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pag. 1-75 OCSE-PISA:05-P427-445 verde acido - Sei

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introduzione<br />

L’USO SCRITTO DELLA LINGUA<br />

Scrivere è sempre nascondere qualcosa<br />

che venga poi scoperto<br />

(I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cap. VIII)<br />

La lingua scritta è il mezzo privilegiato per comunicare con interlocutori<br />

lontani nello spazio e per garantire al messaggio di un testo una durata nel<br />

tempo: questo è la ragione d’essere di un’antologia, che non a caso propone<br />

testi scritti particolarmente significativi e forieri di un “messaggio centrale” (di<br />

cui abbiamo parlato a p. 132 del volume A di Trame).<br />

Già, ma nell’antologia la lingua scritta viene proposta soprattutto:<br />

• per essere compresa (non a caso esercizi di comprensione accom<strong>pag</strong>nano<br />

tutti i testi proposti);<br />

• per essere analizzata nelle sue diverse strutture narratologiche, retoriche, stilistiche;<br />

• infine per essere usata ai fini di produrre altri testi scritti, (spesso di tipologia<br />

e con finalità differenti, come avete potuto comprendere dalla varietà di<br />

testi e di tipologie narrative che Trame vi propone).<br />

Lo scopo di questo volumetto è quello di affinare le vostre competenze di<br />

lettori e scrittori: la vostra esperienza di lettori, infatti, sarà messa alla prova<br />

innanzi tutto per quanto riguarda una corretta comprensione, il primo, indispensabile<br />

gradino per poter poi diventare anche buoni “scrittori”. La vostra<br />

capacità di comprensione sarà messa alla prova attraverso delle tipologie di<br />

esercizio differenti (almeno in parte) da quelle a cui l’antologia vi ha abituato:<br />

si tratta delle tipologie <strong>OCSE</strong>-<strong>PISA</strong>, le cui caratteristiche e finalità vengono<br />

spiegate a p. 00 (questa sarà, tra l’altro, per voi l’occasione di poter godere della<br />

lettura di sei nuovi racconti integrali).<br />

A partire dalla vostra accertata (secondo metodi internazionali) competenza di<br />

lettori, si può passare alla fase della scrittura.<br />

Questo avverrà - attraverso quattro sezioni - in due tempi:<br />

• dapprima – dopo una “palestra di prescrittura” – proveremo ad applicare<br />

praticamente alcune delle tecniche che avete studiato nella prima parte del<br />

volume A di Trame: il fine dell’antologia è infatti quello che voi sappiate riconoscerle<br />

leggendo testi di altri scrittori, così da diventare “lettori esperti”.<br />

Il fine di questo volume è di verificare se le conoscete così bene da poterle applicare.<br />

Non tutte, naturalmente, a meno che la vostra ambizione sia quella di<br />

diventare scrittori di professione;<br />

• il secondo passo è quello scrivere testi veri e propri, cosa che sicuramente<br />

già fate, ma questa “palestra di scrittura” ha il fine di insegnare a scrivere in<br />

modo meditato e razionale. Scrivere “facendosi capire” dai propri lettori<br />

non è così scontato. Saper comunicare è un’arte che si impara attraverso l’esercizio.<br />

Non a caso Vasilij Andreevi Žukovskij, un poeta russo del XIX secolo<br />

che di mestiere faceva il traduttore, diceva che “ciò che si scrive con fatica<br />

si legge con facilità”.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

1


2<br />

Il fine che vi proponiamo è dunque più modesto del diventare scrittori veri e<br />

propri ma molto utile ai fini pratici della scrittura nella vostra vita scolastica e<br />

nella vostra vita futura. Per questa ragione le sezioni finali del volume sono dedicate<br />

alla stesura:<br />

• del tema;<br />

• del testo argomentativo;<br />

• del saggio breve.<br />

Non passeremo in rassegna i vari tipi di testo (che avete già studiato alle scuole<br />

medie e, dopo l’uso del volume A di Trame pp. 684-709, dovreste aver approfondito<br />

e messo a punto), non riprenderemo scritture “tecniche” come il riassunto<br />

(che già trovate nel volume A di Trame a p. 156 e sgg.) rispetto al testo<br />

in prosa, o la parafrasi e il commento rispetto al testo in poesia (nel volume B<br />

a p. 73 e sgg.). Ci soffermeremo invece sull’abilità di scrittura, spesso, a torto,<br />

ritenuta un talento naturale ma che in realtà si apprende attraverso alcune strategie<br />

ed esercizi via via più complessi che vi condurranno a produrre testi sempre<br />

più chiari, comprensibili ed efficaci rispetto al tema trattato. Lo faremo,<br />

appunto, adottando le tecniche imparate nel volume A di Trame, cui spesso faremo,<br />

non a caso, riferimento.<br />

Chiariamo allora il nostro scopo, che è quello di fare in modo che ogni testo<br />

scritto da voi prodotto abbia come requisiti di essere chiaro, corretto,<br />

comprensibile, interessante.<br />

Tutti voi potete diventare dei buoni “autori” se avrete la pazienza di seguire il<br />

percorso che vi proponiamo: avrete l’opportunità di cimentarvi con testi creativi,<br />

espressivi, composti per lasciare spazio alla fantasia o per fissare sulla <strong>pag</strong>ina<br />

sentimenti e sensazioni del mondo interiore, vostro o dei personaggi che<br />

saprete inventare.<br />

Tutto questo sarà utilissimo ai fini di produrre testi destinati ai compiti scritti<br />

di lingua e letteratura italiana, dove vi rivolgete essenzialmente all’insegnante<br />

di italiano. Ma padroneggiare bene per iscritto la propria lingua madre è fondamentale<br />

per ogni disciplina scolastica e in tutte le situazioni della vita che richiedono<br />

un uso scritto della lingua.<br />

Basta avere, in ogni caso, ben chiari due aspetti, che non bisogna mai trascurare:<br />

a chi ci rivolgiamo<br />

qual è lo scopo per il quale scriviamo.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


Le prime<br />

indagini.<br />

La svolta degli<br />

anni Ottanta.<br />

LACOMPRENSIONE<br />

DELTESTO<br />

È solo di recente che nella scuola italiana si sono diffuse prove di verifica che<br />

fanno riferimento a organismi internazionali, ma in verità è già dalla metà dell’Ottocento<br />

che questo tipo di valutazioni era stato concepito e si era diffuso in<br />

molti paesi. L’origine di queste prove veniva dalla volontà di alcuni pedagogisti<br />

di conoscere i sistemi scolastici di altri popoli in modo più sistematico, cercando<br />

di superare l’occasionalità delle ricerche in proposito e tentando di raccogliere<br />

informazioni che consentissero di evidenziare analogie e differenze nei<br />

sistemi d’istruzione. L’obiettivo era molteplice, ma sostanzialmente era finalizzato<br />

alla conoscenza e alla comprensione del funzionamento dei sistemi scolastici<br />

per raggiungere le condizioni migliori di apprendimento e insegnamento,<br />

pur essendo molto complesso, certamente, costruire dei curricoli che<br />

permettessero di ottenere in modo attendibile una comparazione.<br />

La difficoltà che queste prime organizzazioni dovettero affrontare per realizzare<br />

i loro lavori non era solo concettuale, ma anche di natura economica, perché<br />

non riuscivano a coinvolgere istituzioni pubbliche o private per finanziare<br />

le loro ricerche. Tuttavia, negli anni Ottanta, quando divenne più chiaro per<br />

molti Stati che il rapporto costi-benefici nell’istruzione non era un passaggio<br />

trascurabile, vennero accolte con maggiore interesse le indagini valutative sui<br />

sistemi scolastici, per poter individuare la relazione più efficace tra investimenti<br />

nel settore dell’istruzione e la riuscita economica della formazione<br />

fornita. Le prime rilevazioni internazionali adattarono strumenti e procedure<br />

che erano già stati utilizzati in America, rivedendo i punteggi in relazione<br />

ai programmi dei diversi paesi interessati, ma questo sistema aveva evi-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

3


4<br />

A che cosa<br />

serve la scuola.<br />

Che cosa<br />

valuta <strong>PISA</strong>.<br />

Obiettivi del<br />

test, ambiti<br />

e tempi<br />

d’intervento.<br />

denti limiti, non foss’altro per la parzialità del parametro di riferimento; così<br />

dopo i primi strumenti messi a punto soprattutto dall’<strong>OCSE</strong> (Organizzazione<br />

per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 1997 ebbe inizio <strong>PISA</strong><br />

(Programme for International Student Assessment), che aveva l’obiettivo di<br />

fornire informazioni utili sui risultati dei sistemi d’istruzione per migliorare le<br />

politiche scolastiche. I lavori di <strong>PISA</strong> inoltre erano pensati con una cadenza regolare<br />

e ripetuta nel tempo, che si stabilì in cicli di quattro anni.<br />

Alla base dei test <strong>OCSE</strong> <strong>PISA</strong>, dunque, c’è la volontà di verificare in quale misura<br />

la scuola prepari i giovani ad affrontare la vita di cittadini e di lavoratori,<br />

proprio in un momento storico come questo, in cui l’offerta di lavoro implica<br />

una notevole mobilità e la necessità di un apprendimento continuo. <strong>PISA</strong> ritiene<br />

che nelle attuali condizioni sociali e culturali non sia più utile una scuola finalizzata<br />

alla sola trasmissione di contenuti, ma piuttosto a mettere in condizione gli<br />

studenti di applicare ciò che hanno appreso per affrontare (e risolvere) i problemi<br />

della vita reale. La scuola deve quindi preparare a sapere e saper fare,<br />

abilità che si sostituiscono alla precedente idea di una scuola trasmettitrice di<br />

conoscenze, promuovendo un’idea di scuola come luogo formativo che stimola<br />

le capacità e le motivazioni necessarie per continuare ad apprendere tutta la vita.<br />

Da tutto ciò risulta chiaro che <strong>PISA</strong> valuta la scuola in base a un criterio<br />

esterno ad essa – di carattere politico ed economico – e non sulla base del<br />

possesso di conoscenze: la scuola deve essere in grado di lavorare sulla literacy,<br />

ovvero sulla capacità degli studenti di ricercare, identificare, elaborare informazioni<br />

e comunicare i propri ragionamenti su di esse.<br />

LA REALIZZAZIONE DEL TEST<br />

Il progetto <strong>PISA</strong> è frutto di una collaborazione di molti organismi diversi e dirige<br />

la sua indagine su numerosi paesi del mondo: al test del 2006 hanno aderito 57<br />

nazioni e 62 a quello del 2009. Il lavoro ha sostanzialmente tre obiettivi: il primo<br />

è di individuare indicatori comparabili a livello internazionale su studenti della<br />

stessa età (15 anni) per verificare se i sistemi di educazione siano capaci di<br />

preparare i giovani ad affrontare la vita civile e lavorativa; un secondo è<br />

quello di poter interpretare i dati ottenuti per mettere in atto politiche efficaci<br />

a livello di indicazioni ministeriali; un terzo infine è quello di monitorare gli<br />

sviluppi delle politiche educative stesse, qualora fossero state immesse delle<br />

riforme. Le discipline sulle quali <strong>PISA</strong> ha stabilito di operare sono l’abilità di<br />

lettura, la matematica, le scienze naturali. Ogni ciclo <strong>PISA</strong> si articola su quattro<br />

fasi che si svolgono nel corso di quattro anni: ideazione del test (primo anno),<br />

indagine pilota per affinare il test (secondo anno), somministrazione del test agli<br />

studenti dei paesi aderenti (terzo anno), preparazione dei risultati con elaborazione<br />

dei dati a livello nazionale e internazionale (quarto anno).<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


I test<br />

di lettura.<br />

Caratteristiche<br />

dei quesiti<br />

proposti.<br />

Formati<br />

di risposta.<br />

Per quanto riguarda l’abilità di lettura, ritenuta trasversale a molti ambiti e non<br />

solo propria della letteratura, <strong>PISA</strong> ha condotto un’ampia riflessione sulle situazioni<br />

di lettura distinguendone le tipologie principali: ad uso privato e<br />

personale; ad uso pubblico per partecipare a eventi della sfera civile; in contesto<br />

lavorativo, legata all’esecuzione di un compito; a fini educativi, per acquisire<br />

informazioni che vengono richieste da altri. Sulla base di queste tipologie,<br />

la prova <strong>PISA</strong> sulla lettura conterrà un racconto o un testo teatrale, che rispondono<br />

all’ambito della lettura personale, una lettura di carattere scolastico,<br />

che risponde alla tipologia di testo con fine educativo, un foglio informativo,<br />

che si riferisce a un contesto lavorativo, una lettura a uso pubblico. Il<br />

formato dei testi potrà essere – per soddisfare tutte le tipologie possibili – sia<br />

continuo (testi in prosa: narrativi, espositivi, descrittivi, argomentativi, di<br />

istruzioni, documenti o atti ufficiali, ipertesti), sia non continuo (tabelle, moduli,<br />

figure, grafici, annunci e pubblicità, certificazioni). Si è aggiunta di recente<br />

un’ulteriore distinzione sulla modalità di lettura, che si divide tra lettura<br />

a stampa ed elettronica, perché a seconda del mezzo è diversa anche la modalità<br />

della lettura, che deve essere ugualmente padroneggiata dagli studenti.<br />

Le domande vengono costruite tenendo conto di tre aspetti che mirano a valutare<br />

la comprensione del testo stesso:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

individuare informazioni: cioè scorrere il testo, cercare, localizzare, selezionare<br />

l’informazione richiesta;<br />

comprendere il significato generale di un testo, considerandolo nel suo<br />

insieme: ad esempio indicare l’argomento principale, lo scopo dell’autore,<br />

trovare informazioni significative sia a livello implicito, sia a livello esplicito;<br />

riflettere sul testo e valutarlo, spiegando e difendendo il proprio punto di<br />

vista interpretativo, giustificato attraverso anche conoscenze extratestuali,<br />

in possesso dello studente.<br />

Dopo numerosi passaggi, <strong>PISA</strong> ha scelto di riferirsi alle seguenti cinque tipologie<br />

di domanda:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

e<br />

domande a risposta semplice (scelta tra quattro o cinque proposte);<br />

domande a scelta multipla complessa (costituite da una serie di Vero-<br />

Falso o a scelta multipla);<br />

domande aperte a risposta univoca (cioè con una sola risposta esatta che lo<br />

studente deve produrre o selezionare tra più alternative);<br />

domande aperte a risposta breve (lo studente può avere più risposte corrette);<br />

domande aperte a risposta articolata, in cui si deve fornire una risposta<br />

più estesa.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

5


6<br />

Scale<br />

di competenza<br />

di lettura.<br />

Numero dei<br />

quesiti e loro<br />

descrizione.<br />

Il contenuto<br />

di questo<br />

fascicolo.<br />

<strong>PISA</strong> ha immaginato una scala di classificazione della difficoltà delle domande<br />

sulla base della probabilità che ha uno studente di rispondere correttamente a<br />

una domanda che fa parte della prova. In questo modo vengono contemplate<br />

contemporaneamente sia la difficoltà dei quesiti sia l’abilità dello studente<br />

di rispondere ai quesiti. La divisione in scala è secondo un livello di difficoltà<br />

crescente, da 1 a 5, secondo questo criterio:<br />

• livello 1: si richiede al lettore di reperire informazioni in un punto preciso<br />

del testo o di cogliere l’idea principale se questa è ripetuta più volte;<br />

• livello 2: si chiede di cercare connessioni linguistiche o tematiche all’interno<br />

di un unico capoverso o di sintetizzare informazioni contenute in parti diverse<br />

del testo per dedurre lo scopo dell’autore;<br />

• livello 3: si chiede di individuare connessioni logiche all’interno del testo,<br />

esplicite o implicite, non necessariamente in un unico capoverso, per localizzare<br />

o valutare informazioni;<br />

• livello 4: si verifica che il lettore sappia seguire collegamenti linguistici o tematici<br />

lungo più capoversi per localizzare, interpretare e valutare informazioni<br />

di carattere astratto presenti nel testo, ma spesso non esplicitate chiaramente;<br />

