente scolastico prof. Giancarlo Fratangeli<br />

la prof.ssa Agnese Sperduti e gli studenti<br />

Suore Giuseppine di Veroli<br />

Dr. Antonio Agostini<br />

direttore della Biblioteca Comunale di Alatri<br />

183


Dr. Pietro Antonucci<br />

Luigi Centra<br />

scrittore - artista<br />

Mara Cirko<br />

Lucia Costantini<br />

Avv. Remo Costantini<br />

Aldo Fanfarillo<br />

Dr. Marilinda Figliozzi<br />

dell’Ufficio Cultura del Comune di Alatri<br />

Emanuele Fiorini<br />

Don Giovanni Giralico<br />

Sistino Macciocca<br />

Prof.ssa Slavica Plahuta<br />

ricercatrice – scrittrice<br />

Antonio Rossi<br />

Prof. Francesco Refili<br />

Giuseppe Rufini<br />

Alessandra Sagripanti<br />

Prof. Ferruccio Tassin<br />

ricercatore - scrittore<br />

184


Archivio storico del Comune di Alatri<br />

FONTI DI ARCHIVIO<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Prefettura, II versamento<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Genio Civile, Opere Pubbliche<br />

Archivio di Stato di Trieste, Fondo Prefettura<br />

Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Generale<br />

dei Servizi di Guerra<br />

Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale<br />

della Pubblica Sicurezza<br />

Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Affari<br />

Generali Riservati<br />

Archivio Curia Arcivescovile Gorizia, Fondo archivio Margotti<br />

Archivio della Diocesi di Trieste<br />

Archivio Istituto per la Storia Sociale e Religiosa di Gorizia<br />

Fondazione CRTrieste<br />

185


BIBLIOGRAFIA<br />

AA.VV., FASCISMO E <strong>LE</strong>GGI RAZZIALI IN PUGLIA, Progedit, 1999<br />

AA.VV., DIZIONARIO DELLA RESISTENZA, Einaudi Ed., 2001<br />

AA.VV., EDOARDO FACCHINI – SACERDOTE, VESCOVO, PATRIOTA,<br />

Ass. <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, Frosinone, Tipografia Bianchini, 2004<br />

AA.VV., EDOARDO FACCHINI – SACERDOTE, VESCOVO, PATRIOTA,<br />

Ass. <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, Frosinone, Tipografia Bianchini, II ed., 2005<br />

AA.VV., UN SERVO FEDE<strong>LE</strong> EDOARDO FACCHINI, Frosinone, 1962<br />

AA.VV., FERRAMONTI: UN LAGER DEL SUD, Edizioni Orizzonti<br />

Meridionali, Cosenza, 1990<br />

Archivio Centrale dello Stato, DOCUMENTI SUI CAMPI DI CONCENTRA-<br />

MENTO<br />

Baccino Renzo, FOSSOLI, COMUNE DI CARPI, Carpi, 1961<br />

Bambara Gino, LA GUERRA DI LIBERAZIONE NAZIONA<strong>LE</strong> IN JUGOSLA-<br />

VIA (1941/1943), Mursia, Milano, 1988<br />

Baris Tommaso, LA CIOCIARIA TRA DUE FUOCHI, Laterza, Bari<br />

Bonelli Alfredo, IO GINO CONTI RIVOLUZIONARIO DI PROFESSIONE.<br />

MEMORIA SULLA RESISTENZA IN CIOCIARIA, Alatri, 1995<br />

Botteri Guido, ANTONIO SANTIN, TRIESTE 1943 – 1945, Del Bianco<br />

Editore, Udine, 1963<br />

Buroli A., IL FASCISMO NELLA VENEZIA GIULIA E <strong>LE</strong> PERSECUZIONI<br />

ANTISLAVE, s.d.<br />

Capogreco Carlo Spartaco, I CAMPI DEL DUCE, Gli Struzzi, Einaudi, 2004<br />

Capogreco Carlo Spartaco, FERRAMONTI. LA VITA E GLI UOMINI DEL<br />

PIÙ GRANDE CAMPO D’INTERNAMENTO FASCISTA (1940/1945), La<br />

Giuntina, Firenze, 1987<br />

Capone Giuseppe, LA PROVVIDA MANO.1943-1971, Casamari, 1973<br />

186


Carlotti A.L., ITALIA 1939/ 1945 - STORIA E MEMORIA, Milano, Vita e<br />

Pensiero, 1996<br />

Carolini Simonetta, “PERICOLOSI NEL<strong>LE</strong> CONTINGENZE BELLICHE”:<br />

