LE FRASCHETTE - Associazione Partigiani Cristiani
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ASSOCIAZIONE<br />
PARTIGIANI<br />
CRISTIANI<br />
P R O V I N C I A DI FROSINONE<br />
Mario Costantini<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />
da campo di concentramento a luogo della memoria
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />
da campo di concentramento a luogo della memoria<br />
“Del campo di Alatri, probabilmente<br />
non avrei saputo nulla se non fossi<br />
andato a Carpi. Lì ho comprato il libro<br />
“Un percorso nella memoria”.<br />
Nella parte che riguarda Ferramonti,<br />
Carlo Spartaco Capogreco, una pietra<br />
miliare della ricerca che sto svolgendo,<br />
parla di Alatri come uno dei più grandi<br />
campi di concentramento esistenti in<br />
Italia durante il periodo fascista…<br />
Con la macchina mi dirigo verso il<br />
campo. L’estensione è enorme. Le baracche<br />
pur in rovina, sono conservate e<br />
si ha chiaramente l’idea di quello che<br />
dovevano essere quando funzionavano<br />
.<br />
Mi colpisce il cartello della Presidenza<br />
del Consiglio per i lavori di costruzione<br />
dell’Ostello: “Campo ex profughi”. In effetti,<br />
quella fu l’ultima destinazione del<br />
campo.<br />
Il cartello dà una valenza positiva a<br />
qualcosa di orribile, che è stato ideato<br />
per rinchiudere uomini”.<br />
Fabio Galluccio<br />
da “I lager in Italia”<br />
Stampato con il contributo della<br />
REGIONE LAZIO - Assessorato alla Cultura
Fotografie<br />
Archivio <strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone<br />
Curia Arcivescovile di Gorizia<br />
Curia Vescovile di Trieste<br />
Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia<br />
Antonucci Pietro<br />
Centra Luigi<br />
Costantini Lucia<br />
Costantini Remo<br />
Del Greco Danilo<br />
Macciocca Sistino<br />
Plahuta Slavica<br />
Rossi Antonio<br />
Sagripanti Alessandra<br />
Tassin Ferruccio<br />
EDITO A CURA DEL COMITATO PROVINCIA<strong>LE</strong><br />
DELL’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI DI FROSINONE<br />
CON IL CONTRIBUTO DELL’ASSESSORATO ALLA CULTURA<br />
DELLA REGIONE LAZIO (Legge n. 34/91)<br />
Copertina ed elaborazione fotografica<br />
Giuseppe Rufini<br />
Fotocomposizione e stampa<br />
Tipografia Cav. M. Bianchini & Figli sas<br />
Via Monti Lepini, 154 - Ceccano (FR)<br />
Tel e Fax 0775.640022-640522<br />
e-mail: tip.bianchini@himail.biz<br />
info@grafichebianchini.it<br />
Finito di stampare nel mese di dicembre 2006
A Lino Rossi<br />
e a mio padre Carlo<br />
che hanno tenacemente voluto<br />
questo lavoro.<br />
A Maria Grazia<br />
per il grande impegno profuso.
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>:<br />
storia del campo di concentramento<br />
(1942-1944)<br />
a cura di Mario Costantini<br />
“Nella seconda metà degli anni Ottanta intrapresi un lungo viaggio che mi<br />
portò a visitare tutti i luoghi dei campi. Potei così constatare lo stato di<br />
abbandono o la completa distruzione degli edifici o delle baracche, e il conseguente<br />
mancato riconoscimento sociale come luoghi della memoria”.<br />
Carlo Spartaco Capogreco<br />
Veduta del Campo di Concentramento Le Fraschette di Alatri<br />
(da un volume della prof.ssa Slavica Plahuta - storica di Nova Gorica<br />
- sugli ex internati nei campi italiani)<br />
5
PREFAZIONE<br />
L’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone ha svolto in questi anni<br />
un’intensa attività di ricerca storica sull’intero periodo che va dall’avvento<br />
in Italia del fascismo alla conclusione del secondo conflitto mondiale.<br />
L’intento divulgativo e di informazione storica è testimoniato dalle mostre<br />
documentarie realizzate e messe a disposizione delle scuole e dagli agili volumi<br />
fin qui editi.<br />
Le indagini storiche da sempre riservano sorprese, finendo per condurre il<br />
ricercatore verso strade imprevedibili, e così è stato anche questa volta.<br />
La storia del campo di concentramento Le Fraschette di Alatri è storia poco<br />
conosciuta. Lino Rossi, già dirigente provinciale e nazionale dell’A.P.C., ne<br />
aveva percepito l’importanza e ne aveva poi approfondito le vicende attraverso<br />
meticolose ricerche di archivio.<br />
Carlo Costantini, presidente provinciale dell’ A.P.C., non ha lasciato cadere<br />
le nobili intenzioni del compianto Lino e, a sua volta, aiutato da un affiatato<br />
gruppo di lavoro, ha portato avanti le indagini, raccogliendo ulteriore, prezioso<br />
materiale.<br />
Il compito di Mario Costantini, autore di questo volume che raccoglie e conclude<br />
anni di appassionate indagini, non è stato affatto agevole.<br />
Infatti, l’autore ha potuto sì contare su materiale estratto dai più importanti<br />
archivi, ma è anche vero che tali documenti risultavano sprovvisti di<br />
segnatura archivistica, per cui non è stato possibile indicarne l’esatta provenienza,<br />
ma solo la generica appartenenza ai fondi archivistici da cui sono<br />
stati estratti.<br />
Non vi è però da dubitare sulla autenticità dei documenti che arricchiscono<br />
la pubblicazione, giacché l’A.P.C. è in possesso di fedeli fotoriproduzioni dei<br />
documenti rinvenuti negli archivi. Ecco spiegata la necessaria genericità<br />
delle indicazioni contenute nelle “Fonti di archivio”.<br />
Questo volume non stupirà gli addetti ai lavori, pochi in verità, ma riuscirà<br />
a colpire l’opinione pubblica, ignara della storia qui raccontata. Colma un<br />
vuoto di informazione e costituisce un altro tassello della preziosa indagine<br />
storica sull’internamento praticato dal fascismo, sulla politica di deportazione<br />
da esso attuata nei territori occupati, sulla preziosa opera di assistenza<br />
posta in essere dalla Chiesa.<br />
L’A.P.C. offre idealmente questo volume alla popolazione e alla civica<br />
Amministrazione perché, con il sostegno della Provincia e della Regione si<br />
7
iesca a trasformare ciò che resta del campo Le Fraschette in luogo della<br />
memoria, secondo l’auspicio emerso nel recente Convegno organizzato<br />
dall’<strong>Associazione</strong> su questo tema.<br />
Roma, dicembre 2006<br />
8<br />
Bruno OLINI<br />
Segretario nazionale A.P.C.
INTRODUZIONE<br />
Le Fraschette è stato il luogo della provvisorietà, dell’emergenza, della sofferenza.<br />
Il campo è a poca distanza da Alatri. Vi si arriva percorrendo la strada<br />
provinciale che sale verso Fumone. Dopo pochi chilometri si lascia la provinciale<br />
e, deviando a destra, si percorre una strada come tante della campagna<br />
ciociara, fatta di una sequenza interminabile di curve e saliscendi.<br />
All’improvviso, segnalato dalle prime baracche, l’arrivo al campo: l’ambiente<br />
si fa completamente diverso da quello finora ammirato. Un muro di cinta<br />
delimita una vasta zona. All’interno, sparse qua e là senza un ordine preciso,<br />
quel che resta delle decine e decine di baracche. In fondo la chiesetta abbandonata,<br />
diroccata, violentata dalla natura e dall’opera dei vandali. La chiesa<br />
è l’ultimo simbolo riconoscibile del campo. E poi la garitta, questa sì ben<br />
conservata, costruita in epoca successiva alla guerra, eppure simbolo di un<br />
tempo che ha conosciuto la guerra. All’epoca del campo di concentramento<br />
non c’erano né muro di cinta, né garitta, e i prigionieri di notte riuscivano a<br />
scappare per procurarsi da mangiare. La storia che proviamo a raccontare in<br />
questo volume abbraccia un arco temporale che va dal 1942 al 1944, quando<br />
migliaia di persone furono strappate dalle proprie terre e costrette a vivere<br />
nel campo di concentramento Le Fraschette.<br />
Quello che come me tanti ad Alatri ricordano, è un altro utilizzo del campo,<br />
un utilizzo successivo alla fine della seconda guerra mondiale: il Centro<br />
Raccolta Profughi (C.R.P.). Il Centro ospitò centinaia di persone che chiedevano<br />
all’Italia una sistemazione abitativa ed un lavoro per ricominciare a<br />
sperare nella vita. Una sorta di purgatorio per persone che avevano incontrato<br />
sulla propria strada delusioni e disillusioni, lavoratori cacciati dalla<br />
Libia, dalla Tunisia, dalla Somalia, dall’Egitto, ma prima ancora profughi<br />
provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est.<br />
Negli anni ’90, qualcuno cominciò a riscoprire la vera storia di Fraschette,<br />
la storia di un villaggio baraccato nato per ospitare prigionieri di guerra e<br />
che finì poi per diventare un campo di concentramento nel corso della seconda<br />
guerra mondiale. Devo esser sincero: all’inizio questa voce mi sembrava<br />
un’esagerazione. Eppure da giovanissimo, in seminario, avevo fatto parte del<br />
gruppo di “correttori di bozze” che don Giuseppe Capone aveva impegnato<br />
nella revisione del suo importante libro-testimonianza “La Provvida Mano”,<br />
pubblicato nel 1973. In quel volume, l’Autore aveva ricostruito mezzo secolo<br />
di attività caritativa svolta dalla Diocesi di Alatri. Evidentemente le pagine<br />
9
del diario di Madre Mercedes Agostini che raccontavano la vita del campo di<br />
concentramento non erano state assegnate a me per la correzione. Quella<br />
verità di cui si cominciava finalmente a parlare ad Alatri negli anni ‘90,<br />
l’aveva già raccontata da tempo don Giuseppe Capone.<br />
Alle prime voci seguirono le ricerche storiche, e tutta la documentazione rinvenuta<br />
negli Archivi di Stato di Frosinone e Roma e nell’Archivio Centrale dello<br />
Stato, mostrarono in modo evidente la vera origine del campo Le Fraschette,<br />
indicato sempre dal 1942 al 1944 come “campo di concentramento”.<br />
Il doloroso fenomeno dell’internamento italiano è stato studiato ed analizzato<br />
da pochi ma valenti storici. Nel 2002 abbiamo avuto la fortuna di ospitare<br />
ad Alatri il prof. Carlo Spartaco Capogreco, docente di Storia<br />
Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della<br />
Calabria, autore del volume “I campi del Duce”. Il suo intervento al primo<br />
convegno di studi sul tema, organizzato dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong><br />
di Frosinone, ha segnato l’inizio di un impegno: riscoprire la verità storica,<br />
proporla nella sua drammaticità, onorare la memoria di quanti nel campo Le<br />
Fraschette hanno sofferto. Ricordiamo in quella occasione l’intervento<br />
appassionato del compianto architetto Floriano Epner della Fondazione<br />
Ferramonti di Tarsia. A fine 2006 ancora un convegno organizzato questa<br />
volta all’interno di Fraschette sul tema più ampio dell’internamento in Italia.<br />
L’intervento di un altro studioso, Fabio Galluccio, autore del volume “I lager<br />
in Italia”, ha segnato questo secondo appuntamento, allargando lo sguardo<br />
al fenomeno complessivo dei campi di concentramento in Italia.<br />
Al termine di questo secondo convegno, anch’esso molto partecipato, l’A.P.C.<br />
ha rivolto ai cittadini di Alatri e agli Amministratori presenti un appello a<br />
ricordare ciò che è stato, anche partendo da iniziative minime: una lapide nel<br />
campo, il recupero di una baracca per realizzare una mostra permanente, il<br />
restauro della chiesetta diroccata e invasa dalla sporcizia, il riconoscimento<br />
del notevole interesse storico di quell’area da parte del Ministero per i Beni<br />
e le Attività Culturali.<br />
Ma l’impegno dell’A.P.C. non si ferma. Ne è testimonianza questo volume che<br />
ricostruisce le vicende del campo attraverso la documentazione d’archivio,<br />
propone le testimonianze di vita nel campo, pubblica gli atti dei due convegni<br />
svolti ad Alatri sul tema.<br />
Il volume cerca di tener viva la memoria e con essa la coscienza delle atrocità<br />
che anche l’Italia ha commesso nel corso della II Guerra mondiale.<br />
10
PARTE PRIMA<br />
LA STORIA DEL CAMPO ATTRAVERSO<br />
LA DOCUMENTAZIONE DI ARCHIVIO<br />
<strong>LE</strong> MISURE DI GUERRA: il confino politico e l’internamento.<br />
Con l’entrata in guerra quale Paese belligerante, anche in Italia iniziarono ad<br />
essere applicate le leggi proprie del tempo di guerra che prevedevano la possibilità<br />
di arrestare e di internare civili sudditi di Stati nemici, “atti a portare<br />
armi”. Il governo fascista organizzò per questo scopo campi di concentramento<br />
in località interne, lontane dal fronte di guerra e di agevole controllo.<br />
L’autorità competente per l’adozione di questi provvedimenti era la Direzione<br />
Generale di Pubblica Sicurezza, mentre le autorità militari vigilavano sui<br />
campi per prigionieri di guerra.<br />
Nel Lazio si realizzarono i campi di concentramento di Ponza, Ventotene,<br />
Castel di Guido e Le Fraschette di Alatri, riadattando vecchie strutture o<br />
costruendone di nuove.<br />
Come ben sintetizza il prof. Carlo Spartaco Capogreco, nel suo volume “I<br />
campi del Duce”: “La deportazione degli avversari mediante il loro confino<br />
su piccole isole o in località sperdute e disagiate, costituì uno degli elementi<br />
chiave del sistema coercitivo e repressivo del regime fascista. Potevano essere<br />
assegnati al confino perché pericolosi per la sicurezza pubblica due categorie<br />
di persone: gli ammoniti e coloro che avevano commesso o manifestato<br />
il deliberato proposito di commettere atti diretti a sovvertire violentemente<br />
gli ordinamenti nazionali, sociali, economici costituiti nello Stato. Apposite<br />
Commissioni provinciali, presiedute dal Prefetto, determinavano le assegnazioni<br />
al confino di persone che spesso, fino al momento dell’arresto, erano del<br />
tutto ignare del procedimento intentato a loro carico, e che non avevano<br />
alcun diritto reale alla difesa”.<br />
La misura che interessò perlopiù Le Fraschette, fu l’internamento, cioè quel<br />
provvedimento che colpendo la libertà personale, costringeva le persone a<br />
vivere in villaggi baraccati delimitati da recinzioni o in località distanti dal<br />
fronte di guerra. Il provvedimento era comminato per via amministrativa ed era<br />
quindi di facile attuazione. L’internamento era preceduto da arresti individuali<br />
o di gruppo, realizzati attraverso operazioni di rastrellamento. Le persone venivano<br />
trasportate nei campi di concentramento e lì subivano l’internamento.<br />
11
L’internamento civile fu operato nei confronti di cittadini stranieri che allo<br />
scoppio della guerra si trovavano sul territorio italiano o su cittadini appartenenti<br />
a Stati occupati in guerra dall’Esercito italiano.<br />
Più in generale, l’internamento in Italia fu preceduto da una serie di prese di<br />
posizione delle più alte cariche dello Stato, politiche e militari.<br />
Il 19 maggio una nota del Comando Supremo, indirizzata al Ministero<br />
dell’Interno, comunicò il proprio assenso al trasferimento di 442 intellettuali<br />
del Kossovo dichiarati “indesiderabili” dal campo di concentramento di Preza<br />
a quelli di Ponza ed Ustica. Questo folto gruppo partì da Valona, in Albania,<br />
verso l’Italia e il loro numero aumentò a 560, come precisò un’informativa<br />
dell’Ufficio Prigionieri di guerra dell’Esercito.<br />
Fu una direttiva del Duce, emanata il 6 giugno 1942, comunicata alle Autorità<br />
italiane in Slovenia dal gen. Roatta, ad avviare le attività di sgombero della<br />
popolazione civile della provincia di Lubiana per un numero massimo di<br />
30.000 persone da inviare nei campi di concentramento in Italia. Questo provvedimento<br />
allarmò non poco l’Alto Commissario della Provincia Emilio<br />
Grazioli, che temette ripercussioni negative nella vita economica della provincia,<br />
“con particolare riferimento alla conduzione della aziende agricole, che<br />
risulterebbero abbandonate, e del patrimonio zootecnico”.<br />
Il duce, intervenendo a Gorizia il 31 luglio 1942, nel corso di una riunione con<br />
gli Alti Comandi Militari, manifestò le seguenti opinioni:<br />
“La relazione del gen. ROATTA la considero esauriente e promettente di<br />
buoni risultati. La situazione è nota. Dopo lo sfacelo della Jugoslavia ci<br />
siamo trovati sulle braccia la metà di una provincia e, bisogna aggiungere, la<br />
metà più povera.<br />
I germanici ci hanno comunicato un confine; noi non potevamo che prenderne<br />
atto - aprile 1941. Inizialmente le cose parvero procedere nel modo migliore.<br />
La popolazione considerava il minore dei mali il fatto di essere sotto la<br />
bandiera italiana. Fu data alla provincia uno Statuto, poichè non consideriamo<br />
territorio nazionale quanto è oltre il crinale delle Alpi, salvo casi di carattere<br />
eccezionale. Si credette che la zona fosse tranquilla; poi si vide, quando<br />
la crisi scoppiò, che i presidi non erano abbastanza consistenti e che non vi<br />
era modo di rinforzarli adeguatamente.<br />
Il 21 giugno, con l’inizio delle ostilità tra la Germania e la Russia, questa<br />
popolazione, che si sente slava, si è sentita solidale con la Russia. Da allora<br />
tutte le speranze ottimistiche tramontarono.<br />
Ci si domanda se la nostra politica fu saggia: si può dire che fu ingenua.<br />
Anche nella Slovenia tedesca le cose non vanno bene. Io penso che sia meglio<br />
12
passare dalla maniera dolce a quella forte piuttosto che essere obbligati<br />
all’inverso. Si ha in questo secondo caso la frattura del prestigio. Non temo<br />
le parole. Sono convinto che al “terrore” dei partigiani si deve rispondere<br />
con il ferro ed il fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani<br />
come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. Questa tradizione<br />
di leggiadria e tenerezza soverchia va interrotta. Come avete detto è cominciato<br />
un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto, per<br />
il bene del paese ed il prestigio delle forze armate.<br />
Questa popolazione non ci amerà mai. Non mi sorprende che i cattolici<br />
vedendo declinare la stella dei partigiani vogliano farsi avanti. Poichè non si<br />
possono respingere si può accettare il loro apporto, quasi come una concessione<br />
che noi si fa loro e senza impegni futuri. Così pure il generale Dalmazzo<br />
può ricevere questo generale Mihajlovic: può darsi che si sia persuaso che la<br />
sua fatica è sprecata. Ascoltatelo quindi. Poi riferirete. Considero ultimata la<br />
prima fase. Il ritmo delle operazioni deve essere sollecito: non possiamo tenere<br />
tante divisioni in Balcania. Occorrerà per noi aumentare la forza alla frontiera<br />
occidentale e in Tripolitania. Attualmente la Balcania costituisce per noi<br />
un’usura ed occorrerebbe ridurre questo schieramento. Richiamo l’attenzione<br />
sul servizio informazioni che è qui molto difficile, ma quindi tanto più deve<br />
essere bene organizzato. L’aviazione ha qui un compito abbastanza importante.<br />
Questo territorio deve essere considerato terreno di esperienza. Non vi<br />
preoccupate del disagio economico della popolazione. Lo ha voluto! Ne sconti<br />
le conseguenze. Così non mi preoccupo dell’Università, che era un focolaio<br />
contro di noi.<br />
Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazioni.<br />
ECC. ROATTA: “ho proposto di dare la proprietà dei ribelli alle famiglie dei<br />
nostri caduti”.<br />
DUCE: “Approvo, annunciatelo pure”.<br />
Così considerate senza discriminazioni i comunisti: Sloveni o Croati se comunisti<br />
vanno trattati allo stesso modo. Le truppe adottino la tattica dei partigiani.<br />
Abbiano mordente”<br />
Molti documenti illustrano la particolare violenza operata dai responsabili<br />
militari italiani nelle zone di occupazione ai confini nord orientali della<br />
Penisola, al fine di stroncare ogni possibile opposizione all’Esercito italiano.<br />
Secondo il gen. Orlando: “è necessario eliminare: tutti i maestri elementari,<br />
tutti gli impiegati comunali e pubblici in genere, tutti i medici, i farmacisti, gli<br />
avvocati, i giornalisti, i parroci, gli operai, gli ex-militari italiani che si sono<br />
trasferiti dalla Venezia Giulia dopo la data suddetta”.<br />
13
Il gen. Orlando, intendeva realizzare “l’eliminazione della massa di manovra<br />
attraverso la deportazione di migliaia di uomini nei campi di concentramento,<br />
che i comandi militari hanno aperto e stanno aprendo in Italia e in<br />
Dalmazia per sloveni e croati”.<br />
Per i generali italiani la soluzione della questione jugoslava poteva avvenire<br />
“soltanto con l’impiego della forza, che senza indecisioni, intervenga, giusta,<br />
inesorabile, immediata a reprimere ogni manifestazione di banditismo od atto<br />
di rivolta”.<br />
La famigerata circolare “3C” del generale Mario Roatta, emanata l’1 marzo<br />
1942 prese in considerazione l’internamento di intere famiglie, l’uso di ostaggi,<br />
la distruzione di abitati e la confisca di beni.<br />
Il 24 agosto 1942 il gen. Emilio Grazioli auspicò l’internamento di massa<br />
della popolazione slovena e la sua sostituzione con la popolazione italiana:<br />
“Lubiana, lì 24 agosto 1942-Anno XX. A seguito del foglio n. 1362/2/Ris. del<br />
16 corrente, mi permetto prospettare nelle sue linee generali il programma di<br />
attività che mio intendimento svolgere in questa provincia: Attività politica -<br />
popolazione slovena: Linea di condotta “durissima” nei riguardi degli sloveni,<br />
sino a quando non saranno tangibili e provate le manifestazioni di ravvedimento,<br />
e molto dura anche in seguito. Indirizzo però unitario nella linea di<br />
condotta da seguire, e specialmente nell’applicazione dei provvedimenti che<br />
debbono essere emanati dall’autorità competente, e non lasciati all’arbitrio<br />
dei singoli. In quest’ultimo caso si dà manifestazione di confusione e di debolezza<br />
anziché di ordine e di forza. Il problema della popolazione slovena può<br />
essere risolto nei seguenti modi: distruggendola o trasferendola; eliminando<br />
gli elementi contrari, attuando una politica dura, però di giustizia e di avvicinamento,<br />
onde creare le basi per una proficua e leale collaborazione prima<br />
e possibilità di assimilazione poi, che però solo col tempo si potrà realizzare.<br />
Occorre quindi stabilire quale linea di condotta si intende seguire. - Per l’internamento<br />
in massa della popolazione procedere secondo un piano prestabilito,<br />
che possa avere uniforme applicazione in tutti i territori della provincia.<br />
Meglio costituire “campi di lavoro” anziché campi di internamento, dove si<br />
ozia. - Per la sostituzione con popolazione italiana di quella slovena occorre<br />
stabilire:<br />
1) dove deve esser trasferita la popolazione slovena; 2) dove deve esser presa<br />
la corrispondente popolazione italiana, facendo presente che è più adatta,<br />
quella settentrionale e centrale; 3) se si intende “italianizzare” innanzi tutto<br />
una fascia di frontiera, stabilendone la profondità (20/30 chilometri); 4) se si<br />
intende invece trasferire tutta la popolazione slovena. In tal caso sarebbe<br />
14
opportuno iniziare dalla zona slovena a cavallo del vecchio confine. A mio<br />
avviso il trasferimento totale o parziale della popolazione sarà difficilmente<br />
possibile durante la durata della guerra. L’Alto Commissario (F.to: Alto<br />
Commissario Emilio Grazioli)”.<br />
La costruzione del campo di concentramento Le Fraschette e degli oltre cento<br />
campi realizzati in tutta Italia, furono la diretta conseguenza delle scelte operate<br />
dai vertici militari e politici. A Fraschette, dal 1942 al 1944, furono internati<br />
cittadini anglo-maltesi residenti in Libia, civili provenienti dalla Venezia<br />
Giulia, dalla Slovenia, dalla Dalmazia e dalla Croazia. A questi si aggiunsero<br />
alcune centinaia di confinati politici trasferiti a Fraschette dalla colonia di<br />
confino dell’isola di Ustica quando le truppe Alleate iniziarono lo sbarco in<br />
Sicilia.<br />
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />
Il 18 dicembre 1941, il sottosegretario all’interno Guido Buffarini-Guidi,<br />
autorizzò il prefetto di Frosinone a provvedere alla fornitura dei servizi indispensabili<br />
per la costruzione del campo. Per portare acqua a Le Fraschette, fu<br />
stipulato con la ditta Francesco Renzetti un contratto di cottimo fiduciario per<br />
i lavori di costruzione dell’acquedotto derivato da quello di Capofiume. I<br />
lavori vennero eseguiti sotto la direzione del Genio Civile. In quei primi mesi<br />
del 1942 l’Ispettorato di Guerra chiese di costruire a Fraschette una colonia<br />
agricola su una superficie di circa 15 ettari. Ad una ricognizione eseguita in<br />
loco dall’Ispettorato provinciale dell’Agricoltura, il terreno disponibile per la<br />
colonia poteva avere una consistenza di 60/70 ettari.<br />
Il 7 maggio 1942, presso la Prefettura di Roma, ufficiale rogante il comm.<br />
avv. Salvatore Fiaccamento, fu stipulato un contratto tra l’Ispettorato dei<br />
Servizi di Guerra e la Società Legnami Pasotti, per la costruzione di un villaggio<br />
di accantonamento per internati in località “Fraschetti” del Comune di<br />
Alatri. Come si legge nel documento, si pensò di costruire 15 baracche dormitorio,<br />
5 baracche refettorio, 1 baracca infermeria, 1 edificio cucina e<br />
magazzino viveri, 2 edifici gruppo latrine, docce, lavabi, 5 baracche magazzino,<br />
1 cinematografo, 1 biblioteca, 1 cappella religiosa, 2 baracche normali per<br />
il Comando del corpo di guardia, 4 baracche normali per la truppa, 1 baracca<br />
cucina, 2 edifici magazzino per rimessa automezzi e autopompe, 4 baracche<br />
per quartiere Ufficiali.<br />
15
“Tutto il Villaggio sarà completo di arredamento comprendente: 2.500 letti<br />
biposto, 2.000 letti monoposto, 1.000 armadi biposto, 1.250 armadi a 4 posti,<br />
675 tavoli per refettorio, 1.750 panche”. Per l’intera fornitura fu pattuita la<br />
somma di £. 33.051.763,75. Gli otto lotti dovevano essere completamente realizzati<br />
in tre mesi e consegnati entro il 31 luglio 1942. Ciò a sottolineare l’urgenza<br />
di far entrare in funzione il campo.<br />
Il 15 agosto 1942, con una nota indirizzata<br />
all’Ispettorato per i Servizi di<br />
guerra e al Prefetto di Frosinone, il<br />
direttore del Campo, dott. Camillo<br />
Santamaria-Nicolini, comunicò che<br />
“il campo sfollati Le Fraschette di<br />
Alatri ha assunto la denominazione<br />
di Villaggio Lazzaro Liberatori”.<br />
Questi, nativo di Collepardo, era<br />
stato eroe della Guerra Civile di<br />
Spagna. Deceduto in azione di guerra<br />
il 16 gennaio 1939, era stato insignito<br />
della Medaglia d’oro al valor militare.<br />
Lo scopo nobile del dott.<br />
Santamaria non ebbe però un seguito,<br />
perché in realtà il campo fu chiamato<br />
secondo il toponimo, e cioè “Campo<br />
di concentramento Le Fraschette”, o,<br />
come inizialmente si scrisse erroneamente<br />
“Campo Fraschetti”.<br />
Il 21 settembre 1942 il dott. Camillo<br />
Santamaria-Nicolini effettuò il passaggio<br />
di consegne della struttura al<br />
nuovo Direttore del Campo, dott.<br />
Giovanni Fantusati, Ispettore<br />
Generale di Pubblica Sicurezza. Fu<br />
eseguita una minuziosa ricognizione<br />
dei beni mobili ed immobili del<br />
campo e stilata una relazione finale<br />
sullo stato delle pratiche in atto. Il<br />
passaggio di consegne avvenne pochi<br />
Lazzaro Liberatori<br />
giorni prima dell’entrata in funzione<br />
16
del campo con l’arrivo dei primi gruppi di civili ad esso destinati.<br />
Tra i documenti ritrovati nell’Archivio di Stato di Frosinone, questa interessante<br />
planimetria del campo e la mappa del territorio di Alatri con<br />
particolare della zona Le Fraschette. La documentazione è contenuta nel<br />
fondo Genio Civile, Opere pubbliche, b.n.170.<br />
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I PRIMI ARRIVI AL CAMPO<br />
Il campo di concentramento Le Fraschette entrò ufficialmente in funzione il<br />
1° ottobre 1942. I primi ad arrivare, come preannunciato da una nota<br />
dell’Ispettorato per i servizi di guerra, “saranno 500 maltesi che si trovano<br />
attualmente a Montecatini Terme, Bagni di Lucca e Fiuggi”.<br />
L’on. Buffarini, in una nota del Ministero dell’Interno, prot. n.327-15, inviata<br />
al Duce, ricostruì il movimento di popolazioni civili avviate dal fronte<br />
orientale verso i campi di internamento italiani. In essa, il Sottosegretario fece<br />
ampio riferimento alla funzione che Le Fraschette avrebbe dovuto svolgere:<br />
“Per richiesta dello S.M. del R. Esercito il Ministero dell’Interno dovrebbe<br />
provvedere a sistemare nelle province del Regno un complesso di altri 50 mila<br />
elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle<br />
operazioni di polizia in corso. Detto contingente risulta da dati approssimativi<br />
pervenuti così composto: 1-elementi pericolosi 20.000; 2–elementi<br />
sospetti 5.000; 3-che hanno richiesto la nostra protezione 10.000; 4-donne<br />
abbandonate dai mariti, con bambini a carico 12.000; 5-bambini privi di<br />
genitori tra i quali un’aliquota di lattanti 2.000. Essi sono attualmente internati<br />
nei campi territoriali di Gonars, Treviso e Padova, nonché nel Campo<br />
d’armata di Arbe. Inoltre, per richiesta del governatore della Dalmazia,<br />
dovranno essere sgombrati al più presto 2.300 elementi - in gran parte donne<br />
e bambini - che attualmente sono attendati nell’Isola di Melada, mentre il<br />
Comando Supremo ha comunicato che, d’intesa col Ministero degli Affari<br />
Esteri, è opportuno far affluire nel Regno 1.500 Montenegrini che si trovano<br />
nei Campi di concentramento dell’Albania.<br />
Capacità ricettiva delle provincie: la sistemazione degli sgombrati deve essere<br />
attuata nelle provincie dell’Italia Settentrionale e Centrale, dovendo escludere<br />
quelle dell’Italia Meridionale e Insulare per ragioni - soprattutto - di<br />
ordine militare. Le capacità ricettive di dette Provincie sono notevolmente<br />
ridotte per effetto della continua affluenza di connazionali rimpatriati dall’estero,<br />
dall’Africa Italiana e da altre zone di operazioni e di frontiera dall’inizio<br />
della guerra ad oggi. Inoltre nei mesi di luglio e agosto di questo anno<br />
sono stati avviati nelle regioni dell’Italia Settentrionale e Centrale oltre 3<br />
mila sfollati (congiunti di ribelli e famiglie che avevano chiesto la nostra protezione)<br />
dalle Provincie del Carnaro e di Lubiana. Campo di concentramento<br />
“Le Fraschette” - Frosinone – Il Campo “Le Fraschette”, costruito per<br />
conto dei Ministero dell’Interno potrà ospitare al massimo 6 mila civili. Col<br />
1 ottobre p.v. vi saranno ospitati oltre l.000 anglomaltesi - sfollati dalla Libia<br />
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- attualmente residenti a Fiuggi-Montecatini Terme-Bagni di Lucca ed Ascoli<br />
Piceno - i quali attraverso l’opera di discriminazione compiuta dai Prefetti<br />
interessati e dal Segretario del Fascio di combattimento di Malta - sono risultati<br />
di sentimenti irriducibilmente anglofili. Nello stesso campo saranno fatti<br />
affluire i 2300 sgombrati dall’Isola di Melada, ove non potranno ulteriormente<br />
permanere perché sistemati provvisoriamente sotto le tende.<br />
A prescindere dai problemi dell’alloggio, dell’alimentazione e della vestizione,<br />
è necessario tenere nel debito conto una considerazione di ordine politico.<br />
L’attrezzatura dei campi di concentramento di cui dispone il Ministero<br />
dell’Interno è ormai esaurita per gli internamenti predisposti. Gli sfollati<br />
della frontiera orientale dovrebbero quindi essere avviati nei Comuni che<br />
offrono ancora possibilità ricettive e di avviamento al lavoro, principalmente<br />
in quelli rurali. Ove si consideri che nei piccoli Comuni, nei quali dovranno<br />
essere smistati, spesso manca anche la stazione dei Carabinieri Reali, la vigilanza<br />
non potrà giungere ovunque pienamente efficace, e quindi questi nuclei<br />
di sfollati finiranno col costituire altrettanti focolai d’infezione che non sarà<br />
facile neutralizzare in pieno, determinando così un pericolo per la compagine<br />
politica del Paese e per l’ordine pubblico. Giova anche tener presente che<br />
le popolazioni mal sopportano la loro presenza, essendo ad esse note le atrocità<br />
commesse dai ribelli contro i nostri soldati. Si ravvisa pertanto opportuno<br />
che gli elementi pericolosi e sospetti siano mantenuti nei campi di concentramento<br />
di cui dispone l’Autorità Militare. Il Ministero dell’Interno potrebbe,<br />
tuttalpiù, provvedere alla ricezione e sistemazione nelle provincie del<br />
Regno delle popolazioni che hanno richiesto la nostra protezione, delle donne<br />
e dei bambini, avvalendosi anche nei propri istituti, delle organizzazioni della<br />
G.I.L., e dell’Opera Nazionale Protezione Maternità ed Infanzia”.<br />
Il 1° ottobre 1942, dunque, da Fiuggi, a scaglioni di 60 persone al giorno arrivarono<br />
gli anglo-maltesi. In tutto 780 civili, con precedenza per gli elementi<br />
isolati e successivo arrivo dei nuclei familiari. Terminata questa prima fase,<br />
iniziò il trasferimento di 2.300 internati dell’isola di Melada (Dalmazia) per<br />
gruppi di 250 al giorno. I nominativi furono comunicati alla Prefettura di<br />
Frosinone con distinti elenchi. Gli internati arrivarono a Le Fraschette con le<br />
poche cose che erano riusciti a portare con sé, pochi bagagli a mano presi<br />
all’ultimo istante dalle proprie abitazioni durante le concitate fasi del rastrellamento<br />
effettuato dalla polizia militare italiana. Ancora dalla Dalmazia. dopo<br />
questo nutrito primo gruppo, arrivarono altri 2.900 civili.<br />
Durante una riunione tenutasi a fine settembre presso il Comando supremo, si<br />
esaminò la questione della sistemazione complessiva di 25.000 civili prove-<br />
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nienti dalla Jugoslavia. “Secondo i calcoli delle Autorità militari, 5.000 di<br />
detti internati sono costituiti da nuclei famigliari di proteggendi, 2.000 da<br />
bambini, 15.000 da uomini comunisti politicamente pericolosi e 3.000 da<br />
famigliari di elementi arruolati fra i ribelli”. L’Ispettorato dei Servizi di<br />
Guerra declinò l’invito ad occuparsi della totalità degli internati, escludendo<br />
in particolare dalla propria competenza i 18.000 definiti “politicamente pericolosi”<br />
di cui avrebbe dovuto occuparsi, invece, la Direzione Generale di P.S.<br />
Il passaggio importante del documento riguardò proprio la questione dello<br />
status da assegnare a quei 18.000 civili. Per l’estensore del documento “più<br />
che di internati si tratta di sfollati, con provvedimenti di carattere generale<br />
delle Autorità Militari, la cui sistemazione dovrebbe rientrare non nella competenza<br />
della Direzione Generale di P.S., poiché i campi di concentramento e<br />
le località di internamento, in conseguenza del continuo afflusso d’internandi<br />
dalle nuove province e dai territori occupati, sono del tutto saturi, non in<br />
grado di poter ospitare le 18.000 persone succitate”.<br />
Il 19 novembre 1942, l’on. Guido Buffarini-Guidi, Sottosegretario di Stato<br />
per gli affari dell’Interno, inviò alcune riflessioni al Duce sottolineando quello<br />
che stava accadendo. I numeri di cui era in possesso il Sottosegretario<br />
assommavano a ben 50.000 cittadini sloveni sgombrati dai territori della frontiera<br />
orientale in seguito ad operazioni di polizia. Di questi, 25.000 presentavano<br />
problemi di pericolosità politica. La sistemazione di queste persone,<br />
secondo il Sottosegretario, doveva essere realizzata nelle province dell’Italia<br />
centro-settentrionale, per ragioni di ordine militare. L’on. Buffarini fece di<br />
nuovo esplicito riferimento a quel che si stava realizzando a Le Fraschette.<br />
Con Decreto del 26 novembre dei Ministri delle Finanze e dell’Interno, si<br />
dotò il campo di un adeguato personale civile non di ruolo per la gestione di<br />
circa 7.000 presenze preventivate.<br />
<strong>LE</strong> VICENDE DEL 1943<br />
All’inizio dell’anno il Segretario federale fascista di Frosinone, Augusto<br />
Pescosolido, trasmise al Prefetto le proteste dei fascisti di Alatri per i comportamenti<br />
tenuti dagli internati di Le Fraschette. Lamentava la loro eccessiva<br />
libertà di movimento nelle campagne circostanti e nelle città vicine, con lo<br />
scopo di trafficare per procurarsi cibo. In particolare sottolineò, non senza<br />
malizia, le visite “di giovanette alquanto avvenenti” nelle case dei gerarchi<br />
locali.<br />
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Seguirono indagini accurate da parte dei Carabinieri che alla fine confermarono<br />
il motivo di quelle sortite, legate alla necessità di elemosinare cibo nei<br />
dintorni del campo. Si consigliò di sostituire la staccionata che delimitava il<br />
perimetro del campo con reticolati e di aumentare il numero dei militari in<br />
servizio di vigilanza. Fu inviata a Le Fraschette una pattuglia di circa una sessantina<br />
di carabinieri, comandati da un ufficiale, con il precipuo compito di<br />
impedire agli internati le fughe notturne.<br />
In un ulteriore rapporto, il Maggiore Francesco Giammusso, comandante del<br />
Gruppo carabinieri di Frosinone, illustrò al Prefetto la difficoltà di controllare<br />
gli internati anche potendo disporre di un maggior numero di uomini. Ciò<br />
a causa della lunghezza del perimetro del campo (2 km. circa), l’accidentalità<br />
del terreno difficile da tenere sotto controllo, la mancanza di una seria barriera,<br />
la scarsa illuminazione perimetrale e il divieto di far uso delle armi contro<br />
i fuggitivi. Lo stesso consigliò di adottare provvedimenti coerenti con le<br />
osservazioni proposte e suggerì una maggiore severità verso i recidivi.<br />
Si pensò anche di dotare il campo di attrezzature adeguate per la preparazione<br />
dei pasti. Così, il 28 febbraio si incaricò la ditta Pasotti di Brescia di fornire<br />
30 cucine costruite secondo progetti della stessa ditta. Il provvedimento<br />
fu preso anche in previsione di nuovi e consistenti arrivi di civili dai confini<br />
orientali.<br />
Ma all’aumentato numero di cucine non dovette corrispondere un miglioramento<br />
nelle razioni di cibo, se il Questore di Frosinone fu costretto a<br />
comunicare al Prefetto il caso dello slavo Juretic Bonaventura, il quale,<br />
nonostante tutte le misure adottate, era uscito più volte dal campo per<br />
procurarsi del cibo (cinque volte nel mese di gennaio e tre nel mese di febbraio).<br />
Tra l’altro il Questore rilevò come, impiegando la quasi totalità del<br />
contingente militare nella sorveglianza perimetrale, veniva a mancare il controllo<br />
all’interno del campo, in quello spazio ridotto ove convivevano già circa<br />
3.500 persone. Auspicò un ulteriore sensibile aumento del personale in servizio,<br />
e consigliò la redazione di cartelle biografiche “per conoscere tendenze e<br />
propositi di ciascuno e della relativa famiglia”. Ultima proposta riguardò l’uso<br />
delle armi da fuoco sia pure da utilizzare con le dovute cautele.<br />
Rimase aperta la questione dei terreni requisiti e non più utilizzati. I terreni,<br />
al momento, erano coltivati ancora dai vecchi proprietari, sebbene fossero<br />
ormai diventati proprietà dello Stato. La Direzione Generale dei servizi di<br />
guerra suggerì “di provvedere a far coltivare tali terreni dagli stessi internati<br />
conferendo il raccolto per il miglioramento del loro vitto, o regolare, se dal<br />
caso con contratti di locazione, le concessioni stesse”.<br />
21
Nonostante la situazione di quasi completa saturazione dei campi, continuarono<br />
i rastrellamenti nelle zone di guerra e i susseguenti invii di civili in Italia.<br />
In una nota del Ministero dell’Interno si dispose: “Questo Ministero, in considerazione<br />
che i campi di concentramento di cui dispone sono saturi e date<br />
le esigenze connesse allo sfollamento delle popolazioni civili dai centri sottoposti<br />
ad offese aeree nemiche, conferma che potrà accogliere solamente mille<br />
elementi (donne e bambini) nel campo di concentramento Le Fraschette –<br />
Alatri, mentre alla sistemazione di tutti gli altri internati è stato convenuto<br />
che provvederà direttamente l’Amministrazione Militare mediante la costituzione<br />
di appositi campi”.<br />
L’AZIONE DEI VESCOVI DI TRIESTE E GORIZIA<br />
Nella Venezia Giulia, già dal 1925, ai gruppi minoritari era stato fatto divieto<br />
di parlare nella propria lingua e molti istituti scolastici erano stati chiusi. Era<br />
stato portato avanti un programma di italianizzazione degli “allogeni”, cioè<br />
degli appartenenti ad altri gruppi etnici che avevano una propria cultura specifica.<br />
Non si volle tener conto delle diversità presenti in quella regione, ove<br />
diversi gruppi avevano convissuto per secoli, e si procedette rapidamente alla<br />
cancellazione e soppressione di ogni diversità, arrivando ad italianizzare persino<br />
i cognomi.<br />
Il provvedimento più drammatico fu la “bonifica etnica” che si voleva<br />
perseguire attraverso il massiccio trasferimento di popolazione. Il vescovo<br />
di Trieste e Capodistria mons. Antonio Santin e l’arcivescovo di<br />
Gorizia mons. Carlo Margotti furono impegnati in un’intensa attività di<br />
sostegno e difesa di quelle popolazioni.<br />
In una lettera al Duce, scritta da mons. Santin, condivisa da mons. Margotti,<br />
dai vescovi di Fiume e Pola e dalla Conferenza Episcopale Triveneta, venne<br />
tra l’altro richiesto:<br />
“che sia impedito che si brucino case, che non siano uccise persone non in<br />
combattimento, che sia reso più abbondante il vitto nei campi di internamento,<br />
che sia permesso di visitare gli internati nei campi di Cairo Montenotte e<br />
Le Fraschette di Alatri, che sia riesaminata la situazione degli internati e di<br />
coloro che erano leali cittadini, specie i vecchi, i malati, le donne, i fanciulli,<br />
di molte persone che soffrono lontano dalle loro case senza alcun motivo”.<br />
Il 20 aprile l’Ispettorato Generale di P.S. per la Venezia Giulia informò il<br />
Comandante del Campo Le Fraschette e altre Autorità che “in occasione di<br />
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alcuni fermi, recentemente operati in diverse stazioni ferroviarie della<br />
Venezia Giulia, questo Ufficio ha avuto modo di accertare che le persone fermate,<br />
provenienti da Cairo Montenotte e Le Fraschette di Alatri, erano in possesso<br />
di pacchetti di lettere che gli internati - ai quali avevano portato dena-<br />
Donne slave internate al campo, dal volume di Slavica Plahuta<br />
“Sloveni e Montenegrini internati...” Goriski Muzej<br />
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o, viveri e corrispondenza - avevano loro consegnato, brevi manu, per recapitarlo<br />
alle proprie famiglie. Qualcuna ha dichiarato di aver avuto esplicito<br />
permesso dal Comando Stazione CC.RR. di provenienza, prima di intraprendere<br />
il viaggio. Occorre che tale traffico abbia immediatamente termine per<br />
le seguenti ragioni:<br />
1°) Nella Venezia Giulia, tale forma di soccorso ha assunto l’aspetto di vera<br />
manifestazione di solidarietà con gli internati, da parte della popolazione<br />
allogena, che fa a gara col dare denaro, indumenti o commestibili.<br />
Permettendo ciò, si darebbe la sensazione che i campi di concentramento<br />
siano luoghi di villeggiatura, la qualcosa annullerebbe il fine per il quale<br />
questo Ispettorato speciale di Polizia provvede all’internamento dei famigliari<br />
dei ribelli, che è di ottenere così la costituzione di coloro che fra essi sono<br />
fortemente attaccati alla famiglia e la successiva costituzione anche dei<br />
recalcitranti, quando saranno venuti a conoscenza che alla costituzione dei<br />
loro compagni è seguito il ritorno immediato dei congiunti internati, chiesto<br />
direttamente e tempestivamente da questo Ispettorato come da autorizzazione<br />
della Circolare del Ministero dell’Interno. Insomma i campi di concentramento<br />
debbono essere ritenuti luoghi di severa punizione morale ed economica,<br />
e la liberazione dei familiari dei ribelli, ritornati a noi, un premio ed una<br />
leva per indurre gli altri, rimasti con i ribelli, a costituirsi.<br />
2°) Non può essere consentito che individui internati ricevano lettere o ne<br />
possano scrivere per farle recapitare clandestinamente, sottraendole alla<br />
necessaria censura.<br />
Premesso quanto sopra, presi gli ordini superiori, prego voler disporre che<br />
sia impedita, con tutti i mezzi, l’esplicazione di siffatta attività procedendo al<br />
fermo, sia in partenza, che in arrivo delle persone che si recano nei comuni,<br />
sedi di campo di concentramento, per recapitare danari, indumenti, lettere e<br />
viveri, e provvedendo al sequestro del materiale del quale siano trovati in<br />
possesso. I fermati dovranno a mezzo di ordinaria corrispondenza dell’Arma<br />
essere tradotti ed internati nel carcere di Trieste a disposizione di questo<br />
Ispettorato Speciale.<br />
Particolare raccomandazione viene rivolta ai sigg. Questori di Gorizia<br />
Savona e Frosinone in considerazione che il maggior traffico di persone si<br />
svolge tra le stazioni ferroviarie suddette”.<br />
Un curioso episodio avvenne il 1° maggio a Le Fraschette:<br />
“Verso le 11, pattuglie di agenti di P.S. e CC.RR. si avvedevano che alcune<br />
internate slave portavano intrecciati tra i capelli piccoli nastrini rossi. Tra di<br />
esse c’era un giovane dalmata che si era fregiato il petto con una coccarda<br />
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ossa…Le donne fermate ed interrogate hanno dichiarato essere solite adornarsi<br />
ogni 1° maggio di nastrini rossi per celebrare la festa dei lavoratori”.<br />
Il 12 maggio, mons. Santin ebbe il permesso di visitare i campi di<br />
Fraschette e Cairo Montenotte, nei quali rilevante era la presenza di civili<br />
provenienti dalle diocesi del Triveneto. A Fraschette, comunicò mons.<br />
Edoardo Facchini in una lettera diretta a mons. Santin, dopo l’intervento<br />
autorevole di mons. Borgoncini-Duca, Nunzio apostolico del Vaticano<br />
presso lo Stato Italiano, erano stati “spazzati via tutti i dirigenti del campo,<br />
tenuto in condizioni disumane”.<br />
La visita di mons. Santin venne<br />
segnalata dal direttore del campo<br />
con fonogramma inviato al Prefetto<br />
di Frosinone: “alle ore 10 è qui giunto<br />
l’Eccellenza il Vescovo di Trieste<br />
col suo segretario accompagnato dal<br />
vescovo di Alatri. Fu desiderato di<br />
riunire sloveni e dalmati nel piazzale<br />
antistante la Chiesa ed ivi ha fatto<br />
un discorso a sfondo cristiano<br />
dando poi notizia che il Vaticano ha<br />
preparato 400 posti per ospitare<br />
bambini d’ambo i sessi in due Istituti<br />
uno a Roma e l’altro a Loreto. Ha<br />
fatto sperare a loro una prossima<br />
liberazione ed ha impartito la sua<br />
benedizione. Il discorso è stato poi<br />
ripetuto in lingua slovena dal suo<br />
mons. Antonio Santin<br />
Segretario. Prima di allontanarsi ha lasciato al cappellano del campo una<br />
somma da distribuire fra i più bisognosi fra sloveni e dalmati. Nessun incidente”.<br />
Ma chi era mons. Santin? Nominato vescovo della diocesi di Trieste e<br />
Capodistria nel 1938, presule amato e ricordato ancor oggi dalla sua gente,<br />
scrisse:<br />
“Fui e sono sacerdote cattolico e mi sforzai sempre di essere giusto. Mi sforzai<br />
di esserlo in tempi difficili, quando tenere duro in certi settori (lingua<br />
slava nelle chiese, difesa dei sacerdoti slavi ecc.) e affermare certe tesi (i<br />
diritti delle popolazioni slave) era difficile e pericoloso…E se ieri difesi ebrei<br />
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e slavi perseguitati, oggi difendo gli italiani cacciati dalle loro terre…Alludo<br />
alle terre che, da sempre abitate da italiani, sono state aggiudicate contro<br />
ogni diritto ad altra nazione”.<br />
In generale, tutta la chiesa del nord-est si mobilitò a difesa della propria<br />
gente. A questo proposito, l’Alto Commissario Emilio Grazioli riferì dell’incontro<br />
del vescovo di Lubiana con il Pontefice. Grazioli era venuto in possesso<br />
del memoriale presentato dal presule, in accordo con il vescovo di<br />
Arbe. Vi si descrivevano le condizioni degli sloveni internati nei campi di<br />
concentramento:<br />
“Per circa 300.000 fedeli della Diocesi di Lubiana che si trovano nella<br />
Provincia di Lubiana, ne sono stati finora internati in diversi campi di concentramento<br />
quasi 30.000, cioè il 10 % di tutta la popolazione. In maggior<br />
parte sono nei seguenti campi di concentramento: a Gonars (diocesi di<br />
Udine) circa 4.000. Da Gonars vennero trasportati ultimamente una parte<br />
rilevante di questi in un campo di concentramento vicino ad Arezzo; a Monito<br />
(Treviso) circa 3.500 (fra questi 700 bambini al di sotto dei 10 anni); a<br />
Padova circa 3.500; ad Arbe (diocesi di Veglia) circa 15.000 (fra questi oltre<br />
1000 bambini).<br />
E per di più si trasporta nei campi di concentramento quasi ogni giorno ancora<br />
altra gente di ambedue i sessi e di tutte le età. Nessuno può sapere quanto<br />
tempo ciò durerà ancora. Le condizioni di vita dei campi di concentramento<br />
non sono buone. Tutti soffrono moltissimo. La mancanza di nutrimento non è<br />
il peggiore male per gli adulti, bensì per i bambini. Il male più insopportabile<br />
per gli adulti è l’ozio, la mancanza di occasioni per un lavoro utile, specialmente<br />
risentono ciò le persone colte che non possono avere nemmeno dei<br />
libri, sebbene questi fossero stati raccolti e pronti per la spedizione a<br />
Lubiana, ma venne respinto il permesso di trasportarli nei campi di concentramento...<br />
Ecco i provvedimenti più urgenti da farsi: - I bambini dovrebbero essere<br />
immediatamente rimandati a casa assieme alle loro madri…- Gli ammalati<br />
gravi e quelli che sono affetti da malattie croniche dovrebbero venire liberati<br />
e rimandati alle rispettive famiglie, dove potranno essere meglio curati. Vi<br />
sono casi veramente terribili: per es. a Gonars vi fu uno studente universitario<br />
che aveva un tumore nel cervelletto ed in seguito a ciò perdette la vista.<br />
Proprio nel giorno in cui fu arrestato a Lubiana in occasione della razzia<br />
generale, aveva ricevuto dal medico un ordine scritto per recarsi alla clinica<br />
per un’operazione urgentissima. Nessuno badò a ciò, venne trasportato a<br />
Gonars ed ivi trattenuto. Egli perdette completamente la vista. Dopo alcuni<br />
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mesi si è riuscito a liberarlo… - La separazione degli studenti e degli altri<br />
adolescenti dai rimanenti internati. - I bambini e gli adolescenti che sono<br />
negli accampamenti dovrebbero venire nutriti più convenientemente e più<br />
abbondantemente, affinché non soccombano a causa dell’esaurimento e delle<br />
malattie che nell’inverno sono ancor più pericolose…<br />
Tutti saranno riconoscentissimi alla<br />
Santa Sede, se potesse appoggiare<br />
queste nostre proposte presso le<br />
competenti autorità italiane”.<br />
Anche mons. Carlo Margotti,<br />
