pag. 1-75 OCSE-PISA:05-P427-445 verde acido - Sei
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introduzione<br />
L’USO SCRITTO DELLA LINGUA<br />
Scrivere è sempre nascondere qualcosa<br />
che venga poi scoperto<br />
(I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cap. VIII)<br />
La lingua scritta è il mezzo privilegiato per comunicare con interlocutori<br />
lontani nello spazio e per garantire al messaggio di un testo una durata nel<br />
tempo: questo è la ragione d’essere di un’antologia, che non a caso propone<br />
testi scritti particolarmente significativi e forieri di un “messaggio centrale” (di<br />
cui abbiamo parlato a p. 132 del volume A di Trame).<br />
Già, ma nell’antologia la lingua scritta viene proposta soprattutto:<br />
• per essere compresa (non a caso esercizi di comprensione accom<strong>pag</strong>nano<br />
tutti i testi proposti);<br />
• per essere analizzata nelle sue diverse strutture narratologiche, retoriche, stilistiche;<br />
• infine per essere usata ai fini di produrre altri testi scritti, (spesso di tipologia<br />
e con finalità differenti, come avete potuto comprendere dalla varietà di<br />
testi e di tipologie narrative che Trame vi propone).<br />
Lo scopo di questo volumetto è quello di affinare le vostre competenze di<br />
lettori e scrittori: la vostra esperienza di lettori, infatti, sarà messa alla prova<br />
innanzi tutto per quanto riguarda una corretta comprensione, il primo, indispensabile<br />
gradino per poter poi diventare anche buoni “scrittori”. La vostra<br />
capacità di comprensione sarà messa alla prova attraverso delle tipologie di<br />
esercizio differenti (almeno in parte) da quelle a cui l’antologia vi ha abituato:<br />
si tratta delle tipologie <strong>OCSE</strong>-<strong>PISA</strong>, le cui caratteristiche e finalità vengono<br />
spiegate a p. 00 (questa sarà, tra l’altro, per voi l’occasione di poter godere della<br />
lettura di sei nuovi racconti integrali).<br />
A partire dalla vostra accertata (secondo metodi internazionali) competenza di<br />
lettori, si può passare alla fase della scrittura.<br />
Questo avverrà - attraverso quattro sezioni - in due tempi:<br />
• dapprima – dopo una “palestra di prescrittura” – proveremo ad applicare<br />
praticamente alcune delle tecniche che avete studiato nella prima parte del<br />
volume A di Trame: il fine dell’antologia è infatti quello che voi sappiate riconoscerle<br />
leggendo testi di altri scrittori, così da diventare “lettori esperti”.<br />
Il fine di questo volume è di verificare se le conoscete così bene da poterle applicare.<br />
Non tutte, naturalmente, a meno che la vostra ambizione sia quella di<br />
diventare scrittori di professione;<br />
• il secondo passo è quello scrivere testi veri e propri, cosa che sicuramente<br />
già fate, ma questa “palestra di scrittura” ha il fine di insegnare a scrivere in<br />
modo meditato e razionale. Scrivere “facendosi capire” dai propri lettori<br />
non è così scontato. Saper comunicare è un’arte che si impara attraverso l’esercizio.<br />
Non a caso Vasilij Andreevi Žukovskij, un poeta russo del XIX secolo<br />
che di mestiere faceva il traduttore, diceva che “ciò che si scrive con fatica<br />
si legge con facilità”.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
1
2<br />
Il fine che vi proponiamo è dunque più modesto del diventare scrittori veri e<br />
propri ma molto utile ai fini pratici della scrittura nella vostra vita scolastica e<br />
nella vostra vita futura. Per questa ragione le sezioni finali del volume sono dedicate<br />
alla stesura:<br />
• del tema;<br />
• del testo argomentativo;<br />
• del saggio breve.<br />
Non passeremo in rassegna i vari tipi di testo (che avete già studiato alle scuole<br />
medie e, dopo l’uso del volume A di Trame pp. 684-709, dovreste aver approfondito<br />
e messo a punto), non riprenderemo scritture “tecniche” come il riassunto<br />
(che già trovate nel volume A di Trame a p. 156 e sgg.) rispetto al testo<br />
in prosa, o la parafrasi e il commento rispetto al testo in poesia (nel volume B<br />
a p. 73 e sgg.). Ci soffermeremo invece sull’abilità di scrittura, spesso, a torto,<br />
ritenuta un talento naturale ma che in realtà si apprende attraverso alcune strategie<br />
ed esercizi via via più complessi che vi condurranno a produrre testi sempre<br />
più chiari, comprensibili ed efficaci rispetto al tema trattato. Lo faremo,<br />
appunto, adottando le tecniche imparate nel volume A di Trame, cui spesso faremo,<br />
non a caso, riferimento.<br />
Chiariamo allora il nostro scopo, che è quello di fare in modo che ogni testo<br />
scritto da voi prodotto abbia come requisiti di essere chiaro, corretto,<br />
comprensibile, interessante.<br />
Tutti voi potete diventare dei buoni “autori” se avrete la pazienza di seguire il<br />
percorso che vi proponiamo: avrete l’opportunità di cimentarvi con testi creativi,<br />
espressivi, composti per lasciare spazio alla fantasia o per fissare sulla <strong>pag</strong>ina<br />
sentimenti e sensazioni del mondo interiore, vostro o dei personaggi che<br />
saprete inventare.<br />
Tutto questo sarà utilissimo ai fini di produrre testi destinati ai compiti scritti<br />
di lingua e letteratura italiana, dove vi rivolgete essenzialmente all’insegnante<br />
di italiano. Ma padroneggiare bene per iscritto la propria lingua madre è fondamentale<br />
per ogni disciplina scolastica e in tutte le situazioni della vita che richiedono<br />
un uso scritto della lingua.<br />
Basta avere, in ogni caso, ben chiari due aspetti, che non bisogna mai trascurare:<br />
a chi ci rivolgiamo<br />
qual è lo scopo per il quale scriviamo.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
Le prime<br />
indagini.<br />
La svolta degli<br />
anni Ottanta.<br />
LACOMPRENSIONE<br />
DELTESTO<br />
È solo di recente che nella scuola italiana si sono diffuse prove di verifica che<br />
fanno riferimento a organismi internazionali, ma in verità è già dalla metà dell’Ottocento<br />
che questo tipo di valutazioni era stato concepito e si era diffuso in<br />
molti paesi. L’origine di queste prove veniva dalla volontà di alcuni pedagogisti<br />
di conoscere i sistemi scolastici di altri popoli in modo più sistematico, cercando<br />
di superare l’occasionalità delle ricerche in proposito e tentando di raccogliere<br />
informazioni che consentissero di evidenziare analogie e differenze nei<br />
sistemi d’istruzione. L’obiettivo era molteplice, ma sostanzialmente era finalizzato<br />
alla conoscenza e alla comprensione del funzionamento dei sistemi scolastici<br />
per raggiungere le condizioni migliori di apprendimento e insegnamento,<br />
pur essendo molto complesso, certamente, costruire dei curricoli che<br />
permettessero di ottenere in modo attendibile una comparazione.<br />
La difficoltà che queste prime organizzazioni dovettero affrontare per realizzare<br />
i loro lavori non era solo concettuale, ma anche di natura economica, perché<br />
non riuscivano a coinvolgere istituzioni pubbliche o private per finanziare<br />
le loro ricerche. Tuttavia, negli anni Ottanta, quando divenne più chiaro per<br />
molti Stati che il rapporto costi-benefici nell’istruzione non era un passaggio<br />
trascurabile, vennero accolte con maggiore interesse le indagini valutative sui<br />
sistemi scolastici, per poter individuare la relazione più efficace tra investimenti<br />
nel settore dell’istruzione e la riuscita economica della formazione<br />
fornita. Le prime rilevazioni internazionali adattarono strumenti e procedure<br />
che erano già stati utilizzati in America, rivedendo i punteggi in relazione<br />
ai programmi dei diversi paesi interessati, ma questo sistema aveva evi-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
3
4<br />
A che cosa<br />
serve la scuola.<br />
Che cosa<br />
valuta <strong>PISA</strong>.<br />
Obiettivi del<br />
test, ambiti<br />
e tempi<br />
d’intervento.<br />
denti limiti, non foss’altro per la parzialità del parametro di riferimento; così<br />
dopo i primi strumenti messi a punto soprattutto dall’<strong>OCSE</strong> (Organizzazione<br />
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 1997 ebbe inizio <strong>PISA</strong><br />
(Programme for International Student Assessment), che aveva l’obiettivo di<br />
fornire informazioni utili sui risultati dei sistemi d’istruzione per migliorare le<br />
politiche scolastiche. I lavori di <strong>PISA</strong> inoltre erano pensati con una cadenza regolare<br />
e ripetuta nel tempo, che si stabilì in cicli di quattro anni.<br />
Alla base dei test <strong>OCSE</strong> <strong>PISA</strong>, dunque, c’è la volontà di verificare in quale misura<br />
la scuola prepari i giovani ad affrontare la vita di cittadini e di lavoratori,<br />
proprio in un momento storico come questo, in cui l’offerta di lavoro implica<br />
una notevole mobilità e la necessità di un apprendimento continuo. <strong>PISA</strong> ritiene<br />
che nelle attuali condizioni sociali e culturali non sia più utile una scuola finalizzata<br />
alla sola trasmissione di contenuti, ma piuttosto a mettere in condizione gli<br />
studenti di applicare ciò che hanno appreso per affrontare (e risolvere) i problemi<br />
della vita reale. La scuola deve quindi preparare a sapere e saper fare,<br />
abilità che si sostituiscono alla precedente idea di una scuola trasmettitrice di<br />
conoscenze, promuovendo un’idea di scuola come luogo formativo che stimola<br />
le capacità e le motivazioni necessarie per continuare ad apprendere tutta la vita.<br />
Da tutto ciò risulta chiaro che <strong>PISA</strong> valuta la scuola in base a un criterio<br />
esterno ad essa – di carattere politico ed economico – e non sulla base del<br />
possesso di conoscenze: la scuola deve essere in grado di lavorare sulla literacy,<br />
ovvero sulla capacità degli studenti di ricercare, identificare, elaborare informazioni<br />
e comunicare i propri ragionamenti su di esse.<br />
LA REALIZZAZIONE DEL TEST<br />
Il progetto <strong>PISA</strong> è frutto di una collaborazione di molti organismi diversi e dirige<br />
la sua indagine su numerosi paesi del mondo: al test del 2006 hanno aderito 57<br />
nazioni e 62 a quello del 2009. Il lavoro ha sostanzialmente tre obiettivi: il primo<br />
è di individuare indicatori comparabili a livello internazionale su studenti della<br />
stessa età (15 anni) per verificare se i sistemi di educazione siano capaci di<br />
preparare i giovani ad affrontare la vita civile e lavorativa; un secondo è<br />
quello di poter interpretare i dati ottenuti per mettere in atto politiche efficaci<br />
a livello di indicazioni ministeriali; un terzo infine è quello di monitorare gli<br />
sviluppi delle politiche educative stesse, qualora fossero state immesse delle<br />
riforme. Le discipline sulle quali <strong>PISA</strong> ha stabilito di operare sono l’abilità di<br />
lettura, la matematica, le scienze naturali. Ogni ciclo <strong>PISA</strong> si articola su quattro<br />
fasi che si svolgono nel corso di quattro anni: ideazione del test (primo anno),<br />
indagine pilota per affinare il test (secondo anno), somministrazione del test agli<br />
studenti dei paesi aderenti (terzo anno), preparazione dei risultati con elaborazione<br />
dei dati a livello nazionale e internazionale (quarto anno).<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
I test<br />
di lettura.<br />
Caratteristiche<br />
dei quesiti<br />
proposti.<br />
Formati<br />
di risposta.<br />
Per quanto riguarda l’abilità di lettura, ritenuta trasversale a molti ambiti e non<br />
solo propria della letteratura, <strong>PISA</strong> ha condotto un’ampia riflessione sulle situazioni<br />
di lettura distinguendone le tipologie principali: ad uso privato e<br />
personale; ad uso pubblico per partecipare a eventi della sfera civile; in contesto<br />
lavorativo, legata all’esecuzione di un compito; a fini educativi, per acquisire<br />
informazioni che vengono richieste da altri. Sulla base di queste tipologie,<br />
la prova <strong>PISA</strong> sulla lettura conterrà un racconto o un testo teatrale, che rispondono<br />
all’ambito della lettura personale, una lettura di carattere scolastico,<br />
che risponde alla tipologia di testo con fine educativo, un foglio informativo,<br />
che si riferisce a un contesto lavorativo, una lettura a uso pubblico. Il<br />
formato dei testi potrà essere – per soddisfare tutte le tipologie possibili – sia<br />
continuo (testi in prosa: narrativi, espositivi, descrittivi, argomentativi, di<br />
istruzioni, documenti o atti ufficiali, ipertesti), sia non continuo (tabelle, moduli,<br />
figure, grafici, annunci e pubblicità, certificazioni). Si è aggiunta di recente<br />
un’ulteriore distinzione sulla modalità di lettura, che si divide tra lettura<br />
a stampa ed elettronica, perché a seconda del mezzo è diversa anche la modalità<br />
della lettura, che deve essere ugualmente padroneggiata dagli studenti.<br />
Le domande vengono costruite tenendo conto di tre aspetti che mirano a valutare<br />
la comprensione del testo stesso:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
individuare informazioni: cioè scorrere il testo, cercare, localizzare, selezionare<br />
l’informazione richiesta;<br />
comprendere il significato generale di un testo, considerandolo nel suo<br />
insieme: ad esempio indicare l’argomento principale, lo scopo dell’autore,<br />
trovare informazioni significative sia a livello implicito, sia a livello esplicito;<br />
riflettere sul testo e valutarlo, spiegando e difendendo il proprio punto di<br />
vista interpretativo, giustificato attraverso anche conoscenze extratestuali,<br />
in possesso dello studente.<br />
Dopo numerosi passaggi, <strong>PISA</strong> ha scelto di riferirsi alle seguenti cinque tipologie<br />
di domanda:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
e<br />
domande a risposta semplice (scelta tra quattro o cinque proposte);<br />
domande a scelta multipla complessa (costituite da una serie di Vero-<br />
Falso o a scelta multipla);<br />
domande aperte a risposta univoca (cioè con una sola risposta esatta che lo<br />
studente deve produrre o selezionare tra più alternative);<br />
domande aperte a risposta breve (lo studente può avere più risposte corrette);<br />
domande aperte a risposta articolata, in cui si deve fornire una risposta<br />
più estesa.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
5
6<br />
Scale<br />
di competenza<br />
di lettura.<br />
Numero dei<br />
quesiti e loro<br />
descrizione.<br />
Il contenuto<br />
di questo<br />
fascicolo.<br />
<strong>PISA</strong> ha immaginato una scala di classificazione della difficoltà delle domande<br />
sulla base della probabilità che ha uno studente di rispondere correttamente a<br />
una domanda che fa parte della prova. In questo modo vengono contemplate<br />
contemporaneamente sia la difficoltà dei quesiti sia l’abilità dello studente<br />
di rispondere ai quesiti. La divisione in scala è secondo un livello di difficoltà<br />
crescente, da 1 a 5, secondo questo criterio:<br />
• livello 1: si richiede al lettore di reperire informazioni in un punto preciso<br />
del testo o di cogliere l’idea principale se questa è ripetuta più volte;<br />
• livello 2: si chiede di cercare connessioni linguistiche o tematiche all’interno<br />
di un unico capoverso o di sintetizzare informazioni contenute in parti diverse<br />
del testo per dedurre lo scopo dell’autore;<br />
• livello 3: si chiede di individuare connessioni logiche all’interno del testo,<br />
esplicite o implicite, non necessariamente in un unico capoverso, per localizzare<br />
o valutare informazioni;<br />
• livello 4: si verifica che il lettore sappia seguire collegamenti linguistici o tematici<br />
lungo più capoversi per localizzare, interpretare e valutare informazioni<br />
di carattere astratto presenti nel testo, ma spesso non esplicitate chiaramente;<br />
• livello 5: si chiederà al lettore di sapere trovare una relazione tra specifiche<br />
porzioni di testo e il suo significato o scopo implicito.<br />
Nel test <strong>OCSE</strong> <strong>PISA</strong> ogni quesito, nella parte dedicata al docente, viene descritto<br />
secondo molti indicatori: il tipo di item proposto, la sua classificazione<br />
sulla scala, la sua valutazione in termini numerici (secondo un criterio che qui<br />
non abbiamo ricordato perché non utilizzato nel testo), la sua risposta corretta,<br />
quelle parzialmente corrette e quelle errate (nel nostro caso saranno presenti<br />
solo le risposte corrette). La quantità dei quesiti deve rispecchiare la presenza<br />
delle diverse tipologie e dei livelli di difficoltà.<br />
Sulla base di tutte le informazioni presentate nel corso di questa breve introduzione,<br />
che certo trascura molti dati (per esempio quelli inerenti ai testi<br />
non continui, o ai punteggi assegnati in seicentesimi ecc.) sono state predisposte<br />
le prove che seguono, costruite su sei racconti di autori e generi<br />
letterari diversi (non raggruppati per genere, ma presentati in ordine crescente<br />
di difficoltà), in modo da offrire un allenamento alle tipologie proposte<br />
dalle prove <strong>OCSE</strong> <strong>PISA</strong>. In coda ai racconti e alle verifiche sono stati<br />
predisposti i correttori con le indicazioni descrittive degli item. La valutazione<br />
delle abilità di lettura proposte da prove come quelle che seguono può<br />
anche essere intesa come una possibile indagine sulle abilità raggiunte all’interno<br />
di una scuola, intendendo ogni classe come un paese a sé, con partecipanti,<br />
abilità e metodi confrontabili e riferibili all’efficacia del lavoro<br />
dell’intero istituto.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
5<br />
anno 1955<br />
luogo<br />
Stati Uniti<br />
genere<br />
racconto<br />
fantastico<br />
John Steinbeck<br />
L’affare al n°7<br />
di rue de M...<br />
Presentazione dell’opera<br />
Steinbeck è stato uno dei più caratteristici rappresentanti della ripresa economica americana in letteratura, convinto della funzione<br />
di nuova responsabilità che in quegli anni si attribuiva allo scrittore e del forte impegno sociale che questa implicava. Il vigore, la<br />
verità e l’immediatezza con cui descriveva le drammatiche vicende del mondo rurale della California gli attirarono le simpatie del<br />
pubblico e della critica anche fuori dagli Stati Uniti, come dimostra l’ammirazione mostrata per lui, in Italia, da Pavese e Vittorini.<br />
Il periodo bellico, tuttavia, segnò una frattura nel mondo steinbeckiano: la società americana, nel dopoguerra ormai profondamente<br />
cambiata, stava avviandosi verso valori e modelli consumistici, lontani dalla visione della realtà che aveva così fortemente<br />
caratterizzato lo scrittore negli anni Trenta e Quaranta. L’affare al n° 7 di rue de M... appartiene al filone satirico e ironico di Steinbeck,<br />
rivolto per l’appunto contro questa nuova società, che lo scrittore coltivò a partire dagli anni Cinquanta.<br />
Esasperando le situazioni sino al punto di rottura, tramutando la piccola realtà in un mondo surreale, la sua satira insidiosa<br />
non risparmia nessuno: la nobiltà, la borghesia, il clero, i piccoli impiegati, le spie, i confidenti della polizia. Il suo atteggiamento<br />
è quello di chi, fingendosi un cittadino rispettoso e conformista, recita una falsa obbedienza, un falso perbenismo, ma attraverso<br />
la deferenza clownesca mostra il ridicolo delle convenzioni e delle norme.<br />
John Steinbeck<br />
Nato a Salinas nel 1902, crebbe nella cam<strong>pag</strong>na californiana, sfondo di molti<br />
suoi lavori. Nel 1919-25 frequentò saltuariamente la Stanford University e nel<br />
1925-35 fu occupato nei più disparati lavori manuali oltre che nelle prime<br />
prove narrative, che coincidono con la grande crisi economica del 1929 e il successivo<br />
rilancio. Il suo primo libro importante è la raccolta di racconti I pascoli<br />
del cielo (1932), seguito da Al dio sconosciuto (1933), nei quali lo scrittore sviluppa<br />
quella che rimarrà la sua tematica caratteristica, il rapporto tra l’uomo e<br />
la terra in California. Dopo un primo romanzo di grande successo, Pian della<br />
Tortilla (1935) di tono picaresco, decide per una scrittura sempre più aspra e<br />
polemica. Così è in La battaglia (1936), storia di uno sciopero di lavoratori agricoli,<br />
e soprattutto in Uomini e topi (1937), tragica storia di due braccianti in cerca di lavoro, e in Furore<br />
(1939), che narra la disperata migrazione di una famiglia dell’Oklahoma verso una California dominata da<br />
strutture agrarie di tipo feudale. Furore ricevette nel 1940 il premio Pulitzer e diventò, nella trasposizione<br />
di John Ford, un classico del cinema americano. Dopo essersi trasferito a New York, Steinbeck passò parte<br />
della guerra in Europa come corrispondente per il «New York Herald Tribune». Di argomento bellico è la<br />
commedia La luna è tramontata (1942), ambientata nella Norvegia occupata dai nazisti. Dopo alcuni altri<br />
romanzi, tornò al grande successo internazionale con La valle dell’Eden (1952), moderna trasposizione<br />
della vicenda di Caino e Abele, oggetto di una fortunata versione cinematografica di Elia Kazan. Nell’ultima<br />
fase della sua produzione acquistano maggiore rilievo i motivi ironici e satirici: Quel fantastico giovedì<br />
(1954); Il breve regno di Pipino IV (1957); L’inverno del nostro scontento (1961) e il tema del viaggio<br />
(Viaggio con Charley, 1962). Nel 1962 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura. Morì a New York<br />
nel 1968.<br />
vevo sperato di sottrarre alla curiosità del pubblico gli eventi piut-<br />
A<br />
tosto curiosi che, da un mese a questa parte, m’hanno dato qualche<br />
preoccupazione. Sapevo, naturalmente, che nel vicinato si facevano<br />
molte chiacchiere. Mi erano perfino giunte all’orecchio alcune delle<br />
versioni distorte che circolavano nel quartiere: storie, mi affretterò ad ag-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
7
8<br />
1. Si definisce quarto<br />
potere la capacità che<br />
hanno i mezzi di<br />
comunicazione di massa<br />
di influenzare l’opinione<br />
pubblica.<br />
2. È la linea di discendenza<br />
attraverso cui una famiglia<br />
continua la sua storia;<br />
si usa normalmente per<br />
indicare la discendenza<br />
di una casata nobiliare.<br />
3. La casata dei Borboni<br />
salì al trono di Francia<br />
nel 1589 e vi rimase fino<br />
all’800, poco prima della<br />
dichiarazione della<br />
repubblica.<br />
4. Si tratta di una parola<br />
s<strong>pag</strong>nola che significa<br />
appassionato o amante<br />
di qualcosa, in questo caso<br />
della gomma americana.<br />
10<br />
15<br />
20<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
45<br />
50<br />
giungere, in cui non c’era un briciolo di verità. Sia come sia, il mio desiderio<br />
di tenere la faccenda in privato è stato mandato in frantumi, ieri, dalla<br />
visita di due esponenti del quarto potere 1 , i quali mi hanno assicurato che la<br />
storia, o per meglio dire una storia, aveva oltrepassato i confini del mio arrondissement.<br />
In vista della pubblicità che ci sovrasta, ritengo mio dovere riferire gli autentici<br />
particolari di quegli avvenimenti che sono ormai noti come il Caso<br />
del N. 7 di Rue de M…, affinché sciocche assurdità non vadano ad aggiungersi<br />
a una serie di circostanze non prive di una certa bizzarria. Descriverò<br />
gli eventi come si svolsero, senza commenti, permettendo così al pubblico<br />
di giudicare da sé la situazione.<br />
All’inizio dell’estate mi trasferii con la mia famiglia a Parigi e presi alloggio<br />
in una graziosa casetta al N. 7 di Rue de M...: un edificio che, in altra<br />
epoca, era stato la scuderia della grande casa che sorge lì accanto. L’intera<br />
proprietà è ora posseduta, e in parte abitata, da una nobile famiglia francese,<br />
di antichità e lignaggio 2 tali che i suoi membri si ostinano a considerare<br />
inaccettabile la pretesa dei Borboni 3 al trono di Francia.<br />
In quella graziosa stalla rimodernata, con tre piani di stanze sovrastanti un<br />
ben pavimentato cortile, portai la mia famigliola, formata da mia moglie,<br />
dai miei tre figli (due ragazzetti e una signorinella) e, naturalmente, dal sottoscritto.<br />
Il nostro personale, in aggiunta alla custode che, come saprete, è<br />
compresa nella casa, è composto da una cuoca francese di grande abilità, da<br />
una cameriera s<strong>pag</strong>nola e dalla mia segretaria, una ragazza di nazionalità<br />
svizzera i cui vertici di capacità e ambizione sono uguagliati soltanto dalle<br />
sue vette morali. Questo, dunque, era il nostro piccolo gruppo familiare<br />
quando gli eventi di cui sto per farvi la cronaca ci piovvero tra capo e collo.<br />
Se qualcuno deve avere un influsso su questa faccenda, non posso proprio<br />
far altro che addossarne non dico la colpa ma piuttosto la paternità, sia<br />
pure innocente, al mio figliolo minore John, che soltanto di recente ha<br />
compiuto gli otto anni: un bambino vivace, di singolare bellezza e dalla robusta<br />
dentatura.<br />
Questo giovanotto, durante i sette anni passati in America, è diventato non<br />
dirò proprio un vizioso ma piuttosto un aficionado 4 di quella strana abitudine<br />
americana che consiste nel «masticare la cicca», e uno degli aspetti<br />
piacevoli della nostra primavera parigina stava nel fatto che il cadetto John<br />
avesse trascurato di portare con sé, dall’America, parte di quell’atroce sostanza<br />
gommosa. La dizione del bambino divenne più chiara e non più inceppata<br />
e dai suoi occhi scomparve l’espressione da ipnotizzato.<br />
Ahimè, quella deliziosa situazione non doveva protrarsi a lungo. Un vecchio<br />
amico di famiglia, che si trovava a viaggiare in Europa, portò in regalo<br />
ai bambini una provvista più che adeguata di quell’ignobile gomma; convinto<br />
di usare loro una gentilezza. Di conseguenza, tornò a insediarsi l’antico<br />
stato di cose. Le parole si aprivano un umido varco attorno a un grosso<br />
gnocco di gomma ed emergevano con il rumore di un sifone difettoso. Le<br />
mascelle erano costantemente in moto, dando alla faccia, nella migliore<br />
delle ipotesi, un’espressione tormentata, mentre gli occhi assumevano un<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
55<br />
60<br />
65<br />
70<br />
<strong>75</strong><br />
80<br />
85<br />
90<br />
95<br />
che di vitreo, come quelli di un maiale cui di recente fosse stata recisa la<br />
giugulare 5 . Poiché sostengo che i bambini non vadano inibiti, mi rassegnai<br />
a un’estate non così piacevole come a tutta prima avevo sperato.<br />
Ci sono momenti in cui non seguo la mia consueta teoria del laissez-faire 6 .<br />
Quando compongo il materiale per un libro, o per un lavoro teatrale, o per<br />
un saggio, quando, in una parola, è richiesto il massimo della concentrazione,<br />
ecco che tendo a imporre regole tiranniche in nome della mia personale<br />
comodità ed efficienza. Una di queste norme è che non ci siano né<br />
masticamenti né esplosioni di bolle, mentre io mi sforzo di concentrarmi.<br />
Questa regola è stata compresa in modo così compiuto dal cadetto 7 John,<br />
che egli l’accetta come una delle tante leggi di natura e non tenta né di protestare<br />
né di sottrarvisi. È suo piacere, e mio conforto, che mio figlio venga<br />
talvolta nella mia stanza di lavoro, dove per un certo tempo siede tranquillamente<br />
accanto a me. Sa che deve starsene in silenzio e, dopo essersi trattenuto<br />
tanto a lungo quanto il suo carattere glielo consente, se ne va in<br />
punta di piedi, lasciando entrambi arricchiti da quella tacita vicinanza.<br />
Due settimane fa, nel tardo pomeriggio, sedevo al mio tavolo di lavoro, intento<br />
a un breve saggio per il Figaro Littéraire 8 , saggio che in seguito fece<br />
sorgere qualche controversia, essendo stato pubblicato con il titolo «Sartor<br />
Resartus» 9 . Ero arrivato a quel passaggio che riguarda l’abbigliamento più<br />
consono per l’anima quando, con mia meraviglia e disappunto, udii l’inconfondibile<br />
suono, molle ed esplosivo insieme, di un pallone di gomma da<br />
cicche che si rompe. Guardai severamente il mio rampollo e vidi che masticava<br />
a tutt’andare. Le guance erano rosse per l’imbarazzo e i muscoli<br />
delle mascelle sporgevano rigidamente in fuori.<br />
«Conosci la regola», dissi, in tono gelido.<br />
Con mio stupore, negli occhi gli spuntarono le lagrime e, mentre le mandibole<br />
continuavano a masticare di lena, la vocetta biascicante si fece strada<br />
oltre il grosso bolo di gomma che riempiva la bocca.<br />
«Non sono stato io», gridò John.<br />
«Come sarebbe a dire, non sei stato tu?» lo investii, irritato. «Ho sentito<br />
benissimo, come ora vedo benissimo che mastichi».<br />
«Oh, papà!» gemette lui. «È vero, ti dico. Non sono io che la mastico, è lei<br />
che mastica me».<br />
Per un momento, lo scrutai negli occhi, da vicino. È un bambino onesto e<br />
soltanto quand’è pressato da un interesse assai più forte di lui permette a se<br />
stesso una bugia. Mi nacque l’orribile sospetto che la cicca avesse avuto finalmente<br />
partita vinta e che la ragione di mio figlio stesse vacillando. In tal<br />
caso, era meglio procedere con le buone. Mostrai pazientemente il palmo<br />
della mano. «Posala qui», dissi.<br />
Coraggiosamente, il mio bambino tentò di districare il bolo di gomma<br />
dalle mascelle. «Non vuole lasciarmi andare, papà», farfugliò.<br />
«Apri bene», dissi; poi, infilandogli le dita in bocca, m’impossessai del<br />
grosso gnocco di gomma e, dopo una lotta in cui le mie dita continuavano<br />
a scivolare e a perdere la presa, riuscii a estrarlo e a deporre l’orribile viscosità<br />
molliccia sulla scrivania, in cima a una risma di carta bianca.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
9<br />
5. È uno dei modi usati per<br />
uccidere un maiale, ovvero<br />
quello di tagliare la vena<br />
giugulare al collo.<br />
L’animale muore in pochi<br />
secondi.<br />
6. In francese “lasciar<br />
fare”; come già dichiarato<br />
poco sopra il protagonista<br />
del racconto preferisce non<br />
dare troppi divieti ai figli,<br />
ad eccezione di alcune<br />
poche regole.<br />
7. Cadetto indica il figlio<br />
maschio non primogenito<br />
all’interno di una famiglia<br />
nobile. Il termine è usato<br />
qui in modo ironico.<br />
8. Le Figaro è un<br />
quotidiano francese, di<br />
antica fondazione (1826);<br />
Le Figaro littéraire dal<br />
1946 è un settimanale<br />
gratuito, pubblicato in<br />
aggiunta al quotidiano in<br />
cui compaiono articoli di<br />
letteratura, filosofia, critica<br />
teatrale cinematografica,<br />
racconti, ecc.<br />
9. Sartor resartus (Il sarto<br />
rappezzato) è il titolo<br />
di un’opera scritta da<br />
T. Carlyle nel 1836, in cui<br />
l’autore costruisce una<br />
singolare filosofia degli<br />
abiti, per riflettere su ciò<br />
che è essenziale e ciò che<br />
è superfluo, su ciò che<br />
condiziona le abitudini<br />
umane e il giudizio sociale.