GLI INTERNATI DAL 1940 AL 1943, A.N.P.P.I.A., Roma, 1987<br />

Celani Maria, DON MICHE<strong>LE</strong> CELANI PROTAGONISTA SI<strong>LE</strong>NZIOSO,<br />

Ferentino, 2005<br />

Centra Luigi, I DEPORTATI, La Monastica, Casamari<br />

Cerceo Vincenzo, CRONACA DI UN’INFAMIA, La Nuova Alabarda, Trieste,<br />

2003<br />

Collotti Enzo, FASCISMO E ANTIFASCISMO. RIMOZIONI, REVISIONI,<br />

NEGAZIONI, Laterza, Roma-Bari, 2000<br />

Costantini Mario, 50° ANNIVERSARIO DELLA COSTITUZIONE IN ALATRI<br />

DEL C.L.N. CLANDESTINO, Ceccano, 1993<br />

Costantini Mario, 50°: I GIORNI DI “LIBERTA’”, Ceccano, 1993<br />

Di Sante Costantino, I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA. DAL-<br />

L’INTERNAMENTO ALLA DEPORTAZIONE (1940/1945), Franco Angeli,<br />

Milano, 2001<br />

Folino Francesco, FERRAMONTI UN LAGER DI MUSSOLINI. GLI INTER-<br />

NATI DURANTE LA GUERRA, Ed.Brenner, Cosenza, 1985<br />

Franzinelli Mimmo, <strong>LE</strong> STRAGI NASCOSTE. L’ARMADIO DELLA VERGO-<br />

GNA: IMPUNITA’ E RIMOZIONE DEI CRIMINI DI GUERRA NAZIFASCI-<br />

STI, Mondadori, Milano, 2002<br />

Galimberti Sergio, LA CHIESA, SANTIN E GLI EBREI A TRIESTE, Mgs<br />

Press, 2001<br />

Galimberti Sergio, SANTIN. UN VESCOVO SOLIDA<strong>LE</strong>. TESTIMONIANZE<br />

DALL’ARCHIVIO PRIVATO, Mgs Press, 2000<br />

Galluccio Fabio, I LAGER IN ITALIA, Nonluoghi Libere Edizioni, 2002<br />

Ghini C., Dal Pont Adriano, GLI ANTIFASCISTI AL CONFINO, Ed. Riuniti,<br />

Roma, 1971<br />

187


Giammaria Gioacchino, DATI SULLA RESISTENZA IN CIOCIARIA, Roma,<br />

1978<br />

Giammaria Gioacchino, Gulia Luigi, Jadecola Costantino, GUERRA LIBE-<br />

RAZIONE DOPOGUERRA IN CIOCIARIA, 1943-45, Frosinone, 1985<br />

Giammaria Gioacchino, SAGGI PER UNA BIBLIOGRAFIA DELLA RESI-<br />

STENZA IN PROVINCIA DI FROSINONE, s.d.<br />

Gibertoni Roberta, Melodi Annalisa, IL CAMPO DI FOSSOLI, e IL MUSEO<br />

MONUMENTO AL DEPORTATO DI CARPI, Electa, Milano, 1996<br />

Grande Teresa, I GIOVANI E LA MEMORIA STORICA, in “I luoghi della<br />

memoria – la memoria di Ferramonti”, s.d.<br />

Istituto di Storia Sociale e Religiosa, IL GORIZIANO TRA GUERRA, RESI-<br />

STENZA E RIPRESA DEMOCRATICA (1940/1947), Gorizia 1987<br />

Jadecola Costantino, LINEA GUSTAV, Sora, 1994<br />

Jadecola Costantino, MAL’ARIA. IL SECONDO DOPOGUERRA IN PRO-<br />

VINCIA DI FROSINONE, (1944-48), Casamari, 1998<br />

Kerzevan Alessandra, UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO FASCISTA –<br />