Arcivescovo di Gorizia, con una<br />
lettera indirizzata alle Autorità<br />
fasciste intervenne in difesa della<br />
sua gente. Il presule rivolse una<br />
petizione in favore “di quelle centinaia<br />
di uomini e donne, padri e<br />
madri di famiglia … che si vedono<br />
privati della libertà personale e<br />
giacciono ancora in carcere o in<br />
mal riparati campi di concentramento,<br />
mentre la loro casa e le loro<br />
mons. Carlo Margotti<br />
modeste risorse sono confiscate”.<br />
Mons. Margotti scrisse al Capo di<br />
Stato Maggiore, maresciallo Pietro Badoglio, implorando “un gesto generoso<br />
verso le popolazioni di origini e lingua slovena che formano la maggioranza<br />
della diocesi di Gorizia: sfollamento dei campi di concentramento e ritorno<br />
di molte braccia al lavoro delle campagne ormai quasi abbandonate e ripresa<br />
della vita famigliare in troppe case su cui è piombato il dolore e la desolazione<br />
con la lontananza forzata del padre e della madre”. Lo stesso vescovo<br />
segnalò alle Autorità alcuni casi particolarmente pietosi chiedendo il ritorno<br />
a casa dai campi di concentramento, “ma – annotò amaramente nell’agosto<br />
1943 – da Le Fraschette è ritornata finora solo una donna”.<br />
Questa amara constatazione finale trova una spiegazione nel documento che<br />
l’Ispettore Speciale di Polizia, Giuseppe Gueli aveva inviato al Capo della<br />
Polizia il 10 luglio. In esso si delineava la strategia da seguire per tenere a<br />
bada l’iniziativa del clero che perorava insistentemente la causa del ritorno a<br />
casa degli internati della Venezia Giulia inviati nei campi di concentramento<br />
italiani. Scriveva Gueli: “Nell’adunanza tenuta il 6 corrente presso la sede<br />
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arcivescovile di Gorizia, diversi parroci allogeni si sono rivolti a me direttamente<br />
per ottenere il rilascio di alcuni internati nei campi di concentramento.<br />
Pur contenendo l’accettazione di tali richieste in una misura assai limitata,<br />
ritengo di dover aderire, perché solo in tale maniera si potrà ottenere che<br />
l’azione del clero contro le bande armate, anziché cauta, com’è stata decisa,<br />
sia palese e definitiva. Infatti, salvo ordine contrario dell’Eccellenza Vostra,<br />
io mi riservo di disporre inizialmente la liberazione di uno sparuto numero di<br />
internati, che farei convenire, man mano, presso la sede di questo Ispettorato,<br />
ove li consegnerei personalmente ai parroci richiedenti con acconce parole,<br />
atte a far comprendere ed a far subito divulgare nella zona la notizia di una<br />
azione comune svolta contro le bande armate da questo Ispettorato e dal<br />
clero locale. Ho avuto occasione di conferire sull’argomento con il<br />
Comandante dell'VIII Armata, il quale condivide con me l’idea che un tale<br />
procedimento varrà di sicuro a mettere il clero allogeno in situazione di lotta<br />
aperta con le bande dei ribelli, capeggiate dai comunisti”.<br />
In effetti pochissimi furono i civili tornati anzitempo da Le Fraschette, segno<br />
che la strategia disegnata dall’assai temuto Ispettore Gueli, fu rigorosamente<br />
osservata e messa in atto.<br />
L’AZIONE DI MONS. EDOARDO FACCHINI<br />
Mons. Edoardo Facchini, vescovo di Alatri dal 30 giugno 1935, cercò di<br />
tutelare e proteggere con la sua presenza al campo gli internati di<br />
Fraschette e per questo si recò al campo a piedi anche più volte al giorno.<br />
Nel mese di aprile del 1943 la Direzione informò la Prefettura di Frosinone<br />
“che il cappellano ha ricevuto da S.E. il Vescovo di Alatri la somma di<br />
L.15.000 e in precedenza altra di minore entità per gli internati più poveri e<br />
bisognosi. Dallo stesso Cappellano mi è stata data l’assicurazione che la<br />
distribuzione viene fatta nella misura di una cinquantina di lire per famiglia,<br />
tra quelle che non ricevono vaglia e nulla posseggono, in modo da non trovarsi<br />
in contrasto con le disposizioni in vigore”. Lo stesso mons. Facchini, qualche<br />
giorno dopo “ha mandato al campo per essere distribuiti gratuitamente<br />
agli internati, una cassa di medicinali di cui è difficile avere l’acquisto, trattandosi<br />
di specialità”. Il Ministero dell’Interno invitò successivamente il<br />
Direttore del Campo a ringraziare mons. Facchini “per l’apprezzato dono”.<br />
Mons. Facchini fu in quegli anni il riferimento unico per la popolazione di<br />
Alatri e, dopo l’8 settembre, costituì l’ultimo baluardo contro i soprusi dei<br />
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nazifascisti. L’intensa attività assistenziale posta in essere dal vescovo e dal<br />
clero fu malsopportata dalle autorità. Durante l’estate del 1943 le città della<br />
Ciociaria a sud di Frosinone subirono pesanti bombardamenti. Rispetto alla<br />
città capoluogo, Alatri sembrò città più sicura, tanto che si decise di trasferirvi<br />
il Distretto militare, il Comando provinciale militare, il Comando della<br />
guardia nazionale repubblicana, il Comando tedesco per la piazza di<br />
Frosinone ed il Comando provinciale della polizia militare tedesca. La<br />
Prefettura e la Questura furono trasferite a Fiuggi.<br />
Si ridussero in questo modo gli spazi di libertà e anche il vescovo fu sottoposto<br />
a stretta sorveglianza. Ogni suo atto fu spiato e segnalato. Tuttavia, potendo<br />
contare su una valida rete di protezione, egli continuò ad adoperarsi perché<br />
non si commettessero abusi nella gestione degli aiuti alimentari alla popolazione,<br />
agli sfollati, agli internati. Arrivò ben presto allo scontro con le autorità<br />
in difesa della popolazione e per questo unanimemente gli venne riconosciuto<br />
il titolo di “Defensor civitatis”.<br />
Nel campo, gestito dalle autorità civili e militari italiane, avvenivano furti e<br />
abusi ai danni degli internati e alcuni agenti di P.S. si resero responsabili di<br />
episodi di molestie a carico di giovani donne, come annotò, peraltro, il<br />
Questore di Frosinone in una nota del 23 maggio indirizzata al Direttore del<br />
Campo. Mons. Facchini pensò che un presidio di suore all’interno del campo<br />
avrebbe potuto essere una garanzia migliore per gli internati e una risorsa da<br />
mettere a disposizione dei più deboli: anziani e bambini.<br />
Solo le suore, con il loro spirito di abnegazione, avrebbero potuto confortare,<br />
proteggere, educare, insegnare. Così si rivolse alle suore Giuseppine di<br />
Veroli e ottenne che un drappello di queste si trasferisse in una baracca<br />
del campo.<br />
L’esperienza delle suore fu raccontata da Madre Mercedes Agostini nel diario<br />
che è riproposto in altra parte del volume in versione integrale. Grandissima<br />
fu la preoccupazione del vescovo quando i tedeschi, sul finire del 1943, si<br />
insediarono al campo requisendo alcune baracche in dispregio della<br />
Convenzione di Ginevra, che considerava quei luoghi “zone di rispetto”. Da<br />
quel momento iniziarono pesanti attenzioni nei confronti delle donne. Pur in<br />
presenza di questa grave situazione, mons. Facchini chiese alle suore di continuare<br />
la propria attività, cosa che avvenne fino al 7 aprile 1944, quando<br />
anche l’ultimo gruppo di internati lasciò Le Fraschette per essere trasferito al<br />
campo di concentramento di Fossoli, nel comune di Carpi. Le suore condivisero<br />
con questo gruppo anche il lungo e pericoloso viaggio verso il nord.<br />
Il 26 agosto il rappresentante della Nunziatura apostolica, mons. Riberi, fece<br />
29
18-7-1943 Prima Comunione al Campo con mons. Facchini e le suore Giuseppine<br />
visita al campo. A Le Fraschette arrivò mons. Riberi, Nunzio del Santo<br />
Padre per i campi di concentramento. Della visita venne informata la<br />
Prefettura di Frosinone: ”Questa mane alle ore 8,30 è qui giunto l’Eccellenza<br />
Mons. Riberi accompagnato dal vescovo di Alatri e da altri prelati. L’alto<br />
presule dopo aver celebrato la messa all’aperto nello spiazzo antistante la<br />
chiesetta del Campo ha rivolto alla massa dei fedeli parole di occasione invitandoli<br />
alla Fede e alla Provvidenza che lo Stato della Città del Vaticano va<br />
promuovendo in loro favore fino alla prossima liberazione. Ha preso la parola<br />
S.E. il Vescovo di Alatri a sua volta seguito da un giovanetto internato che<br />
ha recitato una poesia sacra inneggiante al Papa. Terminata la cerimonia<br />
religiosa S.E. mons. Riberi ha visitato le scuole, alcuni dormitori, le infermerie<br />
del campo e i vari refettori. Alle 12,30 ha lasciato il campo esprimendo il<br />
suo vivo compiacimento per l’organizzazione avvenuta nel campo. S.E. il<br />
Vescovo di Alatri ha inviato un telegramma a Sua Santità il Papa. Frosinone<br />
26/8/1943”.<br />
Mons. Riberi parlò quindi di una prossima liberazione degli internati, soprattutto<br />
di quelli provenienti dal Friuli e di origine slava. In effetti sempre più<br />
30
spesso si ripetevano gli appelli delle autorità religiose e si nutrivano concrete<br />
speranze di una prossima liberazione di migliaia di civili. D’altronde, non<br />
avrebbe avuto alcun senso sollecitare con vane promesse la speranza di tante<br />
persone ridotte allo stremo da condizioni di vita impossibili.<br />
28-8-1943 Il Nunzio apostolico parla agli internati<br />
ANCORA ARRIVI AL CAMPO<br />
Il Direttore del Campo, Gian Domenico De Sanctis, ben cosciente delle enormi<br />
difficoltà di gestione di una situazione che rischiava di sfuggirgli di mano,<br />
scrisse al Prefetto chiedendo di valutare “l’opportunità che per il momento si<br />
soprassieda dall’ulteriore destinazione a questo Campo di altri contingenti di<br />
internati o confinati”, dal momento che “la popolazione degli internati<br />
ascende in questo momento ad oltre 4.300 unità, tra cui, da alcuni giorni<br />
31
vanno annoverati confinati ed internati politici connazionali, sfollati da<br />
Ustica, e sui quali occorre specifica vigilanza”.<br />
Ritornò qualche giorno dopo sull’argomento per precisare il proprio pensiero<br />
circa l’effettiva capacità del campo. Infatti lo stesso era stato inizialmente progettato<br />
per 7.000 persone, ma “avrebbe dovuto trovarvi sistemazione una<br />
massa di internati militari o militarizzati. Ma nel corso dei lavori molte<br />
costruzioni hanno subito trasformazioni per essere adattate ad alloggio di<br />
nuclei familiari di internati, riducendo in tal modo la capienza di esse ed il<br />
numero dei posti. Il previsto arrivo di tali nuclei familiari, oltre gli internati<br />
singoli, ha consigliato peraltro l’utilizzazione, già avvenuta da alcuni mesi,<br />
di alcune baracche a vari servizi e necessità tecniche, per cui la preventivata<br />
disponibilità di circa 7000 posti si riduce, a lavori ultimati, ad un massimo di<br />
poco più di 5000. In vero la Ditta Pasotti ha costruito 174 baracche delle<br />
quali solo un centinaio sono attrezzate a dormitori; le altre sono utilizzate per<br />
refettori, cucine, alloggi di Corpi Militari, sale di isolamento, magazzini e<br />
negozi…A conclusione di tali precisazioni, pregasi l’Eccellenza Vostra di<br />
voler prospettare superiormente la situazione effettiva del Campo e provocare<br />
di conseguenza la sospensione di ulteriori invii di internati, oltre quelli già<br />
previsti o preannunziati”.<br />
Importante, per la vita del campo e la sua organizzazione, fu la nota del<br />
Ministero dell’Interno del 2 luglio 1943, con la quale si stabilì il passaggio di<br />
gestione del campo dalla Direzione Generale per i servizi di guerra alla<br />
Direzione Generale di Pubblica Sicurezza:<br />
“Il Campo di concentramento Le Fraschette, costruito per l’internamento di<br />
sfollati provenienti dalla Libia, accoglie alla data odierna un complesso di<br />
circa 4500 unità, fra cui anglo-maltesi sgombrati dall’Africa Settentrionale<br />
che hanno manifestato sentimenti ostili all’Italia, sloveni e croati rastrellati a<br />
seguito di operazioni di polizia dai territori annessi ed occupati della frontiera<br />
orientale e dalle province della Venezia Giulia, ed anche elementi sospetti<br />
in linea politica provenienti da altri campi di concentramento della Direzione<br />
generale di Pubblica Sicurezza. Fra breve vi saranno fatte affluire alcune centinaia<br />
di internati per reati annonari. Il campo è stato amministrato fino ad<br />
oggi, per ragioni contingenti, dalla Direzione Generale per i servizi di guerra.<br />
Al riguardo è da tenere presente che tutti gli internati predetti debbono<br />
essere assoggettati ad un particolare regime di sorveglianza che esula dai<br />
compiti istituzionali della Direzione Generale per i servizi di guerra, la quale<br />
è chiamata a provvedere allo sfollamento, assistenza e ricovero dei connazionali<br />
sfollati dalle zone di operazioni, nonché dei sinistrati da azioni belliche.<br />
32
A conferma di ciò si precisa che questo Ministero ha istituito nel proprio<br />
bilancio due distinti capitoli di spesa dalle seguenti denominazioni:<br />
a) spese per l’impianto ed il funzionamento di campi di concentramento per<br />
internati per motivi di P.S.;<br />
b) spese per l’impianto ed il funzionamento di campi di concentramento e di<br />
locali per profughi e sfollati di guerra e per l’apprestamento di locali per il<br />
ricovero di danneggiati da azioni belliche.<br />
Il primo capitolo è gestito dalla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza;<br />
il secondo dalla Direzione Generale per i servizi di guerra.<br />
Appare quindi evidente che la gestione del campo Le Fraschette, rientri nella<br />
specifica competenza della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, la<br />
quale finora ha provveduto a fornire il personale occorrente per la Direzione<br />
e per i servizi di vigilanza.<br />
Si dispone pertanto che entro il 31 luglio p.v. la gestione del campo medesimo<br />
passi dalla Direzione Generale per i servizi di guerra alla Direzione<br />
Generale di Pubblica Sicurezza. Le Direzioni interessate provvederanno alle<br />
regolari consegne di tutti gli atti e documenti relativi alla gestione del Campo<br />
e dei materiali ivi esistenti. S’intende che tutte le pratiche concernenti i lavori<br />
già eseguiti per la costruzione del Campo e quelli in corso di attuazione<br />
saranno definite dalla Direzione Generale per i servizi di guerra”.<br />
Ormai, però, l’evoluzione delle vicende politiche e belliche stavano per prendere<br />
il sopravvento sui problemi amministrativi e si stava entrando in un<br />
periodo storico contrassegnato da incertezze e provvisorietà. Il 10 luglio le<br />
truppe alleate avevano iniziato lo sbarco in Sicilia, il 19 luglio le prime bombe<br />
alleate caddero su Roma, mentre il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo<br />
sfiduciò Mussolini che venne privato di ogni carica e arrestato. Le autorità<br />
non lasciarono trapelare notizie, limitandosi ad osservare i comportamenti<br />
all’interno del campo. A tal proposito, il Direttore del campo informò il 27<br />
luglio il Prefetto che “in seguito agli ultimi avvenimenti politici, il contegno<br />
degli internati si è mantenuto durante la giornata disciplinato e normale. Solo<br />
verso le 11,30 si è notato che gli internati si andavano riunendo lungo il viale<br />
centrale del campo in numero superiore del normale. Immediato intervento<br />
degli organi di polizia ha eliminato qualsiasi assembramento e nulla si è<br />
avuto a verificarsi. Oltre ad avere intensificato i servizi di vigilanza già in<br />
atto, ho disposto la momentanea chiusura, per misura preventiva, degli spacci<br />
di bevande alcoliche esistenti nel campo.”<br />
Nonostante i ripetuti appelli, si ipotizzò la possibilità di internare a Le<br />
Fraschette “duecento donne, parenti e favoreggiatrici di ribelli, già fermate”<br />
33
e “altrettanti internandi per motivi annonari”, per i quali invece la Direzione<br />
Generale di P.S. chiese l’internamento nel campo di Farfa Sabina.<br />
La drammaticità della situazione fu evidenziata dall’alto numero di decessi tra<br />
bambini registratisi nella prima metà del 1943. Questo il triste elenco, sia pure<br />
sommario: Pavic Nicola di 11 anni, Sarson Miranda di 2 mesi, Zoretic Angela,<br />
anch’essa di 2 mesi, Popovac Giovanni Bigliana di 18 anni, Intelia Natale di<br />
13 anni, Rosic Albina di 1 mese, Ielenc Antonio di 6 mesi, Skok Mario Merea<br />
di 7 mesi, Ban Emilia di 17 mesi, Santor Milena di 4 mesi, Toman Vieno di 5<br />
mesi. In totale, nei registri dello Stato civile del Comune di Alatri, furono<br />
registrati 20 decessi nel corso del 1942, 11 nel 1943 e 85 nel 1944 di persone<br />
che vivevano al campo.<br />
L’avanzata delle truppe Alleate dalla Sicilia, provocò la chiusura del campo di<br />
concentramento di Ustica e un gruppo di circa cento confinati politici ed internati<br />
fu trasferito a Le Fraschette, ove giunsero a fine di giugno. Tra di essi,<br />
numerosi italiani e slavi, uomini e donne, accusati di essere comunisti, sovversivi,<br />
sospettati di intese con i partigiani.<br />
Il 10 luglio il Direttore del campo scrisse al Prefetto di Frosinone:<br />
”Dall’esame dei fascicoli personali si deduce che trattasi per la maggior<br />
parte di elementi effettivamente pericolosi, sia dal lato politico, sia dal lato<br />
morale, trattandosi di pregiudicati per reati di ogni specie e qualcuno confinato<br />
anche per avere manifestato propositi di attentati alla vita del Duce,<br />
come ad esempio Ferraresi Armando fu Baldassarre e Vaglio Francesco Polo<br />
fu Luigi. Vi si notano anche elementi i quali, oltre che essere pericolosi per i<br />
loro precedenti politici e morali, debbono scontare ancora un lungo periodo<br />
di confino come: Coco Vincenza fu Esilio in Arnoldi; Guida Alberto di ignoti;<br />
Holobar Giustino di Martino; La Torre Antonino fu Antonio; Manni<br />
Giuseppe di Francesco; Nardizzi Pasquale fu Giovanni; Novak Oveta di<br />
34<br />
Il bombardamento di Roma - La Basilica di San Lorenzo devastata
Giuseppe; Olivieri Arnaldo di Salvatore; Pallottino Pasquale fu Rocco;<br />
Fasetta Francesco di ignoti; Petro Marko fu Marco; Ravarrino Vittorio fu<br />
Pietro; Savio Giovanni di Carlo; Salvatori Mario fu Anchise; Tedesco Davide<br />
fu Bartolomeo; Tosi Alfredo fu Angelo; Zenetin Elvira di Carlo. Per tutti<br />
costoro non sembra prudente la permanenza in località che, come attualmente<br />
questo campo di concentramento, è da considerare aperto perché tuttora<br />
privo di recinzione e che non offre alcun mezzo o possibilità che valga a impedirne<br />
l’allontanamento”.<br />
Proprio sulla scorta di quanto richiesto dal direttore del campo, il Prefetto di<br />
Frosinone qualche giorno dopo chiese alcuni interventi urgenti per rendere<br />
più sicuro il campo e migliorarne al tempo stesso la vita. In particolare, oltre<br />
ad avvicendamenti del personale amministrativo, chiese di “eliminare i militari<br />
dell’81° Reggimento Fanteria addetti alle 18 cucine, affidando ogni<br />
cucina ad un capo baracca da farsi coadiuvare nella preparazione delle<br />
vivande dagli stessi internati … Assegnare un secondo medico in sostituzione<br />
del dott. Tordela richiamato alle armi, un assistente sanitario che coadiuvi<br />
i due medici, quattro infermieri, tre inservienti per le pulizie dei locali e<br />
tre vigili sanitari”.<br />
Il Prefetto fece richiesta di personale al Ministero della Guerra “affinché<br />
metta a disposizione del campo un ufficiale medico giustificando la richiesta<br />
col rilievo che trattasi di internati in dipendenza dello stato di guerra”.<br />
Suggerì ancora di “costruire latrine comunicanti con le baracche essendo le<br />
attuali molto distanti, sicché d’inverno e di notte gli internati non hanno possibilità<br />
di servirsene”. Con ulteriore comunicazione alla Direzione Generale<br />
di P.S., il Prefetto fece proprie le osservazioni del Direttore del campo, chiedendo<br />
di attuare al più presto il trasferimento degli ultimi confinati politici<br />
arrivati da Ustica in altro campo ove fosse possibile attuare più severa sorveglianza.<br />
La risposta fu però negativa, vista l’assoluta mancanza di posti in altri<br />
campi di concentramento. “Ciò premesso – aggiunse il Capo della Polizia –<br />
si prega codesta Prefettura di affrettare, per quanto possibile, i lavori di<br />
recinzione del campo in oggetto, formulando, nel contempo, proposte concrete<br />
per l’eventuale aumento della forza pubblica per i servizi di vigilanza del<br />
campo medesimo”.<br />
Il 18 luglio 1943, il Direttore del campo fotografò esattamente la situazione<br />
dell’internamento a Le Fraschette:<br />
“Anglo maltesi (sudditi inglesi): donne 503 – uomini 469;<br />
Croati: donne 764 – uomini 467;<br />
Serbi: donne 6 – uomini 0;<br />
35
Albanesi: donne 0 – uomini 3;<br />
Dalmati: donne 689 – uomini 473;<br />
Sloveni: donne 791 – uomini 101;<br />
Italiani: donne 17- uomini 31.<br />
Totale individui n. 4.314 fra cui vi sono 107 ex confinati ed internati politici”.<br />
Nello stesso documento, il Direttore invocò “la sostituzione del comandante<br />
della stazione agenti di P.S. maresciallo Raso Gino e tutti gli agenti qui in servizio<br />
con elementi anziani, pratici dei servizi di polizia e massimamente di<br />
effettiva provata e indiscussa serietà, forniti tutti di divisa. Vi è da portare la<br />
forza della Stazione a 40 elementi inquadrandola con un congruo numero di<br />
abili e provetti sottufficiali”.<br />
A questa popolazione presto si aggiunsero, per disposizione del<br />
Sottosegretario al Ministero dell’Interno, anche 200 donne, parenti e favoreggiatrici<br />
di ribelli, fermati da vario tempo dall’Ispettorato Speciale di Polizia<br />
per la Venezia Giulia.<br />
L’arrivo di questo ulteriore gruppo avvenne il 12 agosto.<br />
Nello stesso giorno giunse una delegazione svizzera accompagnata da un<br />
funzionario del Ministero degli Interni. La delegazione si preoccupò di<br />
verificare la situazione degli anglo-maltesi, il regime a cui questi erano sottoposti,<br />
gli alloggi da essi occupati. La visita durò l’intera giornata, alla presenza<br />
del direttore del campo che ne fornì notizia alla Prefettura.<br />
Nel mese di agosto l’Opera Pontificia di Assistenza di Gorizia incaricò Madre<br />
Clementina Drole di far pervenire per il tramite di Padre Cortesi, la somma di<br />
£.11.115 alle internate di Le Fraschette provenienti da quella diocesi.<br />
Il Ministero dell’Interno il 16 settembre invitò la direzione del Campo a pagare<br />
gli internati e confinati “che svolgono lavori inerenti al campo, come avviene<br />
negli altri campi di concentramento, ovvero con 100-150 lire mensili”. Il 5<br />
ottobre un violento incendio scoppiò a Le Fraschette. Diverse baracche furono<br />
distrutte. Ne dette immediata notizia il Direttore al Prefetto.<br />
36
L’ARMISTIZIO<br />
Se il 25 luglio non produsse ripercussioni, ben altra situazione si registrò a<br />
seguito dell’armistizio dell’8 settembre e l’allontanamento dei carabinieri e di<br />
buona parte degli agenti di P.S.. Scrisse il Prefetto Gullotta:<br />
“Il contegno degli internati croati diviene sempre più aggressivo, anche per il<br />
fatto che ad essi, data la difficilissima situazione alimentare della provincia,<br />
non può distribuirsi il vitto giornaliero se non limitatamente al pane, a patate<br />
e a quegli altri generi che<br />
offre il mercato locale. Ad<br />
aggravare tale difficile situazione<br />
di cose, è intervenuto un<br />
nuovo inconveniente: da dieci<br />
giorni in qua, un aereo di<br />
nazionalità sconosciuta, quasi<br />
tutte le sere, alla stessa ora,<br />
sorvola il campo, eseguendo<br />
mitragliamenti; il 10 ottobre<br />
sganciava anche due bombe<br />
dirompenti sulle baracche della<br />
Direzione, che hanno subito<br />
gravi danni. A ciò è da aggiungere<br />
il contegno deplorevole dei<br />
funzionari di P.S. rimasti tuttora<br />
in servizio al campo, i quali<br />
si mantengono indifferenti e<br />
passivi di fronte al disordine<br />
che vi regna, subdolamente istigando<br />
internati ed agenti di P.S.<br />
a rivoltarsi contro la direzione,<br />
e profittando, appunto, della confusione, per procedere ad indebiti profitti,<br />
specialmente per quello che riguarda il materiale vestiario e lettereccio”.<br />
ARRIVA LA GUERRA. VERSO LA CHIUSURA DEL CAMPO.<br />
La guerra sempre più vicina e la conseguente aumentata insicurezza, fece<br />
prendere in considerazione l’idea di trasferire gli internati in città, ad Alatri,<br />
37
muniti di tessera di alimentazione e con il beneficio del prescritto sussidio di<br />
£.9 al giorno. Ma si presero in considerazione anche soluzioni più drastiche,<br />
quali la liberazione per i civili di nazionalità slava e il trasferimento in altro<br />
campo per gli anglo-maltesi.<br />
Riconoscendo l’inutilità di quell’internamento di una così grande massa di<br />
popolazione, il Ministro della Guerra del Governo Badoglio, Antonio Sorice,<br />
propose l’immediata liberazione dei civili in una lettera indirizzata alle autorità<br />
ecclesiastiche. Il provvedimento avrebbe dovuto riguardare “4.500 croati<br />
e sloveni tra cui molte donne e bambini, internati al campo di Alatri, 5.000<br />
uomini croati e sloveni del campo di Anghiari-Renicci, 3.800 sloveni e croati<br />
del campo di Chiesa Nuova, 1.400 uomini e donne del campo di Monito,<br />
2.000 croati e sloveni del campo di Visco e 2.500 internati di Gonars”.<br />
A novembre il numero di internati a Le Fraschette era sceso a 2.570, di cui<br />
1.615 dalmati e 955 anglo-maltesi. La difficoltà di approvvigionamento di cibi<br />
e vestiario si fece sempre più pressante, ma nello stesso tempo le Autorità<br />
erano ben consapevoli della difficoltà di trasferire una massa di persone composta<br />
perlopiù da bambini, donne ed anziani, inabili al lavoro e incapaci di tentare<br />
da soli un improbabile ritorno a casa.<br />
La disperazione aveva prodotto il saccheggio del campo. Pur di procurarsi<br />
cibo, gli internati, ma non solo loro, vendettero o barattarono tavoli, materassi,<br />
coperte, lenzuola, tutto materiale che era servito per le truppe fino a poco<br />
tempo prima lì presenti.<br />
Per risolvere il problema del trasferimento degli anglo-maltesi verso campi<br />
ubicati in Alta Italia, lontani dal teatro di guerra, e nello stesso tempo riavvicinare<br />
gli slavi verso casa, il Ministero degli Affari Esteri il 4 dicembre si<br />
rivolse alle autorità tedesche proponendo:<br />
“1. Il trasferimento al nord del gruppo degli anglo maltesi. Per far ciò le autorità<br />
militari germaniche dovrebbero provvedere l’adeguato mezzo di trasporto,<br />
dopo aver preso accordi con il Ministero dell’Interno circa la località dove<br />
potrebbero essere concentrati gli elementi di cui si tratta.<br />
2. Far rimpatriare nei loro rispettivi paesi i nuclei croati e sloveni, composti<br />
in gran parte da vecchi, donne e bambini, eccezion fatta per gli uomini validi<br />
che dovrebbero essere internati nell’Italia settentrionale, allo scopo di evitare<br />
che essi, rimpatriando, possano andare ad ingrossare le file dei ribelli.<br />
Il lasciare insoluta la questione potrebbe, in caso di ulteriore avanzata degli<br />
eserciti anglo-americani, portare alla dispersione del gruppo in questione,<br />
con evidente danno per gli interessi sia italiani sia tedeschi”.<br />
La missiva naturalmente era partita da Salò e dalle autorità della neonata<br />
38
Repubblica Sociale Italiana che aveva assunto il controllo delle zone ancora<br />
occupate dalle truppe tedesche. Ma la mancanza di mezzi di trasporto e la difficile<br />
individuazione di località del Nord Italia con adeguata capacità ricettiva,<br />
fecero rimandare il progetto. La Direzione Generale di P.S. suggerì lo<br />
scioglimento del campo, la liberazione degli internati e la custodia da parte di<br />
pochi agenti di P.S. delle strutture che costituivano pur sempre patrimonio<br />
dello Stato.<br />
“La situazione, già abbastanza grave, è divenuta ora addirittura insostenibile<br />
per il fatto che i Comandi tedeschi succedutisi nella Provincia di Frosinone<br />
e il cui atteggiamento verso gli internati era, in principio, conforme alla<br />
Convenzione di Ginevra, si sono addirittura insediati con le loro truppe nel<br />
campo, dimenticando trattarsi di una zona di rispetto. Per tale accampamento<br />
sono stati requisiti oltre alle baracche degli internati, magazzini ed alloggi<br />
della Direzione con il conseguente deterioramento di molto materiale d’arredamento<br />
ch’era stato possibile salvare. A seguito di ciò gli internati vivono<br />
in preda a continuo panico e molti si sono ritirati in case di contadini delle<br />
contrade vicine scendendo nel campo solamente per ritirare il pane. Dato tale<br />
stato di cose e poiché le operazioni militari si avvicinano sempre di più a<br />
quella zona ed i bombardamenti e mitragliamenti sono continui (il 10 ottobre<br />
ebbe a verificarsi uno sgancio di spezzoni incendiari proprio sugli uffici della<br />
Direzione e non è raro il caso che schegge di proiettili vengano a cadere sulle<br />
baracche), è necessario adottare d’urgenza provvedimenti che valgano ad eliminare<br />
lo stato di cose suindicate”.<br />
In tutta questa contingenza, l’ingegnere capo del Genio Civile di Frosinone il<br />
5 novembre trovò il tempo e i denari per incaricare l'Impresa Malandrucco di<br />
eseguire i lavori di costruzione della recinzione del Campo.<br />
Il 7 dicembre il Capo della Polizia fu informato “del contegno poco corretto<br />
di alcuni militari di dette truppe (tedesche) i quali nelle ore notturne hanno<br />
tentato di accedere nelle baracche delle internate e perfino in quelle del cappellano<br />
e delle suore reclamando donne per scopi facilmente immaginabili,<br />
ed esplodendo alcuni colpi di pistola a scopo intimidatorio…Si ritiene doveroso<br />
far presente che il nucleo anglo-maltese mantiene, nei limiti consentiti<br />
dalla necessità del momento, una disciplina ed un contegno correttissimi<br />
assai diverso da quello degli internati croati e sloveni…Si fa presente che il<br />
IX Comando Militare del Lazio ha disposto che il Comando Provinciale<br />
Militare di Frosinone assuma il compito della vigilanza del campo”.<br />
39
IL 1944<br />
Il 7 gennaio 1944, il Capitano e Comandante del Paese (Alatri), Schumacher,<br />
scrisse al Direttore del Campo:<br />
“Il campo di concentramento nelle sue attuali condizioni non è sopportabile<br />
nell’interesse dell’esercito germanico per la difesa dell’Europa e del mantenimento<br />
della sicurezza e dell’ordine delle retrovie.<br />
Il campo da lungo tempo insorvegliato, gli internati vivono in completa libertà.<br />
Razzie fatte inaspettatamente, hanno dimostrato che il campo offre in certo<br />
qual modo rifugio ad agenti al servizio di Potenze nemiche come pure a prigionieri<br />
di guerra fuggitivi.<br />
L’approvvigionamento alimentare degli internati è in parte deficiente, sia per<br />
mancanza di organizzazione provinciale, sia per la effettiva mancanza di<br />
viveri.<br />
In seguito alla mancanza di cure mediche ed allo scarso nutrimento, come<br />
pure alla deficienza di igiene, è prevedibile fin d’ora che il campo diverrà<br />
fonte di epidemie e malattie, ciò che costituirebbe un grande pericolo oltre<br />
che per la popolazione, per le Forze Armate germaniche.<br />
In considerazione di ciò, Vi prego di sollecitare presso i Vostri superiori lo<br />
sgombero del campo. Anch’io per mio conto interesserò al riguardo le superiori<br />
Autorità germaniche”.<br />
Di lì a qualche giorno, la questione del campo venne ripresa nel corso di un<br />
colloquio presso l’Ambasciata tedesca di Roma, tra un rappresentante della<br />
Direzione Generale di P.S., il Commissario Travaglio e il capitano Wuth della<br />
Polizia germanica. Quest’ultimo pose il problema della vicinanza del campo<br />
alla zona delle operazioni di guerra e quindi ribadì la necessità urgente di trasferire<br />
al nord ed in luogo sicuro i circa 1.000 anglo-maltesi e gli altri mille<br />
croati distinti per nuclei familiari presenti al campo. Il Commissario Travaglio<br />
rispose che il numero degli internati era inferiore a quello prospettato: 972<br />
anglo maltesi e circa 200 croati e sloveni. La difficoltà di realizzare il trasferimento,<br />
dipendeva dalla mancanza di una idonea struttura al nord che potesse<br />
ospitare il folto gruppo di internati e dalla mancanza di mezzi di trasporto.<br />
In attesa di realizzare il trasferimento, gli internati sarebbero stati trasportati<br />
ad Alatri, anche se rimaneva la difficoltà di individuare il luogo in cui ospitare<br />
il gruppo. Per il capitano Wuth, trasporto e sistemazione al nord degli internati<br />
erano compito delle autorità italiane. Oltre agli internati di Le Fraschette,<br />
secondo Wuth, dovevano essere spostati al nord anche gli ebrei delle province<br />
di Aquila, Frosinone, Pescara e Teramo.<br />
40
Ma il tempo passava e la condizione degli internati dipendeva sempre più<br />
dalla generosità dei contadini della zona. Su tutti incombeva minacciosa la<br />
guerra. La pressione delle truppe Alleate sul fronte di Cassino stava creando<br />
grosse difficoltà ai sistemi difensivi tedeschi.<br />
Il 15 febbraio le prime avvisaglie con il mitragliamento del campo descritto<br />
in un rapporto dal direttore del campo:<br />
“ Stamane, verso le otto, aerei, probabilmente anglo-americani, hanno effettuato<br />
una rapida azione di mitragliamento su questo Campo. Le raffiche, sparate<br />
da bassa quota, hanno investito diverse baracche attraversandone le sottili<br />
pareti di faisite e colpendo alcuni internati che, data l’ora, si trovavano<br />
parte ancora a letto e parte intenti alle faccende domestiche.<br />
L’internato Loriente Giovanni fu Ignazio e di Azzaro Concetta, nato a Tripoli<br />
il 25.2.1918, coniugato, colpito in atto di attingere acqua nei pressi della propria<br />
baracca, decedeva poco dopo nell’infermeria del Campo.<br />
L’internato Ellul Michele fu Angelo e fu De Bono Maria, nato a Tripoli il<br />
17.4.1894 e il figlio Ellul Vincenzo di Michele e di Darmanin Giuseppina,<br />
nato a Tripoli l’8.2.1935 venivano feriti mentre si trovavano ancora a letto.<br />
L’internata Cassar Carmela fu Giuseppe e fu Giommi Caterina, nata a<br />
Tripoli il 12.10.1886, veniva anch’essa ferita mentre si trovava nella cucina<br />
della propria baracca.<br />
È stato inoltre colpito, ed è deceduto poco dopo nell’Ospedale Civile di Alatri<br />
senza che lo si fosse potuto interrogare, uno sconosciuto che dalle indagini di<br />
questo ufficio è risultato essere un prigioniero inglese evaso che viveva alla<br />
macchia nelle campagne vicine, e che si recava di tanto in tanto nel Campo,<br />
talvolta anche pernottandovi, ospite dell’internata Bajec Michela fu Giorgio<br />
nata a San Vito di Vipacco il 30.9.1914. Quest’ultima, interrogata, ha dichiarato<br />
di aver spesso aiutato ed ospitato il predetto prigioniero, del quale non<br />
ha saputo indicare che il nome, Jimm Murdoch, ed il recapito familiare, 5<br />
Belgrave Road, Rathmines Dublino (EIRE). Costui è stato raggiunto da una<br />
raffica mentre si trovava a letto nell’appartamentino della Bajec.<br />
I feriti, gravissimi, dopo le prime cure prestate loro da un ufficiale medico<br />
tedesco di passaggio nel Campo, venivano fatti trasportare nell’Ospedale<br />
civile di Alatri, dove erano ricoverati con prognosi riservata presentando:<br />
Ellul Michele, ferita da proiettile nella coscia sinistra con frattura comminata<br />
ed esposta del femore al terzo superiore e recisione dell’arteria femorale,<br />
ferita all’addome probabilmente penetrante, ferita alla regione anteriore dell’avambraccio<br />
destro;<br />
Ellul Vincenzo, ferita da proiettile al terzo superiore della coscia sinistra con<br />
41
frattura comminata ed esposta del femore e vasta asportazioni delle parti<br />
molli;<br />
la Cassar Carmela, vasta ferita al terzo superiore della gamba destra con<br />
spappolamento delle ossa della gamba e del braccio;<br />
tutti sono in pericolo di vita. La collettività degli internati si è mantenuta<br />
calma e disciplinata.“.<br />
Da alcune testimonianze raccolte da contadini che abitavano nella zona, è<br />
emerso che un aereo tedesco, probabilmente un ricognitore, tutte le mattine<br />
sorvolava il Campo e si dirigeva verso il fronte di Cassino. Aerei alleati, quel<br />
giorno, seguirono l’aereo tedesco nel suo viaggio di ritorno, e su Le<br />
Fraschette quella mattina, fu ingaggiato lo scontro. Poiché gli aerei volavano<br />
radenti al suolo, accidentalmente, secondo queste ricostruzioni, i colpi di<br />
mitragliatrice furono diretti verso le baracche provocando morti e feriti.<br />
Altro bombardamento avvenne il 22 febbraio alle 11,30. Anche questa volta<br />
riferì in maniera circostanziata Silvio San Giorgio, Direttore:<br />
“Per effetto del bombardamento decedevano quasi subito le seguenti persone:<br />
Mallia Salvatore, nato a Tripoli il 6.5.1896, suddito britannico;<br />
Attard Lazzaro, nato a Tripoli, di 21 anni;<br />
Lanzone Giuseppe, nato a Tripoli, di anni 43, internato suddito britannico;<br />
Ban Giuseppina, di anni 10, internata croata;<br />
D’Ario Licinia, nata a Roccasecca, di anni 37, sfollata che trovavasi per caso<br />
nel campo;<br />
Scarselletta Pasqua, di anni 43, nata a Fumone;<br />
Buccetti Emilio, di anni 16, contadino di passaggio nel campo.<br />
Sono rimasti soltanto feriti:<br />
Costa Pasquale, Turak Maria, Pataria Francesco, D’Ascanio Elodia.<br />
Dopo espletate le operazioni di soccorso, è stato necessario trasportare in<br />
Alatri, sistemandoli alla meglio in locali messi a disposizione dal Comune,<br />
quasi tutti gli internati i quali, in preda a vivissima agitazione, non hanno<br />
voluto permanere ulteriormente nel Campo, per la seconda volta sottoposto<br />
ad azione aerea. Il trasporto ad Alatri degli internati e delle loro masserizie<br />
è stato effettuato con la massima rapidità e senza incidenti di sorta”.<br />
I numerosi morti al campo nei due episodi di mitragliamento e bombardamento,<br />
lasciarono il segno e se ne dispose l’immediato abbandono. Alatri, che già<br />
stava ricevendo i numerosi sfollati del fronte di Cassino, si preparò ad accogliere<br />
i quasi 1.400 ormai “ex internati” del campo Le Fraschette. Perlopiù<br />
ospitati presso l’Istituto Stampa, assistiti sollecitamente dalle autorità ecclesiastiche<br />
e dalla popolazione, essi erano ormai in procinto di essere trasferiti<br />
42
in campi dell’Italia settentrionale.<br />
Con l’intensificarsi delle offensive alleate e delle controffensive tedesche sul<br />
fronte di Cassino, le popolazioni del Lazio meridionale, della Campania e del<br />
vicino Molise erano state anche esse costrette a fuggire per cercare un riparo<br />
in zone più sicure.<br />
I primi sfollati giunsero ad Alatri provenienti da Venafro, Filignano, Pozzilli<br />
e da altre cittadine delle province di Isernia e di Campobasso. Fu quindi la<br />
volta delle popolazioni di Formia e Gaeta e poi, mano a mano che la pressione<br />
degli eserciti alleati sulla linea Gustav aumentava, arrivarono sfollati da<br />
Cassino, Aquino, Roccasecca, Picinisco, San Biagio Saracinisco, Pignataro<br />
Interamna, Terelle. Quando anche Frosinone fu fatta oggetto di continui e<br />
rovinosi bombardamenti, si aggiunsero le popolazioni dei centri più vicini che<br />
trovarono riparo nelle campagne e sulle montagne di Alatri.<br />
Gli sfollati erano stati fatti evacuare senza lasciar loro il tempo di prendere le<br />
proprie cose, perché si diceva loro che, una volta giunti a destinazione, avrebbero<br />
trovato alloggi ed aiuti di ogni genere. In realtà essi furono abbandonati in<br />
zone a loro sconosciute e senza alcuna assistenza.<br />
Si incontrarono ad Alatri le due grandi emergenze, quella degli sfollati e<br />
quella degli ex internati.<br />
Mons. Facchini chiese al clero di occuparsi di tutta quella povera gente e lui<br />
stesso mise a disposizione alcuni edifici come l’episcopio, il seminario vescovile,<br />
alcune case di suore, il convitto Conti Gentili. Il palazzo Stanislao<br />
Stampa, dapprima occupato dai soldati italiani e poi da quelli tedeschi, fu liberato<br />
dai militari per l’intervento diretto del vescovo che riuscì a far prevalere le<br />
esigenze di questa folla in cerca di un riparo.<br />
Furono organizzate delle cucine per la preparazione di pasti caldi, ricoveri per<br />
le persone più anziane, si attivarono gruppi di volontari con il compito di<br />
curare l’igiene delle persone.<br />
Il vescovo che ben conosceva il campo di Le Fraschette, riuscì a far prelevare<br />
da lì centinaia di materassi, coperte e lenzuola ancora stipati nei magazzini<br />
del campo e ormai inutilizzati, facendone così preziosi giacigli.<br />
43
IL VIAGGIO VERSO FOSSOLI<br />
Dopo numerosi rinvii, si decise, infine, la destinazione per gli ex internati<br />
rimasti, quasi un migliaio di anglo-maltesi e qualche centinaio di croati.<br />
Dovevano partire in due giornate successive, a gruppi di cinquecento per<br />
volta, con prima destinazione la stazione Prenestina di Roma e, destinazione<br />
finale, il campo di Fossoli presso Carpi.<br />
I croati, una volta giunti a Bologna, via Venezia sarebbero stati poi rimpatriati.<br />
Per gli anglo-maltesi si decise l’ulteriore internamento a Fossoli. Così,<br />
almeno, dispose la Direzione Generale di P.S. con fonogramma del 24 febbraio<br />
1944 indirizzata al Direttore del campo.<br />
Ma con quale stato d’animo queste persone si disposero ad affrontare il viaggio<br />
in tempi di così grande insicurezza? Tutti ormai avevano capito che la<br />
guerra, almeno in quelle zone dell’Italia centrale, sarebbe durata ancora poco.<br />
Le Forze alleate premevano sul fronte di Cassino e da Anzio e si sapeva che<br />
con l’arrivo della ormai prossima primavera sarebbe stato sferrato l’attacco<br />
decisivo che avrebbe liberato in breve tempo tutta la Ciociaria e Roma. Come<br />
è naturale che fosse, gli internati vissero con grande disappunto l’idea di partire<br />
verso nord. Lo spostamento avrebbe significato non solo esporsi al pericolo<br />
di bombardamenti, ma avrebbe allontanato nel tempo la loro definitiva<br />
liberazione. Potendo contare sulla solidarietà della popolazione alatrense, in<br />
molti avevano trovato modo di alleviare le proprie sofferenze e di superare le<br />
enormi difficoltà della vita quotidiana. Per vincere la riluttanza, le Autorità<br />
promisero che all’arrivo a Fossoli avrebbero trovato comodità e cibo in<br />
abbondanza. Ben altra fu, invece, l’accoglienza loro riservata.<br />
44<br />
Il Campo di Fossoli nel Comune di Carpi (Modena)
Di questi stati d’animo si fece portavoce il Direttore del campo, che il 24 febbraio<br />
scrisse:<br />
”Sarebbe opportuno che i competenti organi mettessero a disposizione un<br />
treno di vagoni viaggiatori e non di carri, tenuto presente la lunghezza del<br />
viaggio, i rigori invernali e le precarie condizioni di salute della massa degli<br />
internati, costituita in gran parte di bambini, di donne e di vecchi. L’orario di<br />
partenza dovrebbe essere fissato per le ore serali onde avere la possibilità di<br />
effettuare il trasporto dal campo allo scalo ferroviario e il successivo carico<br />
durante le ore diurne.<br />
Poiché vi sono tra gli internati vari casi di donne incinte delle quali molte in<br />
procinto di partorire, e numerosi vecchi in condizioni da sopportare difficilmente<br />
i disagi del viaggio, pregasi voler far conoscere se, previ accertamenti<br />
sanitari del caso da parte del Medico provinciale, tali persone possano restare<br />
nel campo o altrove, e, nel caso affermativo, se con essi possano rimanere<br />
i congiunti…La notizia della partenza non fu accolta di buon grado dagli<br />
internati, i quali hanno dimostrato la loro preferenza di restare dove si trovano<br />
anziché affrontare gli imprevisti e le fatiche di un viaggio lungo e pericoloso<br />
a causa della continua offesa nemica”.<br />
La sera del 25 febbraio 1944, dalla piazza di Alatri si mossero i primi torpedoni<br />
carichi di internati da trasferire alla Stazione ferroviaria di Frosinone.<br />
Sul viaggio fece minuziosa relazione nel suo diario Madre Mercedes<br />
Agostini.<br />
Il campo di concentramento di Le Fraschette subì un ulteriore bombardamento<br />
anglo-americano il 30 marzo, a seguito del quale fu abbandonato anche<br />
dalle truppe tedesche. “Immediatamente – scrisse il direttore del campo –<br />
numerose turbe di contadini vi si sono riversate provocando l’incendio di<br />
sette baracche e devastando le altre per asportare materiale da costruzione.<br />
Neanche la piccola chiesa è stata risparmiata dai ladri che ne hanno asportato<br />
le finestre, le porte, le panche e il confessionale. Quest’ufficio, coll’esiguo<br />
personale interamente impegnato nei servizi di trasferimento e scorta<br />
degli internati, non ha potuto impedire la vandalica opera di distruzione.<br />
Sembra che i contadini siano stati indotti a distruggere il campo dalla convinzione<br />
di evitare così che lo stesso continuasse ad essere obbiettivo di azione<br />
aerea nemica con conseguente pericolo per le case viciniori”.<br />
In effetti, la presenza di truppe tedesche all’interno del campo era stata la<br />
causa scatenante dei bombardamenti. Prima dell’arrivo di quelle truppe non si<br />
erano verificati bombardamenti e il campo era stato risparmiato da azioni di<br />
45
guerra, come stabilito dalle convenzioni internazionali.<br />
La reale situazione del campo venne descritta dal ragionier Spampinato, alla<br />
vigilia della liberazione di Alatri ed il passaggio delle truppe alleate. Infatti,<br />
la nota è datata 29 maggio 1944 e la liberazione avvenne il 2 giugno. Così<br />
scrisse il solerte funzionario:<br />
“In seguito alla partenza di 1.600 internati, dei quali 604 liberati, e gli altri<br />
destinati al campo di Carpi, sono rimasti 358 internati che sono stati trasportati<br />
a Roma presso la caserma La Marmora, in attesa del loro avviamento a<br />
destinazione, non appena sarà possibile effettuarne il trasporto. Detti internati<br />
sono forniti del materiale di casermaggio indispensabile e degli indumenti<br />
che a suo tempo vennero loro distribuiti. Del complesso dei beni costituenti il<br />
campo ben poco si è potuto recuperare a seguito delle asportazioni ed acquisizioni<br />
da parte delle truppe germaniche, nonché dell’opera distruttrice dei<br />
bombardamenti aerei, quando il campo era occupato da truppe tedesche, dai<br />
furti commessi su vasta scala dagli internati e dalle popolazioni viciniori.<br />
Per quanto riguarda il residuo delle baracche e relativi materiali, giusta<br />
disposizioni ministeriali impartite con la nota del 10 aprile 1944 n.999, si è<br />
provveduto, tramite la Prefettura di Frosinone alla vendita mediante trattativa<br />
privata.<br />
L’acquirente è stata la ditta Igliozzi Urbano, di Alatri, per il prezzo di complessive<br />
£. 725.000, ritenuto congruo dall’Ufficio del Genio Civile… In seguito<br />
alle indagini per il recupero dei materiali asportati dai contadini, si è potuto<br />
individuare qualche elemento che aveva asportato i materiali di pertinenza<br />
del campo e così, mediante mezzi persuasivi, si è potuto fare pagare ai<br />
responsabili la somma di £. 89.000, prezzo presunto dei materiali. Con tale<br />
somma ho provveduto alle spese per la partenza degli internati per Carpi in<br />
attesa del rimborso da parte della Prefettura di Frosinone che, per mancanza<br />
di fondi presso la filiale della Banca d’Italia di Alatri e per deficiente funzionamento<br />
di tutti i servizi, non ha potuto provvedere alle ordinarie anticipazioni<br />
per le spese di mantenimento degli internati”.<br />
Su quelle preziose baracche di Le Fraschette si fecero, come era facilmente<br />
prevedibile, diverse ipotesi di riutilizzo: dapprima dovevano essere trasferite a<br />
Cassino per le esigenze di quelle popolazioni duramente provate dalla guerra;<br />
successivamente se ne fece richiesta per le famiglie sfollate che, al momento<br />
della liberazione, avevano occupato il palazzo della Provincia di Frosinone e<br />
non intendevano uscirne senza rassicurazioni e provvedimenti concreti.<br />
Il 2 giugno 1944 le truppe Alleate entrarono ad Alatri.<br />
46
CONCLUSIONI<br />
La guerra è finita.<br />
La gente in festa percorre le vie della città.<br />
La storia del campo fin qui<br />
proposta attraverso la documentazione<br />
d’archivio, è<br />
naturalmente “storia ufficiale”.<br />
Rappresenta, comunque,<br />
un’importante ricostruzione<br />
della vita del campo e, nonostante<br />
l’ufficialità, emergono<br />
con chiarezza le enormi difficoltà<br />
di gestione della vita<br />
quotidiana, le carenze strutturali,<br />
le privazioni, gli stenti e<br />
i soprusi che dovettero subire<br />
gli internati. Nel corso di due<br />
anni si contarono decine e<br />
decine di morti per malattia e<br />
per sfinitezza a cui si aggiunsero<br />
le morti provocate dalle<br />
azioni belliche. Bambini e<br />
vecchi furono rinchiusi nel<br />
campo, bambini e vecchi in<br />
prevalenza vi trovarono la<br />
morte. C’è altra documentazione preziosa che arricchisce questo volume:<br />
alcune testimonianze di ex internati e il diario di madre Mercedes Agostini.<br />
Certo non stiamo parlando di “soluzione finale”, di Shoah, di sterminio, dei<br />
crimini nazisti, ma la storia proposta invita a riflettere su quanto è avvenuto<br />
in Italia durante gli anni del fascismo.<br />
Scrive Fabio Galluccio: “Molti sostengono che il fascismo fu più umano del<br />
nazismo, dato che non gassificò gli ebrei, pur avendoli sbattuti fuori dalle<br />
scuole e sostanzialmente dal lavoro, vietando di frequentare gli alberghi, di<br />
possedere una radio, di innamorarsi di una donna o di un uomo ariano. Se<br />
nell’orrore, nel male, c’è una graduatoria, è vero: il fascismo fu meno orribile.<br />
Ma questo non attenua le colpe di chi accettò tutto, di chi permise le leggi<br />
e le omissioni degli anni successivi”.<br />
Una storia che non si può dimenticare.<br />
Una storia accaduta anche lì, a Le Fraschette, a due passi da Alatri.<br />
47
APPENDICE ALLA PRIMA PARTE<br />
UN’INTERESSANTE RELAZIONE ISPETTIVA SUL CAMPO<br />
Tra il maggio e giugno 1943 notizie di fughe dal campo Le Fraschette attuate<br />
da internati croati giunsero direttamente al Duce. Tale intollerabile situazione<br />
provocò una serie di visite ispettive richieste dalle Autorità. Al termine<br />
di questa attività ispettiva venne redatto il lungo ed interessante documento<br />
che riportiamo integralmente. La relazione venne stilata dal Servizio<br />
Ispettivo della Regia Prefettura di Frosinone e riguarda le condizioni del<br />
campo, le modalità di realizzazione del campo e la sua organizzazione, ma<br />
contiene anche colorite sottolineature nei confronti del personale in servizio<br />
a Le Fraschette.<br />
Interessante è anche quella relativa alla diversa condizione vissuta dal<br />
numerosissimo gruppo di jugoslavi, privati di tutto e il gruppo di anglo-maltesi<br />
