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sotto i due figli a donna - Una città

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storie<br />

LA CHIERICHETTA<br />

Un rapporto con la fede intenso e combattuto; l’insofferenza per<br />

tutte le pratiche e i riti maschilisti, nella consapevolezza che<br />

le dinamiche interne alla Chiesa sono uno specchio di ciò che accade<br />

fuori; la passione per una lettura femminista dei testi e l’incredibile<br />

vicenda di quel contratto riscritto; intervista a Sara Manzoni.<br />

Sara Manzoni, cristiana e femminista, laureata<br />

in astronomia, lavora come analista programmatrice.<br />

Sposata, vive a Monghidoro.<br />

La mia era una famiglia normalissima. Quand’ero<br />

piccola non c’era babbo natale, c’era Gesù<br />

bambino che portava i regali, e quello è stato<br />

il mio primo approccio con la fede. Poi è arrivato<br />

il catechismo, che all’epoca veniva fatto<br />

solo prima della comunione e prima della cresima,<br />

per lo più dalle suore che a otto anni ci<br />

spiegavano che le donne non potevano fare il<br />

prete perché il prete deve confessare e le donne<br />

non sanno mantenere i segreti.<br />

Così ho cominciato subito a sentirmi offesa,<br />

ovviamente. Non potevo sopportare che quella<br />

fosse l’unica motivazione logica che le suore<br />

trovavano per giustificare le discriminazioni. E<br />

poi c’era la questione dei chierichetti. A un certo<br />

punto chiesi di fare anch’io la chierichetta,<br />

beh, il prete non si premurò nemmeno di rispondermi,<br />

si mise a ridere come un pazzo dicendo<br />

al viceparroco: “Hai sentito, vuole fare<br />

la chierichetta!”.<br />

Con queste premesse, fatta la cresima finita la<br />

frequentazione della chiesa.<br />

Tra l’altro, qualche anno dopo, tornando a frequentare<br />

la parrocchia per il coro, ho scoperto<br />

che tra i chierichetti c’era anche una bimba, allora<br />

sono andata dal parroco (che era sempre lo<br />

stesso) e gli ho detto: “Ah, adesso prendete anche<br />

le bambine!”. “No, è che questa ha i capelli<br />

corti e sembra un maschio”. Così anche<br />

l’esperienza nel coro è durata poco.<br />

All’epoca vivevo ad Alassio, provincia di Savona.<br />

Nel 1989 sono venuta a Bologna, dove<br />

ho conosciuto il movimento di Comunione e<br />

Liberazione. E’ stato amore e odio: ero molto<br />

colpita da queste persone che vivevano la fede<br />

come partecipazione alla vita dell’Università e<br />

alla vita politica. Per me era una dimensione<br />

completamente nuova. Non ero d’accordo su<br />

certe posizioni, su certe rigidità, a volte mi sentivo<br />

anche molto costretta, mi sembrava fosse<br />

una specie di setta. Però questa loro intensità<br />

mi affascinava molto.<br />

“Ah, adesso prendete<br />

anche le bambine!”.<br />

“No, è che questa ha i capelli corti<br />

e sembra un maschio”<br />

C’erano persone molto in gamba con cui mi<br />

trovavo bene, col tempo però è diventato prevalente<br />

il peso delle persone con le quali non<br />

mi trovavo bene, per cui ho abbandonato la frequentazione<br />

di questo movimento, che comunque<br />

mi ha segnato, rivelandomi una dimensione<br />

della fede per me inedita.<br />

Mentre frequentavo i ciellini ho trovato i foco-<br />

larini, e devo dire che con loro mi sono trovata<br />

molto più a mio agio. Cioè, i focolarini sono<br />

caratterizzati dal fatto che secondo la fondatrice<br />

tutte le religioni hanno una regola d’oro, che<br />

può essere condivisa anche dagli altri, che è<br />

non fare agli altri quello che non vorresti fosse<br />

fatto a te. Con loro si andava molto sul concreto:<br />

si aiutavano le famiglie bisognose di Bologna,<br />

si raccoglievano fondi per gli alluvionati<br />

facendo torte, cose così.<br />

Per me è stato un ulteriore passaggio sul come<br />

coniugare la fede con la vita nella sua quotidianità<br />

pratica. In Comunione e Liberazione prevaleva<br />

la sfera cerebrale, per così dire, c’era lo<br />

studio, l’impegno in politica, ma non ci si occupava<br />

di attività pratiche. Se dovessi invece<br />

fare una critica dei focolarini è che sorridono<br />

sempre. Certe volte questo atteggiamento diventava<br />

indisponente: “Ma io adesso non ho<br />

voglia di sorridere, perché sorridete tutti?”.<br />

Ma la svolta definitiva è stato l’incontro con i<br />

gesuiti, perché lìho trovato una consonanza<br />

con quello che sentivo e molto rispetto della<br />

persona individuale.<br />

A quel punto è tornato fuori il problema dell’essere<br />

femmina nella Chiesa, perché comunque<br />

non sei l’essere umano di serie A, che è il<br />

maschio, sei quello di serie B. Tra l’altro, con i<br />

gesuiti mi sono resa conto che una certa immagine<br />

della <strong>donna</strong> che rifiutavo a livello intellettuale<br />

in realtà l’avevo assimilata profondamente<br />