• livello 5: si chiederà al lettore di sapere trovare una relazione tra specifiche<br />

porzioni di testo e il suo significato o scopo implicito.<br />

Nel test <strong>OCSE</strong> <strong>PISA</strong> ogni quesito, nella parte dedicata al docente, viene descritto<br />

secondo molti indicatori: il tipo di item proposto, la sua classificazione<br />

sulla scala, la sua valutazione in termini numerici (secondo un criterio che qui<br />

non abbiamo ricordato perché non utilizzato nel testo), la sua risposta corretta,<br />

quelle parzialmente corrette e quelle errate (nel nostro caso saranno presenti<br />

solo le risposte corrette). La quantità dei quesiti deve rispecchiare la presenza<br />

delle diverse tipologie e dei livelli di difficoltà.<br />

Sulla base di tutte le informazioni presentate nel corso di questa breve introduzione,<br />

che certo trascura molti dati (per esempio quelli inerenti ai testi<br />

non continui, o ai punteggi assegnati in seicentesimi ecc.) sono state predisposte<br />

le prove che seguono, costruite su sei racconti di autori e generi<br />

letterari diversi (non raggruppati per genere, ma presentati in ordine crescente<br />

di difficoltà), in modo da offrire un allenamento alle tipologie proposte<br />

dalle prove <strong>OCSE</strong> <strong>PISA</strong>. In coda ai racconti e alle verifiche sono stati<br />

predisposti i correttori con le indicazioni descrittive degli item. La valutazione<br />

delle abilità di lettura proposte da prove come quelle che seguono può<br />

anche essere intesa come una possibile indagine sulle abilità raggiunte all’interno<br />

di una scuola, intendendo ogni classe come un paese a sé, con partecipanti,<br />

abilità e metodi confrontabili e riferibili all’efficacia del lavoro<br />

dell’intero istituto.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


5<br />

anno 1955<br />

luogo<br />

Stati Uniti<br />

genere<br />

racconto<br />

fantastico<br />

John Steinbeck<br />

L’affare al n°7<br />

di rue de M...<br />

Presentazione dell’opera<br />

Steinbeck è stato uno dei più caratteristici rappresentanti della ripresa economica americana in letteratura, convinto della funzione<br />

di nuova responsabilità che in quegli anni si attribuiva allo scrittore e del forte impegno sociale che questa implicava. Il vigore, la<br />

verità e l’immediatezza con cui descriveva le drammatiche vicende del mondo rurale della California gli attirarono le simpatie del<br />

pubblico e della critica anche fuori dagli Stati Uniti, come dimostra l’ammirazione mostrata per lui, in Italia, da Pavese e Vittorini.<br />

Il periodo bellico, tuttavia, segnò una frattura nel mondo steinbeckiano: la società americana, nel dopoguerra ormai profondamente<br />

cambiata, stava avviandosi verso valori e modelli consumistici, lontani dalla visione della realtà che aveva così fortemente<br />

caratterizzato lo scrittore negli anni Trenta e Quaranta. L’affare al n° 7 di rue de M... appartiene al filone satirico e ironico di Steinbeck,<br />

rivolto per l’appunto contro questa nuova società, che lo scrittore coltivò a partire dagli anni Cinquanta.<br />

Esasperando le situazioni sino al punto di rottura, tramutando la piccola realtà in un mondo surreale, la sua satira insidiosa<br />

non risparmia nessuno: la nobiltà, la borghesia, il clero, i piccoli impiegati, le spie, i confidenti della polizia. Il suo atteggiamento<br />

è quello di chi, fingendosi un cittadino rispettoso e conformista, recita una falsa obbedienza, un falso perbenismo, ma attraverso<br />

la deferenza clownesca mostra il ridicolo delle convenzioni e delle norme.<br />

John Steinbeck<br />

Nato a Salinas nel 1902, crebbe nella cam<strong>pag</strong>na californiana, sfondo di molti<br />

suoi lavori. Nel 1919-25 frequentò saltuariamente la Stanford University e nel<br />

1925-35 fu occupato nei più disparati lavori manuali oltre che nelle prime<br />

prove narrative, che coincidono con la grande crisi economica del 1929 e il successivo<br />

rilancio. Il suo primo libro importante è la raccolta di racconti I pascoli<br />

del cielo (1932), seguito da Al dio sconosciuto (1933), nei quali lo scrittore sviluppa<br />

quella che rimarrà la sua tematica caratteristica, il rapporto tra l’uomo e<br />

la terra in California. Dopo un primo romanzo di grande successo, Pian della<br />

Tortilla (1935) di tono picaresco, decide per una scrittura sempre più aspra e<br />

polemica. Così è in La battaglia (1936), storia di uno sciopero di lavoratori agricoli,<br />

e soprattutto in Uomini e topi (1937), tragica storia di due braccianti in cerca di lavoro, e in Furore<br />

(1939), che narra la disperata migrazione di una famiglia dell’Oklahoma verso una California dominata da<br />

strutture agrarie di tipo feudale. Furore ricevette nel 1940 il premio Pulitzer e diventò, nella trasposizione<br />

di John Ford, un classico del cinema americano. Dopo essersi trasferito a New York, Steinbeck passò parte<br />

della guerra in Europa come corrispondente per il «New York Herald Tribune». Di argomento bellico è la<br />

commedia La luna è tramontata (1942), ambientata nella Norvegia occupata dai nazisti. Dopo alcuni altri<br />

romanzi, tornò al grande successo internazionale con La valle dell’Eden (1952), moderna trasposizione<br />

della vicenda di Caino e Abele, oggetto di una fortunata versione cinematografica di Elia Kazan. Nell’ultima<br />

fase della sua produzione acquistano maggiore rilievo i motivi ironici e satirici: Quel fantastico giovedì<br />

(1954); Il breve regno di Pipino IV (1957); L’inverno del nostro scontento (1961) e il tema del viaggio<br />

(Viaggio con Charley, 1962). Nel 1962 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura. Morì a New York<br />

nel 1968.<br />

vevo sperato di sottrarre alla curiosità del pubblico gli eventi piut-<br />

A<br />

tosto curiosi che, da un mese a questa parte, m’hanno dato qualche<br />

preoccupazione. Sapevo, naturalmente, che nel vicinato si facevano<br />

molte chiacchiere. Mi erano perfino giunte all’orecchio alcune delle<br />

versioni distorte che circolavano nel quartiere: storie, mi affretterò ad ag-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

7


8<br />

1. Si definisce quarto<br />

potere la capacità che<br />

hanno i mezzi di<br />

comunicazione di massa<br />

di influenzare l’opinione<br />

pubblica.<br />

2. È la linea di discendenza<br />

attraverso cui una famiglia<br />

continua la sua storia;<br />

si usa normalmente per<br />

indicare la discendenza<br />

di una casata nobiliare.<br />

3. La casata dei Borboni<br />

salì al trono di Francia<br />

nel 1589 e vi rimase fino<br />

all’800, poco prima della<br />

dichiarazione della<br />

repubblica.<br />

4. Si tratta di una parola<br />

s<strong>pag</strong>nola che significa<br />

appassionato o amante<br />

di qualcosa, in questo caso<br />

della gomma americana.<br />

10<br />

15<br />

20<br />

25<br />

30<br />

35<br />

40<br />

45<br />

50<br />

giungere, in cui non c’era un briciolo di verità. Sia come sia, il mio desiderio<br />

di tenere la faccenda in privato è stato mandato in frantumi, ieri, dalla<br />

visita di due esponenti del quarto potere 1 , i quali mi hanno assicurato che la<br />

storia, o per meglio dire una storia, aveva oltrepassato i confini del mio arrondissement.<br />

In vista della pubblicità che ci sovrasta, ritengo mio dovere riferire gli autentici<br />

particolari di quegli avvenimenti che sono ormai noti come il Caso<br />

del N. 7 di Rue de M…, affinché sciocche assurdità non vadano ad aggiungersi<br />

a una serie di circostanze non prive di una certa bizzarria. Descriverò<br />

gli eventi come si svolsero, senza commenti, permettendo così al pubblico<br />

di giudicare da sé la situazione.<br />

All’inizio dell’estate mi trasferii con la mia famiglia a Parigi e presi alloggio<br />

in una graziosa casetta al N. 7 di Rue de M...: un edificio che, in altra<br />

epoca, era stato la scuderia della grande casa che sorge lì accanto. L’intera<br />

proprietà è ora posseduta, e in parte abitata, da una nobile famiglia francese,<br />

di antichità e lignaggio 2 tali che i suoi membri si ostinano a considerare<br />

inaccettabile la pretesa dei Borboni 3 al trono di Francia.<br />

In quella graziosa stalla rimodernata, con tre piani di stanze sovrastanti un<br />

ben pavimentato cortile, portai la mia famigliola, formata da mia moglie,<br />

dai miei tre figli (due ragazzetti e una signorinella) e, naturalmente, dal sottoscritto.<br />

Il nostro personale, in aggiunta alla custode che, come saprete, è<br />

compresa nella casa, è composto da una cuoca francese di grande abilità, da<br />

una cameriera s<strong>pag</strong>nola e dalla mia segretaria, una ragazza di nazionalità<br />

svizzera i cui vertici di capacità e ambizione sono uguagliati soltanto dalle<br />

sue vette morali. Questo, dunque, era il nostro piccolo gruppo familiare<br />

quando gli eventi di cui sto per farvi la cronaca ci piovvero tra capo e collo.<br />

Se qualcuno deve avere un influsso su questa faccenda, non posso proprio<br />

far altro che addossarne non dico la colpa ma piuttosto la paternità, sia<br />

pure innocente, al mio figliolo minore John, che soltanto di recente ha<br />

compiuto gli otto anni: un bambino vivace, di singolare bellezza e dalla robusta<br />

dentatura.<br />

Questo giovanotto, durante i sette anni passati in America, è diventato non<br />

dirò proprio un vizioso ma piuttosto un aficionado 4 di quella strana abitudine<br />

americana che consiste nel «masticare la cicca», e uno degli aspetti<br />

piacevoli della nostra primavera parigina stava nel fatto che il cadetto John<br />

avesse trascurato di portare con sé, dall’America, parte di quell’atroce sostanza<br />

gommosa. La dizione del bambino divenne più chiara e non più inceppata<br />

e dai suoi occhi scomparve l’espressione da ipnotizzato.<br />

Ahimè, quella deliziosa situazione non doveva protrarsi a lungo. Un vecchio<br />

amico di famiglia, che si trovava a viaggiare in Europa, portò in regalo<br />

ai bambini una provvista più che adeguata di quell’ignobile gomma; convinto<br />

di usare loro una gentilezza. Di conseguenza, tornò a insediarsi l’antico<br />

stato di cose. Le parole si aprivano un umido varco attorno a un grosso<br />

gnocco di gomma ed emergevano con il rumore di un sifone difettoso. Le<br />

mascelle erano costantemente in moto, dando alla faccia, nella migliore<br />

delle ipotesi, un’espressione tormentata, mentre gli occhi assumevano un<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


55<br />

60<br />

65<br />

70<br />

<strong>75</strong><br />

80<br />

85<br />

90<br />

95<br />

che di vitreo, come quelli di un maiale cui di recente fosse stata recisa la<br />

giugulare 5 . Poiché sostengo che i bambini non vadano inibiti, mi rassegnai<br />

a un’estate non così piacevole come a tutta prima avevo sperato.<br />

Ci sono momenti in cui non seguo la mia consueta teoria del laissez-faire 6 .<br />

Quando compongo il materiale per un libro, o per un lavoro teatrale, o per<br />

un saggio, quando, in una parola, è richiesto il massimo della concentrazione,<br />

ecco che tendo a imporre regole tiranniche in nome della mia personale<br />

comodità ed efficienza. Una di queste norme è che non ci siano né<br />

masticamenti né esplosioni di bolle, mentre io mi sforzo di concentrarmi.<br />

Questa regola è stata compresa in modo così compiuto dal cadetto 7 John,<br />

che egli l’accetta come una delle tante leggi di natura e non tenta né di protestare<br />

né di sottrarvisi. È suo piacere, e mio conforto, che mio figlio venga<br />

talvolta nella mia stanza di lavoro, dove per un certo tempo siede tranquillamente<br />

accanto a me. Sa che deve starsene in silenzio e, dopo essersi trattenuto<br />

tanto a lungo quanto il suo carattere glielo consente, se ne va in<br />

punta di piedi, lasciando entrambi arricchiti da quella tacita vicinanza.<br />

Due settimane fa, nel tardo pomeriggio, sedevo al mio tavolo di lavoro, intento<br />

a un breve saggio per il Figaro Littéraire 8 , saggio che in seguito fece<br />

sorgere qualche controversia, essendo stato pubblicato con il titolo «Sartor<br />

Resartus» 9 . Ero arrivato a quel passaggio che riguarda l’abbigliamento più<br />

consono per l’anima quando, con mia meraviglia e disappunto, udii l’inconfondibile<br />

suono, molle ed esplosivo insieme, di un pallone di gomma da<br />

cicche che si rompe. Guardai severamente il mio rampollo e vidi che masticava<br />

a tutt’andare. Le guance erano rosse per l’imbarazzo e i muscoli<br />

delle mascelle sporgevano rigidamente in fuori.<br />

«Conosci la regola», dissi, in tono gelido.<br />

Con mio stupore, negli occhi gli spuntarono le lagrime e, mentre le mandibole<br />

continuavano a masticare di lena, la vocetta biascicante si fece strada<br />

oltre il grosso bolo di gomma che riempiva la bocca.<br />

«Non sono stato io», gridò John.<br />

«Come sarebbe a dire, non sei stato tu?» lo investii, irritato. «Ho sentito<br />

benissimo, come ora vedo benissimo che mastichi».<br />

«Oh, papà!» gemette lui. «È vero, ti dico. Non sono io che la mastico, è lei<br />

che mastica me».<br />

Per un momento, lo scrutai negli occhi, da vicino. È un bambino onesto e<br />

soltanto quand’è pressato da un interesse assai più forte di lui permette a se<br />

stesso una bugia. Mi nacque l’orribile sospetto che la cicca avesse avuto finalmente<br />

partita vinta e che la ragione di mio figlio stesse vacillando. In tal<br />

caso, era meglio procedere con le buone. Mostrai pazientemente il palmo<br />

della mano. «Posala qui», dissi.<br />

Coraggiosamente, il mio bambino tentò di districare il bolo di gomma<br />

dalle mascelle. «Non vuole lasciarmi andare, papà», farfugliò.<br />

«Apri bene», dissi; poi, infilandogli le dita in bocca, m’impossessai del<br />

grosso gnocco di gomma e, dopo una lotta in cui le mie dita continuavano<br />

a scivolare e a perdere la presa, riuscii a estrarlo e a deporre l’orribile viscosità<br />

molliccia sulla scrivania, in cima a una risma di carta bianca.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

9<br />

5. È uno dei modi usati per<br />

uccidere un maiale, ovvero<br />

quello di tagliare la vena<br />

giugulare al collo.<br />

L’animale muore in pochi<br />

secondi.<br />

6. In francese “lasciar<br />

fare”; come già dichiarato<br />

poco sopra il protagonista<br />

del racconto preferisce non<br />

dare troppi divieti ai figli,<br />

ad eccezione di alcune<br />

poche regole.<br />

7. Cadetto indica il figlio<br />

maschio non primogenito<br />

all’interno di una famiglia<br />

nobile. Il termine è usato<br />

qui in modo ironico.<br />

8. Le Figaro è un<br />

quotidiano francese, di<br />

antica fondazione (1826);<br />

Le Figaro littéraire dal<br />

1946 è un settimanale<br />

gratuito, pubblicato in<br />

aggiunta al quotidiano in<br />

cui compaiono articoli di<br />

letteratura, filosofia, critica<br />

teatrale cinematografica,<br />

racconti, ecc.<br />

9. Sartor resartus (Il sarto<br />

rappezzato) è il titolo<br />

di un’opera scritta da<br />

T. Carlyle nel 1836, in cui<br />

l’autore costruisce una<br />

singolare filosofia degli<br />

abiti, per riflettere su ciò<br />

che è essenziale e ciò che<br />

è superfluo, su ciò che<br />

condiziona le abitudini<br />

umane e il giudizio sociale.