10<br />
10. Si tratta di un<br />
organismo che vive<br />
in acqua, con<br />
un’organizzazione<br />
monocellulare, dalla forma<br />
ovale la cui superficie<br />
è ricoperta da ciglia<br />
attraverso le quali<br />
il paramecio si sposta.<br />
100<br />
1<strong>05</strong><br />
110<br />
115<br />
120<br />
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130<br />
135<br />
140<br />
Per un attimo, parve rabbrividire là sul foglio candido; poi, con tranquilla<br />
lentezza, cominciò a ondularsi, a gonfiarsi e rimpicciolirsi con l’esatto movimento<br />
di una masticazione in atto, mentre mio figlio e io osservavamo<br />
con gli occhi fuori della testa.<br />
Per un pezzo la osservammo, mentre io esploravo la mia mente, in cerca di<br />
una possibile spiegazione. O io stavo sognando, oppure qualche principio finora<br />
sconosciuto aveva eletto a sua sede la cicca di gomma che pulsava sulla<br />
mia scrivania. Non sono un ottuso. Mentre consideravo quella cosa indecente,<br />
centinaia di piccoli pensieri e barlumi di comprensione saettavano attraverso il<br />
mio cervello. Alla fine domandai: «Da quanto tempo ti stava “masticando”?».<br />
«Fino da ieri sera», rispose lui.<br />
«E quando ti sei accorto di questa… propensione da parte sua?».<br />
Parlò con assoluto candore. «Ti prego di credermi, papà», disse. «Ieri sera,<br />
prima di addormentarmi, l’ho messa sotto il cuscino, come faccio sempre.<br />
Di notte mi sono svegliato e ho scoperto che l’avevo in bocca. L’ho rimessa<br />
sotto il cuscino e stamattina l’avevo di nuovo in bocca, distesa sulla lingua.<br />
Quando, però, mi sono sentito completamente sveglio, ho avuto l’impressione<br />
di un lieve movimento e subito dopo mi sono accorto che non ero più<br />
io il padrone della gomma. Si era messa a fare di testa sua. Ho cercato di<br />
togliermela di bocca, papà, e non ci sono riuscito. Tu stesso, con tutta la tua<br />
forza, hai visto com’è stato difficile estrarla. Sono venuto nella tua stanza<br />
da lavoro per aspettare che ti riposassi un momento, perché volevo metterti<br />
al corrente delle mie difficoltà. Oh, papà, che cosa pensi che sia successo?».<br />
L’immonda cosa teneva prigioniera tutta la mia attenzione.<br />
«Devo riflettere», dissi. «Siamo in presenza di un fenomeno un po’ fuori<br />
dell’ordinario, e ritengo che non si debba accantonarlo così, senza indagarci<br />
su».<br />
Mentre parlavo, nella gomma sopravvenne un cambiamento. Cessato di<br />
«masticare» se stessa, per un poco parve riposarsi; poi, con un movimento<br />
fluido, come quegli esseri monocellulari dell’ordine Paramecium 10 ,la<br />
gomma scivolò attraverso la scrivania, nella direzione di mio figlio. Per un<br />
attimo lo stupore mi colpì e per un intervallo anche più lungo non afferrai<br />
il vero intento della gomma. La vidi cadere sul ginocchio di John, arrampicarsi<br />
orridamente su per il davanti della maglietta. Soltanto allora capii.<br />
Stava tentando di ritornargli in bocca. Lui la guardava salire, paralizzato<br />
dal terrore.<br />
«Ferma!» gridai, perché mi ero reso conto che il mio terzogenito era in<br />
pericolo, e in momenti simili sono capace di una violenza che rasenta la<br />
furia omicida. Afferrai il mostro sul mento del piccolo e, uscendo a grandi<br />
passi dal mio studio, entrai nel salone, aprii la finestra e scagliai la cosa tra<br />
il pesante traffico della Rue de M…<br />
Ritengo doveroso, per un genitore, dissipare, quand’è possibile, quegli<br />
choc che potrebbero causare incubi o traumi. Ritornai nel mio studio e trovai<br />
il piccolo John seduto dove l’avevo lasciato. Fissava nel vuoto.<br />
«Figliolo», dissi, «tu e io abbiamo visto qualcosa che, pur avendo la certezza<br />
che sia accaduta, troveremmo difficile descrivere ad altri con qualche<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
145<br />
150<br />
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1<strong>75</strong><br />
180<br />
185<br />
probabilità di riuscirci. Ti prego di immaginare la scena se noi raccontassimo<br />
questa storia agli altri componenti della famiglia. Temo immensamente<br />
che diventeremmo lo zimbello di tutta la casa».<br />
«Sì, papà», disse lui, passivo.<br />
«Ragion per cui intendo proporti, figlio mio, di seppellire entrambi l’episodio<br />
in fondo alla nostra memoria e di non farne mai parola a nessuno,<br />
finché vivremo». Aspettai il suo assenso e, poiché non veniva, lanciai<br />
un’occhiata al suo faccino e lo vidi completamente devastato dall’orrore.<br />
Pareva che gli occhi volessero schizzargli dalla testa. Seguii la direzione del<br />
suo sguardo. Sotto la porta, si stava infiltrando un foglio bianco, sottile<br />
come carta, che, una volta entrato nella stanza, crebbe fino a diventare una<br />
bolla grigiastra e rimase là sul tappeto, a pulsare e a contrarsi. Dopo qualche<br />
istante si mosse di nuovo per progressione pseudopodiana 11 , avanzando<br />
verso mio figlio.<br />
Mi precipitai, lottando per non lasciarmi sopraffare dal panico. L’afferrai e<br />
la scaraventai sulla mia scrivania; poi, agguantata, tra i molti trofei che<br />
adornavano le pareti, una mazza di guerra africana, letale strumento irto di<br />
punte, battei la gomma fino a rimanere io senza fiato ed essa ridotta a un<br />
lacero pezzo di sostanza plastica. Nell’attimo stesso in cui mi riposai, la vidi<br />
raccogliersi su se stessa e, per alcuni momenti, contrarsi rapidamente quasi<br />
stesse ridendo della mia rabbia e impotenza, e poi muoversi inesorabilmente<br />
verso mio figlio, che a questo punto si era rincantucciato in un angolo,<br />
gemente di terrore.<br />
Ora una gelida calma si era impossessata di me. Raccolsi la sudicia cosa,<br />
l’avvolsi nel fazzoletto, uscii di casa, percorsi tre isolati fino alla Senna e<br />
scagliai il fazzoletto nella pigra corrente del fiume.<br />
Passai buona parte del pomeriggio a calmare il mio figliolo e a cercar di<br />
convincerlo che non aveva più niente da temere. Ma era tale il suo nervosismo<br />
che la sera dovetti dargli mezza tavoletta di sonnifero per farlo addormentare,<br />
mentre mia moglie insisteva perché telefonassi al medico.<br />
Non osavo, quella sera, dirle perché non potevo obbedire al suo desiderio.<br />
Durante la notte, venni svegliato – anzi, venne svegliata l’intera casa – da<br />
un urlo soffocato e atterrito, che arrivava dalla camera dei bambini. Infilai<br />
le scale a due gradini alla volta e irruppi nella camera, facendo scattare<br />
contemporaneamente l’interruttore della luce. John sedeva in mezzo al<br />
letto, urlante, mentre con le dita si tormentava la bocca semiaperta,<br />
bocca che, orridamente, continuava a masticare. Mentre guardavo, una<br />
bolla emerse tra le dita infantili e scoppiò con un umido e viscido<br />
«plop».<br />
Che speranza c’era di conservare il nostro segreto, ormai? Bisognò spiegare<br />
ogni cosa; ma, con la scoppiettante gomma inchiodata a un tagliere<br />
per mezzo di un punteruolo del ghiaccio, la spiegazione risultò più facile<br />
del previsto. E sono orgoglioso dell’aiuto e del conforto che mi venne dato.<br />
Non c’è forza che valga la solidarietà di una famiglia unita. La nostra cuoca<br />
francese risolse il problema col rifiutarsi di crederci, perfino dopo averlo<br />
11<br />
11. Si dice così<br />
l’andamento di alcuni<br />
organismi monocellulari<br />
(ad esempio le amebe)<br />
che circondano<br />
e inglobano le prede<br />
per farne il proprio cibo.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
12<br />
12. La Michelin è una<br />
famosa ditta produttrice di<br />
pneumatici per automezzi.<br />
13. Il terrier è una<br />
particolare razza di cani da<br />
caccia specializzati nella<br />
ricerca di animali selvatici,<br />
specie nelle tane<br />
sotterranee.<br />
190<br />
195<br />
200<br />
2<strong>05</strong><br />
210<br />
215<br />
220<br />
225<br />
230<br />
visto con i suoi occhi. Non era una cosa ragionevole, ci spiegò, e lei era un<br />
essere ragionevole di una ragionevole razza. La cameriera s<strong>pag</strong>nola ordinò<br />
e <strong>pag</strong>ò un esorcismo al parroco che, pover’uomo, dopo due ore di strenui<br />
tentativi se ne andò, mormorando che la questione riguardava più lo stomaco<br />
che non l’anima.<br />
Per due settimane, fummo assediati dal mostro. Lo bruciammo nel caminetto,<br />
facendolo sfrigolare tra azzurre lingue di fuoco fino a fondersi in una<br />
repellente porcheriola confusa tra la cenere. Prima che spuntasse il mattino,<br />
era già strisciata attraverso il buco della serratura della stanza dei<br />
bambini e ancora una volta venimmo strappati al sonno dalle urla del Cadetto.<br />
Disperato, mi portai con l’auto in piena cam<strong>pag</strong>na e la gettai dal finestrino<br />
della macchina. Il mattino dopo era di ritorno. Evidentemente, era strisciata<br />
fino all’autostrada e si era collocata lungo il flusso del traffico verso<br />
Parigi, finché era stata raccolta da un pneumatico. Quando la estirpammo<br />
dalla bocca di John, aveva ancora impressa l’impronta di un battistrada Michelin<br />
12 .<br />
Fatica e avvilimento finiscono alla lunga per farsi sentire. Esausto, sentendo<br />
che la mia volontà di lottare si era afflosciata e dopo che avevamo<br />
tentato tutti i mezzi possibili e immaginabili per distruggere la cicca, la<br />
posai alla fine sotto una campana di vetro che uso, in genere, per proteggere<br />
il mio microscopio. Poi crollai in poltrona e rimasi a osservare la nemica<br />
con occhi stanchi ed espressione disfatta. John dormiva nel suo lettino<br />
sotto l’effetto dei sedativi, effetto rinforzato dalla mia promessa che non<br />
avrei mai perso di vista la Cosa.<br />
Accesi la pipa e mi disposi alla sorveglianza. Dentro la campana di vetro,<br />
il grigio gnocco coperto di escrescenze si spostava inquieto, alla ricerca<br />
di una via per uscire dalla sua prigione. Di tanto in tanto si fermava,<br />
come soprappensiero, ed emetteva una bolla nella mia direzione. Sentivo<br />
benissimo l’odio che aveva per me. Nella mia stanchezza, scoprii<br />
che la mia mente scivolava in un’analisi che fino a quel momento mi era<br />
sfuggita.<br />
Sul retroscena di quella realtà, mi ero soffermato solo affrettatamente. La<br />
spiegazione doveva essere che, grazie a una costante associazione con la<br />
vita lambente rappresentata da mio figlio, la magia dell’esistenza si era trasmessa<br />
alla gomma. E, con la vita, era venuta l’intelligenza: non l’intelligenza<br />
maschia e aperta del ragazzo, ma un’astuzia perfida e calcolatrice.<br />
Come poteva essere diversamente? L’intelligenza, senza l’anima a farle da<br />
contrappeso, deve di necessità essere malvagia. La gomma non aveva assorbito<br />
alcuna parte dell’anima di John.<br />
Benissimo, stabilì la mia mente, ora che abbiamo un’ipotesi delle origini,<br />
vediamo di considerarne la natura. Che cosa pensa? Che cosa vuole? Di<br />
che cosa ha bisogno? La mia mente spiccava balzi da terrier 13 . Ha bisogno,<br />
si diceva, di ritornare nel suo ospite, mio figlio, e vuole assolutamente<br />
tornarci. Vuole essere masticata. Dev’essere masticata per sopravvivere.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
235<br />
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270<br />
2<strong>75</strong><br />
Dentro la campana di vetro, la gomma inserì un sottile cuneo della propria<br />
sostanza sotto la pesante base di vetro e spinse in modo tale che l’intero<br />
vaso si sollevò di alcuni millimetri. Risi, nel ficcarla sotto di nuovo. Risi<br />
con un senso di trionfo quasi folle. Avevo trovato la soluzione.<br />
In sala da pranzo, mi procurai un piatto di plastica, dalla dozzina di simili<br />
stoviglie che mia moglie aveva acquistato per le merende all’aperto.<br />
Poi, capovolgendo la campana e tenendo il mostro compresso sul<br />
fondo, cosparsi la bocca del vaso di pesante cemento da presa 14 , garantito<br />
a prova d’acqua, d’alcool e di acidi. Pressai il piatto contro l’apertura<br />
e ve lo tenni premuto finché l’adesivo fece presa, incollando per<br />
sempre il piatto al vetro, formando un contenitore a perfetta tenuta. Infine<br />
rimisi la campana di vetro nella posizione originale e regolai la<br />
lampada da tavolo in modo da poter osservare ogni movimento della<br />
mia prigioniera.<br />
Di nuovo essa si mise a esplorare il cerchio di base, alla ricerca di una via<br />
per fuggire. Poi si collocò in modo da fronteggiarmi ed emise, rapida, un<br />
gran numero di bolle. Udivo i suoi brevi, scoppiettanti «plop» attraverso il<br />
vetro.<br />
«Ti tengo, bellezza», gridai. «<strong>Sei</strong> in trappola, finalmente».<br />
Questo accadeva una settimana fa. Da allora non mi sono mai mosso dalla<br />
poltrona vicino alla campana di vetro, e al massimo ho distolto un attimo lo<br />
sguardo per accettare una tazza di caffè. Quando devo andare in bagno,<br />
mia moglie siede lì a darmi il cambio.<br />
Posso ora riferire le seguenti, consolanti notizie. Nel corso del primo<br />
giorno e della prima nottata, la cicca di gomma americana tentò con ogni<br />
mezzo di fuggire. Poi, per un giorno e una notte parve agitata e nervosa,<br />
come se per la prima volta si rendesse conto della disperata situazione in<br />
cui si trovava. Il terzo giorno si rimise all’opera per tentare un movimento<br />
masticatorio, solo che l’azione era enormemente accelerata, ora, un po’<br />
come la masticazione di un tifoso di baseball. Il quarto giorno cominciò a<br />
indebolirsi e ora notavo con gioia una sorta di squamosa aridità sulla sua<br />
superficie un tempo così elastica e lustra.<br />
Siamo ormai al settimo giorno e ritengo che stia per avvicinarsi la fine. La<br />
gomma giace al centro del piatto. Il suo colore si è fatto livido e giallastro.<br />
Oggi, quando mio figlio è entrato nella stanza, la gomma ha dato un balzo<br />
di eccitazione; poi, è parsa rendersi conto di non avere alcuna speranza e si<br />
è afflosciata sul piatto. Stanotte morirà, penso, e soltanto allora scaverò una<br />
profonda buca in giardino, vi depositerò la campana di vetro sigillata e vi<br />
pianterò dei gerani.<br />
È mia speranza che questo resoconto possa finalmente far tacere alcune<br />
delle sciocche fandonie che sono state spacciate nel vicinato.<br />
L’affare al n° 7 di rue de M..., in “Il racconto”, I, n. 1, giugno 19<strong>75</strong><br />
13<br />
14. Cemento che è<br />
in grado di indurire molto<br />
rapidamente, usato<br />
normalmente per la<br />
costruzione dei muri.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
14<br />
STRUMENTI DI LETTURA<br />
La storia<br />
L’incipit è quello tipico di tanti<br />
racconti del soprannaturale e<br />
dell’orrore, inteso a rafforzare la “veridicità”<br />
di una vicenda che, dopo poche battute,<br />
si rivela invece fantastica. In questi<br />
casi il narratore premette che la storia che<br />
il lettore si sta accingendo a leggere è un<br />
resoconto di pura verità, essendone egli<br />
stato protagonista e testimone diretto, e<br />
che con il presente scritto intende dissipare<br />
gli equivoci intorno a una certa vicenda<br />
dai contorni oscuri. Sennonché,<br />
nello specifico, la minacciosa presenza all’origine<br />
della vicenda non si presenta<br />
sotto le sembianze di un’entità soprannaturale<br />
né come un’orripilante creatura generata<br />
dalle oscurità della terra e neppure<br />
nelle vesti di un sanguinario serial killer.<br />
Essa assume, in questo caso, la più inoffensiva<br />
sembianza immaginabile, quella di<br />
una minuscola, banale (benché, volendo,<br />
leggermente ripugnante) gomma da masticare.<br />
L’innocuo “vizio” di masticare la<br />
gomma, il chewing-gum americano, si trasforma<br />
però in un vero e proprio incubo,<br />
angoscioso e ossessivo, ancor più sconvolgente<br />
in quanto la vittima predestinata è il<br />
figlio del narratore stesso, un tenero<br />
bimbo di otto anni.<br />
Il personaggio<br />
narratore<br />
L’impressione di veridicità della vicenda è<br />
rafforzata dal fatto che l’io narrante sembra<br />
essere facilmente identificabile con la<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
figura dell’autore reale del racconto,<br />
John Steinbeck, il quale soggiornò ripetutamente<br />
a Parigi insieme alla famiglia.<br />
Il protagonista, infatti, è uno scrittore, e<br />
uno scrittore di successo, a giudicare dall’alto<br />
profilo residenziale della sua dimora<br />
parigina e dal numeroso seguito di<br />
persone di servizio. Inoltre, nella realtà,<br />
Steinbeck aveva effettivamente un figlio<br />
di nome John, nato nel 1946 e che perciò,<br />
all’epoca della stesura del racconto,<br />
aveva la stessa età del John masticatore di<br />
chewing-gum.<br />
Le tecniche<br />
narrative<br />
Benché il racconto sia costruito come<br />
un tipico racconto di “orrore quotidiano”<br />
e narri una vicenda angosciosa,<br />
nella quale un incubo ritorna ossessivamente<br />
ad assillare personaggi “reali” calati<br />
in una realtà quanto mai “normale”,<br />
il fatto che il “mostro” persecutore sia<br />
una banale gomma da masticare introduce<br />
una forte componente ironica e satirica.<br />
Siamo, anzi, in presenza di due<br />
piani di lettura ben distinti: il chewinggum,<br />
sembra voler suggerire l’autore,<br />
proprio per la sua banale inoffensività è<br />
il simbolo più adatto per esprimere le<br />
subdole insidie del moderno consumismo,<br />
che sotto apparenze allettanti insinua<br />
tra le pieghe della vita quotidiana, a<br />
partire da quella dei bambini, gli invisibili<br />
tentacoli della manipolazione psicologica<br />
di massa.
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
15<br />
DOMANDE DI VERIFICA<br />
L’ambientazione del racconto pone i personaggi protagonisti in<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Una casa in affitto in una località di villeggiatura in America.<br />
Una casa di Parigi, che faceva parte di una dimora storica.<br />
Una villa dei Borboni, a Parigi.<br />
In una non meglio identificata rue de M.., all’interno di una casa sconosciuta.<br />
Tra il saggio che sta scrivendo il protagonista della storia dal titolo Sartor Resartus e quanto accade<br />
a lui e al figlio si può dire ci sia una qualche corrispondenza?<br />
a No, le due vicende sono completamente diverse: in una si parla di abiti e nell’altra di un<br />
chewing-gum che non vuole smettere di essere masticato.<br />
b No, in una si parla di filosofia e nell’altra si fa il resoconto di un fatto reale.<br />
c Sì, si parla in entrambi della stessa questione ovvero di che cosa sia essenziale e cosa superfluo<br />
per gli uomini.<br />
d Sono simili almeno in alcune cose perché fanno riferimento alla difficoltà di raggiungere l’essenziale<br />
e di rifiutare le convenzioni sociali più inutili.<br />
Facendo riferimento alle caratteristiche che la gomma presenta nel corso del racconto, produci<br />
una sua descrizione, ripercorrendo la storia nell’ordine di narrazione.<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Le vie tentate per contrastare la gomma e la sua irrefrenabile volontà chiamano in causa diverse<br />
qualità umane: quali ritieni siano, deducendole dal racconto?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Quale registro ritieni sia stato usato nel racconto, facendo sì che a generare di volta in volta sconcerto,<br />
paura, terrore o panico sia una semplice gomma da masticare? Giustifica la tua risposta, argomentandola<br />
attraverso quanto puoi dedurre dalla lettura del racconto e dal suo significato.<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
“È mia speranza che questo resoconto possa finalmente far tacere alcune delle sciocche fandonie<br />
che sono state spacciate nel vicinato” dice il protagonista nella frase conclusiva del testo, andando<br />
a concludere quanto affermato in apertura. Per quale motivo, secondo te, l’autore costruisce<br />
con questo intento la storia, che narra con il tipico andamento piano di un resoconto?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
16<br />
Margery Allingham<br />
Il fantasma<br />
di Henry<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
anno 1931<br />
luogo<br />
Inghilterra<br />
genere<br />
racconto<br />
tra realtà<br />
e fantasia<br />
Presentazione dell’opera<br />
I romanzi della Allingham appartengono al tipo “sofisticato” del genere poliziesco e dimostrano una notevole accuratezza sia nella<br />
descrizione dei più disparati ambienti sociali, sia nella definizione psicologica dei personaggi. Il fantasma di Henry, uno dei racconti<br />
migliori della Allingham, può essere considerato un esempio dello stile della scrittrice, caratterizzato da uno spirito sottilmente satirico<br />
e una buona dose d’ironia. Il suo, anzi, è uno humour d’impronta tipicamente britannica, sempre molto contenuto nei toni<br />
ma acuto e pungente, che la scrittrice appunta tanto sui personaggi principali quanto su quelli secondari.<br />
Margery Allingham<br />
Nata a Londra nel 1904, negli anni fra le due guerre fu una prolifica autrice<br />
di romanzi gialli, tanto che, accanto ad Agata Christie, Dorothy Sayers, Josephine<br />
Tey, Gladys Mitchell e altre, può essere considerata una tipica esponente<br />
dell’“epoca d’oro” del romanzo poliziesco inglese. È la creatrice di<br />
Albert Campion, un investigatore dilettante che maschera la propria intelligenza<br />
sotto un’aria ebete e svagata; il suo, per di più, è soltanto uno pseudonimo,<br />
sotto il quale si cela un personaggio di altissimo lignaggio, addirittura<br />
vicino alla Casa Reale. Fa la sua comparsa nel 1929 in La lunga notte di<br />
Black Dudley, seguito da L’isola (1930), Il segreto della torre, La polizia in<br />
casa (entrambi del 1931) e Dolce pericolo (1933), ove appare un altro personaggio<br />
fisso, la bellissima lady Amanda, moglie di Campion e alter ego della scrittrice. Nei primi anni<br />
Trenta la Allingham pubblica anche alcuni romanzi con lo pseudonimo di Maxwell March, ma il vero<br />
grande successo arriva con Morte di un fantasma (1934), che segna uno spartiacque nella sua produzione.<br />
I primi romanzi con il personaggio di Campion, infatti, sono densi di azione, mentre da Morte di un<br />
fantasma in poi sono più strettamente “classici”, meno movimentati e caratterizzati da una più accurata<br />
definizione psicologica dei personaggi: Corte d’Assise (1936), Danza sull’abisso (1937), La parte del destino<br />
(1938) ecc. In Black plumes (1940) la Allingham sostituì Campion con l’ispettore Bridie, ma con<br />
minor successo. Tornò quindi al vecchio protagonista in Il ritorno di Campion e L’amnesia del signor Campion<br />
(entrambi del 1941), ma il filone si andava ormai esaurendo, tanto che in Un’ombra nella nebbia<br />
(1952), da molti considerato il suo capolavoro, Campion ha una parte del tutto marginale, e nella versione<br />
cinematografica l’autore della sceneggiatura lo tagliò del tutto. L’ultimo romanzo, Cargo of Eagles, lasciato<br />
incompiuto alla morte della scrittrice nel 1966, fu portato a termine dal marito Philip Youngman Carter, il<br />
quale proseguì da solo la serie dedicata al bizzarro investigatore creato quattro decenni prima dalla moglie.<br />
«<br />
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ara Millie, credo di essermi spiegato abbastanza, vero? Henry». Il<br />
C<br />
signor Henry Brownrigg firmò con uno svolazzo il foglietto di carta<br />
celeste, poi lo posò esattamente al centro della vaschetta mal lavata,<br />
e lasciato l’utensile bene in vista sul tavolo di cucina, perché la moglie<br />
lo trovasse al suo rientro, si allontanò, soddisfatto d’aver espresso il suo<br />
rimprovero con fermezza e insieme con garbo.<br />
In quindici anni di matrimonio, il signor Brownrigg sentiva di essersi impadronito<br />
dell’arte di dire alla moglie il fatto suo. Non che fosse riuscito ad<br />
insegnarle qualcosa. Con una donna ottusa come Millie, questo andava al<br />
di là di ogni speranza. Ma ormai, grazie alla lunga pratica, poteva indiriz-
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zarle un rimprovero o farle pervenire un biasimo in modo tale da penetrare<br />
la placida balordaggine di lei.<br />
Mezz’ora dopo che Millie fosse tornata dalla spesa, e prima che il pranzo<br />
fosse portato in tavola, la vaschetta sarebbe stata al suo posto nella camera<br />
oscura 1 , lustra e splendente come quando era nuova, e nient’altro sarebbe<br />
stato detto sull’argomento. A tavola, tutt’al più, Millie sarebbe stata un po’<br />
più ansiosa del solito di compiacere (senza riuscirvi) il marito.<br />
Il signor Brownrigg passò dietro il bancone, spazzando via un granello di<br />
polvere dallo scatolone di creme per il viso. Erano le dodici e venticinque.<br />
Tra cinque minuti esatti, Phyllis Bell avrebbe lasciato il suo ufficio in fondo<br />
alla High Street, e tra sette minuti e mezzo sarebbe entrata dalla porticina<br />
stretta e inondata di sole nella farmacia fresca e profumata di spezie.<br />
Si sarebbe fermata sul pezzetto di pavimento sul quale il sole formava una<br />
chiazza gialla e azzurra, tra i grandi vasi della vetrina 2 che erano l’emblema<br />
del mestiere del signor Brownrigg, e l’avrebbe fissato con i suoi limpidi<br />
occhi azzurri, sporgendo le piccole labbra adorabili.<br />
Il farmacista prese dal banco uno degli specchietti che erano in vendita tra<br />
altri articoli di profumeria e si specchiò. Non era un uomo molto appariscente.<br />
Alto non era mai stato, e, a quarantadue anni, la persona robusta<br />
mostrava la netta tendenza a metter su pancia; ma c’era forza e virilità nelle<br />
spalle quadrate, la faccia rasatissima e il collo largo avevano un che di taurino,<br />
e le labbra erano piene e carnose.<br />
A Phyllis piacevano i suoi occhi. La incantavano, diceva, e molte delle altre<br />
giovani donne che entravano nel negozio per acquistarvi qualcosa, e si intrattenevano<br />
a conversare col signor Brownrigg attraverso il banco, sarebbero<br />
state d’accordo con lei. Gli occhi del signor Brownrigg erano scurissimi,<br />
rotondi, ardenti; occhi che parevano quasi un’assurdità, in un farmacista<br />
grassoccio di mezz’età che aveva una moglie come Millie.<br />
Ma il signor Brownrigg non contemplava i propri occhi. Si lisciò i capelli,<br />
si umettò le labbra, poi, rendendosi conto che Phyllis sarebbe entrata da un<br />
momento all’altro, sparì dietro il banco di vendita. Era bene, si ripeteva<br />
sempre, non mostrarsi mai troppo impaziente.<br />
Ma stava tenendo d’occhio la porta, quando la ragazza entrò. Intravide la<br />
gonna <strong>verde</strong>, mentre lei si arrestava un attimo sullo scalino, e notò l’espressione<br />
mezzo ansiosa, mezzo preoccupata con cui sbirciava verso il banco.<br />
Era contento che non fosse entrata mentre c’erano altri clienti. Phyllis era<br />
diversa da tutte le altre avventurette avute durante quei quattordici anni.<br />
Quando c’era Phyllis in negozio, il signor Brownrigg andava sempre a rischio<br />
di sbagliarsi, di lasciar cadere la roba e di imbrogliarsi nel dare il resto.<br />
Brownrigg uscì dal cantuccio oscuro, emozionato suo malgrado, e bruscamente<br />
attirò a sé la ragazzina bionda, attraverso quella parte del banco che<br />
era leggermente più bassa del resto e che lui teneva sgombra di proposito.<br />
La baciò, e l’impetuosità improvvisa e avida del gesto lo tradì. Sentì che la<br />
ragazza tratteneva il fiato, prima di liberarsi e indietreggiare.<br />
– Non… non dovete – disse lei, riassestandosi nervosamente il cappellino.<br />
Aveva sì e no vent’anni, era piccola e d’aspetto un po’ infantile, con i capelli<br />
17<br />
1. Per alcune particolari<br />
preparazioni i farmacisti<br />
usano una camera oscura<br />
perché la luce non<br />
modifichi le proprietà<br />
chimiche dei componenti<br />
da loro trattati.<br />
2. Nelle farmacie –<br />
soprattutto quelle più<br />
antiche – sono esposti in<br />
appositi scaffali i vasi di<br />
ceramica dipinta nei quali<br />
sono contenute le sostanze<br />
utili a preparare i farmaci.<br />
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3. Istrione è sinonimo di<br />
attore; istrionico, in questo<br />
caso, vuol dire che il<br />
farmacista non voleva<br />
assumere un<br />
atteggiamento che<br />
apparisse non naturale,<br />
fatto apposta, come<br />
farebbe un attore.<br />
4. Il libro mastro è il<br />
registro della contabilità<br />
che ogni attività<br />
commerciale possiede per<br />
tenere conto dei movimenti<br />
di <strong>pag</strong>amento ricevuti<br />
e da effettuare.<br />
5. Si dice capitale vincolato<br />
una somma di denaro<br />
posta in banca che, per<br />
poter essere usufruita,<br />
deve soddisfare a una<br />
determinata condizione (ad<br />
esempio la maggiore età di<br />
un figlio, la morte del suo<br />
possessore attuale, ecc.).<br />
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chiarissimi e il portamento aggraziato, tranquillo. Ora gli occhi azzurri<br />
erano spaventati e un po’ disgustati, come se si fosse trovata coinvolta in<br />
un’emozione che i suoi istinti giudicavano poco gradevole.<br />
Henry Brownrigg riconobbe l’espressione. L’aveva già vista in altri occhi,<br />
ma, mentre in occasioni passate era riuscito a mostrarsi benevolmente divertito<br />
e di conseguenza amabile e rassicurante, in Phyllis quell’espressione<br />
quasi lo spaventò.<br />
– Perché no? – replicò bruscamente; troppo, e se ne accorse subito, mentre<br />
il sangue gli saliva alla faccia.<br />
Phyllis prese un lungo respiro.<br />
– Sono venuta a dirvi – dichiarò con voce incerta, da bambina che recita<br />
una lezione – che ho pensato molto a questa storia. Non posso andare<br />
avanti così. Voi siete sposato. Io voglio sposarmi, un giorno o l’altro. Perciò...<br />
voglio dirvi che non tornerò più.<br />
– Ne avete parlato con qualcuno? – domandò lui, raggelandosi.<br />
– Di voi? No, misericordia!<br />
Tanta veemenza era convincente; lì per lì, Brownrigg ignorò quanto di<br />
poco lusinghiero vi era compreso e sospirò di sollievo.<br />
– Ma tu mi ami – mormorò poi. – Io ti amo e tu mi ami. Lo sai, no?<br />
Non voleva essere istrionico 3 di proposito, ma gli veniva un tono roco,<br />
quello che, come alcuni attori hanno scoperto, è fra i più efficaci ad esprimere<br />
profonda sincerità.<br />
Phyllis assentì avvilita, e insieme stranamente imbarazzata. I suoi occhi andarono<br />
alla strada piena di sole, prima di tornare a posarsi sul farmacista.<br />
– Addio – mormorò con un filo di voce, e fuggì dal negozio.<br />
Attraverso la vetrina, Brownrigg la vide allontanarsi, quasi di corsa.<br />
Per un poco, rimase a fissare la chiazza di sole sulla porta. Poi rialzò lo<br />
sguardo e sorrise. Sarebbe tornata. Domani, o magari fra una settimana.<br />
Sarebbe tornata. Ma l’ostacolo, l’ostacolo insuperabile, si sarebbe levato di<br />
nuovo, e a lungo andare l’avrebbe sconfitto, facendogliela perdere.<br />
Di sicuro, l’avrebbe persa. Phyllis era diversa dalle altre.<br />
A meno che... l’ostacolo non fosse stato rimosso.<br />
Henry Brownrigg aggrottò la fronte.<br />
C’erano anche altre cose da considerare.<br />
Il vecchio libro mastro 4 insudiciato dalle mosche stava lì a ricordargliele.<br />
Ma una volta rimosso l’ostacolo, automaticamente sarebbero state spazzate<br />
via anche le altre difficoltà; non c’era l’assicurazione? E quel capitaletto che<br />
il padre di Millie aveva vincolato 5 con tanta prudenza, nemmeno fosse stato<br />
presago che la figlia, da adulta, sarebbe stata una perfetta ebete?<br />
Gli occhi del signor Brownrigg si posarono sul cassettino sotto il bancone,<br />
quello con l’etichetta «Ricette – Non toccare». Era chiuso, e nemmeno<br />
Perry, il fattorino e commesso di bottega, che ficcava il naso dappertutto,<br />
sospettava che sotto la pila di foglietti si nascondesse un piccolo fascio di<br />
lettere scritte con la calligrafia quasi infantile di Phyllis.<br />
Brownrigg si voltò bruscamente. Aveva il respiro faticoso, e quasi tremava.<br />
Il momento era venuto.<br />
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Alcuni mesi prima, Henry aveva deciso che sarebbe diventato vedovo entro<br />
l’anno; il colloquio di quel mattino gli aveva fatto capire che bisognava<br />
stringere i tempi.<br />
In quel momento Millie, ancora rossa di vergogna al pensiero della vaschetta<br />
mal lavata, mise dentro la testa dalla porticina del retro.<br />
– È in tavola, Henry – annunciò, e aggiunse, con quella stupidità che aveva<br />
smesso di fargli piacere, dandogli un senso di superiorità, e che ormai lo<br />
annoiava a morte: – Come sei serio. Oh, Henry, hai forse fatto qualche errore?<br />
Non avrai mica dato a un cliente una bottiglia per un’altra?<br />
– No, cara Millie – replicò il marito, fissandola gelido e calcando sul sarcasmo.<br />
– Questo è uno di quegli sbagli idioti che ancora non mi è capitato di<br />
fare. Non ho raggiunto il livello di mia moglie, si vede.<br />
E mentre seguiva la figura rassegnata di lei, nella stanzetta dietro il negozio,<br />
una parola echeggiava ritmicamente nel suo cervello, a tempo coi battiti<br />
del suo cuore: – Presto! Presto! Presto!<br />
– Henry, caro – disse Millie Brownrigg guardando turbata il marito – perché<br />
il dottor Crupiner? È così salato nelle parcelle... a parte il fatto che è<br />
decrepito.<br />
Millie era in piedi, davanti allo specchio, nella grande stanza da letto sopra<br />
il negozio, e si spazzolava i capelli castani striati di grigio, prima di rifarsi la<br />
treccia e girarsela attorno alla testa.<br />
Henry Brownrigg, sdraiato nel letto all’altra estremità della stanza, non le<br />
diede risposta.<br />
Millie continuò a parlare. Era abituata ai silenzi di Henry. Era così intelligente,<br />
Henry! La maggior parte del tempo la impiegava a pensare.<br />
– Ho sentito una quantità di cose strane sul dottor Crupiner – osservò. –<br />
Dicono che è talmente vecchio, che si dimentica tutto. Perché non andiamo<br />
da quello della mamma? Lei ne ha una tale fiducia...<br />
– Disgraziatamente per lei, povera donna, tua madre ha la tua stessa intelligenza,<br />
ma non ha un uomo che si prenda cura di lei – disse Henry Brownrigg.<br />
Millie non fece commenti.<br />
– Crupiner – continuò Brownrigg – non sarà un genio, come medico generico,<br />
ma è specialista per un certo tipo di disturbi. Voglio che tu vada da<br />
lui. Desidero che ti rimetta bene, mia cara.<br />
La faccia dolce e inespressiva di Millie arrossì, e gli occhi le si fecero umidi<br />
e smarriti. Henry, che la vedeva riflessa nello specchio, girò la testa. In certi<br />
momenti, vedendo quanto lei gli era grata di una parola buona, provava<br />
quasi un certo disgusto per il progetto che aveva architettato.<br />
– Sai, Henry, – riprese improvvisamente la signora Brownrigg – io mi sento<br />
piuttosto bene. Quelle cose che mi dai tu mi fanno benissimo, ne sono<br />
certa. Ora non mi sento più molto stanca, alla fine della giornata. Non potresti<br />
continuare a curarmi tu?<br />
L’uomo s’irrigidì sotto le coltri. Quel poco rimorso provato poc’anzi svanì,<br />
lasciandolo seccato e guardingo.<br />
– Si capisce, che ti fanno bene – confermò, soddisfatto di sapere che, fino<br />