che comunque era assistito dalla Croce Rossa.<br />
“Il Campo di Concentramento Le Fraschette, come avete rilevato nelle visite<br />
effettuatevi, presenta varie deficienze costruttive, organizzative e funzionali.<br />
Irreparabili le prime, salvo poche modifiche di ripiego da apportarvi con<br />
molto accorgimento; brillantemente superabili le altre quando vi si dedichino,<br />
con i fondi necessari, volontà, intelligenza e cure assidue.<br />
Il suo atto di nascita risale ai primi del 1942. Ma si tratta di una nascita illegittima,<br />
avulsa da ogni legge della più elementare dottrina topografica ed<br />
urbanistica anche nel senso più primitivo della parola.<br />
Scelta la località, che invero risponde al criterio di impianto di un campo di<br />
concentramento perché ben lontano da centri abitati e da vie di comunicazione,<br />
di difficile evasione e contemporaneamente di facile sorveglianza, si trovò<br />
uno spiazzo circolare di circa seicento metri di diametro, pianeggiante, circondato<br />
da monti, e su quello spiazzo di terreno, così come si trovava, si buttarono<br />
a caso circa duecento baracche. Il costruttore - non si può parlare di<br />
progettista poiché non si vede una traccia nella costruzione di un abbozzo<br />
nemmeno embrionale di progetto razionale - non si preoccupò di tracciare un<br />
piano regolatore e mise in esecuzione le baracche prima di pensare alle strade,<br />
agli acquedotti, alle fognature.<br />
Non livellò il terreno, sicché tra una baracca e l’altra si hanno dislivelli di vari<br />
metri e, per un falso senso di economia di tempo, non di danaro, piuttosto che<br />
livellare la platea dove doveva sorgere ogni baracca, preferì colmare gli avval-<br />
48
lamenti, per ogni baracca con costosi muri in pietra sovraelevantisi, anche di<br />
vari metri, sul piano del terreno. Oggi, a strade costruite, si hanno baracche<br />
sottostanti di molto al livello stradale e tutto il campo si presenta con una serie<br />
di montagne russe che intralciano seriamente il deflusso delle acque di rifiuto<br />
e delle fognature e la regolare distribuzione idrica dell’impianto interno del<br />
campo. Vero è che il concetto originario era di adibire il campo a prigionieri<br />
di guerra, mentre poi, a costruzioni quasi ultimate, si mutò detta destinazione.<br />
La trasformazione nell’impiego ricettivo del campo non diminuisce, anzi<br />
aggrava le deficienze.<br />
Nel campo di concentramento<br />
Le Fraschette, anziché i prigionieri<br />
di guerra, si immisero<br />
internati di guerra: cioè uomini<br />
e donne; bambini e vecchi; persone<br />
sane, ammalati e tarati;<br />
forti, ardenti tripolini e donne<br />
di razza slava che non lasciano<br />
dubbi sulla loro lascivia; famiglie<br />
organiche, numerose, e<br />
persone sole di ambo i sessi.<br />
Restando per ora ad esaminare<br />
il problema dal punto di vista<br />
costruttivo del campo, appare<br />
chiaro che le baracche, così<br />
addossate come sono fra di<br />
loro, la maggior parte delle<br />
quali formanti un unico dormitorio<br />
indiviso per settanta persone,<br />
costituiscono una continua<br />
istigazione alla immoralità<br />
ed un serio pericolo per il propagarsi<br />
di malattie infettive e di<br />
parassiti dell'uomo. I gabinetti<br />
distanti dalle baracche, non<br />
sono raggiungibili, specie nella<br />
stagione invernale e di notte,<br />
dai vecchi, dai bambini, dagli<br />
ammalati e dalle gestanti.<br />
49
Mancano cucinette familiari per le necessità vittuarie sussidiarie delle famiglie,<br />
che per tale deficienza cucinano dentro le baracche, mentre le diciotto<br />
cucine per il vitto normale non sono facilmente controllabili; i canali di rifiuto<br />
sono lontani dalle baracche e le donne, piuttosto che recarvisi, imbrattano<br />
il terreno circostante.<br />
Altre sono certamente le necessità di un campo di concentramento di soldati,<br />
tutti più o meno giovani, sani e disciplinabili, altre quelle di elementi così eterogenei<br />
come si trovano tra gli internati civili. Della differenza di disciplina<br />
risentono vari servizi come quello della distribuzione idrica, sottoposto a<br />
maggior usura e soprattutto la moralità.<br />
Il Campo Le Fraschette è destinato ad avere una capacità ricettiva di settemila<br />
internati. Attualmente ne ospita circa cinquemila. Fra questi circa un<br />
migliaio sono anglo-maltesi ed il resto croati, sloveni e dalmati, provenienti<br />
dalle province italiane alloglotte e dal territorio conquistato.<br />
50
La suddetta promiscuità di razze, in uno spazio così ristretto, procura numerosi<br />
e vari inconvenienti sia tra gli internati che per gli organi preposti alla sorveglianza<br />
del campo. Nuoce anche alla futura assimilazione degli elementi di<br />
razza slava che fanno severi confronti tra la loro povertà, il trattamento deficiente<br />
che ricevono al campo e la ricchezza dei mezzi degli anglo-maltesi continuamente<br />
ed a profusione provvisti di ogni ben di Dio, anche del superfluo,<br />
dal Governo Inglese, attraverso la Croce Rossa.<br />
È auspicabile, allorché il Ministero dell’Interno disporrà di altri campi di concentramento,<br />
che i vari campi ricevano internati di un’unica nazionalità. Altre<br />
divisioni si imporrebbero per la tutela della morale e per una più proficua sorveglianza:<br />
i celibi ed uomini senza famiglia potrebbero concentrarsi in appositi<br />
campi con personale di sorveglianza tutto maschile; le donne sole e le<br />
nubili in altri campi ed i nuclei familiari in campi opportunamente predisposti<br />
con baracche divise in appartamenti.<br />
Allo stato attuale della situazione, perché il Campo Le Fraschette si organizzi<br />
e funzioni in modo regolare, occorre tenere ben presente che i dirigenti di<br />
esso sono responsabili di un’organizzazione che ha le necessità di un Comune<br />
di cinquemila abitanti, elevabile ad una popolazione di settemila, con l’aggravante<br />
che in questo Comune l’iniziativa degli organi dirigenti deve sostituirsi<br />
e sovrapporsi a quella privata; bisogna cioè che questi cinquemila abitanti<br />
siano approvvigionati di viveri da mercati lontani e di vestiario; che si riparino<br />
le loro abitazioni; che si facciano funzionare gli impianti elettrici casalinghi<br />
oltre a quelli pubblici; che si forniscano di mobili, suppellettili, coperte e<br />
lenzuola; che si curi la conservazione di questo ingente materiale; che si puliscano<br />
le loro case e i cessi; che si curino gli ammalati; che si tengano puliti e<br />
si disinfestino; che si impedisca il deterioramento doloso di tanto materiale.<br />
La popolazione di questa città non è normale; è nostra nemica; ha voglia di<br />
sottrarsi ad ogni disciplina; vive nell’ozio più assoluto e deleterio; pensa ad<br />
allontanarsi al più presto possibile ed anche evadere; a procacciarsi un nutrimento<br />
maggiore e migliore, ed i giovani, costretti al celibato coatto vogliono<br />
comunque soddisfare gli stimoli dei sensi, acutizzati dalla promiscuità e dalla<br />
proibizione a cui fa contrapposto l’istigazione delle donne.<br />
A tutte queste necessità provvedono attualmente un Direttore del Campo, due<br />
funzionari di ragioneria, un medico, un Commissario di PS ed un ufficiale<br />
subalterno dei CC.RR.; nessun organo tecnico per i servizi di tale natura,<br />
pochi agenti dell’ordine, nessun coadiutore amministrativo. Dopo queste<br />
necessarie premesse d’ordine generale passiamo ad esaminare singolarmente<br />
i vari servizi:<br />
51
SERVIZI AMMINISTRATIVI<br />
Sotto questa dizione attualmente si comprende l’organizzazione ed il funzionamento<br />
dei servizi amministrativi e tecnici, di polizia urbana, mortuaria ecc.<br />
Vi sono a capo: il Rag. Capo Cav. Uff. V. P. con le funzioni di consegnatario<br />
dei materiali mobili ed immobili, nonché del magazzino vestiario ed il Rag.<br />
Cav. Giovanni Spampinato addetto ai servizi viveri e trasporti, all’economato,<br />
alla segreteria ed ai servizi di cassa per conto degli internati. Sono coadiuvati:<br />
da un magazziniere per i viveri, carbone e legna; una dattilografa-archivista;<br />
quattro uomini di fatica per il carico e lo scarico degli automezzi e per<br />
i trasporti entro il campo; un operaio specializzato per la manutenzione degli<br />
impianti idrici, sfornito però degli attrezzi necessari, un elettricista, anch’esso<br />
sfornito di attrezzi e materiale; 30 internati addetti al servizio di nettezza<br />
urbana e di pulizia dei cessi.<br />
Per la rimozione delle immondizie dal campo provvede, mediante appalto,<br />
una ditta di Alatri. Per la fornitura delle casse funebri, dovrebbe provvedere il<br />
fornitore del Comune di Alatri, ma, sebbene provvisto dell’assegnazione del<br />
legname, recentemente ha lasciato una salma per tre giorni in baracca prima<br />
di fornire la relativa cassa.<br />
Alla confezionatura del rancio per gli internati provvede un reparto dell’81°<br />
Reggimento Fanteria comandato da un subalterno.<br />
Il Rag. P. fu assegnato al Campo Le Fraschette nell’ottobre 1942 con l’incarico<br />
di prendere le consegne dal Commendator Ugo Auritano. Non è a dire<br />
che il P. abbia trovato ordine e precisione. Iniziò nel disordine più assoluto<br />
che gli fece trovare il suo predecessore. I due lavorarono assieme fino al<br />
marzo del corrente anno nell’intento di scambiarsi le consegne del materiale,<br />
ma si lasciarono più confusi di prima, senza addivenire alle consegne né<br />
all’atto basilare di queste: cioè la compilazione dell’inventario.<br />
Il P. che è pignolo di quella pignoleria improduttiva e ritardatrice che Voi gli<br />
conoscete, Eccellenza, rimase solo a ricamare sulle sue carte ed a torturarsi il<br />
cervello, invero non fosforescente, con troppi “ma” e con innumerevoli “se”;<br />
sicché nella Vostra recente visita alla Colonia avete trovato il lavoro del P.<br />
quasi allo stato iniziale e gli assegnaste il termine del 30 giugno per concludere<br />
i suoi lavori.<br />
Eseguita l’ispezione, nei riguardi della compilazione dell’inventario ho trovato<br />
i registri dei buoni di carico, anche quelli riferentisi alla situazione originaria<br />
del campo, incompleti per omissione imputabile ad Auritano che non vi ha<br />
segnato alcuni materiali forniti dalla S.A. Pasotti e dall’ECA di Frosinone.<br />
52
Ora i due predetti Enti hanno fornito l’elenco dei materiali dati in carico…<br />
Al P. è altresì affidato il magazzino vestiario. Sulla distribuzione del vestiario<br />
egli ha idee tutte personali. Nulla distribuisce gratuitamente agli internati,<br />
anche se indigenti fino alla miseria, anche se materialmente scalzi e seminudi.<br />
Si decide a fare qualche vendita a lunghi intervalli, ed allora, in quei rari<br />
mattini di vendita si forma un affollamento incontenibile dalla forza pubblica;<br />
così i giorni di vendita diradano sempre più. Quest’inverno non ha distribuito<br />
nessun cappotto, sia maschile che femminile. Attualmente vi sono in<br />
magazzino varie casse di scarpe, ma restano chiuse. Attende di avere il tempo<br />
di controllarle e poi inscriverle nei buoni di carico, così per vari indumenti che<br />
restano chiusi e non inseriti nei buoni di carico. Il fatto è che egli considera<br />
tale servizio avulso dalle sue mansioni, tanto è vero che recentemente, e precisamente<br />
il 12 giugno, provocò, a mezzo della Direzione del Campo, una<br />
richiesta di suo compenso del 4% sugli incassi provenienti dalla vendita di<br />
indumenti agli internati. Al Vostro giusto diniego derivante dalla mancanza di<br />
disposizioni legislative e regolamentari che consentano la corresponsione di<br />
siffatta percentuale, il P. risponde col disinteressarsi del servizio.<br />
In merito alla mancata distribuzione e vendita degli indumenti, le lamentele<br />
degli internati sono state continue ed hanno oltrepassato il recinto del Campo.<br />
La cosa fu constatata, su delazione degli anglo-maltesi, anche da ispettori<br />
inviati appositamente dalla legazione svizzera e dopo un mese dalla visita,<br />
pervennero a questi, per tramite della Croce Rossa Internazionale, un’infinità<br />
di indumenti, - ivi compresi, per colmo d’ironia, pigiama e guanti - molti dei<br />
quali tuttora residuano presso il magazzino di deposito del materiale proveniente<br />
dal Governo Inglese.<br />
Per quanto riguarda il P. non resta, dall’evidenza delle risultanze, che confermare<br />
la proposta del Direttore del Campo tendente all’immediata sostituzione.<br />
Il nuovo consegnatario dovrà essere coadiuvato da altro impiegato di concetto,<br />
poiché, se un impiegato tiene la contabilità ed aggiorna le scritturazioni,<br />
occorre che il secondo si occupi del magazzino vestiario, della sua contabilità,<br />
che curi la consegna del materiale agli internati che arrivano, che proceda<br />
alla riconsegna ed alla presa in carico del materiale degli internati che<br />
partono, che controlli detto materiale, che lo faccia lavare o disinfettare, che<br />
vigili e passi in rivista il materiale dato in uso agli internati.<br />
Si tratta di conservare materiale ingente, del valore di varie diecine di milioni,<br />
disparato, sparso in cento e più baracche dormitorio, in venti alloggi del<br />
personale amministrativo, di Polizia, militare, di operai artigiani, in undici<br />
uffici, in 20 cucine internati e 4 cucine delle Forze Armate, in 16 refettori, in<br />
53
6 caserme, in 3 infermerie, nei depositi viveri, nei depositi dei bagagli degli<br />
internati, nei depositi combustibili, nell’autorimessa, nella baracca per la<br />
lavorazione dei materassi, in due Chiese. E tutto ciò con una popolazione non<br />
statica, pronta a sopprimere e a distruggere…<br />
In quanto ad automezzi per trasporto di cose il Campo possiede un automezzo<br />
che si trova nell’impossibilità di funzionare per eccessivo consumo di benzina<br />
(circa un litro per km.). Per il trasporto giornaliero del pane, del latte e<br />
di piccoli quantitativi di merce si è noleggiato in permanenza un motofurgoncino<br />
per 4000 lire al mese. Per altri trasporti si noleggia un autotreno (1500<br />
lire per un viaggio da Frosinone) oppure, nelle suddette proporzioni, si rimborsa<br />
il trasporto alle ditte fornitrici. I trasporti, come si vede, sono molto<br />
costosi; sarebbe auspicabile che il campo venisse munito di un proprio autofurgone….<br />
…Per gli internati il Ragionier Spampinato esegue il servizio di riscossione<br />
dei vaglia e del pagamento di essi agli interessati. Si tratta di varie centinaia<br />
di vaglia che si ricevono al giorno. Per le somme destinate agli internati eccedenti<br />
le loro necessità normali,<br />
esegue il servizio di cassa. Dette<br />
somme vengono trattenute e per<br />
ogni internato si stabilisce una<br />
contabilità dei depositi in appositi<br />
libretti in duplice copia, una<br />
delle quali va all’internato stesso.<br />
Detto servizio, attualmente affidato<br />
ad internati, per maggior<br />
sicurezza, dovrebbe essere affidato<br />
all’impiegato che, come<br />
sopra ho proposto, dovrebbe coadiuvare<br />
Spampinato.<br />
Tavola di progetto per la realizzazione di 30<br />
cucine - Prefettura di Frosinone, II versamento<br />
b. n. 837 - Roma 28 febbraio 1943<br />
54<br />
SERVIZIO CUCINE<br />
Come ho già detto il Campo ha<br />
18 cucine internati in funzione.<br />
Vi è preposto un distaccamento<br />
dell’81° Fanteria comandato da<br />
un sottotenente, della forza di tre<br />
sottufficiali, cinque graduati, e 45
uomini di truppa. Graduati e sottufficiali hanno mansioni generiche di sorveglianza,<br />
ma non la esercitano. Degli altri, tolti gli uomini addetti alla spesa<br />
pane per gli internati, alla spesa viveri internati, spesa truppa, magazzino<br />
viveri, cucinieri truppa, distribuzione latte, aiutante di contabilità, ripostigliere,<br />
piantoni alle camerate, barbiere, attendente, pulizie refettori ecc., a ciascuna<br />
delle suddette cucine rimane addetto un solo soldato, incontrollato. Ogni<br />
soldato ha creduto di costituirsi il suo harem in cucina assumendo le più belle<br />
ragazze alle sue dipendenze. Faceva il gallo del pollaio, coccolato e servito.<br />
Nella Vostra visita, Eccellenza, avete proibito questo sconcio e sono stati<br />
assunti ragazzi al posto delle donne, col compenso del supplemento del pane.<br />
Ciò non di meno, per deficiente sorveglianza, le donne ho visto che continuano<br />
a sfarfalleggiare attorno alle cucine, i soldati continuano a far niente e le<br />
cucine sono in mano degli internati. Come vengono lavate le verdure nessuno<br />
sa; sta di fatto che nelle minestre non è raro di trovare, opportunamente bolliti,<br />
bachi e vermi di verdura.<br />
Quello che arriva poi di derrate nelle marmitte, della razione prescritta, è cosa<br />
ancora più misteriosa. Cosa succede nel tragitto che va tra i magazzini e le<br />
diciotto cucine? Quanti generi vanno distratti per costituire devoto omaggio<br />
dei giovani soldatini alle più belle del Campo? Tutti interrogativi senza risposta<br />
poiché manca ogni controllo. L’ufficiale non si è mai visto al Campo<br />
all’ora dei pasti; lo stesso per i sottufficiali. Tutti però, all’ora della libera<br />
uscita passeggiano gaiamente dentro il campo assassinando, con occhiate e<br />
con motti, le belle del loro cuore.<br />
La disciplina non si conosce; il sottotenente che comanda il distaccamento è<br />
troppo giovane ed inesperto per mantenerla nelle condizioni, specie, in cui<br />
vivono incontrollati, i militari del distaccamento. Fra essi vi è qualcuno, teoricamente<br />
cuciniere, figlio di ricchi commercianti romani che sta a Le<br />
Fraschette per evitare di essere mobilitato; ma per sé, per i suoi compagni e<br />
per qualche donna spende, in media, a Le Fraschette le sue quattromila lire<br />
settimanali.<br />
In queste condizioni occorre un rimedio radicale; o aumentare l’organico del<br />
reparto portandolo ad una Compagnia, comandata da un Capitano che, coadiuvato<br />
da subalterni, voglia e sappia mantenere la disciplina, la sorveglianza<br />
ed i controlli, e che dia ad ogni cucina almeno tre uomini ed un graduato che<br />
provvedano da soli alla confezionatura ed alla distribuzione del rancio; ovvero<br />
eliminare del tutto i militari affidando ogni cucina ai capo baracca, che<br />
almeno hanno interesse a che tutto vada in pentola e sia cucinato a dovere, ed<br />
istituire sorveglianti borghesi.<br />
55
SERVIZI IGIENICI E SANITARI<br />
Sono ambedue disimpegnati dal Dottor Aurelio Mizzi, profugo della Tunisia.<br />
Egli è molto attivo, sebbene professionalmente non si elevi a grandi altezze,<br />
e soprattutto entusiasta della sua missione, che assolve con molta dedizione,<br />
anche se non pienamente soddisfatto del trattamento economico che riceve.<br />
Ma il solo entusiasmo non è sufficiente per ottenere un rendimento appropriato<br />
quando il Dr. Mizzi oltre a provvedere a tutti i servizi igienici, deve<br />
curare circa cinquemila internati che hanno subito privazioni, che sono nutriti<br />
appena sufficientemente per evitare un collasso generale, molti dei quali,<br />
specie donne e bambini, sono tubercolotici predisposti, incipienti ed alcuni<br />
anche con forme aperte, moltissimi dei quali sono anemici, pleuritici, affetti<br />
da malattie croniche, ecc. Inoltre il Mizzi è medico delle Forze Armate presenti<br />
al Campo (carabinieri, agenti di PS, vigili del fuoco, distaccamento di<br />
fanteria).<br />
Non mi dilungo a scrivere in merito alla soluzione del problema del deflusso<br />
delle acque luride e dei rifiuti liquidi del Campo perché è Vostra, e di recentissima<br />
data, Eccellenza, la proposta, fatta al Ministero dell’Interno di costruire<br />
cunette in muratura e coperte lungo le strade interne del Campo ed un canale<br />
collettore coperto, fucina ininterrotta di pericolose esalazioni mefitiche.<br />
L’assunzione di un operaio fognatore darebbe tranquillità per la manutenzione<br />
dell’impianto.<br />
Anche lo stato di manutenzione delle latrine è migliorato dopo la Vostra visita<br />
al Campo per effetto della assunzione di internati addetti alle pulizie delle<br />
latrine stesse. Il fatto che queste si otturino spesso si deve attribuire, oltre al<br />
malvezzo persistente di gettarvi oggetti di scarto, principalmente alla irrazionale<br />
costruzione del Campo, con molti e sensibili dislivelli, dove le pendenze<br />
sono sproporzionate, i tubi collettori dai cessi alle fognature, e le fognature<br />
stesse alquanto deficienti di diametro per la popolazione che nel Campo si<br />
accoglie rispetto alla popolazione, prigionieri, per la quale furono costruiti.<br />
Sarebbe opportuno che almeno i tubi collettori delle fognature venissero<br />
aumentati di diametro.<br />
Appunto per le latrine ho già detto, in principio, come l’attuale ubicazione,<br />
distanziata dalle baracche, sia irrazionale ed impedisca d’inverno e di notte<br />
che vi si possa accedere. Sia per ragioni sanitarie evidenti, sia per evitare che<br />
di notte si eluda la disciplina del coprifuoco, sarebbe, a questo proposito,<br />
necessario studiare la possibilità di costruire altre latrine direttamente comunicanti<br />
con le baracche.<br />
56
La campagna contro le mosche deve essere intrapresa e condotta su basi serie.<br />
Occorre abbandonare d’urgenza l’uso della innocua Miafonina la cui mistificazione<br />
è nota anche nelle più accreditate assemblee di mosche. Perché un<br />
moschicida invogli le mosche ad accorrervi e cibarsene, a prescindere dalla<br />
sua azione insetticida, è necessario che sia confezionato con miele. Il miele<br />
nella Miafonina non esiste, le mosche non abboccano e volano allegramente<br />
per il Campo a stormi in cerca di cibi più succulenti, ridendosi di chi spreca<br />
inutilmente tanto denaro per ottenere in compenso una prolificazione sorprendente<br />
della loro specie.<br />
La disinfezione degli indumenti è affidata, per tutto il Campo, ad una sola<br />
stufa Gianoli di proporzioni modestissime, capace soltanto di tre materassi.<br />
La disinfestazione non si può attualmente praticare, né per uomini né per<br />
cose.<br />
È necessario che, con la lavanderia si metta in funzione la sala di disinfezione<br />
costruita nel Campo, già munita di diverse stufe tutte capaci. Perché il servizio<br />
però funzioni come si deve, occorre, a detta sala, apportare poche ed<br />
indispensabili modifiche tutte ricavabili dagli spazi esistenti nell’attuale stabile<br />
in muratura.<br />
Bisogna, cioè, costituire un camerino spogliatoio, una barberia ed una sala di<br />
attesa e vestizione. Si otterrà una perfetta e completa disinfestazione degli<br />
internati associata alla disinfezione dei loro indumenti. L’infestato, così,<br />
entrando nella sala si sveste e, mentre i suoi indumenti vengono sterilizzati,<br />
egli, previa rasatura qualora occorra, passa alla doccia, esistente, e quindi<br />
nella sala di attesa dove trova i suoi indumenti da indossare già perfettamente<br />
sterilizzati. Con tali accorgimenti di costo modestissimo si metterebbe in<br />
funzione, veramente proficua, l’attuale impianto che è costato tanto denaro.<br />
La lavanderia, bella, moderna e capace, potrebbe già funzionare e basterebbe<br />
che lo facesse anche una sola volta la settimana; ma, come ho già detto, non<br />
è ancora passata al consegnatario degli immobili. Si eviterebbe, col suo funzionamento,<br />
lo sconcio da Voi rilevato di panni stesi dovunque, e si eviterebbe<br />
che si immagazzinassero, come ho già detto, coperte e lenzuola, sudicie,<br />
nello stesso magazzino del materiale nuovo. Perché i due organismi, lavanderia<br />
e sala di disinfezione, interdipendenti, funzionino deve assumersi un solo<br />
caldaista. Il resto del personale sarebbe assunto fra gli internati.<br />
Le docce, così come sono attualmente, non possono funzionare. Sono troppe<br />
e sprecano troppa acqua, preziosa per gli altri servizi del Campo. L’acqua ha<br />
una temperatura troppo bassa, inadatta a bagnarvisi anche d’estate, specie per<br />
le donne, per i vecchi e per i bambini. Occorrerebbe ridurre il numero funzio-<br />
57
nabile delle docce e munirle di impianto di riscaldamento. I bagni sarebbero<br />
disciplinati da turni.<br />
Il servizio delle vaccinazioni ha incominciato a funzionare. In mancanza d’altro<br />
personale è affidato ad una infermiera di Alatri. Manca il personale di vigilanza<br />
che elimini le evasioni all’obbligo delle vaccinazioni.<br />
Manca ogni forma di assistenza. Occorrerebbe istituire un asilo per i bambini,<br />
molti dei quali attualmente sono lasciasti in uno stato di abbandono, di<br />
sporcizia e di denutrizione che fanno pietà, ed un reparto cronici, specie per<br />
il ricovero dei vecchi, attualmente abbandonati alla mercé di Dio nelle baracche<br />
e nel loro sudiciume.<br />
I servizi sanitari non procedono<br />
meglio di quelli igienici.<br />
Manca al Sanitario un armadio<br />
farmaceutico di cui è<br />
urgente sia dotato. Lo strumentario<br />
chirurgico è insufficiente<br />
e va completato.<br />
Attualmente sono adibite ad<br />
infermeria quattro baracche ed<br />
una in via di recinzione da<br />
adibirsi a locale d’isolamento.<br />
Si potrebbero portare a tre a<br />
condizione che subiscano la<br />
trasformazione necessaria a<br />
darvi la forma degna e corrispondente<br />
alla mansione di<br />
infermeria. Una di esse sarebbe<br />
da adibirsi ad ambulatorio<br />
e pronto soccorso, le altre due<br />
a ricovero, rispettivamente di<br />
uomini e donne. I pavimenti,<br />
attualmente in mattoni rustici,<br />
dovrebbero essere sostituiti<br />
con mattonelle in cemento. Le<br />
mattonelle in marmo, già nel Campo, residuate dalla copertura dei muri della<br />
camera frigorifera, potrebbero formare un igienico zoccolo attorno ai muri<br />
delle baracche.<br />
A baracca d’isolamento è stata adibita, e come ho detto si sta recintando, una<br />
58
qualsiasi baracca già costruita distante non più di sei metri da altre adibite a<br />
dormitorio. Se si vogliono veramente isolare ammalati infetti, senza pericolo<br />
per i sani, occorre, fuori del Campo, costruire altra baracca con i servizi<br />
necessari e col personale di sorveglianza. È necessario che l’infermeria sia<br />
dotata di un’autoclave per le disinfezioni d’uso. Attualmente lo strumentario<br />
chirurgico viene disinfettato in pentolini su un fornello elettrico.<br />
Il Campo manca di autoambulanza. Gli ammalati e le gestanti dovrebbero fare<br />
la lunga strada al più vicino ospedale di Alatri in traballanti carrozzelle a<br />
cavallo. Né si può richiedere, in casi di urgenza, altre autoambulanze perché<br />
l’ospedale di Alatri ne è sprovvisto. Manca la camera mortuaria, sarebbe<br />
opportuno che venisse istituita. Al regolare funzionamento di tutti i suddetti<br />
complessi e delicati servizi deve presiedere un personale adatto numericamente<br />
e preparato professionalmente. Non v'ha chi non veda la necessità,<br />
urgente, che al Campo venga assegnato almeno un altro medico, giovane, attivo,<br />
e di buona volontà, ed un assistente sanitario che collabori con i due medici,<br />
specie per le vaccinazioni. Quattro infermieri, di cui due suore per il reparto<br />
femminile, tre inservienti per la pulizia dei locali e tre vigili sanitari si<br />
impongono. Nessuno attualmente presiede alla vigilanza ed al controllo della<br />
pulizia delle baracche e degli internati, della pulizia degli alimenti nelle cucine,<br />
della pulizia delle latrine e delle strade; nessuno evita che, quando gli<br />
automezzi hanno scaricato la verdura, gli internati più affamati, specie sloveni,<br />
raccattino e mangino rimasugli sporchi e fradici rimasti a terra; nessuno<br />
evita che gli infermi ricoverati, quando lo credano necessario e lo desiderino,<br />
escano a spasso per il Campo e stiano in contatto con gli elementi sani; né i<br />
medici, da soli, possono provvedere a questa enorme mole di lavoro e di attività<br />
e contemporaneamente curare la regolare tenuta dei registri delle nascite,<br />
dei decessi, ospedalizzazioni, vaccinazioni, delle malattie infettive con conseguenti<br />
denunzie, le cartelle cliniche, le anamnesi degli ammalati. Il personale<br />
sanitario deve essere munito di adatti camici. L’attuale medico ne è sprovvisto<br />
e non trova da acquistarne sul mercato. Al servizio ostetrico provvede la<br />
Condotta ostetrica di Alatri.<br />
SERVIZIO IDRICO<br />
Come è noto l’acquedotto che alimenta il Campo, derivato da quello di<br />
Ferentino, è stato costruito per una portata di sette litri al minuto secondo. In<br />
principio detta erogazione era sufficiente ai bisogni del Campo, ma successivamente<br />
si è lamentato, in modo sempre più allarmante, la deficienza di<br />
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acqua... Per fare affluire l’acqua nella zona degli uffici e degli alloggi, che è<br />
la più elevata, si è decisa l’impostazione di una saracinesca che, diminuendo<br />
la pressione verso il Campo, l’aumenti verso la zona degli uffici ed alloggi.<br />
Attualmente è in via di allestimento il serbatoio che raddoppierà la portata<br />
attuale dell’acqua; ma nelle more di detta costruzione, che sarà ultimata nel<br />
prossimo inverno, se le cose procederanno bene, occorre evitare le attuali<br />
dispersioni, unico rimedio perché la lamentata mancanza d’acqua si elimini.<br />
L’attuale operaio idraulico deve essere munito di tutto il materiale necessario<br />
alle riparazioni e di rubinetteria di ricambio; la sua opera dovrebbe essere<br />
affiancata da quella di un fontaniere, da assumersi. Un solo operaio non può<br />
provvedere ad un lavoro così vasto e pesante ed alla necessaria sorveglianza.<br />
SERVIZIO ANTINCENDI<br />
Dovrebbe essere disimpegnato, ma non lo è, da otto giovani e robusti vigili del<br />
fuoco presenti al Campo che dicono di aver ricevuto soltanto il compito di spegnere<br />
eventuali incendi che si verificassero. Si rifiutano di eseguire qualsiasi<br />
altro servizio e così, in mancanza per fortuna di incendi, oziano dalla mattina<br />
al pomeriggio, ora in cui, come i soldati, come i carabinieri e come gli agenti<br />
di PS, si recano nell’interno del Campo per godersi in libera uscita il passeggio<br />
ed i motti delle ragazze da marito e delle donne dal marito assente.<br />
Non si preoccupano del fatto che alcune baracche sono prive di estintori,<br />
come ho potuto constatare, né di verificare le cariche degli estintori in uso, né<br />
di impedire che nell’interno delle baracche si mantengano innumerevoli fornelli<br />
permanentemente accesi e che molte altre accensioni di fornelli si fanno<br />
all’aperto ma troppo prossimamente alle baracche.<br />
Detti vigili, che certamente sono i peggiori come succede in ogni distaccamento,<br />
vanno sostituiti con elementi più volonterosi e più disciplinati, ben<br />
comandati ed aventi consegne precise di prevenire più che di reprimere.<br />
Le possibilità di incendi, nel Campo, costruito in legno e faesite, sono innumerevoli<br />
tra cui l’accennata tolleranza all’accensione di fornelli nell’interno<br />
o nelle immediate vicinanze delle baracche…<br />
SERVIZI DI SICUREZZA E DI POLIZIA<br />
Non è compito di un ispettore amministrativo indagare sui compiti affidati<br />
agli organi di polizia e sul più o meno regolare funzionamento di essi; infatti<br />
mi sono astenuto da siffatte indagini. Ma per debito e per amore professiona-<br />
60
le non posso astenermi, Eccellenza, dal riferirVi quanto ho potuto vedere, sentire<br />
e constatare nei giorni che, per eseguire la mia ispezione ho vissuto ininterrottamente<br />
la vita del Campo di concentramento, né dal proporVi quanto<br />
possa essere opportuno per ottenere il miglioramento dei suddetti servizi. I<br />
lavori da Voi ordinati per una<br />
sicura recinzione perimetrale<br />
del campo, per l’illuminazione<br />
di esso, e per la costruzione di<br />
una zona esterna di rispetto<br />
hanno avuto inizio. Lo stato di<br />
avanzamento dei lavori, che<br />
quindicinalmente Vi sarà trasmesso<br />
dal Genio Civile, Vi<br />
darà la misura per giudicare se<br />
procedano o meno col ritmo da<br />
Voi voluto. Data la mole del<br />
lavoro in un perimetro di due<br />
chilometri è da prevedere che<br />
per l’ultimazione dello stesso<br />
dovrà ancora trascorrere un<br />
semestre.<br />
I Carabinieri addetti alla vigilanza<br />
esterna del Campo, considerati<br />
in missione disagiata,<br />
fanno al Campo turni di servizio<br />
per soli quattro mesi; sia ufficiali,<br />
che sottufficiali e truppa. A<br />
meno che non ne facciano<br />
espressa domanda contraria,<br />
dopo i quattro mesi vengono<br />
sostituiti con elementi nuovi.<br />
Da questo contesto di precarietà<br />
Nota - Il presente documento e quelli pubblicati<br />
nelle pagine precedenti della<br />
“Relazione” sono tratti dalla Mostra sul<br />
Campo Le Fraschette, realizzata<br />
dall’Archivio di Stato di Frosinone nel 2006<br />
del servizio deriva il disinteresse<br />
ed un certo rilassamento<br />
disciplinare. Ho potuto vedere<br />
nuclei di carabinieri in servizio<br />
di pattuglia fermi tra di loro a<br />
discorrere beatamente anche<br />
61
con le sentinelle. Anche per i carabinieri, come per i fanti e per i vigili del<br />
fuoco, ho potuto constatare il malvezzo del passeggio pomeridiano per il<br />
campo, l’assembramento, in unione con gli internati, nel locale adibito a spaccio<br />
tabacchi, bar e gelateria. Tutto questo va evitato con apposita, precisa ordinanza<br />
della Direzione del campo.<br />
Alla porta principale d’ingresso del campo è bene che sia istituito un servizio<br />
di sentinella con baionetta, fissa davanti la sua garitta, che rende gli onori a chi<br />
prescritto ed un corpo di guardia che disciplini l’afflusso ed il deflusso di chi<br />
ha motivi di servizio per accedere al campo. Attualmente il piantone non cura<br />
eccessivamente tale servizio ed è poco decoroso che all’ingresso del campo si<br />
trovi un piantone che passeggia a suo piacimento, che conversa con militari e<br />
borghesi e che, quando è stanco, appoggia un piede sul muro del ponte e col<br />
gomito sulle ginocchia si regga il mento. Tutte cose da me viste. I funzionari<br />
della direzione del campo non sono salutati dai carabinieri, e questo nuoce alla<br />
disciplina degli internati, che anch’essi si credono in dovere di non rispettare.<br />
Per gli agenti di PS le cose vanno ancora peggio. Numericamente sono insufficienti<br />
al servizio d’istituto e molti di essi sono distratti da altri servizi; scritturali,<br />
addetti alla censura postale, interpreti, piantoni, cucinieri, postini,<br />
addetti all’accompagnamento di internati. I pochi che restano sono adibiti al<br />
servizio di pattuglia: due pattuglie. Giovanissimi tutti, scapoli, tutti in borghese<br />
e per giunta mal vestiti, non disciplinati, pensano ad accattivarsi le simpatie<br />
e le grazie delle più avvenenti internate. Quando ho visto pattuglie le ho<br />
trovate sempre ferme in dolce colloquio con giovani internate.<br />
Sarà fatalità del caso? Credo piuttosto si tratti di norma di vita. Tanto più, a<br />
riprova, che un mattino, sbucando tra una baracca e l’altra fui molto prossimo<br />
ad una coppia di agenti di pattuglia ferma con altra coppia di ragazze. Al mio<br />
apparire si allontanarono alla svelta, ma una delle ragazze, che certamente<br />
non mi conosceva, una giovane formosa anglo-maltese, si doleva del repentino<br />
allontanamento ed a voce alta prometteva agli agenti di pizzicarli dappertutto<br />
la prossima volta.<br />
Detti agenti nella quasi totalità vanno sostituiti con elementi più anziani, più<br />
disciplinati e più seri. Soprattutto debbono essere sostituiti con agenti tutti in<br />
divisa. Occorre aumentarne il numero ed istituire una squadra da adibirsi a<br />
servizi di polizia urbana …Perché l’opera di detta squadra sia più redditizia<br />
occorre stabilire una serie di graduali comminatorie a carico degli internati<br />
trasgressori. Il sistema delle contravvenzioni pecuniarie non sarebbe a carico<br />
degli indigenti che ne sarebbero naturalmente esclusi.<br />
Bisogna ricorrere alla costruzione, distinta ovviamente per uomini e donne, di<br />
62
camere di punizione e, come secondo grado di punizione, di camere di sicurezza.<br />
Perché ciascun componente la popolazione di Le Fraschette: internati,<br />
militari, organi di polizia, operai, sappia quali sono i propri diritti, quali i<br />
doveri e quali le sanzioni cui va incontro in caso di trasgressione, occorre che<br />
dalla Direzione del campo venga redatto e reso di pubblica ragione un regolamento<br />
interno per il funzionamento del campo di concentramento. Non mi<br />
costa che tale regolamento sia stato adottato.<br />
L’Ufficio di PS, perché conosca e segua la vita degli internati deve impiantare<br />
il servizio anagrafico, non potendo così chiamarsi l’attuale schedario<br />
non aggiornato e mancante di varie centinaia di schede riferentesi ad internati<br />
in atto.<br />
SERVIZI DI MANUTENZIONE ED ARTIGIANATO<br />
All’infuori del più volte ricordato operaio idraulico, e dell’elettricista, ambedue<br />
mancanti di attrezzi e di materiale di ricambio, manca un servizio idoneo<br />
alla manutenzione della città degli internati e degli impianti ivi esistenti.<br />
Occorre quindi, come in ogni Comune del Regno, istituire all’uopo un Ufficio<br />
Tecnico, retto anche da un geometra, che provveda a tutte le manutenzioni e<br />
riparazioni del Campo, avendo alle proprie dipendenze personale specializzato<br />
quale muratori, stradini, falegnami, carpentieri, stagnini, fabbri, fognaiolo,<br />
idraulico, fontaniere, spazzini, pulitori di latrine, caldaista per la lavanderia,<br />
elettricista, fornaio, frigorista, e magazzini dotati del materiale necessario.<br />
Basterebbero pochi operai; in quanto alla manovalanza sarebbe assunta tra gli<br />
internati, molti dei quali si toglierebbero dallo stato deleterio d’ozio in cui<br />
vivono. Anzi alle dipendenze di ciascun operaio si potrebbe istituire una scuola<br />
di mestiere, obbligatoria per i giovani atti ad imparare un’arte.<br />
La costruzione delle casse funebri potrebbe essere affidata al falegname per<br />
evitare il lamentato incidente della salma rimasta per tre giorni in baracca in<br />
attesa della cassa da Alatri, ovvero si dovrebbe costituire in un magazzino un<br />
deposito fornito di poche casse delle varie dimensioni.<br />
Non sarebbe poi male che fossero disciplinate altre attività artigiane. Il<br />
Campo non fornisce, per uso degli internati, né sarti, né barbieri, né calzolai.<br />
Gli internati “si arrangiano” come possono e pagano quello che sarti, calzolai<br />
e barbieri vogliono. Accentrare gli attuali artigiani sparsi per il Campo in<br />
apposite baracche, istituire tariffe adatte alla potenzialità economica degli<br />
internati, istituire una scuola di mestiere delle suddette attività tra ragazzi<br />
internati, sarebbe opera umanitaria.<br />
63
SERVIZI: POSTA<strong>LE</strong> - TE<strong>LE</strong>GRAFICO - TE<strong>LE</strong>FONICO - GENERI<br />
DI PRIVATIVA<br />
Occorre che venga sollecitata l’apertura dell’ufficio postelegrafonico già<br />
autorizzato e l’impianto del centralino telefonico, anche questo autorizzato e<br />
già sollecitato alla Teti dalla Prefettura. L’unico apparecchio telefonico installato<br />
nell’ufficio del Direttore del Campo collegato con Alatri di giorno e con<br />
Frosinone di notte, è insufficiente e reca fastidio al direttore nel cui ufficio si<br />
ricevono e si trasmettono tutte le telefonate. In questi tempi in cui il sale non<br />
sempre si trova altrove non è possibile rifornirne gli internati; l’attuale concessionario<br />
delle vendite dei tabacchi agli internati, dovrebbe essere autorizzato<br />
anche alla vendita del sale.<br />
PERSONA<strong>LE</strong>, UFFICI, ALLOGGI<br />
La necessità che il personale venga aumentato l’ho rilevata man mano che se<br />
ne è presentata l’occasione nel trattare delle manchevolezze dei vari servizi.<br />
Nel fare le proposte mi sono mantenuto nei limiti della più stretta economia di<br />
personale, ma mi preme aggiungere che la gran parte delle deficienze del funzionamento<br />
saranno eliminate quando la Direzione potrà disporre del personale<br />
necessario numericamente ed adatto qualitativamente. Solo allora la<br />
Direzione potrà restituirsi alla sua funzione coordinatrice del complesso che<br />
produce. Al problema dell’aumento del personale va pure connesso quello dell’aumento<br />
della capienza degli uffici, già attualmente inadatti, della costruzione<br />
di nuovi alloggi per impiegati ed operai…Perché il personale dello Stato,<br />
comandato e da comandarsi al campo di concentramento di Le Fraschette<br />
venga giustamente compensato per lo stato di disagio in cui lavora, perché si<br />
affezioni al servizio delicato e gravoso, perché lavori con tranquillità e senza<br />
preoccupazione di indole economica, sarebbe da proporre che la missione di<br />
cui gode sia resa continuativa nella misura della prima mensilità.<br />
L’analisi delle necessità funzionali del campo di concentramento Le Fraschette<br />
tracciata nella presente relazione ed i molteplici argomenti trattati, attraverso i<br />
quali ho voluto dare una visione generale di quanto occorre fare ancora,<br />
potrebbe far pensare, in una prima lettura, ad una serie di provvedimenti da<br />
adottare troppo complessa e quasi scoraggiante per la sua attuabilità.<br />
Attraverso un rigido concetto di discriminazione, invece, si troverà, in questo<br />
farraginoso elenco di proposte, che alcune di esse sono urgentissime, altre<br />
urgenti ed altre ancora attuabili gradualmente nel tempo. Con questa progres-<br />
64
sività di programma si troverà il modo, il tempo e il danaro necessari per fare<br />
di Le Fraschette un Campo di concentramento perfetto, se non nella sua costituzione<br />
almeno nella sua organizzazione, e gli internati, rientrando nelle terre<br />
di provenienza, che sono terre Italiane, dovranno riconoscere la superiorità<br />
della nostra civiltà e gridarla al mondo”.<br />
Frosinone, 2 luglio 1943 – XXI Il Vice Prefetto Ispettore.<br />
La prosa finanche piacevole espressa dal redattore del documento viene<br />
bruscamente interrotta dall’affermazione finale sulla superiorità della<br />
razza italica che sarebbe stata capace di realizzare a Le Fraschette il<br />
“campo di concentramento perfetto”. Tale affermazione ci riconduce ad<br />
una realtà storica capace di trarre vanto dall’accostamento di due concetti<br />
aberranti: la superiorità della razza e il campo di concentramento!<br />
65
PARTE SECONDA<br />
TESTIMONIANZE DI VITA NEL CAMPO<br />
In questa sezione abbiamo raccolto alcune testimonianze di internati nel<br />
campo Le Fraschette. Le testimonianze sono riportate in rapida sequenza,<br />
senza commento alcuno. Esprimono compiutamente la sofferenza ed il<br />
disagio della condizione dell’internamento.<br />
Rimandiamo agli atti del convegno del 2 dicembre 2006, parte quinta, la lettura<br />
di ulteriori testimonianze proposte nell’intervento di Marilinda<br />
Figliozzi.<br />
Milena Giziak, slovena di Vertoiba, frazione del comune di Gorizia, arrestata<br />
con tutta la famiglia nel settembre 1942 perché aveva un fratello partigiano,<br />
rinchiusa in carcere (aveva solo 13 anni!) fino al marzo 1943, con cibo<br />
scarsissimo, così ricorda il suo internamento a Le Fraschette:<br />
“Il campo Le Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata da<br />
monti. Eravamo quasi solo donne. Il vitto era impossibile: un mestolo di brodaglia<br />
e un etto di pane al giorno e non vi era solo il problema della scarsità,<br />
ma anche quello della sporcizia rivoltante dei luoghi dove il cibo veniva preparato.<br />
Molti ricevevano dei pacchi dai parenti, ma noi non avevamo nessuno<br />
che ci potesse aiutare. Spaventose soprattutto le condizioni delle croate e delle<br />
greche, alle quali non arrivava mai nulla, tanto da essere costrette ad aggirarsi<br />
attorno ai bidoni della spazzatura della cucina, onde recuperare bucce di<br />
patate e qualche altro scarto. Nel complesso posso dire che il comportamento<br />
del Comando era corretto, non animato da ostilità verso le recluse. Il 25 luglio<br />
66
che aprì le carceri a tanti detenuti antifascisti, passò per noi inosservato.<br />
È soltanto dopo l’8 settembre 1943 che, verificatasi la fuga dei militari di<br />
guardia, il Campo venne a trovarsi così aperto, permettendo una prima fuga<br />
di quanti, avendone i mezzi, erano in grado di provvedere autonomamente ad<br />
allontanarsi dal posto. Una certa solidarietà - afferma la Giziak - veniva dai<br />
giovani soldati di guardia, i quali tolleravano le uscite clandestine delle internate<br />
per saccheggiare nelle campagne circostanti la frutta e quant’altro<br />
potesse attenuare gli stimoli della fame”.<br />
Luisa Deskovic, dalmata, fu arrestata per le sue idee politiche. Confinata a<br />
Ventotene senza alcun processo, nell’agosto 1943 fu trasferita a Le<br />
Fraschette.<br />
“All’ingresso c’era il posto di polizia e tutto attorno era stata scavata una<br />
specie di trincea con ai bordi il filo spinato, però senza corrente elettrica.<br />
All’arrivo ci immatricolarono: cognome, nome, nazionalità, religione; ci<br />
dichiarammo Jugoslave ed atee, suscitando le proteste dei poliziotti. Ma la<br />
Dalmazia è in Italia ci dicevano, non sapendo distinguere tra nazionalità e<br />
cittadinanza. Il villaggio era costituito da baracche in compensato che dovevano<br />
essere freddissime in inverno. Anche a Ventotene mancava il riscaldamento,<br />
ma là i padiglioni erano in muratura e poi c’era il mare; fortunatamente<br />
era d’estate. A Le Fraschette si trovavano in quell’epoca circa 4000<br />
internati jugoslavi, in maggioranza donne e bambini, parenti di partigiani o<br />
abitanti di zone in cui operavano i partigiani. Interi paesi erano stati sgomberati<br />
per impedire i rifornimenti ai ribelli, come li chiamava il fascismo. Non<br />
c’era mazzetta, sussidio giornaliero: due volte al giorno ti davano il rancio<br />
con la gavetta, una brodaglia su cui galleggiavano alcuni pezzi di zucca,<br />
qualche volta pochi grammi di riso. Non ho mai mangiato, né prima né dopo<br />
di allora, una roba tanto disgustosa.<br />
A Ventotene avevo acquistato una grande esperienza su come, anche in condizioni<br />
disperate, fosse possibile e si dovessero difendere i propri diritti e<br />
dignità. Il giorno successivo al mio arrivo a Le Fraschette organizzai una<br />
delegazione di donne ed andammo in Direzione a protestare contro la mancata<br />
assegnazione di latte ai bambini. Dopo aver insistito a lungo fummo<br />
ricevuti; il caso volle che proprio quel giorno fosse presente un Ispettore, non<br />
so chi con precisione, insomma un personaggio venuto da Roma: parlai con<br />
veemenza, dissi che conoscevamo quali erano i nostri diritti e che se si ostinavano<br />
a negarceli ci saremmo rivolte alla Croce Rossa. Il giorno seguente<br />
ogni bambino ricevette una razione di latte.<br />
67
Un’altra vittoria sul piano personale questa volta l’ottenni rivendicando il<br />
mio diritto ad un vitto migliore perché malata. Ci mandarono a fare le lastre<br />
radiologiche a Frosinone e in quell’occasione ebbi un vivace battibecco con<br />
un giovane ignorante poliziotto, il quale mi si rivolse con il tu e pretendeva<br />
che io gli dessi del voi: alla fine, non potendo averla vinta sul piano verbale<br />
voleva picchiarmi: dovettero intervenire due carabinieri a sedare la lite”.<br />
Dopo l’8 settembre, tra la confusione generale, la Deskovic decise di allontanarsi.<br />
Prese il treno per Roma e da lì risalì al Nord Italia. Erano arrivate in<br />
gruppo dall’isola di Ventotene, confinate ed internate politiche. Tra la prima e<br />
la seconda misura c’erano differenze pratiche. L’internamento era un provvedimento<br />
rapido e definitivo, mentre il confino aveva bisogno di maggiore<br />
burocrazia e quindi di tempi lunghi. L’elenco delle confinate ed internate provenienti<br />
da Ventotene, che comprende naturalmente anche Luisa Deskovic, lo<br />
si ritrova in calce al seguente documento di protesta indirizzato all’onorevole<br />
Ministro degli Interni il 27 agosto 1943:<br />
“Le confinate ed internate politiche: Buonacosa Emilia, Babek Giovanna,<br />
Kemperle Appolonia, Zalai Maria, Deskovic Vjekoslava, Deskovis Iulya,<br />
Belamaric Desanka, Nakicenovic Bojana, Tranak Nadia, Raineri Vincenza,<br />
trasferite dall’Isola di Ventotene al campo di concentramento Le Fraschette-<br />
Alatri, fanno presente a codesto Ministero quanto segue: Noi a Ventotene avevamo<br />
un trattamento come confinate ed internate politiche, questo campo<br />
invece non è adatto per noi. Inoltre facciamo presente che l’alimentazione è<br />
un’alimentazione di fame. Tutte le tessere sono state ritirate e per questo non<br />
si riceve neppure la metà di roba che ci spetta secondo la legge d’alimentazione<br />
in tempo di guerra. Ancora peggiore è il fatto che tutta la mazzetta di<br />
£.9, la quale ci spetta come confinate ed internate politiche viene presa per<br />
due razioni di minestra uso acqua calda e per 150 grammi di pane. A noi non<br />
rimane neppure una lira per i nostri bisogni personali, per la frutta, della<br />
quale abbiamo assolutamente bisogno come di altra roba fresca. Il comportamento<br />
con gli ammalati non si distingue dagli altri. Tutti i supplementi qui<br />
vengono a mancare. Facciamo presente che tra di noi la maggioranza non<br />
può ricevere nulla dalle famiglie e fra di noi ci sono delle ammalate di TBC,<br />
ammalate di stomaco, di reni, cuore e quelle che hanno subito operazioni<br />
molto gravi e che devono continuamente curarsi. Noi tutte protestiamo energicamente<br />
contro questo trattamento e chiediamo la nostra immediata liberazione<br />
come confinate ed internate politiche. Inoltre chiediamo il nostro immediato<br />
trasferimento nei comuni liberi quando le nostre pratiche siano pronte.<br />
68
Con osservanza in nome di tutte.<br />
Emilia Buonacasa. Confinata politica.<br />
Le Fraschette 27/8 1943”.<br />
Il documento, di cui riportiamo copia<br />
dell’originale, fu sottoscritto da<br />
Emilia Buonacosa, antifascista, confinata<br />
dal dicembre 1940 perché<br />
“pericolosa alla sicurezza pubblica,<br />
agli ordinamenti politici, economici e<br />
sociali dello Stato”. Per lei il 7 settembre<br />
1943 fu decisa la liberazione,<br />
ma l’armistizio si frappose tra il<br />
provvedimento e la sua attuazione, e<br />
così Emilia Buonacosa fu costretta a<br />
rimanere ancora alcuni mesi a Le<br />
Fraschette.<br />
69
Scrisse di Emilia Buonacosa lo storico Giuseppe Aragno:<br />
“Ha 48 anni ed è confinata dal dicembre del 1940. Antifascista e anarchica<br />
ma null’altro. Nessun reato. Alle spalle un passato di lotte per la libertà e la<br />
democrazia: la militanza sindacale alla Camera del lavoro di Nocera<br />
Inferiore e la partecipazione alle grandi lotte operaie del primo dopoguerra,<br />
che le costano la fama di “sovversiva”, un terribile incidente sul lavoro in<br />