10<br />

10. Si tratta di un<br />

organismo che vive<br />

in acqua, con<br />

un’organizzazione<br />

monocellulare, dalla forma<br />

ovale la cui superficie<br />

è ricoperta da ciglia<br />

attraverso le quali<br />

il paramecio si sposta.<br />

100<br />

1<strong>05</strong><br />

110<br />

115<br />

120<br />

125<br />

130<br />

135<br />

140<br />

Per un attimo, parve rabbrividire là sul foglio candido; poi, con tranquilla<br />

lentezza, cominciò a ondularsi, a gonfiarsi e rimpicciolirsi con l’esatto movimento<br />

di una masticazione in atto, mentre mio figlio e io osservavamo<br />

con gli occhi fuori della testa.<br />

Per un pezzo la osservammo, mentre io esploravo la mia mente, in cerca di<br />

una possibile spiegazione. O io stavo sognando, oppure qualche principio finora<br />

sconosciuto aveva eletto a sua sede la cicca di gomma che pulsava sulla<br />

mia scrivania. Non sono un ottuso. Mentre consideravo quella cosa indecente,<br />

centinaia di piccoli pensieri e barlumi di comprensione saettavano attraverso il<br />

mio cervello. Alla fine domandai: «Da quanto tempo ti stava “masticando”?».<br />

«Fino da ieri sera», rispose lui.<br />

«E quando ti sei accorto di questa… propensione da parte sua?».<br />

Parlò con assoluto candore. «Ti prego di credermi, papà», disse. «Ieri sera,<br />

prima di addormentarmi, l’ho messa sotto il cuscino, come faccio sempre.<br />

Di notte mi sono svegliato e ho scoperto che l’avevo in bocca. L’ho rimessa<br />

sotto il cuscino e stamattina l’avevo di nuovo in bocca, distesa sulla lingua.<br />

Quando, però, mi sono sentito completamente sveglio, ho avuto l’impressione<br />

di un lieve movimento e subito dopo mi sono accorto che non ero più<br />

io il padrone della gomma. Si era messa a fare di testa sua. Ho cercato di<br />

togliermela di bocca, papà, e non ci sono riuscito. Tu stesso, con tutta la tua<br />

forza, hai visto com’è stato difficile estrarla. Sono venuto nella tua stanza<br />

da lavoro per aspettare che ti riposassi un momento, perché volevo metterti<br />

al corrente delle mie difficoltà. Oh, papà, che cosa pensi che sia successo?».<br />

L’immonda cosa teneva prigioniera tutta la mia attenzione.<br />

«Devo riflettere», dissi. «Siamo in presenza di un fenomeno un po’ fuori<br />

dell’ordinario, e ritengo che non si debba accantonarlo così, senza indagarci<br />

su».<br />

Mentre parlavo, nella gomma sopravvenne un cambiamento. Cessato di<br />

«masticare» se stessa, per un poco parve riposarsi; poi, con un movimento<br />

fluido, come quegli esseri monocellulari dell’ordine Paramecium 10 ,la<br />

gomma scivolò attraverso la scrivania, nella direzione di mio figlio. Per un<br />

attimo lo stupore mi colpì e per un intervallo anche più lungo non afferrai<br />

il vero intento della gomma. La vidi cadere sul ginocchio di John, arrampicarsi<br />

orridamente su per il davanti della maglietta. Soltanto allora capii.<br />

Stava tentando di ritornargli in bocca. Lui la guardava salire, paralizzato<br />

dal terrore.<br />

«Ferma!» gridai, perché mi ero reso conto che il mio terzogenito era in<br />

pericolo, e in momenti simili sono capace di una violenza che rasenta la<br />

furia omicida. Afferrai il mostro sul mento del piccolo e, uscendo a grandi<br />

passi dal mio studio, entrai nel salone, aprii la finestra e scagliai la cosa tra<br />

il pesante traffico della Rue de M…<br />

Ritengo doveroso, per un genitore, dissipare, quand’è possibile, quegli<br />

choc che potrebbero causare incubi o traumi. Ritornai nel mio studio e trovai<br />

il piccolo John seduto dove l’avevo lasciato. Fissava nel vuoto.<br />

«Figliolo», dissi, «tu e io abbiamo visto qualcosa che, pur avendo la certezza<br />

che sia accaduta, troveremmo difficile descrivere ad altri con qualche<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


145<br />

150<br />

155<br />

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1<strong>75</strong><br />

180<br />

185<br />

probabilità di riuscirci. Ti prego di immaginare la scena se noi raccontassimo<br />

questa storia agli altri componenti della famiglia. Temo immensamente<br />

che diventeremmo lo zimbello di tutta la casa».<br />

«Sì, papà», disse lui, passivo.<br />

«Ragion per cui intendo proporti, figlio mio, di seppellire entrambi l’episodio<br />

in fondo alla nostra memoria e di non farne mai parola a nessuno,<br />

finché vivremo». Aspettai il suo assenso e, poiché non veniva, lanciai<br />

un’occhiata al suo faccino e lo vidi completamente devastato dall’orrore.<br />

Pareva che gli occhi volessero schizzargli dalla testa. Seguii la direzione del<br />

suo sguardo. Sotto la porta, si stava infiltrando un foglio bianco, sottile<br />

come carta, che, una volta entrato nella stanza, crebbe fino a diventare una<br />

bolla grigiastra e rimase là sul tappeto, a pulsare e a contrarsi. Dopo qualche<br />

istante si mosse di nuovo per progressione pseudopodiana 11 , avanzando<br />

verso mio figlio.<br />

Mi precipitai, lottando per non lasciarmi sopraffare dal panico. L’afferrai e<br />

la scaraventai sulla mia scrivania; poi, agguantata, tra i molti trofei che<br />

adornavano le pareti, una mazza di guerra africana, letale strumento irto di<br />

punte, battei la gomma fino a rimanere io senza fiato ed essa ridotta a un<br />

lacero pezzo di sostanza plastica. Nell’attimo stesso in cui mi riposai, la vidi<br />

raccogliersi su se stessa e, per alcuni momenti, contrarsi rapidamente quasi<br />

stesse ridendo della mia rabbia e impotenza, e poi muoversi inesorabilmente<br />

verso mio figlio, che a questo punto si era rincantucciato in un angolo,<br />

gemente di terrore.<br />

Ora una gelida calma si era impossessata di me. Raccolsi la sudicia cosa,<br />

l’avvolsi nel fazzoletto, uscii di casa, percorsi tre isolati fino alla Senna e<br />

scagliai il fazzoletto nella pigra corrente del fiume.<br />

Passai buona parte del pomeriggio a calmare il mio figliolo e a cercar di<br />

convincerlo che non aveva più niente da temere. Ma era tale il suo nervosismo<br />

che la sera dovetti dargli mezza tavoletta di sonnifero per farlo addormentare,<br />

mentre mia moglie insisteva perché telefonassi al medico.<br />

Non osavo, quella sera, dirle perché non potevo obbedire al suo desiderio.<br />

Durante la notte, venni svegliato – anzi, venne svegliata l’intera casa – da<br />

un urlo soffocato e atterrito, che arrivava dalla camera dei bambini. Infilai<br />

le scale a due gradini alla volta e irruppi nella camera, facendo scattare<br />

contemporaneamente l’interruttore della luce. John sedeva in mezzo al<br />

letto, urlante, mentre con le dita si tormentava la bocca semiaperta,<br />

bocca che, orridamente, continuava a masticare. Mentre guardavo, una<br />

bolla emerse tra le dita infantili e scoppiò con un umido e viscido<br />

«plop».<br />

Che speranza c’era di conservare il nostro segreto, ormai? Bisognò spiegare<br />

ogni cosa; ma, con la scoppiettante gomma inchiodata a un tagliere<br />

per mezzo di un punteruolo del ghiaccio, la spiegazione risultò più facile<br />

del previsto. E sono orgoglioso dell’aiuto e del conforto che mi venne dato.<br />

Non c’è forza che valga la solidarietà di una famiglia unita. La nostra cuoca<br />

francese risolse il problema col rifiutarsi di crederci, perfino dopo averlo<br />

11<br />

11. Si dice così<br />

l’andamento di alcuni<br />

organismi monocellulari<br />

(ad esempio le amebe)<br />

che circondano<br />

e inglobano le prede<br />

per farne il proprio cibo.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


12<br />

12. La Michelin è una<br />

famosa ditta produttrice di<br />

pneumatici per automezzi.<br />

13. Il terrier è una<br />

particolare razza di cani da<br />

caccia specializzati nella<br />

ricerca di animali selvatici,<br />

specie nelle tane<br />

sotterranee.<br />

190<br />

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200<br />

2<strong>05</strong><br />

210<br />

215<br />

220<br />

225<br />

230<br />

visto con i suoi occhi. Non era una cosa ragionevole, ci spiegò, e lei era un<br />

essere ragionevole di una ragionevole razza. La cameriera s<strong>pag</strong>nola ordinò<br />

e <strong>pag</strong>ò un esorcismo al parroco che, pover’uomo, dopo due ore di strenui<br />

tentativi se ne andò, mormorando che la questione riguardava più lo stomaco<br />

che non l’anima.<br />

Per due settimane, fummo assediati dal mostro. Lo bruciammo nel caminetto,<br />

facendolo sfrigolare tra azzurre lingue di fuoco fino a fondersi in una<br />

repellente porcheriola confusa tra la cenere. Prima che spuntasse il mattino,<br />

era già strisciata attraverso il buco della serratura della stanza dei<br />

bambini e ancora una volta venimmo strappati al sonno dalle urla del Cadetto.<br />

Disperato, mi portai con l’auto in piena cam<strong>pag</strong>na e la gettai dal finestrino<br />

della macchina. Il mattino dopo era di ritorno. Evidentemente, era strisciata<br />

fino all’autostrada e si era collocata lungo il flusso del traffico verso<br />

Parigi, finché era stata raccolta da un pneumatico. Quando la estirpammo<br />

dalla bocca di John, aveva ancora impressa l’impronta di un battistrada Michelin<br />

12 .<br />

Fatica e avvilimento finiscono alla lunga per farsi sentire. Esausto, sentendo<br />

che la mia volontà di lottare si era afflosciata e dopo che avevamo<br />

tentato tutti i mezzi possibili e immaginabili per distruggere la cicca, la<br />

posai alla fine sotto una campana di vetro che uso, in genere, per proteggere<br />

il mio microscopio. Poi crollai in poltrona e rimasi a osservare la nemica<br />

con occhi stanchi ed espressione disfatta. John dormiva nel suo lettino<br />

sotto l’effetto dei sedativi, effetto rinforzato dalla mia promessa che non<br />

avrei mai perso di vista la Cosa.<br />

Accesi la pipa e mi disposi alla sorveglianza. Dentro la campana di vetro,<br />

il grigio gnocco coperto di escrescenze si spostava inquieto, alla ricerca<br />

di una via per uscire dalla sua prigione. Di tanto in tanto si fermava,<br />

come soprappensiero, ed emetteva una bolla nella mia direzione. Sentivo<br />

benissimo l’odio che aveva per me. Nella mia stanchezza, scoprii<br />

che la mia mente scivolava in un’analisi che fino a quel momento mi era<br />

sfuggita.<br />

Sul retroscena di quella realtà, mi ero soffermato solo affrettatamente. La<br />

spiegazione doveva essere che, grazie a una costante associazione con la<br />

vita lambente rappresentata da mio figlio, la magia dell’esistenza si era trasmessa<br />

alla gomma. E, con la vita, era venuta l’intelligenza: non l’intelligenza<br />

maschia e aperta del ragazzo, ma un’astuzia perfida e calcolatrice.<br />

Come poteva essere diversamente? L’intelligenza, senza l’anima a farle da<br />

contrappeso, deve di necessità essere malvagia. La gomma non aveva assorbito<br />

alcuna parte dell’anima di John.<br />

Benissimo, stabilì la mia mente, ora che abbiamo un’ipotesi delle origini,<br />

vediamo di considerarne la natura. Che cosa pensa? Che cosa vuole? Di<br />

che cosa ha bisogno? La mia mente spiccava balzi da terrier 13 . Ha bisogno,<br />

si diceva, di ritornare nel suo ospite, mio figlio, e vuole assolutamente<br />

tornarci. Vuole essere masticata. Dev’essere masticata per sopravvivere.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


235<br />

240<br />

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270<br />

2<strong>75</strong><br />

Dentro la campana di vetro, la gomma inserì un sottile cuneo della propria<br />

sostanza sotto la pesante base di vetro e spinse in modo tale che l’intero<br />

vaso si sollevò di alcuni millimetri. Risi, nel ficcarla sotto di nuovo. Risi<br />

con un senso di trionfo quasi folle. Avevo trovato la soluzione.<br />

In sala da pranzo, mi procurai un piatto di plastica, dalla dozzina di simili<br />

stoviglie che mia moglie aveva acquistato per le merende all’aperto.<br />

Poi, capovolgendo la campana e tenendo il mostro compresso sul<br />

fondo, cosparsi la bocca del vaso di pesante cemento da presa 14 , garantito<br />

a prova d’acqua, d’alcool e di acidi. Pressai il piatto contro l’apertura<br />

e ve lo tenni premuto finché l’adesivo fece presa, incollando per<br />

sempre il piatto al vetro, formando un contenitore a perfetta tenuta. Infine<br />

rimisi la campana di vetro nella posizione originale e regolai la<br />

lampada da tavolo in modo da poter osservare ogni movimento della<br />

mia prigioniera.<br />

Di nuovo essa si mise a esplorare il cerchio di base, alla ricerca di una via<br />

per fuggire. Poi si collocò in modo da fronteggiarmi ed emise, rapida, un<br />

gran numero di bolle. Udivo i suoi brevi, scoppiettanti «plop» attraverso il<br />

vetro.<br />

«Ti tengo, bellezza», gridai. «<strong>Sei</strong> in trappola, finalmente».<br />

Questo accadeva una settimana fa. Da allora non mi sono mai mosso dalla<br />

poltrona vicino alla campana di vetro, e al massimo ho distolto un attimo lo<br />

sguardo per accettare una tazza di caffè. Quando devo andare in bagno,<br />

mia moglie siede lì a darmi il cambio.<br />

Posso ora riferire le seguenti, consolanti notizie. Nel corso del primo<br />

giorno e della prima nottata, la cicca di gomma americana tentò con ogni<br />

mezzo di fuggire. Poi, per un giorno e una notte parve agitata e nervosa,<br />

come se per la prima volta si rendesse conto della disperata situazione in<br />

cui si trovava. Il terzo giorno si rimise all’opera per tentare un movimento<br />

masticatorio, solo che l’azione era enormemente accelerata, ora, un po’<br />

come la masticazione di un tifoso di baseball. Il quarto giorno cominciò a<br />

indebolirsi e ora notavo con gioia una sorta di squamosa aridità sulla sua<br />

superficie un tempo così elastica e lustra.<br />

Siamo ormai al settimo giorno e ritengo che stia per avvicinarsi la fine. La<br />

gomma giace al centro del piatto. Il suo colore si è fatto livido e giallastro.<br />

Oggi, quando mio figlio è entrato nella stanza, la gomma ha dato un balzo<br />

di eccitazione; poi, è parsa rendersi conto di non avere alcuna speranza e si<br />

è afflosciata sul piatto. Stanotte morirà, penso, e soltanto allora scaverò una<br />

profonda buca in giardino, vi depositerò la campana di vetro sigillata e vi<br />

pianterò dei gerani.<br />

È mia speranza che questo resoconto possa finalmente far tacere alcune<br />

delle sciocche fandonie che sono state spacciate nel vicinato.<br />

L’affare al n° 7 di rue de M..., in “Il racconto”, I, n. 1, giugno 19<strong>75</strong><br />

13<br />

14. Cemento che è<br />

in grado di indurire molto<br />

rapidamente, usato<br />

normalmente per la<br />

costruzione dei muri.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


14<br />

STRUMENTI DI LETTURA<br />

La storia<br />

L’incipit è quello tipico di tanti<br />

racconti del soprannaturale e<br />

dell’orrore, inteso a rafforzare la “veridicità”<br />

di una vicenda che, dopo poche battute,<br />

si rivela invece fantastica. In questi<br />

casi il narratore premette che la storia che<br />

il lettore si sta accingendo a leggere è un<br />

resoconto di pura verità, essendone egli<br />

stato protagonista e testimone diretto, e<br />

che con il presente scritto intende dissipare<br />

gli equivoci intorno a una certa vicenda<br />

dai contorni oscuri. Sennonché,<br />

nello specifico, la minacciosa presenza all’origine<br />

della vicenda non si presenta<br />

sotto le sembianze di un’entità soprannaturale<br />

né come un’orripilante creatura generata<br />

dalle oscurità della terra e neppure<br />

nelle vesti di un sanguinario serial killer.<br />

Essa assume, in questo caso, la più inoffensiva<br />

sembianza immaginabile, quella di<br />

una minuscola, banale (benché, volendo,<br />

leggermente ripugnante) gomma da masticare.<br />

L’innocuo “vizio” di masticare la<br />

gomma, il chewing-gum americano, si trasforma<br />

però in un vero e proprio incubo,<br />

angoscioso e ossessivo, ancor più sconvolgente<br />

in quanto la vittima predestinata è il<br />

figlio del narratore stesso, un tenero<br />

bimbo di otto anni.<br />

Il personaggio<br />

narratore<br />

L’impressione di veridicità della vicenda è<br />

rafforzata dal fatto che l’io narrante sembra<br />

essere facilmente identificabile con la<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

figura dell’autore reale del racconto,<br />

John Steinbeck, il quale soggiornò ripetutamente<br />

a Parigi insieme alla famiglia.<br />

Il protagonista, infatti, è uno scrittore, e<br />

uno scrittore di successo, a giudicare dall’alto<br />

profilo residenziale della sua dimora<br />

parigina e dal numeroso seguito di<br />

persone di servizio. Inoltre, nella realtà,<br />

Steinbeck aveva effettivamente un figlio<br />

di nome John, nato nel 1946 e che perciò,<br />

all’epoca della stesura del racconto,<br />

aveva la stessa età del John masticatore di<br />

chewing-gum.<br />

Le tecniche<br />

narrative<br />

Benché il racconto sia costruito come<br />

un tipico racconto di “orrore quotidiano”<br />

e narri una vicenda angosciosa,<br />

nella quale un incubo ritorna ossessivamente<br />

ad assillare personaggi “reali” calati<br />

in una realtà quanto mai “normale”,<br />

il fatto che il “mostro” persecutore sia<br />

una banale gomma da masticare introduce<br />

una forte componente ironica e satirica.<br />

Siamo, anzi, in presenza di due<br />

piani di lettura ben distinti: il chewinggum,<br />

sembra voler suggerire l’autore,<br />

proprio per la sua banale inoffensività è<br />

il simbolo più adatto per esprimere le<br />

subdole insidie del moderno consumismo,<br />

che sotto apparenze allettanti insinua<br />

tra le pieghe della vita quotidiana, a<br />

partire da quella dei bambini, gli invisibili<br />

tentacoli della manipolazione psicologica<br />

di massa.