ad un certo punto, diceva la verità, almeno per il momento. – Io non credo<br />
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nelle specialità, ma le pillole di Fender sono buone, aiutano a tirarsi su.<br />
Però preferisco assicurarmi che sei organicamente a posto. Non mi piace il<br />
fatto che appena ti affretti un po’ ti viene subito l’affanno, e poi le tue labbra<br />
hanno un colore che non mi piace.<br />
La grassoccia, ingenua Millie si guardò allo specchio, e si passò un dito<br />
sulle labbra.<br />
Come molte donne della sua età, aveva perso i colori, e attorno alla bocca<br />
aveva effettivamente un leggerissimo alone azzurrognolo.<br />
Il farmacista si affrettò a rassicurarla.<br />
– Non sarà niente di grave, ne sono sicuro, ma è meglio andare stasera<br />
stessa a consultare Crupiner – disse. – Non vogliamo correre rischi, vero?<br />
Millie assentì, con le labbra tremanti.<br />
– Sì, caro – disse; e aggiunse nel suo solito modo stucchevole. – Penso che<br />
hai ragione.<br />
Dopo che Millie fu scesa per occuparsi della colazione, Henry si alzò, l’ultima<br />
frase pronunciata ancora sulle labbra. Se la ripeté, pensoso.<br />
– Non possiamo correre rischi. Proprio così. Niente rischi. Nessuna stupida<br />
imprudenza, Henry Brownrigg!<br />
Solo gli sciocchi fanno le cose a casaccio. Solo gli sciocchi si fanno cogliere<br />
in fallo. Ma in effetti, l’impresa era veramente semplice. Millie era così ingenua,<br />
così incredibilmente fiduciosa.<br />
Verso la fine della giornata, il signor Brownrigg era nervosissimo. Perry, il<br />
commesso, gli aveva riferito, con molto candore, di aver visto il giovane<br />
Hill passare lungo l’Acacia Road nella sua nuova auto, a velocità sostenuta,<br />
e aveva aggiunto tra l’altro che nella macchina c’era anche quella ragazza<br />
bionda, Phyllis Bell. Se la ricordava, vero, il signor Brownrigg? Quella<br />
biondina tanto graziosa…<br />
Per un attimo, Henry Brownrigg aveva tremato all’idea che il commesso<br />
avesse scoperto il suo segreto e stesse punzecchiandolo con malizia. Ma<br />
anche dopo essersi convinto che non era così, il fatto e la rabbia restarono.<br />
Hill era un bel giovanotto, scapolo. Phyllis era giovane e inesperta. Il farmacista<br />
se li immaginava fermi in qualche boschetto fuori città, intenti a tenersi<br />
per mano, forse a baciarsi: il suo cuore, che poteva restare calmo sotto<br />
lo sguardo spaventato di Millie che parlava della propria malattia, gli balzava<br />
nel petto all’idea di quell’abbraccio.<br />
«Presto!». La parola si formò di nuovo nel suo cervello. «Far presto, far<br />
presto!».<br />
Millie era senza fiato quando arrivarono alla vecchia casa del dottor Crupiner.<br />
Henry, assorto nei propri pensieri, aveva camminato molto in fretta.<br />
Il dottore li ricevette subito. Era un vecchietto impolverato. Dentro di sé,<br />
Millie pensava che le sarebbe piaciuto dargli una buona spazzolata, e a<br />
quell’idea le si presentò alla mente un quadretto così spassoso da farla<br />
uscire in una risatina sciocca. Henry dovette lanciarle un’occhiataccia,<br />
scrollando la testa.<br />
Subito lei arrossì, e il suo volto ritrovò la consueta espressione ottusa.<br />
Henry illustrò al dottore i sintomi della moglie, e Millie parve grata e sor-<br />
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presa dell’ansia che il marito tradiva. Evidentemente, Henry aveva notato i<br />
suoi piccoli malesseri, più spesso di quanto lei non supponesse.<br />
Quando Henry ebbe terminato l’elenco dei piccoli malanni di Millie, nessuno<br />
dei quali era veramente grave in sé, ma il cui totale assommava a una<br />
quantità piuttosto paurosa di indizi, il dottor Crupiner girò verso di lei gli<br />
occhietti avidi, dalla cornea striata di venuzze rosse. Le labbra del vecchio,<br />
coperte di piccole macchie come il registro di Henry, si sporsero per un attimo,<br />
prima che la voce ne uscisse, affannosa e sepolcrale.<br />
– Bene, signora, vostro marito sembra preoccupato per voi. Sarà bene che<br />
vi dia un’occhiata.<br />
Millie tremava. L’apprensione le faceva di nuovo mancare il respiro. Un paio<br />
di volte, negli ultimi tempi, aveva avuto l’impressione che quelle pillole di<br />
Fender le dessero l’affanno, anche se sotto altri aspetti la facevano sentire più<br />
arzilla, ma aveva preferito non farne parola con Henry.<br />
Il dottor Crupiner le si accostò, respirando forte dal naso, nello sforzo per<br />
concentrarsi. Le premette un dito tozzo e malfermo nell’occhiaia, tirando<br />
giù la pelle per scrutare con occhio miope la cornea. Poi le appioppò una<br />
manata sulle spalle, nell’intento di rincuorarla, e le toccò il palmo delle mani.<br />
Il signor Brownrigg, che osservava con occhio pensoso e sfuggente il rituale,<br />
prese improvvisamente il medico da parte, e i due uomini ebbero una<br />
conversazione sottovoce, all’altra estremità della stanza.<br />
Millie non poté fare a meno di ascoltarne una parte, anche perché il dottor<br />
Crupiner era mezzo sordo, e Henry era ansioso di farsi sentire bene.<br />
– Vent’anni fa – udì Millie. – D’improvviso. – E poi, dopo una pausa, la parola<br />
terribile: – Ereditario.<br />
Il tremito di Millie aumentò di intensità, e la sua faccia larga e insulsa prese<br />
un’aria terrorizzata. Stavano parlando del suo povero papà, che era morto<br />
all’improvviso, di un attacco cardiaco.<br />
Sentì il cuore martellare dolorosamente. Ecco perché, dunque, Henry<br />
sembrava tanto preoccupato!<br />
Il dottor Crupiner tornò ad avvicinarsi. Millie dovette slacciarsi la camicetta<br />
e il dottore le auscultò il cuore con un vecchissimo stetoscopio. Millie,<br />
che già stava tremando, cominciò a respirare con difficoltà, tanto la sua<br />
ansia si era acuita.<br />
Finalmente il vecchio terminò il suo esame. Per alcuni secondi rimase a fissarla<br />
senza batter ciglio, poi tornò da Henry e insieme si portarono verso il<br />
fondo della stanza.<br />
Millie aguzzò le orecchie e udì la voce cavernosa del vecchio.<br />
– ... una certa irregolarità. Niente di preoccupante, per ora. Bisognerà che<br />
la riveda fra qualche giorno.<br />
Poi ci fu una domanda di Henry che lei non riuscì a captare, ma subito<br />
dopo, dato che il dottore sembrava incerto sulla risposta, il farmacista soggiunse<br />
con voce normale:<br />
– Le ho dato delle pillole di Fender.<br />
– Pillole di Fender? – il dottore parve ripetere quelle parole con sollievo. –<br />
Eccellenti. Di solito io non ho simpatia per le specialità, ma quelle pillole<br />
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6. Si intende una persona<br />
di servizio che<br />
evidentemente andava<br />
in casa Brownrigg durante<br />
la mattina.<br />
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sono ottime, e vi risparmierò il disturbo di preparare qualcosa di mia prescrizione.<br />
Continuate pure con quelle, per qualche giorno. Sono ottime, anch’io<br />
le prescrivo molto spesso. Vanno prese con moderazione, s’intende.<br />
– Oh, certo – assicurò Henry. – Comunque pensate che abbia fatto bene a<br />
fargliele prendere, dottore?<br />
Millie era sorpresa e compiaciuta per lo zelo che il tono di Henry rivelava.<br />
– Senza dubbio, caro Brownrigg –. E il dottor Crupiner tornò ad avvicinarsi<br />
a Millie. – Allora, signora Brownrigg – disse con affettata giovialità –<br />
abbiatevi cura e fate quello che dice vostro marito. Tornate a trovarmi tra<br />
una decina di giorni e sarete di nuovo vispa come prima. Arrivederci. Ah,<br />
signora Brownrigg, mi raccomando: niente emozioni, badate bene! Cercate<br />
di stare calma il più possibile e non affaticatevi.<br />
Le strinse distrattamente la mano, e mentre Henry aiutava Millie a raccogliere<br />
le sue cose, mostrando una premura assolutamente insolita, il vecchio<br />
andò a togliere da uno scaffale un polveroso volume di medicina.<br />
Un momento prima che i due uscissero, Crupiner sbirciò Henry al di sopra<br />
delle lenti.<br />
– Quelle pillole di Fender sono un’ottima idea – osservò in tono completamente<br />
diverso dal borbottio professionale di poco prima. – Proprio quello<br />
che ci vuole. Contengono una piccola dose di digitalina.<br />
Una delle abitudini meno lodevoli del signor Brownrigg era il suo modo di<br />
trascorrere il sabato sera.<br />
Alle sette e mezzo, paziente e solerte, benché disapprovasse, Millie faceva<br />
sparire le tracce della cena e metteva sulla tovaglia di tela <strong>verde</strong> un bicchiere<br />
e una bottiglia di whisky sigillata.<br />
Fatto questo, si ritirava in cucina, rigovernava e si metteva a stirare. Di solito<br />
si riservava quest’operazione per il sabato sera, perché era una faccenda<br />
lunga, con frequenti soste per piccoli punti da dare alle camicie di Henry e<br />
alla sua biancheria, e Millie sapeva che avrebbe avuto dinanzi a sé una<br />
lunga serata tranquilla.<br />
Infatti, aveva tempo fino a mezzanotte. Quando l’orologio di cucina segnava<br />
le dodici, Millie riponeva l’asse da stiro e posava il ferro sul fornello<br />
spento lasciandolo lì a raffreddarsi.<br />
Poi andava nel soggiorno e toglieva di mezzo il bicchiere e la bottiglia<br />
vuota, perché la donna a giornata 6 non li vedesse il mattino dopo. Inoltre<br />
raccoglieva da terra i giornali e rimetteva in ordine la stanza.<br />
Finalmente, dopo avere spento la stufetta a gas, si occupava di Henry.<br />
Circa tre settimane dopo la sua prima visita al dottor Crupiner (il medico, su<br />
suggerimento di Henry, aveva aumentato la dose delle pillole Fender da tre a<br />
cinque al giorno) Millie passò la sera del sabato seguendo il solito cerimoniale.<br />
Per un uomo impegnato in un progetto quale quello del signor Brownrigg,<br />
ubriacarsi anche una sola volta, in modo totale e sistematico, poteva essere<br />
pura follia. Ma Brownrigg continuava a farlo, una volta la settimana.<br />
Un bicchiere di whisky lo rendeva taciturno. Dodici abbondanti dosi di<br />
whisky, ovvero, l’intera bottiglia, facevano di lui un sacco silenzioso e senza<br />
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forze, incapace di movimento e di parola, e tuttavia – fenomeno quanto<br />
mai notevole – ugualmente in possesso della propria lucidità.<br />
Millie avrebbe anche potuto domandarsi perché mai il marito ci tenesse<br />
tanto a trasformarsi in una specie di rudere paralitico, ogni sabato sera della<br />
propria vita; ma, nonostante la sua grande stupidità, Millie era una donna<br />
tollerante: secondo lei, gli uomini erano creature strane e privilegiate che<br />
trovavano diletto nelle più assurde forme di perversione 7 . Ragione per cui lo<br />
lasciava fare, e nascondeva perfino alla madre la debolezza del consorte.<br />
Henry Brownrigg comunque provava un grande piacere nella sua orgia settimanale<br />
8 . Gli altri giorni non beveva, e quella del sabato sera era insieme<br />
un’avventura ed un’abitudine. All’inizio del suo piano aveva pensato di rinunciare<br />
all’orgia fino a progetto attuato, ma poi si era persuaso dell’assoluta<br />
necessità di attenersi rigidamente al normale corso della sua vita, in<br />
modo che non vi fosse nessun appiglio, anche piccolissimo, al quale i sospetti<br />
altrui potessero agganciarsi.<br />
Nella serata in questione, Millie si esaurì completamente nello sforzo di<br />
trascinare il marito di sopra e metterlo a letto. Era talmente stanca e spossata<br />
che si lasciò cadere sull’orlo del letto, ansando penosamente, incapace<br />
di trovare la forza per spogliarsi. E così dimenticò di prendere le due pillole<br />
che Henry le aveva lasciato sul piano della toletta. Se ne rese conto quando<br />
era già coricata, ma non poté, in nessun modo, indursi ad alzarsi dal letto,<br />
per prenderle.<br />
Il mattino dopo, Henry le trovò ancora al loro posto. Ascoltò in silenzio le<br />
spiegazioni di Millie e infine, mentre lei aggiungeva scuse su scuse, ridiventò<br />
quello di sempre.<br />
– Cara Millie – disse, nel tono esasperato che la moglie conosceva anche<br />
troppo – a che serve che io faccia tutto quello che posso per farti star bene,<br />
se tu mi metti il bastone tra le ruote, ogni momento?<br />
Millie si chinò sui fornelli. Henry, forse intuendo che lei cercava di nascondere<br />
le lagrime, si fece più conciliante.<br />
– Non ti piacciono? – domandò gentilmente. – Hanno un sapore che non<br />
ti va? Forse sono troppo grosse? Senti, cercherò di renderle più facili da<br />
ingerire. Lascia fare a me. Su, su, non preoccuparti. Le pesterò e le chiuderò<br />
in una capsula. Però tu devi prendere la medicina, ricordatelo.<br />
Millie divenne pensosa. Henry doveva essere molto preoccupato per lei, altrimenti<br />
non si sarebbe certo mostrato così comprensivo verso i suoi stupidi errori.<br />
Bill Perry, l’aiutante di Brownrigg, era un ragazzo impacciato, e forse sarebbe<br />
rimasto un timido fino alla morte.<br />
Era smilzo, rosso di capelli, con una certa tendenza all’acne e coi grossi polsi<br />
ruvidi e sempre arrossati. Detestava il signor Brownrigg, come solo i giovani<br />
possono detestare chi possiede una lingua pungente, ma a Millie voleva bene,<br />
e i suoi occhi slavati assumevano una luce gentile, quando lei gli parlava.<br />
Il giovane Perry non pensava affatto che Millie fosse tanto cretina quanto il<br />
padrone cercava di farla apparire in ogni occasione.<br />
Non foss’altro perché lei si mostrava sempre gentile, il giovane Perry si interessava<br />
molto allo stato di salute di Millie.<br />
23<br />
7. Millie cioè non approva<br />
quel particolare<br />
divertimento del marito<br />
che trova vicino alla follia.<br />
8. Il termine è usato qui<br />
per indicare la condizione<br />
un po’ proibita e un po’<br />
esagerata del bere fino<br />
all’abbrutimento.<br />
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Il lunedì sera, Perry vide il signor Brownrigg mettere il contenuto delle<br />
pillole di Fender in capsule di gelatina, e volle sapere per chi fossero.<br />
Brownrigg si mostrò insolitamente comunicativo. Spiegò al commesso, in<br />
tutta confidenza, che la signora Millie non stava affatto bene e che il dottor<br />
Crupiner era preoccupato per lei.<br />
Brownrigg lasciò anche capire che tanto lui quanto Crupiner, da gente del<br />
mestiere, erano convinti che se l’assenza di ogni preoccupazione e le pillole di<br />
Fender non potevano salvare la povera donna, nulla avrebbe potuto salvarla.<br />
– Volete dire che potrebbe morire? – domandò, desolato, il giovane Perry.<br />
– Così… all’improvviso?<br />
Subito, si pentì di aver parlato. Al signor Brownrigg tremava la mano al<br />
punto che lasciò cadere una capsula. Perry capì allora che il Vecchio era<br />
terribilmente affezionato alla sua Vecchia, sotto sotto, e che la punzecchiava<br />
con cattiveria solo perché si vergognava di mostrare i propri sentimenti.<br />
All’istante, il cuore sensibile e sentimentale del giovane Perry s’intenerì per<br />
il povero signor Brownrigg, perdonandogli tutte le osservazioni sarcastiche<br />
di cui era tanto prodigo.<br />
Arrivarono i rifornimenti di medicinali. Bill Perry aprì i due scatoloni più<br />
grandi e mise a posto la roba; il più piccolo lo aprì, ma lasciò che la roba la<br />
mettesse a posto il padrone.<br />
Brownrigg finì di confezionare le capsule, si lavò le mani, poi si mise al lavoro<br />
con la solita alacrità.<br />
Non era molta, la roba arrivata, e il giovane Perry che, qualche tempo<br />
prima, aveva dato un’occhiata al registro dei conti, credeva di sapere perché.<br />
Il Vecchio ce la faceva appena appena. Il giro d’affari era scarso, la farmacia<br />
rendeva pochino.<br />
Il ragazzo leggeva la nota del grossista, e Brownrigg riponeva via via i medicinali.<br />
– Bicarbonato di sodio, magnesia – leggeva Perry, stentatamente. – Iodio,<br />
chinino, tintura di digitale... dev’essere questa, signor Brownrigg. Qui,<br />
questo pacco più grosso...<br />
Bill Perry sapeva di leggere male, e voleva solo rendersi utile, indicando il<br />
pacco, ma Brownrigg gli lanciò un’occhiata addirittura terrificante, mentre<br />
afferrava il pacco e lo riponeva nell’armadione dei medicinali.<br />
Il giovane Perry era costernato. Era già in ritardo e voleva andarsene. Imbarazzato<br />
com’era, continuò a farfugliare, peggiorando più che mai le cose.<br />
– Mi dispiace, signore – disse. – Volevo solo rendermi utile. Pensavo che<br />
poteste... ecco... che foste distratto e che poteste confondervi.<br />
– Ah, – fece lentamente il signor Brownrigg, fissandolo con i suoi occhi ardenti<br />
e tondi in modo tutt’altro che rassicurante. – E, secondo te, a che<br />
cosa penso, mentre faccio il mio lavoro?<br />
– A… alla signora Millie, signore – balbettò spaventatissimo il povero Perry.<br />
Henry Brownrigg si irrigidì. Il sangue gli si congelò, gli occhi parvero<br />
rientrare nella fronte.<br />
Bill Perry, accortosi di aver detto qualche altra sciocchezza, e temendo<br />
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d’essersi mostrato indelicato ed invadente, scambiò per imbarazzo quei sintomi<br />
minacciosi.<br />
– Scusate – disse ancora. – Cercavo proprio di rendermi utile. Sono anch’io<br />
un po’... un po’ frastornato, signore. La signora Brownrigg è sempre stata<br />
così gentile con me. Mi dispiace tanto che sia così ammalata.<br />
Un gran sospiro sfuggì dal petto del farmacista.<br />
– Non devi scusarti, ragazzo mio – disse, con una cortesia che il commesso<br />
non gli conosceva. – Sai com’è, ho i nervi un po’ scoperti. Vai pure, ora. Finirò<br />
da me.<br />
Il giovane Perry non se lo fece dire due volte, felice di ritrovarsi libero nella<br />
chiara serata estiva, ma anche un po’ commosso per la rivelazione improvvisa<br />
di quella tragedia d’amore coniugale.<br />
Phyllis camminava spedita lungo Coe’s Lane, una scorciatoia tra la via in<br />
cui abitava e Priory Avenue. Era un viottolo angusto e tortuoso, con un<br />
prato polveroso da una parte e una staccionata piuttosto alta dall’altra.<br />
In quel momento la scorciatoia appariva deserta, ma quando Phyllis raggiunse<br />
il grosso albero che sorgeva proprio a metà strada, una persona uscì<br />
da dietro il tronco e le si fece incontro.<br />
La ragazza si fermò bruscamente in mezzo al viottolo, con le guance in<br />
fiamme, trattenendo il respiro, come se avesse avuto paura di se stessa.<br />
Brownrigg stesso non era preparato alla violenza della fitta che sentì in<br />
petto, nel vedersela davanti; l’impeto di passione che gli bloccava il respiro<br />
e gli rendeva le palpebre pesanti e la bocca arida, quasi lo spaventò.<br />
Erano soli nel viottolo, e lui la baciò, concentrando nelle braccia e nelle<br />
labbra avide tutto l’insopportabile desiderio accumulato in quei diciotto<br />
giorni.<br />
Quando la lasciò andare, lei piangeva.<br />
– Vattene – gli disse, e il tono era disperato e implorante. – Oh, ti prego... va’<br />
via!<br />
Dopo il bacio, Henry era ritornato umano. Non era più quell’essere posseduto<br />
dai demoni, appostato dietro l’albero, in attesa. Poteva comportarsi<br />
normalmente, almeno per un po’.<br />
– E va bene – disse. Poi, in tono così accorato che lei gli credette davvero,<br />
aggiunse: – Ti vedi anche quest’oggi con Peter Hill?<br />
Le labbra della ragazza tremavano, gli occhi erano supplichevoli.<br />
– Cerco di liberarmi – mormorò. – Non lo capite che cerco di liberarmi di<br />
voi? Ma non è facile, credetemi.<br />
Per un minuto intero, Brownrigg la fissò con occhio indagatore. Poi, diede<br />
in una breve risata e si allontanò, a grandi passi. Camminava in fretta, i<br />
tondi occhi assorti ma il passo sciolto e deciso. I suoi pensieri erano piacevoli.<br />
Dunque, Phyllis era là, pronta per lui, una volta che l’ostacolo fosse<br />
stato rimosso; quello era stato il suo unico dubbio, ma adesso era certo del<br />
fatto suo. Restava solo da mandare ad effetto la parte materiale del piano.<br />
Altre piccole cose, relativamente prive d’importanza, si affollavano alla sua<br />
mente: per esempio, la nuova storia che il vecchio registro avrebbe raccontato<br />
quando il premio dell’assicurazione fosse stato versato in banca e il ca-<br />
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9. Composto che consiste<br />
in una miscela di estratti<br />
dalla digitale, che in dose<br />
massiccia risultano letali,<br />
producendo un arresto<br />
cardiaco.<br />
10. Unità di misura usata<br />
anticamente nella<br />
farmaceutica inglese,<br />
corrispondente circa a 3,6<br />
grammi.<br />
11. L’autore si riferisce a<br />
un famoso caso giudiziario<br />
della seconda metà<br />
dell’800 in cui un medico<br />
di nome Pommerais, per<br />
poter usufruire dei capitali<br />
della moglie, aveva prima<br />
avvelenato la suocera e<br />
poi aveva ucciso la moglie<br />
usando la digitalina.<br />
Il medico legale Tardieu,<br />
molto famoso per avere<br />
risolto casi celebri, venne<br />
incaricato di fare l’autopsia<br />
e capì che era stata usata<br />
la digitalina, ma comprese<br />
altrettanto che sarebbe<br />
stato molto difficile<br />
dimostrarlo; al processo<br />
portò i suoi esperimenti<br />
effettuati su tre rane<br />
e alcuni cani, per<br />
argomentare la sua tesi.<br />
La difesa riuscì a rendere<br />
dubbie le dimostrazioni<br />
di Tardieu, ma il tribunale<br />
condannò ugualmente<br />
a morte Pommerais per<br />
circostanze sospette.<br />
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pitaletto di Millie investito ben diversamente. Ma lui le scacciò, spazientito.<br />
Per adesso bisognava restare con i piedi per terra. Quel pomeriggio, lo<br />
aspettava un lavoretto delicato e bisognava portarlo a termine.<br />
Quando arrivò a casa, Millie s’era già diretta da sua madre.<br />
Quel giorno, si chiudeva bottega più presto del solito, e il commesso aveva<br />
il pomeriggio di libertà.<br />
Il signor Brownrigg fece il giro della casa e si assicurò che tutte le porte fossero<br />
chiuse. Le saracinesche nella farmacia erano abbassate, e lui sapeva benissimo<br />
che non lasciavano filtrare nemmeno un filo di luce dall’interno.<br />
Si tolse la giacca e indossò il camice. Accese la luce in bottega, chiuse la porta<br />
tra la farmacia e il soggiorno dell’abitazione, poi si mise al lavoro.<br />
Sapeva perfettamente quel che doveva fare. Ormai, da otto giorni Millie aveva<br />
preso regolarmente cinque pillole al giorno. Ciascuna conteneva un sedicesimo<br />
di grammo di digitalina 9 , e la droga aveva la prerogativa di accumularsi<br />
nell’organismo. Nessuna meraviglia, se Millie, negli ultimi tempi, s’era lamentata<br />
di mali di testa e di disturbi al fegato! Millie era proprio un’idiota!<br />
Tirò fuori la bottiglia di digitalina, arrivata il giorno in cui il giovane Perry<br />
gli aveva fatto prendere quel po’ po’ di spavento. Il grossista non poteva<br />
aver trovato nulla di strano in quell’ordinazione. Non ci sarebbero state inchieste<br />
sull’uso che ne aveva fatto: il che voleva dire che sarebbe potuto<br />
stare tranquillo... a cose fatte.<br />
Lavorava febbrilmente, e intanto il pensiero galoppava. Conosceva la dose.<br />
Tutto era stato predisposto mesi prima, quando gli era nata l’idea, e aveva<br />
ripassato mentalmente il procedimento da usarsi, infinite volte, per esser<br />
certo di non commettere errori.<br />
Nove dragme 10 di quella tintura avrebbero ucciso un paziente che non<br />
avesse già avuto della digitalina in circolo. D’accordo che la tintura si deteriorava<br />
facilmente, ma quella bottiglia era ancora fresca; di sei giorni appena,<br />
se il grossista era stato onesto.<br />
Preparò il bruciatore e l’evaporatore. Ci voleva tempo. Lui era piuttosto<br />
pratico, ma aveva le mani malferme, e i vapori gli andavano negli occhi, irritandoglieli.<br />
D’improvviso scoprì che erano quasi le quattro. Venne colto dal panico. Di<br />
lì un paio d’ore appena, Millie sarebbe tornata a casa, e c’era ancora tanto<br />
da fare.<br />
Mentre il bruciatore faceva il suo lavoro, la mente di Brownrigg mulinava.<br />
La digitalina era talmente difficile da rintracciare, dopo… questo era il<br />
vantaggio! Perfino il grande Tardieu era stato incapace di affermare con sicurezza<br />
se nel caso Pommerais era stata usata la digitalina, e questo, dopo<br />
un’autopsia scrupolosa e le prove sulle rane e su ogni sorta di animali 11 .<br />
La faccia di Henry Brownrigg si allargò in una specie di ghigno. Il vecchio<br />
Crupiner non era Tardieu. Crupiner si sarebbe ben guardato dal richiedere<br />
un’autopsia. Avrebbe rilasciato il certificato di morte senza indagare troppo.<br />
Probabilmente non sarebbe nemmeno venuto ad esaminare il cadavere.<br />
Una scampanellata alla porta di servizio lo fece sussultare al punto che, per<br />
poco, non rovesciò tutto il suo armamentario. Per un momento, restò im-<br />
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mobile ed ansante, come un animale preso in trappola, ma poi si ricompose.<br />
Si rimise la giacca, e si mosse per andare ad aprire.<br />
Chiuse dietro di sé la porta del negozio, si lisciò i capelli ed aprì, sicuro di<br />
mostrare un aspetto assolutamente normale.<br />
Ma il ragazzino con il giornale della sera non aspettò d’essere <strong>pag</strong>ato, come<br />
tutti i sabati, e fuggì via, dopo una sola occhiata alla faccia del signor<br />
Brownrigg. Era un dodicenne timido, che spesso si metteva in mente chissà<br />
che, e il com<strong>pag</strong>no che l’aveva incaricato della commissione, un ragazzo<br />
più grande, gliene disse di tutti i colori e prese mentalmente nota di passare<br />
lui il lunedì sera a riscuotere i soldi della settimana.<br />
L’effetto dell’incidente, su Henry Brownrigg, fu notevolissimo. Il farmacista<br />
tornò al suo lavoro come un sonnambulo, e per tutto il resto dell’operazione<br />
dovette imporsi di pensare a quello che stava facendo.<br />
Come Dio volle, terminò.<br />
Spense il bruciatore, pulì l’evaporatore, misurò con cura la dose tossica, abbondando,<br />
tanto per non sbagliare.<br />
Poi, fece sparire accuratamente i residui e si sentì molto meglio.<br />
Stava per chiudere la farmacia, e si era già rimesso la giacca, quando ebbe<br />
una sorpresa sgradevolissima. Dapprima, la sua attenzione venne attirata<br />
da uno strato di lievissima polvere sopra una delle bottiglie. La tolse, con<br />
cura meticolosa. Detestava il disordine.<br />
Aveva rimesso via il fazzoletto, quando lo sguardo gli cadde sul ripiano del<br />
banco, e il primo barlume dell’orrenda verità gli si presentò alla mente.<br />
Dal ripiano, i suoi occhi si spostarono agli scaffali, ai diversi oggetti esposti,<br />
alle bottiglie e ai vasi di farmacia, all’impiantito stesso.<br />
Grosse gocce si formarono sulla fronte di Henry Brownrigg. Non c’era un<br />
centimetro di superficie, in tutto il negozio, libero da quello strato di sottilissima,<br />
impalpabile polvere giallastra.<br />
La digitalina! Digitalina sparsa dappertutto, ovunque! La prova della sua<br />
colpa in ogni dove, limpida, inconfondibile, elementare per un osservatore<br />
intelligente.<br />
Henry Brownrigg era inchiodato al suolo.<br />
Un po’ alla volta il suo cervello, aggrappandosi all’istinto di difesa, di conservazione,<br />
ricominciò a funzionare. Un rinvio, ecco la prima cosa da farsi:<br />
rinviare. Millie non doveva prendere la capsula quella sera, come sarebbe<br />
stato nei piani. Né quella sera né l’indomani. Millie non doveva morire<br />
fino a che ogni traccia della digitalina non fosse scomparsa dal negozio.<br />
Rapidamente, cambiò tutto il suo programma. Quella sera si sarebbe comportato<br />
come al solito, e l’indomani, appena Millie fosse uscita per andare<br />
in chiesa, lui avrebbe dato una prima spolverata, in modo che il commesso<br />
non si accorgesse di nulla.<br />
Lunedì, poi, con una scusa qualsiasi, avrebbe mandato a chiamare un’impresa<br />
di pulizia. Sarebbero venuti con un’enorme macchina per aspirare,<br />
introducendo i tubi attraverso la vetrina. Sovente lui aveva detto che intendeva<br />
chiamarli per una buona ripulita.<br />
Quelli dell’impresa lavoravano in fretta; perciò, entro martedì…<br />
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Nel frattempo, attenersi alla più assoluta normalità. Questo era l’importante.<br />
Non fare nulla che potesse insospettire Millie o destarne la curiosità.<br />
Gli venne il pensiero che sarebbe stata una truce ironia pregare Millie di<br />
aiutarlo a spolverare il negozio quella sera stessa: ma lo scacciò. Con tutta<br />
la buona volontà, non ci sarebbe stato il tempo di fare un lavoro accurato.<br />
Andò a lavarsi le mani in cucina e ritornò nell’ingresso. Un passo sulle<br />
scale, sopra la sua testa gli fece salire alla gola un urlo che riuscì appena in<br />
tempo a reprimere.<br />
Era Millie. Era rientrata dalla porta di servizio senza che lui la sentisse, e<br />
solo il cielo sapeva da quanto tempo si trovasse in casa.<br />
– Henry – gli annunciò lei, mite come sempre – mi sono fatta prestare da<br />
mia madre una tenda per la tua camera da letto, così non sarai più disturbato<br />
dagli spifferi d’aria e dalla luce che filtra in camera. È un bel tendone<br />
spesso. Ho finito proprio adesso di metterlo su.<br />
Henry Brownrigg rispose con un borbottio che avrebbe potuto significare<br />
qualsiasi cosa. Aveva i nervi completamente a pezzi.<br />
L’osservazione che lei fece seguire, suonò rassicurante; così rassicurante<br />
che lui, per poco, non diede in una sonora risata.<br />
– Oh, Henry – disse lei – oggi mi hai dato solo quattro di quelle pillole.<br />
Non dimenticare la quinta, sai, caro?<br />
– Prosciutto cotto, piselli in scatola già pronti, insalata di patate e salsa piccante<br />
in bottiglia. Che cuoca ho sposato, mia cara Millie.<br />
Henry Brownrigg traeva una maligna soddisfazione da quelle battute sarcastiche<br />
da quattro soldi. Quando vide la faccia pallida di Millie irrigidirsi,<br />
ne rimase contentissimo.<br />
Mentre, seduto a tavola, guardava la moglie, Brownrigg si rese conto di un<br />
curioso fenomeno. La donna spiccava in mezzo a tutto il resto della stanza<br />
come se lei sola fosse in rilievo. Henry vedeva chiaramente ogni linea del<br />
suo volto, ogni piega dell’abito di stoffa scura, come se quei particolari fossero<br />
stati sottolineati con un pesante tratto di matita nera.<br />
Millie era silenziosa. Persino il suo solito torrente di banalità si era prosciugato,<br />
ed Henry ne era contento.<br />
Si sorprese ad osservarla con occhio spassionato, come se fosse stata un’estranea.<br />
Arrivò alla conclusione che, in fondo, non la odiava affatto. Al contrario,<br />
era dispostissimo a credere che, sia pure in modo limitato, fosse una<br />
persona apprezzabile e di grandi qualità. Ma... gli intralciava la strada!<br />
Quella creatura vuota e grassoccia, niente affatto diversa da tante altre padrone<br />
di casa della città, aveva commesso l’errore capitale di mettersi sul<br />
sentiero di Henry Brownrigg. Lei, quella donnetta ridicola, priva di interesse,<br />
si ergeva tra Henry Brownrigg e i più riposti desideri del suo cuore.<br />
In quel momento, nulla faceva tanta impressione sul farmacista quanto<br />
quell’impudenza, quell’incredibile audacia di moglie.<br />
Lunedì, pensava. Lunedì, al più tardi martedì, e poi…<br />
Millie cominciò a sparecchiare.<br />
Il signor Brownrigg trangugiò il suo primo bicchiere di whisky e soda con<br />
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avidità maggiore del solito. Per lui, il piacere della bevuta del sabato stava<br />
tutto nella strana sensazione che provava una volta ubriaco.<br />
Quando Henry Brownrigg diveniva, per sua moglie e per il resto del<br />
mondo, un sacco vuoto e inerte, per se stesso si trasformava invece in un<br />
tranquillo, potentissimo fantasma annidato comodamente nel guscio protettivo<br />
del proprio corpo, in grado di vedere e di comprendere tutto, ma<br />
troppo onnipotente e troppo importante per dirigere le piccole questioni<br />
di nessuna importanza che formavano il suo immediato universo.<br />
In quelle occasioni, Henry Brownrigg si sentiva un dio.<br />
La sera cominciò come tutte le altre, e quando nella bottiglia quadrata non<br />
rimasero più che due dita dell’elisir 12 color ambra, Millie, e la polvere in<br />
bottega, e il dottor Crupiner, erano divenuti nella mente di Henry tante<br />
formicuzze, sulle quali lui torreggiava, colosso di intelligenza e di potere.<br />
Quando anche quelle due dita si furono ridotte a un velo giallognolo sul<br />
fondo della bottiglia di vetro bianco, il signor Brownrigg rimase perfettamente<br />
immobile. In pochi minuti, avrebbe raggiunto il culmine della sua<br />
ascesa al di sopra dei comuni mortali: e cioè quando il suo corpo, così importante<br />
ai loro occhi, fosse divenuto per lui letteralmente nulla. Meno di<br />
un pesante ingombro, meno ancora di un rivestimento inerte: un nulla assoluto,<br />
un elemento senza peso, senza alcuna importanza.<br />
Quando Millie entrò nella stanza, nella carne di Henry Brownrigg si sarebbe<br />
potuto conficcare un ago, e lui non se ne sarebbe accorto.<br />
Solo quando fu a letto, con l’inutile corpo rivestito di un pigiama di bucato,<br />
Henry si accorse che Millie si comportava in modo diverso dal solito.<br />
La donna aveva ripiegato con cura gli abiti del marito, deponendoli sulla<br />
sedia ai piedi del letto, e tutt’a un tratto lui la vide scrutare qualcosa con<br />
aria assorta.<br />
Seguendo lo sguardo di lei, notò per la prima volta il tendone nuovo. Era<br />
senza dubbio una tenda bellissima: un tessuto spesso, pesante, felpato, che<br />
aveva tutta l’aria di non lasciare passare nemmeno un filo di luce, nemmeno<br />
il più lieve spiffero d’aria.<br />
Henry ricordava perfettamente d’aver perso la pazienza con Millie, un<br />
giorno, in presenza del commesso Perry, e cercando un pretesto per dare<br />
sfogo alla sua rabbia, aveva inventato lo spiffero in camera da letto. Spiffero<br />
che non c’era, questo era il bello: il suo fantasma lo ricordava perfettamente.<br />
La porta aderiva benissimo allo stipite. Ma così Millie aveva avuto<br />
un motivo di più per preoccuparsi.<br />
Millie uscì dalla camera del marito, senza spegnere le luci. Lui cercò di<br />
chiamarla, e solo allora si rese conto degli svantaggi di essere uno spirito<br />
disincarnato. Non poteva parlare, naturalmente.<br />
Giaceva perplesso per quella evidente lacuna nella sua onnipotenza,<br />
quando udì la moglie scendere di sotto invece di entrare nella propria<br />
stanza, dall’altra parte del corridoio. Andò subito su tutte le furie, e si sarebbe<br />
alzato, sempre che gli fosse stato possibile. Ma nel bel mezzo della<br />
sua rabbia, si ricordò un particolare molto spassoso, e giacque immobile,<br />
internamente convulso da risa segrete.<br />
29<br />
12. Si dice elisir un liquore<br />
corroborante, un prezioso<br />
distillato dalle proprietà<br />
e dal gusto eccezionali; in<br />
questo caso il testo allude<br />
al whisky.<br />
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30<br />
610<br />
615<br />
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630<br />
635<br />
640<br />
645<br />
650<br />
Ben presto, Millie sarebbe morta, morta. Morta!<br />