GONARS 1942 – 1943, Ed. Kappa Vu, 2003<br />

Madre Mercedes Agostini, MEMORIE NEL TEMPO DI GUERRA, Casamari,<br />

1951<br />

Minnocci Giacinto, GUERRA E RESISTENZA IN CIOCIARIA, Tipolito<br />

Strambi, Alatri, 1993<br />

Minnocci Giacinto, I CIOCIARI E LA RESISTENZA, Sora 1981<br />

Ori Annamaria, IL CAMPO DI FOSSOLI, APM, 2004<br />

Ori Annamaria, UOMINI – NOMI – MEMORIA, APM, 2004<br />

Plahuta Slavica, LA PARTECIPAZIONE DEGLI EX INTERNATI NEI CAMPI<br />

ITALIANI ALLA LOTTA DI LIBERAZIONE NEL LITORA<strong>LE</strong> SLOVENO,<br />

Qualestoria ed.<br />

Plahuta Slavica, SLOVENI E MONTENEGRINI INTERNATI NEL CAMPO<br />

DI GUERRA A GORIZIA (AUTUNNO 1943 – INVERNO 1944), Gorisk<br />

Muzej, s.d.<br />

188


Previato Luciano, “L’ALTRA ITALIA”, Centro Italiano Filatelia, della<br />

Resistenza, Bologna, 1995<br />

Sacchetti Sassetti Angelo, CRONACA DI ALATRI DURANTE L’OCCUPA-<br />

ZIONE TEDESCA.1943-44, Alatri, 1967<br />

Sacchi Danilo, FOSSOLI. TRANSITO PER AUSCHWITZ. QUELLA CASA<br />

DAVANTI AL CAMPO DI CONCENTRAMENTO, Firenze, La Giuntina,<br />

2002<br />

Santin Antonio, TRIESTE 1943 – 1945, Del Bianco, Udine<br />

Sarra Andrea, INCONTRI, Casamari, 1976<br />

Tarquini Tarcisio, LIBERTA’ 1943-44. IL FOGLIO CLANDESTINO DEI<br />

CATTOLICI NELLA RESISTENZA CIOCIARA, Alatri, 1985<br />

Tassin Ferruccio, SUL CONFINE DELL’IMPERO, 2003<br />

Tavano Luigi, L’ARCIVESCOVO CARLO MARGOTTI E LA CHIESA GORI-<br />

ZIANA DI FRONTE ALLA GUERRA ED AI MOVIMENTI DI LIBERAZIONE<br />

(1940/1945), s.d.<br />

Terzulli, Francesco, LA CASA ROSSA – UN CAMPO DI CONCENTRAMEN-<br />

TO AD ALBEROBELLO, Mursia, 2003<br />

Terzulli Francesco, UNA STELLA FRA I TRULLI, Adda Editore, 2002<br />

189


SITOGRAFIA<br />

www.anpi.it<br />

www.anppia.it<br />

www.archivi.beniculturali.it/asfr<br />

www.cedost.it (F.I.V.L.)<br />

www.cnj.it<br />

www.comune.alatri.fr.it<br />

www.criminidiguerra.it<br />

www.deportati.it<br />

www.ecn.org<br />

www.eddyburg.it<br />

www.fondazioneferramonti.it<br />

www.fondazionefossoli.org<br />

www.garsmemorial.org<br />

www.nonluoghi.it<br />

www.nuovaalabarda.it<br />

www.osservatoriobalcani.org<br />

www.risierasansabba.cjb.net<br />

www.romacivica.net<br />

www.storiaememorie.it<br />

www.ucei.it/giornodellamemoria<br />

www.fondazionecrtrieste.it<br />

www.issrgo.it (Istituto di Storia sociale e religiosa di Gorizia)<br />

www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=3534<br />

www.dce.harvard.edu/pubs/alum/1998/14.html<br />

www.maltamigration.com/history/rome-cini’s-tripoli<br />

www.irsml.it<br />

www.intratext.com<br />

190


ARTICOLI DA GIORNALI, PERIODICI E RIVISTE<br />

sui Campi di concentramento fascisti e<br />

sul Campo Le Fraschette di Alatri<br />

Minnucci Alberto, <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>: L’INFERNO FUORI PORTA,<br />

Ciociaria/70, gennaio 1971<br />

Antoniani Persichilli Gina, DISPOSIZIONI NORMATIVE E FONTI<br />

PER LO STUDIO DELL’INTERNAMENTO IN ITALIA (giugno 1940luglio<br />

1943) in “Rassegna degli Archivi di Stato”, Roma dicembre 1978<br />

Ferrari L., L’ATTIVITA’ DELLA SANTA SEDE PER I PRIGIONIERI NEI<br />

CAMPI DI INTERNAMENTO ITALIANI, in Qualestoria, XII, n.3, dicembre<br />

1984<br />

Capogreco Carlo Spartaco, “IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FER-<br />