1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

15<br />

DOMANDE DI VERIFICA<br />

L’ambientazione del racconto pone i personaggi protagonisti in<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

Una casa in affitto in una località di villeggiatura in America.<br />

Una casa di Parigi, che faceva parte di una dimora storica.<br />

Una villa dei Borboni, a Parigi.<br />

In una non meglio identificata rue de M.., all’interno di una casa sconosciuta.<br />

Tra il saggio che sta scrivendo il protagonista della storia dal titolo Sartor Resartus e quanto accade<br />

a lui e al figlio si può dire ci sia una qualche corrispondenza?<br />

a No, le due vicende sono completamente diverse: in una si parla di abiti e nell’altra di un<br />

chewing-gum che non vuole smettere di essere masticato.<br />

b No, in una si parla di filosofia e nell’altra si fa il resoconto di un fatto reale.<br />

c Sì, si parla in entrambi della stessa questione ovvero di che cosa sia essenziale e cosa superfluo<br />

per gli uomini.<br />

d Sono simili almeno in alcune cose perché fanno riferimento alla difficoltà di raggiungere l’essenziale<br />

e di rifiutare le convenzioni sociali più inutili.<br />

Facendo riferimento alle caratteristiche che la gomma presenta nel corso del racconto, produci<br />

una sua descrizione, ripercorrendo la storia nell’ordine di narrazione.<br />

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....................................................................................................................................................................................................................................<br />

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Le vie tentate per contrastare la gomma e la sua irrefrenabile volontà chiamano in causa diverse<br />

qualità umane: quali ritieni siano, deducendole dal racconto?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

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Quale registro ritieni sia stato usato nel racconto, facendo sì che a generare di volta in volta sconcerto,<br />

paura, terrore o panico sia una semplice gomma da masticare? Giustifica la tua risposta, argomentandola<br />

attraverso quanto puoi dedurre dalla lettura del racconto e dal suo significato.<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

“È mia speranza che questo resoconto possa finalmente far tacere alcune delle sciocche fandonie<br />

che sono state spacciate nel vicinato” dice il protagonista nella frase conclusiva del testo, andando<br />

a concludere quanto affermato in apertura. Per quale motivo, secondo te, l’autore costruisce<br />

con questo intento la storia, che narra con il tipico andamento piano di un resoconto?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


16<br />

Margery Allingham<br />

Il fantasma<br />

di Henry<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

anno 1931<br />

luogo<br />

Inghilterra<br />

genere<br />

racconto<br />

tra realtà<br />

e fantasia<br />

Presentazione dell’opera<br />

I romanzi della Allingham appartengono al tipo “sofisticato” del genere poliziesco e dimostrano una notevole accuratezza sia nella<br />

descrizione dei più disparati ambienti sociali, sia nella definizione psicologica dei personaggi. Il fantasma di Henry, uno dei racconti<br />

migliori della Allingham, può essere considerato un esempio dello stile della scrittrice, caratterizzato da uno spirito sottilmente satirico<br />

e una buona dose d’ironia. Il suo, anzi, è uno humour d’impronta tipicamente britannica, sempre molto contenuto nei toni<br />

ma acuto e pungente, che la scrittrice appunta tanto sui personaggi principali quanto su quelli secondari.<br />

Margery Allingham<br />

Nata a Londra nel 1904, negli anni fra le due guerre fu una prolifica autrice<br />

di romanzi gialli, tanto che, accanto ad Agata Christie, Dorothy Sayers, Josephine<br />

Tey, Gladys Mitchell e altre, può essere considerata una tipica esponente<br />

dell’“epoca d’oro” del romanzo poliziesco inglese. È la creatrice di<br />

Albert Campion, un investigatore dilettante che maschera la propria intelligenza<br />

sotto un’aria ebete e svagata; il suo, per di più, è soltanto uno pseudonimo,<br />

sotto il quale si cela un personaggio di altissimo lignaggio, addirittura<br />

vicino alla Casa Reale. Fa la sua comparsa nel 1929 in La lunga notte di<br />

Black Dudley, seguito da L’isola (1930), Il segreto della torre, La polizia in<br />

casa (entrambi del 1931) e Dolce pericolo (1933), ove appare un altro personaggio<br />

fisso, la bellissima lady Amanda, moglie di Campion e alter ego della scrittrice. Nei primi anni<br />

Trenta la Allingham pubblica anche alcuni romanzi con lo pseudonimo di Maxwell March, ma il vero<br />

grande successo arriva con Morte di un fantasma (1934), che segna uno spartiacque nella sua produzione.<br />

I primi romanzi con il personaggio di Campion, infatti, sono densi di azione, mentre da Morte di un<br />

fantasma in poi sono più strettamente “classici”, meno movimentati e caratterizzati da una più accurata<br />

definizione psicologica dei personaggi: Corte d’Assise (1936), Danza sull’abisso (1937), La parte del destino<br />

(1938) ecc. In Black plumes (1940) la Allingham sostituì Campion con l’ispettore Bridie, ma con<br />

minor successo. Tornò quindi al vecchio protagonista in Il ritorno di Campion e L’amnesia del signor Campion<br />

(entrambi del 1941), ma il filone si andava ormai esaurendo, tanto che in Un’ombra nella nebbia<br />

(1952), da molti considerato il suo capolavoro, Campion ha una parte del tutto marginale, e nella versione<br />

cinematografica l’autore della sceneggiatura lo tagliò del tutto. L’ultimo romanzo, Cargo of Eagles, lasciato<br />

incompiuto alla morte della scrittrice nel 1966, fu portato a termine dal marito Philip Youngman Carter, il<br />

quale proseguì da solo la serie dedicata al bizzarro investigatore creato quattro decenni prima dalla moglie.<br />

«<br />

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ara Millie, credo di essermi spiegato abbastanza, vero? Henry». Il<br />

C<br />

signor Henry Brownrigg firmò con uno svolazzo il foglietto di carta<br />

celeste, poi lo posò esattamente al centro della vaschetta mal lavata,<br />

e lasciato l’utensile bene in vista sul tavolo di cucina, perché la moglie<br />

lo trovasse al suo rientro, si allontanò, soddisfatto d’aver espresso il suo<br />

rimprovero con fermezza e insieme con garbo.<br />

In quindici anni di matrimonio, il signor Brownrigg sentiva di essersi impadronito<br />

dell’arte di dire alla moglie il fatto suo. Non che fosse riuscito ad<br />

insegnarle qualcosa. Con una donna ottusa come Millie, questo andava al<br />

di là di ogni speranza. Ma ormai, grazie alla lunga pratica, poteva indiriz-


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zarle un rimprovero o farle pervenire un biasimo in modo tale da penetrare<br />

la placida balordaggine di lei.<br />

Mezz’ora dopo che Millie fosse tornata dalla spesa, e prima che il pranzo<br />

fosse portato in tavola, la vaschetta sarebbe stata al suo posto nella camera<br />

oscura 1 , lustra e splendente come quando era nuova, e nient’altro sarebbe<br />

stato detto sull’argomento. A tavola, tutt’al più, Millie sarebbe stata un po’<br />

più ansiosa del solito di compiacere (senza riuscirvi) il marito.<br />

Il signor Brownrigg passò dietro il bancone, spazzando via un granello di<br />

polvere dallo scatolone di creme per il viso. Erano le dodici e venticinque.<br />

Tra cinque minuti esatti, Phyllis Bell avrebbe lasciato il suo ufficio in fondo<br />

alla High Street, e tra sette minuti e mezzo sarebbe entrata dalla porticina<br />

stretta e inondata di sole nella farmacia fresca e profumata di spezie.<br />

Si sarebbe fermata sul pezzetto di pavimento sul quale il sole formava una<br />

chiazza gialla e azzurra, tra i grandi vasi della vetrina 2 che erano l’emblema<br />

del mestiere del signor Brownrigg, e l’avrebbe fissato con i suoi limpidi<br />

occhi azzurri, sporgendo le piccole labbra adorabili.<br />

Il farmacista prese dal banco uno degli specchietti che erano in vendita tra<br />

altri articoli di profumeria e si specchiò. Non era un uomo molto appariscente.<br />

Alto non era mai stato, e, a quarantadue anni, la persona robusta<br />

mostrava la netta tendenza a metter su pancia; ma c’era forza e virilità nelle<br />

spalle quadrate, la faccia rasatissima e il collo largo avevano un che di taurino,<br />

e le labbra erano piene e carnose.<br />

A Phyllis piacevano i suoi occhi. La incantavano, diceva, e molte delle altre<br />

giovani donne che entravano nel negozio per acquistarvi qualcosa, e si intrattenevano<br />

a conversare col signor Brownrigg attraverso il banco, sarebbero<br />

state d’accordo con lei. Gli occhi del signor Brownrigg erano scurissimi,<br />

rotondi, ardenti; occhi che parevano quasi un’assurdità, in un farmacista<br />

grassoccio di mezz’età che aveva una moglie come Millie.<br />

Ma il signor Brownrigg non contemplava i propri occhi. Si lisciò i capelli,<br />

si umettò le labbra, poi, rendendosi conto che Phyllis sarebbe entrata da un<br />

momento all’altro, sparì dietro il banco di vendita. Era bene, si ripeteva<br />

sempre, non mostrarsi mai troppo impaziente.<br />

Ma stava tenendo d’occhio la porta, quando la ragazza entrò. Intravide la<br />

gonna <strong>verde</strong>, mentre lei si arrestava un attimo sullo scalino, e notò l’espressione<br />

mezzo ansiosa, mezzo preoccupata con cui sbirciava verso il banco.<br />

Era contento che non fosse entrata mentre c’erano altri clienti. Phyllis era<br />

diversa da tutte le altre avventurette avute durante quei quattordici anni.<br />

Quando c’era Phyllis in negozio, il signor Brownrigg andava sempre a rischio<br />

di sbagliarsi, di lasciar cadere la roba e di imbrogliarsi nel dare il resto.<br />

Brownrigg uscì dal cantuccio oscuro, emozionato suo malgrado, e bruscamente<br />

attirò a sé la ragazzina bionda, attraverso quella parte del banco che<br />

era leggermente più bassa del resto e che lui teneva sgombra di proposito.<br />

La baciò, e l’impetuosità improvvisa e avida del gesto lo tradì. Sentì che la<br />

ragazza tratteneva il fiato, prima di liberarsi e indietreggiare.<br />

– Non… non dovete – disse lei, riassestandosi nervosamente il cappellino.<br />

Aveva sì e no vent’anni, era piccola e d’aspetto un po’ infantile, con i capelli<br />

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1. Per alcune particolari<br />

preparazioni i farmacisti<br />

usano una camera oscura<br />

perché la luce non<br />

modifichi le proprietà<br />

chimiche dei componenti<br />

da loro trattati.<br />

2. Nelle farmacie –<br />

soprattutto quelle più<br />

antiche – sono esposti in<br />

appositi scaffali i vasi di<br />

ceramica dipinta nei quali<br />

sono contenute le sostanze<br />

utili a preparare i farmaci.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


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3. Istrione è sinonimo di<br />

attore; istrionico, in questo<br />

caso, vuol dire che il<br />

farmacista non voleva<br />

assumere un<br />

atteggiamento che<br />

apparisse non naturale,<br />

fatto apposta, come<br />

farebbe un attore.<br />

4. Il libro mastro è il<br />

registro della contabilità<br />

che ogni attività<br />

commerciale possiede per<br />

tenere conto dei movimenti<br />

di <strong>pag</strong>amento ricevuti<br />

e da effettuare.<br />

5. Si dice capitale vincolato<br />

una somma di denaro<br />

posta in banca che, per<br />

poter essere usufruita,<br />

deve soddisfare a una<br />

determinata condizione (ad<br />

esempio la maggiore età di<br />

un figlio, la morte del suo<br />

possessore attuale, ecc.).<br />

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chiarissimi e il portamento aggraziato, tranquillo. Ora gli occhi azzurri<br />

erano spaventati e un po’ disgustati, come se si fosse trovata coinvolta in<br />

un’emozione che i suoi istinti giudicavano poco gradevole.<br />

Henry Brownrigg riconobbe l’espressione. L’aveva già vista in altri occhi,<br />

ma, mentre in occasioni passate era riuscito a mostrarsi benevolmente divertito<br />

e di conseguenza amabile e rassicurante, in Phyllis quell’espressione<br />

quasi lo spaventò.<br />

– Perché no? – replicò bruscamente; troppo, e se ne accorse subito, mentre<br />

il sangue gli saliva alla faccia.<br />

Phyllis prese un lungo respiro.<br />

– Sono venuta a dirvi – dichiarò con voce incerta, da bambina che recita<br />

una lezione – che ho pensato molto a questa storia. Non posso andare<br />

avanti così. Voi siete sposato. Io voglio sposarmi, un giorno o l’altro. Perciò...<br />

voglio dirvi che non tornerò più.<br />

– Ne avete parlato con qualcuno? – domandò lui, raggelandosi.<br />

– Di voi? No, misericordia!<br />

Tanta veemenza era convincente; lì per lì, Brownrigg ignorò quanto di<br />

poco lusinghiero vi era compreso e sospirò di sollievo.<br />

– Ma tu mi ami – mormorò poi. – Io ti amo e tu mi ami. Lo sai, no?<br />

Non voleva essere istrionico 3 di proposito, ma gli veniva un tono roco,<br />

quello che, come alcuni attori hanno scoperto, è fra i più efficaci ad esprimere<br />

profonda sincerità.<br />

Phyllis assentì avvilita, e insieme stranamente imbarazzata. I suoi occhi andarono<br />

alla strada piena di sole, prima di tornare a posarsi sul farmacista.<br />

– Addio – mormorò con un filo di voce, e fuggì dal negozio.<br />

Attraverso la vetrina, Brownrigg la vide allontanarsi, quasi di corsa.<br />

Per un poco, rimase a fissare la chiazza di sole sulla porta. Poi rialzò lo<br />

sguardo e sorrise. Sarebbe tornata. Domani, o magari fra una settimana.<br />

Sarebbe tornata. Ma l’ostacolo, l’ostacolo insuperabile, si sarebbe levato di<br />

nuovo, e a lungo andare l’avrebbe sconfitto, facendogliela perdere.<br />

Di sicuro, l’avrebbe persa. Phyllis era diversa dalle altre.<br />

A meno che... l’ostacolo non fosse stato rimosso.<br />

Henry Brownrigg aggrottò la fronte.<br />

C’erano anche altre cose da considerare.<br />

Il vecchio libro mastro 4 insudiciato dalle mosche stava lì a ricordargliele.<br />

Ma una volta rimosso l’ostacolo, automaticamente sarebbero state spazzate<br />

via anche le altre difficoltà; non c’era l’assicurazione? E quel capitaletto che<br />

il padre di Millie aveva vincolato 5 con tanta prudenza, nemmeno fosse stato<br />

presago che la figlia, da adulta, sarebbe stata una perfetta ebete?<br />

Gli occhi del signor Brownrigg si posarono sul cassettino sotto il bancone,<br />

quello con l’etichetta «Ricette – Non toccare». Era chiuso, e nemmeno<br />

Perry, il fattorino e commesso di bottega, che ficcava il naso dappertutto,<br />

sospettava che sotto la pila di foglietti si nascondesse un piccolo fascio di<br />

lettere scritte con la calligrafia quasi infantile di Phyllis.<br />

Brownrigg si voltò bruscamente. Aveva il respiro faticoso, e quasi tremava.<br />

Il momento era venuto.<br />

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Alcuni mesi prima, Henry aveva deciso che sarebbe diventato vedovo entro<br />

l’anno; il colloquio di quel mattino gli aveva fatto capire che bisognava<br />

stringere i tempi.<br />

In quel momento Millie, ancora rossa di vergogna al pensiero della vaschetta<br />

mal lavata, mise dentro la testa dalla porticina del retro.<br />

– È in tavola, Henry – annunciò, e aggiunse, con quella stupidità che aveva<br />

smesso di fargli piacere, dandogli un senso di superiorità, e che ormai lo<br />

annoiava a morte: – Come sei serio. Oh, Henry, hai forse fatto qualche errore?<br />

Non avrai mica dato a un cliente una bottiglia per un’altra?<br />

– No, cara Millie – replicò il marito, fissandola gelido e calcando sul sarcasmo.<br />

– Questo è uno di quegli sbagli idioti che ancora non mi è capitato di<br />

fare. Non ho raggiunto il livello di mia moglie, si vede.<br />

E mentre seguiva la figura rassegnata di lei, nella stanzetta dietro il negozio,<br />

una parola echeggiava ritmicamente nel suo cervello, a tempo coi battiti<br />

del suo cuore: – Presto! Presto! Presto!<br />

– Henry, caro – disse Millie Brownrigg guardando turbata il marito – perché<br />

il dottor Crupiner? È così salato nelle parcelle... a parte il fatto che è<br />

decrepito.<br />

Millie era in piedi, davanti allo specchio, nella grande stanza da letto sopra<br />

il negozio, e si spazzolava i capelli castani striati di grigio, prima di rifarsi la<br />

treccia e girarsela attorno alla testa.<br />

Henry Brownrigg, sdraiato nel letto all’altra estremità della stanza, non le<br />

diede risposta.<br />

Millie continuò a parlare. Era abituata ai silenzi di Henry. Era così intelligente,<br />