Millie non sarebbe stata più una stupida. Millie non l’avrebbe più mandato<br />
in bestia con la propria sbadataggine. Millie sarebbe stata un cadavere!<br />
Lei tornò di sopra ed entrò in punta di piedi nella stanza.<br />
Ormai l’alcool aveva fatto il suo effetto, ed Henry non poteva muovere<br />
nemmeno la testa. Ben presto, sarebbe sopraggiunta l’incoscienza totale,<br />
ed egli avrebbe lasciato completamente il corpo, per precipitare in una<br />
oscurità eccitante.<br />
Riusciva a vedere soltanto le spalle e la testa di Millie, quando la donna entrava<br />
nel suo campo visivo. Era piuttosto seccato. Lei aveva ancora quelle<br />
linee attorno alla persona, e sulla faccia un’espressione assorta, che Henry<br />
ricordava d’averle già visto nel corso di qualche impresa domestica particolarmente<br />
difficile.<br />
Millie spense la luce, poi si diresse verso la finestra. Henry, a questo punto<br />
interessatissimo, la vide tirar su la veneziana.<br />
Poi, con sua grande meraviglia, udì un fruscio di carta; non un fruscio qualsiasi,<br />
ma uno particolare e a lui ben noto, che aveva udito centinaia di volte.<br />
Improvvisamente lo individuò. Carta adesiva. Millie aveva in mano il<br />
grosso rotolo di carta adesiva che lui usava in negozio.<br />
Era talmente indignato contro di lei, che, per qualche istante, non si domandò<br />
nemmeno che cosa stesse facendo la moglie; solo quando la vide<br />
profilarsi contro la seconda finestra, intuì. Millie stava tappando le fessure.<br />
Il suo fantasma rise di nuovo. Lo spiffero! Sciocca, stupida Millie che davvero<br />
aveva creduto alla storia dello spiffero.<br />
Lei riabbassò le veneziane e riaccese la luce. Aveva la solita faccia mite e<br />
inespressiva, il solito sguardo vuoto e insulso.<br />
Il marito la vide andare alla toletta, muoversi indaffarata, come sempre<br />
quando si occupava delle faccende domestiche.<br />
Ancora una volta, il fenomeno che aveva notato a tavola lo colpì. Vide la<br />
mano di lei e ciò che conteneva: li vide con chiarezza a causa del contorno<br />
nerissimo, più che mai in contrasto con la tovaglietta candida della toletta.<br />
Millie stava posando sul ripiano due pezzi di carta: uno bianco, con l’orlo<br />
frastagliato, uno celeste di forma a lui nota.<br />
Il fantasma di Henry Brownrigg si agitò nella sua prigione: ora il corpo<br />
aveva cessato di essere un’entità trascurabile, era diventato una bara, una<br />
bara sigillata, di piombo, che lo soffocava nel suo inanimato involucro.<br />
Lottò per liberarsi, per ridare vita e peso alla propria potenza, per muoversi.<br />
Millie sapeva!<br />
Il foglietto bianco con l’orlo frastagliato era una lettera di Phyllis tolta dal<br />
cassettino della farmacia, e quello azzurro – ora se ne ricordava – era il biglietto<br />
che lui le aveva lasciato nella vaschetta mal lavata.<br />
Rivide le proprie parole scarabocchiate a matita, con tanta chiarezza, come<br />
se avesse posseduto un obiettivo telescopico.<br />
«Cara Millie, credo di essermi spiegato abbastanza, vero?».<br />
E poi la firma, un «Henry» con tanto di svolazzo. Pensare che quando l’aveva<br />
scritto si era sentito così soddisfatto di sé!<br />
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6<strong>75</strong><br />
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685<br />
690<br />
695<br />
Lottò come un disperato. Ora la bara era fatta di vetro, di pesante opaco<br />
vetro che restava insensibile a tutti i suoi sforzi.<br />
Millie esitava. Aveva preso in mano di nuovo la lettera di Phyllis. Ecco, la<br />
rileggeva.<br />
Henry la vide farsi seria e strappare la lettera in tanti pezzi, che si ficcò poi<br />
nella tasca del golf.<br />
Henry Brownrigg comprese. Millie aveva pietà di Phyllis. Nonostante la<br />
sua ottusità, aveva intuito la sincera infatuazione della poverina, e aveva deciso<br />
di tenere la cosa per sé, di lasciare Phyllis fuori da quella storia.<br />
E adesso? Henry Brownrigg si contorceva dentro il proprio corpo inerte.<br />
Millie era tornata vicino alla toletta. Ora vi deponeva qualcos’altro. Cos’era?<br />
Oh, ecco cos’era...<br />
Il registro dei conti! Henry lo vide perfettamente, il vecchio registro macchiato<br />
dalle mosche, la cui storia era facile a leggersi e a comprendersi<br />
anche per il magistrato più ottuso.<br />
Ora Millie si stava allontanando. Henry quasi rischiò di non accorgersi che<br />
si era fermata vicino al caminetto. La donna non si chinò nemmeno. Con il<br />
piede calzato dalla pantofola, aprì la chiavetta della stufa a gas.<br />
Poi, uscì dalla stanza, chiudendo la luce, prima di tirare a sé l’uscio. Henry udì<br />
prima il fruscio del tendone che veniva chiuso, poi il cigolio dei cardini e lo<br />
scatto della serratura. Seguì una brevissima pausa, poi si udì girare la chiave.<br />
Millie si era comportata durante tutta l’operazione come se stesse preparando<br />
la cena, o riordinando lo stanzino di sgombero.<br />
Chiuso nella sua prigione, il fantasma di Henry Brownrigg ascoltava, impotente.<br />
Dall’altra estremità della stanza arrivava un sibilo sostenuto, costante.<br />
Su, in soffitta, sebbene lui non potesse naturalmente sentirlo, il contatore<br />
del gas ticchettava a pieno ritmo.<br />
Henry Brownrigg ebbe la visione di quello che si sarebbe svolto il mattino<br />
dopo. Le chiavi erano uguali in tutte le porte delle stanze, perciò Millie<br />
non avrebbe avuto nessuna difficoltà a spiegare che, svegliandosi, aveva<br />
sentito odore di gas e che, trovando la porta del marito chiusa a chiave,<br />
aveva aperto con la chiave della propria.<br />
Il fantasma si mosse nel proprio guscio. Ancora una volta la terra e i fatti<br />
terreni apparivano piccoli e trascurabili. L’incoscienza stava per sopraggiungere,<br />
l’oscurità era in attesa, pronta a sopraffarlo; solo che, in quell’oscurità,<br />
non vi sarebbe stato più nulla di eccitante.<br />
L’oscurità lo ingoiò. Egli aveva perso ogni nozione del guscio, ormai. Il guscio<br />
era annientato, aveva abbandonato la lotta.<br />
Il riverbero della luce di un lampione, che filtrava sotto la veneziana, stava<br />
sbiadendo. Impallidiva sempre più. Ecco... era scomparso.<br />
Mentre lo spettro di Henry Brownrigg strisciava fuori, nel gelo notturno,<br />
un mormorio gli risuonò accanto, carico di raggelante certezza:<br />
«I tipi così riescono sempre a farla franca. Sono troppo ottusi, troppo pratici,<br />
troppo privi di fantasia. Riescono sempre a farla franca».<br />
Il fantasma di Henry, in “Il racconto”, I, n. 2, luglio 19<strong>75</strong><br />
31<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
32<br />
STRUMENTI DI LETTURA<br />
La storia<br />
Il fantasma di Henry è una via di<br />
mezzo tra due generi letterari, quello del<br />
giallo vero e proprio e il noir. Se nel<br />
primo l’elemento principale è la soluzione<br />
di un enigma, destinata a sciogliere<br />
la tensione e ricondurre a una condizione<br />
di equilibrio, nel secondo il finale rimane<br />
spesso “aperto” e, in ogni caso, non è mai<br />
consolatorio. Nel Fantasma di Henry, infatti,<br />
assistiamo all’accurata progettazione<br />
di un delitto ma alla fine non c’è nessun<br />
assassino da scoprire, poiché né la vittima<br />
né il colpevole sono quelli che ci saremmo<br />
aspettati, anzi, abbiamo ottimi<br />
motivi per supporre che l’assassino rimarrà<br />
impunito. Altro elemento tipicamente<br />
noir è il torbido sentimento amoroso<br />
che s’impossessa del protagonista,<br />
una cupa ossessione che lo spinge ad architettare<br />
quello che egli, illusoriamente,<br />
ritiene un “delitto perfetto”. Se vogliamo,<br />
proprio nelle ultime battute, il racconto<br />
sembra sconfinare addirittura nella ghost<br />
story, con l’immagine dello spettro del<br />
protagonista che, mentre striscia fuori,<br />
«nel gelo notturno», sente risuonare intorno<br />
a sé una sconvolgente e beffarda<br />
sentenza: l’assassino riuscirà a farla<br />
franca. L’intera vicenda è scandita dalle<br />
tappe che preludono al compimento del<br />
delitto, dettagliatamente “motivato” almeno<br />
per quanto riguarda il protagonista<br />
principale. E in effetti, alla fine, un delitto<br />
avrà luogo, anche se all’ultimo momento<br />
l’assassino si troverà nei panni della vittima,<br />
e viceversa.<br />
I personaggi<br />
L’intera vicenda si sviluppa intorno<br />
a personaggi profondamente ambigui,<br />
che alla fine si rivelano tutt’altro rispetto<br />
a quel che apparivano all’inizio.<br />
Tutto ruota intorno al signor Brownrigg,<br />
farmacista di mezza età, la cui acuta descrizione<br />
psicologica trova riscontro in<br />
una gustosa e pungente caratterizzazione<br />
fisica. Tronfio, supponente e prevarica-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
tore, si rivela invece un imbecille e un<br />
pasticcione, vittima predestinata della<br />
propria debolezza e dell’inclinazione al<br />
vizio dell’alcol, che lo spinge settimanalmente<br />
a ubriacarsi tanto da piombare<br />
in uno stato di catatonia completa. La<br />
“sciocca” Millie, sua moglie, sembra essergli<br />
completamente sottomessa, ma<br />
l’ambiguità di certe sue considerazioni<br />
sul marito dovrebbero mettere prontamente<br />
sull’avviso il lettore riguardo all’effettivo<br />
acume della donna. Ambigui<br />
sono anche i personaggi di contorno,<br />
dall’anziano dottor Crupiner a Phyllis<br />
Bell, la ragazza attratta in un primo<br />
tempo dal bieco farmacista ma che ora lo<br />
rifiuta, a Bill Perry, il commesso, devoto<br />
a Millie ma pronto a fraintendere clamorosamente<br />
le intenzioni e i reali sentimenti<br />
di Henry Brownrigg.<br />
Il narratore<br />
L’impersonalità del narratore è<br />
quasi una regola del genere giallo, dettata<br />
da esigenze strumentali come quella<br />
di non fornire prima del dovuto al lettore<br />
determinate informazioni, oppure<br />
di mantenere intorno a uno o più personaggi<br />
un alone di mistero o ambiguità.<br />
In questo caso, il narratore scompare e<br />
lascia in primo piano il personaggio<br />
principale, il signor Brownrigg, che seguiamo<br />
nella lunga, meticolosa ma farraginosa<br />
preparazione del delitto. Il maturo<br />
farmacista è convinto di conquistare<br />
per sempre la giovanissima Phyllis, ma al<br />
lettore non mancano elementi tali da<br />
poter concludere che quella di Brownrigg<br />
è e rimarrà soltanto un’illusione.<br />
Al contempo, la più volte ribadita stupidità<br />
di Millie appare, a ben guardare,<br />
solo un pregiudizio dettato dalla sconfinata<br />
supponenza del marito. Il narratore,<br />
neutro e impersonale, fornisce<br />
così una sorta di puzzle di elementi<br />
volta a volta congrui o contrastanti, che<br />
il lettore dovrà ingegnarsi a disporre<br />
nel modo più adeguato.
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
33<br />
DOMANDE DI VERIFICA<br />
Ripercorri gli elementi della descrizione fisica di Brownrigg che appaiono nella prima parte del<br />
racconto e valuta se, in base a quanto dice il testo, le affermazioni che seguono sono vere o false.<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
e<br />
Era un uomo alto di quarantacinque anni.<br />
Era una persona robusta che tendeva ad appesantirsi.<br />
Aveva faccia rasata, un collo taurino e labbra carnose.<br />
Non aveva occhi interessanti né incisivi.<br />
Nel complesso era un uomo appariscente e piacevole.<br />
Nella parte iniziale del racconto, Brownrigg parla di un “ostacolo”: a che cosa pensi si riferisca?<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Al fatto che sarebbe comparso presto un fidanzato per Phyllis, la ragazza di cui egli dice di essere<br />
innamorato.<br />
Al fatto che non possiede sufficiente denaro per fare la vita che vorrebbe.<br />
Alla presenza della moglie che gli impedisce di avere relazioni con altre donne in modo più libero.<br />
A Perry, il fattorino della bottega, la cui presenza rappresenta per lui un ostacolo ad agire liberamente.<br />
Sulla base dello svolgimento del racconto, puoi dire per quale motivo Brownrigg porta la moglie<br />
Millie dal dottor Crupiner?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Per più di una volta nel corso del racconto si fa riferimento al “vecchio registro macchiato dalle<br />
mosche”. Per qual motivo, secondo te, questo elemento ricorre in modo quasi marginale, ma tuttavia<br />
insistito?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
L’abitudine del sabato sera di sbronzarsi con il whisky pone Brownrigg in una particolare condizione<br />
che viene descritta nel racconto per due volte, una nel corso del testo, per rendere conto<br />
delle abitudini di vita del protagonista, e una seconda volta nella scena finale. Quale differenza<br />
esiste nella descrizione del corpo e della mente nelle due situazioni?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Quando il fantasma di Henry sta lasciando definitivamente il corpo, comprendendo di essere<br />
stato ucciso dalla moglie, dice a proposito della donna che “i tipi così riescono sempre a<br />
farla franca. Sono troppo ottusi, troppo pratici, troppo privi di fantasia. Riescono sempre a farla<br />
franca”. Valutando la figura di Millie, saresti d’accordo con l’opinione di Brownrigg?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
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F<br />
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F
34<br />
Gabriel García Márquez<br />
Un signore molto<br />
vecchio con due ali<br />
enormi<br />
anno 1972<br />
luogo<br />
Colombia<br />
genere<br />
racconto<br />
fantastico<br />
Presentazione dell’opera<br />
Un signore molto vecchio con due ali enormi, del 1968, fu scritto un anno dopo la pubblicazione di Cent’anni di solitudine, capolavoro<br />
di García Márquez e uno dei massimi romanzi del Novecento. Anche qui ritroviamo una colorita quanto amara rappresentazione<br />
di un paese dell’America Latina, del quale lo scrittore delinea la condizione allucinata con inventiva, bruciante ironia ma<br />
anche con una profonda schiettezza.<br />
Gabriel García Márquez<br />
Nato nel 1928 ad Aracataca, Colombia, come giornalista soggiornò in Francia,<br />
Messico, S<strong>pag</strong>na e Italia, dove studiò al Centro sperimentale di cinematografia<br />
di Roma. Ai romanzi Foglie morte (1955) e Nessuno scrive al colonnello<br />
(1961) seguono i racconti di I funerali della Mama Grande (1962), ove già<br />
emerge il mondo mitico e paradossale che gli sarà caratteristico. Dopo La<br />
mala ora (1962), il romanzo Cent’anni di solitudine (1967), centrato sull’immaginaria<br />
ed epica comunità di Macondo, viene considerato il suo capolavoro<br />
e riscuote un successo planetario. Ai racconti di L’incredibile e triste storia<br />
della candida Eréndira e della sua nonna snaturata (1972) seguono Occhi<br />
di cane azzurro (1974), L’autunno del patriarca (19<strong>75</strong>) e Cronaca di una<br />
morte annunciata (1981). Nel 1982 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Seguono L’amore ai tempi<br />
del colera (1985), Il generale nel suo labirinto (1989), Dell’amore e altri demoni (1994). Nel 1999 gli<br />
viene diagnosticata una grave malattia che lo spinge a scrivere le sue memorie, il cui primo volume, Vivere<br />
per raccontarla, esce nel 2002. Nel 2004, vinta la sua battaglia contro il cancro, pubblica il romanzo<br />
Memoria delle mie puttane tristi (2004) e il monologo teatrale Diatriba d’amore contro un uomo seduto<br />
(2007). È anche autore di numerosi volumi di articoli e saggi.<br />
<strong>05</strong><br />
10<br />
l terzo giorno di pioggia avevano ucciso così tanti granchi dentro casa<br />
I<br />
che Pelayo dovette attraversare il cortile allagato e buttarli in mare,<br />
perché la notte il piccolo aveva avuto la febbre e si pensava fosse a<br />
causa del fetore. Il mondo era triste fin dal martedì. Il cielo e il mare<br />
erano un tutt’uno di cenere, e la sabbia della spiaggia, che in marzo scintillava<br />
come polvere di fuoco, era diventata una brodaglia di fango e molluschi<br />
marci. A mezzogiorno la luce era talmente fioca che quando Pelayo tornò a<br />
casa dopo aver buttato via i granchi fece fatica a vedere cosa si muoveva e si<br />
lamentava in fondo al cortile. Dovette avvicinarsi un bel po’ prima di rendersi<br />
conto che era un vecchio, sdraiato a faccia in giù nel pantano, che malgrado<br />
i continui sforzi non riusciva ad alzarsi, impedito dalle sue enormi ali.<br />
Spaventato da quell’incubo, Pelayo corse a cercare Elisenda, sua moglie,<br />
che stava facendo impacchi al bambino malato, e la portò in fondo al cortile.<br />
Tutti e due osservarono il corpo caduto con tacito stupore. Era ve-<br />
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15<br />
20<br />
25<br />
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40<br />
45<br />
50<br />
55<br />
60<br />
stito come uno straccivendolo. Gli restava appena qualche filo sbiadito<br />
sul cranio pelato e pochissimi denti in bocca, e la sua penosa condizione<br />
di bisnonno fradicio lo aveva privato di ogni grandezza. Le ali da grosso<br />
avvoltoio, spennacchiate e sporche, erano definitivamente incagliate nel<br />
pantano. Pelayo ed Elisenda l’osservarono talmente tanto, e con tale attenzione,<br />
che si ripresero ben presto dallo stupore e finirono per trovarlo<br />
familiare. Allora si azzardarono a parlargli e lui rispose in un dialetto incomprensibile,<br />
ma con una bella voce da navigatore. Fu così che passarono<br />
sopra l’inconveniente delle ali e conclusero con molto buonsenso<br />
che era un naufrago solitario di qualche nave straniera affondata nella<br />
tempesta. In ogni modo decisero di chiamare una vicina che sapeva tutto<br />
della vita e della morte, e a lei bastò un’occhiata per disilluderli.<br />
«È un angelo» disse. «Veniva di sicuro a prendersi il bambino, ma è talmente<br />
vecchio, poveretto, che la pioggia l’ha abbattuto».<br />
Il giorno dopo tutti sapevano che in casa di Pelayo era prigioniero un angelo<br />
in carne e ossa. Contro il parere della saggia vicina, per cui gli angeli<br />
di questi tempi erano fuggiaschi sopravvissuti a una cospirazione celestiale,<br />
non avevano avuto cuore di ammazzarlo a bastonate. Pelayo lo<br />
aveva sorvegliato tutto il pomeriggio dalla cucina, armato del suo randello<br />
di gendarme, e prima di andare a letto lo aveva trascinato fuori dal<br />
pantano e chiuso con le galline nel pollaio. A mezzanotte, quando aveva<br />
smesso di piovere, Pelayo ed Elisenda stavano ancora ammazzando granchi.<br />
Poco dopo il bambino si era svegliato senza febbre e con appetito. A<br />
quel punto si erano sentiti magnanimi e avevano deciso di mettere l’angelo<br />
su una zattera con acqua dolce e provviste per tre giorni, e di abbandonarlo<br />
alla sua sorte in alto mare. Ma quando alle prime luci dell’alba<br />
erano usciti nel cortile, avevano trovato tutti i vicini davanti al pollaio, a<br />
divertirsi con l’angelo senza la minima devozione e a gettargli roba da<br />
mangiare attraverso la rete come se fosse un animale da circo e non una<br />
creatura sovrannaturale.<br />
Padre Gonzaga arrivò prima delle sette, allarmato da quella notizia spropositata.<br />
Allora erano già accorsi curiosi meno frivoli di quelli dell’alba e<br />
avevano fatto ogni genere di congettura sul futuro del prigioniero. I più<br />
semplici pensavano che sarebbe stato nominato alcalde 1 del mondo. Altri,<br />
di spirito più rude, supponevano che sarebbe stato promosso generale da<br />
cinque stellette per vincere tutte le guerre. Alcuni visionari speravano che<br />
venisse tenuto come stallone per fondare sulla terra una stirpe di uomini<br />
alati e sapienti che reggessero l’universo. Ma padre Gonzaga prima di diventare<br />
sacerdote era stato un robusto taglialegna. Affacciato alla rete, ripassò<br />
un momento il suo catechismo e poi chiese che gli venisse aperta la<br />
porta per esaminare da vicino quel pover’uomo che sembrava piuttosto<br />
un’enorme gallina decrepita in mezzo alle altre galline assorte. L’angelo<br />
era sdraiato in un angolo e si asciugava al sole le ali spiegate, tra le bucce<br />
di frutta e gli avanzi di colazione che gli avevano buttato i più mattinieri.<br />
Insensibile alle impertinenze del mondo, alzò a stento gli occhi da antiquario<br />
mormorando qualcosa nel suo dialetto quando padre Gonzaga<br />
35<br />
1. Era detto così in S<strong>pag</strong>na<br />
e nelle sue colonie un<br />
funzionario statale che<br />
aveva funzioni<br />
amministrative<br />
e giudiziarie. Deriva<br />
dall’arabo al-qadi, giudice.<br />
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36<br />
2. Il testo allude al fatto<br />
che la lingua ufficiale della<br />
Chiesa è il latino.<br />
3. Parola s<strong>pag</strong>nola<br />
e portoghese che significa<br />
centesimo.<br />
065<br />
070<br />
0<strong>75</strong><br />
080<br />
085<br />
090<br />
095<br />
100<br />
1<strong>05</strong><br />
entrò nel pollaio e gli diede il buongiorno in latino. Il parroco ebbe i<br />
primi sospetti sulla sua impostura appena si rese conto che non capiva la<br />
lingua di Dio 2 né sapeva salutare i suoi ministri. Poi constatò che visto da<br />
vicino appariva fin troppo umano: aveva un insopportabile odore di intemperie,<br />
il rovescio delle ali coperto di alghe parassitarie, le penne più<br />
grandi sciupate da venti terrestri, e niente nella sua miserabile natura era<br />
compatibile con l’illustre dignità degli angeli. Allora uscì dal pollaio e<br />
con un breve sermone mise in guardia i curiosi contro i rischi dell’ingenuità.<br />
Ricordò che il diavolo aveva la brutta abitudine di ricorrere ad artifizi<br />
da carnevale per confondere gli incauti. Argomentò che se le ali non<br />
erano l’elemento essenziale per stabilire le differenze tra uno sparviero e<br />
un aeroplano, tanto meno potevano esserlo per riconoscere gli angeli. Ma<br />
promise di scrivere una lettera al suo vescovo, perché questi ne scrivesse<br />
un’altra al suo primate, e costui una terza al Sommo Pontefice, così che il<br />
<strong>verde</strong>tto finale giungesse dai tribunali supremi.<br />
La sua prudenza cadde in cuori sterili. La notizia dell’angelo prigioniero<br />
si sparse con tale rapidità che in poche ore nel cortile c’era una baraonda<br />
da mercato, e dovettero portare la truppa con le baionette per disperdere<br />
la folla in tumulto che stava per buttar giù la casa. Elisenda, con la spina<br />
dorsale storta a forza di spazzare immondizia da fiera, ebbe allora la<br />
buona idea di recintare il cortile e far <strong>pag</strong>are cinque centavos 3 il biglietto<br />
per vedere l’angelo.<br />
Arrivarono curiosi fin dalla Martinica. Arrivò una fiera girovaga con un<br />
acrobata volante che passò varie volte a razzo sopra la folla, ma nessuno<br />
gli badò perché le sue ali non erano d’angelo ma di pipistrello siderale.<br />
Arrivarono in cerca di guarigione i malati più disgraziati dei Caraibi: una<br />
povera donna che fin da bambina contava i battiti del proprio cuore e non<br />
le bastavano più i numeri, un giamaicano che non riusciva a dormire perché<br />
era tormentato dal rumore delle stelle, un sonnambulo che di notte si<br />
alzava a disfare quanto aveva fatto da sveglio, e molti altri meno gravi. In<br />
mezzo a quel disordine da naufragio che faceva tremare la terra, Pelayo<br />
ed Elisenda erano felici nella loro stanchezza, perché in meno di una settimana<br />
avevano riempito di soldi le camere da letto, e la fila di pellegrini<br />
che aspettava di entrare giungeva ancora fin oltre l’orizzonte.<br />
L’angelo era l’unico che non partecipava al proprio evento. Passava il<br />
tempo a cercare di accomodarsi alla meglio nel suo nido prestato, stordito<br />
dal calore infernale delle lampade a olio e delle candele votive che<br />
mettevano vicino alla rete. All’inizio cercarono di fargli mangiare cristalli<br />
di canfora, che secondo la scienza della saggia vicina era l’alimento specifico<br />
degli angeli. Ma lui li disdegnava, come aveva disdegnato senza assaggiarli<br />
i pranzi papali che gli portavano i penitenti, e non si seppe mai<br />
se fu perché era un angelo o perché era vecchio che finì per mangiare soltanto<br />
pappette di melanzana. La sua unica virtù sovrannaturale sembrava<br />
la pazienza. Soprattutto nei primi tempi, quando le galline lo becchettavano<br />
in cerca dei parassiti stellari che proliferavano nelle sue ali, e gli<br />
storpi gli strappavano le penne per passarsele sulle magagne, e persino i<br />
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110<br />
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150<br />
più misericordiosi gli tiravano sassi cercando di farlo alzare per vederlo a<br />
figura intera. L’unica volta che riuscirono a innervosirlo fu quando gli<br />
bruciarono il fianco con un ferro per marchiare i manzi, perché era rimasto<br />
immobile così tante ore che lo credevano morto. Si svegliò di soprassalto,<br />
strepitando nella sua lingua ermetica con le lacrime agli occhi, e<br />
sbatté un paio di volte le ali sollevando un vortice di sterco di gallina<br />
e polvere lunare, e un uragano di panico che non sembrava di questo<br />
mondo. Molti pensarono che la sua reazione non fosse di rabbia ma di<br />
dolore, però da quel momento si guardarono bene dall’infastidirlo, perché<br />
la maggior parte comprese che la sua non era una passività da eroe in<br />
ritiro, ma da cataclisma in riposo.<br />
Padre Gonzaga affrontò la frivolezza della folla con formule di ispirazione<br />
domestica, in attesa di ricevere il <strong>verde</strong>tto definitivo sulla natura<br />
del prigioniero. Ma la posta da Roma aveva perso la nozione dell’urgenza.<br />
Passavano il tempo ad appurare se il reo aveva l’ombelico, se il suo<br />
dialetto era legato in qualche modo all’aramaico 4 , se poteva stare più<br />
volte sulla punta di uno spillo o se non era semplicemente un norvegese<br />
con le ali. Quelle lettere flemmatiche sarebbero andate avanti e indietro<br />
fino alla fine dei secoli, se un fatto provvidenziale non avesse posto termine<br />
alle tribolazioni del parroco.<br />
Accadde che in quei giorni, fra le numerose attrazioni delle fiere errabonde<br />
dei Caraibi, giunse in paese il triste spettacolo della donna che si<br />
era trasformata in ragno per aver disobbedito ai genitori. Il biglietto per<br />
vederla non solo costava meno del biglietto per vedere l’angelo, ma era<br />
permesso farle ogni genere di domanda sulla sua aberrante condizione ed<br />
esaminarla dal dritto e dal rovescio, perché nessuno mettesse in dubbio la<br />
verità dell’orrore. Era una tarantola spaventosa delle dimensioni di un<br />
montone e con una testa da donzella triste. La cosa più straziante però<br />
non era la sua figura assurda, ma la sincera afflizione con cui raccontava i<br />
dettagli della propria disgrazia: quando era ancora quasi una bambina era<br />
scappata dalla casa dei genitori per andare a un ballo, e mentre tornava<br />
attraverso il bosco dopo aver ballato tutta la notte senza permesso un<br />
tuono spaventoso aveva squarciato il cielo, e da quella fenditura era uscito<br />
il lampo di zolfo che l’aveva trasformata in ragno. Il suo unico alimento<br />
erano le palline di carne trita che le gettavano in bocca le anime caritatevoli.<br />
Un simile spettacolo, carico di tanta verità umana e di un così terribile<br />
monito, doveva sconfiggere senza volere quello di un angelo sprezzante<br />
che si degnava a stento di guardare i mortali. E poi, i pochi miracoli<br />
attribuiti all’angelo rivelavano un certo disordine mentale, come il caso<br />
del cieco che non aveva recuperato la vista ma aveva messo tre denti<br />
nuovi, e quello del paralitico che non aveva ripreso a camminare ma era<br />
stato lì lì per vincere alla lotteria, o quello del lebbroso a cui erano nati<br />
girasoli nelle ferite. Quei miracoli di consolazione, che sembravano piuttosto<br />
passatempi beffardi, avevano già danneggiato la reputazione dell’angelo<br />
quando la donna trasformata in ragno finì di distruggerla. Fu<br />
così che padre Gonzaga guarì per sempre dall’insonnia, e il cortile di Pe-<br />
37<br />
4. L’aramaico era la lingua<br />
semitica parlata<br />
correntemente al tempo<br />
di Gesù e presente nel<br />
territorio del vicino Oriente<br />
già da mille anni circa,<br />
come lingua ufficiale<br />
del culto e della legge.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
38<br />
5. Struttura portante<br />
della penna con cui essa<br />
si attacca all’ala.<br />
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195<br />
layo ritornò solitario come ai tempi in cui aveva piovuto per tre giorni e<br />
i granchi si aggiravano nelle camere da letto.<br />
I padroni di casa non ebbero niente di cui lamentarsi. Grazie al denaro<br />
raccolto costruirono una villa a due piani, con balconi e giardini, e soglie<br />
molto alte perché non entrassero i granchi d’inverno, e sbarre di ferro<br />
alle finestre perché non entrassero gli angeli. Inoltre, Pelayo aprì un allevamento<br />
di conigli a un passo dal paese e rinunciò per sempre al suo<br />
brutto lavoro di gendarme, ed Elisenda si comprò delle scarpette di raso<br />
a tacco alto e tanti vestiti in seta cangiante, di quelli che all’epoca indossavano<br />
la domenica le signore più invidiate. Il pollaio fu l’unica cosa a<br />
non ricevere attenzioni. Se qualche volta lo lavarono con creolina e vi<br />
bruciarono grani di mirra non fu in omaggio all’angelo ma per scacciare<br />
il fetore da letamaio che ormai si aggirava ovunque come un fantasma e<br />
stava invecchiando la casa nuova. All’inizio, quando il piccolo imparò a<br />
camminare, badarono che non ci si avvicinasse troppo. Ma poi pian piano<br />
dimenticarono i loro timori e si abituarono alla puzza, e prima che il<br />
bambino cambiasse i denti si era già infilato a giocare dentro il pollaio, la<br />
cui recinzione marcita cadeva a pezzi. L’angelo non fu meno scontroso<br />
con lui che con il resto dei mortali, ma sopportava le infamie più ingegnose<br />
con una mansuetudine da cane senza illusioni. Contrassero la varicella<br />
insieme. Il medico che curò il bambino non seppe resistere alla tentazione<br />
di auscultare l’angelo, e sentì talmente tanti soffi al cuore e<br />
rumori nelle reni da sembrargli incredibile che fosse ancora vivo. Ma fu<br />
la logica delle sue ali a stupirlo di più. Apparivano così naturali in quell’organismo<br />
completamente umano che non riusciva a capire perché non<br />
le avessero anche gli altri uomini.<br />
Quando il bambino andò a scuola, il sole e la pioggia avevano da tempo<br />
distrutto il pollaio. L’angelo si trascinava qua e là come un moribondo<br />
senza padrone. Lo cacciavano via da una camera a colpi di scopa e un momento<br />
dopo se lo ritrovavano in cucina. Sembrava essere in così tanti<br />
posti assieme da spingerli a pensare che si sdoppiasse, che si moltiplicasse<br />
in tutta la casa, e l’esasperata Elisenda gridava fuori di sé che era una disgrazia<br />
vivere in quell’inferno pieno di angeli. Lui riusciva a stento a<br />
mangiare, i suoi occhi da antiquario erano così annebbiati che inciampava<br />
nei pilastri della casa, e non gli restavano che le cannule 5 pelate delle<br />
ultime penne. Pelayo gli buttò addosso una coperta e gli fece la carità di<br />
lasciarlo dormire sotto la tettoia, e solo allora si accorsero che passava la<br />
notte a delirare per la febbre con scioglilingua da vecchio norvegese.<br />
Quella fu una delle poche volte in cui si allarmarono, perché pensavano<br />
che stesse per morire, e neppure la saggia vicina aveva saputo dire che<br />
cosa si faceva degli angeli morti.<br />
Eppure non solo sopravvisse al suo peggiore inverno, ma parve riprendere<br />
le forze al primo sole. Rimase immobile per giorni e giorni nell’angolo<br />
più appartato del cortile, dove nessuno poteva vederlo, e agli inizi di<br />
dicembre cominciarono a spuntargli sulle ali penne grandi e dure, penne<br />
da uccellaccio decrepito che sembravano quasi un nuovo guaio della vec-<br />
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2<strong>05</strong><br />
210<br />
chiaia. Ma lui doveva conoscere la ragione di quei cambiamenti, perché<br />
stava bene attento che nessuno li notasse, né sentisse le canzoni da marinaio<br />
che a volte cantava sotto le stelle. Una mattina Elisenda stava affettando<br />
una cipolla per il pranzo, quando entrò in cucina un vento che<br />
sembrava d’alto mare. Allora si affacciò alla finestra e sorprese l’angelo<br />
nei suoi primi tentativi di volo. Erano talmente goffi che aprì con le unghie<br />
un solco d’aratro fra gli ortaggi e per poco non buttò giù la tettoia<br />
con quegli indegni colpi d’ala che scivolavano sulla luce e non trovavano<br />
appiglio in aria. Ma riuscì a guadagnare quota. Elisenda tirò un sospiro di<br />
sollievo, per lei e per lui, quando lo vide passare sopra le ultime case, tenendosi<br />
su in qualche modo con un incerto svolazzio da avvoltoio senile.<br />
Continuò a vederlo anche quando finì di tagliare la cipolla, e continuò a<br />
vederlo anche quando non era possibile che potesse vederlo, perché<br />
ormai non era più una seccatura nella sua vita, ma un punto immaginario<br />
sull’orizzonte del mare.<br />
Un signore molto vecchio con due ali enormi,<br />
in L’incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata,<br />
Mondadori, Milano 2004<br />
39<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
40<br />
STRUMENTI DI LETTURA<br />
La storia<br />
Sin dall’incipit, l’autore riesce<br />
a farci accettare come “normali” una<br />
quantità di elementi surreali, da una casa<br />
invasa dai granchi al fatto di scovare in<br />
fondo al cortile un anziano signore con<br />
le ali. Così, dopo lo spavento causato da<br />
quell’«incubo», alla fine si finisce per<br />
trovarlo «familiare». Tuttavia, poiché in<br />
quel mondo tropicale, impantanato e<br />
misero, pare non esservi posto per i sentimenti,<br />
colui che la superstizione popolare<br />
aveva immediatamente identificato<br />
come un angelo caduto diventa un fenomeno<br />
da baraccone, da esibire a <strong>pag</strong>amento.<br />
Il sistematico, minuzioso intreccio<br />
di reale e surreale fa scaturire quel<br />
senso di «realismo magico» per cui García<br />
Márquez è giustamente famoso, dove<br />
la «magia» è come la scintilla che rivela<br />
tutto lo squallore di una «realtà» avida,<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
cinica e crudele. Così, alla fine, quando<br />
l’uomo con le ali vola via, per qualcuno<br />
sarà soltanto una «seccatura» in meno.<br />
La lingua<br />
e lo stile<br />
In García Márquez, considerato il maggior<br />
esponente del moderno «realismo<br />
magico» in letteratura, un acuto senso<br />
del particolare sfuma costantemente nell’indefinito<br />
e nel fantastico. La prosa è<br />
scorrevole ma costantemente pervasa<br />
da un’ironia amara. Il linguaggio, complesso<br />
e articolato, intreccia realtà e fantasia,<br />
storia e leggenda, vita quotidiana e<br />
mito, infimo e sublime. Nel racconto<br />
trovano posto, nella stessa misura paradossale,<br />
uno stile vivo e concreto e una<br />
dolente rappresentazione della vita.