una fabbrica di conserve alimentari - ne porterà i segni e le sofferenze per il<br />
resto dei suoi giorni - la tenace e coraggiosa opposizione al fascismo che<br />
dilaga, la fuga in Francia tra i fuorusciti, i rapporti con “Giustizia e<br />
Libertà”, Barcellona, dove la democrazia fa le prove generali della lotta decisiva<br />
al nazifascismo, e lo stalinismo prova inutilmente a spegnere la voce dei<br />
libertari, il ritorno nella Francia travolta dalla furia nazista, l’arresto e la<br />
consegna ai fascisti, il calvario di Ventotene, con la salute che si deteriora<br />
progressivamente, senza che le sofferenze consiglino la resa. Un soldato. In<br />
quel fatidico 7 settembre del ‘43, la Buonacosa è un soldato come i tanti che<br />
resistono e pagano prezzi altissimi alla scelta di non passare al nemico: la<br />
scelta di non tradire. A Badoglio, il vecchio fascista della continuità, all’antico<br />
nemico che già medita la fuga, mentre patteggia con tutti e chiude nella<br />
vergogna una vita spesa male, l’ha scritto, a nome delle compagne presenti<br />
nel campo con lei - otto slave ed un’italiana - con la chiarezza senza fronzoli<br />
di chi ha vissuto senza ambiguità: “noi tutte [...] chiediamo la nostra immediata<br />
liberazione, come confinate politiche, il nostro immediato trasferimento<br />
nei comuni liberi”. Il generale indugia sino alla fine e decide mentre fugge:<br />
“ Si prega di voler liberare e rimpatriare le confinate in oggetto recentemente<br />
trasferite da Ventotene in codesto campo”. Un indugio fatale, lo stesso che<br />
decide della sorte dei soldati sorpresi fuori confine, di quella parte d’Italia<br />
che cade in mano ai nazisti: l’indugio che sprofonda il paese in un abisso. La<br />
furia della guerra, che l’armistizio riaccende invece di fermare, trova Emilia<br />
prigioniera, coi problemi di sempre. Lei stessa è allo stremo. L’ordine di liberarla<br />
attraversa l’Italia che si divide e si incendia. A Le Fraschette d’Alatri,<br />
il 4 novembre del ‘43, Emilia Buonacosa è ancora in campo di concentramento:<br />
“non può, per il momento raggiungere il proprio paese nativo, Pagani di<br />
Salerno, a causa degli eventi bellici”, scrisse il direttore del campo, per il<br />
quale Emilia Buonacosa è ancora “una confinata politica”.<br />
Vittorio Ravarino, confinato politico trasferito a Le Fraschette. Arrestato<br />
per ubriachezza il 22 febbraio 1943 in un’osteria di Roma, aveva pronunzia-<br />
70
to la frase “Io sono comunista, mi vanto di avere questa idea e mantengo la<br />
mia fede!”, e ancora “Io sono un comunista ed un proletario e mi vanto di<br />
aver fatto quindici anni di galera!”. In effetti, Ravarino il 12.8.1929 era stato<br />
assegnato al confino di polizia per la durata di cinque anni per aver pronunciato<br />
parole offensive all’indirizzo del Capo del Governo, on. Mussolini.<br />
Inoltre aveva precedenti per violenze ed oltraggio a militi della Sicurezza<br />
Nazionale. All’atto della sua liberazione da Le Fraschette, nell’agosto 1943,<br />
il suo rientro a Roma fu segnalato alla locale Questura “per le opportune<br />
misure di vigilanza”.<br />
Tra i confinati politici, prigionieri a Le Fraschette:<br />
Pasquale Pallottino, trasferito da Ustica a Le Fraschette, aveva scritto sui<br />
muri di Potenza frasi avverse al fascismo. Per questo scontò tre anni di prigionia.<br />
Mario Salvadori, “giovane designato quale fervente comunista, figlio di<br />
anarchico”, fu assegnato al confino perché accusato di propaganda comunista.<br />
Giovanni Savio, “combattè nelle file dell’esercito rosso spagnolo e, nel<br />
1941, reduce dal campo di concentramento di Fernet, venne consegnato dalle<br />
autorità francesi alle nostre autorità di frontiera”. Fu assegnato al confino di<br />
polizia per 5 anni, scontati in parte a Le Fraschette. All’interno del campo,<br />
Antonino La Torre, confinato politico proveniente da Ustica, doveva essere<br />
rinchiuso nelle carceri di sicurezza del campo, ma protestò contro il provvedimento<br />
colpendo ripetutamente un agente. Fu arrestato e tradotto nelle carceri<br />
mandamentali di Alatri. Davide Tedesco, Armando Ferraresi e<br />
Francesco Vaglio, internati a Le Fraschette, furono associati alle carceri di<br />
Frosinone in quanto ritenuti elementi capaci di organizzare attentati. Al termine<br />
della loro detenzione, il Prefetto di Frosinone chiese che gli stessi fossero<br />
trasferiti “in una colonia di confino più adatta, perché a Le Fraschette mancavano<br />
garanzie contro le evasioni, “essendo tuttora in costruzione il muro di<br />
recinzione”.<br />
La ricercatrice storica, prof.ssa Slavica Plahuta, racconta in un suo libro, a<br />
proposito del ritorno a casa degli internati slavi, che “la fuga dal campo non<br />
è stata semplice. Il viaggio fino a casa è stato lungo e faticoso e difficili perché<br />
tra un luogo e l’altro le comunicazioni erano sotto il controllo dei tedeschi.<br />
Il viaggio è stato molto più facile per sloveni e croati che conoscevano<br />
la lingua italiana. Ciononostante qualcuno di loro è caduto in mano ai tedeschi<br />
e di nuovo sono tornati nel campo. Il gruppo guidato da Vincenzo<br />
71
Giganti per esempio, è arrivato tranquillamente fino in Istria”.<br />
Sempre la Plahuta racconta: “Nel gruppo di Lojzeta Bukavca c’erano sei<br />
internati. Questo gruppo si è alleato con i partigiani italiani e sono rimasti lì<br />
invece di tornare a casa. Si sa che alcuni di loro sono tornati in Jugoslavia<br />
via mare.<br />
Nell’estate del ’44 c’erano settecento internati, che da Roma, sono passati<br />
verso Bologna. Lì, nelle baracche, si sa che c’erano anche persone di Cassino<br />
e dintorni. Quando l’Italia ha perso la guerra, nel campo si provava un gran<br />
sollievo. La direzione del campo si è sciolta. Gli internati si sono spartiti i<br />
viveri e biancheria. Il giorno dopo la caduta dell’Italia nel campo sono<br />
subentrati i tedeschi. La guardia italiana è fuggita dal campo seguita da alcuni<br />
prigionieri”.<br />
“L’amministrazione del campo s’è dunque trovata di fronte ad una fuga<br />
disorganizzata - come scrive nelle sue memorie Jolanda Simscic - I tedeschi<br />
infatti avevano deciso di rimandare gli internati a gruppi e attendevano istruzioni<br />
e il via da Nova Gorica.<br />
Il primo gruppo a partire fu il gruppo Primorak, facilitato dalla conoscenza<br />
della lingua. Il giorno dopo i primi gruppi di internati sono arrivati a Roma<br />
e da lì si sono mossi verso Trieste e poi verso casa.<br />
Dal campo a Roma sono andati con il treno preso alla stazione di Frosinone.<br />
Il gruppo dove ha viaggiato Simciceva è stato qualche giorno fermo in un<br />
convento, dopodichè ha proseguito col treno fino a Bologna, sotto i bombardamenti<br />
proprio in quel giorno, e poi fino a Gorizia.<br />
I maschi erano rimasti in Italia per i documenti per il rimpatrio. Entro<br />
Dicembre ’43 tutti i gli sloveni hanno abbandonato il campo. Altri internati,<br />
provenienti da Tripoli, sono rimasti nel campo fino a primavera del ’44,<br />
dopodichè sono stati trasferiti nel campo di Carpi, vicino Modena”.<br />
72
PARTE TERZA<br />
IL DIARIO DI MADRE MERCEDES AGOSTINI<br />
18 luglio 1943 - 6 aprile 1944<br />
Torniamo all’estate del 1943. Uno dei documenti più interessanti e completi<br />
sulla vita del campo è senz’altro il diario di Madre Mercedes Agostini, che<br />
riproponiamo integralmente nella versione già pubblicata da don Giuseppe<br />
Capone nel libro “La Provvida Mano”. Il documento descrive con minuziosità<br />
le attività svolte nel campo dal gruppo di suore “Giuseppine di<br />
Chamberj” di Veroli dal 18 luglio 1943, data di arrivo a Le Fraschette, fino<br />
al 6 aprile 1944, quando le suore accompagnarono un numeroso gruppo di<br />
internati al campo di concentramento di Fossoli, nel comune di Carpi.<br />
Nella ricchezza di riferimenti, notizie, dettagli, il documento ci consente di<br />
calarci nella realtà quotidiana della vita del campo, documentando le difficoltà<br />
e le angosce dell’internamento.<br />
Madre Mercedes Agostini è deceduta a Veroli il 15 aprile 1976 all’età di 93<br />
anni.<br />
Madre Mercedes Agostini<br />
con bambine croate<br />
Una proposta<br />
“L’opera che il Signore volle affidarci<br />
nel 1943, terzo anno di guerra, fu<br />
l’opera del tutto nuova ed è da riguardarsi<br />
come un privilegio della Bontà<br />
Divina per la nostra Congregazione,<br />
perché nessun altro campo di concentramento<br />
in Italia ha avuto l’assistenza<br />
delle Suore. Sua Eccellenza il<br />
Vescovo di Alatri mons. Facchini,<br />
uomo infaticabile e pieno del più<br />
ardente zelo apostolico, parlando con<br />
la Superiora del nostro Istituto di<br />
Veroli del campo di concentramento a<br />
Le Fraschette di Alatri, distante da<br />
Veroli circa 17 km., mostrò tutto il suo<br />
dolore poiché vedeva ben 5.500 inter-<br />
73
nati (Croati, Slavi, Sloveni, Montenegrini, Albanesi, Tripolini, Italiani) tra cui<br />
un numero rilevante di bambini, senza quell’assistenza di cui avrebbero avuto<br />
estremo bisogno.<br />
La mortalità nel campo, specialmente tra i piccoli, era grande. I fanciulli<br />
infatti erano privi di ogni cura e lasciati per tutta la giornata in balia di se<br />
stessi. La ristrettezza delle baracche induceva le mamme a spingerli fuori.<br />
All’accenno che il Vescovo fece di avere possibilmente le Suore di San<br />
Giuseppe, la Superiora provò infinita gioia, ma, insieme grande pena, sembrandole<br />
impossibile l’accettazione, perché il lavoro di ogni casa era superiore<br />
alle forze delle operaie che c’erano impegnate, e per il campo di concentramento<br />
di Alatri si richiedevano una quindicina di suore.<br />
Il seme però era gettato e la Divina provvidenza ebbe cura di farlo germogliare<br />
e fruttificare. Mons. Facchini parlò ancora dell’opera. Intanto, a causa<br />
delle condizioni belliche, l’educandato e le scuole comunali di Veroli (in parte<br />
affidate alle suore) si chiusero prestissimo e con la prospettiva di un ben<br />
lungo riposo. La Madre provinciale era stata già messa al corrente della<br />
richiesta, ma desiderava altre spiegazioni. La Superiora allora si recò a<br />
Roma per dare gli schiarimenti richiesti e per illustrare la bellezza della<br />
nuova missione, facendo in cuor suo i più ardenti voti perché fosse accettata,<br />
ma s’impose di non dire una sola parola che potesse sembrare una perorazione.<br />
A Dio solo la cura dell’esito.<br />
Fu adunato il Consiglio. Tutte le consigliere riconobbero la bellezza dell’opera,<br />
ma dovettero riconoscere che una difficoltà grandissima era appunto la<br />
mancanza di soggetti. Dopo molte discussioni, dopo aver esaminato le ragioni<br />
favorevoli e quelle contrarie, fu deciso di accettare la proposta del Vescovo<br />
di Alatri, mettendo però a disposizione un numero di suore molto più esiguo<br />
di quello richiesto. Per Superiora fu scelta la Superiora di Veroli.<br />
La risposta affermativa riempì di immensa gioia il grande cuore di mons.<br />
Facchini, il quale si adattò all’esiguo numero di suore, fiducioso, prima nell’aiuto<br />
di Dio, poi in quello di ottime giovani scelte tra le internate del campo<br />
stesso. L’inizio della missione doveva essere sollecito e tutto fu disposto per<br />
l’imminente partenza. Alcune delle suore destinate furono scelte tra quelle<br />
che lavoravano nella casa di Veroli. Però, attendi, attendi, nessuno si faceva<br />
più vivo. Una telefonata di mons. Facchini confermò i dubbi. Il Demonio,<br />
sempre invidioso del bene, aveva intralciato la pratica per opera di alti funzionari,<br />
ma mons. Facchini, sempre battagliero, non si perdette di animo e,<br />
uso alle vittorie in ogni causa di bene, ebbe piena fiducia di trionfare anche<br />
in questa, e così fu.<br />
74
Inaugurazione<br />
Il 18 luglio, di domenica, nelle primissime ore del mattino, sotto un cielo limpidissimo,<br />
col cuore pieno di santa emozione, la nostra piccola carovana<br />
composta di sette persone, stipata in una carrozzella da cinque posti con<br />
bagagli su bagagli, muoveva alla volta di Le Fraschette. Facevano parte della<br />
comitiva: Madre Giacinta Palustri-Galli, Provinciale, Madre Mercedes<br />
Agostini, Suor Leandra Piunti, Suor Maria Felice Colazilli, Suor Carmelina<br />
Ippolito, Suor Antonietta, Suor Pacifica Cappella, Suor Elisabetta Magini,<br />
Suor Elisabetta Sperticato.<br />
La preghiera accompagnò tutto il viaggio. Quel giorno era grande festa al<br />
campo, perciò fu scelto per il nostro ingresso. Una quarantina, tra bambine e<br />
bambini avrebbe ricevuto la Prima Comunione e la Cresima. La Messa si<br />
sarebbe dovuta celebrare alle nove, ma il ritardo del nostro arrivo fece protrarre<br />
la celebrazione oltre il previsto. In realtà si pensava che avremmo compiuto<br />
il viaggio in automobile. Finalmente, dopo quattro ore di viaggio, giungemmo<br />
al campo, ma dovemmo sostare al posto di comando per le formalità<br />
richieste. Intanto Sua Eccellenza, visto che l’ora si faceva tarda, aveva incominciato<br />
a celebrare, ma, giunto allo scoprimento del calice, attese. Non c’è<br />
bisogno di dire che al nostro ingresso nella baracca-chiesa ogni sguardo si<br />
appuntò su di noi.<br />
La chiesa era letteralmente gremita. Il nostro posto era presso l’altare a lato<br />
dei comunicandi. L’altare era addobbato con la più grande cura, e a renderlo<br />
tanto bello aveva collaborato chiunque aveva presso di sé tappeti od altre<br />
suppellettili.<br />
I comunicandi erano assistiti da signorine e da giovani di Azione Cattolica, i<br />
quali si prendevano cura rispettivamente delle bambine e dei bambini. Costoro<br />
erano in vero abito da cerimonia. A farglielo avere aveva provveduto l’opera<br />
sempre paternamente solerte di mons. Facchini. Bellissimi erano i canti eseguiti<br />
dalle giovani slave, vere specialiste in questo campo, che rendevano la<br />
già tanto suggestiva cerimonia ancor più suggestiva e commovente. Giunto il<br />
momento della S. Comunione, Sua Eccellenza, visibilmente commosso, presentò<br />
le Suore invitando i presenti a ringraziare il Signore per il dono che loro<br />
faceva: incoraggiò a ricorrere ad esse in ogni bisogno, a stimarle come madri,<br />
perché tali sarebbero state, essendo felici della missione che il Signore loro<br />
affidava e stimandosi fortunate di poter dividere con loro le sofferenze materiali<br />
e morali che accompagnavano la loro vita di internati.<br />
Sua Eccellenza fece una vera e propria apologia dell’opera religiosa; la<br />
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quale, se valse a disporre ognor più gli animi in nostro favore, ci sprofondò<br />
nell’umiltà e ci fece sentire potentissimo il bisogno dell’aiuto di Dio per il<br />
nostro nuovo compito.<br />
Dopo la Santa Messa sul grande piazzale ebbero luogo i convenevoli; poi,<br />
nella piccola abitazione del cappellano ci fu offerta la colazione. Mons.<br />
Vescovo, prima di allontanarsi dal campo, acconsentì a posare per una fotografia<br />
insieme alle Suore e ai bambini che avevano fatto la Prima<br />
Comunione.<br />
Un locale di un piano con sei aule ampie e luminosissime, ben corredate, un<br />
corridoio molto ampio con tredici finestre, un largo ingresso, tre belle camerette:<br />
una direzione, un piccolo refettorio e un’altra stanzetta, tutto nuovo e<br />
rispondente alle esigenze moderne, ecco la baracca delle suore. Però nessuna<br />
suppellettile, nemmeno una stoviglia, nessun indizio di cucina. E il nostro<br />
pasto? Mangiammo qualche cosa che avevamo portato con noi, liete di<br />
cominciare con il sacrificio. Alla sera, però, eravamo già abbastanza sistemate.<br />
Dai grandi magazzini del campo furono portati letti, materassi, biancheria<br />
e qualche stoviglia. Gli utensili di cucina più necessari ed il fornello<br />
vennero a poco a poco nei giorni seguenti. Intanto i buoni internati Tripolini<br />
facevano a gara nel portarci scatole di carne, di latte condensato, di cacao,<br />
zucchero, farina ecc. Gli altri internati non potevano partecipare a questa<br />
gara perché erano poverissimi; ma anche essi, mancandoci il fuoco, si prestavano<br />
per fare caffè e tutti venivano a prestarci i loro buoni uffici,, tutti<br />
erano orgogliosi di adoperarsi per noi. Non si saziavano di vedere le Suore,<br />
di chiederne il nome, di domandare quando avremmo cominciato la scuola.<br />
Occhi sorridenti e curiosi – Inizio e progresso dell’opera<br />
Era tanto il desiderio dei ragazzi di stare vicini alle suore che ci erano sempre<br />
presenti, in ogni momento ed in ogni luogo. Dalle finestre del lungo corridoio,<br />
da quelle delle sei aule, decine e decine di occhi sorridevano, curiosavano,<br />
interrogavano. Bimbi e bimbe, irrequieti e tranquilli, anche a porte<br />
chiuse sbucavano da ogni parte. Compiere la scalata dalle finestre era per<br />
loro la cosa più semplice e più naturale. E questo assalto affettuoso e … non<br />
sempre simpatico, durò per giorni e giorni.<br />
Il secondo giorno si iniziarono le iscrizioni e ciò fu una cosa laboriosissima,<br />
sia per la ressa, sia per la difficoltà di comprendere la loro lingua. La maggior<br />
parte erano Croati, Sloveni, Slavi. Alcune ragazze Slave ci fecero da<br />
interpreti. In questo lavoro di iscrizione, nonché di prima sistemazione e<br />
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Padre Goffredo Anfussi cappellano e le suore Giuseppine<br />
La chiesetta del Campo<br />
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organizzazione, ci fu di validissimo aiuto l’ottima Madre provinciale, Madre<br />
Giacinta che si dimostrò abilissima e si prestò anche per i più umili uffici. In<br />
breve gli iscritti furono in numero di 400 e le scuole funzionarono subito<br />
meravigliosamente. In capo ad una settimana si videro progressi, sia nell’ordine<br />
intellettuale che in quello disciplinare e religioso. Era una smania venire<br />
a scuola. Prima delle ore stabilite, i bimbi si trovavano alle tre porte d’ingresso,<br />
impazienti nell’attesa. Sappiamo come, in genere, i bimbi amino il<br />
canto: i Croati hanno per esso una spiccata disposizione, quindi, nel più<br />
ristretto periodo di tempo si impossessarono di un largo repertorio di canzoncine<br />
scolastiche, sacre, patriottiche. Uscivano di scuola a passo di marcia,<br />
cantando, accompagnati dalle suore fin nel piazzale della chiesa, con grande<br />
ammirazione e soddisfazione, specialmente dei genitori. Dopo qualche giorno<br />
dal nostro arrivo, due altre valenti e zelanti operaie vennero ad aiutarci:<br />
Suor Elisabetta e Suor Gesualda, e la Madre Provinciale tornò a Roma.<br />
Fra le baracche e nelle infermerie<br />
Oggetto delle primissime e più solerti cure furono le infermerie. Intanto si iniziava<br />
la visita alle baracche. Gli Ortodossi e i così detti Scapoli (gli uomini<br />
che non avevano famiglia al campo) furono i primi ad essere visitati e soccorsi.<br />
Sul principio costoro ci guardavano non so se con diffidenza o con poca<br />
simpatia. È da notare che fra quel paio di centinaia di uomini ve ne erano di<br />
tutte le confessioni religiose, di tutte le tinte politiche. L’interesse da noi<br />
dimostrato per tutti e per ciascuno, senza alcuna distinzione, il desiderio<br />
palese di poter sovvenire ad ogni loro bisogno, cambiarono a poco a poco le<br />
disposizioni di quegli animi verso le Suore. La carità raggiunse la via del<br />
cuore e produsse il benefico effetto. In ogni bisogno ricorrevano alle Suore, le<br />
quali, con l’aiuto materiale, non mancavano di somministrare quello morale,<br />
sia pure con una parola che spesso pareva gettata a caso. Tra i molti beneficati<br />
ci furono dei vecchi ottuagenari e due giovani Montenegrini, l’uno studente<br />
universitario, l’altro maestro, entrambi tubercolotici, venuti dal campo<br />
di Ustica.<br />
Con gli aiuti, direi diuturni, la loro salute migliorò assai. Non si saprebbero<br />
ripetere le parole di squisita riconoscenza che uno di loro, a nome anche dell’altro,<br />
perché conosceva meglio la lingua italiana, rivolse alle Suore al<br />
momento della partenza dal campo. Dio voglia che il ricordo della carità di<br />
Cristo sia faro di Fede per quelle anime e che un giorno esse siano rischiarate<br />
dalla luce indefettibile della Chiesa Cattolica.<br />
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La vigile Provvidenza<br />
Da mesi era stato annunziato l’arrivo di viveri per tramite e per parte del<br />
Vaticano; ma, come succede per le opere di bene che trovano sempre ostacoli,<br />
così fu per questa Provvidenza così vivamente invocata. Ma un bel giorno,<br />
quasi subito dopo l’apertura delle scuole, all’improvviso giunse un autocarro<br />
con ogni ben di Dio: circa 7.000 kg. di gallette, e, inoltre, frutta secca,<br />
marmellata, latte condensato, pesce in scatola, medicinali ecc.; una vera<br />
provvidenza che commosse fino alle lagrime e richiamò larghe, larghissime<br />
benedizioni su coloro che erano i messi di questa mano provvida. Si iniziò<br />
subito la refezione scolastica, con tanta gioia di quelle povere creature che<br />
per circa un anno avevano tanto sofferto! Ma la gioia ed il conforto furono<br />
ancora più grandi per le povere madri che avevano visto tanto deperire i loro<br />
figlioletti. Con il cibo furono distribuiti anche ricostituenti, e così, in breve,<br />
quei piccoli esseri ripresero vigore e salute. Sempre per la munificenza di<br />
Roma e di altre fonti benefiche, i bambini poterono avere un vestitino e, in<br />
seguito, zoccoletti e maglie. È veramente grande la carità di Cristo, quella<br />
carità che apre il cuore e tende la mano a tutti, senza distinzioni di nazionalità,<br />
di idee e di credenze.<br />
Il rappresentante del Vaticano<br />
La prima comparsa, potrei dire ufficiale, di tutto il campo, fu fatta il giorno in<br />
cui S.Ecc. mons. Riberi, Nunzio per i campi di concentramento, fece la sua<br />
visita, a nome del Santo Padre, a Le Fraschette. Fu giorno di grande festa<br />
quello. Nella vigilia fervettero i preparativi e, come sempre, ciascuno dette<br />
quello che aveva. L’arrivo di S. Ecc. si fece un poattendere. La Messa doveva<br />
essere celebrata all’aperto: l’altare era stato preparato sulla sommità della<br />
gradinata della chiesetta in muratura, prospiciente il piazzale centrale. I bambini<br />
furono disposti ai lati e dietro di loro c’era tutta la popolazione del campo.<br />
Un plotone di carabinieri faceva scorta di onore. Erano presenti anche il<br />
Direttore del campo, il Commissario di P.S., il Questore di Frosinone ed altre<br />
personalità. Finalmente giunse l’automobile che portava il Nunzio, il Vescovo<br />
di Alatri con alcuni canonici della cattedrale ed un sacerdote del Vaticano.<br />
Le giovani slave cantarono dei mottetti. Al Vangelo il Nunzio pronunziò un sentito<br />
discorso che, a mano a mano, veniva tradotto in lingua croata dal<br />
Reverendo P. Zorè, un padre Gesuita venuto da diversi giorni al campo per<br />
tenere conferenze ed ascoltare confessioni. Alla Santa Comunione generale si<br />
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accostarono numerosissime persone. Dopo la S. Messa un ragazzo tripolino<br />
pronunziò un caldo e sentitissimo indirizzo di omaggio al Santo Padre e una<br />
piccola croata di poco più di tre anni recitò una graziosa poesia in italiano. È<br />
inutile dire che ebbe carezze dal Nunzio. Una modesta colazione fu servita dalle<br />
Suore. Il minuscolo refettorio era stato preparato per la circostanza con l’aiuto<br />
di tutti. Per dare a quella modestissima agape una tinta di festa pontificia i<br />
tovaglioli erano stati piegati a forma di colomba con un ramoscello di ulivo in<br />
bocca: lo stemma di Pio XII. In seguito furono fatte fotografie. Il desinare fu<br />
offerto ad Alatri da mons. Facchini. Nel pomeriggio il Nunzio visitò le infermerie<br />
ed alcune baracche. Visite di alte personalità furono frequenti al campo.<br />
Rappresentanti della Croce Rossa, della Legazione svizzera, Ispettori del<br />
Ministero, alti ufficiali dell’esercito, tutti si recarono alle scuole, interessandosi<br />
all’opera e compiacendosi dei ragazzi.<br />
Assistenza paterna<br />
Le due figure che maggiormente emergono nel quadro del campo sono quelle<br />
di mons. Facchini, vescovo di Alatri e del cappellano Padre Goffredo<br />
Anfussi. Sono figure che rimarranno indelebilmente scolpite nel cuore di tutti<br />
gli internati che ne faranno conoscere il nome anche ai più lontani nipoti.<br />
Parlerò del primo in questo capitolo; del secondo parlerò a suo tempo, inquadrandolo<br />
nella vita spirituale del campo.<br />
Mons. Facchini, anima di apostolo, considerò gli internati, fin dal loro primo<br />
arrivo, cuore del suo cuore. Ed il suo è uno di quei cuori che traggono le proprie<br />
aspirazioni, le proprie energie dal cuore stesso di Dio. Egli solo sa il<br />
lavoro, le lotte che dovette sostenere per tutelare i diritti degli internati, per<br />
difenderli dai soprusi, per dar loro aiuti materiali e morali. Le sue visite al<br />
campo erano frequenti; spesso veniva a piedi, non badando al freddo, al<br />
caldo, alla pioggia. Al suo arrivo molti gli si facevano incontro, sapendo di<br />
avere in lui un padre vigile e buono che di tutti si interessava, che a tutto provvedeva<br />
e prendeva rimedi, e sempre con quella dirittura morale che è la<br />
caratteristica del suo spirito e che sfida uomini e cose. Anche con gli sfollati<br />
si dimostrò vero padre.<br />
Quando cominciarono gli sfollamenti dai paesi vicini al fronte, le sue energie<br />
si moltiplicarono, le sue industrie crebbero col crescere dei bisogni.<br />
Procurò viveri, letti, abiti, medicinali; lui stesso rimase per ore a sorvegliare<br />
la cucina economica, ad aiutare nella distribuzione della minestra a centinaia<br />
di sfollati che da giorni non mangiavano e che si succedevano nell’arrivo.<br />
80
Che cosa non fece per risolvere la questione del latte per i bambini per i quali<br />
ebbe premure specialissime? Tutti indistintamente trovarono in lui, non dico<br />
il padre buono, ma la madre più solerte e provvida.<br />
Ogni mattina scendeva dall’Episcopio situato sull’Acropoli e visitava alloggio<br />
per alloggio, e di tutti ascoltava i bisogni e le pene, pensando a certi particolari<br />
da sorprendere. Non era una sola volta al giorno, ma c’erano giorni<br />
in cui per tre o quattro volte scendeva in paese per i bisogni dell’uno e dell’altro,<br />
per risolvere situazioni scabrose.<br />
Senza dubbio il ricordo del Vescovo di Alatri sarà il solo confortante tra i<br />
moltissimi casi dolorosi e tragici.<br />
Fra i nostri<br />
L’opera delle suore si svolse anche tra i nostri soldati, soprattutto fra quelli<br />
addetti alla sorveglianza del campo, le sentinelle. Oggi era un medicinale,<br />
domani una sigaretta per ingannare la noia delle ore della notte, ora una tazzina<br />
di infuso di tiglio per quello che tossiva, altre volte un oggettino religioso<br />
da portare o da mandarsi in famiglia per una Prima Comunione, insomma<br />
delle piccole cose, delle piccole attenzioni che servivano ad avvicinare e ad<br />
avvincere, riaccendendo la fede un po’ sopita, riconducendo alla pratica religiosa<br />
chi se ne era allontanato.<br />
Se essi venivano a noi come madri e sorelle, noi avevamo trovato in loro le<br />
vigili sentinelle, pronte ad aiutarci in ogni bisogno. E veramente ci sentivamo<br />
al sicuro in quell’immensa baracca con le finestre quasi a par di terra, che<br />
nella parte posteriore era volta verso la campagna e che aveva, a pochi metri<br />
di distanza, un oscuro castagneto.<br />
Quante notti in cui le batterie di cannoni, poste nelle vicinanze, cercavano di<br />
abbattere gli apparecchi nemici e illuminavano sinistramente il cielo di<br />
Fraschette, una voce dal di fuori ci esortava a non temere o a metterci meglio<br />
al riparo!<br />
Era una delle vigili sentinelle che con noi invocava l’aiuto del cielo. In alcune<br />
circostanze in cui i nostri soldati erano minacciati di gravi punizioni<br />
potemmo avere la gioia di essere felici intermediarie.<br />
8 settembre 1943<br />
Dopo questa dolorosa data, la vita del campo prese un aspetto tutto diverso,<br />
assai triste, anzi desolante. In balìa di se stessi, internati, contadini, civili dei<br />
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paesi vicini cominciarono immediatamente il depredamento e la distruzione.<br />
È una cosa dolorosissima, anche solo a raccontarsi, perché, oltre che indice<br />
di inciviltà e di anarchia, denotava la negazione di ogni senso di rispetto ad<br />
una legge che, se pure non era tutelata, doveva però essere ugualmente norma<br />
di condotta. L’audacia di uno, sebbene biasimata da un altro, veniva disgraziatamente<br />
poco dopo imitata.<br />
Che ore, che giorni dolorosi!<br />
Non si credeva ai propri occhi e non si sarebbe voluto vedere. Ci furono ripetuti<br />
momenti di panico. Una mattina, di buonissima ora, la periferia del<br />
campo è piantonata da soldati tedeschi, schierati a poca distanza l’uno dall’altro.<br />
Quale ne sarà il motivo? Certo per impedire che gli uomini sfuggano<br />
al rastrellamento e per rastrellare quelli che ignari rientrano al campo, dopo<br />
aver passato la notte fuori, onde sfuggire al pericolo di venir sorpresi durante<br />
il sonno. Proprio quella notte, quattro carabinieri, i quali più degli altri<br />
vivevano sotto l’incubo di essere presi, erano di guardia nella nostra baracca<br />
per custodire migliaia di indumenti che in quei giorni si sarebbero distribuiti<br />
agli internati. Avvertito il pericolo che li minacciava, i quattro e noi<br />
suore con loro fummo presi da gran timore che ben presto divenne intenso<br />
panico. Uno dei soldati tedeschi (mi pare un graduato), dopo aver rivolto<br />
alcune domande ad una suora che stava trepidante fuori della porta, salì<br />
sulla scala di accesso ed entrò. Ci siamo! Il cuore martellava mentre invocavamo<br />
l’aiuto del Cielo. In men che non si dica, i quattro carabinieri si resero<br />
conto della gravità del pericolo. Dove rifugiarsi? Nel solaio? Certamente i<br />
tedeschi non ignoravano tale rifugio. In uno stanzino? Peggio ancora.<br />
Fuggire da una delle porte o dalle numerose finestre? Impossibile, perché<br />
erano guardate dalle sentinelle tedesche. Ma anche questa volta il Signore e<br />
il nostro padre San Giuseppe ci allontanarono dal pericolo. Il soldato, dopo<br />
aver dato uno sguardo intorno, ridiscese la scala e se ne andò. Con quanta<br />
riconoscenza ringraziammo il Signore!<br />
La sera dello stesso giorno, altro panico. Era ora piuttosto tarda e pioveva.<br />
Il buio era fitto e il campo giaceva in un silenzio di morte. Ad un tratto si udirono<br />
due colpetti alla porta che dava sul bosco. “Chi è?”. Una voce sommessa<br />
rispose: “Carabiniere”. Aprimmo. Era un giovanotto di poco più di diciotto<br />
anni, il quale invano aveva cercato ricovero in campagna. Troppi erano i<br />
fuggiaschi già ricoverati dai buoni contadini che in quei poveri giovani vedevano<br />
i propri figli. “Tenetemi qui”, disse il ragazzo con voce supplichevole.<br />
“Oh, se ti terremmo!, ma non sai il pericolo che abbiamo corso questa mattina?”.<br />
Intanto dal grande viale centrale del campo giungeva il rumore di una<br />
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macchina. A tutte le ore venivano i tedeschi, spesso per un rastrellamento.<br />
“Che fare? E se venissero anche da noi?”, “Mettiamo il termometro al ragazzo<br />
come se fosse febbricitante”, disse una. “Ma no, è meglio fasciargli un<br />
braccio come ad un ferito”, disse un’altra. E così fu fatto. Dopo un po’ di<br />
riflessione decidemmo di accompagnarlo in infermeria. Il mattino seguente,<br />
di buon’ora, avrebbe continuato la sua via. Anche quella volta ci andò bene.<br />
In seguito ai fatti dell’8 settembre, l’opera fra i nostri s’intensificò. Coi bisogni<br />
dello spirito sorsero quelli gravissimi del corpo. A tutte le ore del giorno,<br />
ed anche quando era già buio, le persone venivano dalle suore per avere il soccorso<br />
del pane, di un indumento, di una coperta per ripararsi dai rigori del<br />
freddo. Che pena non poter fare per loro tutto quello che avremmo voluto!<br />
Serata di fuoco<br />
Al terribile spettacolo di sfacelo a cui si era dovuto assistere impotenti, si<br />
aggiunse un giorno l’orrore dell’incendio. Era già buio quando alte grida ci<br />
richiamarono alla finestra. Credevamo che si trattasse di un rastrellamento di<br />
uomini, perché fatto con violenza. Invece, fiamme sinistre, a poca distanza, si<br />
innalzavano minacciose nell’aria. Mamme, babbi, con i figlioletti in braccio,<br />
con indumenti e masserizie sulle spalle, cercavano di mettersi in salvo. Per di<br />
più piovigginava. Come Dio volle, alcuni volenterosi, tra cui il cappellano<br />
con i suoi giovani, riuscirono ad isolare il fuoco; e l’incendio si limitò a due<br />
baracche, una delle quali era vuota.<br />
Vita spirituale del campo<br />
Il Padre cappellano del campo era Padre Goffredo. Era parroco in Tripoli da<br />
dieci anni, quando la guerra strappò dal proprio focolare ricchi e poveri, giovani<br />
e vecchi, famiglie intere insomma. I parrocchiani del Padre Goffredo,<br />
supplicarono il vescovo che concedesse loro di farsi seguire dal proprio parroco.<br />
Ciò fu concesso, ed il padre Goffredo, lieto, li seguì, nel solo desiderio<br />
di recare aiuto e conforto. E così fece. Nel periglioso viaggio, negli anni di<br />
internamento, nel doloroso ricordo delle case lontane, che non avrebbero<br />
forse più trovate, nella dura separazione dai parenti, molti, anche dai più<br />
stretti, rimasti internati in altri campi, che cosa sarebbe stato di loro se non<br />
avessero avuto a fianco il padre amato? Pronto sempre ad aiutarli, incoraggiarli,<br />
ammonirli anche, o dall’altare o dal confessionale, in casa ed in ogni<br />
altra occasione.<br />
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Il Padre, così era chiamato, e fu tale, non solo per i tripolini, ma per ogni<br />
altro membro del campo. I 5.500 internati furono tutti considerati come suoi<br />
parrocchiani amatissimi. I sussidi in denaro ottenuti personalmente a Roma<br />
e sollecitati con lo scritto raggiunsero qualche centinaio di migliaia di lire.<br />
Egli conosceva i bisogni di tutti e tutti adeguatamente soccorreva.<br />
Intensissima era la vita spirituale del campo…<br />
Il Padre aveva adottato il principio di Don Bosco, quello cioè di non tenere<br />
mai in ozio. Solo così ebbe dei giovani esemplari in tutto, e di cui le famiglie<br />
erano orgogliose. Nella baracca-chiesa si svolgevano le funzioni, come in<br />
una parrocchia in efficienza.<br />
Il monte di Fumone soprastante, con la sua torre medievale, e le colline circostanti<br />
sparse di casette e di capanne seminascoste tra il verde, mentre facevano<br />
corona a quel ristretto lembo di terra ove si soffriva, pareva che volesse<br />
occultarlo agli occhi degli uomini.<br />
Alternative di timori e di speranze<br />
Più di una volta corsero voci, e spesso parevano accreditate, che il nostro<br />
campo dovesse essere trasportato altrove, in alta Italia. L’incertezza del<br />
luogo e il pensiero di doversene andare quando forse gli Alleati li avrebbero<br />
presto liberati, affliggeva tutti. È vero che là avevano molto sofferto, ma è pur<br />
vero che l’ignoto spaventa ed il luogo, che è stato testimone di tante sofferenze,<br />
finisce con l’esserci caro.<br />
Molti di loro poi avrebbero lasciato poco distante di là, nel cimitero di Alatri,<br />
una cara persona; c’era chi ne lasciava quattro. Il 22 di febbraio (1944), proprio<br />
dall’autorità fu dato ordine di prepararsi per la partenza. Quale sconforto!<br />
I preparativi fervettero; per tutta una notte non si udirono che colpi di martello<br />
per chiudere casse. Anche noi suore ci preparammo. La mattina dopo i<br />
primi camion con bagagli dovevano dirigersi alla stazione di Ferentino, da cui<br />
si doveva partire per Roma e poi alla volta dell’Italia Settentrionale. Verso le<br />
otto e mezza antimeridiane un festoso agitarsi di persone e di grida di gioia si<br />
udirono nel campo. Un agente di Pubblica Sicurezza e un carabiniere in motocicletta<br />
erano venuti a portare la lieta notizia che la partenza era stata rinviata;<br />
forse, poteva pure andare a mone. Bombe anglo-americane avevano colpito<br />
la linea ferroviaria e quella stessa mattina Ferentino veniva fortemente<br />
bombardata. E se fossimo partite? Un altro tratto della Provvidenza Divina a<br />
cui tutti furono sensibilmente riconoscenti.<br />
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Lutti nel campo<br />
Prima che le suore giungessero al campo, l’assistenza sanitaria lasciava<br />
molto a desiderare, sia per la mancanza di organizzazione e di personale, sia<br />
per la deficienza di medicinali e di vitto. C’era perciò grande mortalità specialmente<br />
di bimbi e di vecchi. Se la morte di una persona cara è sempre<br />
molto dolorosa, quanto più non doveva esserlo là, dove si vedevano languire<br />
gli ammalati senza poter dare loro gli aiuti necessari? E quanto grande non<br />
sarà stata l’amarezza dell’ammalato, al pensiero di dover morire lontano<br />
dalla patria! Dolori che non hanno nomi, ma che hanno un valore infinito<br />
davanti a Dio. E meno male che il conforto della fede interviene ad addolcire<br />
le amarezze le più acerbe! Non dico poi del distacco, allorché, giunti<br />
all’estremità del campo, dove era il posto di blocco, si doveva veder partire<br />
il caro perduto, per l’ultima dimora, solo, sopra un rozzo barroccio, poiché<br />
mancavano altri mezzi, racchiuso in cassa rudimentale e mal connessa.<br />
Spesso, neppure un fiore poteva denotare il tributo dell’affetto di chi vedeva<br />
allontanare l’essere caro, perché là dentro non c’erano fiori. Tuttavia qualche<br />
volta poteva essere dato il tributo di qualche umilissimo fiore, di qualche<br />
ramoscello verde strappato dalla cinta del campo. Dopo l’otto settembre,<br />
quando il campo non ebbe più sentinelle, si ebbe almeno il conforto di accompagnare<br />
i propri cari fino all’ultima dimora.<br />
Acqua, fitte tenebre, vento<br />
Un po’emozionante l’episodio di una visita notturna ad un ammalato di campagna.<br />
In un tardo pomeriggio una giovane venne a chiamare l’infermiera<br />
per un suo fratello che da più giorni aveva febbri altissime. Essa non tornò<br />
dalle visite che verso il crepuscolo. Sebbene stanca, accompagnata da me,<br />
secondo le indicazioni ricevute, si recò nella casetta dell’ammalato. La pioggia,<br />
caduta abbondante, aveva reso il terreno talmente scivoloso che per<br />
discendere e poi salire, fu un vero pericoloso problema. Come Dio volle giungemmo.<br />
La suora si informò del male, somministrò ciò che ritenne più opportuno<br />
e ce ne saremmo tornate, se una fitta pioggia non ci avesse trattenute.<br />
Appena appena diminuita, riprendemmo il cammino accompagnate da un<br />
contadino. Il buio era fittissimo; una lucerna fatta alla meglio da quei buoni<br />
contadini avrebbe dovuto rischiarare il cammino, ma, non appena giungemmo<br />
all’aperto, il vento ce la spense. Nonostante tutte le più accurate precauzioni,<br />
era un continuo accendersi e spegnersi; finché non rimanemmo con due<br />
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soli fiammiferi. Che trepidazione! Camminammo a tentoni; avremmo voluto<br />
riaccendere, ma il vento prepotente sfidava la nostra pazienza. Intanto la<br />
pioggia rinforzava. In mezzo ad un terreno scosceso, con i piedi affondati<br />
nella melma, circondate dalle più fitte tenebre, strette l’una all’altra sotto un<br />
unico ombrello, tremanti per il freddo, non si sapeva dove e come andare. Ci<br />
assalse il dubbio di dover restare là fino a giorno. Chiesi se fosse possibile<br />
trovare un po’ di paglia per farne una torcia. L’uomo che ci accompagnava si<br />
allontanò da noi. L’attesa fu lunga e penosa. Intanto pregavamo. Finalmente<br />
l’uomo tornò portando della paglia che aveva preso in una capanna, spaventando<br />
degli uomini che lì si erano rifugiati nascondendosi per paura di essere<br />
presi. Col nuovo sistema di illuminazione riprendemmo alla meglio il cammino,<br />
sempre lottando con la melma. Discendemmo ad un torrentello e, sostenendoci<br />
agli alberi, potemmo risalire la china. Il cuore ci si allargò quando<br />
scorgemmo, nel buio, il campo. Le suore stavano in pensiero. Non dico se fu<br />
necessario cambiarci.<br />
Continui spaventi ci furono causati dalle ripetute aggressioni, specialmente<br />
notturne, fatte ai magazzini di vestiario e di masserizie. Spesso, verso sera o<br />
nel cuore della notte, si udivano ripetuti colpi di rivoltella, di bombe a mano,<br />
di moschetto. Si rubò dagli internati, si rubò dagli esterni, si rubò dai vicini,<br />
si rubò dai lontani, tanto più che varie baracche erano rimaste vuote di abitanti,<br />
poiché molti internati, croati e sloveni, erano partiti. Anche per la campagna<br />
veniva compiuto lo stesso depredamento. E così, in breve, il campo non<br />
si riconobbe più e quel grazioso e comodo villaggio che avrebbe potuto poi<br />
servire all’abitazione di tanta gente rimasta senza tetto, non era che un<br />
ammasso di rovine.<br />
Natale<br />
Le truppe tedesche da qualche tempo si succedevano al campo, con grande<br />
pericolo del medesimo e con panico degli internati. Nella settimana prima di<br />
Natale giunsero gli Alpini, quasi tutti austriaci e cattolici. Fu pensato di dare<br />
anche a loro un po’ di conforto spirituale e di far sentire un alito di festa familiare.<br />
Fu richiesto a Roma un sacerdote che parlasse tedesco e fu concesso.<br />
All’improvviso però quasi tutti furono fatti partire per il fronte. Noi pensammo<br />
ai pochi rimasti. Per uno di quegli incidenti che a quel tempo erano all’ordine<br />
del giorno, il sacerdote giunse all’ultimo momento; quindi non ci furono confessioni<br />
e neppure comunioni. Dopo la messa, cantata dalle internate, offrimmo<br />
nella nostra baracca una discreta colazione: latte o caffè, cioccolata e<br />
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dolci. Ciascuno aveva al proprio posto una immaginetta ricordo, con un pensiero<br />
scritto in tedesco ed una medaglietta. La tavola era preparata a festa.<br />
Quei baldi giovani si mostrarono commossi per quello che era stato dato loro.<br />
Nel pomeriggio furono radunati al campo tutti i bambini per la distribuzione<br />
di arance e castagne che il sacerdote venuto da Roma aveva portato con sé.<br />
Assistettero alla distribuzione diciotto soldati tedeschi, ai quali pure offrimmo<br />
qualcosa. Quei pochi dolcetti che potemmo offrire li fecero tornare con il<br />
ricordo alla famiglia lontana, ed essi ce ne furono grati. Ai cattolici offrimmo<br />
una medaglietta, ma la vollero anche gli altri, e mostrarono la loro gratitudine,<br />
lasciando un’offerta per i bambini più poveri del campo.<br />
Uragano<br />
La notte tra l’ultimo ed il primo dell’anno fu una notte terribile. Un uragano<br />
che si protrasse per dodici ore, ci tenne tra la vita e la morte. Quasi una ventina<br />
di baracche cedettero. Meno male che alcune erano vuote e gli abitatori di<br />
altre fecero in tempo ad allontanarsi dal pericolo. Le tegole volavano come<br />
piume, le baracche ondulavano; l’ululato del vento metteva terrore; sopra l’impalcatura<br />
delle nostre stanze era un precipitare ed un rincorrersi di pezzi e di<br />
tegole. I cartoni del soffitto erano bucati in più punti. Per non esporre la vita,<br />
andammo in una stanza più riparata. La lue del giorno ci presentò tutta l’azione<br />
demolitrice di quella vera ira di Dio. Molti avevano trovato scampo nelle<br />
cucine e nei magazzini, che erano locali costruiti in muratura, e lì stabilirono<br />
la loro dimora. Infatti, dopo otto giorni, si ebbe una ripresa, ma con poche conseguenze.<br />
La mattina del primo dell’anno, siccome la baracca-chiesa era in<br />
condizioni pericolose, la Santa Messa fu celebrata in un’aula delle nostre<br />
scuole. È da immaginarsi come i lavori di riparazione furono laboriosi. Anche<br />
in questa circostanza dovemmo riscontrare l’affetto dei nostri protetti.<br />
Cattura<br />
Fra gli episodi più drammatici è quello della cattura di sette giovani inglesi<br />
che avevano trovato ricovero nel campo. Che mattinata di emozione, che ore<br />
di trepidazione! Albeggiava quando il Campo fu circondato da soldati<br />
Tedeschi. Nessuno conosceva la ragione di quella manovra e si formulavano<br />
le ipotesi più disparate. “Prenderanno i nostri uomini? Ci porteranno via da<br />
questo campo?”. Man mano che le persone uscivano dalle baracche, venivano<br />
mandate nell’immenso locale del cinema. Ciascuno doveva essere munito<br />
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delle carte di riconoscimento. Era un guardarsi, un interrogarsi muto. Anche<br />
in questa contingenza le Suore poterono rendersi utili, sia con l’andare a<br />
prendere documenti lasciati nelle baracche, sia con il riportare tra le braccia<br />
di una madre un piccolo rimasto a letto. Verso le tredici, l’esame dei documenti<br />
personali e l’ispezione delle baracche erano compiuti, ma sette inglesi<br />
ex prigionieri venivano di nuovo catturati e, poco dopo, scortati da soldati<br />
tedeschi, con il loro fagottello sulle spalle, erano condotti via di là.<br />
Dopo tanti disagi sofferti, dopo ripetute fughe condotte tra il panico quasi<br />
continuo (alcuni erano fuggiti dalle mani dei tedeschi sei o sette volte), come<br />
quella sorte sarà riuscita penosa per quei poveretti, se tanta pena produsse<br />
nel cuore di tutti e richiamò lacrime negli occhi di molti!<br />
Visite impressionanti<br />
Una sera, per condurre a termine un atto di carità, tardammo ad andare a<br />
letto e il ritardo ci fu provvidenziale. Ad un tratto, la ragazza croata che avevamo<br />
al servizio, sentì del rumore, come se forzassero una delle porte d’ingresso.<br />
Si corse immediatamente alla finestra più vicina. Alla domanda:”Chi<br />
è?” fu risposto “Aprite!” Erano due o tre soldati tedeschi. Non li potemmo<br />
scorgere bene. “Forse volete fiammiferi?” chiedemmo tanto per chiedere<br />
qualcosa.<br />
Spesso, anche nel cuore della notte, bussavano a qualche baracca per questo.<br />
Senza attendere risposta, fu riabbassato l’avvolgibile e in un attimo furono<br />
portati i fiammiferi. Uno di loro, assai giovane salì sopra una piccola sporgenza<br />
del muricciolo su cui era basata la baracca e si spinse con una spalla<br />
e la testa dentro. Gli bastava un salto per entrare in casa. Le sue intenzioni<br />
erano tutt’altro che buone e ci volle l’aiuto di Dio e le lacrime di due bambine<br />
croate che ci erano state affidate e che dormivano in quella stessa stanza,<br />
per indurlo a lasciarci in pace.<br />
Un’altra sera, verso le 23, mentre dormivamo tranquillamente, si udirono<br />
voci maschili proprio davanti all’ingresso. La Suora che per prima aveva<br />
avvertito le voci gridò: “Aspettate che ci vestiamo!”. È da immaginare se e<br />
quanto ci spaventassimo. In quella stessa notte erano arrivati gli alpini<br />
austriaci, i quali andavano in cerca di baracche vuote. Vista la nostra così<br />
ampia, pensarono certo di trovarvi alloggio, tanto più che alle prime bussate<br />
nessuno rispose e la credettero disabitata. Certo, non erano dei malintenzionati,<br />
perché, appena udito che c’era gente, se ne andarono, ma intanto la<br />
paura era stata grande.<br />
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Tante altre emozioni, tanti altri episodi ci sarebbero da registrare, molti dei<br />
quali noti a Dio solo, e, se pure noti agli uomini, quasi incredibili per chi ne<br />
udisse il racconto.<br />
Dopo 1’8 di settembre, gli alunni della scuola ogni giorno diminuivano di<br />
numero. Non essendoci più le sentinelle, l’uscita dal Campo era libera, e quei<br />
poveri uccelletti, rimasti in gabbia per mesi e mesi, sentirono tutta l’attrattiva<br />
dei liberi voli.<br />
Chi li reggeva più?<br />
La campagna circostante offriva loro le più seducenti tentazioni: le frutta,<br />
soprattutto. Altra causa della suddetta diminuzione fu l’inizio della partenza<br />
dei croati e sloveni. Fu un vero dolore veder morire a poco a poco ciò che era<br />
stato così fiorente. Tre suore tornarono a Roma. Dopo il mitragliamento poi,<br />
la scuola fu sospesa”.<br />
Primi allarmi e mitragliamenti<br />
Quantunque ognuno credesse che il campo sarebbe rimasto incolume dai<br />
bombardamenti aerei, pure si provava un certo senso di timore, specie di<br />
notte, al passaggio frequentissimo di apparecchi, poiché da un certo tempo il<br />
campo era privo di quelle luci che lo segnalavano. E non ci si ingannava. Una<br />
sera udimmo i colpi di mitraglia proprio sul nostro cielo. Il ripetuto tac tac<br />
delle mitragliatrici fu seguito da scoppi fortissimi. Alcuni spezzoni erano<br />
caduti vicino alla baracca del Comando.<br />
Ringraziammo Dio perché non c’era stata alcuna vittima, ma... non ci si sentiva<br />
più sicuri, sebbene si argomentasse che il mitragliamento e lo spezzonamento<br />
erano avvenuti per un errore. Una mattina, verso le nove, bassissimi<br />
sulle nostre baracche, due aerei si scontrano: tac, tac, tac. Si odono grida: la<br />
mitraglia ha fatto le sue vittime. Si sta per correre a prestar soccorso, quando<br />
due feriti vengono portati all’ambulatorio. Uno, giovane padre di famiglia, è<br />
gravissimo, forse già morto. L’altro, un bimbo di una diecina di anni, ha una<br />
gamba frantumata; suo padre giace nella baracca nelle stesse condizioni.<br />
Giungono due giovanotti trafelati e ci supplicano di correre presso un giovane<br />
inglese gravemente ferito. Corro a perdifiato. Il giovane aveva pernottato al<br />
campo. Lo trovai in condizioni apparentemente buone, ma esaminandolo mi<br />
accorsi che le ferite erano gravissime, aveva il ventre squarciato dai proiettili,<br />
dei quali almeno uno gli era rimasto dentro. Anche una gamba era ferita. Era<br />
un protestante. Gli prestai i soccorsi del caso e, prima di tutto, gli dissi una<br />
parola buona. Gli feci baciare il Crocifisso e dire: Gesù mio, misericordia.<br />
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Sembrava sereno, ma intanto mi chiese se doveva morire. Era un atleta da<br />
giovane, dalla fisionomia buona: uno studente universitario. Giunse intanto<br />
l’Ufficiale medico tedesco che era accampato là, e dispose subito che il ferito<br />
venisse trasportato con gli altri allospedale di Alatri. Approvò pienamente<br />
quello che aveva fatto la suora infermiera per i feriti.<br />
Il giovane ferito venne posto su un graticcio. Poiché dalla porta non poteva<br />
passare, fu calato, con la massima cautela, dalla finestra. Fu deposto su un<br />
camion con i feriti più gravi. Dopo poche ore, parlando della mamma lontana,<br />
lasciò questa terra.<br />
Per un equivoco nessuna delle suore seguì il camion, e così il poveretto che<br />