RAMONTI ” in Tristano Matta ( a cura di ), “UN PERCORSO DELLA<br />

MEMORIA. GUIDA AI LUOGHI DELLA VIO<strong>LE</strong>NZA NAZISTA E<br />

FASCISTA IN ITALIA”, Istituto regionale per la storia di movimento di liberazione<br />

del Friuli-Venezia Giulia, Electa, Milano,1996<br />

Previato Luciano, POSTA MILITARE: LA STORIA SI RIPETE ANCHE SE<br />

AL ROVESCIO…in cronaca filatelica n.252, giugno 1999<br />

Capogreco Carlo Spartaco, “L’OBLIO DEL<strong>LE</strong> DEPORTAZIONI FASCI-<br />

STE: UNA QUESTIONE NAZIONA<strong>LE</strong>”, in Nord e Sud, XLVI, 1999<br />

Rossi Cristiano, “IL CAMPO DI INTERNAMENTO DEL<strong>LE</strong> FRASCHET-<br />

TE - CENNI STORICI”, tesi di laurea sd.<br />

Capogreco Carlo Spartaco, DAL CAMPO “PER STRANIERI NEMICI”<br />

ALLA FONDAZIONE PER “L’AMICIZIA TRA I POPOLI”-<br />

LA MEMORIA DI FERRAMONTI E LA RISCOPERTA DELL’INTERNA-<br />

MENTO CIVI<strong>LE</strong> ITALIANO, in La Rassegna mensile di Istraell, settembre<br />

2000<br />

Capogreco Carlo Spartaco,(a cura di), LA MEMORIA DI FERRAMON-<br />

191


TI, in “I Luoghi della memoria” quaderno n.1, Rubbettino industrie Grafiche,<br />

Soneria Marnelli, 2000<br />

Capogreco Carlo Spartaco, UNA STORIA RIMOSSA DELL’ITALIA<br />

FASCISTA. L’INTERNAMENTO DEI CIVILI JUGOSLAVI (1941-1943), in<br />

studi storici, gennaio-marzo 2001<br />

Di Sante Costantino, LAGER, LA VERITA’ SUL METODO ITALIANO, in<br />

“L’Unità”, 21 gennaio 2002<br />

Capogreco Carlo Spartaco, GLI INVISIBILI CAMPI DEL DUCE, in “Il<br />

Manifesto”, 23 marzo 2001<br />

Costantini Mario, IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO “<strong>LE</strong> FRASCHET-<br />

TE”, in “Anagni-Alatri Uno”, aprile 2002<br />

Cittadini Corrado, STORIA E CULTURA- UN CONVEGNO SU <strong>LE</strong> FRA-<br />

SCHETTE in “la Provincia”, 24 aprile 2002<br />

Minnucci Mariella, STAMANE NELLA BIBLIOTECA - UN CONVEGNO<br />

SUL LAGER <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> in “Ciociaria oggi” 24 aprile 2002<br />

CAMPI DI CONCENTRAMENTO TRA OBLIO E INDIFFERENZA, in<br />

“Corriere Sud Lazio” 18 maggio 2002<br />

Minnucci Gigino, I LUOGHI DELL’OLOCAUSTO - DA <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />

ALL’AREA DI CONFINO DELLA PROVINCIA, in “Ciociaria oggi” del 17<br />

dicembre 2002<br />

IL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> IN UN LIBRO DELLO STORICO FABIO<br />

GALLUCCIO - PRESTO LA REALIZZAZIONE DI UN “MUSEO DELLA<br />

MEMORIA” IN UNA DEL<strong>LE</strong> BARACCHE, in “Ciociaria oggi” 28 febbraio<br />

2003<br />

Bobbio Alberto, UN PICCOLO LIBRO HA RICOSTRUITO <strong>LE</strong> LACUNE<br />

DEGLI E<strong>LE</strong>NCHI UFFICIALI: ABBIAMO VISITATO QUELLO D’ALA-<br />

TRI, IN PROVINCIA DI FROSINONE - I LAGER CHE L’ITALIA HA<br />

DIMENTICATO - VIAGGIO NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO<br />

192


VOLUTI DAL FASCISMO: NEMMENO UNA LAPIDE RICORDA LA<br />

TRAGEDIA, in “L’Eco di Bergamo” 28 gennaio 2003 premiato al Concorso<br />

“Alberto Minnucci” indetto dal Comune d’Alatri nel 2003<br />

Negri Piero, IL CONTRIBUTO DELL’ITALIA ALLA “SOLUZIONE FINA-<br />

<strong>LE</strong>”- VIAGGIO NEI CAMPI DIMENTICATI, in “Famiglia Cristiana” n.<br />