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
41<br />
DOMANDE DI VERIFICA<br />
L’ambientazione del racconto è situata in:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Un pollaio malridotto in prossimità del mare.<br />
Una villa ben costruita con un pollaio semi distrutto.<br />
Un cortile pieno di fango, di granchi e galline.<br />
Una casa in sud America, vicina al mare, tormentata dalla presenza dei granchi.<br />
Prima che la vicina di casa lo riconosca come tale, l’autore introduce la figura dell’angelo (oltre<br />
a ciò che già dice nel titolo) come “un vecchio, sdraiato a faccia in giù nel pantano, che malgrado<br />
i continui sforzi non riusciva ad alzarsi, impedito dalle sue enormi ali”; un “corpo caduto”;<br />
“vestito come uno straccivendolo”; “con il cranio pelato”; “pochissimi denti in bocca”;<br />
“bisnonno fradicio”; con “ali da grosso avvoltoio, spennacchiate, sporche, incagliate nel pantano”;<br />
capace solo di “parlare un dialetto incomprensibile”.<br />
Sapresti interpretare i dati scelti dall’autore per presentare il personaggio dell’angelo?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Servendoti degli elementi tratti dal racconto, quale giudizio sull’angelo esprime il parroco,<br />
padre Gonzaga?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Tenendo conto di tutto lo svolgimento del racconto, quale comportamento hanno gli uomini<br />
del popolo (esclusi i protagonisti) rispetto all’angelo?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Considerando l’aspetto dell’angelo e il suo comportamento nel corso della storia, individua gli<br />
aspetti “divini” che connotano la sua immagine.<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Ripercorrendo l’intera storia, si può dire che Márquez abbia usato l’espediente dell’angelo –<br />
presentato nei termini che conosciamo – per dare una sua particolare valutazione della realtà<br />
umana?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
42<br />
Antonio Tabucchi<br />
Treni che vanno<br />
a Madras<br />
anno 1985<br />
luogo<br />
Italia<br />
genere<br />
racconto tra<br />
realtà<br />
e fantasia<br />
Presentazione dell’opera<br />
L’attenzione critica dedicata a Pessoa ha fornito a Tabucchi suggerimenti e suggestioni anche per la sua opera narrativa. Dopo i<br />
primi romanzi lo scrittore si è rivolto soprattutto alla forma del racconto, più congeniale a creare situazioni in cui si mette in evidenza<br />
ciò che è possibile, relativo o capovolto rispetto alla realtà, e in cui ritornano insistentemente i motivi del destino, dell’ambiguità,<br />
dell’insensatezza dell’esistenza. Alla base di Piccoli equivoci senza importanza vi è il concetto della vita come rebus, rebus<br />
destinati a rimanere senza soluzione fra mille ipotesi e congetture. In Treni che vanno a Madras il com<strong>pag</strong>no di viaggio del protagonista<br />
“potrebbe” essere colui che commette l’omicidio di cui si parla sul giornale il giorno seguente, ma il protagonista di Rebus,<br />
un altro racconto della stessa raccolta, riflettendo sull’impossibilità di capire la realtà, fa questa considerazione: «la vita è come<br />
una tessitura, tutti i fili si intrecciano, è questo che un giorno vorrei capire, vedere tutto il disegno». Tuttavia, poiché il disegno<br />
sfugge al protagonista quanto al lettore, i piccoli rebus diventano metafora di un rebus ben più ampio, quello rappresentato dalla<br />
letteratura, vista come enigma insolubile o come equivoco.<br />
5<br />
Antonio Tabucchi<br />
Nato a Pisa nel 1943, già direttore a Lisbona dell’Istituto italiano di cultura,<br />
della letteratura portoghese ha fatto oggetto d’insegnamento, saggi critici e<br />
traduzioni. A lui si deve la diffusione in Italia delle opere di Fernando Pessoa,<br />
il massimo scrittore lusitano moderno. Pessoa ha profondamente influenzato<br />
il Tabucchi narratore, autore di romanzi e racconti lunghi fra i quali Piazza<br />
d’Italia (19<strong>75</strong>), Il piccolo naviglio (1978), Notturno indiano (1984), Il filo dell’orizzonte<br />
(1986), Requiem (1992), Sostiene Pereira (1994), il suo libro di<br />
maggior successo, La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), Si sta facendo<br />
sempre più tardi (2001). Dopo il suo primo racconto Irma Serena, pubblicato<br />
nel volume L’Astromostro. Racconti per bambini (1980), sono uscite<br />
numerose raccolte: Il gioco del rovescio (1981), Donna di Porto Pim e altre storie (1983), Piccoli equivoci<br />
senza importanza (1985), I volatili del Beato Angelico (1987), L’angelo nero (1991), Sogni di sogni<br />
(1992). Per il teatro ha scritto i monologhi I dialoghi mancati (1988), mentre della sua produzione saggistica<br />
ricordiamo La gastrite di Platone (1998) e, tra quelli dedicati a Pessoa, Il poeta e la finzione<br />
(1983) e Un baule pieno di gente (1990).<br />
treni che da Bombay vanno a Madras1 partono dalla Victoria Station.<br />
La mia guida assicurava che una partenza dalla Victoria Station vale<br />
da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi<br />
aveva fatto preferire il treno all’aereo. La mia guida era un libretto<br />
un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo stavo<br />
seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente<br />
incongruo, dunque quello era il libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore<br />
non come un predone avido di immagini stereotipe 2 I<br />
al quale si consigliano<br />
tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di<br />
1. Il viaggio descritto dal racconto attraversa da ovest a est<br />
la penisola indiana nella zona meridionale, congiungendo<br />
due delle maggiori città della regione.<br />
2. La similitudine accosta l’idea del viaggiatore più banale<br />
desideroso di conoscere i luoghi più tipici a quella del<br />
predone, ovvero del brigante che si impadronisce delle<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
cose preziose che incontra sulla sua strada in terra<br />
straniera. Così facendo l’autore pone idealmente a<br />
confronto un turismo più superficiale che incontra le<br />
bellezze artistiche e naturali di un paese seguendo schemi<br />
predefiniti, con uno più attento alla realtà che incontra,<br />
anche se apparentemente meno organizzato.
10<br />
15<br />
20<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
45<br />
50<br />
55<br />
corsa, ma alla stregua di un essere vagante e illogico, disponibile all’ozio e<br />
all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete<br />
l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili. Con i treni di lunga<br />
percorrenza vi sottoporrete al rischio di soste fuori programma e potrete<br />
anche arrivare un giorno più tardi del previsto, ma vedrete la vera India.<br />
Però, se avrete la fortuna di prendere il treno giusto, sarà puntualissimo e<br />
confortevole, avrete cibo eccellente e un servizio perfetto, e un biglietto di<br />
prima classe vi costerà meno della metà di un biglietto aereo. E poi non dimenticate<br />
che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili.<br />
Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto; e forse<br />
mi era anche capitata la fortuna del treno giusto. Avevo attraversato paesaggi<br />
di rara bellezza, o comunque indimenticabili per l’umanità che avevo<br />
visto; il vagone era di un conforto eccezionale, l’aria condizionata gradevole,<br />
il servizio impeccabile. Stava calando il crepuscolo e il treno attraversava<br />
un paesaggio di montagne rosse e scabre. Il servitore entrò con uno<br />
spuntino su un vassoio di legno laccato, mi porse una salvietta umida, mi<br />
versò il tè, mi informò con discrezione che ci trovavamo in mezzo all’India.<br />
Mentre mangiavo sistemò la mia cuccetta, specificò che il vagone ristorante<br />
restava aperto fino alla mezzanotte e che se desideravo cenare nel mio<br />
scompartimento bastava suonassi il campanello. Lo ringraziai con una piccola<br />
mancia e gli restituii il vassoio vuoto. Poi restai a fumare guardando dal<br />
finestrino quel panorama ignoto, pensando al mio strano itinerario. Andare<br />
a Madras a visitare la Società Teosofica 3 , per un agnostico 4 , e per di più fare<br />
due giorni di treno, era un’impresa che probabilmente sarebbe piaciuta agli<br />
strambi autori della mia stramba guida di viaggio. Ma la verità era che una<br />
persona della Società Teosofica mi avrebbe potuto fornire un’informazione<br />
alla quale tenevo moltissimo. Era una tenue speranza, forse un’illusione, e<br />
non volevo bruciarla nel breve spazio di un viaggio aereo: preferivo cullarla<br />
e assaporarla con un certo agio, come si ama fare con le speranze alle quali<br />
teniamo molto e che sappiamo hanno poche possibilità di realizzarsi.<br />
La frenata del treno mi strappò alle mie considerazioni, forse al mio torpore.<br />
Probabilmente mi ero appisolato per qualche minuto e il treno era già<br />
entrato in una stazione senza che potessi leggere il nome sul cartello. Avevo<br />
letto sulla guida che una delle fermate intermedie era Mangalore, o forse<br />
Bangalore, non ricordavo bene, ma ora non avevo voglia di mettermi nuovamente<br />
a sfogliare il libro per cercare l’itinerario della strada ferrata. Sotto<br />
la pensilina c’erano rari viaggiatori: indiani vestiti all’occidentale dall’aspetto<br />
di persone facoltose, un gruppo di donne, alcuni facchini affaccendati. Doveva<br />
essere una città importante e industrializzata. In lontananza, oltre i binari,<br />
si vedevano le ciminiere di una fabbrica, grandi edifici e viali alberati.<br />
L’uomo entrò mentre il treno si stava rimettendo in movimento. Mi salutò<br />
frettolosamente, verificò che il numero della cuccetta libera corrispondesse<br />
a quello del suo biglietto e dopo avere constatato che non c’erano errori mi<br />
chiese scusa dell’intrusione. Era un europeo di una grassezza flaccida, portava<br />
un completo blu abbastanza fuori luogo dato il clima e un cappello<br />
elegante. Come bagaglio aveva soltanto una valigetta ventiquattrore di<br />
43<br />
3. La teosofia afferma che<br />
tutte le religioni hanno<br />
un’unica origine e che<br />
nel corso della storia solo<br />
alcune persone<br />
a conoscenza di questa<br />
verità abbiano potuto<br />
rivelarla agli altri. I seguaci<br />
della teosofia<br />
appartengono a un<br />
movimento che chiede<br />
di raggiungere la verità<br />
religiosa solo attraverso<br />
un percorso graduale<br />
ed esclusivo, sotto la guida<br />
di maestri. Non tutti sono<br />
presupposti raggiungere gli<br />
stessi livelli di conoscenza<br />
e di approfondimento<br />
religioso.<br />
4. Posizione di chi ritiene<br />
di non sia possibile<br />
affermare o negare<br />
l’esistenza di Dio, in<br />
quanto non si possiedono<br />
elementi sufficienti alla<br />
soluzione del problema.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
44<br />
5. Si individua come<br />
dravidica la regione<br />
meridionale della penisola<br />
indiana.<br />
6. Il testo allude al fatto<br />
che l’agnello era un<br />
animale usato da molte<br />
religioni, soprattutto nel<br />
passato, nei sacrifici verso<br />
le divinità. Peter consiglia<br />
l’agnello perché ritiene che<br />
la cucina indiana usi dei<br />
procedimenti che<br />
assomigliano a quelli dei<br />
riti religiosi e dunque<br />
l’agnello sarebbe un piatto<br />
particolarmente conforme<br />
alle modalità della cucina<br />
indiana.<br />
7. Le civiltà dravidiche si<br />
attestarono nella valle del<br />
fiume Indo nel periodo<br />
compreso tra il III e il II<br />
millennio a.C., praticavano<br />
l’agricoltura, conoscevano<br />
l’uso della ceramica<br />
e la lavorazione dei metalli;<br />
la vita associata era<br />
organizzata in città. Dopo<br />
il II millennio a.C. gli arii,<br />
popolazione nomade di<br />
origine indoeuropea, resero<br />
le civiltà dravidiche loro<br />
sottomesse, inglobandole.<br />
8. Si tratta di sculture e<br />
templi monumentali nella<br />
roccia, compiuti sotto la<br />
dinastia Pallava (III-IX<br />
secolo), caratterizzati da<br />
un ricco ornato con<br />
elementi vegetali, animali,<br />
umani.<br />
9. Tempio costruito in<br />
granito sotto la dinastia<br />
Pallava, datato all’VIII<br />
secolo, dedicato alle<br />
divinità indu Shiva e Visnu.<br />
Dichiarato Patrimonio<br />
dell’Umanità dall’UNESCO,<br />
è uno dei maggiori esempi<br />
di arte e architettura<br />
indiana.<br />
10. Nel testo sacro della<br />
religione indiana, i Veda, si<br />
indica il Brahma come uno<br />
Spirito che attraversa tutto<br />
il cosmo e si definisce<br />
infinito ed eterno; per<br />
questo il racconto parla<br />
di ‘panteismo’, perché<br />
l’induismo intende tutto<br />
il mondo pervaso dallo<br />
Spirito di Brahma.<br />
11. Il testo probabilmente<br />
allude a una divinità in<br />
forma di aquila dalla testa<br />
bianca e dalle ali d’oro,<br />
che nei Veda è citata come<br />
60<br />
65<br />
70<br />
<strong>75</strong><br />
80<br />
85<br />
90<br />
cuoio nero. Si sedette al suo posto, trasse di tasca un fazzoletto candido e si<br />
pulì con cura gli occhiali da vista, sorridendo. Aveva un’aria affabile ma riservata,<br />
quasi compunta.<br />
– Anche lei va a Madras? – mi chiese senza aspettare la mia risposta – questo<br />
treno è molto puntuale, arriveremo domani mattina alle sette.<br />
Parlava un buon inglese con accento tedesco, ma non mi parve tedesco.<br />
Olandese, mi venne da pensare senza sapere perché, o forse svizzero. Aveva<br />
l’aria di un uomo d’affari, così a prima vista pareva sulla sessantina, ma<br />
forse era più vecchio.<br />
– Madras è la capitale dell’India dravidica 5 – aggiunse – se non c’è mai stato<br />
avrà cose straordinarie da vedere –. Parlava con la disinvoltura un po’ distaccata<br />
degli europei che conoscono l’India, e mi preparai a una conversazione<br />
basata sulle banalità. Decisi che era opportuno informarlo che potevamo<br />
cenare nel vagone ristorante, preferendo intercalare i prevedibili luoghi<br />
comuni dell’inevitabile dialogo con i necessari silenzi previsti da un<br />
pasto consumato civilmente.<br />
Mentre camminavamo nel corridoio mi presentai scusandomi per la distrazione<br />
di non averlo fatto prima.<br />
– Oh, le presentazioni sono diventate una formalità inutile, ormai – affermò<br />
con la sua aria affabile. Accennò un lieve inchino con la testa. – Mi<br />
chiamo Peter – concluse.<br />
A cena si dimostrò un esperto prezioso. Mi sconsigliò le cotolette vegetali<br />
sulle quali mi stavo orientando per pura curiosità, «perché i vegetali devono<br />
essere molto variati e lavorati» disse «ed è difficile che ciò possa verificarsi<br />
nelle cucine di un treno». Tentai timidamente altri cibi a caso, suscitando<br />
sempre la sua disapprovazione. Alla fine acconsentii al tandoori di<br />
agnello che egli aveva scelto per sé, «perché l’agnello è un cibo nobile e sacrificale,<br />
e gli indiani hanno il senso della ritualità del cibo 6 ».<br />
Parlammo molto delle civiltà dravidiche 7 , anzi, parlò quasi sempre lui,<br />
perché i miei interventi si limitavano alle domande tipiche dell’inesperto,<br />
a qualche timida obiezione, perlopiù al consenso incondizionato. Mi descrisse<br />
con dovizia di dettagli i rilievi rupestri di Kancheepuram 8 e l’architettura<br />
dello Shore Temple 9 , mi parlò di culti arcaici e ignoti, estranei<br />
al panteismo induista 10 , come quello delle aquile bianche 11 di Mahabalipuram<br />
12 ; del significato dei colori, dei riti funebri, delle caste 13 . Gli esposi<br />
con qualche esitazione quello che sapevo: le mie conoscenze della penetrazione<br />
europea sulle coste del Tamil 14 ; parlai della leggenda del martirio<br />
di san Tommaso a Madras 15 , del fallito tentativo dei portoghesi di fon-<br />
Garuda, un antico maestoso uccello che portava agli dei il<br />
nettare dal Cielo alla Terra.<br />
12. Anche a Mahabalipuram sono presenti templi<br />
monumentali costruiti sotto la dinastia Pallava, fra il VII e<br />
il IX secolo, dichiarati nel 1984 Patrimonio dell’Umanità<br />
dall’UNESCO.<br />
13. In India la società è divisa in gruppi sociali, o caste, che<br />
costituiscono una gerarchia rigida, per cui un individuo che<br />
fa parte di una casta non può entrare a fare parte di<br />
un’altra, specie se questa risulta di rango più elevato.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
14. Si fa riferimento all’arrivo degli occidentali nella<br />
regione del Tamil, situata nell’India sud orientale, a partire<br />
dal XVI secolo in avanti; si trattò dei Portoghesi,<br />
successivamente degli Olandesi e infine dei Britannici.<br />
15. La tradizione cristiana dell’India racconta che<br />
Tommaso, apostolo di Cristo, venne a diffondere il Vangelo<br />
in India e morì a Madras, martire. Nella cripta della chiesa<br />
si dice siano conservati resti delle sue ossa.