pure aveva dimostrato di essere disposto ad abbracciare la religione cattolica,<br />
non poté avere nel momento decisivo la parola che forse lo avrebbe fatto<br />
spirare nella nostra Santa Religione. Dio, nella sua misericordia, ne avrà<br />
tenuto conto. Un altro ferito morì nella notte, dopo che gli era stata amputata<br />
la gamba.<br />
Era il padre del ragazzo anch’egli ferito alla gamba. Morì lasciando cinque<br />
figli tutti piccoli, e uno che doveva nascere. Adoriamo i disegni di Dio. Il trasporto<br />
delle tre salme fu commoventissimo e non solo la popolazione del<br />
campo, ma quella della campagna e di Alatri dette il suo tributo, specialmente<br />
a Jimmi, il giovane inglese.<br />
Molti ne avevano potuto apprezzare le doti, molti lo avevano aiutato, ne avevano<br />
conosciuto le peripezie. Dispiaceva vederlo morto così lontano dai suoi,<br />
quasi alla vigilia del giorno, da lui tanto aspettato, dell’arrivo dei suoi connazionali.<br />
Una donna della campagna, che lo aveva ospitato e custodito per<br />
vari mesi, lo pianse come un figlio.<br />
Una quindicina di giorni prima, verso sera, c’era stata data la tristissima<br />
notizia che uno dei carabinieri addetti al campo fino a pochi mesi innanzi,<br />
mentre compiva il suo dovere, era stato ucciso con una bomba a mano. Era<br />
un bravissimo giovane, buono tra i buoni.<br />
Il pensiero della mamma tanto lontana dal figlio che moriva, e il saperlo solo,<br />
senza forse una persona amica che pregasse per lui, mi spinse ad accorrere<br />
allospedale. Giaceva nella buia e fredda camera mortuaria. Da una larga<br />
ferita al cranio era sgorgato il sangue che ora s’era raggrumato sul volto,<br />
composto dalla morte in una grande serenità. Non potei trattenere le lacrime.<br />
C’erano anche altri che piangevano con me. Pregai, gli misi la corona al<br />
braccio, come avrebbe fatto la sua povera mamma. Gli tagliai una ciocca di<br />
capelli per mandarla a lei con una parola di conforto, non appena fossero<br />
passati gli alleati.<br />
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Bombardamento<br />
“Veroli è stata bombardata”. Voci discordi mi tennero in un’alternativa di trepidazione<br />
e di speranza. Era il pomeriggio del 21 di febbraio del 1944, e mi<br />
trovavo ad Alatri per una delle mie frequenti corse in città, motivate dai bisogni<br />
del campo. Domanda a destra, domanda a sinistra, riuscii finalmente, e<br />
con dolore, ad appurare la notizia. Due giorni innanzi Veroli aveva avuto il<br />
primo battesimo di fuoco e... di sangue, limitato, però, grazie a Dio. Seppi che<br />
le nostre case e le suore erano tutte salve.<br />
Quella sera non fu possibile partire. Il giorno seguente, ancora a notte,<br />
lasciai il campo e con una carrozza salii alla volta di Veroli. Il mio arrivo colà<br />
fu salutato dallo scoppio ritardato di alcune bombe. Veroli sembrava un paese<br />
evacuato; le poche persone in cui mi imbattei avevano l’aspetto della sofferenza<br />
e di chi è invaso da panico. Le Suore furono felicissime della mia visita,<br />
questa volta non affatto improvvisa, perché pensavano che sarei corsa da<br />
loro. Nelle prime ore del pomeriggio ripresi la via del ritorno. Giunta in vicinanza<br />
di Alatri, sentii che il mattino c’era stato un bombardamento.<br />
Domandai:“Dove?”, mi risposero:“A Le Fraschette”.<br />
Veramente non mi scossi troppo, perché altre volte si era diffusa la notizia, ma<br />
sempre poi era risultata falsa. Fatto un altro tratto di strada, domandai ad<br />
altre persone dove fosse stato bombardato. “A Le Fraschette mi fu risposto.<br />
Tale conferma mi mise in seria apprensione e non vedevo l’ora di giungere.<br />
Arrivata ad Alatri, si strinsero intorno alla carrozza alcune persone dicendomi:<br />
“Madre, stia tranquilla, che le suore sono salve e si trovano qui ad Alatri.<br />
Ci sono anche gli internati”.<br />
“Ci sono morti? feriti?”<br />
“Sei morti e qualche ferito”<br />
Corsi all’ospedale; quale dolorosa impressione!Due padri di famiglia morti:<br />
uno era rimasto sul colpo, l’altro era spirato all’ospedale poco prima. Questi<br />
lasciava cinque figli, l’altro due. Un santo giovane, due donne, due bambini,<br />
tutti giacevano irriconoscibili sul pavimento della piccola, umida, oscura<br />
camera mortuaria. Col cuore stretto, o piuttosto sanguinante, corsi ove si<br />
erano ricoverati i fuggiti dal campo.<br />
Era una scena penosissima.<br />
“Madre, Madre!” udii da più parti. I colpiti nel cuore erano come inebetiti,<br />
ma rassegnati: tutti erano rassegnati. Mi sentii confortata spiritualmente.<br />
Meditavo e mi edificavo, considerando la prova di virtù che quella povera<br />
gente stava dando. E dire che le prove si erano sovrapposte alle prove, i mesi<br />
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di sofferenze morali e fisiche erano succeduti ai mesi! Una vera Via Crucis.<br />
Com’è vero che la prova, per chi veramente crede e spera in Dio, è mezzo di<br />
crescente perfezionamento, di crescente linfa cristiana per chi trasmette l’eredità<br />
della fede e per chi la riceve. I profughi del campo erano ricoverati sotto<br />
il tetto ospitale appartenente all’Ente Conte Stampa. Quel palazzo aveva già<br />
veduto l’apice della miseria e del dolore negli sfollati di Cassino, Napoli e<br />
dintorni; aveva contato le lacrime di sangue, di tante umili madri già costrette<br />
a nascondersi per mesi nelle grotte e nelle miniere di asfalto, ove avevano,<br />
non vissuto, ma lentamente perduto le già tanto misere forze fisiche e morali,<br />
e che avevano il cuore più che le orecchie martoriato dal grido ripetuto:<br />
“Mamma, ho fame”.<br />
Quelle stanze, lasciate dai primi fuggiaschi in condizioni deplorevoli di pulizia,<br />
ospitavano ora quest’altra turba di profughi. Si ebbe un bel da fare per<br />
pulire. C’era mancanza di tutto! Quante riflessioni non feci in quei pochi<br />
istanti che passai là?<br />
Poco dopo, con le altre suore, corsi al Campo, ove dovemmo pernottare,<br />
nonostante la prospettiva della quasi completa solitudine. Per non esporci<br />
sole, in quella immensa baracca, temendo pericolose visite notturne, cercammo<br />
chi potesse vegliare la notte con noi.<br />
Un comunista croato e un altro internato promisero di venire. Più tardi però<br />
giunsero gli agenti di Polizia e cosi fummo sotto la loro preziosa protezione.<br />
Nel brigadiere trovammo un vero gentiluomo. Fu nostro dovere di mostrarci<br />
grate con l’offrire ai nostri protettori, durante la notte, modo di scaldarsi non<br />
solo le membra, ma anche lo stomaco.<br />
Dimenticavo di dire che, poco dopo il bombardamento, ci fu chi forzò una<br />
delle porte della nostra baracca, depredando le lenzuola, le fodere del letto e<br />
una ventina di sottocoperte, cosicché la notte avemmo da offrire qualche altra<br />
cosa al Signore.<br />
I poveri internati, ad Alatri, stavano certo peggio di noi! La sera dopo fummo<br />
ospitate dalle ottime Suore Calvariane. Il vice direttore del campo e la sua<br />
signora, sempre molto gentili e buoni con noi, avrebbero voluto ad ogni costo<br />
averci per loro ospiti. Non posso tacere come in questa nuova e tanto dolorosa<br />
calamità rifulgesse la virtù cristiana dei più duramente colpiti:”Sia fatta<br />
la volontà di Dio! Egli ce l’aveva dato, Egli ce l’ha tolto! Sia benedetto il suo<br />
santo nome!”<br />
Erano espressioni che colpirono e commossero grandemente chiunque le udì.<br />
Per quante congetture si siano fatte circa la ragione del bombardamento del<br />
campo, non so se una sola abbia colto o si sia avvicinata al segno.<br />
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I campi di concentramento, per legge di guerra, debbono essere rispettati.<br />
Aggiungiamo poi che i Tripolini erano considerati come sudditi inglesi. Il<br />
tempo risponderà, forse, a tale interrogativo.<br />
Le nostre piccole cinque croate<br />
Dal ricordo del Campo non andrà mai disgiunto quello delle cinque bambine<br />
croate affidateci, già prima che partissimo per Le Fraschette, nel nostro<br />
Istituto in Veroli il 4 marzo 1943 da Sua Eccellenza il Prefetto di Frosinone<br />
comm. Gullotta, sollecitato dal cuore paterno del Vescovo di Alatri. Eccone i<br />
nomi:<br />
Skeric Liubica di Ilia ( 5 anni)<br />
Skeric Milica di Ilia ( 9 anni)<br />
Skeric Stefania di Bose ( 7 anni)<br />
Tommasovic Danica di Duje (12 anni)<br />
Mattjvic Milica di Milos ( 7 anni)<br />
Quando ce le affidarono venivano dal campo Le Fraschette, e due di esse ci<br />
tornarono con noi e ci stettero per tre mesi. Erano cinque povere creature<br />
strappate alle proprie famiglie, e là al campo quasi abbandonate a se stesse.<br />
Le attendemmo a lungo queste povere bimbe, con cuore e braccia aperte,<br />
desiderosissime di addolcire la grande amarezza della lontananza dalla propria<br />
famiglia e di rifare quelle innocenti vite dopo tante sofferenze e privazioni.<br />
Finalmente giunsero.<br />
Quale impressione! Che amarezza! Nessuna di noi poté trattenere le lacrime,<br />
e prima di noi aveva pianto chi le aveva viste passare per le strade di Veroli.<br />
Anzi ci fu chi dette loro pane ed altro. Il loro viso, la loro magrezza erano una<br />
perorazione. Camminavano scalze, tenendo in mano gli zoccoli troppo grandi.<br />
Parevano cinque poveri uccellini smarriti e tremanti. Non dicevano né<br />
capivano una parola d’italiano. Alla nostra commossa tenerezza rispondevano<br />
quasi con meraviglia. Furono fatte rifocillare. Non credevano ai loro occhi<br />
dinanzi a tanta grazia di Dio. Fu fatto poi loro il bagno: la più piccola pianse<br />
nel doversi mettere in acqua. Cambiammo loro tutti i vestiti che avevano<br />
indosso e le mettemmo a letto. Quale felicità per loro trovarsi in un bianco<br />
lettino tutto ben riscaldato! Non appena ci fummo allontanate per farle dormire,<br />
cominciò la conversazione: pareva un cinguettio di passerotti.<br />
Per molti giorni stettero mute. Scambiavano solo qualche rara parola tra<br />
loro. Erano meste; in alcuni momenti, accorate. Ma un giorno, lasciate a<br />
bella posta sole, con alcuni giocattoli, sembrarono risvegliarsi alla vita.<br />
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Parlarono, risero, giocarono. Ne avemmo il cuore confortato. Da quel giorno<br />
si sentirono e le sentimmo più nostre. Tre stettero con noi quattro mesi o poco<br />
più; finché non furono richiamate dalle famiglie. Le altre due le avemmo per<br />
sette mesi e per tre mesi le avemmo con noi a Le Fraschette. Tutte e cinque ci<br />
dettero tante soddisfazioni, e la loro partenza ci riuscì assai penosa. Quanto<br />
ci eravamo affezionate!<br />
Che Dio le protegga, specie le due senza mamma, e il ricordo di quello che<br />
appresero sotto il tetto di S. Giuseppe faccia sì che un giorno riconoscano<br />
quanto bella e dolce è la religione cattolica.<br />
Voci di partenza<br />
Fin dai primi allarmi di cambiamento di campo, la nostra Reverenda Madre<br />
Provinciale, pur con dispiacere dovette dichiarare che non avrebbe permesso<br />
che le suore andassero così lontane, nel periodo pericoloso che si attraversava.<br />
E, perché i poveri internati non rimanessero senza l’aiuto delle suore,<br />
pregò mons. Riberi di interessarsi per trovarne altre nella località dove sarebbe<br />
stato trasferito il campo.<br />
Gli internati Tripolini (solo per loro ci sarebbe stato il trasferimento, perché<br />
gli altri sarebbero stati rimpatriati) supplicarono di essere almeno accompagnati<br />
nel viaggio da noi, e ciò fu concesso con piacere.<br />
Intanto, dopo qualche giorno, mons. Riberi sarebbe andato a Carpi, la nuova<br />
destinazione, ed avrebbe pensato alla sostituzione.<br />
Partenza sicura<br />
Da qualche giorno si parlava nuovamente di trasferimento in Alta Italia, e,<br />
dopo il bombardamento, esso divenne una necessità e fu affrettato. La sera<br />
del 25 di febbraio 1944 doveva aver luogo la partenza per Roma del primo<br />
scaglione di internati. Fu domandato se sarebbe stato necessario che una di<br />
noi suore li accompagnasse. Dapprima ci dissero che sarebbe stato più<br />
opportuno attendere, poi cambiarono idea e la scrivente fu scelta come<br />
accompagnatrice. A tutto vapore furono fatti i preparativi. I congedi avvennero<br />
di notte.<br />
Verso le 21 il torpedone si mosse dalla piazza centrale di Alatri, fra i saluti<br />
commossi tanto di chi partiva, quanto di chi restava, fra gli auguri e le raccomandazioni<br />
di parenti, di amici, di autorità.<br />
Il viaggio si iniziò con la preghiera collettiva, ed anche durante il percorso si<br />
94
pregò. A causa delle temute incursioni aeree, si dovette viaggiare pressoché<br />
al buio e sempre con l’orecchio teso. Dalla parte di occidente giungeva il<br />
sordo rumore del cannone e sul cielo si vedevano bagliori di battaglia. Era il<br />
fronte di Anzio.<br />
Lungo il percorso si intravedevano, spesso, nel buio, pattuglie e sentinelle<br />
tedesche. Tutto l’insieme era qualcosa di tetro e di fantastico: pareva di assistere<br />
al succedersi di scene sullo schermo cinematografico.<br />
Alla stazione Prenestina<br />
Giungemmo a Roma alla stazione Prenestina, verso la mezzanotte, dopo aver<br />
girovagato a destra e a sinistra per vie sconosciute, senza che qualcuno potesse<br />
indicarci la meta. Scendemmo e, nel buio, ci fu indicato il luogo di sosta.<br />
No, mai come in quella notte pensai all’orrore del buio infernale: meditazioni<br />
su meditazioni. La stazione, costruita in stile moderno, era tutta a vetri.<br />
Ogni tanto si accendeva una candela, avendo la massima cura di nasconderne<br />
il più possibile il fioco bagliore, ma il rumore di un motore c’induceva a<br />
spegnerla subito.<br />
Il freddo, il disagio (non vi erano neppure sufficienti posti per sedere), il passaggio<br />
degli aerei, il fascio luminoso di un riflettore, tutto ci teneva in panico.<br />
La preghiera però fu il grande conforto. Ogni tanto si udiva il pianto di<br />
un bambino, il colpo di tosse di qualche vecchio o un lamento di chi soffriva<br />
per il disagio. Tutti però si rimettevano alla volontà di Dio.<br />
“Madre, domani, per carità, veda di farci togliere da qui”.<br />
“State tranquillissime, che domattina subito mi metterò in moto”. Infatti,<br />
appena giorno, accompagnata da un’internata, mi recai in città e, dopo<br />
ascoltata la messa, implorando l’aiuto del Cielo, andammo alla Legazione<br />
Svizzera per gli interessi Britannici e, per la Bontà del Signore, trovammo<br />
tutti pieni di comprensione e disposti a darci il più largo aiuto.<br />
Confortate e riconoscentissime a Dio, portammo la notizia che fu accolta con<br />
infinita gioia. La Provvidenza Divina ci offrì, nella stessa mattinata, un altro<br />
tratto della sua Bontà.<br />
Ero preoccupata perché non c’era la possibilità di distribuire qualche cosa di<br />
caldo da mangiare, quando un signore si presentò e mi disse che era il padrone<br />
della trattoria annessa alla stazione (nessuno s’era accorto che lì vicino<br />
c’era la trattoria, perché era situata in un punto fuori di vista). Il bravo uomo<br />
ci disse che avrebbe potuto fornire un piatto di minestra o d’altro e che si<br />
rimetteva poi a me per quelli che non avessero potuto pagare; avrebbe fatto<br />
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volentieri un atto di carità. In tal modo potettero rifocillarsi tutti quelli che ne<br />
avevano bisogno.<br />
A Valle Giulia<br />
Nel pomeriggio, due torpedoni ci accompagnarono all’Accademia Britannica<br />
a Valle Giulia, dove i profughi ebbero latte ed altri aiuti. Furono ospitati in<br />
una grande sala dell’Accademia stessa, in attesa che giungessero gli altri da<br />
Alatri. Giunsero la notte del 27, ma non tutti per mancanza di mezzi di trasporto,<br />
e cosi alcune famiglie rimasero divise. Erano accompagnati dal cappellano<br />
e dalla suora infermiera.<br />
Dolori sopra dolori! E purtroppo in seguito il disagio sarebbe cresciuto, per<br />
la mancanza di indumenti, di masserizie e di utensili, rimasti ad Alatri. La partenza<br />
per Carpi fu fissata per il 28 a sera alle ore 18,30 dalla Stazione Termini.<br />
La Stazione Termini negli anni ’40<br />
Il viaggio si sarebbe dovuto effettuare sempre nelle ore notturne, per timore<br />
dei bombardamenti aerei; ma una inqualificabile sequela di incidenti protrasse<br />
la partenza fin verso le ore 6 del mattino seguente. Ci furono ritardi nell’arrivo<br />
di persone; il camion con i viveri non arrivava e poi sapemmo che<br />
era caduto in un fosso. Il convoglio ferroviario era composto di quarantadue<br />
96
vagoni, tutti carri bestiame, meno tre. Noi suore eravamo in coda al convoglio,<br />
nel vagone del pronto soccorso, insieme al capitano su cui pesava la<br />
maggiore responsabilità, al capitano medico, ad un maresciallo ed ai loro<br />
attendenti. Quando il treno si mosse non ci sembrò vero. Pregammo e con noi<br />
pregarono tutti.<br />
Incidenti<br />
Un primo incidente si ebbe dopo poco più di un’ora di viaggio. Una scossa<br />
violentissima del treno ci fece pensare a qualche causa bellica. Ci furono sei<br />
feriti leggeri. L’incidente era stato causato dall’imperizia del macchinista.<br />
Man mano che il treno avanzava, ci si presentava davanti allo sguardo smarrito<br />
il triste spettacolo della terribile azione dei bombardamenti. Circa dieci<br />
minuti dopo che eravamo transitati per Orte, questa stazione, che ci era già<br />
apparsa come un terrorizzante ammasso di rovine, fu di nuovo bombardata.<br />
Più oltre, durante una sosta del treno, il rumore di un apparecchio ci mette<br />
sull’attenti: eccolo infatti. Il panico invade la massa, moltissimi si precipitano<br />
a terra e si mettono sotto i vagoni; ma, con l’aiuto del Cielo, l’apparecchio<br />
prosegue per la sua via. Altra grazia della Divina Provvidenza l’avemmo<br />
a Chiusi. Il rumore di apparecchi volteggianti sul nostro treno ci tenne in<br />
agitazione. “Madre, venga con noi”, supplicavano dal vagone comunicante,<br />
ove erano radunati i bambini e le donne bisognose di riguardi. La vicinanza<br />
della suora che pregava ad alta voce, dava loro il più gran conforto. Ed anche<br />
quella volta il Signore allontanò il pericolo.<br />
Da Firenze a Carpi<br />
Dopo numerose soste in mezzo alla campagna, nelle stazioni o poco fuori di<br />
esse, (l’ufficiale di comando procurava che le fermate fossero fatte il più possibile<br />
fuori stazione), nel cuor della notte giungemmo a Firenze ed ivi rimanemmo<br />
fino alla sera seguente. Là la Croce Rossa ci fu larga di conforto. Gli internati<br />
approfittarono di quelle ore di sosta per fare acquisti e visitare la città.<br />
Dopo la quarta notte di viaggio, il 2 marzo, giungemmo a Carpi. Provammo<br />
un senso di sollievo, ignorando le disillusioni e le difficoltà che ci attendevano.<br />
Mentre si smontava l’enorme bagaglio e si attendevano i torpedoni che ci<br />
avrebbero trasportati a Fossoli, la località in cui era situato il Campo, a 6<br />
Km. da Carpi, noi suore, insieme al cappellano, entrammo in città per far<br />
visita al Vescovo. Fummo accolte benignamente e ristorate.<br />
Per i primi giorni ci avrebbe fatte ospitare dalle Suore Orsoline addette al<br />
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Seminario. Ci accolse la più squisita ospitalità. Ma quella ospitalità che<br />
avrebbe dovuto essere di pochi giorni si protrasse dal 2 al 24 marzo. In tutte<br />
le suore, ma soprattutto nella Madre Superiora Suor Maria Silvia, trovammo<br />
la nostra madre affettuosissima, premurosa, preveniente. Il ricordo di quel<br />
soggiorno sarà indelebile nel nostro cuore, come imperituro sarà il ricordo<br />
della edificazione ricevuta e del bene riportato.<br />
La mattina ci recammo al campo e la delusione fu tanto più grave in quanto<br />
ci avevano assicurato che era bellissimo. Il campo era stato assai devastato<br />
dopo il famoso 8 di settembre. Quelle casette grigie ad un piano, in mezzo ad<br />
un terreno anch’esso grigio, spoglio di alberi, quel doppio reticolato che<br />
girava tutto intorno al campo e, nell’interno, circondava ogni reparto, mi<br />
strinsero il cuore.<br />
Il campo di Fossoli<br />
Più grande fu lo stringimento quando il Direttore del Campo ci disse che né<br />
il Cappellano, né noi Suore potevamo restare là: non c’era abitazione e non<br />
potevano mantenerci. Ci accorgemmo di essere giudicati come sospetti.<br />
Certamente pareva loro impossibile che disinteressatamente, solo per spirito<br />
di carità, ci si potesse relegare in quel luogo. Che amarezza! Nel pomeriggio<br />
tornammo ancora là, e fu uno schianto, la sera, nel doverci allontanare da<br />
quelle carissime povere creature già così duramente provate.<br />
Cercammo di nascondere loro la realtà (un po’ l’avevano subodorata); ma ai<br />
loro affettuosi saluti al di là del reticolato. alla vista di quegli occhi che pare-<br />
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vano volersi accertare della dolorosa verità, non potemmo trattenere le lagrime.<br />
Promettemmo di tornare la mattina dopo e in cuor nostro facemmo promessa<br />
di non lasciar nulla di intentato perché i nostri amatissimi internati<br />
avessero l’assistenza delle suore. Quale contrasto fra l’accoglienza al campo<br />
Le Fraschette e l’amara delusione di quel giorno! Laggiù ad Alatri c’era stata<br />
data la massima fiducia, la più devota deferenza: eravamo state perfino interpellate<br />
e richieste di aiuto in varie circostanze.<br />
Dolorosa conferma<br />
Il giorno dopo ritornammo al campo. I nostri cari Tripolini, appena ci scorsero,<br />
corsero al reticolato, e che festa!Pareva che rivedessero le persone più<br />
care rimaste lontane chissà da quanto tempo.<br />
“Rimarrete con noi, vero? Non ci abbandonerete”. Il cuore ci si faceva piccolo<br />
piccolo. “ Ma si, ma si dicevamo nulla risparmieremo per voi”. Che vita<br />
di sacrificio attendeva quei poverini colà!<br />
Cercammo del Direttore del campo per vedere di risolvere la questione che ci<br />
stava sommamente a cuore. Alle sue difficoltà rispondemmo che ci saremmo<br />
contentate di una sola stanzetta e che al mantenimento e alle suppellettili<br />
avremmo pensato noi.<br />
La risposta definitiva fu che ci sarebbe stato concesso di prestare la nostra<br />
opera per un’ora o un’ora e mezza al giorno, ma che dovevamo abitare fuori<br />
del campo. Era già qualche cosa. Liete ci mettemmo in moto e finalmente<br />
potemmo trovare una cameretta nella campagna circostante, alla distanza di<br />
due chilometri circa.<br />
Per ottenere una maggiore libertà di azione dentro il campo, ci rivolgemmo<br />
al Vescovo di Carpi e a quello di Modena e ci spingemmo fino a Milano per<br />
parlare con la Legazione Svizzera.<br />
Vento e neve<br />
Il 5 marzo, essendo Domenica, il Cappellano, la cui sorte non era diversa<br />
dalla nostra, ottenne il permesso di andare a celebrare la Messa al campo,<br />
tra i suoi. Egli abitava presso il parroco di Fossoli, a circa due chilometri dal<br />
campo. Avemmo noi l’incarico di portare l’altare portatile e quello che occorreva<br />
per la S. Messa.<br />
Il vento quella mattina minacciava, e l’aria era rigida; ad un tratto cominciò<br />
a nevicare. Salimmo sul camioncino scoperto che doveva trasportarci, ma il<br />
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vento non ci permetteva di tenere l’ombrello aperto; era necessario ripararci<br />
dal freddo. La buona superiora ci dette due coperte che mettemmo in testa,<br />
e in quell’arnese attraversammo le vie di Carpi. Fu proprio il caso di dire:<br />
Questa é perfetta letizia!<br />
Fu un vero problema per il Cappellano trovare un luogo dove celebrare.<br />
In un posto mancavano le finestre, in un altro non era possibile per altre<br />
ragioni. Finalmente si decise per un dormitorio; parecchi si comunicarono e<br />
quella Messa fu assai commovente. Il Cappellano chiese al Direttore il permesso<br />
di andare ogni giorno a celebrare la Messa tra gli internati, ma non gli<br />
fu concesso e così i poveri Tripolini rimasero senza quel conforto. Se ne rammaricarono<br />
soprattutto gli impareggiabili giovani di Azione Cattolica.<br />
Mons. Riberi non si vedeva e la nostra permanenza a Carpi pareva che dovesse<br />
necessariamente protrarsi. Questa soluzione era piena di difficoltà per noi<br />
che avevamo lasciato tutto o quasi tutto ad Alatri.<br />
Dolorosa decisione<br />
Intanto il Campo passò sotto la direzione tedesca e fu dichiarato che le suore<br />
sarebbero state accettate nel campo, al patto però di essere considerate come<br />
vere internate. Ci saremmo adattate anche a questo, ma tante sarebbero state<br />
le difficoltà e i pericoli: non ultimo quello di essere trasportate in Germania.<br />
Vi erano inoltre difficoltà di ordine morale. Tutto considerato, fummo consigliate<br />
a deciderci di tornare a Roma. Questa decisione, preceduta da intense<br />
preghiere, ci sembrò conforme alla volontà di Dio. Soprattutto la voce del<br />
Cappellano ci sembrò quella di Dio. La partenza fu definitivamente decisa.<br />
Il Cappellano, per conto suo, rimaneva nella dolce speranza di poter restare.<br />
I giorni che sostammo a Carpi furono tutti spesi nel fare acquisti per i<br />
Tripolini: da mattina a sera fu un continuo girare. Per lo stesso scopo, ci<br />
recammo anche ripetutamente a Modena, liete di poter sollevare un poco quei<br />
nostri cari. Solo una volta però ci fu concesso di entrare nel campo per la<br />
distribuzione. Un’altra volta ci fu concesso di farlo solo attraverso il reticolato;<br />
e da allora non li vedemmo più.<br />
Tornammo tuttavia per risalutarli definitivamente, nella dolcissima speranza<br />
di trovare un pò più di bontà in coloro che erano addetti al comando. Ma ci<br />
eravamo illuse. Ci fu fatto rispondere da uno dei funzionari, e non so se era<br />
vero, che quel giorno, per alcune circostanze, non era possibile entrare. Che<br />
amarezza! Il giorno dopo saremmo dovute ripartire. Intanto lontano, dalla<br />
parte di Verona si udiva il rumore di un lungo bombardamento.<br />
100
Col cuore molto addolorato riprendemmo la via del ritorno. Il pensiero però<br />
era sempre rivolto ai nostri Tripolini, e immaginavamo il loro dolore, non<br />
solo per non averci più tra loro, ma anche per non averci potuto salutare. Ci<br />
eravamo congedate con una lettera affidata al Padre Cappellano: molti occhi<br />
avranno versato lagrime.<br />
Prima di partire, ci eravamo recate dal Vescovo di Carpi a pregarlo che si<br />
occupasse, se le cose in seguito avessero presa altra piega, di trovare altre<br />
suore per l’assistenza dei nostri carissimi internati.<br />
Appena arrivate a Roma, saremmo andate da mons. Riberi, affinché influisse<br />
con i suoi uffici nella buona riuscita di ciò che ci stava cosi a cuore.<br />
Tornate nella casa delle Suore Orsoline, quale gradita visita ci attendeva!<br />
Sul viso della Superiora, che venne ad aprirci, c’era qualcosa di molto gaio.<br />
Appena entrate, ci vediamo correre incontro la carissima Madre Maria<br />
Grazia e suor Pierina, le quali, non curandosi della difficoltà del viaggio,<br />
erano venute da Gragnano Trebbiense per vederci. Che visita gradita! Il giorno<br />
dopo, 22 marzo, terminammo i preparativi per la partenza e il 23, con il<br />
primo treno, partimmo per Modena.<br />
Speranze e delusioni<br />
Un vero problema ci si presentava dinanzi; come tornare a Roma?<br />
Le ferrovie per il mezzogiorno erano pressoché tutte interrotte, almeno da<br />
Firenze in giù. Già nelle nostre visite a Modena ci eravamo date da fare per<br />
trovare qualcuno dei camions che da Roma venivano lassù per caricare viveri.<br />
Ci rivolgemmo anche alla Questura di Carpi, di Modena e di Milano, ma<br />
non ottenemmo nulla. A Modena tentammo nuovamente, ma invano. Allora<br />
proseguimmo per Piacenza, e la Questura di là ci disse di provare a Milano,<br />
e, con prospettiva di miglior esito, a Brescia.<br />
Giacché ci trovavamo tanto vicine a Gragnano, accontentammo la buona<br />
Madre Maria Grazia e andammo là. Di quante attenzioni, di quante cure non<br />
fummo fatte oggetto! Madre e figlie avrebbero voluto trattenerci per qualche<br />
tempo allo scopo di farci riposare e rimettere alquanto. Ma a noi premeva<br />
fare ritorno a Roma e la dilazione poteva farci perdere qualche buona occasione<br />
per il ritorno.<br />
Ci trattenemmo due giorni, che furono veramente benefici.Non so che cosa di<br />
più avrebbero potuto farci o darci. Speravamo di vedere anche le suore di<br />
Vigolo Marchese. Noi però non avevamo tempo di andarci, e le attendemmo<br />
invano.<br />
101
Col cuore pieno di riconoscenza lasciammo le nostre carissime consorelle e<br />
proseguimmo il nostro viaggio.<br />
Piacenza, Milano, Brescia<br />
Cariche di diciotto bagagli, sempre però assistite dalla Provvidenza che ci<br />
faceva imbattere in persone caritatevoli pronte ad aiutarci, prendemmo la via<br />
di Milano. La buona Madre Maria Grazia ci aveva accompagnate fino a<br />
Piacenza. E durante il viaggio un signore si interessò tanto di noi, e, giunti a<br />
Milano, ci fece da guida per alcune ore: certamente, senza di lui, non saremmo<br />
potute andare, in breve tempo, nei posti più disparati. Sebbene trovassimo<br />
persone disposte ad aiutarci, non fu possibile trovare il mezzo per il ritorno,<br />
ed anche lì fummo consigliate a proseguire per Brescia, ove spesso giungevano<br />
da Roma torpedoni per conto del Ministero.<br />
Di notte giungemmo lassù. Scendemmo nel buio, nel buio cercammo di sistemare<br />
i bagagli, nel buio tentammo di orientarci verso la città: erano circa le<br />
ventuno. Anche allora la Divina Provvidenza venne in nostro aiuto.<br />
Una voce maschile ci domandò: “Vogliono che le accompagni?”<br />
Sebbene un po’ diffidenti, dicemmo di sì. “ Che? vanno dalle Orsoline?”<br />
Proprio lì eravamo dirette e, strada facendo, il nostro buon angelo ci fece<br />
osservare che le Orsoline erano molto distanti e disse che, se avessimo voluto,<br />
ci avrebbe accompagnate all’Ufficio per la Protezione della Giovane.<br />
Acconsentimmo. Anche là fummo caritatevolmente ospitate.<br />
Saremmo volute andare subito all’albergo Brescia, ove avremmo potuto<br />
informarci circa i mezzi in partenza per Roma; ma era troppo tardi. Sentivo<br />
peraltro che il ritardo anche di un’ora poteva essere determinante.<br />
Telefonai. La risposta fu questa: “Proprio domattina c’è partenza per<br />
Roma”. Non è da dire la nostra commossa riconoscenza a Dio. Finalmente<br />
spuntava la sospirata alba!<br />
Il mattino seguente, assai presto, ci recammo all’albergo e, dopo altre peregrinazioni<br />
e difficoltà, verso le undici, riuscimmo a partire; ma, delusione!<br />
quel torpedone ci avrebbe portate solo fino a Riccione, dove avremmo dovuto<br />
attendere altra occasione. Per quanto tempo? Incognita.<br />
Quattro giorni di sosta<br />
Strada facendo, eravamo un po’ preoccupate per l’ora in cui saremmo arrivate<br />
e ci chiedevamo da chi saremmo potute andare. Speravamo, peraltro, che<br />
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vi fosse qualche convento che, come sempre, ci accogliesse.<br />
Giunte a Parma, salì sull’autobus una signora, la quale si sedé accanto<br />
all’infermiera: una signora mandata dalla Provvidenza.<br />
Saputo da dove venivamo e dove andavamo, prese molto interesse di noi e ci<br />
consigliò di non andare a Riccione, ma di fermarci ad Imola, dove lei stessa<br />
andava e dove si sarebbe adoperata perché trovassimo un conveniente alloggio<br />
o presso Suore o dal Parroco; in caso contrario, ci avrebbe ospitate in<br />
casa di suo padre. Ma v’è di più.<br />
Siccome conosceva l’autista, si fece promettere che, non appena avesse<br />
disbrigate le sue incombenze, in quella località, per ritornare a Roma passasse<br />
di là, e, sebbene non potesse caricare che merce, prendesse anche noi due.<br />
Il passaggio poteva avvenire anche dopo un giorno; ma non era molto probabile<br />
che ciò avvenisse. Pazienza! Non fu davvero quella signora un angelo<br />
mandatoci dal Cielo?<br />
Giungemmo ad Imola verso le 20. Il torpedone fu fermato davanti all’Istituto<br />
delle Suore Ancelle del Sacro Cuore, nel quale la signora era stata educata.<br />
Ci affrettammo a mostrare una lettera di presentazione della Curia di Carpi,<br />
ed anche lì la Carità di nostro Signore ci accolse, e molto fraternamente. Il<br />
ricordo del breve soggiorno a Imola è tra i più cari. Là trovammo persone che<br />
ci furono generose di attenzioni ed anche di offerte. Entrate in una fabbrica<br />
di ceramiche per comperare piatti ed altro, il padrone non volle essere pagato;<br />
e così altri per altri generi.<br />
Ci sarà sempre gradito il ricordo delle Suore della Misericordia che prestavano<br />
la loro opera nel Manicomio. Saputo dello scopo del nostro viaggio e che<br />
quasi tutta la nostra roba era rimasta ad Alatri, ci offersero della biancheria<br />
e, con pensiero gentilissimo, ci dettero uova, biscotti e vino per il viaggio.<br />
Altre ospitalità fraterne<br />
Il ricordo delle ottime Suore Orsoline di Carpi e delle Adoratrici del Sacro<br />
Cuore di Imola mi richiama alla mente le molte altre suore che, secondo i<br />
bisogni, furono con noi generose, buone, piene di carità. Nella sosta a<br />
Firenze, prima della quarta notte di viaggio, fummo accolte dalle Suore<br />
Bianche e nella loro casa prendemmo un po’di riposo. A Modena, durante un<br />
allarme, trovammo cortesissima ospitalità dalle Suore della B. Thouret che ci<br />
fecero rifocillare.<br />
Nel nostro primo viaggio a Milano, dopo giri su giri per trovare alloggio, lo<br />
trovammo a braccia aperte dalle Suore dei Poveri. La loro casa era stata col-<br />
103
pita dai bombardamenti; non c’era posto; ma un posticino per noi seppero<br />
trovarlo; e con quanto cuore si adoperarono perché stessimo meno scomode<br />
e ben calde! Quanta delicatezza notammo nella cena e nella colazione che ci<br />
offrirono. Pensarono anche a darci qualcosa da mangiare durante il viaggio.<br />
Fummo veramente commosse e la superiora Madre Maria dell’Assunzione<br />
non potremo mai dimenticarla.<br />
Per due volte, a Piacenza, avemmo bisogno di ricorrere alle suore. Anche lì<br />
le Orsoline e le Basiliane ci trattarono con la più amabile fraternità. Come è<br />
bella e confortante la carità di Cristo, e quanto bene fece al nostro cuore con<br />
le sue delicatezze e generosità!<br />
Da Imola a Riccione<br />
Il ritorno del torpedone si fece attendere, ma non avevamo dubbi sul suo passaggio,<br />
perché la buona signora, da Parma, ebbe pensiero di rassicurarci che<br />
immancabilmente sarebbe passato a prenderci.<br />
Infatti il quarto giorno, verso sera, prendemmo la via di Riccione.<br />
Giungemmo a notte inoltrata. Che fare? Rimanere in macchina fino alle<br />
prime ore del mattino quando avremmo proseguito per Roma, oppure andare<br />
all’albergo? Fummo consigliate di cercare un albergo.<br />
Quanta gente! Chi era in procinto di partire per l’Alta Italia, chi per Roma,<br />
chi arrivava, chi partiva. Donne, uomini, bambini: era un parlare sommesso,<br />
interrotto tratto tratto dalla voce di un bambino e dal pianto di un altro.<br />
In complesso, tutta gente stanca, preoccupata, in orecchio. per avvertire il<br />
passaggio degli aerei. Dopo poco decidemmo di tornare al nostro torpedone,<br />
perché là c’erano tutti i nostri bagagli, e ci avevano detto che ogni notte<br />
si rubava.<br />
Nella quasi completa oscurità, ritrovammo la nostra macchina e ci chiudemmo<br />
dentro, non per dormire, ma per stare alla vedetta. Dopo un po’ di tempo<br />
sentimmo bussare ai vetri. Era un agente di pubblica sicurezza, il quale ci<br />
avvertiva di non impressionarci se, nel corso della notte, avessimo avuto<br />
qualche visita.<br />
L’autista di un altro torpedone ci chiese per favore di stare attente che non gli<br />
rubassero le gomme di riserva: lui era tanto stanco ed avrebbe desiderato<br />
riposarsi un pochino. E così il lavoro di... vedetta fu duplicato. È proprio vero<br />
che la carità non è di solo pane.<br />
Fu una nottata veramente laboriosa; ogni movimento, anche il più lieve, ci<br />
metteva ognor più sull’attenti. Tratto tratto il rumore di una macchina e due<br />
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luci ci annunziavano l’arrivo di torpedoni provenienti da Roma o diretti laggiù;<br />
erano quelli che viaggiavano per conto del Ministero. Attraverso la fioca<br />
luce si vedevano uomini, donne, bambini che scendevano per andare all’albergo.<br />
C’era chi rimaneva in macchina, attendendo l’ora di proseguire.<br />
Quanti disagi! Quante lagrime in quei cuori! E come incerto l’avvenire!<br />
Si fuggiva da un pericolo per andare incontro chissà a quanti altri.<br />
Quello che più ci disturbò fino ad una certa ora della notte, fu il passaggio,<br />
sopra il nostro capo, di apparecchi. Quella lunga teoria di torpedoni poteva<br />
essere individuata. Si diceva che poche ore prima era stata bombardata Fano.<br />
La preghiera fu il nostro conforto. Molto vicino si udiva il rumore del mare.<br />
Come Dio volle, cominciò ad albeggiare: era la Domenica delle Palme.<br />
Un anno prima chi ci avrebbe detto che in quel giorno solenne ci saremmo<br />
trovate là? In una chiesetta vicina facemmo la S. Comunione ed ascoltammo<br />
la S. Messa.<br />
Verso Roma<br />
Verso le ore otto risalimmo in macchina. Facemmo le nostre consuete preghiere<br />
e, anche per espresso desiderio dell’agente di pubblica sicurezza che<br />
accompagnava la macchina, ci mettemmo in vedetta. Il cielo era terso: cosa<br />
poco gradita a chi doveva intraprendere un così lungo viaggio in piena guerra.<br />
Pochi giorni innanzi, sulla stessa strada, un camion era stato mitragliato<br />
e vi erano stati morti e feriti. Pensai che forse la stessa sorte poteva capitare<br />
a noi, se non ci fossimo fermate ad Imola.<br />
Da Brescia a Viterbo attraversammo tante città e paesi. Il viaggio fu molto<br />
interessante per le bellezze della natura, ma fu soprattutto impressionante per<br />
gli orrori della guerra. Non solo i centri più grandi, ma paesi, villaggi, case<br />
disperse tra le gole dei monti, stazioni, ponti, strade, avevano avuto il battesimo<br />
di fuoco.<br />
Ed ora? Ora tante illustri città, tantissimi ponti, strade, boschi devastati e<br />
incendiati, tante chiese, monumenti di arte e di cultura, ospedali, asili di<br />
beneficenza, tesori artistici creati dal genio degli avi formano, con i loro<br />
ruderi, un vasto cimitero il quale sembra che dica: Qui giace l’Italia gloriosa<br />
dei secoli passati.<br />
Dappertutto si vedono macerie sotto cui sono sepolti i nostri morti, macerie<br />
su cui piangeranno, forse, intere generazioni. Ogni pietra infranta conserva<br />
la storia di una famiglia che costruì con tanta fatica e tanto amore il proprio<br />
nido e che, ritornando domani a ricercare il suo focolare, sentirà il cuore<br />
105
stretto da una terribile morsa e non potrà soffocare torrenti di lagrime.<br />
Ma che cosa sono tutte queste catastrofi materiali a confronto di quelle<br />
morali?<br />
Purtroppo, sotto tante macerie e tanto grigiore di cenere, sono rimaste soffocate,<br />
o anche magari solo nascoste, come faville, tante e tante anime.<br />
Oh, le anime! È ben desolante lo spettacolo dello scempio morale e la constatazione<br />
che un infinito numero di esse non avverte più i colpi che la mano<br />
divina infligge per il risanamento spirituale dei singoli e delle masse. Quanto<br />
da lagrimare; ma, soprattutto, quanto da rifare!<br />
Povera, bella, cara Italia nostra, così varia e così operosa, come oggi sei sfigurata!<br />
Oh, tu non fossi stata mai tanto bella, perché i nostri occhi non avessero<br />
a mirarti cosi!<br />
Passando presso Foligno, pregammo l’autista di farci entrare in città per<br />
vedere se le nostre suore fossero ancora li, e per dare loro un salutino a...<br />
vapore. Ci accontentò. Le persiane erano tutte chiuse. Bussammo: nessuno;<br />
bussammo ancora: ci fu aperto. Oh, la sorpresa della portinaia Suor<br />
Romualda! Le suore erano a tavola.<br />
Intanto un aereo volava sulla città. La mattina era stata bombardata la stazione<br />
di Spello. L’autista sollecitava, sollecitava il ritorno in macchina, per<br />
andare in aperta campagna. Il saluto fu proprio a... vapore. L’ottima Madre<br />
Maria Teresa e le altre suore chissà che cosa non avrebbero voluto fare per<br />
noi, che cosa non ci avrebbero voluto dare? In quel poco tempo ci mostrarono<br />
tutta la loro affettuosa premura. Risalimmo in macchina e... via.<br />
La distruzione di Terni e delle sue tanto note acciaierie, e la via Flaminia specialmente<br />
sul tratto Viterbo Roma, con i numerosi relitti di autotrasporti colpiti,<br />
ci strinsero il cuore e lo fecero lacrimare. Veniva da pensare a chi non<br />
c’era più, e specialmente a chi era rimasto a piangere. Il viaggio durava da<br />
quasi nove ore. Roma era vicina. Quanto dovevamo essere grate al Signore<br />
per il ritorno e per l’incolumità!<br />
Finalmente fummo nei sobborghi. Alla casa Provinciale nessuno ci aspettava.<br />
Da un mese non avevamo più notizie reciproche. Alle 17,30 del 2 aprile raggiungemmo<br />
la meta: il “ Casaletto”.<br />
Proprio col torpedone entrammo nel cortile tra la casa e l’orfanotrofio. A1<br />
rumore della macchina ed alle esclamazioni delle orfanelle che si trovavano<br />
lì fuori, accorsero alcune suore, altre si affacciarono alla finestra. Se a loro<br />
pareva impossibile di rivederci, a noi pareva addirittura un sogno di ritrovarci<br />
alla nostra oasi, dopo tante peripezie ed incertezze.<br />
Poco dopo venne l’ottima e carissima Madre Provinciale che ci aperse le<br />
106
accia con commozione. Aveva tanto trepidato per noi dal luglio del ‘43 al<br />
marzo del ‘44. Il piccolo drappello di Fraschette era stato il suo continuo<br />
assillo.<br />
Il giorno dopo ci recammo subito alla Caserma La Marmora, ove erano ricoverati<br />
i Tripolini che avevamo lasciati ad Alatri. Sono da immaginarsi la<br />
festa, le domande, specialmente di quelli rimasti divisi dai loro cari. Ci<br />
recammo anche presso la Legazione Svizzera e da mons. Riberi, per informarli<br />
della triste condizione in cui si trovavano quelli di Fossoli e per pregarli di<br />
provvedere.<br />
Ci fu promesso il più grande interessamento.<br />
Da Roma ad Alatri<br />
Secondo il desiderio della Madre Provinciale, saremmo dovute rimanere a<br />
Roma sette o otto giorni per riposarci un pò; ma ci si presentò una buona<br />
occasione per Alatri, dove dovevamo recarci, e dopo tre giorni ripartimmo.<br />
Altre peripezie ci attendevano: minaccia di mitragliamento, strade ostruite,<br />
lunghe soste per dar luogo al passaggio di autocolonne ecc.<br />
Giungemmo alle 23 circa sulla piazza di Alatri: non un’anima in giro.<br />
Anche lì la Provvidenza venne in nostro aiuto.<br />
Il commissario di Pubblica Sicurezza ed i suoi agenti, che erano stati tutti al<br />
servizio del campo Le Fraschette, ci usarono tante cortesie e da uno di loro<br />
fummo accompagnate alla casa delle suore del Monte Calvario per chiedere<br />
ospitalità.<br />
Bussa, bussa, ma nessuno risponde. Che fare? Ovunque è buio pesto. Ci dirigemmo<br />
altrove, ma tutti dormivano. Ci saremmo adattate a dormire nell’autobus,<br />
ma l’agente volle assolutamente ritentare dalle suore del Monte<br />
Calvario. Si bussò ancora. Ci fu aperto e, come sempre, fummo accolte con<br />
squisita carità. Noi però eravamo mortificate oltre ogni dire. La mattina dopo<br />
facemmo una corsa nei pressi del campo per salutare alcuni di quei contadini<br />
che erano stati tanto buoni con noi. Quale accoglienza! Una di quelle care<br />
famiglie volle prepararci il desinare, e con quanto amore!<br />
Alla mèta<br />
Tornate ad Alatri per sistemare quello che avevamo lasciato al momento della<br />
partenza per Carpi, trovammo un mezzo di trasporto per Veroli. Che fare?<br />
Forse in seguito sarebbe stato impossibile trovarne un altro. Sebbene a malin-<br />
107
cuore, mi accomiatai dalla mia consorella che sarebbe tornata a Roma,<br />
lasciai lì tutta la roba e partii per la mia sede.<br />
È più facile immaginare che descrivere la sorpresa prodotta, laccoglienza<br />
ricevuta al mio arrivo. Mi si immaginava ancora in Alta Italia, ed ecco che<br />
all’improvviso mi vedevano lì!<br />
Le prime suore che incontrai richiamarono le altre con le loro esclamazioni:<br />
qualcuna delle lontane credette che si trattasse dallarme. Dopo esserci tutte<br />
riunite, sentimmo il bisogno, anzi il dovere, di recarci in cappella per recitare<br />
un devoto e caldo Te Deum, e per ringraziare commosse il nostro grande<br />
Padre S. Giuseppe. E in vero, in tutta la nostra opera al campo, si dovette<br />
sempre riscontrare il grande, il paterno aiuto di Dio.<br />
Come non riconoscere la mano di Dio che ci assisteva nei momenti di pericolo<br />
più grave?<br />
Quando fu mitragliato il campo Le Fraschette, due proiettili, uno incendiario<br />
ed uno esplosivo, attraversarono le pareti della nostra baracca, ma rimasero<br />
inesplosi. Il giorno del bombardamento la suora infermiera prestò i soccorsi<br />
ai feriti proprio con la mitraglia che le passava sul capo.<br />
Quando i poveri internati, anche per lungo tempo, non ebbero distribuzione<br />
alcuna di viveri, e dovettero fare sacrifici immensi per procurarsi qualche<br />
cosa da mangiare, noi non soffrimmo mai la fame; anzi spesso avevamo in<br />
abbondanza. Ora giungeva una provvidenza, ora un’altra.<br />
E non fu un vero miracolo la resistenza fisica, nonostante il caldo e il freddo<br />
del campo, il lavoro diuturno e pesante, il correre continuo dalla casa alle<br />
baracche, dalle baracche all’infermeria, soprattutto per la suora infermiera,<br />
la salute della quale aveva dato tanto pensiero alla reverenda Madre<br />
Provinciale nell’affidarle quel compito?<br />
Quante notti insonni non passò, perché chiamata presso un ammalato del<br />
campo o anche della campagna? Fin due volte nella stessa notte fu chiamata.(Il<br />
medico stava di residenza ad Alatri e con il coprifuoco non era facile<br />
andarlo a chiamare).<br />
Ma Dio l’aiutò sempre, la protesse sempre, ed anche in interventi difficili,<br />
quando sarebbe stata necessaria l’opera del medico, ebbe un aiuto specialissimo<br />
dal Cielo. E che dire della continua protezione, non solo nei viaggi di<br />
andata e di ritorno, ma nelle continue peregrinazioni durante il soggiorno a<br />
Carpi? Avevamo continuo sul labbro un “Deo Gratias” o un “Agimus tibi<br />
gratias”.<br />
Ed il ricordo di tanta protezione divina servirà ad aver sempre più fiducia nel<br />
Signore che mai ci abbandonerà; e nel nostro amatissimo Padre S. Giuseppe,<br />
a cui è doveroso promettere una più fervente vita religiosa”.<br />
108
Conclusione<br />
Il diario di Madre Mercedes termina qui. Nel proporne la lettura integrale,<br />
don Giuseppe Capone nel suo libro “La Provvida Mano” aveva scritto:<br />
“Certi esempi hanno una voce insopprimibile che il tempo non affievolisce,<br />
e che nemmeno la storia del nostro dopoguerra riesce a seppellire sotto il<br />
cumulo dei suoi troppi errori”.<br />
109
PARTE QUARTA<br />
CONVEGNO DI STUDI 2002<br />
“CAMPI DI CONCENTRAMENTO FASCISTI<br />
TRA OBLIO ED INDIFFERENZA. IL CASO DEL CAMPO<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI”<br />
Alatri – Sala della Biblioteca Comunale - 24 aprile 2002<br />
L’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone, con il patrocinio del Centro<br />
per i Luoghi della Memoria - Fondazione Ferramonti di Cosenza, ha organizzato<br />
un Convegno di studi sul tema: “CAMPI DI CONCENTRAMENTO<br />
110
FASCISTI TRA OBLIO ED INDIFFERENZA. IL CASO DEL CAMPO <strong>LE</strong><br />
<strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI.”<br />
Le Fraschette, località situata a 4 km. da Alatri, ha ospitato negli anni dal<br />
1942 al 1944 un campo di concentramento in cui furono internati fino a 5000<br />
persone. Si è parlato di memoria scomoda. Un fatto è certo: tutti ad Alatri<br />
ricordano il campo profughi Le Fraschette, attivo negli anni successivi alla<br />
fine del secondo conflitto mondiale, pochi conoscono invece la realtà di<br />
campo di concentramento emersa e documentata chiaramente nel corso del<br />
convegno. Come ha sottolineato il prof. Carlo Spartaco Capogreco docente<br />
dell’Università della Calabria nel suo intervento al convegno, questa, organizzata<br />
dall’A.P.C. è la prima iniziativa realizzata in 58 anni per ricordare e<br />
documentare quella realtà.<br />
La documentazione d’archivio presentata al convegno, frutto di una paziente<br />
ed esauriente ricerca condotta negli Archivi di Stato di Frosinone e Roma e<br />
nell’Archivio centrale dello Stato da Lino Rossi, compianto presidente provinciale<br />
dell’A.P.C., ha delineato la storia del campo.<br />
L’A.P.C. ha chiesto il recupero di una baracca del campo Le Fraschette ove<br />
poter realizzare un “Museo della Memoria”.<br />
Hanno partecipato al convegno anche il sindaco di Alatri, avv. Patrizio<br />
Cittadini, gli assessori del Comune di Alatri, Ilaria DOnorio – cultura, M.R.<br />
Muzzopappa – pubblica istruzione, Antonio D’Alatri – urbanistica, Paride<br />
Bricca – ambiente, il dr. Bruno Olini, dirigente regionale del Lazio dell’<br />
A.P.C., il dr. Mario Costantini, coordinatore delle manifestazioni, l’arch.<br />
Floriano Epner, ex internato in campi italiani, rappresentante della<br />
Fondazione Ferramonti, Carlo Costantini, dirigente provinciale dell’A.P.C..<br />
La dr. Carla Roncati, dirigente nazionale dell’A.P.C. ha ricordato Lino Rossi,<br />
dirigente provinciale e nazionale dell’<strong>Associazione</strong>, ad essa si è unito, con un<br />
messaggio, il sen. Giacinto Minnocci, esponente della Resistenza ciociara.<br />
Hanno inviato comunicazioni Luigi Centra, autore di una pubblicazione sul<br />
Campo “Le Fraschette”, Danilo Sacchi che ha scritto “Fossoli: transito per<br />
Auschwitz” ed il dr. Gioacchino Giammaria, presidente dell’Istituto di Storia<br />
e Arte del Lazio Meridionale.<br />
Telegrammi di augurio sono pervenuti dal sen. Gerardo Agostini, presidente<br />
nazionale della F.I.V.L., dall’avv. Franco Franchini e dal p.i. Felice Ziliani,<br />
rispettivamente presidente e segretario nazionali dell’A.P.C. .<br />
111
ATTI DEL CONVEGNO<br />
“CAMPI DI CONCENTRAMENTO FASCISTI<br />
TRA OBLIO ED INDIFFERENZA. IL CASO DEL CAMPO<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI.”<br />
GLI INTERVENTI<br />
Patrizio Cittadini, sindaco di Alatri<br />
UN CONVEGNO COME QUELLO CHE OGGI VIENE PROPOSTO, CI<br />
AIUTA A CONOSCERE LA NOSTRA STORIA E CI CONSENTE DI RIN-<br />
NOVARE LA MEMORIA SULLA REALTÀ DEI CAMPI DI CONCEN-<br />
TRAMENTO E SU QUELLO CHE LA TRAGICA REALTÀ DEI CAMPI<br />
HA RAPPRESENTATO.<br />
Questo convegno mi fa tornare alla mente la cara persona di Lino Rossi, al<br />
quale mi ha legato una profonda amicizia personale e familiare. Se oggi celebriamo<br />
questo convegno di studi, in larga parte lo dobbiamo alla sua attività<br />
112<br />
da sx Carla Roncati, Patrizio Cittadini, Carlo Spartaco Capogreco,<br />
Bruno Olini, Carlo Costantini, Mario Costantini.