Henry! La maggior parte del tempo la impiegava a pensare.<br />

– Ho sentito una quantità di cose strane sul dottor Crupiner – osservò. –<br />

Dicono che è talmente vecchio, che si dimentica tutto. Perché non andiamo<br />

da quello della mamma? Lei ne ha una tale fiducia...<br />

– Disgraziatamente per lei, povera donna, tua madre ha la tua stessa intelligenza,<br />

ma non ha un uomo che si prenda cura di lei – disse Henry Brownrigg.<br />

Millie non fece commenti.<br />

– Crupiner – continuò Brownrigg – non sarà un genio, come medico generico,<br />

ma è specialista per un certo tipo di disturbi. Voglio che tu vada da<br />

lui. Desidero che ti rimetta bene, mia cara.<br />

La faccia dolce e inespressiva di Millie arrossì, e gli occhi le si fecero umidi<br />

e smarriti. Henry, che la vedeva riflessa nello specchio, girò la testa. In certi<br />

momenti, vedendo quanto lei gli era grata di una parola buona, provava<br />

quasi un certo disgusto per il progetto che aveva architettato.<br />

– Sai, Henry, – riprese improvvisamente la signora Brownrigg – io mi sento<br />

piuttosto bene. Quelle cose che mi dai tu mi fanno benissimo, ne sono<br />

certa. Ora non mi sento più molto stanca, alla fine della giornata. Non potresti<br />

continuare a curarmi tu?<br />

L’uomo s’irrigidì sotto le coltri. Quel poco rimorso provato poc’anzi svanì,<br />

lasciandolo seccato e guardingo.<br />

– Si capisce, che ti fanno bene – confermò, soddisfatto di sapere che, fino<br />

ad un certo punto, diceva la verità, almeno per il momento. – Io non credo<br />

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nelle specialità, ma le pillole di Fender sono buone, aiutano a tirarsi su.<br />

Però preferisco assicurarmi che sei organicamente a posto. Non mi piace il<br />

fatto che appena ti affretti un po’ ti viene subito l’affanno, e poi le tue labbra<br />

hanno un colore che non mi piace.<br />

La grassoccia, ingenua Millie si guardò allo specchio, e si passò un dito<br />

sulle labbra.<br />

Come molte donne della sua età, aveva perso i colori, e attorno alla bocca<br />

aveva effettivamente un leggerissimo alone azzurrognolo.<br />

Il farmacista si affrettò a rassicurarla.<br />

– Non sarà niente di grave, ne sono sicuro, ma è meglio andare stasera<br />

stessa a consultare Crupiner – disse. – Non vogliamo correre rischi, vero?<br />

Millie assentì, con le labbra tremanti.<br />

– Sì, caro – disse; e aggiunse nel suo solito modo stucchevole. – Penso che<br />

hai ragione.<br />

Dopo che Millie fu scesa per occuparsi della colazione, Henry si alzò, l’ultima<br />

frase pronunciata ancora sulle labbra. Se la ripeté, pensoso.<br />

– Non possiamo correre rischi. Proprio così. Niente rischi. Nessuna stupida<br />

imprudenza, Henry Brownrigg!<br />

Solo gli sciocchi fanno le cose a casaccio. Solo gli sciocchi si fanno cogliere<br />

in fallo. Ma in effetti, l’impresa era veramente semplice. Millie era così ingenua,<br />

così incredibilmente fiduciosa.<br />

Verso la fine della giornata, il signor Brownrigg era nervosissimo. Perry, il<br />

commesso, gli aveva riferito, con molto candore, di aver visto il giovane<br />

Hill passare lungo l’Acacia Road nella sua nuova auto, a velocità sostenuta,<br />

e aveva aggiunto tra l’altro che nella macchina c’era anche quella ragazza<br />

bionda, Phyllis Bell. Se la ricordava, vero, il signor Brownrigg? Quella<br />

biondina tanto graziosa…<br />

Per un attimo, Henry Brownrigg aveva tremato all’idea che il commesso<br />

avesse scoperto il suo segreto e stesse punzecchiandolo con malizia. Ma<br />

anche dopo essersi convinto che non era così, il fatto e la rabbia restarono.<br />

Hill era un bel giovanotto, scapolo. Phyllis era giovane e inesperta. Il farmacista<br />

se li immaginava fermi in qualche boschetto fuori città, intenti a tenersi<br />

per mano, forse a baciarsi: il suo cuore, che poteva restare calmo sotto<br />

lo sguardo spaventato di Millie che parlava della propria malattia, gli balzava<br />

nel petto all’idea di quell’abbraccio.<br />

«Presto!». La parola si formò di nuovo nel suo cervello. «Far presto, far<br />

presto!».<br />

Millie era senza fiato quando arrivarono alla vecchia casa del dottor Crupiner.<br />

Henry, assorto nei propri pensieri, aveva camminato molto in fretta.<br />

Il dottore li ricevette subito. Era un vecchietto impolverato. Dentro di sé,<br />

Millie pensava che le sarebbe piaciuto dargli una buona spazzolata, e a<br />

quell’idea le si presentò alla mente un quadretto così spassoso da farla<br />

uscire in una risatina sciocca. Henry dovette lanciarle un’occhiataccia,<br />

scrollando la testa.<br />

Subito lei arrossì, e il suo volto ritrovò la consueta espressione ottusa.<br />

Henry illustrò al dottore i sintomi della moglie, e Millie parve grata e sor-<br />

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presa dell’ansia che il marito tradiva. Evidentemente, Henry aveva notato i<br />

suoi piccoli malesseri, più spesso di quanto lei non supponesse.<br />

Quando Henry ebbe terminato l’elenco dei piccoli malanni di Millie, nessuno<br />

dei quali era veramente grave in sé, ma il cui totale assommava a una<br />

quantità piuttosto paurosa di indizi, il dottor Crupiner girò verso di lei gli<br />

occhietti avidi, dalla cornea striata di venuzze rosse. Le labbra del vecchio,<br />

coperte di piccole macchie come il registro di Henry, si sporsero per un attimo,<br />

prima che la voce ne uscisse, affannosa e sepolcrale.<br />

– Bene, signora, vostro marito sembra preoccupato per voi. Sarà bene che<br />

vi dia un’occhiata.<br />

Millie tremava. L’apprensione le faceva di nuovo mancare il respiro. Un paio<br />

di volte, negli ultimi tempi, aveva avuto l’impressione che quelle pillole di<br />

Fender le dessero l’affanno, anche se sotto altri aspetti la facevano sentire più<br />

arzilla, ma aveva preferito non farne parola con Henry.<br />

Il dottor Crupiner le si accostò, respirando forte dal naso, nello sforzo per<br />

concentrarsi. Le premette un dito tozzo e malfermo nell’occhiaia, tirando<br />

giù la pelle per scrutare con occhio miope la cornea. Poi le appioppò una<br />

manata sulle spalle, nell’intento di rincuorarla, e le toccò il palmo delle mani.<br />

Il signor Brownrigg, che osservava con occhio pensoso e sfuggente il rituale,<br />

prese improvvisamente il medico da parte, e i due uomini ebbero una<br />

conversazione sottovoce, all’altra estremità della stanza.<br />

Millie non poté fare a meno di ascoltarne una parte, anche perché il dottor<br />

Crupiner era mezzo sordo, e Henry era ansioso di farsi sentire bene.<br />

– Vent’anni fa – udì Millie. – D’improvviso. – E poi, dopo una pausa, la parola<br />

terribile: – Ereditario.<br />

Il tremito di Millie aumentò di intensità, e la sua faccia larga e insulsa prese<br />

un’aria terrorizzata. Stavano parlando del suo povero papà, che era morto<br />

all’improvviso, di un attacco cardiaco.<br />

Sentì il cuore martellare dolorosamente. Ecco perché, dunque, Henry<br />

sembrava tanto preoccupato!<br />

Il dottor Crupiner tornò ad avvicinarsi. Millie dovette slacciarsi la camicetta<br />

e il dottore le auscultò il cuore con un vecchissimo stetoscopio. Millie,<br />

che già stava tremando, cominciò a respirare con difficoltà, tanto la sua<br />

ansia si era acuita.<br />

Finalmente il vecchio terminò il suo esame. Per alcuni secondi rimase a fissarla<br />

senza batter ciglio, poi tornò da Henry e insieme si portarono verso il<br />

fondo della stanza.<br />

Millie aguzzò le orecchie e udì la voce cavernosa del vecchio.<br />

– ... una certa irregolarità. Niente di preoccupante, per ora. Bisognerà che<br />

la riveda fra qualche giorno.<br />

Poi ci fu una domanda di Henry che lei non riuscì a captare, ma subito<br />

dopo, dato che il dottore sembrava incerto sulla risposta, il farmacista soggiunse<br />

con voce normale:<br />

– Le ho dato delle pillole di Fender.<br />

– Pillole di Fender? – il dottore parve ripetere quelle parole con sollievo. –<br />

Eccellenti. Di solito io non ho simpatia per le specialità, ma quelle pillole<br />

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6. Si intende una persona<br />

di servizio che<br />

evidentemente andava<br />

in casa Brownrigg durante<br />

la mattina.<br />

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sono ottime, e vi risparmierò il disturbo di preparare qualcosa di mia prescrizione.<br />

Continuate pure con quelle, per qualche giorno. Sono ottime, anch’io<br />

le prescrivo molto spesso. Vanno prese con moderazione, s’intende.<br />

– Oh, certo – assicurò Henry. – Comunque pensate che abbia fatto bene a<br />

fargliele prendere, dottore?<br />

Millie era sorpresa e compiaciuta per lo zelo che il tono di Henry rivelava.<br />

– Senza dubbio, caro Brownrigg –. E il dottor Crupiner tornò ad avvicinarsi<br />

a Millie. – Allora, signora Brownrigg – disse con affettata giovialità –<br />

abbiatevi cura e fate quello che dice vostro marito. Tornate a trovarmi tra<br />

una decina di giorni e sarete di nuovo vispa come prima. Arrivederci. Ah,<br />

signora Brownrigg, mi raccomando: niente emozioni, badate bene! Cercate<br />

di stare calma il più possibile e non affaticatevi.<br />

Le strinse distrattamente la mano, e mentre Henry aiutava Millie a raccogliere<br />

le sue cose, mostrando una premura assolutamente insolita, il vecchio<br />

andò a togliere da uno scaffale un polveroso volume di medicina.<br />

Un momento prima che i due uscissero, Crupiner sbirciò Henry al di sopra<br />

delle lenti.<br />

– Quelle pillole di Fender sono un’ottima idea – osservò in tono completamente<br />

diverso dal borbottio professionale di poco prima. – Proprio quello<br />

che ci vuole. Contengono una piccola dose di digitalina.<br />

Una delle abitudini meno lodevoli del signor Brownrigg era il suo modo di<br />

trascorrere il sabato sera.<br />

Alle sette e mezzo, paziente e solerte, benché disapprovasse, Millie faceva<br />

sparire le tracce della cena e metteva sulla tovaglia di tela <strong>verde</strong> un bicchiere<br />

e una bottiglia di whisky sigillata.<br />

Fatto questo, si ritirava in cucina, rigovernava e si metteva a stirare. Di solito<br />

si riservava quest’operazione per il sabato sera, perché era una faccenda<br />

lunga, con frequenti soste per piccoli punti da dare alle camicie di Henry e<br />

alla sua biancheria, e Millie sapeva che avrebbe avuto dinanzi a sé una<br />

lunga serata tranquilla.<br />

Infatti, aveva tempo fino a mezzanotte. Quando l’orologio di cucina segnava<br />

le dodici, Millie riponeva l’asse da stiro e posava il ferro sul fornello<br />

spento lasciandolo lì a raffreddarsi.<br />

Poi andava nel soggiorno e toglieva di mezzo il bicchiere e la bottiglia<br />

vuota, perché la donna a giornata 6 non li vedesse il mattino dopo. Inoltre<br />

raccoglieva da terra i giornali e rimetteva in ordine la stanza.<br />

Finalmente, dopo avere spento la stufetta a gas, si occupava di Henry.<br />

Circa tre settimane dopo la sua prima visita al dottor Crupiner (il medico, su<br />

suggerimento di Henry, aveva aumentato la dose delle pillole Fender da tre a<br />

cinque al giorno) Millie passò la sera del sabato seguendo il solito cerimoniale.<br />

Per un uomo impegnato in un progetto quale quello del signor Brownrigg,<br />

ubriacarsi anche una sola volta, in modo totale e sistematico, poteva essere<br />

pura follia. Ma Brownrigg continuava a farlo, una volta la settimana.<br />

Un bicchiere di whisky lo rendeva taciturno. Dodici abbondanti dosi di<br />

whisky, ovvero, l’intera bottiglia, facevano di lui un sacco silenzioso e senza<br />

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forze, incapace di movimento e di parola, e tuttavia – fenomeno quanto<br />

mai notevole – ugualmente in possesso della propria lucidità.<br />

Millie avrebbe anche potuto domandarsi perché mai il marito ci tenesse<br />

tanto a trasformarsi in una specie di rudere paralitico, ogni sabato sera della<br />

propria vita; ma, nonostante la sua grande stupidità, Millie era una donna<br />

tollerante: secondo lei, gli uomini erano creature strane e privilegiate che<br />

trovavano diletto nelle più assurde forme di perversione 7 . Ragione per cui lo<br />

lasciava fare, e nascondeva perfino alla madre la debolezza del consorte.<br />

Henry Brownrigg comunque provava un grande piacere nella sua orgia settimanale<br />

8 . Gli altri giorni non beveva, e quella del sabato sera era insieme<br />

un’avventura ed un’abitudine. All’inizio del suo piano aveva pensato di rinunciare<br />

all’orgia fino a progetto attuato, ma poi si era persuaso dell’assoluta<br />

necessità di attenersi rigidamente al normale corso della sua vita, in<br />

modo che non vi fosse nessun appiglio, anche piccolissimo, al quale i sospetti<br />

altrui potessero agganciarsi.<br />

Nella serata in questione, Millie si esaurì completamente nello sforzo di<br />

trascinare il marito di sopra e metterlo a letto. Era talmente stanca e spossata<br />

che si lasciò cadere sull’orlo del letto, ansando penosamente, incapace<br />

di trovare la forza per spogliarsi. E così dimenticò di prendere le due pillole<br />

che Henry le aveva lasciato sul piano della toletta. Se ne rese conto quando<br />

era già coricata, ma non poté, in nessun modo, indursi ad alzarsi dal letto,<br />

per prenderle.<br />

Il mattino dopo, Henry le trovò ancora al loro posto. Ascoltò in silenzio le<br />

spiegazioni di Millie e infine, mentre lei aggiungeva scuse su scuse, ridiventò<br />

quello di sempre.<br />

– Cara Millie – disse, nel tono esasperato che la moglie conosceva anche<br />

troppo – a che serve che io faccia tutto quello che posso per farti star bene,<br />

se tu mi metti il bastone tra le ruote, ogni momento?<br />

Millie si chinò sui fornelli. Henry, forse intuendo che lei cercava di nascondere<br />

le lagrime, si fece più conciliante.<br />

– Non ti piacciono? – domandò gentilmente. – Hanno un sapore che non<br />

ti va? Forse sono troppo grosse? Senti, cercherò di renderle più facili da<br />

ingerire. Lascia fare a me. Su, su, non preoccuparti. Le pesterò e le chiuderò<br />

in una capsula. Però tu devi prendere la medicina, ricordatelo.<br />

Millie divenne pensosa. Henry doveva essere molto preoccupato per lei, altrimenti<br />

non si sarebbe certo mostrato così comprensivo verso i suoi stupidi errori.<br />

Bill Perry, l’aiutante di Brownrigg, era un ragazzo impacciato, e forse sarebbe<br />

rimasto un timido fino alla morte.<br />

Era smilzo, rosso di capelli, con una certa tendenza all’acne e coi grossi polsi<br />

ruvidi e sempre arrossati. Detestava il signor Brownrigg, come solo i giovani<br />

possono detestare chi possiede una lingua pungente, ma a Millie voleva bene,<br />

e i suoi occhi slavati assumevano una luce gentile, quando lei gli parlava.<br />

Il giovane Perry non pensava affatto che Millie fosse tanto cretina quanto il<br />

padrone cercava di farla apparire in ogni occasione.<br />

Non foss’altro perché lei si mostrava sempre gentile, il giovane Perry si interessava<br />

molto allo stato di salute di Millie.<br />

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7. Millie cioè non approva<br />

quel particolare<br />

divertimento del marito<br />

che trova vicino alla follia.<br />

8. Il termine è usato qui<br />

per indicare la condizione<br />

un po’ proibita e un po’<br />

esagerata del bere fino<br />

all’abbrutimento.<br />

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Il lunedì sera, Perry vide il signor Brownrigg mettere il contenuto delle<br />

pillole di Fender in capsule di gelatina, e volle sapere per chi fossero.<br />

Brownrigg si mostrò insolitamente comunicativo. Spiegò al commesso, in<br />

tutta confidenza, che la signora Millie non stava affatto bene e che il dottor<br />

Crupiner era preoccupato per lei.<br />

Brownrigg lasciò anche capire che tanto lui quanto Crupiner, da gente del<br />

mestiere, erano convinti che se l’assenza di ogni preoccupazione e le pillole di<br />

Fender non potevano salvare la povera donna, nulla avrebbe potuto salvarla.<br />

– Volete dire che potrebbe morire? – domandò, desolato, il giovane Perry.<br />

– Così… all’improvviso?<br />

Subito, si pentì di aver parlato. Al signor Brownrigg tremava la mano al<br />

punto che lasciò cadere una capsula. Perry capì allora che il Vecchio era<br />

terribilmente affezionato alla sua Vecchia, sotto sotto, e che la punzecchiava<br />

con cattiveria solo perché si vergognava di mostrare i propri sentimenti.<br />

All’istante, il cuore sensibile e sentimentale del giovane Perry s’intenerì per<br />

il povero signor Brownrigg, perdonandogli tutte le osservazioni sarcastiche<br />

di cui era tanto prodigo.<br />

Arrivarono i rifornimenti di medicinali. Bill Perry aprì i due scatoloni più<br />

grandi e mise a posto la roba; il più piccolo lo aprì, ma lasciò che la roba la<br />

mettesse a posto il padrone.<br />

Brownrigg finì di confezionare le capsule, si lavò le mani, poi si mise al lavoro<br />

con la solita alacrità.<br />

Non era molta, la roba arrivata, e il giovane Perry che, qualche tempo<br />

prima, aveva dato un’occhiata al registro dei conti, credeva di sapere perché.<br />