a livello inconscio. Insomma, ero anch’io<br />

vittima di un certo numero di stereotipi senza<br />

neanche rendermene conto...<br />

In particolare, mi era rimasto impresso un episodio:<br />

in un’occasione mi era capitato di ascoltare<br />

le confidenze di una suora che era molto<br />

triste per la perdita di femminilità legata alla<br />

menopausa. Io francamente lì per lì non avevo<br />

capito: “Ma a una suora cosa gliene importa<br />

della menopausa, visto che tanto non fa <strong>figli</strong>?”.<br />

Mi sono così resa conto di misurare anch’io la<br />

femminilità sul fare <strong>figli</strong>, che è lo stereotipo<br />

maschilista per eccellenza!<br />

Devo dire che questo lavoro di sradicamento di<br />

stereotipi e pregiudizi non finisce mai. Io almeno<br />

penso di non averlo ancora concluso.<br />

Negli anni sono diventata sempre meno tollerante<br />

rispetto alla discriminazione, non la sopporto<br />

più; adesso quando vado a messa e vedo<br />

una sfilza di uomini sull’altare proprio mi innervosisco,<br />

non tollero che questi uomini pretendano<br />

di rappresentarmi perché Dio nella sua<br />

illuminata onniscienza ha deciso di avere un <strong>figli</strong>o<br />

maschio. Non capisco perché il fatto di<br />

avere avuto un <strong>figli</strong>o maschio comporti che tutti<br />

i suoi rappresentanti debbano essere maschi,<br />

e soprattutto che il maschile comprenda anche<br />

me femmina. Non ha senso. Tra l’altro ci sono<br />

così tante contraddizioni. L’ostilità alle coppie<br />

omosessuali si fonda sull’assenza di un’alterità<br />

maschio-femmina, dopodiché nella gerarchia<br />

ci sono solo maschi!<br />

Questa cosa non l’accetto più, non ne trovo un<br />

senso logico e non la sopporto dal punto di vista<br />

della mia dignità.<br />

Detto questo, restar fedeli ai propri principi è<br />

dura, perché la fede si vive in comunità, e trovare<br />

una comunità che accetti una parità tra<br />

maschio e femmina non è facile, perché il prete<br />

è maschio, e con tutte le migliori intenzioni<br />

non gli salterà mai in mente, ad esempio, di rinunciare<br />

alla sua ordinazione per solidarietà<br />

con le donne, perché comunque Dio l’ha chiamato,<br />

e le donne chiamate faranno qualcos’altro,<br />

si faranno suore, faranno le missionarie laiche,<br />

in qualche modo se la caveranno. Ecco, io<br />

questo non lo tollero più.<br />

A metà anni ’90 ricordo di aver assistito a un<br />

matrimonio in cui il prete per sbaglio aveva<br />

preso con sé il rito del matrimonio preconciliare.<br />

Accortosene, aveva detto agli sposi: “Adesso<br />

non ho voglia di prendere l’altro libro, faccio<br />

con questo, tanto è valido lo stesso”. Gli<br />

sposi hanno risposto: “Va bene”.<br />

quando mi sono sposata io,<br />

ho preso il rito<br />

e me lo sono guardato tutto<br />

dalla prima all’ultima riga<br />

Beh, io sono rimasta senza parole! Nel rito preconciliare<br />

la moglie promette obbedienza, <strong>sotto</strong>missione:<br />

io ti seguirò dovunque, tu vai, io<br />

arrivo...<br />

Ero così scandalizzata che sono andata da mia<br />

madre a chiederle come avesse potuto accettare<br />

questo rito. Al che lei mi ha risposto: “Era così,<br />

era normale”.<br />

Quando mi sono sposata io, ho preso il rito e<br />

me lo sono guardato tutto dalla prima all’ultima<br />

riga modificando ciò che ritenevo maschilista,<br />

ad esempio, nella benedizione finale in cui<br />

si dice alla sposa “Tu sarai dolcissima” e allo<br />

sposo “Tu sarai fortissimo” ho voluto inserire<br />

una formula più paritaria in cui si augurava allo<br />

sposo e alla sposa di essere sia dolci che forti.<br />

Ma probabilmente se fra vent’anni una <strong>donna</strong><br />

leggerà il rito del mio matrimonio dirà: “Ma<br />

come hai fatto ad accettare un rito così maschilista?”.<br />

E’ sicuro.<br />

Il punto è che questi non sono problemi ecclesiologici,<br />

ma antropologici. Se tu vai a vedere<br />

la storia dei diritti delle donne nel corso dei secoli,<br />

ti accorgi che sono onde, salgono e scendono,<br />

non sono mai scontati, tu puoi avere raggiunto<br />

certi diritti e domani li puoi perdere.<br />

Pensiamo ai Paesi cosiddetti islamici. In Algeria<br />

nel 1985, quando fu promulgato quell’infame<br />

codice della famiglia, le donne pilotavano<br />

aerei da caccia (mentre in Italia non potevano<br />

neanche entrare nell’esercito!). I diritti delle<br />

donne sono sempre a rischio perché non sono<br />

considerati diritti primari. La dichiarazione<br />

universale dei diritti umani spessissimo viene<br />

tradotta come “diritti dell’uomo”, che non è<br />

una traduzione corretta, soprattutto perché all’epoca<br />

della stesura ci fu proprio una discus-<br />

una <strong>città</strong> 31

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