di dirigente dell’A.P.C..<br />
Il tema del campo di Le Fraschette lo aveva ben presente. A questo aveva<br />
dedicato ricerche e studi. Voleva che non si perdesse la memoria di ciò che il<br />
campo è stato.<br />
L’argomento anche dal punto di vista amministrativo è oggi di estrema attualità.<br />
Si parla di un ingente investimento della Regione Lazio per circa 20-30<br />
miliardi di vecchie lire per la realizzazione di una struttura all’interno del<br />
campo. L’Amministrazione comunale su questo argomento ha una posizione<br />
chiara: è necessario investire prima sulle infrastrutture per la riqualificazione<br />
dell’intera area.<br />
Tornando al convegno, esprimo la mia soddisfazione nel vedere tanti giovani<br />
oggi nella nostra Biblioteca interessati ad un tema di così rilevante spessore.<br />
Domani è la Festa della Liberazione, festa importante anche per il momento<br />
storico in cui cade. Proprio in questi giorni infatti, abbiamo commentato la<br />
sorprendente affermazione della Destra di Le Pen in Francia. Questo ritorno<br />
di una Destra che cerca di riproporre la propria avversione alle regole della<br />
democrazia e della civile convivenza deve essere ricollegata all’esperienza<br />
storica di una Destra antidemocratica e guerrafondaia che tanti lutti e distruzioni<br />
ha procurato alla nostra Italia e alla nostra terra. È un ritorno al passato<br />
dal quale dobbiamo liberarci. Un convegno come quello che oggi viene proposto,<br />
ci aiuta a conoscere la nostra storia e ci consente di rinnovare la memoria<br />
sulla realtà dei campi di concentramento e su quello che la tragica realtà<br />
dei campi ha rappresentato.<br />
Ringrazio l’A.P.C. che ha organizzato il convegno, i relatori e tutti i presenti.<br />
Auguro a tutti una giornata di utile e proficuo lavoro.<br />
Carla Roncati, dirigente nazionale dell’A.P.C.<br />
NEL DARE INIZIO AL CONVEGNO DI STUDI, È DOVEROSO RICOR-<br />
DARE CHI NE FU L’IDEATORE E IL PROMOTORE: L’INDIMENTICA-<br />
BI<strong>LE</strong> AMICO LINO ROSSI CHE CON TANTO IMPEGNO HA LAVORA-<br />
TO PER LA SUA REALIZZAZIONE.<br />
Nel dare inizio al convegno di studi, è doveroso ricordare chi ne fu l’ideatore<br />
e il promotore: l’indimenticabile amico Lino Rossi che con tanto impegno ha<br />
lavorato per la sua realizzazione.<br />
Un particolare pensiero va alla moglie e alle figliole qui presenti in sala.<br />
113
Quando nell’ultimo periodo della guerra a ridosso del fronte di Cassino si<br />
cercò di organizzare la resistenza in questi luoghi, Lino Rossi insieme ad altri<br />
giovani di Alatri, compì non solo atti di sabotaggio per contrastare l’avanzata<br />
delle colonne tedesche, ma si fece anche promotore, insieme ad altri, della<br />
redazione di un foglio clandestino, “Libertà”, per la propaganda antifascista<br />
ed antinazista.<br />
Venne arrestato perché in casa sua fu trovato il materiale per la stampa del<br />
giornale. Rimase in balìa del comando tedesco per oltre un mese, tanto che si<br />
temette per la sua vita. Fu liberato con l’arrivo degli alleati. Troviamo una<br />
minuziosa descrizione di quel periodo di detenzione, scritta dallo stesso Lino<br />
in un articolo sui giovani cattolici e la Resistenza. Vale la pena rileggerlo perché<br />
lo scritto riporta tanti episodi di quel periodo.<br />
Nel 1947 Lino è stato tra i fondatori dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>,<br />
aderente alla Federazione Italiana Volontari per la Libertà. L’A.P.C. allora era<br />
presieduta da Enrico Mattei e, dopo la sua tragica scomparsa, fu presieduta<br />
fino al 1997 dal sen. Mario Ferrari Aggradi .<br />
Fino alla sua morte Lino Rossi ha ricoperto l’incarico di vice-segretario nazionale<br />
dell’A.P.C., di segretario per il Lazio e per la Provincia di Frosinone.<br />
L’A.P.C. lo ricorda per le sue alte qualità morali, per l’attaccamento sincero<br />
all’associazione, per l’infaticabile attività e per la sua profonda onestà. Ha<br />
sempre mantenuto ottimi rapporti con gli amici iscritti e in particolare con<br />
quelli dell’Italia Centrale e Meridionale. Ha trattato sempre i problemi anche<br />
difficili con la discrezione e umana signorilità che lo hanno distinto.<br />
Dal dopoguerra si è adoperato con intelligenza e tenacia per portare avanti e<br />
realizzare importanti iniziative al fine di non dimenticare la storia di un movimento<br />
che ha prodotto, con il sacrificio di molti, la Liberazione dell’Italia e la<br />
definitiva affermazione dei valori sui quali è basata la Costituzione<br />
Repubblicana e la vita democratica del nostro Paese.<br />
Lino Rossi è stato attento cultore della memoria storica della Resistenza.<br />
Per la sua competenza fu nominato dal Sen. Paolo Emilio Taviani, membro<br />
del Consiglio di Amministrazione del Museo Storico di Via Tasso a Roma,<br />
incarico che ha mantenuto fino al giorno della sua morte.<br />
L’impronta della sua opera è emersa pure in altri settori, dove ha mostrato la<br />
sua competenza e la sua professionalità, sempre ancorata ai princìpi del cattolicesimo<br />
sociale e quindi alla concezione del solidarismo.<br />
Lino Rossi ebbe personalmente e come <strong>Associazione</strong>, grande attenzione ai<br />
problemi dei giovani e del loro avvenire: già nel 1958 l’<strong>Associazione</strong><br />
<strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone istituì un centro di addestramento professio-<br />
114
nale che nel 1963 divenne Centro Professionale “Don Morosini” e successivamente<br />
I.A.L. Roma e Lazio.<br />
La sua scomparsa è stata certamente per tutti noi una grande perdita, ma,<br />
come lui avrebbe desiderato, dobbiamo cercare di portare a compimento i<br />
progetti che con tanto entusiasmo e dedizione stava realizzando.<br />
Carlo Spartaco Capogreco, docente di Storia contemporanea<br />
dell’Università degli Studi della Calabria<br />
DIVERSE MEMORIE DEL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> SI SONO<br />
SOVRAPPOSTE NEL TEMPO, PERCHÉ IL CAMPO È STATO UTILIZ-<br />
ZATO IN VARI MODI NEL CORSO DEI DECENNI. LA MEMORIA PIÙ<br />
FRESCA È QUELLA CHE RICORDA IL CAMPO COME CENTRO DI<br />
RACCOLTA DEI PROFUGHI; LA MEMORIA DI PIÙ LUNGA DURATA<br />
DOVREBBE RICORDARE LA PRESENZA DEL CAMPO DI CONCEN-<br />
TRAMENTO.<br />
Ringrazio per l’invito rivoltomi dall’A.P.C. a partecipare a questo convegno e<br />
porgo a tutti voi il saluto della Fondazione Ferramonti e del Centro per i luoghi<br />
della Memoria. Quest’ultimo sta intessendo un’opera di raccordo tra tutti<br />
i centri dove sono ubicati i campi di concentramento fascisti e pubblica quaderni<br />
monografici dedicati ai campi. Ci auguriamo che uno di questi quaderni,<br />
grazie anche alla vostra collaborazione, possa essere dedicato interamente<br />
al Campo di Le Fraschette.<br />
Il Centro per i luoghi della memoria si fa portavoce di un’istanza, che è quella<br />
di realizzare in questa occasione una lapide in ricordo degli internati del<br />
campo Le Fraschette. Purtroppo ancor oggi, al campo di Le Fraschette non<br />
c’è alcun segno che chiarisca al visitatore cosa ha rappresentato quali, tragedie<br />
vi sono state vissute, con quali finalità fu costruito. È un silenzio che dura<br />
da 57 anni se è vero che oggi, per la prima volta ad Alatri si parla della storia<br />
del campo di concentramento Le Fraschette.<br />
Diverse memorie del campo si sono sovrapposte nel tempo, perché il campo è<br />
stato utilizzato in vari modi nel corso dei decenni. La memoria più fresca è quella<br />
che ricorda il campo come centro di raccolta dei profughi; la memoria di più<br />
lunga durata dovrebbe ricordare la presenza del campo di concentramento.<br />
Proviamo oggi a ravvivare la memoria di più lunga durata, come era nell’intento<br />
di Lino Rossi a cui va il mio grato ricordo per quella collaborazione sviluppatasi<br />
negli ultimi anni in preparazione a questo convegno. Con Lino Rossi<br />
115
ci siamo mossi per ottenere per il campo Le Fraschette quello stesso riconoscimento<br />
ottenuto due anni fa con decreto del Ministro per i Beni e le Attività<br />
culturali per il campo Ferramonti di Tarsia, in Calabria. La nostra collaborazione<br />
puntava proprio ad ottenere questo riconoscimento di importante testimonianza<br />
storica derivante dall’insediamento di Le Fraschette.<br />
Entriamo nel vivo della relazione: che cosa è stata la deportazione fascista,<br />
l’internamento fascista negli anni della seconda guerra mondiale?<br />
L’internamento fascista è un fenomeno diverso da quello nazista. Pensare ad<br />
Auschwitz è fuorviante. La Shoah, l’Olocausto, lo sterminio degli Ebrei sono<br />
una tragedia incomparabile. In questo momento noi vogliamo parlare dei<br />
campi fascisti, un fenomeno di cui raramente si parla.<br />
La ricerca storica in tutti questi anni si è occupata in maniera quasi esclusiva<br />
della Resistenza, dell’occupazione tedesca, di Cefalonia, dimenticando che<br />
anche noi siamo stati il popolo che ha causato diverse Marzabotto ad altri<br />
popoli. Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Federale di Germania,<br />
in visita in Italia, si è inginocchiato ed ha chiesto perdono per l’eccidio di<br />
Marzabotto. Questo è un atto che fa crescere l’Europa nata dai lager e rinsaldata<br />
da questi atti di estrema umanità, da questo riconoscere innanzitutto i<br />
propri errori. Non possiamo continuare ad esaltare le colpe degli altri omettendo<br />
l’esame dei nostri errori che si chiamano confino ed internamento.<br />
Nel nostro caso queste due misure sono state realizzate da un governo pienamente<br />
legittimato, dal fascismo monarchico, libero e sovrano, e non da un<br />
governo delegittimato come poteva essere quello di Salò. Il fascismo ha partorito<br />
il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri.<br />
Vediamo che cosa è stato questo campo di concentramento: Le Fraschette è<br />
particolarmente significativo perché racchiude in sé diverse tipologie di internamento<br />
e risponde alle diverse fasi dello sviluppo dei campi di concentramento<br />
fascisti.<br />
Fino a pochi anni fa, c’era un cartello al campo che indicava Le Fraschette, in<br />
modo molto sommario, come “ex campo profughi internati dalmati”. Un<br />
modo abile di nascondere una verità molto più complessa.<br />
L’Italia fascista è entrata in guerra aggredendo la Francia e la Jugoslavia, proclamando<br />
le leggi razziali che sarebbe preferibile chiamare leggi razziste perché<br />
tali in realtà erano. Nel 1926 il fascismo istituì il confino, misura realizzata<br />
per limitare la libertà di coloro che commettevano reati politici.<br />
L’internamento risale invece a giugno del 1940 ed è misura di guerra. Il provvedimento<br />
colpisce civili di Paesi in guerra con l’Italia ed è misura di controllo,<br />
pienamente legittima, attuata anche da altri Paesi e prevista dalla<br />
116
Convenzione di Ginevra. Il fascismo ne estese però l’applicazione a persone<br />
sospette per le quali le norme di Pubblica Sicurezza prevedevano invece il<br />
confino. L’internamento fascista e la deportazione non furono provvedimenti<br />
riservati a cittadini stranieri ma applicato del tutto impropriamente anche a<br />
cittadini italiani sospettati di antifascismo. Quali vantaggi derivavano al fascismo<br />
nell’applicare l’internamento piuttosto che il confino? Per comminare il<br />
confino erano necessari alcuni passaggi burocratici, il destinatario del provvedimento<br />
poteva appellarsi, la misura era temporanea e durava per cinque anni,<br />
anche se si poteva procedere a rinnovi del provvedimento di anno in anno. Per<br />
fare un esempio, ci sono stati confinati come Mario Magri, martire delle Fosse<br />
Ardeatine, che hanno subìto il confino per circa 16 anni continuativi.<br />
L’internamento invece non aveva bisogno di commissioni né di rinnovi. Era<br />
un provvedimento pratico, rapido e definitivo. La differenza tra i due istituti<br />
non è di poco conto!<br />
C’è stato l’internamento fascista a partire dalla fine del 1941 e sviluppatosi nel<br />
’42 che concedeva un sussidio per gli internati. Una seconda forma di internamento,<br />
gestito direttamente dai militari e completamente illegale, non rispettava<br />
le normative del Ministero dell’Interno, non concedeva alcun sussidio ed era<br />
realizzato nei territori occupati. Per territori occupati intendo per un buon 80<br />
% il territorio dell’ex Jugoslavia. Gli slavi infatti erano internati e deportati in<br />
Italia. La deportazione di massa non la realizzò quindi solo la Germania, ma<br />
fu attuata anche dall’Italia. Gli slavi venivano deportati in Italia non come cittadini<br />
di Paesi stranieri in guerra con l’Italia, perché con l’occupazione l’Italia<br />
annetteva al proprio territorio nazionale i territorio occupati. Gli slavi venivano<br />
deportati in qualità di cittadini italiani dei territori annessi. Essendo gli slavi<br />
sudditi italiani godevano di minori diritti e protezioni rispetto ai cittadini stranieri,<br />
per lo più anglo-maltesi o anglo-libici che a Le Fraschette ricevettero<br />
l’assistenza della Croce Rossa Internazionale. Tra le due categorie di internati<br />
si verificava quindi una notevole differenza di trattamento e gli slavi soffrirono<br />
veramente la fame e le privazioni di ogni genere.<br />
Il campo Le Fraschette venne progettato nell’aprile del 1941 per ospitare<br />
7.000 prigionieri di guerra e doveva essere gestito dal Ministero della Guerra.<br />
Il dramma degli sfollati che fuggivano dalle zone di guerra provocò un primo<br />
ripensamento sull’utilizzo del campo. L’Ispettorato Generale dei Servizi di<br />
guerra (che successivamente diventò Direzione Generale dei Servizi di guerra),<br />
organo del Ministero dell’Interno che si occupava del problema, avanzò<br />
richiesta perché Le Fraschette fosse utilizzato come ricovero degli sfollati.<br />
Prevalse alla fine un terzo utilizzo: campo di internamento per le migliaia di<br />
117
slavi ai quali non si sapeva quale ricovero offrire. La gestione del campo non<br />
fu trasferita però alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza che pure<br />
aveva il compito di gestire l’internamento. Nell’estate del 1942 la decisione<br />
fu presa e nell’ottobre dello stesso anno iniziarono ad arrivare i primi internati<br />
civili al campo. La soluzione “all’italiana” della gestione impropria del<br />
campo da parte dell’Ispettorato Generale dei servizi di guerra, provocò la<br />
mancata corresponsione agli internati del sussidio giornaliero, la cosiddetta<br />
“mazzetta” di £.6,50 al giorno a persona. Quel sussidio aveva permesso agli<br />
internati di altri campi di organizzare addirittura mense cooperative, come<br />
sull’isola di Ventotene, o comunque di approvvigionarsi direttamente di generi<br />
di prima necessità. Al campo Le Fraschette fu invece la fame più nera. Si<br />
mangiava quel po’ di brodaglia preparata dai militari. All’interno del campo<br />
c’era, come detto, un migliaio di anglo-maltesi che riceveva dalla Legazione<br />
svizzera della Croce Rossa in rappresentanza del Governo britannico, visite e<br />
pacchi alimentari. Per tutti gli internati operò fattivamente il vescovo di Alatri,<br />
mons. Edoardo Facchini.<br />
Un terzo gruppo di internati era costituito dai cosiddetti “allogeni”, italiani<br />
della Venezia Giulia, della Slovenia e della Croazia. Erano considerati cittadini<br />
italiani “diversi”, inseriti in un processo di assimilazione. Furono vittime<br />
di tutte le misure coercitive messe in atto dal fascismo.<br />
Nell’ultima fase di vita del campo, a partire cioè dalla tarda primavera del<br />
1943, a Le Fraschette furono portati anche gli internati dei campi del sud, evacuati<br />
dalle zone di guerra. A Le Fraschette arrivarono gli internati di Ponza e<br />
Ventotene. A partire dal 25 luglio gli internati italiani generici, comunisti,<br />
anarchici, cominciarono ad essere liberati. Gli slavi e gli “allogeni” rimasero<br />
fino all’8 settembre.<br />
Dal luglio del 1943, provvidenzialmente, a Le Fraschette iniziarono ad operare<br />
le Suore Giuseppine provenienti dalla Casa di Veroli, che dettero un gran<br />
contributo al miglioramento delle condizioni di vita degli internati. Il 12 maggio<br />
del 1943 giunse in visita al campo il vescovo di Trieste, preoccupato per<br />
le condizioni di vita dei suoi diocesani.<br />
Il campo non era stato concepito per una popolazione civile, ma rispondeva ai<br />
requisiti di un campo militare. Alla data del 15 luglio 1943 su 1162 dalmati<br />
presenti al campo, si registrava la presenza di circa 500 bambini, quasi tutti<br />
orfani. Immaginate quali difficoltà presentava la vita del campo! Molti di questi<br />
ragazzi furono salvati dalla Chiesa. Il Nunzio apostolico presso l’Italia,<br />
mons. Riberi, si impegnò a ricoverare presso collegi una gran parte di questi<br />
ragazzi.<br />
118
Gli internati erano civili, familiari di ribelli slavi, tenuti in ostaggio per convincere<br />
i partigiani a rinunciare alle loro attività in cambio di un ritorno a casa<br />
degli internati. Il Ministero dell’Interno, a partire da una certa data, accentrò<br />
a Le Fraschette tutti gli slavi presenti nei vari campi italiani. Molti arrivavano<br />
direttamente da un altro grande campo realizzato in territorio dalmata e precisamente<br />
dall’isola di Melada, attuale Otok Molat.<br />
Dopo l’8 settembre 1943 carabinieri e pubblica sicurezza non sorvegliarono<br />
più il campo. Durante l’estate del 1943 si era raggiunta una punta massima di<br />
presenze di circa 4500 persone. A novembre dello stesso anno le presenze si<br />
erano ridotte a 2000, perché senza la sorveglianza molti decisero di andar via.<br />
Addirittura alcuni si assentavano di giorno, girovagando per le campagne, e la<br />
notte si ripresentavano al campo per dormire. A novembre i circa 1300 internati<br />
rimasti furono trasferiti in pullman alla stazione di Ferentino e poi in<br />
treno al campo di Fossoli, presso Carpi, d’intesa tra le autorità italiane e germaniche.<br />
In quel lager, gestito dalle autorità tedesche, erano transitati a<br />
migliaia gli ebrei italiani con destinazione finale verso i campi di sterminio.<br />
Qui a Fossoli fu internato anche Primo Levi che ne rese testimonianza nel suo<br />
libro “Se questo è un uomo”. Escludo che gli slavi provenienti da Le<br />
Fraschette abbiano subìto la stessa sorte, perché per lo più vennero liberati<br />
anche attraverso l’intervento della Croce Rossa, a meno che non avessero particolari<br />
imputazioni.<br />
Spero che, quale esito di questo convegno, si dia luogo alla pubblicazione di<br />
uno studio sulle vicende legate al campo Le Fraschette e ringrazio tutti voi per<br />
l’attenzione con cui avete seguito questo mio intervento.<br />
don Giuseppe Capone, storico-scrittore<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> FURONO UN CAMPO DI DOLORE, DI ANGOSCIA,<br />
DI ANSIA, DI GRANDI NOSTALGIE PER LA PROPRIA TERRA<br />
Le Fraschette non furono un campo di concentramento del tipo realizzato in<br />
Polonia dai nazisti, ma fu comunque un campo di dolore, di angoscia, di ansia,<br />
di grandi nostalgie per la propria terra.<br />
Mons. Facchini andava due o tre volte al giorno con la sua “balilla” a Le<br />
Fraschette perché capiva che c’era bisogno di aiutare quella gente. Pensò ad un<br />
certo punto che la presenza di un gruppo di suore potesse essere di aiuto, e<br />
119
domandò la disponibilità delle suore “Giuseppine” di Veroli che però all’inizio<br />
erano un po’ restie. Ci volle tutta la sua costanza per convincerle. Il vescovo<br />
voleva questa presenza non solo per realizzare al campo l’assistenza, l’asilo,<br />
l’infermeria, ma soprattutto perché vedeva la dignità della persona umana calpestata.<br />
Illuminante sulla situazione al campo è il diario di Madre Mercedes Agostini,<br />
responsabile del gruppo che operava al campo. Il diario, poi pubblicato nel<br />
mio libro “La provvida mano” è un resoconto del dolore. Quando Madre<br />
Mercedes parla di mons. Facchini, lo descrive come un uomo infaticabile, un<br />
sostenitore incrollabile dei diritti degli internati, un difensore strenuo dai<br />
soprusi che continuamente si perpetravano, un uomo sempre pronto a dare<br />
aiuto materiale e morale.<br />
Quanti episodi si affacciano alla mia memoria !<br />
Gli appelli continui delle suore per le difficili condizioni di vita degli internati,<br />
la richiesta di un bisturi da parte di un internato che nella vita civile era chirurgo<br />
e che la notte precedente aveva dovuto operare d’urgenza un internato<br />
per un’appendicite utilizzando una lametta da barba… “perché l’ospedale di<br />
Alatri è troppo lontano e l’ammalato rischiava di morire sulla barella”.<br />
Alla fine della guerra mons. Facchini fu insignito della medaglia di bronzo al<br />
valor militare per quanto aveva fatto per la popolazione e per la sua attività nel<br />
campo di concentramento.<br />
Ma anche questo fatto dette luogo ad un siparietto che nessuno conosce e che<br />
oggi voglio ricordare.<br />
L’appuntamento per la cerimonia della consegna della medaglia doveva svolgersi<br />
a Frosinone alle 9 e trenta del mattino. Mi disse di tenermi pronto per la<br />
partenza fissata l’indomani alle 8 e trenta. Partimmo da Alatri alle 9 con mezz’ora<br />
di ritardo. Arrivati a Tecchiena mi disse di girare a destra. Alle mie rimostranze<br />
mi disse che dovevamo andare a Roma. “E la medaglia?”…silenzio.<br />
Mons. Facchini non parlava mai in macchina. Io davanti alla guida e lui dietro<br />
zitto. Arrivati a Colleferro si svolse questo dialogo: “don Giuseppe, che<br />
ora è?”, risposi “le 10 e tre quarti”. “pensi che a quest’ora la cerimonia per<br />
la consegna delle medaglie a Frosinone sarà finita?”, risposi di si, che molto<br />
probabilmente la cerimonia era già finita da un pezzo, e allora mons. Facchini<br />
mi disse “Ma allora don Giuseppe possiamo tornare ad Alatri”.<br />
Questo era mons. Facchini. Non siamo andati alla cerimonia perché significava<br />
avere un premio per quello che lui reputava esclusivamente un dovere di<br />
cristiano e di pastore.<br />
120
Bruno Olini, dirigente dell’APC.<br />
È doveroso ricordare che tra le varie adesioni a questo nostro incontro è pervenuta<br />
quella del Sen. Gerardo Agostini, Presidente della Federazione<br />
Nazionale Italiana dei Volontari per la Libertà.<br />
È pervenuto anche il telegramma del Segretario Nazionale dell’<strong>Associazione</strong><br />
<strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>.<br />
Ho citato questi due telegrammi perché chi avrà anche il compito di fare un<br />
po’di cronaca di questo interessante convegno, conosca le autorevoli adesioni<br />
pervenute.<br />
Non vorrei aggiungere altro. Sottolineo l’importanza dei due interventi del<br />
prof. Capogreco e di don Capone che sono senz’altro serviti ad arricchire culturalmente<br />
ciascuno di noi. Ringrazio la dr.ssa Carla Roncati per il bellissimo<br />
ricordo di Lino Rossi.<br />
Una menzione particolare meritano i giovani del Liceo “Luigi Pietrobono” di<br />
cui si parlerà in seguito, segno che la svolta impressa con l’istituzione della<br />
Giornata della Memoria ha avuto l’effetto di uno studio più attento ed esauriente<br />
dei fatti della II a guerra mondiale e più in generale del periodo fascista.<br />
Spero che l’impegno dei docenti di storia, unitamente a queste nostre doverose<br />
testimonianze, consegnino ai nostri giovani una profonda conoscenza della<br />
nostra storia.<br />
Carlo Costantini, segretario del comitato provinciale di Frosinone<br />
dell’A.P.C.<br />
SI DEPORTAVANO DALLA EX JUGOSLAVIA DONNE, BAMBINI,<br />
ANZIANI E FAMIGLIE INTERE, SI PROVVEDEVA CIOE’ ALL’INTER-<br />
NAMENTO DEI FAMILIARI DEI RIBELLI IN CAMPI DI CONCENTRA-<br />
MENTO DALLA DURA DISCIPLINA, AL FINE DI OTTENERE LA<br />
COSTITUZIONE DEI RIBELLI <strong>LE</strong>GATI AL<strong>LE</strong> PROPRIE FAMIGLIE.<br />
Molti degli argomenti da me preparati sono stati già svolti dal prof.<br />
Capogreco che ha agevolato così il mio compito. Parlerò rapidamente del<br />
campo Le Fraschette nei documenti degli archivi comunali e statali. Le ricerche<br />
sono state effettuate con meticolosità dal nostro compianto Lino Rossi nel<br />
corso degli ultimi anni.<br />
Inizialmente il Campo di Le Fraschette fu denominato “Villaggio<br />
121
Accantonamento Profughi di Fumone”, ma già in una comunicazione del<br />
Settembre 1942 se ne precisò la denominazione che rimarrà “ Campo di concentramento<br />
Le Fraschette di Alatri”. Vennero realizzate 174 baracche in un<br />
luogo pianeggiante, lontano dai centri abitati, ma senza realizzare le necessarie<br />
infrastrutture, quali le strade, le fogne e l’acquedotto. L’elenco delle categorie<br />
di persone internate, il numero e le provenienze le ha già indicate il professor<br />
Capogreco.<br />
Voglio sottolineare, come diceva don Giuseppe Capone, che non era certamente<br />
un campo di villeggiatura, ma un campo d’internamento duro. Una<br />
nota dell’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza spiega il fine dell’operazione<br />
fatta nei territori occupati militarmente ed annessi all’Italia. Non si<br />
deportavano in Italia gli uomini, ma donne, famiglie intere. Si provvedeva<br />
cioè all’internamento dei familiari dei ribelli in campi di concentramento<br />
dalla dura disciplina al fine di ottenere la costituzione dei ribelli legati alle<br />
proprie famiglie e la successiva costituzione anche dei recalcitranti “quando<br />
saranno venuti a conoscenza che alla costituzione dei loro compagni è seguito<br />
il ritorno immediato dei congiunti internati”.<br />
Documenti d’archivio testimoniano l’opera di mons. Facchini. In una nota, la<br />
Direzione del Campo avvisò la Prefettura di Frosinone che il Vescovo di<br />
Alatri “ha elargito la somma di £ 15.000 al cappellano per aiuti alle famiglie<br />
più bisognose. Questi aiuti vengono suddivisi nella misura di £ 50 a famiglia”.<br />
Il Vescovo inviò al campo anche alcune casse di medicinali.<br />
Negli archivi si scoprono anche fatti curiosi: il 1° maggio del ’43 vengono<br />
122<br />
da sx Bruno Olini, Carlo Spartaco Capogreco, Carlo Costantini,<br />
Mario Costantini, Luigi Centra
sorprese donne slave con piccoli nastrini rossi intrecciati fra i capelli. Sono in<br />
compagnia di un giovane anch’esso slavo che si era fregiato il petto con una<br />
coccarda rossa: tutti si giustificarono affermando che così erano soliti celebrare<br />
la festa dei lavoratori nei paesi di provenienza. Il Prefetto informato raccomandò<br />
maggiore vigilanza.<br />
Il Prefetto di Frosinone fu informato sulla situazione delle 18 cucine tenute<br />
dal personale militare. “In ciascuna cucina rimane addetto un solo soldato<br />
incontrollato e questi soldati si prendono libertà nei confronti delle ragazze,<br />
assumendo in cucina le più belle di esse”. Il Prefetto cercò di impedire questo<br />
sconcio.<br />
Nonostante le difficoltà ricettive arrivarono il 30 luglio 1943 dalla provincia<br />
di Venezia altre 200 donne. Come ha detto il Professor Capogreco, i fatti del<br />
25 luglio non ebbero molte ripercussioni nel campo. Il 26 agosto S. Ecc.<br />
mons. Riberi, Nunzio per i campi di concentramento, visitò il campo accompagnato<br />
da mons. Facchini. La visita sortì l’impegno ad affrontare con decisione<br />
il problema delle pietose condizioni di bambini e ragazzi presenti al<br />
campo.<br />
Con la nascita della Repubblica di Salò, il ministro repubblichino degli Affari<br />
Esteri chiese all’Ambasciata di Germania il trasferimento al nord degli anglomaltesi<br />
internati a Le Fraschette e degli internati croati e sloveni, eccezion<br />
fatta per i più giovani.<br />
Il 9 dicembre 1943 il direttore del campo avvisò il capo della polizia che nelle<br />
ore notturne soldati tedeschi avevano tentato di accedere alle baracche delle<br />
donne e delle suore reclamando donne ed esplodendo colpi di pistola. Fu il<br />
comandante tedesco della piazza a chiedere il sollecito sgombero verso il nord<br />
degli internati. Il trasferimento fu programmato per il 25 gennaio 1944. Nei<br />
documenti d’archivio c’è una fitta corrispondenza tra autorità italiane e germaniche<br />
su chi avrebbe dovuto occuparsi del trasporto degli internati e con<br />
quali mezzi. Si verificarono in quel periodo due bombardamenti del campo<br />
che provocarono alcuni morti.<br />
Finalmente il 25 febbraio ebbe inizio il lungo trasferimento per Fossoli, di cui<br />
si è già parlato. Del convoglio faceva parte anche il personale religioso del<br />
campo che volle accompagnare gli internati fino alla nuova destinazione. Si<br />
decise che gli anglo-maltesi raggiungessero Fossoli, mentre i croati furono<br />
destinati a Venezia per il successivo rimpatrio. 400 anglo-maltesi raggiunsero<br />
la stazione Tiburtina con il treno, altri 100 furono trasportati in pullman. A<br />
tutti questi si aggiunsero 200 anglo-maltesi provenienti da una caserma di<br />
Valle Giulia. Dopo lungo ed estenuante viaggio durato più giorni, i 700 anglo-<br />
123
maltesi raggiunsero il campo di concentramento di Fossoli che di lì a pochi<br />
giorni sarebbe passato sotto la rigorosa gestione dell’esercito tedesco. Altri<br />
anglo-maltesi che si erano dispersi nelle campagne di Alatri all’arrivo al<br />
campo dei tedeschi chiesero di poter raggiungere i propri connazionali. Anche<br />
questi, in numero approssimativo di 160, con un successivo convoglio furono<br />
destinati a Fossoli.<br />
Il 7 aprile ’44, dunque a pochi mesi dall’arrivo degli alleati il direttore del<br />
campo Le Fraschette poté comunicare al Ministero degli Interni l’ultimazione<br />
del trasferimento dal campo di tutti gli internati. Alcuni sudditi britannici<br />
furono ospitati nella caserma La Marmora di Roma e di lì fuggirono.<br />
Un altro bombardamento aereo colpì il campo il 30 marzo del 1944.<br />
Per quanto riguarda l’interessante capitolo del centinaio di politici presenti<br />
nel campo di Le Fraschette, si trattava in maggior parte di intellettuali indesiderabili<br />
provenienti da Kosovo, inizialmente ristretti nel campo di concentramento<br />
di Preza e, nel maggio del ’42, trasferiti nelle isole di Ponza e Ustica.<br />
Con l’avanzata degli alleati, da questi campi i politici furono trasferiti a Le<br />
Fraschette.<br />
“Il 6 luglio del ‘43 si decise lo sgombero del campo di concentramento di<br />
Ustica e il trasferimento degli internati politici a Le Fraschette di Alatri,<br />
da aggiungere a questi alcuni italiani, per lo più definiti comunisti, ritenuti<br />
pericolosi al punto di poter attentare alla vita del Duce.”<br />
In conclusione, la documentazione ritrovata negli archivi ci consente di ricostruire<br />
buona parte degli avvenimenti succedutisi dal ‘42 al ‘44 nel campo di<br />
concentramento di Le Fraschette. La nostra indagine si ferma al 1944, cioè<br />
all’arrivo degli alleati. Ciò che non ci è stato possibile comprendere è a quale<br />
destino siano andati incontro gli oltre 600 internati trasferiti nel campo di<br />
Fossoli. Abbiamo ripetutamente inviato elenchi nominativi perché se ne fornissero<br />
riscontri ma finora mai nessuno ha risposto ai nostri interrogativi,<br />
forse perché si dice che i tedeschi nel lasciare precipitosamente Fossoli abbiano<br />
bruciato tutti i libri matricola degli entrati e usciti da quel campo.<br />
Di recente è stato pubblicato un volume di Danilo Sacchi che ha assicurato<br />
nei prossimi giorni la sua presenza qui alla mostra. Il libro si chiama “Fossoli,<br />
transito per Auschwitz”, un titolo che potrebbe indirizzare le nostre ricerche<br />
verso un finale tragico.<br />
Per terminare voglio segnalare un’interessante intervista a Luisa Deskovic<br />
Ghini che è stata a Le Fraschette quando nel campo si trovavano circa 4000<br />
internati slavi, in maggioranza donne e bambini, parenti di partigiani. La<br />
signora proveniva dall’isola di Ventotene, quindi aveva già avuto un’esperien-<br />
124
za di internamento piuttosto pesante e aveva acquistato una grande esperienza<br />
su come difendere i propri diritti e la propria dignità .<br />
Propongo che il testo integrale, che consegno alla presidenza, venga allegato<br />
agli atti del Convegno.<br />
Floriano Epner, rappresentante della Fondazione Ferramonti di Tarsia<br />
IL MURO DI RECINZIONE DI QUESTO CAMPO SEGUE IL CONFINE<br />
TRA LA LIBERTA’ E L’UMILIAZIONE E IL DOLORE; RICORDATELO<br />
SOPRATTUTTO VOI GIOVANI CHE DOVETE ESSERE I “GUARDIANI<br />
DELLA LIBERTÀ” NEL NOSTRO PAESE<br />
Vi ringrazio per l’invito. Non mi aspettavo di dover parlare e sarò brevissimo.<br />
Sono figlio di un’ebrea tedesca e di un pittore, di un artista sgradito al regime<br />
tedesco. Tornato in Italia dove era nato, ha disertato l’esercito tedesco e quindi<br />
sono cresciuto figlio di un’ebrea e di un disertore dell’esercito. Potete<br />
quindi immaginare che tipo di infanzia abbia vissuto. Sono consigliere del<br />
Consiglio di amministrazione della Fondazione legata alla memoria del<br />
campo Ferramonti di Tarsia.<br />
Ho incontrato un giorno un anziano internato nel campo Ferramonti e gli ho<br />
chiesto: “Io ho vissuto dieci lunghi anni in Germania e sono vivo per miraco-<br />
Convegno 2002 - interviene l’arch. Floriano Epner della Fondazione Ferramonti<br />
125
lo, tu invece te ne sei stato tranquillo all’interno di questo campo: che differenza<br />
tra le nostre vite!” Mi ha risposto: “Tu sei ancora un uomo libero, io sento<br />
ancora oggi invece il filo spinato del campo nelle carni e ho perso per sempre<br />
la mia libertà e la mia dignità, questa è la grande differenza tra noi due”.<br />
Ricordatevi il tesoro che significa questo vostro campo qui. Quelle mura<br />
segnano il confine tra la libertà e l’umiliazione. Voi giovani ricordatevi che<br />
grazie a questo campo voi siete i “guardiani della libertà”.<br />
Noi della Fondazione Ferramonti avevamo un sogno tempo fa ed era quello di<br />
confederare tutti i luoghi della memoria in modo da avere un unico grande e<br />
forte strumento di informazione.<br />
Il nostro centro per i luoghi della memoria è una testimonianza di questa<br />
volontà. Grande, forte e potente è il vincolo con il quale abbiamo sognato tutti<br />
insieme di portare avanti questa iniziativa. Ma siamo solo all’inizio. Fate in<br />
modo che questo convegno di oggi non si esaurisca, ma grazie a questa iniziativa,<br />
fate vostra la volontà di far sopravvivere questo centro perché continui<br />
ad esistere e a combattere per la libertà e per la verità.<br />
Mario Costantini, coordinatore del Convegno e curatore delle Mostre<br />
documentarie dell’A.P.C.<br />
Agli atti del convegno alleghiamo un indirizzo di saluto e un breve scritto del<br />
dott. Danilo Sacchi, autore del libro “Fossoli, transito per Auschwitz”, che ha<br />
assicurato la sua presenza nei prossimi giorni.<br />
Un’altra relazione scritta ci è stata inviata dal prof. Gioacchino Giammaria.<br />
La relazione ha per tema: “Saggi per una bibliografia sulla resistenza in provincia<br />
di Frosinone”. Ringraziamo anche il prof. Gioacchino Giammaria e<br />
alleghiamo agli atti la sua preziosa relazione completata anche da una bibliografia<br />
sulla seconda guerra mondiale e la lotta di liberazione in provincia di<br />
Frosinone.<br />
È presente al convegno l’autore del volume “I deportati”, Luigi Centra.<br />
Nella sua opera, Centra ha raccolto alcune testimonianze sul campo Le<br />
Fraschette. Ringraziamo l’autore per il prezioso dono del suo libro che alleghiamo<br />
agli atti.<br />
Leggo il messaggio inviato dal sen. Giacinto Minnocci:<br />
“Dovrei essere il più vecchio fra i superstiti di quell’esiguo manipolo di cittadini<br />
che subito dopo l’armistizio dell’8 settembre del ‘43 senza distinzione<br />
di carattere ideologico e con la vigile e protettiva comprensione del vescovo<br />
126
mons. Facchini decisero di contribuire come potevano al tentativo di riscattare<br />
l’Italia da un ventennio di soppressione della libertà e contemporaneamente<br />
di sforzarsi di attenuare con il loro impegno le conseguenze disastrose<br />
di una guerra incautamente intrapresa e rovinosamente perduta. Spetta a me,<br />
e lo considero un privilegio, complimentarmi con Carlo Costantini e con i<br />
suoi collaboratori, per aver organizzato l’odierna mostra sulla seconda<br />
Guerra Mondiale e la Resistenza in Ciociaria, dedicandola al nostro carissimo<br />
amico Lino Rossi , per tanti anni dirigente provinciale dell’A.P.C.<br />
Questa mostra Lino Rossi la voleva e la preparava da molti anni, e il motivo<br />
per il quale principalmente la desiderava risulta chiaramente dalle parole<br />
con le quali l’A.P.C. ed io per l’<strong>Associazione</strong> Nazionale <strong>Partigiani</strong> Italiani<br />
accompagnammo nel 1997 la diffusione degli atti del convegno sul cinquantesimo<br />
anniversario della costituzione ad Alatri del Comitato di Liberazione<br />
Nazionale clandestino nel novembre del 1943, “Guerra e Resistenza in<br />
Ciociaria”, che vale la pena in questa occasione rileggere integralmente:<br />
In un periodo della nostra patria nel quale viene posta in discussione la stessa<br />
unità nazionale e si richiede da più parti una revisione del giudizio finora<br />
dato su alcuni controversi o ancora oscuri episodi della resistenza che nessuno<br />
respinge, a condizione che con essa non si pongano in discussione gli ideali<br />
e i valori che la ispirarono, Rossi e Minnocci ritengono opportuno diffondere<br />
queste due pubblicazioni, testimonianze di quanti lutti e sacrifici è costata<br />
in questa zona del Lazio la conquista della libertà e della pace, nella fiducia<br />
che i documenti vengano accolti come modesto contributo per ricordare<br />
L’ingresso della Mostra dell’APC sulla Resistenza - da sx Mario Costantini, Carlo<br />
Spartaco Capogreco, Carlo Costantini, Bruno Olini, Antonio D’Alatri<br />
127
un’epoca della storia recente del nostro paese, triste e perigliosa, ma anche<br />
traboccante di quel senso del dovere e di quelle speranze che ancora oggi debbono<br />
animare chiunque voglia che l’Italia abbia un futuro di democrazia”.<br />
Per terminare la nostra giornata di lavoro espongo alcune proposte operative:<br />
- organizzazione di un sito web che raccolga i dati sui campi di concentramento<br />
in Italia e sulle vicende legate all’internamento;<br />
- tutela della memoria del campo di concentramento Le Fraschette di<br />
Alatri attraverso il recupero di un baraccamento o il restauro della torretta<br />
di guardia e di locali adiacenti, da destinare a mostra permanente<br />
sul campo;<br />
- sistemazione di una lapide sul muro esterno del campo, a perenne<br />
ricordo delle sofferenze inflitte alle popolazioni ivi internate;<br />
- pubblicazione degli atti del convegno al fine di diffondere la conoscenza<br />
della storia del campo Le Fraschette, che è poi la nostra storia.<br />
AL<strong>LE</strong>GATI:<br />
n. 1 - Le Fraschette di Alatri: descrizione tecnica del campo<br />
Quello di Le Fraschette, progettato come campo di concentramento per prigionieri<br />
di guerra, sorse su un pianoro rotondeggiante di 600 metri di diametro<br />
in località Le Fraschette, una conca naturale alle falde del monte Fumone<br />
distante circa 4 chilometri dal comune di Alatri. Cominciò a funzionare nel<br />
luglio 1942, quando venne approntato un primo nucleo abitativo per 1000 persone.<br />
La sua costruzione era stata avviata alla fine di dicembre del 1941, e in base<br />
al progetto avrebbe potuto accogliere 7000 soldati prigionieri. In corso d’opera,<br />
tuttavia, venne cambiata destinazione e, di conseguenza, la tipologia delle<br />
strutture abitative; furono così realizzate circa 200 baracche idonee ad accogliere<br />
una popolazione composta in gran parte da nuclei familiari. L’intento,<br />
infatti, era quello di farne un “villaggio accantonamento profughi” da affidare<br />
all’Ispettorato per i servizi di guerra, l’organismo governativo responsabile<br />
della sistemazione degli sfollati. Ma, per ragioni legate allo sviluppo delle<br />
operazioni belliche, anche questo secondo proposito decadde, e la baraccopoli<br />
di Le Fraschette divenne infine un “campo di concentramento” per internati<br />
civili.<br />
128
La struttura era delimitata da una staccionata in legno, intervallata da una ventina<br />
di garitte attorno alle quali i carabinieri effettuavano il servizio pattugliamento.<br />
All’interno del campo, invece, agenti di pubblica sicurezza svolgevano<br />
i compiti di polizia. Rispetto agli altri campi amministrati dal Ministero<br />
dell’Interno, quello di Le Fraschette (diretto dal commissario Stanislao<br />
Rodriguez cui successe Giovanni Fantussati) ebbe delle importanti peculiarità:<br />
1) fu sottoposto alla Direzione generale servizi di guerra, mentre alla<br />
Direzione generale di pubblica sicurezza vennero affidati soltanto compiti “di<br />
sicurezza”; 2) si configurò principalmente come luogo d’internamento per<br />
nuclei familiari, in particolare per donne e bambini; 3) non fornì agli internati<br />
alcun sussidio in denaro, ma solamente i pasti, preparati da cucine militari<br />
appositamente impiantate sul posto.<br />
n. 2 - Testimonianza registrata di Luisa Deskovic Ghini<br />
“Il giorno successivo al mio arrivo a Le Fraschette organizzai una delegazione<br />
di donne e andammo in direzione a protestare per la mancata assegnazione<br />
di latte ai bambini. Dopo aver insistito a lungo fummo ricevute. Il caso<br />
volle che proprio quel giorno fosse presente un ispettore venuto da Roma.<br />
Parlai con veemenza e dissi che conoscevamo quali erano i nostri diritti e che<br />
se si ostinavano a negarceli ci saremmo rivolti alla Croce Rossa. Il giorno<br />
seguente ogni bambino ricevette una razione di latte. Un’altra vittoria, sul<br />
piano personale questa volta, la ottenni quando rivendicai un mio diritto ad<br />
un vitto migliore perché malata. Mi mandarono a fare le lastre radiologiche<br />
a Frosinone e in quella occasione ebbi un vivace battibecco con un giovane<br />
dottore, il quale mi rivolse la parola dandomi del tu e pretendeva che io gli<br />
dessi del voi. Alla fine, non potendo averla vinta sul piano verbale voleva picchiarmi.<br />
Dovettero intervenire due carabinieri a sedare la lite.<br />
Il mio soggiorno a Le Fraschette fu fortunatamente molto breve: le condizioni<br />
di vita nel campo erano terribili ma ci sorreggeva la consapevolezza che il<br />
fascismo era ormai caduto e che anche la nostra liberazione era ormai imminente.<br />
Venne invece l’8 settembre, poche ore di gioia e di speranza e poi arrivarono<br />
i tedeschi. Non era un fatto del tutto inatteso almeno per me. A<br />
Ventotene avevamo spesso discusso dell’eventualità che in caso di capitolazione<br />
militare i nazisti avrebbero occupato il paese e non ci sarebbe restata a<br />
quel punto alternativa alla lotta armata contro di essi. Ora i tedeschi erano<br />
lì, nel campo, a minacciare, urlando con i fucili spianati. Ci chiudemmo nelle<br />
baracche e intanto ci era chiaro in quel momento lo stato di grande confusio-<br />
129
ne. Le sentinelle italiane non venivano più al campo e i nazisti non le avevano<br />
sostituite, non essendosi ancora resi conto loro stessi della situazione. Era<br />
quello il momento buono per scappare. Ma alcuni compagni sollevarono<br />
obiezioni di carattere morale: potevamo abbandonare le donne più deboli e i<br />
bambini, lasciandoli alla mercé del nemico? Non era questo un tradimento?<br />
Obiettai che l’unica cosa da fare per aiutare le donne e bambini era di fuggire<br />
per collegarci con i compagni italiani e dare inizio alla lotta armata. I<br />
pareri erano discordi e decidemmo ciascuno di agire secondo la propria<br />
coscienza: alle due del mattino con un po’ di roba da mangiare che avevamo<br />
portato da Ventotene proprio per i casi di emergenza e un paio di pentole fuggimmo.<br />
Fu relativamente facile sollevare il filo spinato e calarci nella trincea,<br />
un po’più difficile fu risalire dall’altra parte, ma arrampicandoci gli uni sugli<br />
altri alla fine ci riuscimmo. Camminammo per quattro ore e alle 6 del mattino<br />
giungemmo in prossimità di Alatri dove prendemmo il trenino per Roma,<br />
confondendoci tra i numerosi sfollati.<br />
Ignoro esattamente che cosa sia successo a quelli rimasti a Le Fraschette,<br />
anche se so che molti si sono salvati non essendo caduti nelle mani dei nemici.<br />
Questi ultimi infatti si comportavano in modo diversificato ed anche contraddittorio<br />
nei confronti degli internati . Non avendo evidentemente ricevuto<br />
ordini precisi da Berlino, a volte liberavano tutti, in altri casi ne liberavano<br />
solo una parte deportando gli altri nei campi di sterminio tedeschi, o fucilavano<br />
sul posto gli elementi ritenuti più pericolosi. La razza superiore, quella<br />
tedesca sfuggiva alle regole delle persone normali”.<br />
n. 3 - Testimonianza scritta di Milena Giziak.<br />
Mi arrestarono con tutta la famiglia, nella notte del 27 settembre 1942, a<br />
Vertoiba, frazione del comune di Gorizia, dove abitavamo. Avevo tredici<br />
anni e mezzo, ed ero la più giovane di tre sorelle e due fratelli. … Perché<br />
quell’improvviso arresto ? Era avvenuto che mio fratello maggiore – anzi fratellastro<br />
perché mio padre, rimasto vedovo, si era risposato, era fuggito come<br />
altri della zona con i partigiani. Erano venuti carabinieri a chiedere notizie e<br />
noi avevamo detto che il fratello si era allontanato in cerca di lavoro, ma siccome<br />
da tempo erano molti quelli che sparivano così, in modo sospetto, non<br />
ci credettero.<br />
Così quella notte fecero una retata di varie famiglie e ci portarono alla caserma<br />
dei carabinieri di S. Pietro di Gorizia, dove restammo per l’intera giornata.<br />
… Dalla caserma di S. Pietro ci trasferirono in Questura, a Gorizia; breve<br />
130
interrogatorio e nuova traduzione al locale carcere giudiziario. … Il 15<br />
marzo 1943 ci portarono con degli autocarri alla stazione ferroviaria di<br />
Gorizia.<br />
Eravamo circa 150 donne, salimmo su un treno speciale cellulare. Non avevamo<br />
idea di dove saremmo andate. Rinchiuse in cellette, in verità a me fu<br />
concesso di rimanere nel corridoio, il treno partì verso le due del pomeriggio<br />
e, salvo una breve sosta in aperta campagna dopo Mestre, viaggiammo<br />
ininterrottamente fino al mezzogiorno dell’indomani, giungendo a<br />
Frosinone. Di qui, sul camion, dopo un non lungo tragitto, arrivammo al<br />
campo di Le Fraschette, nel comune di Alatri. Durante l’intero viaggio nessuno<br />
ci diede da mangiare. Nel frattempo gli uomini vennero internati nel<br />
campo di Sdraussina – Poggio Terzarmata – nella stessa provincia di Gorizia,<br />
a pochi chilometri da casa e lì rimasero fino all’8 settembre 1943.<br />
Il campo di Le Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata<br />
da monti, fra i quali primeggia il Monte Fumone. Era un campo enorme,<br />
destinato ad accogliere migliaia di prigionieri. Eravamo quasi solo donne;<br />
soprattutto slovene, croate e greche. C’erano anche alcune famiglie americane<br />
sistemate in baracche-appartamento. Il vitto era impossibile: un mestolo<br />
di brodaglia e un etto di pane al giorno. E non vi era solo il problema della<br />
scarsità ma anche quello della sporcizia rivoltante dei luoghi dove il cibo<br />
veniva preparato... Molte ricevevano dei pacchi dai parenti, ma noi non avevamo<br />
nessuno, fuori, che ci potesse aiutare. Spaventose soprattutto le condizioni<br />
delle croate e delle greche, alle quali non arrivava mai nulla, tanto da<br />
essere costrette ad aggirarsi attorno ai bidoni della spazzatura della cucina<br />
onde recuperare bucce di patate e qualche altro scarto. Invidiabili invece le<br />
condizioni delle famiglie americane, le quali ricevevano abbondanti pacchi<br />
tramite la Croce Rossa.<br />
Alle gravi carenze alimentari suppliva quel minimo di solidarietà umana (che<br />
si esprimeva anche spontaneamente) ma che, data l’entità del numero delle<br />
internate bisognose, serviva ben poco a lenire le condizioni generali.<br />
Comunque malgrado ciò, non si verificarono, che io sappia, casi di decesso<br />
per denutrizione. Il campo era comandato da carabinieri, con servizio di<br />
guardia svolto dai militari dell’esercito. All’interno, fra la massa internata, si<br />
aggiravano dei “questurini” a controllo degli umori del campo. Nel complesso<br />
posso dire che il comportamento del comando era corretto, non animato<br />
da ostilità verso le recluse, senza angherie. Migliore ancora quello dei militari<br />
in servizio, con i quali si stabilirono rapporti quasi cordiali, se non addirittura<br />
di complicità, come quando tolleravano le uscite clandestine delle<br />
131
internate per saccheggiare nelle campagne circostanti la frutta e quant’altro<br />
potesse attenuare gli stimoli della fame. Il 25 luglio, che aprì le carceri a tanti<br />
detenuti antifacisti, passò per noi inosservato. È soltanto dopo l’8 settembre<br />
1943 che, verificatasi la fuga dei militari di guardia, il campo venne a trovarsi<br />
quasi aperto, permettendo una prima fuga di quanti, avendone i mezzi,<br />
erano in grado di provvedere autonomamente ad allontanarsi dal posto.<br />
La sensazione dello “ sfascio “ alimentava progressivamente la psicosi della<br />
fuga tanto che anche chi era senza danaro si gettava allo sbaraglio. Infatti il<br />
disservizio era tale da rendere aleatoria la stessa fornitura dello scarso pasto<br />
quotidiano. Un’esistenza impossibile per tutti e in quel momento arrivarono<br />
i tedeschi. Costoro, assicuratisi che non c’erano ebrei e comunisti tra gli<br />
internati distribuirono generi alimentari in abbondanza, tanto da consentirci<br />
di rimetterci un po’ in forze. Poi, improvvisamente, ogni rifornimento cessò.<br />
In questa situazione, il maresciallo dei carabinieri, addetto al vettovagliamento,<br />
unica autorità rimasta, ci suggerì lui stesso di andarcene, facendo in<br />
modo che non gli derivasse alcuna responsabilità. Dato che non avevamo<br />
mezzi, dovevamo dire in treno che eravamo delle internate, così avremmo<br />
potuto viaggiare senza biglietto. Così uscimmo dal campo verso mezzanotte,<br />
raggiungemmo a piedi la stazione di Frosinone e di qui prendemmo il primo<br />
treno diretto a Roma. Nella capitale trovammo la calda solidarietà dei ferrovieri<br />
che misero a nostra disposizione una delle sale d’aspetto impegnandosi<br />
contemporaneamente a trovarci posto su un convoglio che ci portasse a nord.<br />
Per combinazione in stazione incontrammo alcuni dei militari già di guardia<br />
al campo che ci offrirono dei gelati. E l’indomani ebbe inizio il viaggio verso<br />
casa. Senza mai mangiare, giungemmo a Rubbia, vicino a Gorizia. A Savogna<br />
trovammo accoglienza, aiuto e conforto. Eravamo oramai a casa, fra la<br />
nostra gente. Ma il rientro fu ben triste. Non avevamo più casa. I nostri beni<br />
mobili ci erano stati sequestrati al momento dell’arresto e successivamente<br />
venduti all’asta. Nostro padre (classe 1882, come mia madre) era rientrato<br />
da qualche tempo perché, come ho detto, era stato internato in un campo<br />
vicino; era gravemente ammalato e sistemato in un fienile. Riuscimmo a<br />
farlo ricoverare all’ospedale di Gorizia, ma morì tre giorni dopo. I nostri<br />
due fratelli partigiani erano caduti in combattimento. Non ci rimaneva che<br />
cercare individualmente ospitalità presso altre famiglie.<br />
Avevo ormai 14 anni e mezzo.<br />
132
APPENDICE: VISITA - SOPRALLUOGO AL MUSEO<br />
MONUMENTO DI CARPI E ALL’EX CAMPO DI FOSSOLI<br />
Sabato 11 Ottobre 2003 una delegazione composta dal Sindaco di Alatri Ing.<br />
Giuseppe Morini e dai rappresentanti della locale <strong>Associazione</strong> Carabinieri<br />
in congedo, Valentino Capitanelli, della <strong>Associazione</strong> Bersaglieri in congedo,<br />
Enrico Celani e dell'<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, Carlo Costantini e<br />
Aldo Fanfarillo, hanno effettuato<br />
una visita - sopralluogo<br />
nel comune di Carpi (Modena)<br />
e nel ex campo di concentramento<br />
di Fossoli.<br />
Accolti dal Sindaco di Carpi<br />
Dr. Demos Malavasi e dal vice<br />
Presidente della Fondazione ex<br />
campo di Fossoli Dr. Mauro<br />
Benincasa, i rappresentanti di<br />
Alatri hanno visitato il sito<br />
museale realizzato nel Palazzo<br />
Pio di Carpi e successivamente<br />
il luogo dove sorgeva il campo<br />
di concentramento di Fossoli.<br />
Al termine del cordiale incontro<br />
i rappresentanti del Comune<br />
di Carpi e della Fondazione<br />
sono stati invitati a visitare<br />
Alatri e il luogo dove sorgeva il<br />
campo di concentramento Le<br />
Fraschette.<br />
da sx Mauro Benincasa, presidente<br />
consiglio comunale di Carpi,<br />
Demos Malavasi sindaco di Carpi,<br />
Giuseppe Morini<br />
sindaco di Alatri,<br />
Carlo Costantini e Aldo Fanfarillo<br />
dirigenti APC Frosinone<br />
Enrico Celani Ass. Bersaglieri c., Valentino<br />
Capitanelli Pres. Ass. Carabinieri c.,<br />
Carlo Bordone, guida,<br />
ing. Giuseppe Morini sindaco, Aldo Fanfarillo<br />
133
PARTE QUINTA<br />
CONVEGNO DI STUDI 2006<br />
“LA GIORNATA DELLA MEMORIA:<br />
I CAMPI DI INTERNAMENTO ITALIANI -<br />
IL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI”<br />
Le Fraschette di Alatri - Ostello della Gioventù - 2 dicembre 2006<br />
Si è tenuto, presso il Salone dell’Ostello della Gioventù a Le Fraschette di<br />
Alatri, il Convegno di studi su<br />
“I campi di internamento in Italia. Il campo d’internamento<br />
Le Fraschette (1940/1945)”.<br />
Organizzato dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone, il convegno<br />
ha inteso riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica e dei rappresentan-<br />
134
ti delle Istituzioni, la necessità di recuperare la funzione di “Luogo della<br />
memoria” per il campo Le Fraschette.<br />
Sorto per volontà del fascismo subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il<br />
campo prese a funzionare il 1° ottobre 1942 come campo di concentramento<br />
per internati civili. Ai primi anglo-maltesi deportati dalla Libia, si aggiunsero<br />
presto migliaia di ex jugoslavi, giuliani, confinati e deportati provenienti da<br />
Ponza, Ventotene ed Ustica.<br />
Nel momento di maggior affluenza, al campo erano internate circa 7.500 persone<br />
in condizioni di assoluta precarietà.<br />
Il campo continuò a funzionare fino ad aprile del 1944, cioè fino a pochi giorni<br />
prima della liberazione di Alatri da parte delle truppe anglo-americane.<br />
Di questa storia ancora poco nota, hanno parlato lo storico Fabio Galluccio,<br />
autore del volume “ I lager in Italia ”, Marilinda Figliozzi, ricercatrice di<br />
testimonianze dell’epoca che ha dato lettura di toccanti testimonianze, don<br />
Giuseppe Capone, che ha ricordato l’infaticabile opera di assistenza posta in<br />
essere da mons. Edoardo Facchini, Luigi Centra, autore del volume “I deportati”.<br />
Significativa la presenza al convegno e l’intervento del sindaco di Carpi, dott.<br />
Enrico Campedelli e del Direttore della Fondazione “Fossoli”, dott.<br />
Giovanni Taurasi.<br />
Questi ultimi hanno proposto il percorso realizzato da quelle comunità<br />
dell’Appennino modenese, che hanno vissuto esperienze molto simili a quelle<br />
di Alatri.<br />
Il campo di internamento di Fossoli è stato Campo poliziesco e di transito,<br />
gestito dalle SS e, dopo la guerra, è diventato campo di prigionia per internati<br />
fascisti e ancora campo per profughi stranieri.<br />
Opportunamente attrezzato per la riflessione e per la ricerca storica, il Campo<br />
di Fossoli e il Museo-Monumento al deportato di Carpi sono visitati ogni<br />
anno da migliaia e migliaia di studenti.<br />
ALL’INIZIATIVA, DELL’ODIERNA “GIORNATA DELLA MEMORIA”<br />
HANNO PARTECIPATO: L’ARCHIVIO DI STATO DI FROSINONE CHE<br />
HA REALIZZATO UNA MOSTRA DOCUMENTARIA SUL<strong>LE</strong> VICENDE<br />
DEL CAMPO; IL LICEO “LUIGI PIETROBONO” DI ALATRI CHE HA<br />
PRODOTTO UN DOCUMENTARIO IN DVD PRESENTATO AD INIZIO<br />
CONVEGNO; L’ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE DI ALATRI, I<br />
CUI ALLIEVI HANNO DATO <strong>LE</strong>TTURA DI ALCUNI SAGGI SUL TEMA.<br />
135
ERANO PRESENTI AL CONVEGNO IL SEGRETARIO NAZIONA<strong>LE</strong> DEL-<br />
L’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI, DR. BRUNO OLINI E IL PRE-<br />
SIDENTE REGIONA<strong>LE</strong> DELL’A.N.P.I., PROF. MASSIMO RENDINA, L’AS-<br />
SESSORE PROVINCIA<strong>LE</strong> DR. ORESTE DELLA POSTA, L’ASSESSORE<br />
ALLA CULTURA DEL COMUNE DI ALATRI AVV. REMO COSTANTINI ED<br />
I CONSIGLIERI COMUNALI DR.FABIO DI FABIO, DOTT. FAUSTO LISI E<br />
DR. MAURIZIO CIANFROCCA.<br />
ALL’ASSESSORE AVV. REMO COSTANTINI, IN RAPPRESENTANZA<br />
DEL SINDACO DOTT. COSTANTINO MAGLIOCCA, È TOCCATO IL<br />
COMPITO DI RASSICURARE I PRESENTI SULL’INTERESSE DEL-<br />
L’AMMINISTRAZIONE A PROCEDERE PRIMA ALLA SDEMANIALIZ-<br />
ZAZIONE DEL TERRENO SU CUI SORGE IL CAMPO E A DAR LUOGO<br />
SUCCESSIVAMENTE AL<strong>LE</strong> PIÙ OPPORTUNE INIZIATIVE.<br />
IL CONSIGLIERE PROVINCIA<strong>LE</strong> DR. A<strong>LE</strong>SSANDRO SEMPLICI HA<br />
SOTTOLINEATO IL VALORE DELL’INIZIATIVA E LA PARTECIPAZIO-<br />
NE ED IL SALUTO DEL PRESIDENTE AVV. FRANCESCO SCALIA.<br />
TRA I MESSAGGI DI ADESIONE, QUELLI GIUNTI DAL PRESIDENTE<br />
DELLA REGIONE LAZIO, DR. MARRAZZO, CHE HA ESPRESSO LA PIÙ<br />
VIVA CONSIDERAZIONE PER L’INIZIATIVA, DAGLI ASSESSORI REGIO-<br />
NALI DR.RANUCCI E DR. DE ANGELIS, DAI CONSIGLIERI REGIONALI<br />
DR. CANALI E DR. CIARALDI, DAL SEN. DIANA E DAL PRESIDE CELANI.<br />
Il Direttore dell’Archivio Storico della Diocesi di Anagni-Alatri, don<br />
Claudio Pietrobono ha espresso il compiacimento del vescovo mons.<br />
Lorenzo Loppa per l’iniziativa.<br />
Ha quindi preso la parola padre Umberto Fanfarillo, nativo di Le Fraschette<br />
per auspicare la realizzazione di opere tendenti a ricordare nel futuro gli eventi<br />
dolorosi verificatisi nel Campo.<br />
È poi intervenuto il funzionario dell’Archivio di Stato di Frosinone dr.<br />
Franco Nardi che ha illustrato i documenti che hanno formato la Mostra<br />
documentaria realizzata in occasione del Convegno.<br />
Ricordando la preziosa attività di ricerca, condotta da Lino Rossi, già<br />
136
Presidente provinciale dell’A.P.C. e la spinta dell’iniziativa attuale voluta<br />
dalla Segreteria provinciale dell’<strong>Associazione</strong>, l’Archivio di Stato di<br />
Frosinone ha ricostruito le vicende legate alla costruzione del Campo di internamento<br />
di Le Fraschette a partire dal primo carteggio riconducibile alla<br />
seconda metà del 1940. Nel 1942 si pose mano alla costruzione del Campo.<br />
Altri documenti illustrano le vicende fino al 1944. Il materiale documentario,<br />
per concessione della dott.ssa Viviana Fontana, direttrice dell’Archivio di<br />
Stato di Frosinone, rimarrà a disposizione dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong><br />
<strong>Cristiani</strong> e costituirà una prima base per la realizzazione di una Mostra permanente<br />
sulle vicende del Campo.<br />
Presenti numerose personalità politiche e culturali, studenti e docenti, dirigenti<br />
scolastici, tra cui i proff. Mantovani e D’Agostini, il prof. Affinito con le<br />
insegnanti Santucci e Mercaldo, la prof.ssa Martina con gli insegnanti Boezi<br />
e Cervoni, la prof.ssa Sperduti, il presidente del Centro studi Tolerus, Pizzuti,<br />
il dirigente della Casa dei diritti sociali di Roma, Russo, il dirigente<br />
dell’Archeoclub, ins. Culicelli, il dr. Minnucci ed il dr. Quadrozzi, il dirigente<br />
prov.le dell’ANPI, Morsino, i dirigenti e collaboratori provinciali<br />
dell’A.P.C., funzionari dell’Archivio di Stato di Frosinone, i rappresentanti<br />
della stampa tra cui Antonucci, Pistilli, Del Greco, Gigino Minnucci e<br />
Mignini.<br />
Nell’occasione è stato presentato il volume “ Lino Rossi, partigiano cristiano<br />
“ , pubblicato dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di Frosinone, con il<br />
contributo dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio; nel volume<br />
sono contenuti anche i risultati delle lunghe e accurate ricerche sul Campo Le<br />
Fraschette, compiute dallo stesso Rossi presso gli Archivi di Stato di<br />
Frosinone e di Roma.<br />
Ha coordinato i lavori del Convegno, il dr. Mario Costantini, funzionario<br />
dell’Archivio di Stato di Bari che aveva diretto anche il primo Convegno sull’argomento<br />
svoltosi ad Alatri nel 2002 e curato le varia Mostre documentarie<br />
sugli avvenimenti nazionali e locali del periodo storico 1919 – 1948.<br />
L’iniziativa del Convegno odierno è stata realizzata grazie al contributo della<br />
Regione Lazio, Assessorato alla Cultura e alla collaborazione della Banca<br />
Popolare del Frusinate.<br />
Al termine del convegno, il Presidente provinciale dell’A.P.C., Carlo<br />
137
Costantini, si è augurato un efficace intervento delle Istituzioni per il riconoscimento<br />
del Campo Le Fraschette quale “Luogo della Memoria”, da realizzarsi<br />
attraverso lo sviluppo di opportuni interventi di recupero di parti significative<br />
del campo ed iniziative di ricerca.<br />
138<br />
CONVEGNO 2006 - Il coordinatore dr. Mario Costantini presenta i relatori<br />
da sx Enrico Campedelli, sindaco di Carpi - Fabio Galluccio, scrittore<br />
a dx dr. Massimo Rendina, presidente ANPI<br />
di Roma e Lazio - Luigi Centra, scrittore-artista
CONVEGNO DI STUDI 2006<br />
“LA GIORNATA DELLA MEMORIA:<br />
I CAMPI DI INTERNAMENTO ITALIANI -<br />
IL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI”<br />
Documentario DVD con ricerche ed<br />
interviste realizzato<br />
dal Liceo “L. Pietrobono” di Alatri<br />
progetto Tv on line<br />
coordinato dalla prof.ssa<br />
Agnese Sperduti<br />
“Le Fraschette”<br />
Storia di un campo<br />
1942-1944<br />
Riportiamo di seguito la trascrizione integrale del DVD che comprende interviste<br />
alternate a documenti di archivio.<br />
Alatri, piccolo centro della Ciociaria, crocevia di popoli, etnie, per gran parte<br />
del 1900. Popoli diversi che si sono incontrati loro malgrado ad Alatri nel<br />
Campo di internamento prima, di concentramento e di raccolta profughi poi<br />
di Le Fraschette: da Tripolini e Libici a Croati, Sloveni, Anglomaltesi fino<br />
agli Istriani di Fiume e Pola e ai profughi Italiani provenienti dall’Africa e a<br />
quelli fuggiti dall’Ungheria dopo l’occupazione russa.<br />
Il Campo di Le Fraschette fu istituito insieme ad altri campi con il decreto<br />
numero 439 del 4 settembre del 1940 ed era destinato ad ospitare 7000 prigionieri<br />
di guerra; la sua costruzione risale ai primi mesi del 1942 ad opera<br />
della ditta Pasotti.<br />
139
MAESTRO GIUSEPPE EVANGELISTI: - Era una pianura di circa 18/20<br />
ettari di terreno tutto lavorato in grano, segale, granturco e patate: una bella<br />
mattina ci svegliammo e trovammo che il campo era stato circondato; nel giro<br />
di una settimana furono messi gli stecconati, quindi senza dirci niente si impadronirono<br />
del terreno e cominciò la costruzione del Campo di Le Fraschette.<br />
INS. CARLO COSTANTINI: - Il Campo Le Fraschette è stato un campo che<br />
è stato costruito nel 1942, in piena guerra, per mandarvi innanzitutto dei<br />
Libici, degli abitanti della Libia e di Malta che non erano di idee favorevoli<br />
all’Italia.<br />
E al 3 luglio 1943 era costituito da 174 baracche prefabbricate in compensato<br />
innalzate senza preventivo livellamento del terreno.<br />
INS. LUIGI MINNUCCI: - Erano di cartone, di compensato veramente, si<br />
chiamava compensato. La prima volta che ho visto il compensato fu a Le<br />
Fraschette.<br />
INS. CARLO COSTANTINI: - Ci potevano stare fino a 5000 internati in quel<br />
campo di concentramento, di tutte le nazionalità, persone che si ritenevano<br />
contrarie al Regime e alla guerra dell’Italia li mandavano in quel campo.<br />
140<br />
Il primo trasferimento di internati risale al 1 ottobre 1942, come si<br />
evince dall’Appunto per il Duce numero 327/15 del 1942 e dalla testimonianza<br />
scritta da un internato, sig. Romeo Cini, attualmente residente<br />
in Australia.<br />
Anno 1942 - numero 327/15 - Campo di concentramento Le<br />
Fraschette, Frosinone<br />
Il Campo Le Fraschette costruito per conto del Ministero dell’Interno<br />
potrà ospitare al massimo 6000 persone. Col 1 ottobre prossimo venturo<br />
vi saranno ospitati oltre 1000 Anglomaltesi sfollati dalla Libia,<br />
attualmente residenti a Fiuggi, Montecatini, Bagni di Lucca ed Ascoli<br />
Piceno, i quali, attraverso l’opera di discriminazione compiuta dai<br />
Prefetti interessati e dal Segretario del Fascio di Combattimento di<br />
Malta, sono risultati di sentimenti irriducibilmente anglofili. Nello stesso<br />
campo saranno fatti affluire 2300 sgombrati dall’isola di Melata.