Il Vecchio ce la faceva appena appena. Il giro d’affari era scarso, la farmacia<br />

rendeva pochino.<br />

Il ragazzo leggeva la nota del grossista, e Brownrigg riponeva via via i medicinali.<br />

– Bicarbonato di sodio, magnesia – leggeva Perry, stentatamente. – Iodio,<br />

chinino, tintura di digitale... dev’essere questa, signor Brownrigg. Qui,<br />

questo pacco più grosso...<br />

Bill Perry sapeva di leggere male, e voleva solo rendersi utile, indicando il<br />

pacco, ma Brownrigg gli lanciò un’occhiata addirittura terrificante, mentre<br />

afferrava il pacco e lo riponeva nell’armadione dei medicinali.<br />

Il giovane Perry era costernato. Era già in ritardo e voleva andarsene. Imbarazzato<br />

com’era, continuò a farfugliare, peggiorando più che mai le cose.<br />

– Mi dispiace, signore – disse. – Volevo solo rendermi utile. Pensavo che<br />

poteste... ecco... che foste distratto e che poteste confondervi.<br />

– Ah, – fece lentamente il signor Brownrigg, fissandolo con i suoi occhi ardenti<br />

e tondi in modo tutt’altro che rassicurante. – E, secondo te, a che<br />

cosa penso, mentre faccio il mio lavoro?<br />

– A… alla signora Millie, signore – balbettò spaventatissimo il povero Perry.<br />

Henry Brownrigg si irrigidì. Il sangue gli si congelò, gli occhi parvero<br />

rientrare nella fronte.<br />

Bill Perry, accortosi di aver detto qualche altra sciocchezza, e temendo<br />

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d’essersi mostrato indelicato ed invadente, scambiò per imbarazzo quei sintomi<br />

minacciosi.<br />

– Scusate – disse ancora. – Cercavo proprio di rendermi utile. Sono anch’io<br />

un po’... un po’ frastornato, signore. La signora Brownrigg è sempre stata<br />

così gentile con me. Mi dispiace tanto che sia così ammalata.<br />

Un gran sospiro sfuggì dal petto del farmacista.<br />

– Non devi scusarti, ragazzo mio – disse, con una cortesia che il commesso<br />

non gli conosceva. – Sai com’è, ho i nervi un po’ scoperti. Vai pure, ora. Finirò<br />

da me.<br />

Il giovane Perry non se lo fece dire due volte, felice di ritrovarsi libero nella<br />

chiara serata estiva, ma anche un po’ commosso per la rivelazione improvvisa<br />

di quella tragedia d’amore coniugale.<br />

Phyllis camminava spedita lungo Coe’s Lane, una scorciatoia tra la via in<br />

cui abitava e Priory Avenue. Era un viottolo angusto e tortuoso, con un<br />

prato polveroso da una parte e una staccionata piuttosto alta dall’altra.<br />

In quel momento la scorciatoia appariva deserta, ma quando Phyllis raggiunse<br />

il grosso albero che sorgeva proprio a metà strada, una persona uscì<br />

da dietro il tronco e le si fece incontro.<br />

La ragazza si fermò bruscamente in mezzo al viottolo, con le guance in<br />

fiamme, trattenendo il respiro, come se avesse avuto paura di se stessa.<br />

Brownrigg stesso non era preparato alla violenza della fitta che sentì in<br />

petto, nel vedersela davanti; l’impeto di passione che gli bloccava il respiro<br />

e gli rendeva le palpebre pesanti e la bocca arida, quasi lo spaventò.<br />

Erano soli nel viottolo, e lui la baciò, concentrando nelle braccia e nelle<br />

labbra avide tutto l’insopportabile desiderio accumulato in quei diciotto<br />

giorni.<br />

Quando la lasciò andare, lei piangeva.<br />

– Vattene – gli disse, e il tono era disperato e implorante. – Oh, ti prego... va’<br />

via!<br />

Dopo il bacio, Henry era ritornato umano. Non era più quell’essere posseduto<br />

dai demoni, appostato dietro l’albero, in attesa. Poteva comportarsi<br />

normalmente, almeno per un po’.<br />

– E va bene – disse. Poi, in tono così accorato che lei gli credette davvero,<br />

aggiunse: – Ti vedi anche quest’oggi con Peter Hill?<br />

Le labbra della ragazza tremavano, gli occhi erano supplichevoli.<br />

– Cerco di liberarmi – mormorò. – Non lo capite che cerco di liberarmi di<br />

voi? Ma non è facile, credetemi.<br />

Per un minuto intero, Brownrigg la fissò con occhio indagatore. Poi, diede<br />

in una breve risata e si allontanò, a grandi passi. Camminava in fretta, i<br />

tondi occhi assorti ma il passo sciolto e deciso. I suoi pensieri erano piacevoli.<br />

Dunque, Phyllis era là, pronta per lui, una volta che l’ostacolo fosse<br />

stato rimosso; quello era stato il suo unico dubbio, ma adesso era certo del<br />

fatto suo. Restava solo da mandare ad effetto la parte materiale del piano.<br />

Altre piccole cose, relativamente prive d’importanza, si affollavano alla sua<br />

mente: per esempio, la nuova storia che il vecchio registro avrebbe raccontato<br />

quando il premio dell’assicurazione fosse stato versato in banca e il ca-<br />

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9. Composto che consiste<br />

in una miscela di estratti<br />

dalla digitale, che in dose<br />

massiccia risultano letali,<br />

producendo un arresto<br />

cardiaco.<br />

10. Unità di misura usata<br />

anticamente nella<br />

farmaceutica inglese,<br />

corrispondente circa a 3,6<br />

grammi.<br />

11. L’autore si riferisce a<br />

un famoso caso giudiziario<br />

della seconda metà<br />

dell’800 in cui un medico<br />

di nome Pommerais, per<br />

poter usufruire dei capitali<br />

della moglie, aveva prima<br />

avvelenato la suocera e<br />

poi aveva ucciso la moglie<br />

usando la digitalina.<br />

Il medico legale Tardieu,<br />

molto famoso per avere<br />

risolto casi celebri, venne<br />

incaricato di fare l’autopsia<br />

e capì che era stata usata<br />

la digitalina, ma comprese<br />

altrettanto che sarebbe<br />

stato molto difficile<br />

dimostrarlo; al processo<br />

portò i suoi esperimenti<br />

effettuati su tre rane<br />

e alcuni cani, per<br />

argomentare la sua tesi.<br />

La difesa riuscì a rendere<br />

dubbie le dimostrazioni<br />

di Tardieu, ma il tribunale<br />

condannò ugualmente<br />

a morte Pommerais per<br />

circostanze sospette.<br />

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pitaletto di Millie investito ben diversamente. Ma lui le scacciò, spazientito.<br />

Per adesso bisognava restare con i piedi per terra. Quel pomeriggio, lo<br />

aspettava un lavoretto delicato e bisognava portarlo a termine.<br />

Quando arrivò a casa, Millie s’era già diretta da sua madre.<br />

Quel giorno, si chiudeva bottega più presto del solito, e il commesso aveva<br />

il pomeriggio di libertà.<br />

Il signor Brownrigg fece il giro della casa e si assicurò che tutte le porte fossero<br />

chiuse. Le saracinesche nella farmacia erano abbassate, e lui sapeva benissimo<br />

che non lasciavano filtrare nemmeno un filo di luce dall’interno.<br />

Si tolse la giacca e indossò il camice. Accese la luce in bottega, chiuse la porta<br />

tra la farmacia e il soggiorno dell’abitazione, poi si mise al lavoro.<br />

Sapeva perfettamente quel che doveva fare. Ormai, da otto giorni Millie aveva<br />

preso regolarmente cinque pillole al giorno. Ciascuna conteneva un sedicesimo<br />

di grammo di digitalina 9 , e la droga aveva la prerogativa di accumularsi<br />

nell’organismo. Nessuna meraviglia, se Millie, negli ultimi tempi, s’era lamentata<br />

di mali di testa e di disturbi al fegato! Millie era proprio un’idiota!<br />

Tirò fuori la bottiglia di digitalina, arrivata il giorno in cui il giovane Perry<br />

gli aveva fatto prendere quel po’ po’ di spavento. Il grossista non poteva<br />

aver trovato nulla di strano in quell’ordinazione. Non ci sarebbero state inchieste<br />

sull’uso che ne aveva fatto: il che voleva dire che sarebbe potuto<br />

stare tranquillo... a cose fatte.<br />

Lavorava febbrilmente, e intanto il pensiero galoppava. Conosceva la dose.<br />

Tutto era stato predisposto mesi prima, quando gli era nata l’idea, e aveva<br />

ripassato mentalmente il procedimento da usarsi, infinite volte, per esser<br />

certo di non commettere errori.<br />

Nove dragme 10 di quella tintura avrebbero ucciso un paziente che non<br />

avesse già avuto della digitalina in circolo. D’accordo che la tintura si deteriorava<br />

facilmente, ma quella bottiglia era ancora fresca; di sei giorni appena,<br />

se il grossista era stato onesto.<br />

Preparò il bruciatore e l’evaporatore. Ci voleva tempo. Lui era piuttosto<br />

pratico, ma aveva le mani malferme, e i vapori gli andavano negli occhi, irritandoglieli.<br />

D’improvviso scoprì che erano quasi le quattro. Venne colto dal panico. Di<br />

lì un paio d’ore appena, Millie sarebbe tornata a casa, e c’era ancora tanto<br />

da fare.<br />

Mentre il bruciatore faceva il suo lavoro, la mente di Brownrigg mulinava.<br />

La digitalina era talmente difficile da rintracciare, dopo… questo era il<br />

vantaggio! Perfino il grande Tardieu era stato incapace di affermare con sicurezza<br />

se nel caso Pommerais era stata usata la digitalina, e questo, dopo<br />

un’autopsia scrupolosa e le prove sulle rane e su ogni sorta di animali 11 .<br />

La faccia di Henry Brownrigg si allargò in una specie di ghigno. Il vecchio<br />

Crupiner non era Tardieu. Crupiner si sarebbe ben guardato dal richiedere<br />

un’autopsia. Avrebbe rilasciato il certificato di morte senza indagare troppo.<br />

Probabilmente non sarebbe nemmeno venuto ad esaminare il cadavere.<br />

Una scampanellata alla porta di servizio lo fece sussultare al punto che, per<br />

poco, non rovesciò tutto il suo armamentario. Per un momento, restò im-<br />

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mobile ed ansante, come un animale preso in trappola, ma poi si ricompose.<br />

Si rimise la giacca, e si mosse per andare ad aprire.<br />

Chiuse dietro di sé la porta del negozio, si lisciò i capelli ed aprì, sicuro di<br />

mostrare un aspetto assolutamente normale.<br />

Ma il ragazzino con il giornale della sera non aspettò d’essere <strong>pag</strong>ato, come<br />

tutti i sabati, e fuggì via, dopo una sola occhiata alla faccia del signor<br />

Brownrigg. Era un dodicenne timido, che spesso si metteva in mente chissà<br />

che, e il com<strong>pag</strong>no che l’aveva incaricato della commissione, un ragazzo<br />

più grande, gliene disse di tutti i colori e prese mentalmente nota di passare<br />

lui il lunedì sera a riscuotere i soldi della settimana.<br />

L’effetto dell’incidente, su Henry Brownrigg, fu notevolissimo. Il farmacista<br />

tornò al suo lavoro come un sonnambulo, e per tutto il resto dell’operazione<br />

dovette imporsi di pensare a quello che stava facendo.<br />

Come Dio volle, terminò.<br />

Spense il bruciatore, pulì l’evaporatore, misurò con cura la dose tossica, abbondando,<br />

tanto per non sbagliare.<br />

Poi, fece sparire accuratamente i residui e si sentì molto meglio.<br />

Stava per chiudere la farmacia, e si era già rimesso la giacca, quando ebbe<br />

una sorpresa sgradevolissima. Dapprima, la sua attenzione venne attirata<br />

da uno strato di lievissima polvere sopra una delle bottiglie. La tolse, con<br />

cura meticolosa. Detestava il disordine.<br />

Aveva rimesso via il fazzoletto, quando lo sguardo gli cadde sul ripiano del<br />

banco, e il primo barlume dell’orrenda verità gli si presentò alla mente.<br />

Dal ripiano, i suoi occhi si spostarono agli scaffali, ai diversi oggetti esposti,<br />

alle bottiglie e ai vasi di farmacia, all’impiantito stesso.<br />

Grosse gocce si formarono sulla fronte di Henry Brownrigg. Non c’era un<br />

centimetro di superficie, in tutto il negozio, libero da quello strato di sottilissima,<br />

impalpabile polvere giallastra.<br />

La digitalina! Digitalina sparsa dappertutto, ovunque! La prova della sua<br />

colpa in ogni dove, limpida, inconfondibile, elementare per un osservatore<br />

intelligente.<br />

Henry Brownrigg era inchiodato al suolo.<br />

Un po’ alla volta il suo cervello, aggrappandosi all’istinto di difesa, di conservazione,<br />

ricominciò a funzionare. Un rinvio, ecco la prima cosa da farsi:<br />

rinviare. Millie non doveva prendere la capsula quella sera, come sarebbe<br />

stato nei piani. Né quella sera né l’indomani. Millie non doveva morire<br />

fino a che ogni traccia della digitalina non fosse scomparsa dal negozio.<br />

Rapidamente, cambiò tutto il suo programma. Quella sera si sarebbe comportato<br />

come al solito, e l’indomani, appena Millie fosse uscita per andare<br />

in chiesa, lui avrebbe dato una prima spolverata, in modo che il commesso<br />

non si accorgesse di nulla.<br />

Lunedì, poi, con una scusa qualsiasi, avrebbe mandato a chiamare un’impresa<br />

di pulizia. Sarebbero venuti con un’enorme macchina per aspirare,<br />

introducendo i tubi attraverso la vetrina. Sovente lui aveva detto che intendeva<br />

chiamarli per una buona ripulita.<br />

Quelli dell’impresa lavoravano in fretta; perciò, entro martedì…<br />

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Nel frattempo, attenersi alla più assoluta normalità. Questo era l’importante.<br />

Non fare nulla che potesse insospettire Millie o destarne la curiosità.<br />

Gli venne il pensiero che sarebbe stata una truce ironia pregare Millie di<br />

aiutarlo a spolverare il negozio quella sera stessa: ma lo scacciò. Con tutta<br />

la buona volontà, non ci sarebbe stato il tempo di fare un lavoro accurato.<br />

Andò a lavarsi le mani in cucina e ritornò nell’ingresso. Un passo sulle<br />

scale, sopra la sua testa gli fece salire alla gola un urlo che riuscì appena in<br />

tempo a reprimere.<br />

Era Millie. Era rientrata dalla porta di servizio senza che lui la sentisse, e<br />

solo il cielo sapeva da quanto tempo si trovasse in casa.<br />

– Henry – gli annunciò lei, mite come sempre – mi sono fatta prestare da<br />

mia madre una tenda per la tua camera da letto, così non sarai più disturbato<br />

dagli spifferi d’aria e dalla luce che filtra in camera. È un bel tendone<br />

spesso. Ho finito proprio adesso di metterlo su.<br />

Henry Brownrigg rispose con un borbottio che avrebbe potuto significare<br />

qualsiasi cosa. Aveva i nervi completamente a pezzi.<br />

L’osservazione che lei fece seguire, suonò rassicurante; così rassicurante<br />

che lui, per poco, non diede in una sonora risata.<br />

– Oh, Henry – disse lei – oggi mi hai dato solo quattro di quelle pillole.<br />

Non dimenticare la quinta, sai, caro?<br />

– Prosciutto cotto, piselli in scatola già pronti, insalata di patate e salsa piccante<br />

in bottiglia. Che cuoca ho sposato, mia cara Millie.<br />

Henry Brownrigg traeva una maligna soddisfazione da quelle battute sarcastiche<br />

da quattro soldi. Quando vide la faccia pallida di Millie irrigidirsi,<br />

ne rimase contentissimo.<br />

Mentre, seduto a tavola, guardava la moglie, Brownrigg si rese conto di un<br />

curioso fenomeno. La donna spiccava in mezzo a tutto il resto della stanza<br />

come se lei sola fosse in rilievo. Henry vedeva chiaramente ogni linea del<br />

suo volto, ogni piega dell’abito di stoffa scura, come se quei particolari fossero<br />

stati sottolineati con un pesante tratto di matita nera.<br />

Millie era silenziosa. Persino il suo solito torrente di banalità si era prosciugato,<br />

ed Henry ne era contento.<br />

Si sorprese ad osservarla con occhio spassionato, come se fosse stata un’estranea.<br />