4/2003<br />

MORINI: <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> NEI NOSTRI PROGETTI, in “Ciociaria oggi”<br />

1 febbraio 2003<br />

L’IDEA DELL’A.P.C. ACCOLTA POSITIVAMENTE DAL SINDACO - UN<br />

MUSEO A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> PER RICORDARE GLI ORRORI DEL-<br />

L’OLOCAUSTO, in “La Provincia” 12 febbraio 2003<br />

INCONTRO TRA MORINI E <strong>LE</strong> ASSOCIAZIONI INTERESSATE – UN<br />

“MUSEO DELLA MEMORIA” NELL’EX CAMPO PROFUGHI- UN PRO-<br />

GETTO DI VALORIZZAZIONE DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> in “Ciociaria oggi”<br />

12 febbraio 2003<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> TRA I LAGER D’ITALIA – IL CAMPO PROFUGHI<br />

“ENTRA” NEL LIBRO in “Ciociaria oggi” 11 marzo 2003<br />

UN MUSEO A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI – MONUMENTO PER<br />

NON DIMENTICARE NELL’EX CAMPO DI CONCENTRAMENTO in “Il<br />

Messaggero” 6 gennaio 2004<br />

PROGETTO AMPIO E SERIO - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>: F.I. APPROVA - DA<br />

COSTRUIRE UN MUSEO E UN MONUMENTO, in “La Provincia” 8 gennaio<br />

2004<br />

FORZA ITALIA COMMENTA LA PROPOSTA DELL’AMMINISTRAZIO-<br />

NE: “OK AL MUSEO DELLA MEMORIA MA VALORIZZIAMO LA<br />

CONTRADA” in “Ciociaria Oggi” 8 gennaio 2004<br />

Baudino Mario, I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER GLI SLAVI<br />

VOLUTI DA MUSSOLINI TRA IL 1940 E IL 1943 - QUANDO GLI ITA-<br />

LIANI IMITAVANO I NAZISTI, in “La Stampa” 20 febbraio 2004<br />

193


UN MUSEO DELLA MEMORIA A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> - INDETTO UN<br />

CONCORSO DI IDEE A LIVELLO NAZIONA<strong>LE</strong>. PREVISTO ANCHE UN<br />

MONUMENTO, in “Acropoli” marzo 2004<br />

PER <strong>LE</strong> FOTO E <strong>LE</strong> TESTIMONIANZE DEGLI INTERNATI – MUSEO<br />

<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> - APPELLO DEL SINDACO MORINI in “La Provincia”<br />

7 aprile 2004<br />

Coladarci Luigi, SCRIVIAMO LA STORIA DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>-<br />

“FORZA!”....LANCIA L’IDEA DI RICOSTRUIRE LA VITA CHE SI<br />

SVOLGEVA A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> ATTRAVERSO I TESTIMONI DEL<br />

TEMPO, in “F.Forza!...” aprile/maggio 2004<br />

Antonucci Pietro, PER NON DIMENTICARE MAI: UN MONUMENTO<br />

ALLA SOFFERENZA NEL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> in “Qui ” novembre<br />

2004<br />

Coladarci Luigi, MONUMENTO AL DOLORE E MUSEO A <strong>LE</strong> FRA-<br />

SCHETTE in “F. Forza!...” nov/dic 2004<br />

Ceci Massimo, <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, <strong>LE</strong>TTERA A CIAMPI – IL COMUNE<br />

CHIEDE L’AREA: “UN PARCO PER <strong>LE</strong> VITTIME DELL’OLOCAUSTO”,<br />

in “Il Messaggero” 23 gennaio 2005<br />

Ceci Massimo, “COSI’ SI VIVEVA NEL LAGER DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> <strong>LE</strong><br />

TESTIMONIANZE DEL<strong>LE</strong> INTERNATE POLITICHE : FAME, MALAT-<br />

TIE E MALTRATTAMENTI, in “Il Messaggero 27 gennaio 2005<br />

Ceci Massimo, “COSÌ SI VIVEVA NEL LAGER DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> -<br />

DAI DOCUMENTI REPERITI NEGLI ARCHIVI DA LINO ROSSI DIRI-<br />

GENTE DELL’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI”, in “Anagni-<br />