INS. CARLO COSTANTINI: - Voi sapete che la Libia era stata occupata<br />
dall’Italia e quindi quando la guerra si svolse in quelle zone il nostro Governo<br />
aveva paura che dei cittadini facessero le spie o sabotassero la guerra per cui<br />
li presero e li mandarono qui in questo campo, Le Fraschette<br />
Agli internati Anglomaltesi si aggiunsero intere famiglie deportate dai territori<br />
dell’ex Jugoslavia occupati dagli Italiani e annessi all’Italia per<br />
costringere alla resa gli uomini adulti che avevano dato vita a formazioni<br />
partigiane.<br />
Successivamente mandarono anche altre persone da tutt’altra parte, cioè dalla<br />
Jugoslavia, perchè in lì c’era la Resistenza (questo nella seconda parte della<br />
guerra, c’era la Resistenza) e allora, per domare la Resistenza, le famiglie dei<br />
<strong>Partigiani</strong> venivano rastrellate e portate qui ad Alatri nel Campo Le<br />
Fraschette.<br />
DON GIUSEPPE CAPONE: - Erano dei Croati, che venivano da casa loro, e<br />
furono deportati a Le Fraschette.<br />
Ufficio Segreteria Particolare - Roma - Ministero dell’Interno<br />
A seguito del foglio numero 1362/2 del 16 corrente mi permetto prospettare<br />
nelle sue linee generali il programma di attività che è mio intendimento<br />
svolgere in questa provincia. Il problema della popolazione slovena<br />
può essere risolto nei seguenti modi:<br />
1 – Distruggendola;<br />
2 – Trasferendola;<br />
3 - Eliminando gli elementi contrari.<br />
L’Alto Commissario<br />
Emilio Grazioli<br />
Comando dell’11° Corpo d’Armata - 20 luglio 1942 - Anno 20°<br />
Ufficio Informazioni - Protocollo numero 1/6815<br />
Oggetto: Provvedimenti a carico delle famiglie e di elementi sloveni<br />
che hanno abbandonato il proprio domicilio.<br />
Trasmetto in allegato copia di due elenchi di elementi sloveni che<br />
hanno abbandonato il loro domicilio per unirsi a bande armate.<br />
A norma della Circolare numero 3c del Comando della Seconda<br />
Armata e delle successive disposizioni impartite mio foglio numero<br />
141
02/7037 in data 18 corrente dispongo siano adottati i seguenti provvedimenti<br />
a carico delle famiglie in oggetto:<br />
- Arresto ed internamento di tutti i loro membri;<br />
- Distruzione delle loro case e confisca dei loro beni.<br />
Il Generale di Corpo d’Armata<br />
Comandante Mario Robotti<br />
INS. CARLO COSTANTINI: - Soprattutto a un certo punto mandarono diverse<br />
centinaia di persone dalla Dalmazia, dalla Croazia , dalla Slovenia, allora<br />
era tutta Jugoslavia; perché le mandarono qui ? Perchè lì c’era veramente la<br />
guerra di Resistenza ai Tedeschi e ai Fascisti e allora rastrellavano interi villaggi,<br />
portavano via donne, bambini e anziani per costringere quelli che stavano<br />
alla macchia, organizzati per difendersi e per attaccare le truppe tedesche<br />
e fasciste ad arrendersi.<br />
Ma come si viveva nel Campo?<br />
INS. LUIGI MINNUCCI: - Non si sapeva niente di quello che succedeva nel<br />
Campo. C’erano soltanto delle storie così.<br />
INS. CARLO COSTANTINI: - Era un Campo in cui si viveva male, in cui<br />
c’era la fame, in cui ovviamente non c’era possibilità di libertà e per cui era<br />
un vero e proprio Campo di prigionia.<br />
Le condizioni di vita degli internati inizialmente erano terribili per tutti: vitto<br />
insufficiente, igiene pessima, internati stipati in grandi baracche-dormitorio<br />
con file di cuccette e materassi di paglia, ma dal 5 gennaio 1943 gli<br />
Anglomaltesi, per intervento della Croce Rossa britannica, attraverso la<br />
Legazione Svizzera, ottennero razioni di cibo più abbondanti, medicine e il<br />
regolare sussidio di internamento. La sorte degli internati Slavi era invece<br />
molto diversa.<br />
Il 18 luglio del 1943, su invito pressante di Monsignor Facchini, Vescovo di<br />
Alatri che si era già adoperato in favore degli internati di Le Fraschette elargendo<br />
la somma di 15.000 lire, giunsero al Campo le prime Suore Giuseppine<br />
di Veroli, per prestare la propria opera di aiuto e soccorso.<br />
Il nostro Vescovo, che si chiamava mons. Facchini, (al quale abbiamo dedicato<br />
questo libro che io adesso vi do) andava quasi tutti i giorni giù al Campo di<br />
142
Le Fraschette, che stava a 6 o 7 km e spesso ci andava a piedi (perchè a quei<br />
tempi non so se il Vescovo avesse la Balilla ma comunque andava molto spesso<br />
a piedi) e data la gravità della situazione, la mancanza di assistenza specialmente<br />
per i bambini, il Vescovo ottenne che 5 Suore di Veroli, dell’ordine<br />
delle Giuseppine, si trasferissero proprio al Campo di Le Fraschette e queste<br />
cominciarono la loro attività di assistenza, sia morale, sia spirituale, sia religiosa<br />
e anche materiale, ai bambini soprattutto, che erano ricoverati nel<br />
Campo di Le Fraschette.<br />
Nel gennaio del 1944 un forte uragano colpì il Campo Le Fraschette facendo<br />
volare le coperture di molte baracche. Il 15 febbraio del 1944 e il 22 febbraio<br />
del 1944 poi, aerei alleati bombardarono il Campo provocando 7 morti e<br />
molti feriti, costringendo la Direzione all’evacuazione del Campo e al trasferimento<br />
degli internati prima ad Alatri e poi a Carpi.<br />
SIG.RA IRENE GALUPPI: - Era un Campo tutto fatto di legno, tutte baracche<br />
e stavano là tutti ammassati. Poi quando sono andata al Campo, avevano<br />
mitragliato e ho trovato alcuni feriti e li ho portati con il camion all’ospedale<br />
di Alatri.<br />
Ecco la testimonianza di Madre Mercedes Agostini, che condivise la sorte<br />
degli internati sia al Campo che durante il trasferimento al Campo di Fossoli,<br />
avvenuto nel febbraio del 1944:<br />
“La mortalità nel Campo, specialmente tra i piccoli, era grande. I fanciulli<br />
infatti erano privi di ogni cura e lasciati per tutta la giornata in balia di se<br />
stessi. […] Il 2 marzo giungemmo a Carpi: grande fu lo stringimento quando<br />
il Direttore del Campo ci disse che né il Cappellano né noi Suore potevamo<br />
restare là. “ .<br />
Viene letta la testimonianza di Romeo Cini, che giunse a Fossoli con gli altri<br />
internati del campo Le Fraschette, che verso la fine del 1944, per ordine delle<br />
SS, che dirigevano il Campo di Fossoli, poterono lasciare il Campo: anche per<br />
loro l’odissea era finita.<br />
Il Campo di Le Fraschette fu smantellato, come testimonia la Relazione del<br />
Direttore del Campo del 29 maggio 1944:<br />
143
“Dalla Relazione conclusiva del Ragionier Spampinato del Campo di<br />
Le Fraschette alla Direzione generale di Pubblica Sicurezza: dei 1600<br />
internati che erano rimasti al Campo di Le Fraschette, 604 internati<br />
sono stati liberati, 358 sono stati trasportati a Roma presso la Caserma<br />
La Marmora, 638 trasportati al Campo di Carpi. Per le residue baracche<br />
e relativi materiali, giusta disposizione ministeriale del 10 aprile<br />
1944 numero 999, si è provveduto alla vendita a trattativa privata: l’acquirente<br />
è risultata essere la ditta Igliozzi per lire 725.000. Alcuni contadini,<br />
individuati per il saccheggio del Campo hanno pagato per il<br />
risarcimento lire 89.000, somma poi utilizzata per il trasporto a Carpi<br />
degli internati”.<br />
Questo documento precede di solo 3 giorni la liberazione di Alatri, avvenuta<br />
il 2 giugno 1944.<br />
144
GLI INTERVENTI<br />
CONVEGNO DI STUDI 2006<br />
Bruno Olini – Segretario nazionale <strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong><br />
OGGI SIAMO QUI RIUNITI PER RIBADIRE AD ALTA VOCE, LA<br />
FERMA VOLONTA’ DELLA VALORIZZAZIONE DI QUESTO EX<br />
CAMPO DI CONCENTRAMENTO, E<strong>LE</strong>VANDOLO A “LUOGO DELLA<br />
MEMORIA STORICA”<br />
Con sincero compiacimento rilevo l’interesse suscitato nell’opinione pubblica<br />
della meritoria iniziativa avviata, da anni, dall’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong><br />
<strong>Cristiani</strong> di Frosinone, perché quello che è stato il Campo profughi e rifugiati<br />
di Le Fraschette di Alatri, nel periodo della seconda guerra mondiale, venga<br />
eretto a museo della memoria storica.<br />
L’iniziativa, avviata dal compianto Lino Rossi, instancabile dirigente<br />
dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, deceduto nell’ottobre del 2001, ha trovato<br />
degna continuazione nell’appassionata e paziente opera dell’amico<br />
Carlo Costantini, Consigliere nazionale e Segretario provinciale dell’A.P.C.,<br />
ma , soprattutto, uomo legato alla sua Alatri, città della quale è stato Sindaco.<br />
Ne sono concrete testimonianze, il convegno sul Campo Le Fraschette, svoltosi<br />
nell’aprile 2002 e la contemporanea Mostra documentaria sul “Secondo<br />
conflitto mondiale ed episodi della guerra e della Resistenza in Ciociaria”, le<br />
“Giornate della memoria”, con relativa Mostra, promosse dal Comune di<br />
Alatri e dall’A.P.C., nel gennaio 2004, per ricordare le vicissitudini di quegli<br />
anni a Le Fraschette, come emerge dalle preziose risultanze archivistiche e<br />
documentarie raccolte.<br />
E oggi, siamo qui riuniti – autorità comunali, provinciali e regionali, dirigenti<br />
di Associazioni resistenziali, insegnanti, studenti delle scuole superiori e<br />
abitanti locali, alcuni dei quali hanno condiviso la tragedia di migliaia di<br />
internati e profughi a Le Fraschette – per ribadire ad alta voce, la ferma volontà<br />
della valorizzazione di questo ex Campo di concentramento, elevandolo a<br />
“Luogo della memoria storica”.<br />
L’intento, non è soltanto quello di sottrarre dalla stato di totale abbandono<br />
quest’area demaniale di 27 ettari, eliminando il degrado in cui versano i vari<br />
immobili e recuperando le parti più significative del Campo ma, inoltre, tendere<br />
a valorizzare un luogo di importante significato storico, con il coinvolgi-<br />
145
mento delle pubbliche istituzioni e di tutti coloro che ritengono ancora doveroso<br />
il richiamo agli orrori, ai drammi, alle iniquità ed alle sofferenze di un<br />
passato recente che non può e non deve ripetersi. Infatti, se si riconosce valido<br />
il principio in base al quale ogni uomo ha diritto alla vita e ad un livello di<br />
vita che gli consenta l’assolvimento dei suoi doveri nei confronti della società,<br />
riesce oltremodo difficile comprendere come il principale male che travaglia<br />
anche l’inizio del ventunesimo secolo, sia ancora rappresentato dalla<br />
guerra in varie parti del mondo. Quali uomini di pace, non ci stancheremo mai<br />
di affermare che la pace è possibile. Dunque, è doverosa. Per questo, la pace<br />
bisogna volerla; la pace bisogna procurarla.<br />
Questa pace, non possiamo non ricordarlo, l’Europa è riuscita a garantirla ai<br />
suoi abitanti, nella seconda metà del secolo ventesimo, favorita dalla costruzione<br />
dell’Unione Europea, che attualmente vede 25 Paesi (che diverranno 27<br />
nel gennaio 2007), protesi a realizzare l’unione dei popoli europei non soltanto<br />
sul piano economico e monetario, ma anche su quelli della sicurezza e della<br />
politica estera, consentendo all’Europa di parlare al mondo con una sola voce.<br />
Impegno, dunque, a ricordare, a insegnare, a testimoniare. Un impegno che<br />
non esclude nessuno, nella consapevolezza che la lotta per la libertà, per la<br />
giustizia, per la pace, per la dignità della persona, non conosce soste.<br />
Riflettere, quindi, sul passato, per guardare avanti, mantenendo vivi quei<br />
valori che hanno contrassegnato un periodo drammatico non soltanto del<br />
nostro paese, ma dell’intera Europa e che debbono rappresentare un riferimento<br />
costante per l’ulteriore corso della nostra storia.<br />
Massimo Rendina – Segretario regionale Lazio dell’A.N.P.I.<br />
DA QUESTO LUOGO EMERGE UGUALMENTE SOFFERENZA FISICA,<br />
IL DOLORE E L’UMILIAZIONE DELLA PERSONA UMANA CHE<br />
ACCOMUNANO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> AD ALTRI LUOGHI SIMILI SPARSI<br />
NELLA PENISOLA<br />
Porto il saluto di tutte le Associazioni partigiane, dei familiari dei martiri, dei<br />
superstiti dei campi di sterminio; sono stato incaricato dai vari presidenti di<br />
comunicarvi il nostro compiacimento e ringraziamento a Mario Costantini, a<br />
Carlo Costantini, alla sig.ra Rossi e a tutti quelli che hanno organizzato questa<br />
bellissima manifestazione. Sono un po’ emozionato perché in effetti, guar-<br />
146
dare questi fabbricati fatiscenti ci porta col pensiero al concentrazionismo<br />
che fu uno dei fenomeni più tristi e drammatici della seconda guerra mondiale.<br />
Il concentrazionismo risale a molto prima, lo troviamo nella storia millenaria<br />
delle sopraffazioni di etnie, popoli , nazioni su altri per ridurre il<br />
“nemico” in stato di schiavitù, ma nel 900 diventa mezzo punitivo e di sfruttamento<br />
mediante il lavoro forzato degli oppositori ai regimi autoritari. Il termine<br />
gulag è emblematico nella storia dello stalinismo come la parola lager<br />
in quella del nazismo, anche se paragonare le due dittature è un azzardo compiuto<br />
da certo revisionismo, inaccettabile a causa di differenze sostanziali<br />
delle cause e degli eventi che videro protagonisti Stalin e Hitler. Nel primo<br />
caso è la trasformazione in dittatura, ferocemente oppressiva, della palingenesi<br />
comunista tradendo i principi stessi dell’umanesimo marxista, nel<br />
secondo si tratta dell’applicazione di una ideologia che investe di poteri di<br />
morte l’Herrevolk, il “popolo dei signori” espresso dalla “razza ariana”,<br />
sino al genocidio di intere popolazioni, etnie, gruppi sociali -al primo posto,<br />
destinato alla distruzione totale il popolo ebraico- combinazione perversa di<br />
teorie senza fondamento con il pan germanesimo, il revanchismo che addossa<br />
principalmente agli ebrei la sconfitta della Germania nella prima guerra<br />
mondiale.<br />
Anche l’Italia fascista non è da meno quanto a razzismo, certamente non con<br />
la tecnica ”industriale” dello sterminio praticata dai nazisti e con quella diffusione<br />
del concentrazionismo della Germania e dell’Unione Sovietica, ma<br />
oggi, proprio ponendo al centro di questo incontro Le Fraschette, vediamo<br />
anche qui, luogo di reclusione e confino di intere famiglie slave strappate<br />
dalla loro terra, farsi avanti lo spettro del razzismo, per il ruolo dato da<br />
Mussolini ad una pretesa “stirpe italica” o “romana” investita dalla “missione”<br />
di aggredire e occupare militarmente altre nazioni. Le Fraschette sono<br />
elemento emblematico del “concentrazionismo” nell’Italia fascista e nazifascista<br />
anche se non con la drammaticità di altri “campi”, come Fossoli e specialmente<br />
la risiera di San Sabba. Qui non sono stati consumati omicidi di<br />
massa, non sono state istallate camere a gas, inceneritori delle ”fabbriche<br />
della morte”, ma da questo luogo emerge ugualmente sofferenza fisica, il<br />
dolore e l’umiliazione della persona umana che accomunano Le Fraschette<br />
ad altri luoghi simili sparsi nella penisola, come ci ha ricordato Olini. Qui<br />
nasce, però, con la presa di coscienza che occorra battersi, oggi, in questo<br />
stesso momento, contro uguali violenze ancora perpetrate nel mondo, nasce<br />
la speranza che ciò che è accaduto oltre mezzo secolo fa ci serva da monito<br />
per renderlo storicamente e moralmente irripetibile.<br />
147
Dobbiamo superare lo scoramento che ci prende nel registrare il fallimento<br />
della storia, della nostra storia di partigiani, quando conclusa la guerra, pensavamo<br />
all’avvento di una intramontabile stagione di pace e solidarietà certi<br />
che quello sarebbe stato il premio del sacrificio di martiri e caduti .<br />
Un’impresa che sembra impossibile mentre nel mondo permangono teatri di<br />
guerra, dove anche il terrorismo fanatico concorre alle stragi di innocenti,<br />
mentre si susseguono in Africa le lotte tribali con bilanci che sfiorano il milione<br />
di morti, mentre per incapacità e egoismo dei centri di potere internazionali<br />
continuano a consumarsi gigantesche morie per inedia e malattie nel<br />
terzo e quarto mondo.<br />
Dobbiamo impegnarci, laici e cristiani, per fedeltà alla nostra storia e ai nostri<br />
ideali nella battaglia per la pace, battaglia per la solidarietà.<br />
C’è un altro problema cui voglio accennare. Questo nostro incontro è anche<br />
una risposta al revisionismo, a quel movimento pseudo-culturale che vuole<br />
cancellare la storia. Qui dichiariamo, con questa rievocazione, che la storia<br />
non può essere stravolta, offesa nelle verità inoppugnabili. Ci sono vari revisionismi,<br />
un revisionismo chiamiamolo assoluto che è il negazionismo, che<br />
addirittura nega l’Olocausto. Poi abbiamo un revisionismo strisciante che è<br />
quello che dice che in fondo tutti siamo uguali, fascisti e antifascisti, che questa<br />
guerra ha accomunato tutti e pertanto non andrebbe riconosciuto chi combatteva<br />
per la libertà e chi combatteva contro la libertà, tutti coinvolti in<br />
un’unica tragedia.<br />
Questo revisionismo presenta dei lati che vorremmo definire grotteschi se non<br />
rivelassero nell’ideologia fascista che si rinnova a causa dei cattivi maestri lo<br />
stesso disprezzo per i sentimenti umani. Facciamo un esempio. Mentre noi<br />
partigiani riconosciamo nella madre che piange il figlio morto, fascista o antifascista,<br />
la medesima, identica. indistinguibile espressione di dolore, e altrettanto<br />
uguali sono la nostra commiserazione e la pietà per lei e per chi è caduto,<br />
anche dalla parte avversaria, ciò non accade, negli epigoni fascisti e neonazisti..<br />
Mai una lapide un monumento, un segno che ricordi un morto fascista<br />
è stato rovinato da un partigiano o da un antifascista, mentre lordare le<br />
lapidi che ricordano i nostri caduti, danneggiarle. è costume e vanto dei fascisti<br />
e neofascisti capaci anche di oltraggiare i cimiteri ebraici.<br />
A parte le scritte infamanti sui muri, anche scurrili, contro la Resistenza e a<br />
dileggio e disprezzo dell’olocausto ebraico, il mito dello squadrismo fascista,<br />
con le spedizioni punitive, sta trovando adepti specialmente nelle scuole.<br />
Abbiamo contato più di 150 aggressioni in pochi giorni, negli istituti romani<br />
da parte di giovani fascisti, vittime ragazze e ragazzi che non ne accettano la<br />
148
propaganda ideologica. Vorremmo che vi fosse più attenzione della polizia<br />
verso questi fenomeni. Da questa sala, da questo incontro tanto suggestivo,<br />
proprio per i fatti che abbiamo evocato nella storia di Le Fraschette, prenda<br />
sostanza e si diffonda come dovere, e richiamo alla libertà, alla convivenza<br />
civile, alla promozione della persona umana, l’impegno antifascista.<br />
Fabio Galluccio – storico - scrittore<br />
LA SITUAZIONE DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA<br />
OGGI È TRAGICA, NON C’È NULLA CHE LI RICORDI, TRANNE IN<br />
ALCUNI CASI. AD ESEMPIO A FOSSOLI<br />
La prima volta che sono venuto qui ad Alatri era il 1999 ed era una delle tante<br />
tappe di un viaggio che ho iniziato a fare in questo Paese, nel mio Paese, dove<br />
purtroppo di “memoria” se ne parla il 27 gennaio, ma non si ricorda nei luoghi<br />
dove l’internamento e non solo l’internamento è avvenuto.<br />
Noi siamo stati alleati dell’esercito americano che ci ha liberato ma dopo<br />
essere stati sconfitti nella rovinosa guerra in cui ci ha trascinato il fascismo.<br />
Questa doppia veste ha permesso forse alla giovane democrazia di dimenticare<br />
tutto quello che è avvenuto durante il ventennio.<br />
Il fatto stesso che dei campi di internamento se ne siano occupati non gli storici,<br />
ma cittadini comuni la dice lunga.<br />
Io lavoro per un’azienda, Carlo Spartaco Capogreco è un medico, Gianni<br />
Oliva, un giornalista. Solo Costantino Di Sante è un giovane ricercatore. Enzo<br />
da sx<br />
Enrico Campedelli<br />
sindaco di Carpi<br />
Fabio Galluccio<br />
scrittore<br />
149
Collotti ne ha parlato in alcuni suoi libri, ma non so citare un professore accademico<br />
che si sia interessato in modo specifico di questo tema .<br />
Ho iniziato il mio viaggio in giro per l’Italia alla scoperta dei campi da<br />
Ferramonti in Calabria per arrivare poi ad Alatri passando da Rocca Toderighi,<br />
Civitella del Tronto, Campagna, Montechiarugolo e tante altri paesi. Non c’è<br />
regione italiana che non abbia avuto il suo campo. Erano più di 240.<br />
Il mondo concentrazionario vede la sua origine nel 1940. Con legge pubblicata<br />
in Gazzetta Ufficiale furono istituiti campi di concentramento per cittadini<br />
cosiddetti stranieri, ma in realtà vi furono deportati per la maggior parte<br />
ebrei anche italiani, zingari, omosessuali, slavi e persone che erano cittadini<br />
di paesi in guerra con l’Italia (inglesi o francesi e così via). Questi campi<br />
risultano essere circa 40 . Quaranta campi istituiti soprattutto nell’Italia centro<br />
meridionale: l’Abbruzzo ne conta ben 16, ma non c’è un censimento ancora<br />
definitivo. Gli altri campi furono realizzati nel corso degli anni, soprattutto<br />
nel periodo della Repubblica Sociale.<br />
Spesso le persone erano internate in edifici o istituti requisiti oppure erano<br />
campi costruiti ad hoc come questo de Le Fraschette vicino ad Alatri e come<br />
quello di Ferramonti.<br />
Il 6 aprile del 1941 l’Italia poi invade la Jugoslavia, una pagina pochissimo<br />
conosciuta - l’ha citata Costantini nel filmato girato dai ragazzi delle scuole<br />
di Alatri -. Ci furono saccheggi di villaggi, morti, incendi e furono costruiti<br />
vari campi di concentramento non solo in Italia: Renicci, Anghiari, Gonars,<br />
Padova, Rab e molti altri che ospitarono un gran numero di sloveni e croati.<br />
A Rab, dove sono andato due anni fa ci furono parecchi morti, non si sa ancora<br />
quanti, ma chi vi si reca ha lo sconforto di vedere 1400 nominativi di persone,<br />
per lo più ebrei, che là trovarono la morte. Non c’è una bandiera italiana<br />
e non c’è una targa italiana che ricordi e che si scusi di quello che è avvenuto<br />
in quell’isola. C’è stata soltanto la Fondazione Ferramonti, che è una<br />
Fondazione privata, presieduta da Carlo Spartaco Capogreco. che ha apposto<br />
una targa in sloveno e in italiano per ricordare quello che è avvenuto.<br />
A Gonars vi fu un altro campo di concentramento. Lì si contano circa 500<br />
morti. Renicci è un altro campo dove la vita era molto dura. Lì furono internati<br />
prevalentemente slavi. La gente del posto ricorda che arrivavano persone<br />
prese con il camice da medico, con il vestito di sposi. Molte persone sopravvissero<br />
mangiando ghiande a Renicci. I morti pare che furono circa 200. Non<br />
abbiamo cifre esatte perché questo lavoro di documentazione è lungo e<br />
dovrebbe essere affidato al mondo accademico e al mondo politico i quali<br />
sembrano latitanti.<br />
150
Ad Alatri c’era inizialmente un’alta mortalità soprattutto tra i bambini. Poi<br />
l’intervento di mons. Facchini, vescovo di Alatri, con la creazione di un asilo<br />
all’interno del campo affidato alle suore Giuseppine, come è stato ricordato<br />
qui, migliorò questa situazione.<br />
Però anche qua non sappiamo quanti furono i morti; c’è un elenco di quaranta,<br />
cinquanta persone che non ce la fecero. So che il comune di Alatri ha aperto<br />
gli archivi e quindi vi invito anche a lavorare su questo.<br />
Le leggi razziali che noi in qualche modo attribuiamo soltanto al mondo<br />
ebraico, promulgate nel 1938, erano già in qualche modo realizzate nei territori<br />
limitrofi alla Jugoslavia nel 1925 nei confronti degli slavi che erano cittadini<br />
italiani. Non si poteva parlare lo slavo , furono chiuse tutte le associazioni<br />
culturali slovene, tutti i nomi slavi furono trasformati in nomi italiani.<br />
Perfino i vescovi e le suore non potevano parlare sloveno. I vescovi slavi furono<br />
sostituiti con vescovi italiani. Il generale Robotti scriveva in quel periodo<br />
“si ammazza troppo poco” e poi “non dente per dente ma testa per dente”.<br />
A voler dire dobbiamo uccidere il più possibile e fare pulizia etnica.<br />
Vi dico queste cose non perché mi compiaccia nel dirle, ma perché questa storia<br />
è pochissimo conosciuta in Italia. La BBC ha realizzato su quel periodo un<br />
documentario “Fascist legacy”. Ebbene, questo documentario acquistato dalla<br />
Rai, nel 1989 non è stato mai trasmesso. Il documentario, che ho avuto la fortuna<br />
di vedere in una Giornata della Memoria a Reggio Emilia, è un’accusa<br />
molto dettagliata dei crimini italiani non solo in Jugoslavia ma anche in Africa.<br />
La situazione dei campi di concentramento in Italia oggi è tragica, non c’è<br />
nulla che li ricordi, tranne in alcuni casi. Ad esempio a Fossoli che però fu un<br />
campo soprattutto di transito ed era governato dai nazisti. Alla Risiera di San<br />
Sabba a Trieste, ma anche lì erano i nazisti a dirigere il campo. Gli altri<br />
campi sono in uno stato di abbandono. In Abruzzo l’anno scorso sono andato<br />
in una scuola a Nereto dove c’era un campo fascista. Ho detto che non mi<br />
interessa più venire a parlare di memoria, perché parliamo solo di Auschwitz<br />
e portiamo i nostri ragazzi a vedere Auschwitz, quando non vediamo le cose<br />
che sono sotto i nostri occhi, sotto casa nostra. Questa è secondo me una cosa<br />
incomprensibile perché non si può insegnare la memoria, la storia in questa<br />
maniera. E in effetti quest’anno hanno apposto a Nereto una targa che ricorda<br />
quanto avvenuto. Le scuole in questo panorama sono quelle che fanno<br />
molto più delle autorità civili ed io ringrazio veramente i professori ed i ragazzi<br />
che hanno fatto questo.<br />
Nel campo di concentramento di Civitella del Tronto dove sono praticamente<br />
morti tutti, tranne una persona, perché sono stati trasportatii ad Auschwitz, oggi<br />
151
è una villa dove si festeggiano matrimoni. Potrei citare altre realtà come questa.<br />
Nel 2003 il 31 gennaio, poco dopo la Giornata della Memoria, la<br />
Commissione cultura della Camera ha impegnato il Governo a farsi promotore<br />
di un progetto per l’individuazione di tutti i luoghi che sono stati sede di<br />
campi di concentramento in Italia e di un percorso della Memoria che colleghi<br />
tutti questi luoghi. Credo sia rimasta lettera morta come tante altre cose<br />
rimangono tali in questo Paese.<br />
La Commissione Tina Anselmi, istituita dal primo governo Prodi, che ha lavorato<br />
in maniera egregia per la restituzione dei beni tolti agli ebrei e per fare un<br />
censimento di quanto avvenuto in quegli anni ha finito lavori ormai da quasi<br />
un quinquennio. Di questa Commissione non è stato dato nessun seguito.<br />
Grazie<br />
Enrico Campedelli – sindaco di Carpi<br />
ABBIAMO CONTINUATO NEL PROMUOVERE LA MEMORIA,<br />
ATTRAVERSO <strong>LE</strong> GIUSTE COMMEMORAZIONI MA SOPRATTUTTO<br />
ATTRAVERSO RICERCHE STORICHE, AVVIANDO DEI PERCORSI<br />
IMPORTANTISSIMI DI INFORMAZIONE E DI SENSIBILIZZAZIONE<br />
DEI CITTADINI E SOPRATTUTTO DEI GIOVANI<br />
Il sindaco ricorda innanzitutto la tradizione partigiana di Carpi e riferisce che<br />
alcuni episodi della Resistenza sono stati commemorati proprio di recente.<br />
Nel nostro territorio, nel nostro comune si è lavorato da sempre sul tema della<br />
memoria, sul ricordare, sull’analizzare le situazioni, cioè leggere la storia.<br />
Carpi, prima zona partigiana, medaglia d’argento al valor militare e medaglia<br />
d’oro al valor civile per fatti legati appunto ai momenti resistenziali, ha contato<br />
sul suo territorio numerosi atti di coraggio da parte dei cittadini e ha toccato<br />
con mano la presenza di un campo di smistamento verso i campi di sterminio<br />
del nord Europa. È proprio partendo da queste eredità che<br />
l’Amministrazione comunale ha iniziato questo lavoro fin dai primi anni 50,<br />
con la creazione di una mostra itinerante che riguardava l’olocausto e la<br />
shoah, mostra che ha portato alla ribalta nazionale ciò che era accaduto pochi<br />
anni prima. E di amministrazione in amministrazione si è arrivati al 1973 con<br />
l’inaugurazione del “Museo monumento del deportato politico e razziale nei<br />
152
campi di sterminio nazisti”, proprio all’interno del palazzo storico di Carpi,<br />
sulla piazza dei Martiri, la piazza principale della città. Scelta molto significativa,<br />
molto importante quella di arrivare alla costruzione di un Museo, oggi<br />
noi possiamo contare più di 30 mila visitatori l’anno tra Museo e Campo di<br />
Fossoli, e visitare quei luoghi rappresenta un momento molto ma molto toccante,<br />
alcuni di voi, visto il rapporto già esistente con Carpi, il sindaco che mi<br />
ha preceduto ha mantenuto un rapporto con i vostri amministratori, alcuni di<br />
voi dicevo, sono già venuti a Carpi a visitare sia il Campo che il Museo monumento<br />
e possono confermare questo stato d’animo. Nel 1984 la nostra<br />
Amministrazione è riuscita ad acquisire il Campo di Fossoli dal Demanio e da<br />
lì è iniziato un lavoro di sensibilizzazione delle persone e del territorio. Si è<br />
partiti prima con un concorso di idee che ha visto progettisti di fama nazionale<br />
intervenire e presentare delle proprie proposte per un possibile recupero del<br />
sito concentrazionale, si è recuperata inizialmente una baracca, ma soprattutto<br />
si sono costruite le basi per la creazione del percorso per arrivare a dare vita<br />
e gambe a questo progetto, a questa idea. Nel 1995, anche sotto la spinta di<br />
una <strong>Associazione</strong> di cittadini che si era formata, l’“<strong>Associazione</strong> amici del<br />
Museo Monumento”, viene istituita la Fondazione del Campo di Fossoli.<br />
Fondazione che ha, ad arrivare ad oggi, vissuto tre fasi molto importanti. La<br />
prima è stata quella dell’acquisizione del sito e della partenza del progetto<br />
culturale e storico, quindi anche di ricerca che ha visto l’Amministrazione<br />
comunale impegnata in prima fila. Non a caso all’atto della costituzione della<br />
Fondazione il presidente era il sindaco ed è stato molto importante perché<br />
comunque non è sempre facile costituire e far crescere istituzioni di questo<br />
tipo. Vi è stata poi una seconda fase che ha coinciso con il reperire le risorse<br />
per iniziare a rendere visitabile il campo e quindi la ristrutturazione di una<br />
baracca, l’individuazione e la delimitazione dei confini e quindi l’avvio della<br />
ricerca e della progettazione sul campo. Oggi la Fondazione si occupa della<br />
gestione non solo del Campo ma anche del Museo Monumento, attraverso<br />
guide e volontari che si fanno carico quotidianamente di tutta l’organizzazione.<br />
Nel 2005 lo Statuto della Fondazione Campo Fossoli è stato modificato<br />
nel senso che ha preso l’avvio una terza fase con lo scopo di rendere maggiormente<br />
autonoma la Fondazione e consentirle anche di andare al di là del singolo<br />
rapporto con l’Amministrazione comunale di Carpi. Con lo scopo quindi<br />
di allacciare diversi rapporti con altri enti locali, con altri soggetti privati,<br />
con altre istituzioni. Questo ha voluto significare di fatto un’uscita da parte<br />
dell’Amministrazione Comunale dagli organismi direttivi della Fondazione, il<br />
che non ha significato disimpegno, ma possibilità concreta di partecipazione<br />
153
attiva ad altri soggetti quali l’Università di Modena e Reggio, la Regione e<br />
altri. Non a caso ora il presidente della Fondazione è l’avv. Francesco Berti<br />
Arnoaldi Veli che tanti di voi conosceranno certamente e il direttore il Dott.<br />
Giovanni Taurasi che è carpigiano, ricercatore di storia contemporanea. Si è<br />
partiti dunque con un’ottica un po’ diversa e si è partiti, devo dire, bene, nel<br />
senso che ad oggi noi stiamo organizzando diverse importanti iniziative.<br />
Prima parlavo del territorio carpigiano, della nostra città, devo dire che si sono<br />
incrementate diverse iniziative, diverse ricerche anche sull’utilizzo successivo<br />
perchè il Campo è stato utilizzato in vari modi negli anni successivi la<br />
guerra, da sede della comunità di Nomadefia di Don Zeno Saltini a campo per<br />
i profughi giuliani. La Fondazione per studiare queste trasformazioni ha di<br />
recente pubblicato ricerche sul Campo, l’ultima è stata quella sui profughi<br />
giuliani che hanno vissuto nel Campo di Fossoli fino ai primi anni settanta<br />
fino a quando cioè l’amministrazione comunale non ha costruito abitazioni<br />
all’interno della città. Ricerca che poi è stata presentata nella giornata del<br />
ricordo dello scorso anno. Chiaramente all’interno del campo si intrecciano<br />
diverse storie e diversi avvenimenti, impegni e sacrifici di persone di svariate<br />
provenienze, se pensiamo all’impegno dello stesso vescovo di Carpi nel<br />
periodo fascista, mons. Federico Vigilio della Zuanna che ha ricevuto la<br />
medaglia d’oro al valor civile per il sostegno e l’aiuto dato non solo agli internati<br />
del campo ma che è stato anche protagonista del salvataggio in extremis<br />
di molte persone, come quelle che dovevano essere fucilate nella vicina frazione<br />
di Limidi per un atto di rappresaglia. Il suo intervento ha consentito che<br />
ciò non avvenisse e che si salvassero. Così come il parroco di Fossoli, don<br />
Francesco Venturelli che ha ricevuto la medaglia d’oro al valor civile per il<br />
sostegno e l’aiuto dato agli internati del campo, era quello che faceva da tramite<br />
all’interno del campo e che aveva rapporti con il “Giusto tra le Genti”<br />
Odoardo Focherini che era stato scoperto mentre stava aiutando a salvare<br />
dalla deportazione centinaia di ebrei insieme a don Dante Sala. Per il campo<br />
di Fossoli, comunque sono passate figure molto importanti come ad esempio<br />
Primo Levi insieme ai tanti partigiani che hanno combattuto per la liberazione<br />
del nostro paese dal nazifascismo. Quindi, in conclusione abbiamo continuato<br />
nel promuovere la memoria, attraverso le giuste commemorazioni ma<br />
soprattutto attraverso ricerche storiche, avviando dei percorsi importantissimi<br />
di informazione e di sensibilizzazione dei cittadini e soprattutto dei giovani.<br />
Tanto per citare una delle iniziative che ricordo sempre perché mi ha toccato<br />
particolarmente appena diventato sindaco, non è l’unica iniziativa che<br />
costruiamo, ma è forse quella che dà più il senso delle cose, mi è stato chie-<br />
154
sto, essendo allora anche presidente della Fondazione, di partecipare all’iniziativa<br />
intitolata “Il treno per Auschwitz” aperto agli studenti delle scuole<br />
medie superiori.<br />
Il sindaco di Carpi illustra detta iniziativa (che è alla sua terza edizione)<br />
che è nata inizialmente con la collaborazione di altri Enti e Istituzioni (il<br />
comune di Brescia, provincia di Milano ecc.) e che oggi vede il sostegno<br />
anche della regione Emilia Romagna, il Ministero della Pubblica Istruzione,<br />
l’Unione Europea che ha coinvolto più di 650 ragazzi della Provincia di<br />
Modena e quella in programma sui 67 fucilati del poligono di tiro di Carpi<br />
(anche in vista della costruzione di un particolare monumento alla memoria<br />
di essi).<br />
Remo Costantini – Assessore alla Cultura del Comune di Alatri<br />
PERSONALMENTE, ESSENDO ANCHE UN AMANTE DELLA STORIA<br />
DI ALATRI, NON MI DISPIACEREBBE LA VOSTRA IDEA DI ISTITUI-<br />
RE UN CAMPO DELLA MEMORIA E DEL RICORDO, PERCHÉ È UNA<br />
PAGINA DELLA STORIA DI ALATRI E D’ITALIA CHE DEVE ESSERE<br />
CONOSCIUTA.<br />
da sx Enrico Campedelli, Fabio Galluccio, il coordinatore Mario Costantini presenta<br />
l’assessore del comune di Alatri avv. Remo Costantini, a dx Rendina e Centra<br />
155
Buongiorno a tutti. Premetto subito di non poter prendere alcun impegno in<br />
relazione alla futura destinazione del luogo in cui ci troviamo, in quanto il<br />
campo Le Fraschette non è ancora di proprietà del Comune di Alatri e bisogna<br />
vedere se il contributo di 1 milione di euro sarà sufficiente o meno per<br />
l’acquisto dell’area. Come Amministrazione non abbiamo ancora discusso<br />
sull’eventuale destinazione di quest’area: personalmente, essendo anche un<br />
amante della storia di Alatri, non mi dispiacerebbe la vostra idea di istituire<br />
un campo della memoria e del ricordo, perché è una pagina della storia di<br />
Alatri e di Italia che deve essere conosciuta anche per evitare che si commettano<br />
in futuro gli stessi errori. Questo è sicuramente un messaggio che come<br />
amministratori dobbiamo alla collettività ed alla città: posso assicurare, pertanto,<br />
l’impegno e la vicinanza alle manifestazioni che si vorranno porre in<br />
essere. Mi dispiace di aver interrotto il convegno e di dover andare via, ma<br />
avevo preso degli impegni prima di ricevere il Vostro invito: mi informerò<br />
comunque sul prosieguo e sulle conclusioni di questa giornata. Auguro buon<br />
convegno a tutti.<br />
156
Dalla relazione di Giovanni Taurasi direttore<br />
della “Fondazione ex Campo Fossoli”<br />
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FOSSOLI:<br />
STORIA, RICERCA, ATTIVITÀ<br />
CULTURALI E DIDATTICHE.<br />
Nascita e collocazione del Campo<br />
Il campo di Fossoli nasce nel maggio 1942<br />
in seguito al “decreto di occupazione d’urgenza”<br />
di un’area nella frazione carpigiana da parte<br />
del Ministero della guerra.<br />
Probabilmente la scelta dipende da fattori strategici<br />
e di sicurezza: la frazione di Fossoli, relativamente isolata,<br />
dista 5 Km dal comune di Carpi, dotato di buoni<br />
collegamenti viari e di una stazione ferroviaria.<br />
Si tratta di una zona all’interno della quale è facile<br />
tenere sotto controllo un alto numero di prigionieri<br />
e sono al contempo vicini collegamenti veloci<br />
sia in direzione nord-sud (la linea ferroviaria<br />
Modena-Mantova) sia est-ovest (la via Emilia).<br />
157
158<br />
Le fasi di utilizzo del Campo<br />
Giugno 1942 – Settembre 1943<br />
Prigionieri di guerra<br />
angloamericani<br />
Dicembre 1943 – Novembre 1944<br />
Ebrei italiani e stranieri - Oppositori politici al regime<br />
Rastrellati civili destinati al lavoro nel Reich<br />
Estate 1945 – Maggio 1947<br />
Stranieri indesiderabili e dispersi<br />
Maggio 1947 – Agosto 1952<br />
Bambini abbandonati e famiglie adottive<br />
Nomadelfia<br />
Luglio 1954 – Marzo 1970<br />
Profughi giuliano-dalmati<br />
Villaggio San Marco
La strage di Cibeno<br />
Il 12 luglio 1944 sessantasette internati politici di Fossoli<br />
vengono fucilati nel poligono di tiro della vicina frazione<br />
di Cibeno.<br />
La strage è predisposta dalla Gestapo centrale per l’Italia<br />
con sede a Verona.<br />
La storiografia più recente esclude precedenti interpretazioni<br />
secondo le quali la strage sarebbe stato un atto di<br />
rappresaglia e la collega invece alla volontà di stroncare<br />
un’organizzazione di resistenza interna, eliminando personalità<br />
di rilievo come ex ufficiali, tra i quali il capo della resistenza<br />
“badogliana” Jerzi Sass Kulzyschi, e un gruppo di<br />
intellettuali lombardi di area cattolica, come l’ingegner Carlo<br />
Bianchi e Teresio Olivelli.<br />
La mattina del 12 luglio 1944 settanta internati politici (in<br />
realtà sessantanove, perché Teresio Olivelli riesce a nascondersi),<br />
vengono prelevati in tre riprese dal Campo e portati al<br />
Poligono di tiro di Cibeno, dove vengono uccisi.<br />
Due condannati del secondo gruppo si ribellano e riescono a<br />
fuggire.<br />
L’eccidio, anomalo rispetto ad episodi simili, non ha ancora<br />
avuto giustizia né sono chiare le ragioni.<br />
159
La politica della memoria<br />
Negli anni Cinquanta l’amministrazione comunale<br />
affronta la questione di come conservare la memoria<br />
delle sofferenze che hanno attraversato il Campo e promuoverne<br />
il ricordo.<br />
Nel 1955 organizza una mostra fotografica e documentaria<br />
sulla deportazione nei campi nazisti, la prima in Italia,<br />
che viene successivamente portata con grande successo di<br />
pubblico in numerose città italiane.<br />
Le successive amministrazioni comunali realizzano il progetto,<br />
a lungo studiato, di un<br />
“ Museo Monumento al Deportato politico e razziale”<br />
all’interno del rinascimentale Palazzo dei Pio, inaugurato<br />
nel 1973.<br />
In quell’occasione il Comune avanza all’Intendenza di<br />
Finanza una richiesta ufficiale per l’acquisto dell’area del<br />
Campo, ancora di proprietà demaniale.<br />
160
Dopo l’acquisizione del Campo<br />
Nel 1984 l’amministrazione locale acquisisce dal demanio<br />
il Campo a titolo gratuito e dà inizio alla riflessione in merito<br />
alla possibilità di un recupero di tipo filologico, giudicato,<br />
all’epoca, sostanzialmente improponibile.<br />
Nasce così l’idea di indire un concorso internazionale per<br />
progetti, con la dichiarata intenzione di trasformare il Campo<br />
in un Parco per la cittadinanza.<br />
Agli inizi degli anni ’90, un generale ritrovato interesse<br />
per il tema memoria della deportazione porta alla nascita<br />
dell’<strong>Associazione</strong> degli Amici del Museo Monumento e<br />
riporta Campo e Museo Monumento al centro dell’attenzione<br />
dell’amministrazione comunale, mentre il progetto<br />
di recupero viene sostanzialmente abbandonato.<br />
Sull’onda di una nuova sensibilità di stampo europeo, viene<br />
ripresa in considerazione un’ipotesi dichiaratamente filologica<br />
che non stravolga il sito.<br />
Viene così recuperata una delle baracche del campo nella<br />
quale è iniziato il lavoro di allestimento della parte est, destinata<br />
alle attività didattiche e culturali, e della parte ovest che<br />
accoglierà una mostra permanente.<br />
161
La Fondazione ex – Campo di Fossoli<br />
Nel 1995 il Comune di Carpi, nell’ambito dell’assessorato<br />
alla cultura, dà vita ad uno specifico Progetto-memoria<br />
e istituisce nel 1996 la “Fondazione ex-Campo Fossoli”,<br />
promossa congiuntamente all’<strong>Associazione</strong> “Amici del<br />
Museo Monumento” e dotata di un proprio statuto e di una<br />
struttura organizzativa.<br />
Gli obiettivi della Fondazione, che non ha scopo di lucro,<br />
sono la diffusione della memoria storica mediante la conservazione,<br />
il recupero e la valorizzazione dell’ex campo di concentramento<br />
di Fossoli; la promozione della ricerca storicodocumentaria<br />
sul Campo di Fossoli nelle sue diverse fasi di<br />
occupazione; la progettazione e l’attivazione di iniziative a<br />
carattere divulgativo, didattico e scientifico, rivolte in particolare<br />
alle scuole e ai giovani, negli ambiti di competenza<br />
propri della Fondazione, nonché dei diritti umani e dell’educazione<br />
interculturale.<br />
La Fondazione svolge attività di raccolta di documenti e<br />
testimonianze, di ricerca storica sul Campo di Fossoli e promuove<br />
attività didattiche e culturali sui temi di carattere storico.<br />
Dal 2001 la Fondazione si occupa direttamente della<br />
gestione dell’ex campo di concentramento di Fossoli e del<br />
Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale, grazie<br />
ad una convenzione con il comune di Carpi.<br />
162
Marilinda Figliozzi – Ufficio Cultura del Comune di Alatri<br />
SENZA AMBIZIONI DI RIGORE SCIENTIFICO O STORIOGRAFICO LA<br />
MIA È STATA UNA RICERCA DI TESTIMONIANZE DIRETTE DI CHI<br />
HA VISSUTO IN PRIMA PERSONA QUEGLI EVENTI, ALLO SCOPO DI<br />
DARE UN CONTRIBUTO PER RICOSTRUIRE IL CLIMA, LO STATO<br />
D’ANIMO, <strong>LE</strong> PAURE E <strong>LE</strong> SPERANZE CHE HANNO PERMEATO LA<br />
VITA DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> IN QUEGLI ANNI.<br />
Vorrei spendere preliminarmente qualche attimo per spiegare la mia presenza<br />
tra i relatori di questo convegno. Per aiutare mia figlia a realizzare un filmato,<br />
mi sono lasciata prendere dalla storia del Campo Le Fraschette per cui ho<br />
messo insieme i miei ricordi e quello che avevo letto e sentito. Ho cominciato<br />
a documentarmi e soprattutto a fare domande ai miei concittadini più<br />
attempati. È emersa una grande confusione di date, di persone, di ricordi.<br />
Lo stimolo alla ricerca mi è stato dato dall’amico Carlo Costantini che ha<br />
tanto preso a cuore la storia del Campo Le Fraschette, pervasa dal dramma di<br />
tante famiglie e tanti uomini; ho cercato quindi di ricomporre gli eventi: dagli<br />
anni ’42-’45, alla ricostruzione nel ’47, alla fase di ristrutturazione del ’59,<br />
fino alla chiusura e all’abbandono definitivo.<br />
L’occasione che mi è stata data non si esaurisce in questo autorevole<br />
Convegno, ma continua con ulteriore impegno di ricerca e di approfondimento<br />
volti a comprendere che cosa abbia rappresentato il campo Le Fraschette<br />
nelle sue varie fasi<br />
Le Fraschette ti appassiona in tutta la sua vicenda, perché è la sintesi di mezzo<br />
secolo di storia dell’Europa e del nord Africa. Tale periodo ci è passato accanto<br />
e noi Alatresi non ce ne siamo accorti. Ben pochi si sono resi conto di chi<br />
siano stati gli “ospiti” del campo e si sono chiesti perché portati a Le<br />
Fraschette, e comunque di quanto dolore sia passato di lì, perché tutti – buoni<br />
o meno buoni - avevano lasciato la Patria, la casa, la famiglia, gli amici, gli<br />
affetti.<br />
Senza ambizioni di rigore scientifico o storiografico la mia è stata una ricerca<br />
di testimonianze dirette di chi ha vissuto in prima persona quegli eventi,<br />
allo scopo di dare un contributo per ricostruire il clima, lo stato d’animo, le<br />
paure e le speranze che hanno permeato la vita di Le Fraschette in quegli<br />
anni.<br />
163
Per quel che riguarda il periodo che in quest’occasione ci interessa, è da fare<br />
riferimento all’unica lettera autografa partita dal campo da cui traspare la<br />
rassegnazione e il senso di impotenza di fronte alle lungaggini burocratiche<br />
di una certa Lidia Geber che chiede aiuto ad un cappellano militare.<br />
“caro don Ignazio (…) spero che questa mia vi troverà in buona salute come<br />
godo pure io, fino ad ora grazie a Dio. Come vedete sono ancora sempre qui,<br />
attendo giorno per giorno che mi venisse di andare a casa, ma finora niente:<br />
mi pare molto strano (...) La prego di informarsi al ministero degli interni e<br />
di mandare avanti la mia liberazione già che a Trieste l’hanno fatta e anche<br />
mia madre mi scrive che hanno detto all’ispettorato a Trieste che pare strano<br />
che ci tengono ancora qui dopo tanto che siamo chiusi qui.<br />
Vi prego di farmi questa carità .Qui è molto caldo, insopportabile di giorno,<br />
di notte fa molto freddo. Per ora vi ringrazio”<br />
Ben diverso è l’ardore con cui rivendica i suoi diritti Emilia Buonacosa, trasferita<br />
da Ventotene a Le Fraschette perché considerata pericolosa per la sicurezza<br />
pubblica e dal punto di vista politico e sociale.<br />
Protesta scrivendo alla sezione confinati politici del Ministero degli Interni<br />
perché “…l’alimentazione è un’alimentazione di fame. Tutte le tessere sono<br />
state ritirate e per questo non si riceve neppure la metà di roba che ci spetta<br />
secondo la legge d’alimentazione in tempo di guerra. Ancora peggiore è il<br />
fatto che tutta la mazzetta di lire 9 - la quale ci spetta come confinate ed inter-<br />
164
nate politiche- viene presa per due razioni di minestra uso acqua calda e per<br />
100 grammi di pane. A noi non rimane nemmeno una lira per i nostri bisogni<br />
personali, per la frutta, della quale abbiamo assolutamente bisogno come di<br />
altra roba fresca.<br />
(…) Facciamo presente che fra di noi la maggioranza non può ricevere nulla<br />
dalle famiglie e fra di noi ci sono delle ammalate di TBC, ammalate di stomaco<br />
di reni, cuore e quelle che hanno subito delle operazioni molto gravi e<br />
che devono continuamente curarsi. Noi tutte protestiamo energicamente contro<br />
questo trattamento e chiediamo la nostra immediata liberazione come<br />
confinate e internate politiche.<br />
con osservanza in nome di tutte (8 slave e una italiana) Buonacosa Emilia,<br />
Confinata politica Le Fraschette 27/8/1943”<br />
La storia di un altro gruppo di internati -gli anglo maltesi- la racconta Romeo<br />
Cini, che attualmente vive in Australia<br />
“Nel gennaio 1942, come un fulmine a ciel sereno, l’intera comunità venne<br />
arrestata. La comunità era formata allora da circa 2500 persone. Il 18 gennaio<br />
1942 fummo imbarcati su tre navi merci. Io arrivai a Napoli e con gli<br />
altri fui messo su un treno, senza sapere la nostra destinazione. Con la mia<br />
famiglia e con la maggior parte della comunità (600 persone), arrivai a<br />
Fiuggi, presso il Grande Albergo, un hotel chiuso da tempo ma riadattato ad<br />
alloggio per internati politici. Non avevamo nulla, perché ci avevano fatto<br />
abbandonare i bagagli al porto di Napoli. Fummo spogliati e disinfettati. Il<br />
giorno dopo ricevemmo i nostri abiti puliti e vedemmo, piacevolmente sorpresi,<br />
che stava nevicando. Era la prima volta che vedevamo la neve.<br />
Il primo ottobre 1942 ci fu ordinato di prepararci per il trasferimento al<br />
campo Le Fraschette […] Quando arrivammo al campo trovammo fango dappertutto<br />
a causa della pioggia torrenziale e dei lavori non ancora terminati.<br />
Ci stabilimmo in una grossa baracca dove trovammo file di cuccette con un<br />
materasso di paglia, tre coperte militari e un cuscino ciascuno. Le baracche<br />
erano divise in camerate con un lungo corridoio. Appendemmo alcune coperte<br />
per garantire un po’ di intimità alle donne. Il cibo era disgustoso e scarso,<br />
soffrivamo la fame. Mio padre si lamentò con il direttore del campo che era<br />
una brava persona, ma che non poteva andar contro alle direttive ricevute.<br />
La fame cominciò a farci deperire fisicamente. Mi ricordo che, quando riuscivamo<br />
a trovarle, le castagne erano l’unico alimento per calmare la terribile<br />
fame. Mi ricordo anche che alcuni soldati italiani che sorvegliavano il campo,<br />
165
davano parte della loro razione di pane ai bambini. Uno di loro era un siciliano<br />
di Canicattì, il cui nome non scorderò mai: Zettero.<br />
Una sera a fine novembre 1942, mentre eravamo seduti ai tavoli aspettando<br />
il pasto, la luce se ne andò lasciandoci al buio per parecchi minuti. Facemmo<br />
molto rumore con le nostre scodelle e un bimbo di 4 anni preso dal panico<br />
scappò dal controllo di sua madre. Inciampò e andò a finire nel calderone di<br />
zuppa bollente. I soldati accorsero e lo tirarono fuori, lo portarono subito<br />
all’ospedale di Alatri, ma le sue ustioni erano così gravi che morì. Quel bambino<br />
si chiamava Gaetano Falzon ed è sepolto al cimitero di Alatri. La fame<br />
era così terribile che non ci permise di rifiutare quella terribile zuppa. Oggi,<br />
con il cuore che mi trema, devo ammettere che tutti la mangiammo.<br />
Mio padre continuava a scrivere alla delegazione svizzera chiedendo l’intervento<br />
della Croce Rossa. Il 4 gennaio 1943, il primo vagone di viveri arrivò<br />
alla stazione di Frosinone. Le provviste furono conservate in un magazzino<br />
assegnato alla nostra comunità come dispensa e ufficio amministrativo. Mio<br />
padre ed altri maltesi gestivano l’ufficio. Da allora la situazione migliorò.<br />
Dopo pochi mesi i lavori nel campo furono terminati. C’era una piccola chiesa<br />
molto bella dedicata a San Francesco, una scuola e un sanatorio gestiti<br />
dalle suore, docce, campi sportivi, un bar all’entrata del campo e negozi di<br />
alimentari gestiti da tripolitani che avevano ottenuto l’autorizzazione a gestire<br />
piccoli esercizi commerciali. A febbraio fummo trasferiti in una parte<br />
migliore. (…) Passavamo qualcosa ai prigionieri slavi che non ricevevano<br />
aiuti umanitari nemmeno dalla Croce Rossa. Il campo era diventato per noi<br />
un piccolo villaggio abitato da internati politici che aspettavano solo la fine<br />
della guerra, avevamo anche una buona squadra di calcio e giocavamo contro<br />
la squadra degli slavi e quella dei guardiani del campo. Avevamo fatto<br />
amicizia con dei soldati italiani, tanto che quando loro tornavano a casa gli<br />
davamo sigarette cioccolato e the che noi ricevevamo con gli aiuti, perché li<br />
portassero alle famiglie. Indimenticabile per le sue azioni malvagie è rimasto<br />
un sergente soprannominato “Marionette”. Era basso, prepotente e soprattutto<br />
geloso dei nostri ragazzi che frequentavano le belle slave, spesso li puniva<br />
con la detenzione in isolamento..<br />
L’8 settembre 1943, due jeep di tedeschi arrivarono al campo per disarmare<br />
gli Italiani. Alcuni di loro si nascosero nelle nostre baracche e noi demmo<br />
loro degli abiti civili con cui poter scappare. I tedeschi ci dissero di non<br />