Arrivò alla conclusione che, in fondo, non la odiava affatto. Al contrario,<br />

era dispostissimo a credere che, sia pure in modo limitato, fosse una<br />

persona apprezzabile e di grandi qualità. Ma... gli intralciava la strada!<br />

Quella creatura vuota e grassoccia, niente affatto diversa da tante altre padrone<br />

di casa della città, aveva commesso l’errore capitale di mettersi sul<br />

sentiero di Henry Brownrigg. Lei, quella donnetta ridicola, priva di interesse,<br />

si ergeva tra Henry Brownrigg e i più riposti desideri del suo cuore.<br />

In quel momento, nulla faceva tanta impressione sul farmacista quanto<br />

quell’impudenza, quell’incredibile audacia di moglie.<br />

Lunedì, pensava. Lunedì, al più tardi martedì, e poi…<br />

Millie cominciò a sparecchiare.<br />

Il signor Brownrigg trangugiò il suo primo bicchiere di whisky e soda con<br />

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avidità maggiore del solito. Per lui, il piacere della bevuta del sabato stava<br />

tutto nella strana sensazione che provava una volta ubriaco.<br />

Quando Henry Brownrigg diveniva, per sua moglie e per il resto del<br />

mondo, un sacco vuoto e inerte, per se stesso si trasformava invece in un<br />

tranquillo, potentissimo fantasma annidato comodamente nel guscio protettivo<br />

del proprio corpo, in grado di vedere e di comprendere tutto, ma<br />

troppo onnipotente e troppo importante per dirigere le piccole questioni<br />

di nessuna importanza che formavano il suo immediato universo.<br />

In quelle occasioni, Henry Brownrigg si sentiva un dio.<br />

La sera cominciò come tutte le altre, e quando nella bottiglia quadrata non<br />

rimasero più che due dita dell’elisir 12 color ambra, Millie, e la polvere in<br />

bottega, e il dottor Crupiner, erano divenuti nella mente di Henry tante<br />

formicuzze, sulle quali lui torreggiava, colosso di intelligenza e di potere.<br />

Quando anche quelle due dita si furono ridotte a un velo giallognolo sul<br />

fondo della bottiglia di vetro bianco, il signor Brownrigg rimase perfettamente<br />

immobile. In pochi minuti, avrebbe raggiunto il culmine della sua<br />

ascesa al di sopra dei comuni mortali: e cioè quando il suo corpo, così importante<br />

ai loro occhi, fosse divenuto per lui letteralmente nulla. Meno di<br />

un pesante ingombro, meno ancora di un rivestimento inerte: un nulla assoluto,<br />

un elemento senza peso, senza alcuna importanza.<br />

Quando Millie entrò nella stanza, nella carne di Henry Brownrigg si sarebbe<br />

potuto conficcare un ago, e lui non se ne sarebbe accorto.<br />

Solo quando fu a letto, con l’inutile corpo rivestito di un pigiama di bucato,<br />

Henry si accorse che Millie si comportava in modo diverso dal solito.<br />

La donna aveva ripiegato con cura gli abiti del marito, deponendoli sulla<br />

sedia ai piedi del letto, e tutt’a un tratto lui la vide scrutare qualcosa con<br />

aria assorta.<br />

Seguendo lo sguardo di lei, notò per la prima volta il tendone nuovo. Era<br />

senza dubbio una tenda bellissima: un tessuto spesso, pesante, felpato, che<br />

aveva tutta l’aria di non lasciare passare nemmeno un filo di luce, nemmeno<br />

il più lieve spiffero d’aria.<br />

Henry ricordava perfettamente d’aver perso la pazienza con Millie, un<br />

giorno, in presenza del commesso Perry, e cercando un pretesto per dare<br />

sfogo alla sua rabbia, aveva inventato lo spiffero in camera da letto. Spiffero<br />

che non c’era, questo era il bello: il suo fantasma lo ricordava perfettamente.<br />

La porta aderiva benissimo allo stipite. Ma così Millie aveva avuto<br />

un motivo di più per preoccuparsi.<br />

Millie uscì dalla camera del marito, senza spegnere le luci. Lui cercò di<br />

chiamarla, e solo allora si rese conto degli svantaggi di essere uno spirito<br />

disincarnato. Non poteva parlare, naturalmente.<br />

Giaceva perplesso per quella evidente lacuna nella sua onnipotenza,<br />

quando udì la moglie scendere di sotto invece di entrare nella propria<br />

stanza, dall’altra parte del corridoio. Andò subito su tutte le furie, e si sarebbe<br />

alzato, sempre che gli fosse stato possibile. Ma nel bel mezzo della<br />

sua rabbia, si ricordò un particolare molto spassoso, e giacque immobile,<br />

internamente convulso da risa segrete.<br />

29<br />

12. Si dice elisir un liquore<br />

corroborante, un prezioso<br />

distillato dalle proprietà<br />

e dal gusto eccezionali; in<br />

questo caso il testo allude<br />

al whisky.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


30<br />

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630<br />

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645<br />

650<br />

Ben presto, Millie sarebbe morta, morta. Morta!<br />

Millie non sarebbe stata più una stupida. Millie non l’avrebbe più mandato<br />

in bestia con la propria sbadataggine. Millie sarebbe stata un cadavere!<br />

Lei tornò di sopra ed entrò in punta di piedi nella stanza.<br />

Ormai l’alcool aveva fatto il suo effetto, ed Henry non poteva muovere<br />

nemmeno la testa. Ben presto, sarebbe sopraggiunta l’incoscienza totale,<br />

ed egli avrebbe lasciato completamente il corpo, per precipitare in una<br />

oscurità eccitante.<br />

Riusciva a vedere soltanto le spalle e la testa di Millie, quando la donna entrava<br />

nel suo campo visivo. Era piuttosto seccato. Lei aveva ancora quelle<br />

linee attorno alla persona, e sulla faccia un’espressione assorta, che Henry<br />

ricordava d’averle già visto nel corso di qualche impresa domestica particolarmente<br />

difficile.<br />

Millie spense la luce, poi si diresse verso la finestra. Henry, a questo punto<br />

interessatissimo, la vide tirar su la veneziana.<br />

Poi, con sua grande meraviglia, udì un fruscio di carta; non un fruscio qualsiasi,<br />

ma uno particolare e a lui ben noto, che aveva udito centinaia di volte.<br />

Improvvisamente lo individuò. Carta adesiva. Millie aveva in mano il<br />

grosso rotolo di carta adesiva che lui usava in negozio.<br />

Era talmente indignato contro di lei, che, per qualche istante, non si domandò<br />

nemmeno che cosa stesse facendo la moglie; solo quando la vide<br />

profilarsi contro la seconda finestra, intuì. Millie stava tappando le fessure.<br />

Il suo fantasma rise di nuovo. Lo spiffero! Sciocca, stupida Millie che davvero<br />

aveva creduto alla storia dello spiffero.<br />

Lei riabbassò le veneziane e riaccese la luce. Aveva la solita faccia mite e<br />

inespressiva, il solito sguardo vuoto e insulso.<br />

Il marito la vide andare alla toletta, muoversi indaffarata, come sempre<br />

quando si occupava delle faccende domestiche.<br />

Ancora una volta, il fenomeno che aveva notato a tavola lo colpì. Vide la<br />

mano di lei e ciò che conteneva: li vide con chiarezza a causa del contorno<br />

nerissimo, più che mai in contrasto con la tovaglietta candida della toletta.<br />

Millie stava posando sul ripiano due pezzi di carta: uno bianco, con l’orlo<br />

frastagliato, uno celeste di forma a lui nota.<br />

Il fantasma di Henry Brownrigg si agitò nella sua prigione: ora il corpo<br />

aveva cessato di essere un’entità trascurabile, era diventato una bara, una<br />

bara sigillata, di piombo, che lo soffocava nel suo inanimato involucro.<br />

Lottò per liberarsi, per ridare vita e peso alla propria potenza, per muoversi.<br />

Millie sapeva!<br />

Il foglietto bianco con l’orlo frastagliato era una lettera di Phyllis tolta dal<br />

cassettino della farmacia, e quello azzurro – ora se ne ricordava – era il biglietto<br />

che lui le aveva lasciato nella vaschetta mal lavata.<br />

Rivide le proprie parole scarabocchiate a matita, con tanta chiarezza, come<br />

se avesse posseduto un obiettivo telescopico.<br />

«Cara Millie, credo di essermi spiegato abbastanza, vero?».<br />

E poi la firma, un «Henry» con tanto di svolazzo. Pensare che quando l’aveva<br />

scritto si era sentito così soddisfatto di sé!<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


655<br />

660<br />

665<br />

670<br />

6<strong>75</strong><br />

680<br />

685<br />

690<br />

695<br />

Lottò come un disperato. Ora la bara era fatta di vetro, di pesante opaco<br />

vetro che restava insensibile a tutti i suoi sforzi.<br />

Millie esitava. Aveva preso in mano di nuovo la lettera di Phyllis. Ecco, la<br />

rileggeva.<br />

Henry la vide farsi seria e strappare la lettera in tanti pezzi, che si ficcò poi<br />

nella tasca del golf.<br />

Henry Brownrigg comprese. Millie aveva pietà di Phyllis. Nonostante la<br />

sua ottusità, aveva intuito la sincera infatuazione della poverina, e aveva deciso<br />

di tenere la cosa per sé, di lasciare Phyllis fuori da quella storia.<br />

E adesso? Henry Brownrigg si contorceva dentro il proprio corpo inerte.<br />

Millie era tornata vicino alla toletta. Ora vi deponeva qualcos’altro. Cos’era?<br />

Oh, ecco cos’era...<br />

Il registro dei conti! Henry lo vide perfettamente, il vecchio registro macchiato<br />

dalle mosche, la cui storia era facile a leggersi e a comprendersi<br />

anche per il magistrato più ottuso.<br />

Ora Millie si stava allontanando. Henry quasi rischiò di non accorgersi che<br />

si era fermata vicino al caminetto. La donna non si chinò nemmeno. Con il<br />

piede calzato dalla pantofola, aprì la chiavetta della stufa a gas.<br />

Poi, uscì dalla stanza, chiudendo la luce, prima di tirare a sé l’uscio. Henry udì<br />

prima il fruscio del tendone che veniva chiuso, poi il cigolio dei cardini e lo<br />

scatto della serratura. Seguì una brevissima pausa, poi si udì girare la chiave.<br />

Millie si era comportata durante tutta l’operazione come se stesse preparando<br />

la cena, o riordinando lo stanzino di sgombero.<br />

Chiuso nella sua prigione, il fantasma di Henry Brownrigg ascoltava, impotente.<br />

Dall’altra estremità della stanza arrivava un sibilo sostenuto, costante.<br />

Su, in soffitta, sebbene lui non potesse naturalmente sentirlo, il contatore<br />

del gas ticchettava a pieno ritmo.<br />

Henry Brownrigg ebbe la visione di quello che si sarebbe svolto il mattino<br />

dopo. Le chiavi erano uguali in tutte le porte delle stanze, perciò Millie<br />

non avrebbe avuto nessuna difficoltà a spiegare che, svegliandosi, aveva<br />

sentito odore di gas e che, trovando la porta del marito chiusa a chiave,<br />

aveva aperto con la chiave della propria.<br />

Il fantasma si mosse nel proprio guscio. Ancora una volta la terra e i fatti<br />

terreni apparivano piccoli e trascurabili. L’incoscienza stava per sopraggiungere,<br />

l’oscurità era in attesa, pronta a sopraffarlo; solo che, in quell’oscurità,<br />

non vi sarebbe stato più nulla di eccitante.<br />

L’oscurità lo ingoiò. Egli aveva perso ogni nozione del guscio, ormai. Il guscio<br />

era annientato, aveva abbandonato la lotta.<br />

Il riverbero della luce di un lampione, che filtrava sotto la veneziana, stava<br />

sbiadendo. Impallidiva sempre più. Ecco... era scomparso.<br />

Mentre lo spettro di Henry Brownrigg strisciava fuori, nel gelo notturno,<br />

un mormorio gli risuonò accanto, carico di raggelante certezza:<br />

«I tipi così riescono sempre a farla franca. Sono troppo ottusi, troppo pratici,<br />

troppo privi di fantasia. Riescono sempre a farla franca».<br />

Il fantasma di Henry, in “Il racconto”, I, n. 2, luglio 19<strong>75</strong><br />

31<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


32<br />

STRUMENTI DI LETTURA<br />

La storia<br />

Il fantasma di Henry è una via di<br />

mezzo tra due generi letterari, quello del<br />

giallo vero e proprio e il noir. Se nel<br />

primo l’elemento principale è la soluzione<br />

di un enigma, destinata a sciogliere<br />

la tensione e ricondurre a una condizione<br />

di equilibrio, nel secondo il finale rimane<br />

spesso “aperto” e, in ogni caso, non è mai<br />

consolatorio. Nel Fantasma di Henry, infatti,<br />

assistiamo all’accurata progettazione<br />

di un delitto ma alla fine non c’è nessun<br />

assassino da scoprire, poiché né la vittima<br />

né il colpevole sono quelli che ci saremmo<br />

aspettati, anzi, abbiamo ottimi<br />

motivi per supporre che l’assassino rimarrà<br />

impunito. Altro elemento tipicamente<br />

noir è il torbido sentimento amoroso<br />

che s’impossessa del protagonista,<br />

una cupa ossessione che lo spinge ad architettare<br />

quello che egli, illusoriamente,<br />

ritiene un “delitto perfetto”. Se vogliamo,<br />

proprio nelle ultime battute, il racconto<br />

sembra sconfinare addirittura nella ghost<br />

story, con l’immagine dello spettro del<br />

protagonista che, mentre striscia fuori,<br />

«nel gelo notturno», sente risuonare intorno<br />

a sé una sconvolgente e beffarda<br />

sentenza: l’assassino riuscirà a farla<br />

franca. L’intera vicenda è scandita dalle<br />

tappe che preludono al compimento del<br />

delitto, dettagliatamente “motivato” almeno<br />

per quanto riguarda il protagonista<br />

principale. E in effetti, alla fine, un delitto<br />

avrà luogo, anche se all’ultimo momento<br />

l’assassino si troverà nei panni della vittima,<br />

e viceversa.<br />

I personaggi<br />

L’intera vicenda si sviluppa intorno<br />

a personaggi profondamente ambigui,<br />

che alla fine si rivelano tutt’altro rispetto<br />

a quel che apparivano all’inizio.<br />

Tutto ruota intorno al signor Brownrigg,<br />

farmacista di mezza età, la cui acuta descrizione<br />

psicologica trova riscontro in<br />

una gustosa e pungente caratterizzazione<br />

fisica. Tronfio, supponente e prevarica-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

tore, si rivela invece un imbecille e un<br />

pasticcione, vittima predestinata della<br />

propria debolezza e dell’inclinazione al<br />

vizio dell’alcol, che lo spinge settimanalmente<br />

a ubriacarsi tanto da piombare<br />

in uno stato di catatonia completa. La<br />

“sciocca” Millie, sua moglie, sembra essergli<br />

completamente sottomessa, ma<br />

l’ambiguità di certe sue considerazioni<br />

sul marito dovrebbero mettere prontamente<br />

sull’avviso il lettore riguardo all’effettivo<br />

acume della donna. Ambigui<br />

sono anche i personaggi di contorno,<br />

dall’anziano dottor Crupiner a Phyllis<br />

Bell, la ragazza attratta in un primo<br />

tempo dal bieco farmacista ma che ora lo<br />

rifiuta, a Bill Perry, il commesso, devoto<br />

a Millie ma pronto a fraintendere clamorosamente<br />

le intenzioni e i reali sentimenti<br />

di Henry Brownrigg.<br />

Il narratore<br />

L’impersonalità del narratore è<br />

quasi una regola del genere giallo, dettata<br />

da esigenze strumentali come quella<br />

di non fornire prima del dovuto al lettore<br />

determinate informazioni, oppure<br />

di mantenere intorno a uno o più personaggi<br />

un alone di mistero o ambiguità.<br />

In questo caso, il narratore scompare e<br />

lascia in primo piano il personaggio<br />

principale, il signor Brownrigg, che seguiamo<br />

nella lunga, meticolosa ma farraginosa<br />

preparazione del delitto. Il maturo<br />

farmacista è convinto di conquistare<br />

per sempre la giovanissima Phyllis, ma al<br />

lettore non mancano elementi tali da<br />

poter concludere che quella di Brownrigg<br />

è e rimarrà soltanto un’illusione.<br />

Al contempo, la più volte ribadita stupidità<br />

di Millie appare, a ben guardare,<br />

solo un pregiudizio dettato dalla sconfinata<br />

supponenza del marito. Il narratore,<br />

neutro e impersonale, fornisce<br />

così una sorta di puzzle di elementi<br />

volta a volta congrui o contrastanti, che<br />

il lettore dovrà ingegnarsi a disporre<br />

nel modo più adeguato.