095<br />
100<br />
1<strong>05</strong><br />
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135<br />
dare un’altra Goa 16 su quelle coste, delle loro guerre con i reami locali,<br />
dei francesi di Pondicherry 17 . Egli completò le mie informazioni e corresse<br />
certe mie inesattezze sulle dinastie indigene citando nomi, date,<br />
luoghi e avvenimenti. Parlava con sicurezza e competenza, e la sua erudizione<br />
denotava una vastità di conoscenze che lo facevano supporre un<br />
esperto qualificato, forse un professore universitario o uno studioso illustre.<br />
Glielo chiesi in modo diretto, con una certa ingenuità, sicuro di una<br />
risposta affermativa. Egli sorrise non senza finta modestia e scosse il<br />
capo.<br />
– Solo un semplice amatore – disse – è una passione che il destino mi ha invitato<br />
a coltivare.<br />
La sua voce aveva una nota struggente, mi parve, come un rimpianto o una<br />
pena. I suoi occhi erano lustri, e il volto glabro pareva più pallido sotto la<br />
luce del vagone ristorante. Aveva mani delicate e i gesti stanchi. C’era una<br />
sorta di incompiutezza, nel suo aspetto, qualcosa di dimidiato 18 , ma era difficile<br />
dire che cosa: pensai a qualcosa di infermo e di nascosto, come una<br />
vergogna.<br />
Tornammo nel nostro scompartimento continuando a conversare, ma ora<br />
la sua verve si era affievolita e il nostro colloquio era intercalato da lunghi<br />
silenzi. Mentre ci disponevamo a prepararci per la notte, solo per dire qualcosa,<br />
senza una ragione specifica, gli chiesi perché viaggiasse in treno, piuttosto<br />
che in aereo. Pensavo che per una persona della sua età sarebbe stato<br />
più agevole e comodo usare l’aereo, invece di sottoporsi a un viaggio così<br />
lungo; e probabilmente mi aspettavo la confessione del timore di un simile<br />
mezzo di trasporto, come a volte accade a persone che non vi furono abituate<br />
nella giovinezza.<br />
Il signor Peter mi guardò perplesso, come se non ci avesse mai pensato.<br />
Poi si illuminò all’improvviso e disse:<br />
– Con l’aereo si fanno viaggi comodi e rapidi, ma si salta la vera India.<br />
Certo con i treni che fanno lunghi percorsi c’è il rischio di arrivare anche<br />
con un giorno di ritardo; ma se si ha la fortuna di indovinare il treno giusto<br />
si può fare un viaggio molto confortevole e arrivare con estrema puntualità.<br />
E poi sul treno c’è sempre il piacere di una conversazione che l’aereo non<br />
permette.<br />
Fu più forte di me e mormorai:<br />
– India, a travel survival kit.<br />
– Come? – disse lui.<br />
– Niente – risposi – mi era venuto in mente un libro –. E poi dissi con sicurezza:<br />
– Lei non è mai stato a Madras.<br />
Il signor Peter mi guardò con candore.<br />
– Per conoscere un luogo non è sempre necessario esserci stati – affermò.<br />
Si tolse la giacca e le scarpe, infilò la sua valigetta sotto il cuscino, tirò la<br />
tenda della sua cuccetta e mi augurò la buona notte.<br />
Avrei voluto dirgli che anche lui aveva una tenue speranza, e per questo<br />
aveva preso il treno: perché preferiva cullarla e assaporarla a lungo, invece<br />
di bruciarla nel breve spazio di un viaggio aereo, ne ero certo. Ma natural-<br />
45<br />
16. Si tratta di un piccolo<br />
stato fondato dai mercanti<br />
portoghesi sulla costa<br />
occidentale dell’India nel<br />
XVI secolo. Rimase sotto il<br />
dominio portoghese per<br />
450 anni fino al 1961,<br />
quando venne inglobato<br />
dall’India.<br />
17. Pondicherry è una città<br />
fondata dai francesi nel<br />
XVII secolo sulla costa sud<br />
orientale dell’India e<br />
rimasta in possesso della<br />
Francia fino al 1956.<br />
18. Dimezzato, diviso a<br />
metà.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
46<br />
19. Si tratta della lampada<br />
dalla luce azzurra che<br />
rimane accesa durante la<br />
notte negli scompartimenti<br />
ferroviari, senza disturbare<br />
il sonno dei viaggiatori. Dal<br />
francese veille, veglia.<br />
20. Come detto in<br />
precedenza, il Tamil Nadu<br />
è la regione sud orientale<br />
dell’India<br />
21. A. von Chamisso<br />
pubblicò nel 1814 la Storia<br />
straordinaria di Peter<br />
Schlemihl, in cui il<br />
protagonista viveva molte<br />
avventure originate<br />
dall’aver barattato con il<br />
demonio la sua ombra per<br />
un sacco dal quale<br />
sarebbero uscite<br />
continuamente monete<br />
d’oro.<br />
22. Il racconto di Peter fa<br />
riferimento al fatto che<br />
molti degli ebrei<br />
perseguitati dai nazisti nel<br />
corso della seconda guerra<br />
mondiale rientrarono in<br />
speciali programmi di<br />
studio nel campo della<br />
ricerca medica, come cavie<br />
umane.<br />
140<br />
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1<strong>75</strong><br />
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mente non dissi niente, spensi la luce centrale, lasciai la veilleuse azzurra 19 ,<br />
tirai la mia tenda e gli augurai la buona notte.<br />
* * *<br />
Ci svegliò il fastidio della luce accesa all’improvviso e una voce che chiedeva<br />
qualcosa. Dal finestrino si vedeva una baracca di tavole rischiarata da<br />
una luce fioca, con un cartello incomprensibile. Il controllore era accom<strong>pag</strong>nato<br />
da un poliziotto molto scuro dall’aria sospettosa.<br />
– Stiamo entrando nel paese Tamil Nadu 20 – disse il controllore con un sorriso<br />
– è una pura formalità –. Il poliziotto tese la mano e disse:<br />
– Documenti, prego.<br />
Guardò il mio passaporto con aria distratta e lo richiuse subito. Sul documento<br />
del signor Peter si trattenne con maggiore attenzione. Mentre lo<br />
esaminava mi accorsi che era un passaporto israeliano.<br />
– Mister... Shi… mail? – sillabò faticosamente il poliziotto.<br />
– Schlemihl – corresse il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio – Peter Schlemihl.<br />
Il poliziotto ci restituì i documenti, spense la luce e si accomiatò freddamente.<br />
Il treno aveva ripreso a correre attraverso la notte indiana, la luce<br />
della lampada azzurra creava un’atmosfera di sogno, restammo a lungo in<br />
silenzio, poi alla fine io parlai.<br />
– Lei non può avere questo nome – dissi – esiste un solo Peter Schlemihl,<br />
è un’invenzione di Chamisso 21 , e lei lo sa perfettamente. Una cosa del genere<br />
va bene per un poliziotto indiano.<br />
Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio non rispose. Poi mi chiese:<br />
– Le piace Thomas Mann?<br />
– Non tutto – risposi.<br />
– Che cosa?<br />
– I racconti, alcuni romanzi brevi, Tonio Kröger, Morte a Venezia.<br />
– Non so se conosce una prefazione al Peter Schlemihl – disse lui – è un<br />
testo ammirevole.<br />
Il silenzio cadde di nuovo. Pensai che il mio com<strong>pag</strong>no si fosse addormentato,<br />
ma non poteva essere, certo. Aspettava solo che parlassi io, e io parlai.<br />
– Che cosa va a fare a Madras?<br />
Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio non rispose subito. Tossì leggermente.<br />
– Vado a vedere una statua – sussurrò.<br />
– È un lungo viaggio, per vedere una statua.<br />
Il mio com<strong>pag</strong>no non rispose. Si soffiò il naso a più riprese.<br />
– Voglio raccontarle una piccola storia – disse poi – ho voglia di raccontarle<br />
una piccola storia –. Parlava sommessamente e la sua voce mi giungeva<br />
attutita da dietro la tenda. – Molti anni fa, in Germania, conobbi un<br />
uomo. Era un medico, e doveva visitarmi. Stava seduto dietro una scrivania<br />
e io stavo in piedi nudo davanti a lui. Dietro di me c’era una fila di<br />
altri uomini nudi che egli doveva visitare. Quando ci avevano condotti in<br />
quel luogo ci avevano detto che noi servivamo al progresso della scienza<br />
tedesca 22 . Accanto al medico c’erano due guardie armate e un infermiere<br />
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225<br />
che riempiva delle schede. Egli ci poneva delle domande precise concernenti<br />
le nostre funzioni virili, l’infermiere procedeva a certe analisi sui nostri<br />
corpi, e poi scriveva. La fila procedeva svelta, perché quel medico<br />
aveva fretta. Quando avevo già superato il mio turno, invece di proseguire<br />
verso la stanza in cui ci conducevano, indugiai qualche attimo, perché il<br />
mio sguardo fu attratto da una statuetta che il medico teneva sulla scrivania.<br />
Era la riproduzione di una divinità orientale, ma io non l’avevo mai<br />
vista. Rappresentava una figura danzante, con le braccia e le gambe in posizioni<br />
armoniche e divergenti iscritte in un circolo. C’erano solo pochi<br />
spazi aperti in quel circolo, piccoli vuoti che aspettavano di essere chiusi<br />
dall’immaginazione di chi lo guardava. Il medico si accorse del mio rapimento<br />
e sorrise. Aveva una bocca sottile e beffarda. – Questa statua rappresenta<br />
il circolo vitale – disse – nel quale tutte le scorie devono entrare<br />
per raggiungere la forma superiore della vita che è la bellezza. Le auguro<br />
che nel ciclo biologico previsto dalla filosofia che concepì questa statua lei<br />
possa avere, in un’altra vita, un gradino superiore a quello che le è toccato<br />
nella sua vita attuale 23 .<br />
Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio tacque. Nonostante il rumore del treno potevo<br />
avvertire perfettamente la sua respirazione pausata e profonda.<br />
– Vada avanti, la prego – dissi.<br />
– Non c’è molto da aggiungere – disse lui – quella statua era l’immagine di<br />
Shiva danzante, ma io allora non lo sapevo. Come vede non sono ancora<br />
entrato nel circolo del riciclaggio vitale 24 , e la mia interpretazione di quella<br />
figura è un’altra. Ci ho pensato ogni giorno, è l’unica cosa a cui ho pensato<br />
in tutti questi anni.<br />
– Quanti anni sono passati?<br />
– Quaranta.<br />
– Si può pensare a una sola cosa per quarant’anni?<br />
– Credo di sì, se si è provata su di noi la turpitudine.<br />
– E quale è la sua interpretazione di quella figura?<br />
– Credo che essa non rappresenti affatto il circolo vitale. Rappresenta semplicemente<br />
la danza della vita.<br />
– In che cosa consiste la differenza? – chiesi io.<br />
– Oh, è molto diverso – sussurrò il signor Peter. – La vita è un cerchio. C’è<br />
un giorno in cui il cerchio si chiude, e noi non sappiamo quale –. Si soffiò<br />
di nuovo il naso e poi disse: – E ora mi scusi, sono stanco, se permette vorrei<br />
cercare di dormire.<br />
* * *<br />
Mi svegliai nei dintorni di Madras. Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio era già rasato<br />
e pronto nel suo impeccabile vestito blu. Aveva un’aria riposata e sorridente,<br />
aveva rialzato la sua cuccetta e mi indicava il vassoio della colazione<br />
posato sul tavolo accanto al finestrino.<br />
– Ho aspettato che si svegliasse per prendere il tè insieme – disse. – Non ho<br />
voluto disturbarla, dormiva così bene.<br />
47<br />
23. Come poco oltre il<br />
racconto chiarirà, si tratta<br />
della statua di Shiva, una<br />
delle tre divinità maggiori<br />
indu. Il discorso fatto dal<br />
medico spiega un concetto<br />
proprio della religione<br />
induista secondo la quale<br />
ogni forma di vita, anche<br />
quelle che appaiono più<br />
basse, assumeranno<br />
attraverso un ciclo<br />
successivo di<br />
reincarnazioni una forma<br />
più alta e perfetta.<br />
Sottintesa è la teoria<br />
propria del nazismo<br />
secondo cui solo la razza<br />
ariana era superiore,<br />
mentre quella semitica,<br />
ovvero quella ebrea, era<br />
inferiore e imperfetta. Nelle<br />
parole del medico si<br />
fondono perciò la teoria<br />
nazista con quella della<br />
religione indu.<br />
24. Ovvero non è ancora<br />
morto; solo attraverso la<br />
morte, secondo la religione<br />
induista, si entra nel ciclo<br />
delle reincarnazioni.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
48<br />
25. American Express è<br />
una società nata in<br />
America nel 1850,<br />
specializzata in servizi<br />
finanziari e di viaggio. Nelle<br />
sue sedi sparse in tutto il<br />
mondo, è possibile fare<br />
operazioni finanziarie di<br />
cambio e di credito,<br />
usufruire di una sorta di<br />
fermo posta per recapitare<br />
messaggi personali,<br />
comunicare attraverso il<br />
telefono.<br />
26. Cfr. nota 8.<br />
27. Il Kerala è uno stato<br />
che occupa una lunga e<br />
stretta striscia di terra<br />
costiera nella zona sud<br />
occidentale dell’India; per<br />
Goa cfr. nota 16.<br />
230<br />
235<br />
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245<br />
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255<br />
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265<br />
Entrai nello stanzino del lavabo e feci rapidamente la toeletta mattutina,<br />
raccolsi le mie cose, sistemai il mio bagaglio e mi sedetti davanti alla colazione.<br />
Cominciavamo a percorrere un luogo abitato, una zona di villaggi<br />
popolosi con le prime avvisaglie di città.<br />
– Come vede siamo in perfetto orario – disse il mio com<strong>pag</strong>no – sono le<br />
sette meno un quarto –. Piegò con cura il suo tovagliolo. – Mi piacerebbe<br />
che anche lei andasse a vedere quella statua – aggiunse – si trova<br />
nel museo di Madras. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa –. Si alzò in<br />
piedi e prese la sua valigetta. Mi tese la mano e mi salutò col suo tono affabile.<br />
– Sono grato alla mia guida di viaggio che consigliava questo<br />
mezzo di trasporto – disse, – è vero che sui treni indiani si possono fare<br />
gli incontri più inattesi: la sua com<strong>pag</strong>nia è stata per me un piacere e un<br />
conforto.<br />
– È un piacere reciproco – replicai – sono io che sono grato ai consigli della<br />
mia guida.<br />
Stavamo entrando nella stazione, davanti a un marciapiede brulicante di<br />
folla. Il treno azionò i freni e il convoglio si fermò dolcemente. Gli cedetti<br />
il passo ed egli scese per primo, facendomi un cenno di saluto con la mano.<br />
Mentre si allontanava lo chiamai e lui si voltò.<br />
– Non so dove potrei eventualmente comunicarle la mia opinione – gridai<br />
– non ho il suo indirizzo.<br />
Lui tornò sui suoi passi, con quell’aria perplessa che già gli conoscevo, e rifletté<br />
un istante.<br />
– Mi lasci un messaggio all’American Express 25 – disse – passerò a raccoglierlo.<br />
Poi ciascuno di noi si perse tra la folla.<br />
* * *<br />
A Madras restai solo tre giorni. Furono giorni intensi, quasi febbrili. Madras<br />
è una città enorme di case basse e di immensi spazi incolti, ingorgata<br />
da un traffico di biciclette, di autobus sconnessi e di animali; per percorrerla<br />
da una punta all’altra ci vuole molto tempo. Assolti gli obblighi che<br />
mi aspettavano mi restò un solo giorno di libertà, e al museo preferii una<br />
visita ai rilievi rupestri di Kancheepuram 26 , che distano molti chilometri<br />
dalla città. La mia guida, anche in quell’occasione, si rivelò una preziosa<br />
com<strong>pag</strong>nia.<br />
La mattina del quarto giorno mi trovavo in una stazione degli autobus che<br />
fanno il percorso per il Kerala e per Goa 27 . Mancava un’ora alla partenza,<br />
faceva un caldo torrido e le pensiline dell’enorme hangar della stazione<br />
erano l’unico rifugio contro la calura delle strade. Per ingannare l’attesa<br />
comprai il giornale in lingua inglese di Madras. Era un giornale di appena<br />
quattro fogli, dall’aspetto di giornale di parrocchia, con molti annunci di<br />
ogni specie, riassunti di film popolari, cronaca cittadina. In prima <strong>pag</strong>ina,<br />
con molto rilievo, c’era la notizia di un omicidio avvenuto il giorno precedente.<br />
La vittima era un cittadino di nazionalità argentina che viveva a Ma-<br />
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270<br />
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300<br />
dras dal 1958. Era descritto come un signore schivo e discreto, senza amicizie,<br />
settantenne, che viveva in una villetta nel quartiere residenziale di<br />
Adyar. La moglie era deceduta tre anni prima per cause naturali. Non avevano<br />
figli.<br />
Era stato ucciso con un colpo di pistola al cuore. Era un omicidio apparentemente<br />
inspiegabile, perché l’assassino non aveva agito a scopo di furto.<br />
La casa risultava in ordine, senza tracce di scassi. L’articolo descriveva<br />
l’abitazione come una residenza semplice e sobria, con alcuni pezzi<br />
d’arte di buon gusto e un piccolo giardino. Pareva che la vittima fosse un<br />
intenditore di arte dravidica; il giornale menzionava alcuni servigi resi<br />
nella catalogazione del locale museo e riportava la fotografia di uno sconosciuto:<br />
il viso di un vecchio calvo, con gli occhi chiari e la bocca sottile.<br />
Era una descrizione neutra e anodina 28 . L’unico particolare curioso era la<br />
fotografia di una statuetta abbinata al volto della vittima. Si trattava certo di<br />
un abbinamento plausibile, perché la vittima era un intenditore di arte dravidica<br />
e la danza di Shiva è il pezzo più noto del museo di Madras, una specie<br />
di simbolo. Ma quell’accostamento plausibile suscitò in me un altro accostamento.<br />
Mancavano ancora venti minuti alla partenza, cercai un<br />
telefono e feci il numero dell’American Express. Mi rispose una signorina<br />
gentile.<br />
– Vorrei lasciare un messaggio per il signor Schlemihl – dissi.<br />
La signorina mi pregò di attendere un attimo e poi disse:<br />
– Per il momento non abbiamo nessuna persona con un recapito a questo<br />
nome, ma se lo desidera può lasciare ugualmente il suo messaggio, gli sarà<br />
consegnato appena passerà.<br />
– Pronto, pronto – ripeté la telefonista che non sentiva più la mia voce. –<br />
Un attimo, signorina – dissi – mi lasci riflettere un attimo.<br />
Che cosa potevo dire? Pensai al ridicolo del mio messaggio. Forse che<br />
avevo capito? E che cosa? Che per qualcuno il cerchio si era chiuso?<br />
– Non ha importanza – dissi – ho cambiato idea –. E riattaccai.<br />
Non escludo che la mia immaginazione abbia lavorato più del consentito.<br />
Ma se avessi indovinato quale era l’ombra che il signor Schlemihl aveva<br />
perduto; e se mai gli capitasse di leggere questo racconto, per lo stesso<br />
strano caso che ci fece incontrare quella sera in treno, vorrei che gli giungesse<br />
il mio saluto. E la mia pena.<br />
Treni che vanno a Madras, in Piccoli equivoci senza importanza, Feltrinelli, Milano 1985<br />
49<br />
28. Insignificante.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
50<br />
STRUMENTI DI LETTURA<br />
La storia<br />
La vicenda esprime in modo esemplare il<br />
concetto, tipico di Tabucchi, dalla vita come rebus.<br />
Attraverso quali misteriosi passaggi, infatti, si può<br />
collegare un incontro casuale durante un viaggio in<br />
treno nella remota India all’angoscia dei campi di<br />
sterminio nazisti nell’Europa sconvolta dall’ultima<br />
guerra mondiale? E poi, questo collegamento esiste<br />
davvero, oppure è soltanto frutto dell’interpretazione<br />
del protagonista del racconto? E il cerchio, alla<br />
fine, si chiude davvero? e per chi? Il finale rimane<br />
aperto, e il rebus irrisolto.<br />
I personaggi<br />
Il protagonista-narratore definisce il suo<br />
viaggio «perfettamente incongruo» e descrive se<br />
stesso come «un essere vagante e illogico». Si presenta<br />
dunque come un personaggio che non ama<br />
rispettare le regole e stare in schemi predefiniti.<br />
Per esempio, si dice agnostico, ma si sobbarca due<br />
giorni di treno per andare a Madras a visitare la<br />
Società Teosofica; viaggia in treno e non in aereo<br />
– cosa che gli farebbe risparmiare tempo – perché<br />
vuole vedere «la vera India» e non quella dei circuiti<br />
turistici predefiniti. Durante il suo percorso,<br />
in modo del tutto inatteso, entra in contatto con<br />
un misterioso viaggiatore che si presenta con il<br />
nome fittizio di un personaggio letterario – Peter<br />
Schlemihl, l’uomo che in un racconto di Adalbert<br />
von Chamisso vende la sua ombra al diavolo – e<br />
talora si esprime con le identiche parole del libro<br />
che il narratore usa come guida turistica. Anche il<br />
passeggero appare, a suo modo, non meno «illogico»<br />
del narratore: provvisto di un bagaglio minimo,<br />
vestito in modo incongruo rispetto al clima<br />
indiano, affabile ma riservato, è di età e di nazionalità<br />
indefinibili. Viaggia però con passaporto<br />
israeliano.<br />
Il tempo<br />
ll tempo del viaggio in treno diventa un<br />
viaggio nel tempo e anche un viaggio all’interno dell’enigma<br />
rappresentato dall’uomo che ha il nome di<br />
un personaggio letterario. Dunque, anche il lettore<br />
deve andare indietro nel tempo, è invitato a stornare<br />
la propria attenzione dal “presente” di questo racconto,<br />
quello di Tabucchi, al “passato” di un altro<br />
racconto, quello di Chamisso, alla ricerca di un possibile<br />
scioglimento del rebus circa l’identità del misterioso<br />
viaggiatore. Non si tratta solamente, però,<br />
di rimandi letterari: c’è anche il tempo della Storia,<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
quella presente che si intreccia con quella passata,<br />
che ritorna, incancellabile, quella della guerra e dei<br />
campi di sterminio.<br />
Lo spazio<br />
L’immensità caotica dell’India, i suoi grovigli<br />
di strade, di gente, di traffico, di case, di vegetazione,<br />
apre e chiude il racconto. Tra lo spazio aperto<br />
e illimitato dell’India dell’incipit e della chiusa, c’è lo<br />
spazio limitato del treno, l’angusto scompartimento<br />
dove, poco alla volta, fra allusioni, reticenze, ambiguità<br />
si costruisce il rebus dettato dal viaggiatore misterioso.<br />
Il narratore<br />
Le perplessità del narratore diventano le<br />
stesse del lettore: sperduto tra le varie interpretazioni<br />
possibili, si sente intrappolato come tra le figure di<br />
un insolubile rebus illustrato. Né il narratore, né il<br />
lettore riescono perciò a dare un ordine all’universo,<br />
destabilizzando qualsiasi tipo di certezza e costringendosi<br />
a riflettere su un mondo dai molteplici significati.<br />
Le tecniche narrative<br />
Seppure con finalità del tutto particolari,<br />
l’andamento narrativo del racconto potrebbe essere<br />
paragonato a quello di un giallo (del resto, nella storia<br />
non manca il classico delitto). Tabucchi, infatti,<br />
procede accumulando indizi, dettagli inquietanti, allusioni<br />
misteriose, anche se nella sua opera l’infittirsi<br />
del mistero non culmina nella soluzione finale e<br />
la tensione non si scioglie in una liberatoria “spiegazione”.<br />
Al contrario, il mistero rimane tale, non<br />
solo, ma in conclusione diventa ancora più inquietante<br />
perché sentiamo che il «cerchio» non si è<br />
chiuso, e la realtà rimane alla fine sostanzialmente<br />
indecifrabile.<br />
La lingua e lo stile<br />
La scrittura di Tabucchi è semplice e al<br />
tempo stesso raffinata, intensa e coinvolgente ma<br />
sempre venata d’ironia. Evoca vividamente ambienti,<br />
personaggi e situazioni, eppure rimane<br />
ben lontana da qualsiasi tipo di realismo. Il suo<br />
stile ha un andamento apparentemente lineare,<br />
ma da esso scaturisce alla fine un mondo complesso<br />
e quasi indecifrabile, cosicché la fedeltà al<br />
dato reale sfuma continuamente in una dimensione<br />
di sogno.
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
51<br />
DOMANDE DI VERIFICA<br />
Alle righe 11-18 e 122-127 si trovano due passi quasi identici. In base ai contenuti del racconto,<br />
sapresti spiegare che cosa comprende il protagonista a proposito del suo interlocutore Peter attraverso<br />
le parole che questi ripete dalla guida di viaggio?<br />
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Il nome Peter Schlemihl scritto sul passaporto del viaggiatore risulta essere:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Un nome israeliano, come la nazionalità del suo possessore<br />
Un falso, derivato da un racconto di Thomas Mann<br />
Il nome del protagonista di un romanzo di Chamisso<br />
Il nome di un medico tedesco<br />
L’ambientazione della prima parte del racconto si trova:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Nell’India meridionale<br />
In un treno di lunga percorrenza con destinazione Madras<br />
Nella città di Bombay<br />
Tra Goa e Pondicherry<br />
“E quale è la sua interpretazione di quella figura?”.<br />
“Credo che essa non rappresenti affatto il circolo vitale. Rappresenta semplicemente la danza<br />
della vita”.<br />
“In che cosa consiste la differenza? – chiesi io”.<br />
“Oh, è molto diverso – sussurrò il signor Peter. – La vita è un cerchio. C’è un giorno in cui il cerchio<br />
si chiude, e noi non sappiamo quale”.<br />
Sulla base dei contenuti del racconto e anche del suo finale, quale interpretazione pensi si<br />
possa dare a questa precisazione di Peter sul significato della statua di Shiva come cerchio e<br />
non come circolo vitale?<br />
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52<br />
5<br />
6<br />
7<br />
Che cosa significa nella parte finale del racconto l’espressione “se avessi indovinato quale era<br />
l’ombra che il signor Schlemihl aveva perduto [...] vorrei che gli giungesse il mio saluto. E la mia<br />
pena”.<br />
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Sapendo che l’agnello nella religione ebraica e cristiana è un animale che rappresenta la vittima<br />
sacrificata per riparare al male che esiste nel mondo, sapresti interpretare la scelta di Peter di<br />
prendere per cena l’agnello e di consigliarlo al suo com<strong>pag</strong>no di viaggio “perché è un cibo nobile<br />
sacrificale”?<br />
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Considera come possibile l’interpretazione che nel finale propone il protagonista-narratore secondo<br />
cui Peter avrebbe compiuto un lungo viaggio per arrivare, dopo quarant’anni, a commettere<br />
l’omicidio del medico nazista del campo a cui era stato assegnato. Per quali motivi secondo<br />
te il protagonista dice di provare “pena”?<br />
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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
5<br />
anno 1970<br />
luogo<br />
Polonia<br />
genere<br />
racconto<br />
realistico<br />
Isaac Bashevis Singer<br />
Il figlio<br />
1. Il testo fa riferimento agli ebrei che si sono conformati<br />
alle abitudini di vita dei popoli lontani dalla Palestina<br />
presso cui si sono stabiliti per via della diaspora.<br />
2. Il rabbino, all’interno delle comunità di religione ebraica,<br />
è colui che, dopo avere studiato i testi sacri e le loro<br />
maggiori interpretazioni, è in grado di insegnare e<br />
commentare i libri biblici e di decidere sui problemi della<br />
vita quotidiana sulla base dei principi religiosi. Portano<br />
normalmente una lunga barba e l’abito nero.<br />
53<br />
Presentazione dell’opera<br />
La narrativa di Singer, costantemente fedele a certi temi e atteggiamenti, è sostanzialmente divisa in due filoni, che potremmo definire<br />
rispettivamente magico-folklorico e realistico. Nel primo, che si esprime in alcuni romanzi brevi e in numerosi racconti ambientati<br />
nei villaggi della vecchia Polonia rurale, compaiono ogni sorta di demonietti o demoni maggiori, streghe vecchie o giovani<br />
e belle, amanti diabolici. In alcuni racconti scritti negli Stati Uniti viene introdotto anche il tema del «magico» contemporaneo, legato<br />
a fenomeni di telepatia e stati di allucinazione (Singer dichiarava di essere particolarmente attento a tutte le forme di conoscenza<br />
non razionale). Nei romanzi e racconti di carattere realistico, spesso di evidente impronta autobiografica, Singer dà corpo<br />
a una narrativa attenta alle dinamiche storiche e sociali. Nei racconti di ambiente americano, come Il figlio, lo scrittore pone particolare<br />
attenzione al mondo interiore dei personaggi, mettendone in luce travagli e debolezze. Centrale è il tema dell’identità, dello<br />
scontro tra un sistema di valori tradizionali e l’inesorabile processo di assimilazione dell’ebraismo alla cultura dominante.<br />
Isaac Bashevis Singer<br />
Scrittore polacco naturalizzato statunitense, nacque a Radzymin, presso Varsavia,<br />
nel 1904. Sin dalla prima infanzia visse in un ambiente di profonda cultura<br />
religiosa. Figlio e nipote di rabbini, studiò alla scuola rabbinica (yeshivah) di<br />
Varsavia e quell’ambiente osservante e bizzarro, domestico e sacrale, costituì<br />
una ricca fonte di spunti per la sua narrativa, in un inesauribile teatro di casi<br />
umani, personaggi curiosi, situazioni comiche o patetiche. Esordì con il romanzo<br />
storico Satana a Goray (1935) e nello stesso anno, prevenendo l’invasione tedesca<br />
della Polonia, emigrò a New York. Nonostante le sue opere si conoscano<br />
nella versione inglese, in parte tradotte da lui stesso (considerava queste traduzioni<br />
come un «secondo originale»), in parte da letterati americani come Saul<br />
Bellow, Singer compose sempre in yiddish (cfr. nota 17 nel racconto), da lui definita «la saggia e umile lingua<br />
di noi tutti, l’idioma di un’umanità spaventata e piena di speranza». Il primo romanzo pubblicato in inglese<br />
fu La famiglia Moskat (1950), cui seguirono, tra gli altri, La fortezza (1957), Il mago di Lublino (1960),<br />
Lo schiavo (1962), La proprietà (1969). Molte sono le raccolte dei suoi racconti, ad esempio Gimpel l’idiota<br />
(1957), Breve venerdì (1964), Un amico di Kafka (1970), Una corona di piume (1973), La morte di Methuselah<br />
e altre storie (1988). La trilogia autobiografica Un ragazzo in cerca di Dio (1976), Un giovane in cerca<br />
di amore (1978) e Perduto in America (1981) ripercorre in particolare le tappe della sua evoluzione spirituale.<br />
Tra i racconti e i romanzi autobiografici ricordiamo ancora Alla corte di mio padre (1966), Ricerca e<br />
perdizione (1984), mentre tra le raccolte di storie per l’infanzia, che attingono al patrimonio popolare della<br />
terra d’origine, vi sono Zlateh la capra (1966), Un giorno di felicità (1976), Quando Schlemiel andò a Varsavia<br />
(1978). Fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1978. Morì a Miami nel 1991.<br />
a nave proveniente da Israele doveva arrivare a mezzogiorno, ma era<br />
in ritardo. Si fece sera prima che attraccasse a New York; poi dovetti<br />
attendere ancora prima che si lasciassero sbarcare i passeggeri.<br />
Il tempo era caldo e piovoso. Una folla era venuta ad attendere l’arrivo<br />
della nave. Mi parve che tutti gli ebrei della città fossero lì: ebrei assimilati<br />
1 , e anche rabbini con lunghe barbe e basette2 L<br />
; ragazze con un nu-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
54<br />
3. Durante la seconda<br />
guerra mondiale gli ebrei<br />
che vennero internati nei<br />
campi di concentramento<br />
vennero marchiati con un<br />
numero sul braccio, unico<br />
segno della loro identità.<br />
4. Le organizzazioni<br />
sioniste nacquero alla fine<br />
del XIX secolo tra gli ebrei<br />
residenti in Europa per<br />
istituire uno stato ebraico<br />
in terra d’Israele.<br />
Soprattutto in seguito<br />
all’antisemitismo del ’900<br />
le organizzazioni sioniste si<br />
occuparono anche di<br />
raccogliere informazioni e<br />
materiali giudiziari per<br />
agire legalmente contro i<br />
loro persecutori.<br />
5. La yeshivah è una scuola<br />
presso cui si impara lo<br />
studio dei testi sacri<br />
dell’ebraismo (Torah), è<br />
diretta da un rabbino e si<br />
divide in piccola (in cui si<br />
fornisce un’istruzione di<br />
base) e grande (in cui si<br />
approfondiscono gli studi a<br />
livello universitario).<br />
6. Tiro e Sidone erano città<br />
fenicie, situate sulla costa<br />
a nord della Palestina. Il<br />
protagonista allude qui<br />
all’epoca antica, in cui i<br />
commerci via nave<br />
portavano alle città di<br />
scambio più vicine e non<br />
oltreoceano, in America,<br />
per via della diaspora e<br />
delle persecuzioni.<br />
7. Nietzsche, filosofo<br />
vissuto tra la fine dell’800<br />
e l’inizio del ’900 parlò di<br />
‘eterno ritorno’, teoria<br />
secondo la quale nella<br />
Storia e nella vita di<br />
ognuno le cose che<br />
accadono non sono<br />
infinite, ma anzi possono<br />
ripresentarsi in modo tale<br />
che eventi già vissuti<br />
possono ritornare infinite<br />
volte nel futuro.<br />
8. Il protagonista pone a<br />
confronto i tranquilli ebrei<br />
d’America con quelli che<br />
pochi anni prima, in<br />
Europa, erano stati<br />
vittima delle persecuzioni<br />
naziste.<br />
9. Si fa riferimento alla<br />
kippah, un piccolo cappello<br />
a forma di zuccotto che<br />
tutti gli uomini di religione<br />
ebraica portano sul capo.<br />
10. I gentili secondo la<br />
10<br />
15<br />
20<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
mero impresso sul braccio nei campi di sterminio hitleriani 3 ; ufficiali di organizzazioni<br />
sioniste 4 con cartelle rigonfie; studenti yeshivah 5 con il cappello<br />
di velluto e la barba incolta; donne di mondo con il volto imbellettato<br />
e le unghie laccate. Mi resi conto che ero di fronte a un’epoca nuova della<br />
storia ebraica. Quando mai gli ebrei avevano avuto navi? E se le avevano<br />
avute, le loro navi si erano dirette a Tiro e a Sidone 6 , non a New York. Pur<br />
ammettendo per vera la folle teoria di Nietzsche sull’eterno ritorno 7 , erano<br />
dovuti passare quattro-cinque millenni prima che accadesse nel presente<br />
un minimo degli eventi accaduti prima. Ma quell’attesa mi infastidiva. Misuravo<br />
ogni persona con gli occhi e ogni volta mi facevo la stessa domanda:<br />
che cosa rende costui mio fratello? Che cosa rende costei mia sorella? Le<br />
donne di New York agitavano i ventagli, parlavano tutte insieme con voci<br />
roche, si ristoravano con cioccolata e coca-cola. Lo sguardo che si sprigionava<br />
dai loro occhi era di una durezza non ebrea. Era difficile credere che<br />
appena pochi anni prima i loro fratelli e le loro sorelle d’Europa erano andati<br />
al macello come pecore miti 8 . Giovani ortodossi moderni, con minuscoli<br />
zucchetti 9 nascosti come cerotti nei capelli folti, parlavano ad alta voce<br />
in inglese e scherzavano con le ragazze, che nel contegno e nelle vesti non<br />
mostravano alcun segno della loro religione. Persino i rabbini qui erano<br />
diversi, ben diversi da mio padre e da mio nonno. A me, tutta quella gente<br />
pareva mondana e scaltra. Quasi tutti, eccetto me, si erano procurati il permesso<br />
di salire sulla nave. E facevano conoscenza fra loro con insolita rapidità,<br />
si scambiavano informazioni, scotevano il capo con l’aria di chi la sa<br />
lunga. Incominciarono a sbarcare gli ufficiali della nave, rigidi nelle loro<br />
uniformi con le spalline e i bottoni dorati. Parlavano in ebraico, ma avevano<br />
l’accento dei gentili 10 .<br />
Rimasi fermo ad attendere un figlio che non vedevo da vent’anni. Aveva<br />
cinque anni quando mi ero separato da sua madre. Io ero venuto in America,<br />
lei era andata nella Russia sovietica. Ma evidentemente una rivoluzione<br />
11 , a lei, non era bastata. Voleva la rivoluzione permanente. E, a<br />
Mosca, l’avrebbero liquidata, se non avesse avuto dalla sua chi poteva essere<br />
ascoltato in alto loco. Le sue vecchie zie bolsceviche 12 , reduci dalle prigioni<br />
polacche per attività comunista, avevano interceduto per lei, e se l’era<br />
cavata con la deportazione 13 in Turchia, con il suo bimbo. Di là aveva trovato<br />
il modo di raggiungere la Palestina, e vi aveva allevato nostro figlio in<br />
un kibbutz 14 . Ora egli veniva a trovarmi.<br />
religione ebraica sono tutti coloro che non appartengono<br />
al popolo eletto, ovvero i non ebrei.<br />
11. Si fa riferimento al movimento rivoluzionario che portò<br />
la Russia nel 1917 al rovesciamento della monarchia<br />
zarista e all’instaurazione del primo Soviet.<br />
12. I bolscevichi ritenevano che in Russia proletari e<br />
contadini dovessero guidare la rivoluzione, concordando<br />
con le tesi di Lenin. Dalla rivoluzione del 1917 si dicono<br />
bolscevichi tutti colori che, in tutto il mondo e non solo in<br />
Russia, concordavano con le tesi del socialismo. Il testo fa<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
riferimento ad alcune zie della moglie del protagonista<br />
imprigionate in Polonia proprio per avere aderito alle tesi<br />
dei bolscevichi.<br />
13. Si tratta del forzato allontanamento dalla terra in cui si<br />
vive per essere trasferiti in un luogo lontano, senza le<br />
stesse condizioni economiche, sociali e civili.<br />
14. Il kibbutz è un’associazione volontaria di lavoratori<br />
nello stato d’Israele, basata sul possesso comune della<br />
terra e sull’uguaglianza sociale e civile.
