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discussioni<br />
v’è che si nasconde? Beh, la complessità si nasconde<br />
nel fatto che i cittadini sono atomi, intelligenti<br />
però, cioè che sono in grado di processare<br />
informazione. E quindi, anche lì, la<br />
complessità della mobilità in una <strong>città</strong> non la<br />
puoi ottenere facendo la somma della mobilità<br />
di tutti i singoli cittadini. Se tu ti metti, per<br />
esempio a Bologna o a Roma, a sommare la<br />
mobilità di tutti i cittadini, non avrai la mappa<br />
della mobilità globale sulle <strong>città</strong>. Quindi ci siamo<br />
messi a studiare queste cose e ci siamo anche<br />
abbastanza divertiti. Ora, se sarà una nuova<br />
disciplina, si vedrà... Certamente sarebbe necessariamente<br />
interdisciplinare. Tu non puoi<br />
affrontare il problema della mobilità oppure<br />
quello della sicurezza, fenomeni, cioè, di dinamiche<br />
urbane, senza un’interazione per esempio<br />
con i neuroscienziati, coi sociologi, con gli<br />
psicologi, con gli economisti, con gli urbanisti<br />
eccetera. Se parliamo di “atomo intelligente”<br />
questo è indispensabile. Per esempio ho partecipato<br />
con la costruzione di un modello a una<br />
ricerca sulla crescita delle gang di scuola a<br />
Chicago. Sono già dieci anni che lavoriamo a<br />
progetti, prima con Architettura del Politecnico<br />
di Milano, in cui c’erano però anche dei sociologi,<br />
poi con Sociologia di Milano, in cui c’erano<br />
anche degli urbanisti di Venezia, e altri, per<br />
studiare l’impatto del turismo per una <strong>città</strong> come<br />
Venezia.<br />
Per cui questa nuova scienza della <strong>città</strong>, che<br />
noi auspichiamo, è una scienza naturalmente<br />
interdisciplinare; il che non vuol dire che io<br />
smetto di fare il fisico e divento un sociologo, e<br />
neanche un urbanista, vuol dire però che queste<br />
cose vengono rifuse insieme in un modello comune.<br />
c’è una sorta di distanza media<br />
che percorre il cittadino,<br />
comune a tutte le <strong>città</strong>,<br />
che è dell’ordine di 5-6 km<br />
Poi ovviamente io vedrò più l’aspetto fisicomatematico,<br />
qualcun altro vedrà più l’aspetto<br />
sociologico, qualcuno mi aiuterà a interpretare<br />
i dati che ottengo eccetera.<br />
Per esempio noi abbiamo analizzato milioni di<br />
dati sulla mobilità automobilistica in varie <strong>città</strong><br />
(da Bologna, a Roma, a Senigallia, a Genova, a<br />
Firenze) e abbiamo scoperto una cosa che ci ha<br />
lasciato a bocca aperta: che se tu prendi il numero<br />
dei viaggi in automobile e prendi la lunghezza<br />
dei viaggi, beh, c’è una sorta di distanza<br />
media che percorre il cittadino, comune a<br />
tutte le <strong>città</strong>, che è dell’ordine di 5-6 km. Allora<br />
uno dice: come, dell’ordine di 5-6 km? Sì,<br />
quella distanza sarebbe il viaggio medio che<br />
fanno i cittadini di una qualunque <strong>città</strong>, di quella<br />
di centomila abitanti come di quella di tre<br />
milioni. E’ come se nella tua testa ci fosse il riflesso<br />
condizionato che val la pena prendere la<br />
macchina solo per 5 km, come se avessimo una<br />
specie di metro. Da dove viene questa cosa? La<br />
discussione è su questo. <strong>Una</strong> cosa analoga l’abbiamo<br />
vista con la percezione del tempo che si<br />
ha, perché, misurando i tempi di sosta e contando<br />
il numero delle soste, vedi che questa è<br />
una scala logaritmica. Per cui dici: ma allora la<br />
percezione del tempo è logaritmica? Così vai a<br />
cercare e lì scopri che gli psicologi stanno facendo<br />
l’ipotesi sempre più forte che la percezione<br />
che gli umani hanno del tempo vada come<br />
un logaritmo: cioè che il primo secondo<br />
non sia uguale al secondo secondo, eccetera.<br />
Perché? Perché non so.<br />
I risultati che ottenete quindi sono anche<br />
molto empirici…<br />
Sì, certo. Per esempio un’altra cosa che abbiamo<br />
fatto, e questa è recentissima, è una sorta di<br />
“equazione del panico”. Il panico è uno dei fenomeni<br />
più difficili da prevedere. Nel dizionario<br />
si dice che c’è il panico quando uno perde<br />
la testa. Ecco, noi, utilizzando il concetto di<br />
utilità e quello di temperatura sociale, abbiamo<br />
scritto una sorta di equazione del panico, che in<br />
linea di principio ci permetterebbe di vedere,<br />
data una folla, per esempio in una stazione,<br />
quando può arrivare il panico e quindi di introdurre<br />
delle forme di prevenzione. Ne cito una,<br />
perché abbiamo discusso di questo con la Ratp<br />
a Parigi.<br />
Adesso la Ratp, la società che gestisce il trasporto<br />
pubblico, ha un problema perché sia il<br />
Parigi<br />
una <strong>città</strong> 35