Alatri Uno” febbraio 2005<br />

Capogreco Carlo Spartaco, (intervista a), TRA DERESPONSABILIZZA-<br />

ZIONE E OBLIO DELLA MEMORIA: <strong>LE</strong> POLITICHE D’INTERNAMEN-<br />

TO FASCISTA, in “Persona e Società” giugno 2006<br />

Antonucci Pietro, GIORNATA DELLA MEMORIA NELL’EX CAMPO<br />

194


D’INTERNAMENTO - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, LA STORIA, in “Il Tempo” 2<br />

dicembre 2006<br />

Ceci Massimo, L’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI VUO<strong>LE</strong><br />

RIPROPORRE ALL’ATTENZIONE DEL COMUNE IL PROGETTO DEL<br />

MUSEO STORICO- <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, RIVIVE LA MEMORIA DEL<br />

LAGER- OGGI CONVEGNO PER RIEVOCARE LA STORIA DEL<br />

CAMPO DI PRIGIONIA, in “Il Messaggero” 2 dicembre 2006<br />

QUESTA MATTINA SI SVOLGERA’ UN CONVEGNO ORGANIZZATO<br />

DALL’A.P.C. - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, LUOGO DELLA MEMORIA- INTER-<br />

VERRANNO DIVERSE PERSONALITA’ TRA CUI IL SINDACO DI<br />

CARPI, in “La Provincia” 2 dicembre 2006<br />

QUESTA MATTINA UN CONVEGNO “<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DA CAMPO<br />

DI INTERNAMENTO A LUOGO DI SPERANZA” in “Ciociaria Oggi” del<br />

2 dicembre 2007<br />

Pistilli Massimiliano, CONVEGNO SULLA STORIA DEL CAMPO DI <strong>LE</strong><br />

<strong>FRASCHETTE</strong>, INTERESSANTI PROPOSTE E CONCLUSIONI<br />

“Ciociaria oggi” 3 dicembre 2006<br />

Mangiapelo Massimo, SABATO SCORSO SI E’ SVOLTO UN CONVEGNO<br />

DI STUDI ORGANIZZATO DALL’A.P.C. - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, LUOGO<br />

DELLA MEMORIA, in “La Provincia” - 6 dicembre 2006<br />

Costantini Carlo, LA GIORNATA DELLA MEMORIA - CAMPO <strong>LE</strong> FRA-<br />

SCHETTE, IL RICORDO - INTERESSANTE E PARTECIPATO CONVE-<br />

GNO DI STUDIO AL SALONE DELL’OSTELLO DELLA GIOVENTU’, in<br />

“Avvenire - Lazio sette Anagni- Alatri” 17 dicembre 2006<br />

FINANZIAMENTO RICHIESTO DA IANNARILLI – IN ARRIVO UN<br />

MILIONE DALLA REGIONE PER “ACQUISTARE” <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, in<br />

“F. Forza!…” 2006<br />

Costantini Carlo, ALATRI CONVEGNO DI STUDI “I CAMPI DI INTER-<br />

NAMENTO IN ITALIA. IL CAMPO DI INTERNAMENTO <strong>LE</strong> FRA-<br />

SCHETTE”, in “Anagni Alatri Uno” dicembre 2006<br />

Tassin Ferruccio, LA PRESENZA CARITATIVA DELLA CHIESA NEL<br />

GORIZIANO, da “Chiesa e società nel Goriziano...” sd.<br />

195


INDICE<br />

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7<br />

Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9<br />

Parte I<br />

“La storia del Campo attraverso la documentazione di archivio”. pag. 11<br />

Appendice<br />

Un’ interessante relazione ispettiva sul Campo. . . . . . . . . . . . . . . pag. 48<br />

Parte II<br />

Testimonianze di vita nel Campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 66<br />

Parte III<br />

Il diario di Madre Mercedes Agostini<br />

18 luglio 1943 – 6 aprile 1944 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 73<br />

Parte IV<br />

Convegno di studi 2002 “ Campi di Concentramento<br />

fascisti tra oblio ed indifferenza. Il caso del Campo<br />

Le Fraschette di Alatri” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110<br />

Appendice<br />

Visita - sopralluogo al Museo-monumento di Carpi<br />

e all’ex Campo di Fossoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133<br />

Parte V<br />

Convegno di studi 2006 “La giornata della memoria:<br />

i Campi di internamento italiani<br />

il Campo Le Fraschette di Alatri”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 134<br />

Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 183<br />

Fonti di archivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 185<br />

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 186<br />

Sitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 190<br />

Articoli da giornali, periodici e riviste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 191<br />

Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I / VIII

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!