45<br />
50<br />
55<br />
60<br />
65<br />
70<br />
<strong>75</strong><br />
80<br />
85<br />
Mi aveva mandato una fotografia fatta al tempo in cui aveva servito l’esercito<br />
e combattuto gli arabi 15 . Ma era sfocata, e per di più lo ritraeva in uniforme.<br />
Ora, mentre i primi passeggeri cominciavano a sbarcare, mi venne<br />
in mente che non avevo un’immagine chiara dell’aspetto di mio figlio. Era<br />
alto? Basso? I suoi capelli biondi erano diventati scuri con gli anni? L’arrivo<br />
di quel figlio in America mi riportava indietro in un’epoca che avevo considerato<br />
già relegata nell’eternità. Egli emergeva dal passato come un fantasma.<br />
Non si inseriva nella mia attuale vita privata, né fuori avrebbe legato<br />
con le mie conoscenze. In casa non avevo una stanza per lui, non un<br />
letto, né denaro, né tempo. Come quella nave che batteva bandiera bianca<br />
e blu con la stella di Davide 16 , egli costituiva una strana combinazione del<br />
passato e del presente. Mi aveva scritto che di tutte le lingue da lui parlate<br />
nell’infanzia, l’yiddisch 17 , il polacco, il russo, il turco, ora parlava soltanto<br />
l’ebraico. Così sapevo in anticipo che, con quel poco di ebraico che avevo<br />
appreso dal Talmud e dal Pentateuco, non mi sarebbe stato possibile conversare<br />
con lui. Invece di parlare da padre a mio figlio, avrei farfugliato e<br />
avrei dovuto cercare le parole nei vocabolari.<br />
Le spinte e il chiasso aumentavano. La banchina era in tumulto. Tutti urlavano<br />
e si lanciavano in avanti con la gioia esagerata della gente che ha perduto<br />
il senso della misura per quanto riguarda le conquiste terrene. Le<br />
donne gridavano istericamente; gli uomini piangevano con mugolii rochi. I<br />
fotografi scattavano fotografie, e i cronisti si precipitavano dall’uno all’altro,<br />
facendo frettolose interviste. Poi accadde quel che mi accade sempre<br />
quando faccio parte di una folla: mentre tutti divenivano una sola famiglia,<br />
io rimanevo un estraneo. Nessuno parlava con me, né io con gli altri. La<br />
forza segreta che li aveva uniti mi metteva in disparte. Certi sguardi mi misuravano<br />
assenti, quasi dicessero: che cosa fa qui costui? Quando tentai,<br />
vincendo la riluttanza, di fare una domanda a qualcuno, l’altro non mi<br />
ascoltò, o almeno se ne andò via prima ancora che finissi di parlare. Avrei<br />
potuto benissimo essere uno spettro. Dopo un poco mi risolsi, come sempre<br />
in casi simili, a fare pace col destino. Mi tenni in un angolo, lontano dal<br />
trambusto, e osservai le persone a mano a mano che scendevano dalla nave,<br />
selezionandole nella mia mente. Mio figlio non poteva essere tra i vecchi,<br />
né fra le persone di mezza età. Non poteva avere i capelli nero pece, le<br />
spalle larghe e gli occhi ardenti; un tipo del genere non poteva essere germogliato<br />
dai miei lombi. Ma a un tratto apparve un giovane stranamente<br />
simile al soldato dell’istantanea, alto, magro, piuttosto curvo, con il naso<br />
lunghetto e il mento stretto. «Questo è lui», qualcosa proruppe in me. Mi<br />
strappai dal mio cantuccio per corrergli incontro. Egli cercava qualcuno.<br />
L’amore paterno mi si destò dentro. Aveva le guance incavate e un pallore<br />
malato soffuso sul viso. È malato, è tisico, pensai ansiosamente. Avevo già<br />
aperto la bocca per chiamare «Gigi», come sua madre ed io lo chiamavamo<br />
da bambino, quando improvvisamente un donnone caracollò verso di lui e<br />
lo serrò tra le braccia. Il suo pianto si tramutò in una specie di latrato; presto<br />
una folla di altri parenti lo circondò. Mi avevano portato via un figlio<br />
che non era mio! In quel fatto sentivo una specie di ratto spirituale. I miei<br />
55<br />
15. Il testo allude al<br />
conflitto tra gli ebrei che si<br />
sono stabiliti sul territorio<br />
della Palestina e gli arabi<br />
che lo abitavano in<br />
precedenza.<br />
16. La bandiera bianca a<br />
strisce blu con la stella di<br />
Davide in centro è quella<br />
dello stato d’Israele.<br />
17. Significa giudaico e si<br />
riferisce alla lingua che gli<br />
ebrei parlarono nell’Europa<br />
centrale e orientale tra il X<br />
e il XVII secolo; tuttora è<br />
diffusa in numerose<br />
comunità in tutto il<br />
mondo. È scritta con i<br />
caratteri dell’alfabeto<br />
ebraico ma si distanzia<br />
dall’originale perché fonde<br />
una particolare lingua<br />
germanica medievale con<br />
elementi della lingua<br />
ebraica e aramaica.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
56<br />
18. Uno dei campi di<br />
sterminio più tristemente<br />
noti durante la<br />
persecuzione nazista degli<br />
ebrei.<br />
19. Cfr nota 5.<br />
20. La Torah nella religione<br />
ebraica indica i primi 5<br />
libri delle Sacre Scritture<br />
(Genesi, Esodo, Levitico,<br />
Numeri, Deuteronomio)<br />
ai quali si riferisce il nucleo<br />
più antico ed essenziale<br />
della religione ebraica,<br />
in cui sono contenute<br />
le principali norme di<br />
comportamento e di purità.<br />
21. Il testo si riferisce al<br />
piano di sterminio di Hitler<br />
durante la seconda guerra<br />
mondiale, per cui dopo<br />
avere ucciso gli ebrei nelle<br />
camere a gas, i loro corpi<br />
venivano bruciati in forni;<br />
le ceneri poi, come si dice<br />
poco più avanti nel testo,<br />
venivano poste in anonime<br />
fosse.<br />
090<br />
095<br />
100<br />
1<strong>05</strong><br />
110<br />
115<br />
120<br />
125<br />
130<br />
sentimenti paterni si sentirono umiliati e arretrarono in fretta in quel nascondiglio<br />
dove le emozioni possono rintanarsi per anni senza farsi sentire.<br />
Ebbi la sensazione di essere arrossito di vergogna, come se fossi stato colpito<br />
in faccia. Stabilii di attendere con pazienza, di non lasciare i miei sentimenti<br />
prorompere prematuramente. Per un pezzo non sbarcò più alcun<br />
passeggero. Che cos’è un figlio, in fondo? pensavo. Che cosa rende il mio<br />
seme più importante per me che per un altro? Che valore ha un legame di<br />
sangue e di carne? Siamo tutti schiuma dello stesso calderone. Se retrocedi<br />
di un certo numero di generazioni scopri che probabilmente tutta questa<br />
folla di sconosciuti ha avuto un avo in comune. E fra due o tre generazioni<br />
i discendenti di coloro che ora sono parenti saranno estranei. Tutto è temporaneo<br />
e passeggero; siamo spuma dello stesso oceano, pantano della stessa<br />
palude. Poiché non si può amare tutti, non si dovrebbe amare nessuno.<br />
Altri passeggeri sbarcarono. Tre giovani comparvero insieme e li esaminai.<br />
Nessuno dei tre era Gigi; e comunque, se uno lo fosse stato, nessuno me lo<br />
avrebbe tolto. Fu un sollievo vedere che ciascuno dei tre se ne andava con<br />
qualcun altro. Nessuno di loro mi era piaciuto. Appartenevano alla feccia.<br />
L’ultimo si era persino voltato e mi aveva lanciato un’occhiata aggressiva,<br />
come se in qualche modo misterioso avesse captato i miei pensieri di disapprovazione<br />
per lui e per i suoi simili.<br />
Se è mio figlio, sbarcherà per ultimo, mi venne in mente a un tratto, e benché<br />
questa fosse una supposizione, non so come, ero certo che sarebbe<br />
stato così. Mi ero armato di pazienza e di quella rassegnazione che è sempre<br />
pronta in me a immunizzarmi contro i miei fallimenti e a frenare qualsiasi<br />
velleità di liberarmi dalle mie limitazioni. Continuai a osservare ogni<br />
passeggero attentamente, cercando di indovinare il carattere e la personalità<br />
dall’aspetto e dal vestito. Forse era soltanto frutto d’immaginazione,<br />
ma ogni volto mi trasmetteva i suoi segreti e mi pareva di sapere esattamente<br />
come funzionava ogni cervello. Tutti i passeggeri avevano qualcosa<br />
in comune: la fatica di un lungo viaggio attraverso l’oceano, l’irritabilità e<br />
l’insicurezza della gente che arriva in un paese nuovo. Gli occhi chiedevano<br />
tutti, con un’ombra di delusione: è questa l’America? Una ragazza con<br />
il numero impresso sul braccio scosse irosamente il capo. Il mondo intero<br />
era un Auschwitz 18 . Un rabbino lituano, con la barba grigia tagliata tonda e<br />
gli occhi sporgenti, stringeva un pesante volume. Lo aspettava un gruppo<br />
di studenti yeshivah 19 e appena egli li raggiunse incominciò a predicare con<br />
lo zelo stizzito di uno che possieda la verità e cerchi di divulgarla in fretta<br />
e furia. Lo udii dire: «Torah... Torah... 20 ». Avrei voluto chiedergli perché la<br />
Torah non avesse difeso e salvato milioni di ebrei dai forni crematori 21 di<br />
Hitler. Ma a quale scopo chiederglielo, quando già sapevo la risposta? «I<br />
miei pensieri non sono i vostri pensieri». Subire il martirio in nome di Dio<br />
è il più alto dei privilegi. Un passeggero parlava una specie di dialetto che<br />
non era né tedesco né jiddisch, ma un pasticcio inintelligibile attinto a libri<br />
antichi. Strano, quelli che erano venuti ad attenderlo chiacchieravano nello<br />
stesso linguaggio.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
135<br />
140<br />
145<br />
150<br />
155<br />
160<br />
165<br />
170<br />
1<strong>75</strong><br />
Pensai che nel più completo caos esistono leggi precise. I morti restano<br />
morti. Coloro che vivono hanno i loro ricordi, i loro calcoli, i loro progetti.<br />
Chi sa dove, nei fossati della Polonia, vi sono le ceneri di coloro che<br />
furono bruciati. In Germania, gli ex nazisti giacciono nei loro letti, ognuno<br />
con l’elenco dei propri delitti, delle torture, degli stupri più o meno violenti.<br />
Chi sa dove, deve esservi un Onnisciente che conosce i pensieri di<br />
ogni essere umano, che sa le sofferenze di ogni infima creatura, che conosce<br />
ogni cometa, ogni molecola della più lontana galassia. Gli parlai. Bene,<br />
potente Onnisciente, per te ogni cosa è giusta. Tu sai tutto e sei informato<br />
di tutto... per questo sei tanto bravo. Ma che cosa debbo fare io con le mie<br />
briciole di realtà?… Sì, debbo attendere mio figlio. Di nuovo era cessato lo<br />
sbarco dei passeggeri; pensai che dovevano essere scesi a terra tutti. Divenni<br />
nervoso. Forse mio figlio non era a bordo di quella nave? Forse me<br />
lo ero lasciato sfuggire? E se si fosse gettato nell’oceano? Quasi tutti se ne<br />
erano andati dalla banchina e intuivo che gli inservienti si preparavano a<br />
spegnere le luci. Che cosa dovevo fare adesso? Avevo avuto una premonizione:<br />
doveva andare storto qualcosa con quel figlio che per vent’anni era<br />
stato per me soltanto una parola, un nome, una colpa sulla coscienza.<br />
Improvvisamente lo vidi. Scendeva lentamente, incerto, con l’espressione<br />
di chi non si aspetti che qualcuno gli sia venuto incontro. Non smentiva la<br />
sua fotografia, ma pareva più vecchio. Aveva rughe giovanili nel volto e gli<br />
abiti sgualciti. Dimostrava la trascuratezza e la negligenza di un giovane<br />
che non ha casa, che ha passato anni in luoghi strani, che ha avuto parecchie<br />
traversie ed è invecchiato precocemente. Tra i suoi capelli arruffati e<br />
scarmigliati mi parve di vedere qualche filo di <strong>pag</strong>lia o di fieno, come di<br />
chi dorme nei fienili. I suoi occhi azzurri, che guardavano di traverso sotto<br />
le sopracciglia biancastre, avevano il sorriso semicieco di un albino 22 . Portava<br />
con sé una cassetta di legno come una recluta dell’esercito, e un pacco<br />
avvolto in carta marrone. Invece di corrergli subito incontro, rimasi immobile,<br />
a bocca aperta. Il portamento del dorso era leggermente curvo,<br />
non come quello di uno studente yeshivah 23 , ma piuttosto di chi è abituato<br />
a portare sulle spalle carichi pesanti. Assomigliava a me, ma riconobbi alcune<br />
caratteristiche di sua madre, l’altra metà che non poté mai fondersi<br />
con la mia. Persino in lui, che era il prodotto di noi due, non armonizzavano<br />
le nostre caratteristiche contrastanti. Le labbra della madre non si accordavano<br />
con il mento del padre. Gli zigomi sporgenti non s’intonavano<br />
con la fronte alta. Egli si guardò intorno attentamente e il suo volto diceva<br />
bonario: «Naturalmente, non è venuto a incontrarmi».<br />
Mi avvicinai e domandai incerto: – Atah Gigi?<br />
Egli rise. – Sì, sono Gigi.<br />
Ci baciammo e la sua barbetta ispida mi raspò le guance come una grattugia.<br />
Era un estraneo per me, eppure nello stesso tempo sapevo che gli<br />
ero devoto come lo è il padre verso il figlio. Rimanemmo immobili con<br />
quella sensazione di appartenerci reciprocamente, che non ha bisogno di<br />
parole. In un attimo seppi come dovevo trattarlo. Aveva servito tre anni<br />
nell’esercito, aveva combattuto una guerra crudele. Doveva avere avuto<br />
57<br />
22. L’albino è chi, per via<br />
ereditaria, ha un difetto di<br />
produzione della melanina<br />
nella pelle, negli occhi e nei<br />
capelli. Per questo un<br />
albino ha pelle e capelli<br />
molto chiari e occhi di un<br />
azzurro molto pallido.<br />
23. Cfr. nota 5.<br />
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58<br />
180<br />
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2<strong>05</strong><br />
210<br />
215<br />
220<br />
225<br />
chi sa quante ragazze, ma era rimasto timido quanto può esserlo un uomo.<br />
Gli parlai in ebraico, piuttosto meravigliato io stesso della mia conoscenza<br />
della lingua. Acquisii immediatamente l’autorità di un padre, e tutte le mie<br />
inibizioni svanirono. Volevo prendere la sua cassetta di legno, ma egli non<br />
me lo permise. Indugiammo a cercare un tassì, ma tutti se n’erano già andati.<br />
La pioggia era cessata. La strada lungo il porto si stendeva umida,<br />
scura, malamente pavimentata, l’asfalto tutto buche e pozze d’acqua che riflettevano<br />
lembi di cielo luminoso, un cielo basso e rosso come una cappa<br />
di rame. L’aria era soffocante. Guizzavano lampi senza tuoni. Cadeva qualche<br />
rara goccia d’acqua, ma era difficile sapere se erano le ultime della cessata<br />
pioggia, o le prime di un nuovo acquazzone che incominciava. Il fatto<br />
che New York si mostrasse a mio figlio così cupa e triste feriva il mio orgoglio.<br />
Avevo la sciocca ambizione di fargli vedere subito i quartieri più belli<br />
della città. Ma attendemmo un quarto d’ora e nessun tassì comparve. Si<br />
sentivano già i primi fragori dei tuoni. Dovevamo rassegnarci ad avviarci a<br />
piedi. Parlavamo tutti e due con lo stesso stile, breve e tagliente. Come vecchi<br />
amici che conoscono i reciproci pensieri, non avevamo bisogno di lunghe<br />
spiegazioni. Mi diceva senza parole: «Capisco che non potessi stare<br />
con mia madre. Non ho rimostranze. Anch’io sono fatto della tua stessa<br />
pasta...».<br />
Gli domandai: – Che tipo di ragazza è quella di cui mi hai scritto?<br />
– Una brava ragazza. Ero il suo consigliere nel kibbutz. Poi andammo insieme<br />
nell’esercito.<br />
– Che cosa fa nel kibbutz?<br />
– Lavora nei granai.<br />
– Ha studiato almeno?<br />
– Siamo andati insieme alle scuole superiori.<br />
– Quando vi sposerete?<br />
– Al mio ritorno. I suoi genitori pretendono un matrimonio ufficiale.<br />
Lo disse in un modo che significava: «Naturalmente, noi due non abbiamo<br />
necessità di simili cerimonie, ma i genitori delle ragazze hanno una mentalità<br />
diversa».<br />
Feci un cenno a un tassì di passaggio ed egli quasi protestò.<br />
– Perché un tassì? Potevamo camminare. Posso camminare per miglia.<br />
Dissi all’autista di condurci oltre la quarantaduesima strada, verso la parte<br />
illuminata di Broadway, e poi di voltare nella quinta strada. Gigi sedette<br />
guardando fuori dal finestrino. Non fui mai tanto orgoglioso dei grattacieli<br />
e delle luci di Broadway quanto quella sera. Egli guardava e taceva. Intuii,<br />
non so come, che stava pensando alla guerra contro gli arabi, e a tutti i pericoli<br />
ai quali era sopravvissuto sul campo di battaglia. Ma le forze che reggono<br />
il mondo avevano stabilito che dovesse venire a New York a vedere<br />
suo padre. Era come se sentissi i suoi pensieri passare dietro la sua fronte.<br />
Certo, anche lui, come me, stava ponderando gli eterni interrogativi.<br />
Quasi per provare le mie forze telepatiche, gli dissi:<br />
– I casi fortuiti non esistono. Se è detto che devi vivere, resti vivo. È destino<br />
che sia così.<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
Volse il capo e mi guardò meravigliato:<br />
– Ehi, leggi nel pensiero, tu!<br />
E sorrise, stupito, incuriosito e incredulo, come se gli avessi paternamente<br />
giocato uno scherzo.<br />
Il figlio, in Un amico di Kafka, Longanesi, Milano 1987<br />
59<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
60<br />
STRUMENTI DI LETTURA<br />
Il personaggio<br />
narratore<br />
Poiché l’intera vicenda è osservata dal<br />
punto di vista dell’io narrante, emerge in<br />
primo piano la psicologia del narratore, il<br />
suo proprio modo di vedere la realtà. Con<br />
un profondo senso di estraneità, egli<br />
sente di appartenere a un’epoca passata,<br />
non più in sintonia con i modi di vita che<br />
vede praticati in terra americana. Persino<br />
coloro i quali, in attesa come lui sul molo,<br />
recano evidenti i segni della propria appartenenza<br />
religiosa, sembrano dimostrare<br />
una modernità che non gli appartiene.<br />
Come l’unica fotografia del figlio<br />
in suo possesso è «sfocata», egli stesso dichiara<br />
di non avere «un’immagine chiara»<br />
del giovane, il quale emerge dal passato<br />
«come un fantasma». La folla eterogenea<br />
in attesa della nave gli appare un<br />
campionario dell’intera umanità, «gente<br />
che ha perduto il senso della misura per<br />
quanto riguarda le conquiste terrene»,<br />
ma mentre tutti sembrano diventare «una<br />
sola famiglia», egli si sente un estraneo,<br />
anzi, «uno spettro». L’attesa del figlio si<br />
tramuta così in un tempo di riflessione su<br />
di sé, in cui hanno parte l’appartenenza<br />
culturale e religiosa ebraica, ma anche, in<br />
senso più lato, il significato e lo scopo<br />
dell’appartenenza al genere umano fino a<br />
domandarsi: l’Onnisciente sa tutto, «ma<br />
che cosa debbo fare io con le mie briciole<br />
di realtà?». Disorientato, senza un valido<br />
punto di riferimento in questo mondo<br />
«sfocato», il personaggio-narratore troverà<br />
nell’incontro col figlio le ragioni per<br />
tornare a confrontarsi lucidamente e positivamente<br />
con la realtà.<br />
Il tempo<br />
Il racconto intreccia magistralmente<br />
due diverse dimensioni tem-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
porali, il tempo reale che il personaggio-narratore<br />
trascorre sul molo in attesa<br />
della nave, e il tempo interiore<br />
della memoria, delle riflessioni sulla vita,<br />
sul passato, sui misteriosi, insondabili<br />
legami che collegano al «tutto» le<br />
«briciole di realtà» di cui dispone. Le<br />
sue vicende personali, quelle della ex<br />
moglie, del figlio lontano, che ora è<br />
cresciuto e ha combattuto in guerra,<br />
s’intrecciano con le vicende collettive<br />
del popolo ebraico. È il tempo della<br />
meditazione sul contrasto tra il passato<br />
e il presente, tra l’antica fede dei padri<br />
che ancora sopravvive nei segni esteriori<br />
degli ebrei ortodossi e il destino<br />
delle nuove generazioni, costrette a difendere<br />
con le armi la sopravvivenza di<br />
Israele.<br />
Le tecniche<br />
narrative<br />
Oltre che sul piano temporale, anche<br />
dal punto di vista narrativo il racconto<br />
appare suddiviso in due parti. La prima<br />
è costruita come un lungo, ininterrotto<br />
monologo interiore, attraverso il quale<br />
conosciamo il modo di pensare del protagonista,<br />
il suo punto di vista sul<br />
mondo, i suoi sentimenti. Nel secondo,<br />
scandito per lo più dal dialogo diretto<br />
tra padre e figlio, si scioglie, per così<br />
dire, la cupa tensione accumulatasi nella<br />
prima parte in cui dominano le riflessioni<br />
sul senso di estraneità, l’ossessione<br />
dell’olocausto e l’angoscia per quello<br />
che potremmo definire “il silenzio di<br />
Dio”. Il dialogo ha la funzione di un’apertura<br />
al mondo, di una liberazione<br />
dalle ossessioni personali: parlare è andare<br />
finalmente verso «l’altro» e, non a<br />
caso, il racconto si chiude sul sorriso del<br />
figlio.
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
61<br />
DOMANDE DI VERIFICA<br />
“A me tutta quella gente pareva mondana e scaltra”. Così dice il narratore osservando la folla in<br />
attesa dello sbarco della nave, all’inizio del racconto. Sulla base dei contenuti del testo, quali motivi<br />
spingono il protagonista a fare questa considerazione?<br />
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....................................................................................................................................................................................................................................<br />
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....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
“Avevo già aperto la bocca per chiamare ‘Gigi’, come sua madre ed io lo chiamavamo da bambino,<br />
quando improvvisamente un donnone caracollò verso di lui e lo serrò tra le braccia. [...] Mi<br />
avevano portato via un figlio che non era mio!”.<br />
Questa breve sezione del testo significa che:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Una donna riconosce erroneamente il figlio del protagonista come suo e si allontana con lui.<br />
Il protagonista non riesce a riconoscere suo figlio.<br />
Non è semplice per il protagonista riconoscere il figlio; pensa di averlo identificato, ma poi invece<br />
vede che non è così.<br />
Il figlio del protagonista non è sulla nave.<br />
Durante l’attesa del figlio, una delle preoccupazioni più importanti del protagonista è di non sapere<br />
in quale lingua potrà conversare con lui. Facendo riferimento a tutti gli elementi a tua disposizione<br />
nel testo, per quale motivo questo aspetto risulta così problematico per il protagonista?<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
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“Che cos’è un figlio, in fondo? Che cosa rende il mio seme più importante per me che per un<br />
altro? Che valore ha un legame di sangue e di carne? Siamo tutti schiuma dello stesso calderone.<br />
Se retrocedi di un certo numero di generazioni scopri che probabilmente tutta questa folla di sconosciuti<br />
ha avuto un avo in comune. E fra due o tre generazioni i discendenti di coloro che ora<br />
sono parenti saranno estranei”.<br />
In questa parte del testo si può distinguere tutta la paura del protagonista di incontrare suo figlio.<br />
Sapresti giustificare questa interpretazione?<br />
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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
62<br />
5<br />
6<br />
Leggi le seguenti affermazioni e indica se a tuo giudizio risultano vere o false, sulla base dei contenuti<br />
del racconto:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
e<br />
f<br />
La madre del ragazzo che sta arrivando, almeno da un certo momento in avanti,<br />
ha allevato il figlio in un kibbutz.<br />
Il vero aspetto del figlio è molto diverso dall’immagine sfuocata della fotografia<br />
che il padre aveva con sé.<br />
L’aspetto del volto del figlio appare al padre come una copia fedele di quello della<br />
madre; non riconosce invece tratti propri.<br />
Il modo di comportarsi e di muoversi del ragazzo era composto e curato.<br />
Il ragazzo aveva combattuto nell’esercito di Israele e aveva compiuto anche lavori<br />
pesanti.<br />
Dopo qualche domanda del padre il figlio dice di essere fidanzato e che tra<br />
poco si sposerà.<br />
Considera come il protagonista del racconto cambi la sua prospettiva nel vivere la paternità di un<br />
figlio lontano, dal momento in cui lo aspetta, a quello in cui lo incontra e infine gli parla e lo<br />
ascolta: si può dire che ci sia un’evoluzione radicale nel personaggio? O si può affermare che in lui<br />
era sempre esistito il sentimento di paternità e che egli scopre soltanto di possederlo, nel momento<br />
in cui vede il figlio? Giustifica i due punti di vista argomentandoli.<br />
Primo punto di vista: ..........................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
Secondo punto di vista: ....................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
....................................................................................................................................................................................................................................<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
‘ V<br />
‘ V<br />
‘ V<br />
‘ V<br />
‘ V<br />
‘ V<br />
F<br />
F<br />
F<br />
F<br />
F<br />
F
5<br />
anno 1970<br />
luogo<br />
Italia<br />
genere<br />
racconto<br />
realistico<br />
1. Si tratta di un modello della Alfa Romeo, ditta<br />
produttrice di automobili del gruppo FIAT. Così anche per<br />
quanto riguarda la Giulietta, citata poco più avanti nel<br />
racconto.<br />
2. San Giovanni a Teduccio è un quartiere della periferia di<br />
Napoli; prima paese autonomo, venne aggregato alla città<br />
Giorgio Scerbanenco<br />
Villa della<br />
disperazione<br />
durante il fascismo e, pur mantenendo alcuni aspetti<br />
dell’antico borgo, ha avuto uno sviluppo poco coerente per<br />
via della speculazione edilizia.<br />
3. Molte delle strade presenti nel sud italiano erano state<br />
fatte costruire durante la dominazione dei Borboni,<br />
regnanti sulle Due Sicilie dal 1734 all’Unità d’Italia.<br />
63<br />
Presentazione dell’opera<br />
La fama di Scerbanenco come giallista è affidata alla tetralogia incentrata su Duca Lamberti, esperto della nuova criminalità dell’hinterland<br />
milanese, caratterizzata da una notevole violenza. Alla produzione romanzesca lo scrittore ha affiancato un cospicuo<br />
numero di racconti, spesso brevissimi e dall’effetto fulminante. Villa della disperazione appartiene al ristretto numero di quelli che<br />
non sono ambientati a Milano o comunque nel nord industrializzato. Al di là dell’impianto narrativo giallo o noir, i suoi romanzi e<br />
racconti appaiono oggi come un amaro e disincantato spaccato degli anni Sessanta, che svelano un’Italia difficile, avida, cattiva e<br />
disillusa, ben lungi dalla solita immagine edulcorata degli anni del cosiddetto “miracolo economico”. «Le storie che racconta Giorgio<br />
Scerbanenco non sono storie delicate, sono storie nere, nerissime, storie di delitti efferati, di sentimenti abbietti, di trasgressioni<br />
e devianze, di bassifondi bruti e di ambienti alti anche peggio. Sono storie ambientate in un’Italia di ieri che non ha quasi<br />
niente di diverso da quella di oggi, perché potere e politica, delitti e passioni, mafia e criminalità più o meno o per niente organizzata<br />
sono ancora gli stessi» (Carlo Lucarelli).<br />
Giorgio Scerbanenco<br />
Vladimir Giorgio ·čerbanenko, poi italianizzatosi in Giorgio Scerbanenco, nacque<br />
a Kiev nel 1911 da madre italiana e padre ucraino. A sedici anni si trasferì<br />
a Milano dove praticò svariati mestieri prima di approdare all’editoria, ricoprendo<br />
importanti incarichi redazionali e direttivi presso noti settimanali femminili.<br />
Scrittore straordinariamente prolifico e versatile, esordì come romanziere<br />
nel 1935 e quando scomparve prematuramente al culmine del successo,<br />
nel 1969, aveva al suo attivo innumerevoli racconti e più di sessanta romanzi<br />
(altri ancora furono pubblicati postumi). Famoso soprattutto come autore di<br />
romanzi “rosa”, molto in voga negli anni Cinquanta e Sessanta, diede tuttavia<br />
il meglio di sé nel genere giallo e noir, tanto da essere oggi considerato un maestro<br />
del genere. Venere privata (1966), Traditori di tutti (1966), I ragazzi del massacro (1968) e I milanesi<br />
ammazzano al sabato (1969), costituiscono un ciclo il cui protagonista è Duca Lamberti, ex medico dalla<br />
profonda umanità che diventa una sorta di investigatore privato, a contatto con i risvolti più torbidi e<br />
spietati della vita metropolitana. Scerbanenco è stato anche uno straordinario autore di racconti, talora<br />
brevissimi ma sempre di fulminante intensità, recentemente raccolti in varie edizioni (Uccidere per amore.<br />
Racconti 1948-1952, Racconti neri, Il cinquecentodelitti). A tutt’oggi, Scerbanenco è l’unico autore italiano<br />
a essersi aggiudicato, con Traditori di tutti, il prestigioso “Gran Prix de la littérature policière”, che dal<br />
1948 viene ogni anno assegnato in Francia al miglior romanzo giallo. Alla sua memoria è dedicato anche<br />
il premio più importante per la narrativa gialla italiana, il “Premio Scerbanenco”.<br />
La vecchia Alfa1 , attraversato il caos costruttivo di San Giovanni a<br />
Teduccio 2 , lasciò la strada borbonica3 L<br />
e prese quella che conduceva<br />
al Vesuvio, di cui nella chiarità del pieno mattino di giugno si vedeva<br />
l’aggraziata e pur minacciosa mole.<br />
Al volante c’era un giovane con un grosso ciuffo di capelli neri che gli ricadeva<br />
in mezzo alla fronte, e vicino a lui c’era come il suo contrario, un<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
64<br />
4. Ferdinando Sanfelice fu<br />
un architetto del XVII<br />
secolo, di famiglia nobile<br />
napoletana, che realizzò<br />
molti edifici sia civili sia<br />
religiosi nell’area campana,<br />
secondo lo stile barocco.<br />
5. Le ringhiere dei balconi<br />
durante l’età barocca erano<br />
talvolta fatte in ferro<br />
battuto e ricche di motivi<br />
ornamentali come foglie,<br />
fiori, piccoli animali,<br />
creature fantastiche.<br />
6. Sinonimo di anticamera,<br />
cioè un locale che precede<br />
la zona effettivamente<br />
abitata della casa.<br />
7. Il lavabo, fatto in ferro<br />
battuto con una catinella<br />
nella parte superiore e una<br />
brocca che conteneva<br />
l’acqua nella parte<br />
inferiore, era in uso nelle<br />
camere da letto per fare la<br />
toilette personale; è un<br />
altro indizio del fatto che<br />
nella casa mancano le<br />
comodità proprie dell’età<br />
contemporanea, come<br />
l’acqua corrente.<br />
10<br />
15<br />
20<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
45<br />
50<br />
uomo anziano, ma grosso, tutto robusto e tutto rapato in testa. Nei sedili<br />
dietro c’era un uomo di neppure trent’anni con un maglione grigio scuro<br />
dal collo alto fino al mento perché quel giugno anche a Napoli fece freddo,<br />
era bruno, ma dai capelli tagliati cortissimi, meno di un dito, e, anche se era<br />
rasato da poche ore, aveva una maschera violacea sulle guance. Vicino a lui<br />
una donna giovanissima, bionda, boccheggiava al finestrino aperto, l’abito<br />
premaman, per quanto largo fosse, aderiva ormai strettissimo al suo ventre<br />
enorme di gestante all’ultimo giorno. Dopo una svolta quasi a L, l’Alfa<br />
fermò di colpo davanti alla villa. La villa era tutta recintata da una staccionata,<br />
all’ingresso c’era un grande cartello: Ministero della Pubblica Istruzione.<br />
Sovrintendenza ai monumenti della Campania. Restauro e ripristino delle ville<br />
settecentesche vesuviane. L’ingresso è consentito soltanto alle autorità competenti.<br />
Non è permessa alcuna visita.<br />
L’uomo rapato lesse il cartello senza parlare e senza parlare tutti scesero. Il<br />
ragazzo col ciuffo dette un piccolo colpo di clacson, poi slegò i numerosi<br />
bagagli che erano sul tetto dell’Alfa. Non c’era nessuno sullo stradone, l’aria<br />
era polverosa di microscopiche faville che piovevano dalle falde del Vesuvio<br />
spazzato da un vento abbastanza forte e freddo.<br />
Al brevissimo, quasi inesistente colpo di clacson il portello della staccionata<br />
si aprì e vennero avanti una donna e un uomo, anziani ma dall’aspetto<br />
robusto, e una ragazza alta, dal viso pallido, dai capelli bruni, lunghi, tutti<br />
in disordine, da una gonna rossa cortissima, ma spiegazzata e stracciata.<br />
Senza parlare, la vecchia donna andò a sostenere la giovane gestante, mentre<br />
il vecchio e la ragazza presero le molte valigie che erano sul tetto della<br />
vettura, escluse due che, con un gesto imperioso, il vecchio robusto dalla<br />
testa rapata volle portare lui.<br />
«Sbrighiamoci,» disse il ragazzo col ciuffo, «prima che qualcuno ci veda.»<br />
Attraversarono lo stradone in fretta e furono tutti al riparo un momento<br />
dopo dietro la staccionata che circondava la villa, senza che si fosse visto un<br />
passante o un’auto.<br />
La villa sembrava dovesse crollare da un momento all’altro, i due portali<br />
disegnati dal Sanfelice 4 erano spariti, così le preziose ringhiere panciute e<br />
fogliute dei quattro balconi 5 , e delle preziose persiane dell’epoca non esisteva<br />
neppure il ricordo: finestre e balconi erano tappati da assi di legno.<br />
Percorso il lungo androne arrivarono nel cortile con porticato e, a sinistra,<br />
entrarono nel vasto anticamerone di servizio, buio come una cantina, la<br />
luce filtrava soltanto da due grandi finestre tappate però dalle assi di legno<br />
e a destra di questa area di disbrigo 6 entrarono nella cucina. Una cucina del<br />
tardo seicento, grande come una vasta sala da ballo di oggi, con un camino<br />
alto due metri, il soffitto che recava ancora qualche traccia di affreschi di<br />