lasciare il campo, ma gli slavi fuggirono, ma noi restammo al campo senza<br />
custodia. I problemi ricominciarono di nuovo: gli aiuti non arrivavano più e<br />
i negozi erano vuoti, tre giovani furono inviati in missione presso la delega-<br />
166
zione svizzera, la pericolosa impresa riuscì e arrivò una grossa somma di<br />
denaro che noi usammo per comprare da mangiare. Un giorno arrivarono dei<br />
tedeschi e presero gli uomini per portarli ai lavori forzati: dopo alcune settimane<br />
essi fuggirono e tornarono al campo. Temendo una seconda retata mio<br />
padre suggerì ai giovani e agli uomini idonei a lavorare di fuggire sulle montagne<br />
circostanti. Ci rifugiammo nei fitti boschi aiutati dalla gente che abitava<br />
là e dalle nostre donne che venivano a trovarci e a portarci da mangiare.<br />
A metà dicembre tornammo al campo.<br />
Il 15 febbraio una squadra di aerei americani bombardò Le Fraschette, noi<br />
eravamo vittime innocenti dei nostri stessi alleati. Non avevamo vie di fuga.<br />
Alla fine contammo i morti e i feriti, questi ultimi furono trasporti da mezzi<br />
civili giunti in nostro aiuto all’ospedale di Alatri. I feriti erano molti e anche<br />
i mutilati permanenti, tra loro c’era Pasqualino Costa che è con noi a<br />
Melbourne, che perse il braccio destro. In quel tempo di paura le autorità<br />
civili italiane e quelle militari tedesche ad Alatri ordinarono l’immediato<br />
sgombro del campo.”<br />
Anche nel diario di Madre Mercedes Agostini è riportata la cronaca di quella<br />
terribile giornata del bombardamento, e alcuni particolari sono stati confermati<br />
e arricchiti dalla Signora Concetta Ellul in una mail trasmessami dal<br />
Canada, che vi leggo così come mi è pervenuta:<br />
“Il 5 febbraio 1944 alle ore 8 di mattina una squadriglia di aerei americani<br />
attaccò violentemente il campo Le Fraschette mitragliandoci senza pietà. Tanti<br />
morti e feriti, portati all’ospedale sugli autocarri dai paesi vicini Alatri. Mio<br />
padre, Michele Ellul con suo figlio Vincenzo erano feriti tutti e due sulla<br />
gamba. Nello stesso giorno il mio fratello ha fatto nove anni e perso l’intera<br />
gamba sinistra. Il nostro papà è morto il giorno dopo all’ospedale. Il mio papà<br />
è stato seppellito insieme con la gamba di Vincenzo ad Alatri. (…) Noi eravamo<br />
liberati alla fine di giugno 1944 da prigione del campo. Siamo andate con<br />
il treno da Roma fino a Napoli, era pieno di gente e pure di corpi morti. Mezzo<br />
viaggio di Roma a Napoli il treno era bombardato. Mia madre da quel giorno<br />
di la avuto tanto di difficultà con mia sorella Antonia aveva 9 anni. Maria<br />
aveva 5 anni, io avevo due anni e mezzo e il piccolo aveva tre settimane.”<br />
Romeo Cini ci racconta infine lo sgombro del Campo:<br />
“Il trasferimento iniziò nel pomeriggio di quello stesso giorno sotto una pioggia<br />
torrenziale. Prima donne anziani e bambini furono aiutati a salire sui<br />
camion e furono portati in un convento di suore ad Alatri, alloggiati in grandi<br />
sale su coperte stese sul pavimento. Nel pomeriggio del giorno seguente<br />
167
solo una piccola parte della nostra comunità venne trasferita a Roma,<br />
all’Accademia Britannica. Il resto arrivò il giorno dopo.”<br />
Dopo un lungo viaggio i Maltesi arrivano a Carpi. Da qui li portano al campo<br />
di concentramento di Fossoli, Cini ricorda:<br />
“(…) Nell’aprile del ’44, il giorno di Pasqua, l’intera popolazione di Fossoli,<br />
accompagnata dal Sindaco e dal medico locale, chiese alle autorità tedesche<br />
di permettere ai bambini di lasciare il campo e di trascorrere il giorno di<br />
Pasqua e quello seguente nel tepore delle loro case. La gente di Fossoli disse<br />
che si sarebbero presi loro ogni responsabilità. Questo fu un grande gesto, a<br />
cui i tedeschi acconsentirono. Tutte le famiglie di Fossoli vennero al campo a<br />
prendere i nostri bambini e li riportarono la sera con vestiti nuovi e molte<br />
altre cose buone. Questa dimostrazione di umanità dei modenesi toccò così a<br />
fondo i nostri cuori che non la dimenticheremo mai.<br />
La Gestapo, dopo aver saputo il motivo per cui eravamo nel campo, ci garantì<br />
la libertà e anche i documenti. I Modenesi, ancora una volta mostrarono la loro<br />
bontà e misero a nostra disposizione tutto quello che potevano. Così fummo<br />
alloggiati nelle varie case di contadini anche nelle frazioni vicine. Alla nostra<br />
partenza, la gente ci salutò con calore augurandoci ogni bene. Che brava<br />
gente! Meritano che per un momento io li ricordi per il loro grande cuore.”<br />
E infine la preziosa testimonianza di Ivan Galantic professore emerito di arte<br />
alla Tufts University negli USA<br />
“Primavera 1941 la Germania attacca la Yugoslavia, Un giorno una nave da<br />
guerra italiana attraccò al piccolo porto del mio villaggio Malinska. Il capitano<br />
della nave disse: “Sono venuto in nome di Vittorio Emanuele III re di<br />
Italia ad occupare questo villaggio”. Il responsabile del Porto chiese:” In<br />
nome di chi?“ In nome di Vittorio Emanuele III, capito?” “ Capito Signore”<br />
Tutti avevano capito che eravamo stati occupati da una forza straniera e che<br />
saremmo stati governati da un regime oppressivo.<br />
Non passò molto tempo che mi ritrovai ad essere trasferito dalla prigione<br />
locale a un campo di concentramento in Italia. (…)<br />
Dopo l’8 settembre, noi prigionieri del campo Le Fraschette ci ritrovammo<br />
liberi. E senza cibo. L’unica consolazione veniva dall’udire i colpi di cannone<br />
degli Alleati che combattevano a Cassino, che noi aspettavamo da un giorno<br />
all’altro. Ma passavano i mesi e la vita era difficile senza cibo. I contadini<br />
che vivevano nelle montagne intorno al campo non erano molto felici di<br />
168
vederci lì intorno. Infatti i tedeschi avevano fatto sapere loro che chiunque<br />
avesse aiutato i prigionieri politici sarebbe stato fucilato. (…)<br />
Io ero sempre molto affamato. Alla mia età qualche uovo o un frutto caduto<br />
non erano certo sufficienti. Un giorno di fine ottobre decisi che dovevo mangiare.<br />
Scelsi la casa di un contadino , che era isolata con l’intenzione di rubare<br />
qualcosa da mangiare. Aspettai fino a che la famiglia si fosse riunita per<br />
cenare. Quando vidi attraverso la porta aperta che la pietanza era stata portata<br />
in tavola , entrai. Sul tavolo basso c’era un piatto di legno fatto a mano<br />
che conteneva una pasta di granturco che si chiama polenta, con sopra della<br />
cicoria condita con aglio e olio. C’erano 6 o 7 persone intorno al tavolo e<br />
tutte mangiavano dallo stesso piatto.<br />
Li salutai e chiesi un po’ di acqua perché avevo sete. Loro mi guardavano<br />
senza rispondere. Avevo tenuto tutto il tempo gli occhi sulla polenta, con la<br />
chiara intenzione di affondarvi entrambe le mani, prenderla e scappare.<br />
Preso in queste considerazioni, con gli occhi sempre incollati sul pasto<br />
caldo, sentii le parole più belle della mia vita, accompagnate dal rumore di<br />
un altro sgabello avvicinato al tavolo e di un’altra forchetta che si piantava<br />
nella polenta. Non in Dante, nemmeno in Shakespeare e nemmeno nel<br />
Vangelo si possono trovare parole più belle , anche se pronunciate in un<br />
dialetto molto marcato: “che po fa’, pur’iss è figlie de mamma” In quella<br />
casa di contadini ho avuto testimonianza del più grande valore che l’uomo<br />
possa conoscere. Ho visto la bontà.”<br />
“Pur’iss è figlie de mamma”, “ anche lui è figlio di una mamma” ! Tale emblematica<br />
affermazione unisce Alatri alla città di Fossoli, che sono state entrambe<br />
testimoni di quella grande sventura che è la guerra e hanno entrambe dato<br />
prova di generosità nei confronti delle sue vittime.<br />
In conclusione ritengo opportuno un doveroso ringraziamento per la collaborazione<br />
ad Agnese Sperduti e Pietro Antonucci, alle mie figlie Marta e<br />
Miriam, a Carla, Alessandra e Anna per le traduzioni dal tedesco, inglese,<br />
croato, albanese.<br />
Grazie ancora all’Avv.Remo Costantini, ora Assessore alla Cultura, alla<br />
Dott.ssa Infante, già Commissaria al Comune Peppe Evangelisti, Gino<br />
Minnucci, Filippo Petricca, Valentino Capitanelli e al Sig Benenati, per avermi<br />
concesso di visionare il materiale in loro possesso. Grazie soprattutto ai<br />
miei concittadini un po’ attempati che hanno scavato nei loro ricordi.<br />
169
Don Giuseppe Capone – storico – scrittore<br />
QUANDO PUBBLICAI IL LIBRO “LA PROVVIDA MANO” PARLAI<br />
CON MADRE MERCEDES; <strong>LE</strong> CHIESI “POSSO PUBBLICARE IL TUO<br />
DIARIO ?” … MI DISSE “SAREI CONTENTA SE LO PUBBLICASSE” E<br />
MI ACCORSI CHE <strong>LE</strong> LACRIME <strong>LE</strong> USCIVANO DAGLI OCCHI, ERA<br />
COMMOSSA.<br />
Quando venni qui ad Alatri, nel lontano 1945 sentivo tanto parlare di Le<br />
Fraschette: il Campo era stato chiuso e la gente non c’era più; ma si potevano<br />
riconoscere pannelli e moduli di prefabbricato che una volta erano appartenuti<br />
alle abitazioni del Campo.<br />
S’era trattato solo … di cambio di proprietà.<br />
Durante il tempo di quell’internamento io non c’ero; mentre sono stato a<br />
sostituire il Cappellano, ma nel Campo successivo, e fu in quella circostanza<br />
che vidi quanta sofferenza c’era dietro i fili spinati …<br />
Gli internati del primo Campo erano stati seguiti da mons. Facchini, che quasi<br />
tutti i giorni veniva quaggiù; ma tutta quella storia triste l’ho vissuta nei<br />
ricordi e nel diario di Madre Mercedes, la superiora delle suore che operavano<br />
nel Campo, fatte venire da mons. Facchini… Quando preparavo la pubblicazione<br />
del libro “La provvida mano”,<br />
andai a parlare con questa suora: accettò che<br />
si stampasse il suo diario, e mi accorsi che,<br />
a quei ricordi, s’era tanto commossa…<br />
Mons. Facchini, oltre che all’assistenza spirituale<br />
spesso provvedeva a lasciare cospicue<br />
offerte per gli internati più bisognosi, e<br />
la “Pontificia Opera Assistenza” seguiva con<br />
attenzione tutte le vicende del Campo, tramite<br />
inviati che la rappresentavano..<br />
Dopo tanto tempo, abbiamo ancora ricordi<br />
vivi da Le Fraschette… Venendo quaggiù,<br />
questa mattina, sentivo un brivido strano;<br />
ma non so dire perché questa via e questo<br />
luogo mi crea quest’emozione profonda...<br />
Nel secondo Campo, infatti, ero stato colto<br />
dall’angoscia del filo spinato e delle garitte<br />
Don Capone storico-scrittore<br />
con le guardie armate di fucile… Certe real-<br />
170
tà non si scordano più … anche da mons. Baldelli, presidente della Pontificia<br />
Opera di Assistenza, seppi di quanta ansia e di quanta pena è sparso questo<br />
terreno sempre umido di Le Fraschette …<br />
Ora ci stiamo domandando che farne di questo Campo… Quale potrebbe<br />
essere il più appropriato “ricordo storico”… Dopo sessanta anni, aspettiamo<br />
che qualcuno ci dica cosa farne, per non lasciare sepolta e dimenticata, tra<br />
erbacce e rovi, tanta storia di dolore …<br />
Franco Nardi - Archivio di Stato di Frosinone<br />
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> APRÌ LA SUA<br />
ATTIVITÀ UFFICIALMENTE IL 1° OTTOBRE 1942. IL PRIMO DOCU-<br />
MENTO DELL’ARCHIVIO DI STATO CHE LO MENZIONA È DATATO<br />
11 DICEMBRE 1941. VARIE ERANO <strong>LE</strong> NAZIONALITÀ CHE DOVEVA<br />
RACCOGLIERE: CROATI, SLAVI, TRIPOLINI, SLOVENI, MONTENE-<br />
GRINI, ALBANESI, ITALIANI.<br />
Ancora una volta il presidente dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong> di<br />
Frosinone, ci ha coinvolti in un impegnativo e avvincente progetto di ricerca<br />
e di studio.<br />
La materia è vasta, ma tanti lati però sono ancora da approfondire e mettere in<br />
luce. La nostra attenzione si è rivolta su alcune pubblicazioni che sono illuminanti<br />
per la validità e l’indirizzo di ricerca che esse offrono. Prima di tutto<br />
voglio dare lustro in una città, Alatri, che può essere presa a simbolo per l’arte<br />
e la cultura dell’intero territorio della Ciociaria, ad una nostra conterranea,<br />
nonché collega archivista, Gina ANTONIANI PERSICHILLI, ora impiegata al<br />
Tribunale di Frosinone. Quando era all’Archivio Centrale dello Stato a Roma<br />
ha inventariato il fondo del Ministero dell’Interno ed ha pubblicato nella<br />
“Rassegna degli Archivi di Stato” uno studio di esemplare lucidità su normative<br />
e fonti archivistiche per l’internamento in Italia degli anni 1940-1943.<br />
Ciò che ci inorgoglisce è che oggi abbiamo, tra i relatori, storici e scrittori<br />
qualificati sulla materia.<br />
Di Fabio GALLUCCIO non si può tacere l’appassionata ricerca di luoghi e<br />
memorie che, come abile pittore, tratteggia in forma leggera e decisa quei fatti<br />
perché alla mente degli spettatori fossero sempre presenti nella loro tragicità,<br />
ma con altrettanta lucida razionalità, vengano per sempre rifiutati.<br />
Ho provato grande sollievo nel leggere le memorie scritte dalle Suore<br />
171
Giuseppine di Veroli, che il presule mons. FACCHINI, sempre vivo nella<br />
memoria degli Alatrensi, volle a sostegno e sollievo dei malcapitati internati.<br />
Da questo racconto si può capire che anche le più grandi tragedie, come quelle<br />
vissute nella II Guerra Mondiale possono essere riscattate, umanizzate e<br />
superate da un volto, da una parola, da un gesto di chi ti sta vicino, come seppero<br />
fare con coraggio quelle suore.<br />
Il campo di concentramento di Le Fraschette aprì la sua attività ufficialmente<br />
il 1° ottobre 1942, ma già la notizia della sua costruzione era circolata in<br />
Alatri dal 1940. Il primo documento dell’Archivio di Stato che lo menziona è<br />
datato 11 dicembre 1941. Varie erano le nazionalità che doveva raccogliere:<br />
croati, slavi, tripolini, sloveni, montenegrini, albanesi, italiani.<br />
Così tante nazionalità si spiega con il fatto che l’Italia dal 10 giugno 1940 era<br />
entrata in guerra.<br />
Le sue azioni molto spesso avevano eguagliato l’efferatezza dei nazisti, con<br />
repressioni e deportazioni di massa.<br />
Le Fraschette presto raggiunsero l’elevato numero di 5.500 unità, che portano,<br />
dalla documentazione consultata, ad essere il maggior campo di concentramento<br />
in Italia. La sua attività cessa con la partenza dei tripolini il 25 e 27<br />
febbraio 1944 per Fossoli di Carpi, mentre gli altri gruppi etnici o vengono<br />
rimpatriati (come dicono le suore, nel memoriale di quelle vicende) o vengono<br />
inviati a Cairo Montenotte (come si afferma nel recente volume su mons.<br />
FACCHINI).<br />
Le suore accompagnano il gruppo tripolino, ma non trovano spazio per la loro<br />
benefica assistenza. Il loro giudizio è negativo per le condizioni igieniche e<br />
per l’angustia degli spazi che trovarono nel nuovo campo di concentramento.<br />
Gruppo di ricerca: Franco NARDI, Onorina RUGGERI, Maria DE SORBO,<br />
Giulio BIANCHINI. Elaborazione informatica: Gianni PULCINELLI e collaborazione<br />
di Gina SANTORO.<br />
Gatta Veronica e Cappella Valentina - studentesse della classe 5/F<br />
dell’Istituto Chimico Biologico di Alatri<br />
UNO DI QUESTI CAMPI, CHE ANDREBBE RECUPERATO AL SUO<br />
VALORE STORICO E DI MEMORIA È PROPRIO AL<strong>LE</strong> PORTE DELLA<br />
NOSTRA CITTADINA, ALATRI, ED È IL CAMPO DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>,<br />
PROGETTATO IN UN PRIMO TEMPO PER ACCOGLIERE I PRIGIONIE-<br />
172
RI DI GUERRA E IN UN SECONDO TEMPO ADIBITO ALL’INTERNA-<br />
MENTO DEI CIVILI DEPORTATI.<br />
Nell’Europa occupata da Hitler vennero costruiti campi di ogni genere e di<br />
ogni grandezza: campi di lavoro, campi di transito, campi per prigionieri di<br />
guerra, campi di concentramento.<br />
Tra tutti, i più numerosi furono i campi di concentramento, i lager, il cui scopo<br />
era quello di uccidere le persone che vi giungevano.<br />
La costruzione di tali teatri dell’orrore si ebbe soprattutto nel territorio tedesco<br />
e polacco: AUSCHWITZ, TREBLINKA, DACHAU, BELZEC….<br />
Altri campi di concentramento, alcuni dei quali non preposti al piano di<br />
ambientamento noto come “soluzione finale” e strutturati come veri e propri<br />
campi di rifugio per profughi, vennero costruiti anche in Italia.<br />
Uno di questi, che andrebbe recuperato al suo valore storico e di memoria è<br />
proprio alle porte della nostra cittadina, Alatri, ed è il campo di Le<br />
Fraschette, progettato in un primo tempo per accogliere i prigionieri di guerra<br />
e in un secondo tempo adibito all’internamento dei civili deportati.<br />
Nel 1943 ospitava circa 5.500 internati croati, sloveni, montenegrini, albanesi<br />
e tripolini italiani. Molti erano i bambini.<br />
È opinione diffusa che la vita all’interno dei campi sia indescrivibile e irrappresentabile.<br />
Chi ha avuto la fortuna, come noi, di vivere in un’epoca di pace può solamente<br />
immaginare una vita che non può definirsi tale, in baracche sovraffollate<br />
dove elevata era la mortalità dovuta alle precarie condizioni igieniche, al freddo,<br />
alla scarsità di cibo, al vestiario inadeguato, una vita difficile, disordinata,<br />
fatta di sacrifici, nostalgia, rimpianti e contrassegnata da emozioni e sentimenti<br />
legati alla paura, al senso di vuoto e di morte.<br />
Persone che venivano trattate in modo disumano, eliminate …<br />
Ma cosa avevano di diverso dai carnefici?<br />
Non avevano forse un cuore, un cervello, mani, braccia, piedi e gambe come<br />
loro?<br />
Già … eppure in quei campi smise di battere il cuore di milioni di persone<br />
ormai quasi dimenticate e fatte resuscitare solo in occasioni come queste.<br />
173
Falconi Valeria e Lisi Morena - studentesse della classe 5/A dell’I.T.C. di<br />
Alatri<br />
LA STORIA È TROPPO IMPORTANTE PERCHÉ RESTI MATERIA DI<br />
POCHI, BISOGNA COMBATTERE LA TENDENZA A DIMENTICARE E<br />
A RIMUOVERE IL PASSATO; SOPRATTUTTO È NECESSARIO<br />
RIF<strong>LE</strong>TTERE SUI CAPITOLI DELLA COSIDDETTA STORIA DELLA<br />
DISUMANITÀ.<br />
“Meditate che questo è stato”. La storia è troppo importante perché resti<br />
materia di pochi, bisogna combattere la tendenza a dimenticare e a rimuovere<br />
il passato; soprattutto è necessario riflettere sui capitoli della cosiddetta storia<br />
della disumanità. “Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango<br />
e non conosce pace, che lotta per mezzo pane e che muore per un Si o per un<br />
No! “i versi di Primo Levi ricordano a tutti la storia dei lager ovvero dell’umiliazione,<br />
dell’offesa e della degradazione dell’uomo prodotta da altri uomini.<br />
Diffusi in tutta Europa, i lager erano luoghi di internamento per nuclei familiari,<br />
in particolare donne e bambini. La vita nei lager era durissima. Gli internati<br />
venivano svegliati all’alba, veniva consegnato loro un tozzo di pane e<br />
dopo l’appello si recavano sul posto di lavoro. Lavoravano fino al tramonto<br />
con un intervallo di mezz’ora per il loro misero pasto e alla fine della giornata<br />
tornavano al campo, dove li aspettava una scodella di minestra e una piccola<br />
cuccetta, che doveva ospitare necessariamente almeno due persone. Le condizioni<br />
igienico-sanitarie erano estremamente precarie, ma la cosa che più<br />
deve far riflettere è che gli internati non erano uomini ma numeri. Privati di<br />
qualsiasi diritto e della propria identità. Il campo geograficamente più vicino<br />
a noi fu quello di Le Fraschette, inizialmente progettato per farne un “villaggio<br />
accantonamento profughi”.<br />
Ma per ragioni legate allo sviluppo militare e politico divenne un campo di<br />
concentramento per internati civili. Oggi ciò che resta di quel campo è una<br />
semplice distesa di terreno sulla quale i bambini dei dintorni trascorrono il<br />
loro tempo libero giocando a pallone, inconsapevoli del fatto che in quello<br />
stesso luogo e sotto lo stesso cielo, centinaia di bambini sono stati strappati<br />
alla loro infanzia. Qui di seguito riportiamo la testimonianza di Maria, una<br />
ragazza allora undicenne, sopravvissuta al lager “Vedevo quel grande camino<br />
fumare, ma mi avevano detto che lì bruciavano l’immondizia e anche i nostri<br />
bagagli. Noi bambini eravamo per lo più terrorizzati perché vivevamo rin-<br />
174
chiusi nei carri bestiame. Eravamo chiusi dentro senza mangiare e senza<br />
poter soddisfare necessità di nessun genere. Non c’era niente e a me bastavano<br />
poche ore per cominciare a perdere il senso delle cose e della vita stessa”<br />
Queste parole trasmettono infatti le emozioni ed i ricordi di una voce cui fu<br />
imposto il silenzio; per noi che viviamo in un mondo libero privo di restrizioni<br />
è difficile immedesimarsi in situazioni del genere eppure è successo ed è<br />
nostro compito fare in modo che tutto questo rimanga vivo nei nostri pensieri.<br />
Aspettiamo con ansia il giorno in cui si riconoscerà a tutti, indistintamente,<br />
il diritto di essere uomini, cosicché l’uomo potrà imparare a vivere e a<br />
sognare senza temere la morte e la distruzione.<br />
don Claudio Pietrobono – direttore dell’Archivio diocesano<br />
SI È PARLATO DI MONS. FACCHINI MA CI SONO NOTIZIE DI INTE-<br />
RESSAMENTO DI ALTRI VESCOVI COME QUELLO DI TRIESTE E<br />
QUELLO DI GORIZIA, DUE DEL<strong>LE</strong> DIOCESI CHE AVEVANO CENTI-<br />
NAIA DI PERSONE PRESENTI QUI A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>.<br />
Il nostro vescovo mons. Loppa è a Roma per la visita “ad limina” e quindi non<br />
è potuto essere presente: mi ha incaricato di portare il suo saluto.<br />
Si è parlato di mons. Facchini ma ci sono notizie di interessamento di altri<br />
vescovi come quello di Trieste e quello di Gorizia, due delle diocesi che avevano<br />
centinaia di persone presenti qui a Le Fraschette.<br />
Il vescovo di Gorizia, Carlo Margotti, è stato vescovo dal 1934 al 1951 e ha<br />
fatto un intervento particolare in data 23.08.1943 presso il generale Badoglio,<br />
allora capo del Governo, in favore degli internati della sua diocesi. C’è stata<br />
poi anche una visita al Campo il 12.05.1943 di mons. Antonio Santin, vescovo<br />
di Trieste, con il nostro vescovo Facchini.<br />
Questi interventi e anche queste visite andrebbero un po’ approfondite con<br />
ricerche apposite, ma non c’è stato abbastanza tempo per farlo, abbiamo scritto<br />
a Trieste e Gorizia, ma ancora non ci danno risposta su questi personaggi<br />
che sono ricordati come mons. Facchini per la loro vicinanza alle vittime della<br />
barbarie.<br />
Non mi dilungo ulteriormente anche perché non c’è tempo, ringrazio tutti.<br />
175
Padre Umberto Fanfarillo - contributo di un testimone<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> LUOGO DI SOFFERENZE E DI TRISTEZZA O DI<br />
MORTE, COME L’EBBE A CHIAMARE UN PROFUGO DELLA TUNI-<br />
SIA, POSSA DIVENTARE UN LUOGO DI ACCOGLIENZA, DI<br />
SOLIDARIETÀ, DI CONVIVENZA CIVI<strong>LE</strong> E DI APPUNTAMENTI CUL-<br />
TURALI E RELIGIOSI.<br />
GLI OCCHI DI UN BAMBINO RACCONTANO<br />
Indelebili tornano ad affollare la mente gli anni della mia fanciullezza, trascorsa<br />
nella casa paterna a poche centinaia di metri dal Campo di concentramento<br />
Le Fraschette, in Alatri. Impaurito, con gli occhi che assistono<br />
impietriti a scene di violenza, di grida e a ripetuti tentativi di evasione dal terribile<br />
campo n. 1. Avevo allora, appena otto anni, quando insieme ai miei<br />
cugini, vissi un’esperienza unica permeata di paura e di un sottaciuto interesse<br />
di curiosità o di gioco da bambino.<br />
1. Un tedesco colpito a fucilate<br />
Ricordo con chiarezza un episodio che, solo ora, riesco a decifrare e a definirlo<br />
come un gesto pieno di odio e di vendetta. Gli spari a ripetizione di un<br />
moschetto richiamano forte la mia attenzione verso un uomo che, calatosi dal<br />
muro del campo adiacente la mia casa, tenta disperatamene la fuga verso i<br />
boschi e le colline. I miei occhi da bambino assistono impietriti e vedono poliziotti<br />
armati che, mentre corrono all’inseguimento, continuano a sparare nella<br />
direzione del fuggiasco. Ma ciò che sto per raccontare sembra incredibile!<br />
Grida da lontano: è un tedesco, è un tedesco, prendetelo! Dalle case limitrofe<br />
escono fuori contadini, donne, giovani e bambini, tra questi anch’io, partecipo<br />
alla battuta per prendere il fuggiasco. Premetto che, un mio conoscente, era<br />
da poco tornato dalla Germania, dove era stato deportato dai nazisti e rinchiuso<br />
per più di due anni nel campo di concentramento di Dachau, una prigionia<br />
vissuta con un trattamento da cane!<br />
Quella parola: è un tedesco! è un tedesco! genera una reazione di vendetta a<br />
questo conoscente, il quale imbraccia subito il fucile da caccia, lo carica a pallettoni<br />
e si dirige all’inseguimento dell’odiato tedesco. Accompagnato da una<br />
decina di ragazzi e bambini che gridavano, quasi fosse una battuta di caccia o<br />
di gioco: fermati, non scappare, brutto tedesco! Sulla collina della contrada<br />
“Castagneto”, l’inseguitore con la rabbia in corpo vede quell’uomo, ormai<br />
176
stanco e provato e fa fuoco senza pietà! “Vendicato il tedesco” esclama!<br />
Noi bambini, terrorizzati, ci siamo allontanati dal luogo senza più grida, ma<br />
un grande silenzio avvolge le nostre tenere vite!<br />
2. Le gambe fratturate<br />
Una luce accecante illuminava di notte le colline antistanti il campo Le<br />
Fraschette: era un faro posto sopra ad una garitta e serviva per controllare<br />
qualsiasi tentativo di fuga degli internati. Furono più di venti gli internati<br />
che, in una notte piovosa, riuscirono a fuggire, dopo aver scavato un tunnel<br />
sotto il muro. La guardia della garitta vicina al luogo della fuga era ritenuto<br />
responsabile e quindi soggetto a punizione pesante. Pietrosanti Camillo, quella<br />
sera era di guardia: quando si accorse della fuga, senza pensarci due volte,<br />
si gettò dalla garitta aggrappato solo ai fili del telefono e cadendo si fratturò<br />
le gambe. Così i fuggitivi riacquistarono la libertà.<br />
3. La carità dei bambini verso i prigionieri<br />
Noi bambini solidali con i profughi e la guardie: il campo n° 2 era quello che<br />
dava permessi d’uscita agli internati. Una volta fuori si riversavano per le<br />
campagne in cerca di qualcosa da mangiare o da vestire. Noi bambini davamo<br />
frutta e altre cose della campagna, era tutto ciò che potevamo dare!<br />
4. La memoria del tempo:<br />
1955 quel bambino di otto anni, entrava in seminario a Fossanova<br />
1969 e diventò sacerdote francescano dei Frati Minori Conventuali della<br />
Provincia Romana<br />
1969 Domenica delle Palme .... Prima Messa a Le Fraschette del Novello<br />
Sacerdote P. Umberto Fanfarillo.<br />
5. La Prima Messa del novello sacerdote P. Umberto Fanfarillo a Le<br />
Fraschette<br />
È sicuramente commovente far memoria di eventi che hanno segnato la storia<br />
del Campo Le Fraschette. Una lunga processione con le palme e ramoscelli<br />
d’olivo si snodava lungo il viale che portava verso la cappella del Sacro<br />
Cuore dentro il campo. Erano i francescani Conventuali ad assistere in quel<br />
177
periodo gli ospiti di Le Fraschette. P. Alfredo Spigone, insieme ad altri<br />
Confratelli, parenti e molti fedeli convenuti dalle contrade limitrofe erano presenti<br />
per partecipare alla Prima Messa di P. Umberto Fanfarillo, loro concittadino,<br />
a ridosso della casa paterna.<br />
Quella cappella, allora così accogliente e preziosa per i profughi, ma anche per<br />
tanti cristiani provenienti dalle campagne delle zone circostanti, ora purtroppo,<br />
appare solo un rudere e un ricettacolo di vandalismo e di prostituzione.<br />
6. Per una nuova dignità alla Cappella del Sacro Cuore<br />
2006 Un desiderio: ridare dignità a questo luogo, teatro, un tempo, di tante sofferenze,<br />
restaurare il piccolo tempio di Cristo, la Cappella del Sacro Cuore di<br />
Gesù, e poter tornare a celebrarvi la S. Messa! È un mio sogno, ma anche il<br />
sogno, più volte espresso, di moltissimi abitanti del posto. È un appello che<br />
desidero rivolgere, oggi, alle autorità competenti, in primis, al Sindaco di Alatri!<br />
7. La festa della Madonna di Lourdes !<br />
Sono più di dieci anni che, grazie al Comitato formato da alcune volenterose<br />
persone delle contrade Le Fraschette e Castagneto, sono invitato a partecipare<br />
ogni anno nella prima domenica di agosto a questa bella festa della<br />
Madonna di Lourdes. Tre serate all’insegna di numerose manifestazioni religiose<br />
e ricreative: suggestiva la fiaccolata la sera del sabato, proprio lungo il<br />
viale che conduce alla piccola chiesa del Sacro Cuore, come pure la processione<br />
per la strada che fiancheggia il campo di Le Fraschette. Oltre all’afflusso<br />
di numerose persone, famiglie, giovani e ragazzi, ho sempre visto, con piacere<br />
la presenza delle autorità del Comune di Alatri, spesse volte il Sindaco,<br />
con tanto di compiacimento e di incoraggiamento da parte del parroco di S.<br />
Maria, Don Luigi. Vedere tanta gente alla Messa da me celebrata, per me è<br />
sempre stata una grande gioia e lo sarà, sono sicuro, anche per il futuro!<br />
8. Un auspicio:<br />
L’Ostello di Le Fraschette possa veramente segnare la rinascita di un<br />
ambiente, un tempo definito “lager”, luogo di sofferenze e di tristezza o di<br />
morte, come l’ebbe a chiamare un profugo della Tunisia, per diventare un<br />
luogo di accoglienza, di solidarietà, di convivenza civile e di appuntamenti<br />
culturali e religiosi. Grazie!<br />
178
Alessandro Semplici – consigliere della “Provincia” di Frosinone<br />
SONO QUI OGGI A PORTARE IL SALUTO DEL PRESIDENTE DEL-<br />
L’AMMINISTRAZIONE PROVINCIA<strong>LE</strong> AVV. FRANCESCO SCALIA A<br />
QUESTO CONVEGNO DI STUDI IN UN LUOGO CHE È STATO DI SOF-<br />
FERENZA CHE DEVE DIVENTARE LUOGO DI MEMORIA.<br />
Sono onorato di essere qui a portare il saluto del Presidente<br />
dell’Amministrazione provinciale avv. Francesco Scalia, della Giunta provinciale<br />
e del Consiglio provinciale.<br />
Sono due volte che l’Amministrazione Provinciale mi manda a rappresentare<br />
l’Istituzione in due appuntamenti importanti<br />
che, riguardano entrambi l’<strong>Associazione</strong><br />
<strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>.<br />
Sono qui, oggi a portare il saluto a questa<br />
importante manifestazione in un luogo che è<br />
stato purtroppo di sofferenza, ma che credo<br />
debba diventare un luogo di memoria, un luogo<br />
che possa insegnare soprattutto alle generazioni<br />
future (qui ci sono dei giovani, ci sono le<br />
scuole) che gli errori e gli orrori che si sono<br />
commessi in passato non vengano più ripetuti.<br />
Come ha scritto Italo Calvino “il futuro ha un<br />
cuore antico”: noi non possiamo cercare di<br />
essere migliori domani se non ricordando ciò<br />
che è stato nel passato; perché la storia, anche<br />
recente, ci insegna che nell’ex Jugoslavia c’è<br />
stata purtroppo ancora l’esperienza dei campi di<br />
concentramento.<br />
Parlavo di una felice casualità: due settimane fa<br />
sono stato, infatti, ad Avellino a consegnare il<br />
premio “Don Giuseppe Morosini” nato a<br />
Ferentino, medaglia d’oro al valor militare,<br />
eroe e martire della Resistenza (ricordato splendidamente<br />
da Rossellini nel film “Roma città<br />
aperta”, in cui Aldo Fabrizi interpretava don<br />
Giuseppe Morosini anche se nel film aveva un<br />
Il consigliere provinciale<br />
Alessandro Semplici<br />
porta il saluto del Presidente<br />
della Provincia di Frosinone<br />
avv. Francesco Scalia<br />
179
altro nome, si chiamava don Pietro). In quell’occasione ho consegnato il premio<br />
“Don Morosini” al senatore Agostini, Presidente nazionale<br />
dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Partigiani</strong> <strong>Cristiani</strong>, ed oggi mi trovo qui a Le Fraschette in<br />
un Convegno di studi organizzato dalla stessa A.P.C..<br />
Faccio i miei migliori complimenti a tutti coloro che hanno lavorato per organizzare<br />
il Convegno, ai relatori e a quanti sono intervenuti.<br />
Vi auguro buon lavoro. Grazie.<br />
Carlo Costantini – Segretario provinciale di Frosinone dell’A.P.C., già<br />
Sindaco di Alatri<br />
IL MIO AUGURIO È CHE VENGA ESAMINATA E ACCETTATA L’IDEA<br />
DI UNA FONDAZIONE CHE PORTI AVANTI LA VALORIZZAZIONE DI<br />
QUESTO CAMPO, PER QUELLO CHE RAPPRESENTA E SOPRATTUT-<br />
TO PER L’INSEGNAMENTO CHE PUÒ DERIVARNE AL<strong>LE</strong> GENERA-<br />
ZIONI FUTURE E IN PARTICOLARE AI RAGAZZI<br />
Io non devo fare un discorso perché ne sono stati fatti tanti che in gran parte<br />
condivido. Ho ascoltato, con particolare commozione, due ricordi, due segnalazioni<br />
di Marilinda, una riguardante gli abitanti di Fossoli e una riguardante<br />
gli abitanti di Alatri per la generosità e l’affetto che hanno dimostrato nei confronti<br />
degli internati dei rispettivi campi. Anche per questo noi da tempo, da<br />
quattro anni, lavoriamo a questa memoria e vorremmo che al più presto si realizzasse<br />
un qualche cosa di concreto. Quattro anni fa lo abbiamo fatto, in un<br />
Convegno nella biblioteca comunale, oggi lo facciamo qui a ridosso del<br />
Campo; speriamo di poterlo fare l’anno prossimo dentro uno di questi capannoni<br />
finalmente restaurati. Quella che volevo fare è una proposta pratica, e mi<br />
rivolgo ai rappresentanti del Comune, della Provincia, della Regione, ai rappresentanti<br />
delle Banche locali, in particolare a quelle tre che operano qui ad<br />
Alatri oltre che nella provincia di Frosinone, perché si arrivi ad una<br />
Fondazione che vada oltre le istituzioni comunale e provinciale e porti questo<br />
problema alla ribalta regionale anche per quanto riguarda il finanziamento.<br />
Perché, come diceva giustamente l’assessore Costantini, non sappiamo se<br />
quel milione di euro siano sufficienti per sdemanializzare tutto il territorio del<br />
campo. Permettete che sottolinei la cosa assurda che il Comune e la Regione<br />
debbano pagare un prezzo allo Stato quando dovrebbe essere lo Stato a valorizzare<br />
luoghi come questi; purtroppo la burocrazia italiana è così. Questa è<br />
180
l’unica proposta che io sento di poter fare in base all’esperienza avuta in questi<br />
cinque anni nei quali ci siamo occupati di questo Campo; il mio augurio è<br />
che venga esaminata e accettata l’idea di una Fondazione, come del resto<br />
hanno fatto egregiamente a Fossoli e in Calabria, che porti avanti la valorizzazione<br />
di questo Campo, per quello che rappresenta e soprattutto per l’insegnamento<br />
che può derivarne alle generazioni future e in particolare ai ragazzi<br />
come quelli che oggi sono venuti qui e che hanno collaborato con noi per<br />
questa manifestazione.<br />
Ringrazio il coordinatore del Convegno, dr. Costantini, l’Archivio di Stato, il<br />
Liceo “Luigi Pietrobono”, l’Istituto di Istruzione Superiore, il prof. Galluccio,<br />
gli amici di Fossoli che noi non conoscevamo mentre abbiamo conosciuto i<br />
loro predecessori, perché siamo stati a Fossoli con il sindaco Morini e siamo<br />
stati accolti con calore e amicizia; ci hanno fatto visitare le due splendide realizzazioni<br />
che sono il Museo e il Campo Fossoli dove c’è una baracca restaurata<br />
che è meta anche delle tante visite di cui ci ha parlato il sindaco.<br />
Ringrazio ovviamente tutti e i collaboratori tecnici, Angelucci, Fiorini e gli<br />
altri che hanno collaborato alla riuscita del Convegno, i membri del comitato<br />
provinciale dell’A.P.C., il prof. Rendina, segretario regionale dell’ANPI, il dr.<br />
Olini, segretario nazionale dell’A.P.C. e la dott.ssa Carla Roncati, delegata<br />
femminile nazionale dell’A.P.C.. Ringrazio la stampa che è stata presente e<br />
che ha dato un adeguato spazio a questa manifestazione.<br />
La Prof.ssa Slavica Plahuta, ricercatrice e scrittrice già citata, mi ha mandato<br />
da Nova Gorica due altre testimonianze di internati nel campo Le Fraschette,<br />
di cui do lettura:<br />
Testimonianza di Iolanda Simcic Majolka<br />
Le guardie ci hanno portato sull’autobus. Con altre viaggiatrici siamo andati<br />
nella prigione femminile Kostagnevci in Gorizia. Nel marzo del 1943 ci<br />
hanno portato nel campo Le Fraschette ad Alatri in provincia di Frosinone<br />
vicino Roma.<br />
Dopo la caduta del fascismo le guardie hanno deposto le armi e tutti siamo<br />
stati liberati. Abbiamo camminato fino alla stazione di Frosinone; mi ricordo<br />
che la gente ci ha aiutato senza egoismi.<br />
Ci siamo messi sul primo treno fino a Roma. Lì siamo scesi, ci attendeva della<br />
brava gente e ci hanno sistemate in un convento femminile. Ci hanno offerto<br />
vitto, alloggio e vestiti e siamo stati lì per alcuni giorni. Da là ci siamo messi<br />
181
in viaggio sul treno fino a Bologna dove abbiamo vissuto il bombardamento.<br />
Abbiamo lasciato le carrozze e ci siamo nascosti. Il giorno dopo abbiamo<br />
fatto il viaggio a piedi da Bologna fino alla prima stazione ferroviaria attiva e<br />
da là siamo arrivati in qualche modo a Gorizia.<br />
Testimonianza di Franc Pasetta<br />
Il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri si trova a 80 km a sud di<br />
Roma in provincia di Frosinone su una collina sotto i monti Ernici. Li si trovavano<br />
gli sloveni e i deportati da Tripoli, Libia. Nel 1941 tante persone della<br />
Jugoslavia sono state catturate e smistate nei campi. In una parte hanno sistemato<br />
i gruppi Dalmati e Montenegrini. Nell’estate del 1942 sono arrivati i<br />
gruppi dalla Slovenia, dalla Croazia (Gorskega Kotarja). In alcune baracche a<br />
parte c’erano i deportati di Tripoli, lì c’erano anche Slovene prese in buona<br />
parte nelle zone costiere e qualche italiano. Le slovene più anziane erano<br />
internate perché avevano i figli nei partigiani per cui l’esercito italiano dubitava<br />
di una loro collaborazione. Capivano che gli jugoslavi erano organizzati<br />
tra loro. Nel 1943 l’Italia ha subito una grande sconfitta in Africa e nel frattempo<br />
gli alleati sono sbarcati in Sicilia. Il governo fascista aveva deciso che<br />
i confinati per motivi politici nelle isole del Sud Italia fossero spostati nel<br />
campo Le Fraschette. Fra loro c’erano all’incirca 100 maschi la cui maggior<br />
parte erano italiani, albanesi e qualche sloveno. Le slovene hanno insegnato<br />
alle giovani la lingua materna. Si percepiva un grande sollievo quando l’Italia<br />
capitolò. I primi che scapparono dal campo erano i rappresentanti del partito<br />
fascista. Il primo gruppo ad andarsene è stato il gruppo di Primorak, quelle<br />
che più di tutti conoscevano l’italiano. I maschi sono rimasti indietro e con<br />
l’aiuto dei partigiani hanno avuto i documenti e sono tornati a casa. Qualcuno<br />
è rimasto per combattere a fianco dei partigiani. Entro il dicembre 1943 tutti<br />
gli sloveni hanno abbandonato le Fraschette.<br />
Mi auguro di non dover fare più manifestazioni per chiedere che si faccia<br />
qualche cosa per la memoria del dolore e della sofferenza degli internati nel<br />
Campo, ma che la prossima manifestazione si possa svolgere in una baracca<br />
restaurata del campo dove inviteremo, certamente, gli amici qui presenti oggi<br />
e anche altri che oggi non sono potuti intervenire. Grazie<br />
182
RINGRAZIAMENTI<br />
Archivio Centrale dello Stato di Roma<br />
Archivio di Stato di Frosinone<br />
il suo direttore dr.ssa Viviana Fontana<br />
i componenti del gruppo di ricerca, Franco Nardi, Onorina Ruggeri, Maria De<br />
Sorbo, Giulio Bianchini, l’ elaboratore inf. Gianni Pulcinelli e la collaboratrice<br />
Gina Santoro<br />
Archivio di Stato di Trieste<br />
Curia Arcivescovile di Gorizia<br />
Curia Vescovile di Trieste<br />
Fondazione CRTrieste<br />
Istituto di Istruzione Superiore di Alatri<br />
il suo dirigente scolastico prof. Matteo Affinito<br />
la prof.ssa M.Sofia Mercaldo, la prof.ssa Adele Santucci<br />
e gli studenti<br />
Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli<br />
Venezia Giulia<br />
Istituto di Storia sociale e religiosa di Gorizia<br />
il suo direttore don Luigi Tavano<br />
Liceo “Luigi Pietrobono” di Alatri<br />
il suo dirigente scolastico prof. Giancarlo Fratangeli<br />
la prof.ssa Agnese Sperduti e gli studenti<br />
Suore Giuseppine di Veroli<br />
Dr. Antonio Agostini<br />
direttore della Biblioteca Comunale di Alatri<br />
183
Dr. Pietro Antonucci<br />
Luigi Centra<br />
scrittore - artista<br />
Mara Cirko<br />
Lucia Costantini<br />
Avv. Remo Costantini<br />
Aldo Fanfarillo<br />
Dr. Marilinda Figliozzi<br />
dell’Ufficio Cultura del Comune di Alatri<br />
Emanuele Fiorini<br />
Don Giovanni Giralico<br />
Sistino Macciocca<br />
Prof.ssa Slavica Plahuta<br />
ricercatrice – scrittrice<br />
Antonio Rossi<br />
Prof. Francesco Refili<br />
Giuseppe Rufini<br />
Alessandra Sagripanti<br />
Prof. Ferruccio Tassin<br />
ricercatore - scrittore<br />
184
Archivio storico del Comune di Alatri<br />
FONTI DI ARCHIVIO<br />
Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Prefettura, II versamento<br />
Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Genio Civile, Opere Pubbliche<br />
Archivio di Stato di Trieste, Fondo Prefettura<br />
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Generale<br />
dei Servizi di Guerra<br />
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale<br />
della Pubblica Sicurezza<br />
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Affari<br />
Generali Riservati<br />
Archivio Curia Arcivescovile Gorizia, Fondo archivio Margotti<br />
Archivio della Diocesi di Trieste<br />
Archivio Istituto per la Storia Sociale e Religiosa di Gorizia<br />
Fondazione CRTrieste<br />
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190
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sul Campo Le Fraschette di Alatri<br />
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Ciociaria/70, gennaio 1971<br />
Antoniani Persichilli Gina, DISPOSIZIONI NORMATIVE E FONTI<br />
PER LO STUDIO DELL’INTERNAMENTO IN ITALIA (giugno 1940luglio<br />
1943) in “Rassegna degli Archivi di Stato”, Roma dicembre 1978<br />
Ferrari L., L’ATTIVITA’ DELLA SANTA SEDE PER I PRIGIONIERI NEI<br />
CAMPI DI INTERNAMENTO ITALIANI, in Qualestoria, XII, n.3, dicembre<br />
1984<br />
Capogreco Carlo Spartaco, “IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FER-<br />
RAMONTI ” in Tristano Matta ( a cura di ), “UN PERCORSO DELLA<br />
MEMORIA. GUIDA AI LUOGHI DELLA VIO<strong>LE</strong>NZA NAZISTA E<br />
FASCISTA IN ITALIA”, Istituto regionale per la storia di movimento di liberazione<br />
del Friuli-Venezia Giulia, Electa, Milano,1996<br />
Previato Luciano, POSTA MILITARE: LA STORIA SI RIPETE ANCHE SE<br />
AL ROVESCIO…in cronaca filatelica n.252, giugno 1999<br />
Capogreco Carlo Spartaco, “L’OBLIO DEL<strong>LE</strong> DEPORTAZIONI FASCI-<br />
STE: UNA QUESTIONE NAZIONA<strong>LE</strong>”, in Nord e Sud, XLVI, 1999<br />
Rossi Cristiano, “IL CAMPO DI INTERNAMENTO DEL<strong>LE</strong> FRASCHET-<br />
TE - CENNI STORICI”, tesi di laurea sd.<br />
Capogreco Carlo Spartaco, DAL CAMPO “PER STRANIERI NEMICI”<br />
ALLA FONDAZIONE PER “L’AMICIZIA TRA I POPOLI”-<br />
LA MEMORIA DI FERRAMONTI E LA RISCOPERTA DELL’INTERNA-<br />
MENTO CIVI<strong>LE</strong> ITALIANO, in La Rassegna mensile di Istraell, settembre<br />
2000<br />
Capogreco Carlo Spartaco,(a cura di), LA MEMORIA DI FERRAMON-<br />
191
TI, in “I Luoghi della memoria” quaderno n.1, Rubbettino industrie Grafiche,<br />
Soneria Marnelli, 2000<br />
Capogreco Carlo Spartaco, UNA STORIA RIMOSSA DELL’ITALIA<br />
FASCISTA. L’INTERNAMENTO DEI CIVILI JUGOSLAVI (1941-1943), in<br />
studi storici, gennaio-marzo 2001<br />
Di Sante Costantino, LAGER, LA VERITA’ SUL METODO ITALIANO, in<br />
“L’Unità”, 21 gennaio 2002<br />
Capogreco Carlo Spartaco, GLI INVISIBILI CAMPI DEL DUCE, in “Il<br />
Manifesto”, 23 marzo 2001<br />
Costantini Mario, IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO “<strong>LE</strong> FRASCHET-<br />
TE”, in “Anagni-Alatri Uno”, aprile 2002<br />
Cittadini Corrado, STORIA E CULTURA- UN CONVEGNO SU <strong>LE</strong> FRA-<br />
SCHETTE in “la Provincia”, 24 aprile 2002<br />
Minnucci Mariella, STAMANE NELLA BIBLIOTECA - UN CONVEGNO<br />
SUL LAGER <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> in “Ciociaria oggi” 24 aprile 2002<br />
CAMPI DI CONCENTRAMENTO TRA OBLIO E INDIFFERENZA, in<br />
“Corriere Sud Lazio” 18 maggio 2002<br />
Minnucci Gigino, I LUOGHI DELL’OLOCAUSTO - DA <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong><br />
ALL’AREA DI CONFINO DELLA PROVINCIA, in “Ciociaria oggi” del 17<br />
dicembre 2002<br />
IL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> IN UN LIBRO DELLO STORICO FABIO<br />
GALLUCCIO - PRESTO LA REALIZZAZIONE DI UN “MUSEO DELLA<br />
MEMORIA” IN UNA DEL<strong>LE</strong> BARACCHE, in “Ciociaria oggi” 28 febbraio<br />
2003<br />
Bobbio Alberto, UN PICCOLO LIBRO HA RICOSTRUITO <strong>LE</strong> LACUNE<br />
DEGLI E<strong>LE</strong>NCHI UFFICIALI: ABBIAMO VISITATO QUELLO D’ALA-<br />
TRI, IN PROVINCIA DI FROSINONE - I LAGER CHE L’ITALIA HA<br />
DIMENTICATO - VIAGGIO NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO<br />
192
VOLUTI DAL FASCISMO: NEMMENO UNA LAPIDE RICORDA LA<br />
TRAGEDIA, in “L’Eco di Bergamo” 28 gennaio 2003 premiato al Concorso<br />
“Alberto Minnucci” indetto dal Comune d’Alatri nel 2003<br />
Negri Piero, IL CONTRIBUTO DELL’ITALIA ALLA “SOLUZIONE FINA-<br />
<strong>LE</strong>”- VIAGGIO NEI CAMPI DIMENTICATI, in “Famiglia Cristiana” n.<br />
4/2003<br />
MORINI: <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> NEI NOSTRI PROGETTI, in “Ciociaria oggi”<br />
1 febbraio 2003<br />
L’IDEA DELL’A.P.C. ACCOLTA POSITIVAMENTE DAL SINDACO - UN<br />
MUSEO A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> PER RICORDARE GLI ORRORI DEL-<br />
L’OLOCAUSTO, in “La Provincia” 12 febbraio 2003<br />
INCONTRO TRA MORINI E <strong>LE</strong> ASSOCIAZIONI INTERESSATE – UN<br />
“MUSEO DELLA MEMORIA” NELL’EX CAMPO PROFUGHI- UN PRO-<br />
GETTO DI VALORIZZAZIONE DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> in “Ciociaria oggi”<br />
12 febbraio 2003<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> TRA I LAGER D’ITALIA – IL CAMPO PROFUGHI<br />
“ENTRA” NEL LIBRO in “Ciociaria oggi” 11 marzo 2003<br />
UN MUSEO A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DI ALATRI – MONUMENTO PER<br />
NON DIMENTICARE NELL’EX CAMPO DI CONCENTRAMENTO in “Il<br />
Messaggero” 6 gennaio 2004<br />
PROGETTO AMPIO E SERIO - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>: F.I. APPROVA - DA<br />
COSTRUIRE UN MUSEO E UN MONUMENTO, in “La Provincia” 8 gennaio<br />
2004<br />
FORZA ITALIA COMMENTA LA PROPOSTA DELL’AMMINISTRAZIO-<br />
NE: “OK AL MUSEO DELLA MEMORIA MA VALORIZZIAMO LA<br />
CONTRADA” in “Ciociaria Oggi” 8 gennaio 2004<br />
Baudino Mario, I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER GLI SLAVI<br />
VOLUTI DA MUSSOLINI TRA IL 1940 E IL 1943 - QUANDO GLI ITA-<br />
LIANI IMITAVANO I NAZISTI, in “La Stampa” 20 febbraio 2004<br />
193
UN MUSEO DELLA MEMORIA A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> - INDETTO UN<br />
CONCORSO DI IDEE A LIVELLO NAZIONA<strong>LE</strong>. PREVISTO ANCHE UN<br />
MONUMENTO, in “Acropoli” marzo 2004<br />
PER <strong>LE</strong> FOTO E <strong>LE</strong> TESTIMONIANZE DEGLI INTERNATI – MUSEO<br />
<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> - APPELLO DEL SINDACO MORINI in “La Provincia”<br />
7 aprile 2004<br />
Coladarci Luigi, SCRIVIAMO LA STORIA DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>-<br />
“FORZA!”....LANCIA L’IDEA DI RICOSTRUIRE LA VITA CHE SI<br />
SVOLGEVA A <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> ATTRAVERSO I TESTIMONI DEL<br />
TEMPO, in “F.Forza!...” aprile/maggio 2004<br />
Antonucci Pietro, PER NON DIMENTICARE MAI: UN MONUMENTO<br />
ALLA SOFFERENZA NEL CAMPO <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> in “Qui ” novembre<br />
2004<br />
Coladarci Luigi, MONUMENTO AL DOLORE E MUSEO A <strong>LE</strong> FRA-<br />
SCHETTE in “F. Forza!...” nov/dic 2004<br />
Ceci Massimo, <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, <strong>LE</strong>TTERA A CIAMPI – IL COMUNE<br />
CHIEDE L’AREA: “UN PARCO PER <strong>LE</strong> VITTIME DELL’OLOCAUSTO”,<br />
in “Il Messaggero” 23 gennaio 2005<br />
Ceci Massimo, “COSI’ SI VIVEVA NEL LAGER DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> <strong>LE</strong><br />
TESTIMONIANZE DEL<strong>LE</strong> INTERNATE POLITICHE : FAME, MALAT-<br />
TIE E MALTRATTAMENTI, in “Il Messaggero 27 gennaio 2005<br />
Ceci Massimo, “COSÌ SI VIVEVA NEL LAGER DI <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> -<br />
DAI DOCUMENTI REPERITI NEGLI ARCHIVI DA LINO ROSSI DIRI-<br />
GENTE DELL’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI”, in “Anagni-<br />
Alatri Uno” febbraio 2005<br />
Capogreco Carlo Spartaco, (intervista a), TRA DERESPONSABILIZZA-<br />
ZIONE E OBLIO DELLA MEMORIA: <strong>LE</strong> POLITICHE D’INTERNAMEN-<br />
TO FASCISTA, in “Persona e Società” giugno 2006<br />
Antonucci Pietro, GIORNATA DELLA MEMORIA NELL’EX CAMPO<br />
194
D’INTERNAMENTO - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, LA STORIA, in “Il Tempo” 2<br />
dicembre 2006<br />
Ceci Massimo, L’ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI VUO<strong>LE</strong><br />
RIPROPORRE ALL’ATTENZIONE DEL COMUNE IL PROGETTO DEL<br />
MUSEO STORICO- <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, RIVIVE LA MEMORIA DEL<br />
LAGER- OGGI CONVEGNO PER RIEVOCARE LA STORIA DEL<br />
CAMPO DI PRIGIONIA, in “Il Messaggero” 2 dicembre 2006<br />
QUESTA MATTINA SI SVOLGERA’ UN CONVEGNO ORGANIZZATO<br />
DALL’A.P.C. - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, LUOGO DELLA MEMORIA- INTER-<br />
VERRANNO DIVERSE PERSONALITA’ TRA CUI IL SINDACO DI<br />
CARPI, in “La Provincia” 2 dicembre 2006<br />
QUESTA MATTINA UN CONVEGNO “<strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong> DA CAMPO<br />
DI INTERNAMENTO A LUOGO DI SPERANZA” in “Ciociaria Oggi” del<br />
2 dicembre 2007<br />
Pistilli Massimiliano, CONVEGNO SULLA STORIA DEL CAMPO DI <strong>LE</strong><br />
<strong>FRASCHETTE</strong>, INTERESSANTI PROPOSTE E CONCLUSIONI<br />
“Ciociaria oggi” 3 dicembre 2006<br />
Mangiapelo Massimo, SABATO SCORSO SI E’ SVOLTO UN CONVEGNO<br />
DI STUDI ORGANIZZATO DALL’A.P.C. - <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, LUOGO<br />
DELLA MEMORIA, in “La Provincia” - 6 dicembre 2006<br />
Costantini Carlo, LA GIORNATA DELLA MEMORIA - CAMPO <strong>LE</strong> FRA-<br />
SCHETTE, IL RICORDO - INTERESSANTE E PARTECIPATO CONVE-<br />
GNO DI STUDIO AL SALONE DELL’OSTELLO DELLA GIOVENTU’, in<br />
“Avvenire - Lazio sette Anagni- Alatri” 17 dicembre 2006<br />
FINANZIAMENTO RICHIESTO DA IANNARILLI – IN ARRIVO UN<br />
MILIONE DALLA REGIONE PER “ACQUISTARE” <strong>LE</strong> <strong>FRASCHETTE</strong>, in<br />
“F. Forza!…” 2006<br />
Costantini Carlo, ALATRI CONVEGNO DI STUDI “I CAMPI DI INTER-<br />
NAMENTO IN ITALIA. IL CAMPO DI INTERNAMENTO <strong>LE</strong> FRA-<br />
SCHETTE”, in “Anagni Alatri Uno” dicembre 2006<br />
Tassin Ferruccio, LA PRESENZA CARITATIVA DELLA CHIESA NEL<br />
GORIZIANO, da “Chiesa e società nel Goriziano...” sd.<br />
195
INDICE<br />
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7<br />
Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9<br />
Parte I<br />
“La storia del Campo attraverso la documentazione di archivio”. pag. 11<br />
Appendice<br />
Un’ interessante relazione ispettiva sul Campo. . . . . . . . . . . . . . . pag. 48<br />
Parte II<br />
Testimonianze di vita nel Campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 66<br />
Parte III<br />
Il diario di Madre Mercedes Agostini<br />
18 luglio 1943 – 6 aprile 1944 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 73<br />
Parte IV<br />
Convegno di studi 2002 “ Campi di Concentramento<br />
fascisti tra oblio ed indifferenza. Il caso del Campo<br />
Le Fraschette di Alatri” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110<br />
Appendice<br />
Visita - sopralluogo al Museo-monumento di Carpi<br />
e all’ex Campo di Fossoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133<br />
Parte V<br />
Convegno di studi 2006 “La giornata della memoria:<br />
i Campi di internamento italiani<br />
il Campo Le Fraschette di Alatri”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 134<br />
Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 183<br />
Fonti di archivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 185<br />
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 186<br />
Sitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 190<br />
Articoli da giornali, periodici e riviste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 191<br />
Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I / VIII