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sotto i due figli a donna - Una città

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po’ di vero in ognuna di queste risposte. Alcuni<br />

inoltre, ma questo solo molti anni dopo, sono<br />

emigrati in Israele. Oggi i maggiori acquirenti<br />

del grano che si stende a perdita d’occhio in ciò<br />

che resta dei kolchoz, sono gli israeliani. Così<br />

com’è israeliano il padrone della ditta dove lavora<br />

come informatica Nadja, fuggita da Grozny<br />

assieme al <strong>figli</strong>o allora bambino, ora adolescente,<br />

e ai vecchi genitori. Prima che un anziano<br />

alpino le comprasse una casetta, viveva<br />

ai margini del paese, in una palazzina lunga<br />

lunga, sommersa dalle antenne e dai panni stesi,<br />

che ospita tanti profughi come lei. A ogni famiglia<br />

una stanza e il bagno in comune.<br />

“Forse farei meglio a tornarci -racconta- perché<br />

le tasse sulla casa mi ammazzano. Con la<br />

crisi in tanti lavoriamo a orario ridotto e la paga<br />

non basta. Intanto il mio padrone tutti i soldi<br />

che guadagna se li porta in Israele”, <strong>sotto</strong>linea<br />

con rancore. “E in Cecenia pensi di tornare?” le<br />

chiedo. “In Cecenia?! Là adesso è un inferno.<br />

Comandano i banditi islamici”.<br />

Eppure anche Nadja, così diffidente verso tutto<br />

ciò che non è ‘russo’, viene spesso a trovarci,<br />

me e Gianna, e ci porta involtini di riso dentro<br />

foglie di cavolo, o bliny preparati da sua madre.<br />

Le piace questo piccolo angolo d’Italia,<br />

che anche a lei ha regalato un po’ di fortuna.<br />

Io e Gianna siamo ospiti in una palazzina costruita<br />

dagli alpini, donata poi al Municipio<br />

perché ne facesse una scuola materna, l’“Asilo<br />

del sorriso”.<br />

Nel 1993, per celebrare degnamente il 50° anniversario<br />

della battaglia di Nikolajewka,<br />

l’Ana ha voluto ridare vita al palazzo che dal<br />

settembre del 1942 al gennaio del ’43 fu sede a<br />

Rossosch del Comando degli Alpini. Un edificio<br />

che era stato in origine un’usadba, cioè una<br />

nobile dimora di campagna. Si racconta che i<br />

proprietari, poi fuggiti all’estero dopo la rivoluzione,<br />

vi avessero a suo tempo ricevuto Lev<br />

Tolstoj. In seguito era diventato un Istituto Professionale<br />

di medicina. Allo scoppio della<br />

guerra fu sede del Alto Comando Sovietico per<br />

la Russia Meridionale, poi era subentrato<br />

l’esercito italiano. Nel 1991, quando l’allora<br />

presidente dell’Ana, Ferruccio Panazza tornò a<br />

visitare i luoghi del disastro italiano, aveva trovato<br />

l’edificio completamente in rovina. Gli<br />

30<br />

una <strong>città</strong><br />

venne dunque l’idea di realizzare qualcosa che<br />

rimanesse a beneficio della popolazione e a ricordo<br />

di coloro che non sono più tornati. “Ricordare<br />

i morti pensando ai vivi” è uno degli<br />

scopi principali dell’Ana e l’idea di costruire<br />

un asilo per i nipoti dei nemici di un tempo là<br />

dove cinquant’anni prima si decidevano le sorti<br />

di una guerra, dà il senso di una promessa di<br />

pace, della vita che continua, del bene che può<br />

scaturire anche dagli eventi più tragici.<br />

In questo asilo, per impulso della sua direttrice<br />

e dell’amministrazione, i bambini studiano<br />

l’italiano. Mentre nel seminterrato, che gli alpini<br />

hanno conservato per sé e dove è ospitato un<br />

Museo della Guerra, da anni è attiva una scuola<br />

estiva di lingua italiana per gli adulti. Sono<br />

molti coloro che approfittano di questa opportunità,<br />

soprattutto donne. In questo paese in affanno,<br />

il tessuto sociale ed economico è quasi<br />

del tutto femminile: le nonne, le mamme, le ragazze<br />

affrontano con determinazione un mondo<br />

nuovo cui gli uomini non sanno o non vogliono<br />

adattarsi. Frequentano i corsi in previsione<br />

di un lavoro, anche solo temporaneo, in<br />

Italia, o di una nuova amicizia che possa dare<br />

una svolta alla loro esistenza, o di un viaggio<br />

che finalmente sta per realizzarsi.<br />

Fa eccezione il giovanissimo e simpatico infermiere<br />

armeno Arthur, a 25 anni già padre di<br />

una bambina di sette. Del resto è atipico anche<br />

come infermiere: appassionato lettore dei poeti<br />

dell’Età d’argento, scrive lui stesso poesie. Mi<br />

spiega che l’alcolismo, ineliminabile piaga nazionale,<br />

si è tuttavia acutizzato per la disoccupazione<br />

che, nonostante la retorica ufficiale, ha<br />

raggiunto qui livelli altissimi. Uomini di 40, 50<br />

anni approdano nel suo reparto come relitti, segnati<br />

da cirrosi epatica e tumori.<br />

In questo paesaggio malinconico e desolato, dove<br />

il cielo sporco di nuvole grigie, nonostante<br />

sia ancora agosto, ha già perso la brillantezza<br />

dell’estate, il grande asilo col tetto rosso spicca<br />

come un’isola colorata e felice. Sfavillante per<br />

l’accurata manutenzione che periodicamente<br />

l’Associazione nazionale alpini garantisce, questo<br />

spicchio d’Italia mi accoglie quando rientro<br />

da una passeggiata. Attorno alla scuola, aiuole<br />

di rose e un piccolo frutteto che lascia cadere<br />

prugne non più grandi delle nostre ciliegie, ma<br />

come esse dolci e croccanti, colorano questa<br />

terra scura e polverosa, che solo da pochi anni<br />

inizia a svelare i propri dolorosi segreti.<br />

Dopo la caduta dell’Urss, si è iniziato a cercare<br />

le fosse dei soldati italiani ed è cominciata<br />

un’imponente opera di rimpatrio di salme. Ma<br />

con l’afflusso dei tanti italiani che finalmente<br />

hanno potuto visitare i luoghi dove la loro gente<br />

si è persa, c’è chi ha allestito un fiorente<br />

commercio di cimeli di guerra e piastrine militari.<br />

Di quest’ultime, col metal detector, se ne<br />

rinvengono a non finire, rugginose e verdi di<br />

muffa, assieme a qualche groviglio di ossa.<br />

E così nei pressi della stazione in un negozietto<br />

di anticaglie, dentro cui m’attardo in attesa di<br />

un treno, m’imbatto in Pioli Lorenzo, di Artogne,<br />

in provincia di Brescia, classe 1914, e in<br />

Mario, ragazzo di Venezia, di cui non riesco a<br />

decifrare altro in questo pezzo di metallo ormai<br />

deformato. Lorenzo è morto a 19 anni. Chissà<br />

com’era partito, se col cuore lacerato o con<br />

l’entusiasmo per un’avventura nuova. Chissà<br />

quali sogni sono naufragati con lui.<br />

Ora bastano 500 rubli, circa 20 euro per riportarlo<br />

a casa.

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