cani che inseguivano la selvaggina, fagiani, lepri, uccellini.<br />
«Di qui, signori,» disse la vecchia. Aprì una porta ed entrarono in una<br />
stanza ancora più vasta della cucina. Le finestre non erano chiuse dalle assi<br />
di legno, ma da polverosi vetri e rozze imposte non verniciate. In quell’immensità,<br />
il letto matrimoniale, l’altro letto singolo, un armadione, enorme<br />
e sgangherato, un lavabo con la brocca e il catino 7 , un tavolino e due sbrin-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
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95<br />
dellate poltrone, si sperdevano come pochi chicchi di riso in una grande<br />
scodella.<br />
«Signora, stendetevi qui un poco,» disse la vecchia alla giovane, nel suo<br />
morbido, grasso napoletano. Aiutò la donna incinta, viola in viso, a mettersi<br />
sul letto. «È un letto molto morbido, mio marito dice che è troppo<br />
morbido, che fa fatica a dormirci.»<br />
Erano entrati anche il vecchio e la ragazza con le valigie, insieme col giovanotto<br />
dal ciuffo che aveva guidato l’Alfa.<br />
«Mandali via,» disse il grosso uomo rapato al ragazzo col ciuffo. «Tu resta<br />
qui, dobbiamo parlare.»<br />
Senza parole, con un gesto e uno sguardo, il ragazzo ordinò ai tre di uscire<br />
e chiuse la porta dietro di loro.<br />
Il vecchio gli andò davanti. Con la mano gli indicò una delle poltrone.<br />
«Siediti.» Così lo dominava meglio. «Che posto è?»<br />
«È il posto più sicuro, signo’, qui non vi trova nessuno,» disse il ragazzo,<br />
anche lui evidentemente napoletano.<br />
«Perché?»<br />
«Perché è un monumento nazionale...» disse il ragazzo, «avete visto la<br />
staccionata e il cartello? Nessuno va a pensare che qualcuno si voglia nascondere<br />
qui, infatti nessuno ci si è mai nascosto.»<br />
«Chi ha pensato a questo nascondiglio?» disse il grosso vecchio, incombendo<br />
su di lui.<br />
«Gli amici…» disse il ragazzo, dette un’inflessione speciale alla parola<br />
amici. «Siete con una signora che aspetta un bambino, non potevamo tenervi<br />
a Napoli, troppo vistoso. Allora abbiamo pensato qui, è l’angolo più<br />
deserto della zona.»<br />
«Chi sono quei due vecchi e la ragazza?» disse il grosso.<br />
Fece segno di no all’uomo col maglione dal collo alto fino al mento, che<br />
aveva preso una bottiglia di whisky da una valigia e gliene offriva un po’ in<br />
un bicchiere di metallo, dette un’occhiata alla donna distesa sul letto che<br />
invece beveva bravamente dalla bottiglia.<br />
«Sono i custodi della villa. La ragazza è la loro figlia, ed è la mia fidanzata,»<br />
disse caldamente il giovane col ciuffo. «Per questo gli amici mi<br />
hanno detto: “Tu hai la passione, lassù, in quella villa, e allora portali<br />
lassù”. Sono gente brava, dovete stare sicuro, dotto’,» cominciò a chiamarlo<br />
dottore per quanto con quella faccia non desse troppo la sensazione<br />
del dottore.<br />
La grande camera era illuminata da due sole finestre e quindi, nonostante<br />
la mattinata così luminosa, era piena di ombre. L’uomo in maglione era seduto<br />
sul letto vicino alla giovane donna, fumavano tutti e due quei robusti<br />
sigaretti, e dopo tutto il whisky lei, invece di vomitare, pareva che stesse<br />
molto bene, e aveva un dolce color fragola in viso.<br />
«Come ti chiami?» disse il vecchio.<br />
«Fiorello,» disse il ragazzo.<br />
«Io mi chiamo Gennaro. Se non ci credi, fai male,» disse il grosso, si frugò<br />
sotto la giacca, come avesse prurito, e ne tirò fuori una grossa browning 8 .<br />
65<br />
8. Browning è in realtà il<br />
nome della ditta<br />
produttrice dell’arma, non<br />
del modello.<br />
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66<br />
9. Non si tratta<br />
evidentemente degli scavi<br />
di Pompei. La battuta<br />
ironica di Fiorello intende<br />
dire che la villa è un<br />
rudere, come appunto le<br />
case scavate a Pompei.<br />
10. Ovvero un medico<br />
ginecologo, in grado di fare<br />
nascere i bambini<br />
(cavapupi, ovvero in<br />
dialetto prendi-bambini,<br />
dal ventre della madre).<br />
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«Sono più napoletano di te anche se da quarant’anni vivo a New York e<br />
parlo l’italiano così male.» Alzò la voce rabbiosamente, urlò addirittura:<br />
«Alzati!».<br />
Lentamente, non per svogliatezza, ma per terrore, Fiorello si alzò, cercando<br />
di non guardare la piatta canna della rivoltella.<br />
«Ascoltami, Fiorello,» disse Gennaro, «tu mi sei stato raccomandato dagli<br />
amici di laggiù. Mi hanno dato la tua fotografia a New York, e a Capodichino,<br />
quando siamo scesi dall’aereo, tu eri lì ed eri quello della fotografia.<br />
Ti ho chiesto: “Lei è dell’agenzia alberghiera?” e tu hai risposto, secondo<br />
la parola d’ordine: “Sì, dell’hotel Continental”. Tutto questo va bene, ma<br />
io prima di fidarmi sto attento.» Alzò la browning, gliel’appoggiò sulla<br />
pelle, sotto il mento, costringendolo ad alzare il viso. «In questo posto ci<br />
sono molte cose che non mi piacciono. Per esempio non c’è il telefono.»<br />
«Dotto’,» si lamentò Fiorello, «ma in questi scavi di Pompei 9 cosa volete<br />
che mettano il telefono? È solo questione di pochi giorni, poi vi troviamo<br />
la casa degna di voi, dotto’.»<br />
Gennaro abbassò la rivoltella, ma la tenne sempre in mano.<br />
«Poi non mi piaci tu. <strong>Sei</strong> troppo giovane, l’ho detto anche a New York<br />
quando mi hanno dato la tua fotografia, per una cosa così grossa. Mi<br />
hanno assicurato che posso fidarmi, ma non mi piaci lo stesso.» Alzò di<br />
nuovo la rivoltella verso il suo viso, guardò un attimo l’uomo in maglione<br />
che si era disteso sul letto accanto alla donna. «Ti assicuro che, se sbagli,<br />
se servi due padroni, se prendi soldi da noi e poi vai a informare la polizia,<br />
non ti salverai più, e non solo tu, ma tua madre, tuo padre, la tua ragazza,<br />
tua sorella. Siamo venuti qui per questo, ci sono troppi figli di Giuda intorno<br />
a noi, e siamo venuti a sistemarli.»<br />
«Dottore, io non le faccio certe cose.»<br />
«Sarà,» disse il grosso. «E poi non mi piace che non ci sia la luce elettrica.<br />
Qui di notte ci infilzano come tordi allo spiedo.»<br />
«Dotto’, qui non c’è mai stata la luce elettrica, sono ville di tre, quattro secoli<br />
fa. Ma ci sono i lumi a petrolio e le candele, e poi nessuno si sogna di<br />
venire qui, state sicuro, dotto’, parola.»<br />
L’altro si rimise la rivoltella dentro la camicia.<br />
«Adesso cerca di ricordarti quello che mi occorre subito, e portamelo subito.»<br />
In quel momento la donna distesa sul letto ebbe una specie di breve rantolo.<br />
Il vecchio, con voce d’improvviso tenera, raucamente dolce, le si rivolse:<br />
«Cos’hai, cara?».<br />
«I dolori, papà, diventano sempre più forti,» disse lei.<br />
«Il dottore verrà subito,» la rassicurò lui, poi la sua voce ritornò dura e si<br />
rivolse al ragazzo napoletano. «Te l’ho già detto prima in macchina: mi<br />
occorre subito l’ostetrico.»<br />
«Sì, dottore, lo teniamo il cavapupi 10 , gli amici lo sapevano che arrivavate<br />
con la signora così.»<br />
«Subito vuol dire subito, ragazzo.»<br />
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«Sì, dotto’, fra un’ora arrivo qui col cavapupi.»<br />
«E mi occorrono due auto.»<br />
«Due, dotto’?»<br />
«Non molto grandi, ma veloci. E subito. Quando vieni qui con l’ostetrico<br />
devi portare anche le due auto, col serbatoio pieno.»<br />
«Piccole, ma veloci,» rifletté a voce alta il ragazzo. «Due Giuliette forse<br />
vanno bene.»<br />
«Non conosco le auto italiane, ma voglio che facciano almeno i centosessanta.»<br />
«Va bene, dottore.»<br />
«Sono le undici e tre quarti. All’una meno un quarto devi essere qui col<br />
dottore. Se succede qualche cosa a mia figlia perché tu ritardi, è meglio<br />
che ti tagli la gola da solo.»<br />
«No, dotto’, sono qui anche prima di un’ora.» Il ragazzo era lucido di sudore.<br />
«E porta questo messaggio agli amici, ricordati bene le parole.»<br />
«Sì, dotto’.»<br />
«Questo è il messaggio: “voglio subito casa con telefono”.»<br />
Quello voleva tutto subito, pensò il ragazzo.<br />
«E adesso voglio la cosa più importante: il numero di telefono dell’amico<br />
più grosso, e tutti e due sappiamo chi è.»<br />
«Sì, dotto’, ve lo scrivo subito.»<br />
Lo sapeva a memoria, aveva in tasca dei foglietti sparsi, consunti, sgualciti,<br />
e una matita che si passò tra le labbra per inumidirla. Era un numero facile<br />
da ricordare, 35.25.65, e scrisse il numero sul foglietto, ma arrivato alla<br />
quinta cifra sbagliò, non si accorse che invece di scrivere 6 aveva scritto 5,<br />
così consegnò al vecchio, la mano tremante per l’agitazione, il foglietto<br />
con scritto questo numero sbagliato: 35.25.55.<br />
«Adesso va’ via e fa’ presto,» disse il vecchio.<br />
Solo quando fu fuori, sulla strada, il ragazzo riprese a respirare normalmente.<br />
Era la prima volta che veniva in contatto con gli americani, era<br />
stata una prova di fiducia che gli avevano dato, ma un po’ pesante. Coi<br />
suoi padroni napoletani si sentiva molto più sicuro, ma di questi stranieri<br />
e delle loro rivoltelle aveva paura. E bisognava far subito subito. Si mise al<br />
volante dell’Alfa, girò la macchina e discese verso Napoli, continuava a<br />
pensare che doveva trovare il cavapupi, subito subito, e poi le due Giuliette,<br />
subito subito, che strano che a mezzogiorno, a Napoli, e in giugno,<br />
dovesse fare freddo, tirò su il finestrino dalla sua parte e senza accorgersene<br />
continuava a premere l’acceleratore, finché, come era prevedibile,<br />
appena arrivò sulla via borbonica, due militi della strada 11 alzarono il loro<br />
palettino irritante e gli fecero segno di fermarsi, coi loro irritanti caschi, le<br />
loro irritanti moto appoggiate al muro, e le loro irritanti facce.<br />
Il ragazzo col ciuffo, Fiorello, era un napoletano verace, e un napoletano<br />
verace se nell’orecchio ha il rombo di cento “subito, subito, subito”, non<br />
resiste a tante cose irritanti insieme. E infatti non resisté. Invece di fermarsi<br />
all’intimazione, accelerò, schizzò via nel traffico convulso di San<br />
67<br />
11. Ovvero due vigili<br />
urbani oppure due agenti<br />
della polizia stradale.<br />
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12. Fedele Fischetti è un<br />
pittore del Settecento<br />
napoletano, che affrescò<br />
edifici di culto e palazzi<br />
civili, tra cui anche molte<br />
parti della reggia di<br />
Capodimonte, della<br />
residenza reale e della<br />
reggia di Caserta.<br />
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Giovanni a Teduccio in quell’ora convulsa vicino all’ora di colazione. Era<br />
impossibile che ce la facesse, e infatti non ce la fece. Un bambino che era<br />
caduto di bicicletta rompendo il fiasco di vino che teneva in mano e che<br />
piangeva, lì, in mezzo alla strada, lo bloccò, e dallo specchietto lui vide arrivare<br />
come un proiettile uno dei motociclisti.<br />
«Vieni fuori.»<br />
Il ragazzo guardò il bambino che si rialzava, fradicio di vino rosso e di lacrime,<br />
e scese. Dette al milite la patente e il libretto. Arrivò anche l’altro<br />
milite.<br />
«Perché sei scappato?»<br />
«Avevo fretta.»<br />
Il milite si trattenne i documenti.<br />
«Sali, e seguici,» disse. «E sta’ tranquillo.»<br />
«Tranquillissimo,» disse lui colando sudore dalla fronte al rimbombo di<br />
quella voce nelle orecchie: “Subito, subito, subito.”<br />
La prima mezz’ora l’italo-americano Gennaro la passò a ispezionare la villa.<br />
Il vecchio custode, con un lume a petrolio in mano, lo condusse al piano superiore<br />
e alle soffitte, o stanze, a quei tempi, per la servitù. Il lume a petrolio<br />
era necessario perché di sopra tutte le finestre erano sbarrate da assi di<br />
legno. La larga scala era senza l’arabescata ed elaborata balaustra di bronzo,<br />
bisognava stare attenti perché non sempre i gradini si mostravano sicuri, sul<br />
primo e sul secondo pianerottolo si erano aperte due falle, due grossi buchi<br />
dai quali s’intravedeva il vago chiarore dell’anticamera sottostante.<br />
«Dotto’, attento a dove mettete i piedi,» diceva il custode.<br />
Al piano superiore vi erano due grandi saloni e quattro stanze. Anche qui<br />
vi erano dei buchi nel pavimento, e anche nel soffitto. Pezzi di muro cadevano<br />
un po’ da per tutto, sempre semplici scaglie, ma era una pioggia<br />
continua. In uno dei saloni vi era ancora un massiccio, lungo tavolo dell’epoca,<br />
evidentemente non era stato rubato soltanto per la sua mole e la<br />
sua pesantezza. E a tutte le pareti si vedevano ancora, in ogni stanza o salone,<br />
le larghe chiazze di affreschi del Fischetti 12 , gentili vergini nude<br />
nelle volute ariose e geometriche delle decorazioni, con fantastici paesaggi<br />
sullo sfondo, monti sui quali si ergevano leggiadre rocche, e cani da caccia<br />
che inseguivano la selvaggina in irreali foreste.<br />
Gennaro guardò tutto senza capire, guardò il grande lampadario penzolante<br />
pericolosamente dal soffitto.<br />
«Una volta c’era la luce elettrica,» disse indicandolo con la browning, che<br />
teneva in mano.<br />
«No, signore, quello è un lampadario a candele.»<br />
«Di sopra cosa c’è?»<br />
«Le soffitte. Il tetto è molto rotto, si sta sfasciando tutto, sono due anni<br />
che hanno messo quel recinto col cartello intorno alla villa, ma non hanno<br />
ancora fatto nulla. Sono venuti un paio di volte, forse a controllare che la<br />
villa sia ancora in piedi, ma io ho paura a starci, qualche notte magari ci<br />
casca tutto addosso.»<br />
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Gennaro ispezionò anche le soffitte, e solo quando fu sicuro che nella villa<br />
non c’era nessuno tornò da basso nella stanza dove erano sua figlia e il genero.<br />
Tina dormiva.<br />
«È ubriaca fradicia,» disse l’uomo in maglione. «Non resiste alle doglie,<br />
adesso le ha ogni quarto d’ora, ma non si sveglia neppure, si lamenta un<br />
po’. Il bambino nascerà sbronzo.»<br />
«Non c’è nessuno nella villa, Charlie,» disse Gennaro.<br />
Charlie aveva un viso da duro, ma non da bruto, i suoi occhi, anzi, esprimevano<br />
intelligenza, acume, se avesse portato gli occhiali sarebbe sembrato<br />
un giovane e aitante professore.<br />
«Figurati che consolazione,» disse acre. «Avrai tempo di incontrare tanti<br />
poliziotti da non poterli contare. Non si va in giro a fare i gangster con<br />
una donna gravida appresso.»<br />
«Io non lascio mia figlia sola in un momento come questo. E tu che sei<br />
suo marito dovresti pensare come me.»<br />
«No, non posso pensare che Tina abbia il bambino qui, in questa catapecchia,<br />
in questo letto,» Charlie alzò la voce, guardò il suocero con odio,<br />
«non ci farei dormire il gatto, su queste lenzuola, su questo cuscino…»<br />
«Forse non nasce subito, domani o dopo ci sistemeranno in una casa migliore.»<br />
«No, nasce qui, fra poche ore, le doglie sono sempre più fitte. Senti,»<br />
disse Charlie.<br />
Pur nel sonno dell’ubriachezza Tina si mosse convulsamente e lanciò una<br />
specie di ululato, poi respirò profondamente e ricadde in quella specie di<br />
coma.<br />
«Adesso guarda l’orologio, fra dieci minuti gliene verrà un’altra, poi<br />
gliene verranno ogni cinque minuti e allora ci vuole subito il medico.»<br />
«Sta arrivando,» disse Gennaro.<br />
All’una e mezzo non era arrivato nessuno. Alle due neppure, alle due e<br />
mezzo Tina si svegliò urlando e Charlie dovette metterle una mano sulla<br />
bocca. Le dettero ancora tanto whisky da narcotizzarla, e lei si riaddormentò.<br />
Gennaro guardò l’orologio.<br />
«Vado a telefonare.»<br />
Charlie si accese uno dei sigaretti che gli erano rimasti.<br />
«E a chi telefoni? Non hai ancora capito che ti hanno tradito? Siamo venuti<br />
qui per vedere se tradivano, e adesso lo sappiamo.»<br />
«Vado a telefonare lo stesso.»<br />
Aprì una delle due valigie che aveva voluto portare personalmente lui:<br />
c’era parecchia roba, quattro cinture caricatori per la browning, due pistole<br />
mitragliatrici e due mitra smontati in due. Sul fondo c’erano le scatole,<br />
tre, coi candelotti di nitroglicerina, ne aprì una e si mise due candelotti<br />
in tasca, prese una cintura caricatore e se l’allacciò alla vita. Sembrava<br />
un po’ più grosso, ma era già abbastanza grosso per non destare sospetti.<br />
Un uomo così equi<strong>pag</strong>giato, e deciso a usare il suo equi<strong>pag</strong>giamento, è un<br />
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po’ difficile da prendere. Charlie non disse nulla e non lo guardò neppure<br />
molto: il vecchio gli faceva pena, gli faceva pena sua moglie schiacciata da<br />
un tiranno così spietato e aveva anche pena di se stesso. Ma era nato in<br />
quell’ambiente, e doveva viverci. Gennaro risolveva tutto sparando. Anche<br />
quando parlava senza puntare la rivoltella era implicito che se qualcuno<br />
non fosse stato del suo parere, avrebbe sparato. Facesse pure.<br />
Il vecchio si tolse la rivoltella da sotto la camicia ed entrò di colpo nella<br />
stanza accanto, la grande cucina: c’era la ragazza che sembrava una zingara<br />
che stava ascoltando una radio a transistor, e al tavolo c’erano sua madre e<br />
suo padre che discutevano, con un fiasco di vino in mezzo a loro. Puntò la<br />
rivoltella contro di loro.<br />
«Devo telefonare. Quanto è lontano il telefono più vicino?»<br />
Il custode si alzò.<br />
«Signo’, non sparate, noi non vi abbiamo fatto niente.»<br />
«Dov’è il telefono più vicino!» urlò selvaggiamente Gennaro. «Se no,<br />
sparo davvero.»<br />
«È più su, verso il Vesuvio,» disse il custode, frustato da quell’urlo, «c’è<br />
un ristorante per i turisti che vanno fino in cima, lì c’è il telefono.»<br />
«Allora mi ci accom<strong>pag</strong>ni, e subito. Voi due starete qui in camera col mio<br />
genero,» le sospinse malamente nella stanza. «Vado a telefonare. Sta’ sicuro<br />
che torno. Se non torno, sai cosa devi fare,» disse a Charlie.<br />
Oh, sì, lo sapeva, doveva uccidere le due donne. I traditori devono morire,<br />
sì, verissimo, ma a che serviva?<br />
«Sì, lo so,» disse Charlie.<br />
Guardò Gennaro che usciva col custode, richiuse la porta e, con lo stile<br />
desiderato da suo suocero, levò dalla cintura la rivoltella e la tenne puntata<br />
contro le due donne.<br />
«Sedete nelle poltrone e non seccate.»<br />
Carezzò con la sinistra il viso umidiccio di Tina. Dormiva tranquilla.<br />
Guardò l’orologio: erano più di venti minuti che non aveva la doglia.<br />
Forse aveva ragione il suocero, poteva essere un falso allarme.<br />
Dopo un’ora e mezzo, Gennaro non era ancora tornato. Tina non sudava<br />
più, continuava a dormire e ogni tanto rabbrividiva, e non aveva più avuto<br />
nessuna doglia. Chiese delle altre coperte alle due donne, ma Tina continuò<br />
lo stesso a tremare.<br />
Dopo un’ora e tre quarti, Gennaro tornò, rientrò nella stanza spingendo<br />
avanti il custode.<br />
«Mi hanno dato un numero di telefono falso,» disse con una voce senza<br />
rabbia ma cattiva, spietata. «Ho chiamato venti o trenta volte, risponde<br />
uno che non ha niente a che fare col nostro amico. Siamo dentro la trappola.<br />
Bisogna uscirne subito perché fra poco arriverà la polizia.»<br />
Era logico, pensò anche Charlie, avevano tradito, avevano voluto liberarsi<br />
dagli ispettori che venivano da New York.<br />
«Mamma santissima, guardate sotto il letto, signo’, quello è sangue, si<br />
sente anche l’odore,» disse la moglie del custode. Charlie guardò subito:<br />
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da sotto il letto usciva e si allargava una spessa macchia di liquido scuro lucido<br />
che subito diveniva opaco. Si curvò a guardare. Il sangue gocciava dal<br />
sotto del materasso, allora Charlie sollevò un attimo le coperte e il lenzuolo<br />
che coprivano Tina, e la ricoprì subito stringendo i denti dalla nausea.<br />
«Tina, Tina,» carezzandola sul viso e sentì il viso non ancora freddo ma<br />
che stava divenendo rapidamente freddo, la scosse, le mise l’orecchio sulla<br />
bocca, e così capì, che era morta, sotto i suoi occhi, dissanguata.<br />
«È morta,» disse.<br />
Gennaro si avvicinò, cauto, a Tina, le mise una mano dietro il collo, alla<br />
nuca, le sollevò il capo e non ebbe bisogno di altro che di questo, di sentire<br />
l’innaturale peso della testa di lei e l’innaturale rigidità del collo. La<br />
ridepose, cauto, sul cuscino e la coprì tutta col lenzuolo. Sedette sull’altro<br />
lettino, accanto a Charlie, e stettero tutti e due lì in fondo al loro abisso di<br />
disperazione, per lunghi e lunghi e lunghi minuti. Poi Gennaro si alzò.<br />
«Dobbiamo andare,» disse, «fra poco qui arriva la polizia.»<br />
Era logico. Erano stati traditi e adesso li davano in pasto alla polizia.<br />
«Ma dove andiamo?» disse Charlie. «Non conosciamo nessuno, neppure<br />
i posti…»<br />
«Io so dove andare,» disse Gennaro. «A Napoli, ai telefoni. Voglio telefonare<br />
a New York perché siano informati di quello che succede qui, e di<br />
che genere di amici sono. E perché vengano a prenderci.»<br />
Forse era l’unica cosa che potessero tentare, pensò Charlie.<br />
«Tu porta la valigia coi soldi,» disse Gennaro, «io prendo quella con le<br />
armi.» Le mani gli tremavano. Si rivolse ai tre napoletani che stavano in<br />
piedi, ammucchiati vicino al muro. «Mia figlia è morta per colpa vostra.<br />
Se voi non foste delle sporche carogne di traditori, il medico sarebbe arrivato<br />
qui in tempo e mia figlia sarebbe viva, e anche il bambino. Siete degli<br />
assassini.»<br />
«No, signo’, no, signo’, Fiorello è acqua chiara, non ha tradito mai nessuno,<br />
gli deve essere successo qualche cosa,» disse la vecchia custode.<br />
«Ah, sì? E che cosa? E perché mi ha dato un numero di telefono falso?<br />
Stai zitta.» Si avvicinò alla ragazza, le prese un braccio. «Tu adesso vieni<br />
con noi e ci insegni la strada.» Si rivolse ai genitori della ragazza. «Se la<br />
volete rivedere viva state qui buoni. Se noi ci salviamo, si salva anche lei.»<br />
Guardò Charlie che si stava asciugando con le dita gli occhi umidi. «Andiamo,<br />
Charlie.»<br />
Charlie bevette, vuotò la bottiglia di whisky, e prese la sua valigia piena di<br />
valuta italiana avvolta nei pigiama, negli slip, nei maglioni e nelle camicie.<br />
«Io non vengo con voi, io ho paura, lasciatemi stare.»<br />
La ragazza si divincolò dalla presa di Gennaro che le teneva un braccio e<br />
frullò via verso i suoi genitori che le si strinsero addosso, in una posa di<br />
protezione che era quasi un affresco, come quelli dipinti sui muri della<br />
villa.<br />
Il viso di Gennaro si scompose tutto nel furore, la morte della figlia gli ribollì<br />
nel sangue come veleno. Era vecchio, ma nessuno ebbe il tempo di<br />
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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010
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13. Il forcipe è uno<br />
strumento usato talvolta<br />
durante i parti, quando si<br />
presentano difficoltà nella<br />
nascita, per estrarre il<br />
bambino; il plasma è usato<br />
per le trasfusioni di<br />
sangue, in caso di<br />
emorragia.<br />
3<strong>75</strong><br />
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accorgersi di ciò che succedeva. Anche Charlie, solo quando udì la sequenza<br />
di spari, capì che cosa aveva fatto Gennaro, mentre i tre, i custodi<br />
e la loro figlia, non capirono neppure di morire, morirono semplicemente,<br />
senza saperlo.<br />
«Sporche carogne, assassini.»<br />
«<strong>Sei</strong> tu un assassino,» disse Charlie, la voce ingolata di pianto rabbioso.<br />
«Muoviti!» Gennaro gli agitò la rivoltella davanti. «O vuoi star qui ad<br />
aspettare la polizia?»<br />
Charlie resisté alla voglia di sparare lui al vecchio pazzo e uscì per primo<br />
dalla stanza. Uscirono insieme dalla villa, sullo stradone, sotto il sole non<br />
caldo del tardo pomeriggio, ciascuno con la sua valigetta blu scurissimo, in<br />
una specie di foschia data dal polverume pietroso delle falde del Vesuvio,<br />
che il vento quasi freddo diffondeva nell’aria. S’incamminarono, verso<br />
Napoli.<br />
Nel buio totale dello stradone, le due Giuliette, con le mezze luci, fermarono<br />
davanti alla villa. Al volante della prima era Fiorello, che dette il solito,<br />
piccolo colpettino di clacson e scese, quasi rotolò fuori dall’auto. Subito,<br />
subito, subito, risentiva sempre la voce. Era riuscito a farsi rilasciare<br />
dalla polizia stradale solo un’ora prima, ma in un’ora, grazie ai suoi padroni,<br />
aveva trovato le Giuliette e il cavapupi. Chi sa come era arrabbiato<br />
l’americano, doveva ritornare dopo un’ora e arrivava invece con nove ore<br />
di ritardo.<br />
L’altra Giulietta era guidata da quello che Fiorello chiamava il cavapupi,<br />
che scese dall’auto a fatica, data la corpulenza, con una grossa valigia, in<br />
cui vi era tutto quello che poteva occorrere per un parto, fino ai flaconi di<br />
plasma e al forcipe 13 . Era il solito medico quarantenne che ha passato tre<br />
o quattro anni in galera per procurato aborto, se non per omicidio colposo<br />
in seguito alla morte della ragazza che non voleva essere madre.<br />
Corsero tutti e due verso la staccionata, il portello era aperto, il ragazzo<br />
col ciuffo in fondo era contento, aveva fatto quello che doveva fare, anche<br />
se in ritardo, l’americano doveva riconoscerlo. Soltanto, non gli piacque il<br />
buio assoluto della villa, e il silenzio assoluto. Perché stavano così al buio?<br />
La luce dei lumi a petrolio avrebbe dovuto trapelare dalle finestre, così invece<br />
sembrava che non ci fosse nessuno. Entrarono a tentoni, poi il dottore<br />
fece scattare l’accendino: erano in cucina.<br />
«Silvana, Silvana,» disse Fiorello. Nessuno rispose. Chiamava la sua ragazza.<br />
Sul tavolo c’era una candela, il dottore l’accese.<br />
«Silvana, Silvana...»<br />
Continuò a chiamarla, non comprendendo come mai nella villa non ci<br />
fosse più nessuno, finché, entrando nella camera vicina, non la vide ammucchiata<br />
a terra insieme con la madre e il padre, in un ricamo di macchie<br />
di sangue che decorava il volto e gli abiti di tutti e tre, alla viva, lunga, fumosa<br />
fiamma della candela che il dottore teneva alta.<br />
«Dottore, che cosa è?» il ciuffo gli ondeggiò sulla fronte, vedeva che cosa<br />
era ma non riusciva ancora a capire, a crederlo.<br />
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«Li hanno sparati,» disse il dottore, in grasso napoletano.<br />
Fissò la candela al tavolo e andò vicino al letto, sollevò il lenzuolo che copriva<br />
il viso di Tina, posò una mano sulla fronte di lei, sollevò tutta la coperta<br />
e vide la pozza di sangue. Non avrebbe avuto più da cavare nessun<br />
pupo. Poi si volse subito a quei sordi tonfi e vide Fiorello che stava sbattendo<br />
la testa contro il muro con tutta la sua forza. Gli saltò addosso e lo<br />
trattenne.<br />
«Lasciatemi fare, dotto’, che volete che faccia d’altro, adesso? Lasciatemi<br />
fare.»<br />
L’indomani, nel tardo pomeriggio, un quotidiano riportò per primo la notizia:<br />
Ieri sera, negli uffici delle comunicazioni intercontinentali della SET, sono<br />
stati arrestati due pericolosi banditi italo-americani che avevano chiesto una comunicazione<br />
con New York. Il loro atteggiamento aveva messo in sospetto l’agente<br />
di P.S. Andrea Salapanti che aveva chiesto loro i documenti. Uno dei due<br />
banditi, allora, il più anziano, ha subito sparato, ma l’agente Salapanti è riuscito<br />
a evitare il colpo e a sparare a sua volta ferendolo lievemente, riducendolo all’impotenza.<br />
L’altro, il più giovane, non ha opposto alcuna resistenza. In seconda <strong>pag</strong>ina<br />
i particolari...<br />
Villa della disperazione, in Il centodelitti, Garzanti, Milano 1970<br />
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STRUMENTI DI LETTURA<br />
La storia<br />
Una serie di banali contrattempi<br />
– un 5 al posto di un 6, un bambino<br />
che cade dalla bici – scatenano un massacro.<br />
Siamo a Napoli e due gangster italoamericani<br />
venuti da New York per sistemare<br />
certe faccende oppongono ai<br />
ritmi blandi e caserecci della malavita nostrana<br />
una spietata ferocia criminale. Il<br />
racconto, d’intonazione tipicamente noir,<br />
ha la caratteristica di essere ambientato<br />
completamente nell’universo squallido e<br />
crudele della malavita, con l’esclusione di<br />
qualsiasi personaggio “positivo”.<br />
I personaggi<br />
Gennaro, un gangster italoamericano<br />
folle e spietato, sentendosi<br />
preso in trappola a causa di un equivoco,<br />
massacra un’intera famiglia. La tragedia è<br />
resa ancora più sinistra dalla presenza di<br />
Tina, una giovane donna incinta trascinata<br />
suo malgrado in questa vicenda allucinante<br />
dalla follia paterna. Charlie,<br />
complice e genero di Gennaro, si rende<br />
perfettamente conto della pazzia del suocero<br />
ma non può che assistere impotente<br />
al precipitare degli eventi verso il tragico<br />
finale. Scerbanenco ha sempre prestato<br />
particolare attenzione alla psicologia dei<br />
personaggi, anche quando si tratta di criminali,<br />
descrivendoli con acume e partecipazione<br />
in tutti i loro risvolti, dai più<br />
umani ai più efferati.<br />
Il tempo<br />
Il racconto è costruito mediante<br />
il montaggio di due tempi diffe-<br />
V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />
renti, quello “dentro” la villa e quello<br />
“fuori”. Nel tempo di “fuori” il giovane<br />
Fiorello annaspa freneticamente per compiere<br />
il suo incarico, in quello di “dentro”<br />
la tensione aumenta in un crescendo parossistico.<br />
Sono due dimensioni temporali<br />
non comunicanti, e soltanto al lettore è<br />
dato di percepirne la giustapposizione,<br />
che genera una forte carica di suspense.<br />
La banalità dei disguidi all’origine del<br />
massacro stride con il clima di cupa angoscia<br />
e di tensione che regna all’interno<br />
della villa.<br />
Lo spazio<br />
A un tempo di “dentro” e un<br />
tempo di “fuori” corrispondono altrettante<br />
dimensioni spaziali. Benché la storia<br />
sia ambientata presso Napoli, “fuori” fa<br />
freddo e tira vento. “Dentro”, nel chiuso<br />
di una fatiscente villa settecentesca in attesa<br />
di restauri, il luogo appare oscuro e<br />
minaccioso, e man mano si trasformerà in<br />
uno spazio claustrofobico e ossessivo, un<br />
teatro di morte.<br />
Le tecniche<br />
narrative<br />
Prevale il dialogo diretto, insistito e martellante,<br />
fatto per lo più di domande seccamente<br />
perentorie e risposte ossequienti<br />
o imbarazzate. Il ritmo incalzante e dinamico<br />
della narrazione contrasta con l’atmosfera<br />
del racconto, sostanzialmente<br />
“nera” e immobile. L’unico svolgimento<br />
riguarda il lettore, al quale Scerbanenco,<br />
con un sapiente uso della dilazione, somministra<br />
la realtà dei fatti a piccole dosi,<br />
poco per volta.
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
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DOMANDE DI VERIFICA<br />
Dalle azioni compiute nel corso del racconto, ritieni che il ragazzo napoletano messo dagli ‘amici’ a disposizione<br />
dei boss newyorkesi sia:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
incapace di eseguire i compiti che gli sono stati affidati<br />
troppo emotivo per mantenere la calma in una situazione di pericolo<br />
troppo innamorato per essere obiettivo nelle decisioni<br />
succube senza capacità di reazione rispetto ai gangster<br />
Servendoti di tutto quanto puoi ricavare dal testo nel suo complesso, che cosa rivela del personaggio l’affermazione<br />
che “Gennaro risolveva tutto sparando. Anche quando parlava senza puntare la rivoltella era<br />
implicito che se qualcuno non fosse stato del suo parere, avrebbe sparato”?<br />
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Nel corso della narrazione uno degli episodi più drammatici e violenti è quello della morte di Tina. Quali<br />
aspetti la rendono particolarmente cruda, sia a livello descrittivo, sia di significato?<br />
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L’ambientazione della villa risulta così fatiscente perché:<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
intende conferire al racconto un’atmosfera di paura<br />
costituisce uno spazio chiuso e separato rispetto all’esterno in cui si trova la minaccia della polizia<br />
fa intendere che altrettanto traballante è l’agire dei gangster, solo apparentemente minacciosi<br />
diventa uno spazio simbolico della rovina che incombe su tutti i personaggi del racconto<br />
Nella fiducia data e tradita risiede uno degli aspetti fondamentali del racconto. Facendo riferimento a tutti<br />
gli elementi che ritieni necessari, prova a descrivere in quale modo viene vissuto questo legame dai personaggi<br />
della storia.<br />
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Provando a riflettere sul racconto nel suo complesso, trovi che la conclusione sia significativa e adeguata<br />
a esplicitare il senso della vicenda narrata? Giustifica, argomentandola, la tua risposta.<br />
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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010