1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

33<br />

DOMANDE DI VERIFICA<br />

Ripercorri gli elementi della descrizione fisica di Brownrigg che appaiono nella prima parte del<br />

racconto e valuta se, in base a quanto dice il testo, le affermazioni che seguono sono vere o false.<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

e<br />

Era un uomo alto di quarantacinque anni.<br />

Era una persona robusta che tendeva ad appesantirsi.<br />

Aveva faccia rasata, un collo taurino e labbra carnose.<br />

Non aveva occhi interessanti né incisivi.<br />

Nel complesso era un uomo appariscente e piacevole.<br />

Nella parte iniziale del racconto, Brownrigg parla di un “ostacolo”: a che cosa pensi si riferisca?<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

Al fatto che sarebbe comparso presto un fidanzato per Phyllis, la ragazza di cui egli dice di essere<br />

innamorato.<br />

Al fatto che non possiede sufficiente denaro per fare la vita che vorrebbe.<br />

Alla presenza della moglie che gli impedisce di avere relazioni con altre donne in modo più libero.<br />

A Perry, il fattorino della bottega, la cui presenza rappresenta per lui un ostacolo ad agire liberamente.<br />

Sulla base dello svolgimento del racconto, puoi dire per quale motivo Brownrigg porta la moglie<br />

Millie dal dottor Crupiner?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

Per più di una volta nel corso del racconto si fa riferimento al “vecchio registro macchiato dalle<br />

mosche”. Per qual motivo, secondo te, questo elemento ricorre in modo quasi marginale, ma tuttavia<br />

insistito?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

L’abitudine del sabato sera di sbronzarsi con il whisky pone Brownrigg in una particolare condizione<br />

che viene descritta nel racconto per due volte, una nel corso del testo, per rendere conto<br />

delle abitudini di vita del protagonista, e una seconda volta nella scena finale. Quale differenza<br />

esiste nella descrizione del corpo e della mente nelle due situazioni?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

Quando il fantasma di Henry sta lasciando definitivamente il corpo, comprendendo di essere<br />

stato ucciso dalla moglie, dice a proposito della donna che “i tipi così riescono sempre a<br />

farla franca. Sono troppo ottusi, troppo pratici, troppo privi di fantasia. Riescono sempre a farla<br />

franca”. Valutando la figura di Millie, saresti d’accordo con l’opinione di Brownrigg?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

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34<br />

Gabriel García Márquez<br />

Un signore molto<br />

vecchio con due ali<br />

enormi<br />

anno 1972<br />

luogo<br />

Colombia<br />

genere<br />

racconto<br />

fantastico<br />

Presentazione dell’opera<br />

Un signore molto vecchio con due ali enormi, del 1968, fu scritto un anno dopo la pubblicazione di Cent’anni di solitudine, capolavoro<br />

di García Márquez e uno dei massimi romanzi del Novecento. Anche qui ritroviamo una colorita quanto amara rappresentazione<br />

di un paese dell’America Latina, del quale lo scrittore delinea la condizione allucinata con inventiva, bruciante ironia ma<br />

anche con una profonda schiettezza.<br />

Gabriel García Márquez<br />

Nato nel 1928 ad Aracataca, Colombia, come giornalista soggiornò in Francia,<br />

Messico, S<strong>pag</strong>na e Italia, dove studiò al Centro sperimentale di cinematografia<br />

di Roma. Ai romanzi Foglie morte (1955) e Nessuno scrive al colonnello<br />

(1961) seguono i racconti di I funerali della Mama Grande (1962), ove già<br />

emerge il mondo mitico e paradossale che gli sarà caratteristico. Dopo La<br />

mala ora (1962), il romanzo Cent’anni di solitudine (1967), centrato sull’immaginaria<br />

ed epica comunità di Macondo, viene considerato il suo capolavoro<br />

e riscuote un successo planetario. Ai racconti di L’incredibile e triste storia<br />

della candida Eréndira e della sua nonna snaturata (1972) seguono Occhi<br />

di cane azzurro (1974), L’autunno del patriarca (19<strong>75</strong>) e Cronaca di una<br />

morte annunciata (1981). Nel 1982 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Seguono L’amore ai tempi<br />

del colera (1985), Il generale nel suo labirinto (1989), Dell’amore e altri demoni (1994). Nel 1999 gli<br />

viene diagnosticata una grave malattia che lo spinge a scrivere le sue memorie, il cui primo volume, Vivere<br />

per raccontarla, esce nel 2002. Nel 2004, vinta la sua battaglia contro il cancro, pubblica il romanzo<br />

Memoria delle mie puttane tristi (2004) e il monologo teatrale Diatriba d’amore contro un uomo seduto<br />

(2007). È anche autore di numerosi volumi di articoli e saggi.<br />

<strong>05</strong><br />

10<br />

l terzo giorno di pioggia avevano ucciso così tanti granchi dentro casa<br />

I<br />

che Pelayo dovette attraversare il cortile allagato e buttarli in mare,<br />

perché la notte il piccolo aveva avuto la febbre e si pensava fosse a<br />

causa del fetore. Il mondo era triste fin dal martedì. Il cielo e il mare<br />

erano un tutt’uno di cenere, e la sabbia della spiaggia, che in marzo scintillava<br />

come polvere di fuoco, era diventata una brodaglia di fango e molluschi<br />

marci. A mezzogiorno la luce era talmente fioca che quando Pelayo tornò a<br />

casa dopo aver buttato via i granchi fece fatica a vedere cosa si muoveva e si<br />

lamentava in fondo al cortile. Dovette avvicinarsi un bel po’ prima di rendersi<br />

conto che era un vecchio, sdraiato a faccia in giù nel pantano, che malgrado<br />

i continui sforzi non riusciva ad alzarsi, impedito dalle sue enormi ali.<br />

Spaventato da quell’incubo, Pelayo corse a cercare Elisenda, sua moglie,<br />

che stava facendo impacchi al bambino malato, e la portò in fondo al cortile.<br />

Tutti e due osservarono il corpo caduto con tacito stupore. Era ve-<br />

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50<br />

55<br />

60<br />

stito come uno straccivendolo. Gli restava appena qualche filo sbiadito<br />

sul cranio pelato e pochissimi denti in bocca, e la sua penosa condizione<br />

di bisnonno fradicio lo aveva privato di ogni grandezza. Le ali da grosso<br />

avvoltoio, spennacchiate e sporche, erano definitivamente incagliate nel<br />

pantano. Pelayo ed Elisenda l’osservarono talmente tanto, e con tale attenzione,<br />

che si ripresero ben presto dallo stupore e finirono per trovarlo<br />

familiare. Allora si azzardarono a parlargli e lui rispose in un dialetto incomprensibile,<br />

ma con una bella voce da navigatore. Fu così che passarono<br />

sopra l’inconveniente delle ali e conclusero con molto buonsenso<br />

che era un naufrago solitario di qualche nave straniera affondata nella<br />

tempesta. In ogni modo decisero di chiamare una vicina che sapeva tutto<br />

della vita e della morte, e a lei bastò un’occhiata per disilluderli.<br />

«È un angelo» disse. «Veniva di sicuro a prendersi il bambino, ma è talmente<br />

vecchio, poveretto, che la pioggia l’ha abbattuto».<br />

Il giorno dopo tutti sapevano che in casa di Pelayo era prigioniero un angelo<br />

in carne e ossa. Contro il parere della saggia vicina, per cui gli angeli<br />

di questi tempi erano fuggiaschi sopravvissuti a una cospirazione celestiale,<br />

non avevano avuto cuore di ammazzarlo a bastonate. Pelayo lo<br />

aveva sorvegliato tutto il pomeriggio dalla cucina, armato del suo randello<br />

di gendarme, e prima di andare a letto lo aveva trascinato fuori dal<br />

pantano e chiuso con le galline nel pollaio. A mezzanotte, quando aveva<br />

smesso di piovere, Pelayo ed Elisenda stavano ancora ammazzando granchi.<br />

Poco dopo il bambino si era svegliato senza febbre e con appetito. A<br />

quel punto si erano sentiti magnanimi e avevano deciso di mettere l’angelo<br />

su una zattera con acqua dolce e provviste per tre giorni, e di abbandonarlo<br />

alla sua sorte in alto mare. Ma quando alle prime luci dell’alba<br />

erano usciti nel cortile, avevano trovato tutti i vicini davanti al pollaio, a<br />

divertirsi con l’angelo senza la minima devozione e a gettargli roba da<br />

mangiare attraverso la rete come se fosse un animale da circo e non una<br />

creatura sovrannaturale.<br />

Padre Gonzaga arrivò prima delle sette, allarmato da quella notizia spropositata.<br />

Allora erano già accorsi curiosi meno frivoli di quelli dell’alba e<br />

avevano fatto ogni genere di congettura sul futuro del prigioniero. I più<br />

semplici pensavano che sarebbe stato nominato alcalde 1 del mondo. Altri,<br />

di spirito più rude, supponevano che sarebbe stato promosso generale da<br />

cinque stellette per vincere tutte le guerre. Alcuni visionari speravano che<br />

venisse tenuto come stallone per fondare sulla terra una stirpe di uomini<br />

alati e sapienti che reggessero l’universo. Ma padre Gonzaga prima di diventare<br />

sacerdote era stato un robusto taglialegna. Affacciato alla rete, ripassò<br />

un momento il suo catechismo e poi chiese che gli venisse aperta la<br />

porta per esaminare da vicino quel pover’uomo che sembrava piuttosto<br />

un’enorme gallina decrepita in mezzo alle altre galline assorte. L’angelo<br />

era sdraiato in un angolo e si asciugava al sole le ali spiegate, tra le bucce<br />

di frutta e gli avanzi di colazione che gli avevano buttato i più mattinieri.<br />

Insensibile alle impertinenze del mondo, alzò a stento gli occhi da antiquario<br />

mormorando qualcosa nel suo dialetto quando padre Gonzaga<br />

35<br />

1. Era detto così in S<strong>pag</strong>na<br />

e nelle sue colonie un<br />

funzionario statale che<br />

aveva funzioni<br />

amministrative<br />

e giudiziarie. Deriva<br />

dall’arabo al-qadi, giudice.<br />

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36<br />

2. Il testo allude al fatto<br />

che la lingua ufficiale della<br />

Chiesa è il latino.<br />

3. Parola s<strong>pag</strong>nola<br />

e portoghese che significa<br />

centesimo.<br />

065<br />

070<br />

0<strong>75</strong><br />

080<br />

085<br />

090<br />

095<br />

100<br />

1<strong>05</strong><br />

entrò nel pollaio e gli diede il buongiorno in latino. Il parroco ebbe i<br />

primi sospetti sulla sua impostura appena si rese conto che non capiva la<br />

lingua di Dio 2 né sapeva salutare i suoi ministri. Poi constatò che visto da<br />

vicino appariva fin troppo umano: aveva un insopportabile odore di intemperie,<br />

il rovescio delle ali coperto di alghe parassitarie, le penne più<br />

grandi sciupate da venti terrestri, e niente nella sua miserabile natura era<br />

compatibile con l’illustre dignità degli angeli. Allora uscì dal pollaio e<br />

con un breve sermone mise in guardia i curiosi contro i rischi dell’ingenuità.<br />

Ricordò che il diavolo aveva la brutta abitudine di ricorrere ad artifizi<br />

da carnevale per confondere gli incauti. Argomentò che se le ali non<br />

erano l’elemento essenziale per stabilire le differenze tra uno sparviero e<br />

un aeroplano, tanto meno potevano esserlo per riconoscere gli angeli. Ma<br />

promise di scrivere una lettera al suo vescovo, perché questi ne scrivesse<br />

un’altra al suo primate, e costui una terza al Sommo Pontefice, così che il<br />

<strong>verde</strong>tto finale giungesse dai tribunali supremi.<br />

La sua prudenza cadde in cuori sterili. La notizia dell’angelo prigioniero<br />

si sparse con tale rapidità che in poche ore nel cortile c’era una baraonda<br />

da mercato, e dovettero portare la truppa con le baionette per disperdere<br />

la folla in tumulto che stava per buttar giù la casa. Elisenda, con la spina<br />

dorsale storta a forza di spazzare immondizia da fiera, ebbe allora la<br />

buona idea di recintare il cortile e far <strong>pag</strong>are cinque centavos 3 il biglietto<br />

per vedere l’angelo.<br />

Arrivarono curiosi fin dalla Martinica. Arrivò una fiera girovaga con un<br />

acrobata volante che passò varie volte a razzo sopra la folla, ma nessuno<br />

gli badò perché le sue ali non erano d’angelo ma di pipistrello siderale.<br />

Arrivarono in cerca di guarigione i malati più disgraziati dei Caraibi: una<br />

povera donna che fin da bambina contava i battiti del proprio cuore e non<br />

le bastavano più i numeri, un giamaicano che non riusciva a dormire perché<br />

era tormentato dal rumore delle stelle, un sonnambulo che di notte si<br />

alzava a disfare quanto aveva fatto da sveglio, e molti altri meno gravi. In<br />

mezzo a quel disordine da naufragio che faceva tremare la terra, Pelayo<br />

ed Elisenda erano felici nella loro stanchezza, perché in meno di una settimana<br />

avevano riempito di soldi le camere da letto, e la fila di pellegrini<br />

che aspettava di entrare giungeva ancora fin oltre l’orizzonte.<br />

L’angelo era l’unico che non partecipava al proprio evento. Passava il<br />

tempo a cercare di accomodarsi alla meglio nel suo nido prestato, stordito<br />

dal calore infernale delle lampade a olio e delle candele votive che<br />

mettevano vicino alla rete. All’inizio cercarono di fargli mangiare cristalli<br />

di canfora, che secondo la scienza della saggia vicina era l’alimento specifico<br />

degli angeli. Ma lui li disdegnava, come aveva disdegnato senza assaggiarli<br />

i pranzi papali che gli portavano i penitenti, e non si seppe mai<br />

se fu perché era un angelo o perché era vecchio che finì per mangiare soltanto<br />

pappette di melanzana. La sua unica virtù sovrannaturale sembrava<br />

la pazienza. Soprattutto nei primi tempi, quando le galline lo becchettavano<br />

in cerca dei parassiti stellari che proliferavano nelle sue ali, e gli<br />

storpi gli strappavano le penne per passarsele sulle magagne, e persino i<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


110<br />

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più misericordiosi gli tiravano sassi cercando di farlo alzare per vederlo a<br />

figura intera. L’unica volta che riuscirono a innervosirlo fu quando gli<br />

bruciarono il fianco con un ferro per marchiare i manzi, perché era rimasto<br />

immobile così tante ore che lo credevano morto. Si svegliò di soprassalto,<br />

strepitando nella sua lingua ermetica con le lacrime agli occhi, e<br />

sbatté un paio di volte le ali sollevando un vortice di sterco di gallina<br />

e polvere lunare, e un uragano di panico che non sembrava di questo<br />

mondo. Molti pensarono che la sua reazione non fosse di rabbia ma di<br />

dolore, però da quel momento si guardarono bene dall’infastidirlo, perché<br />

la maggior parte comprese che la sua non era una passività da eroe in<br />

ritiro, ma da cataclisma in riposo.<br />

Padre Gonzaga affrontò la frivolezza della folla con formule di ispirazione<br />

domestica, in attesa di ricevere il <strong>verde</strong>tto definitivo sulla natura<br />

del prigioniero. Ma la posta da Roma aveva perso la nozione dell’urgenza.<br />

Passavano il tempo ad appurare se il reo aveva l’ombelico, se il suo<br />

dialetto era legato in qualche modo all’aramaico 4 , se poteva stare più<br />

volte sulla punta di uno spillo o se non era semplicemente un norvegese<br />

con le ali. Quelle lettere flemmatiche sarebbero andate avanti e indietro<br />

fino alla fine dei secoli, se un fatto provvidenziale non avesse posto termine<br />

alle tribolazioni del parroco.<br />

Accadde che in quei giorni, fra le numerose attrazioni delle fiere errabonde<br />

dei Caraibi, giunse in paese il triste spettacolo della donna che si<br />

era trasformata in ragno per aver disobbedito ai genitori. Il biglietto per<br />

vederla non solo costava meno del biglietto per vedere l’angelo, ma era<br />

permesso farle ogni genere di domanda sulla sua aberrante condizione ed<br />

esaminarla dal dritto e dal rovescio, perché nessuno mettesse in dubbio la<br />

verità dell’orrore. Era una tarantola spaventosa delle dimensioni di un<br />

montone e con una testa da donzella triste. La cosa più straziante però<br />

non era la sua figura assurda, ma la sincera afflizione con cui raccontava i<br />

dettagli della propria disgrazia: quando era ancora quasi una bambina era<br />

scappata dalla casa dei genitori per andare a un ballo, e mentre tornava<br />

attraverso il bosco dopo aver ballato tutta la notte senza permesso un<br />

tuono spaventoso aveva squarciato il cielo, e da quella fenditura era uscito<br />

il lampo di zolfo che l’aveva trasformata in ragno. Il suo unico alimento<br />

erano le palline di carne trita che le gettavano in bocca le anime caritatevoli.<br />

Un simile spettacolo, carico di tanta verità umana e di un così terribile<br />

monito, doveva sconfiggere senza volere quello di un angelo sprezzante<br />

che si degnava a stento di guardare i mortali. E poi, i pochi miracoli<br />

attribuiti all’angelo rivelavano un certo disordine mentale, come il caso<br />

del cieco che non aveva recuperato la vista ma aveva messo tre denti<br />

nuovi, e quello del paralitico che non aveva ripreso a camminare ma era<br />

stato lì lì per vincere alla lotteria, o quello del lebbroso a cui erano nati<br />

girasoli nelle ferite. Quei miracoli di consolazione, che sembravano piuttosto<br />

passatempi beffardi, avevano già danneggiato la reputazione dell’angelo<br />

quando la donna trasformata in ragno finì di distruggerla. Fu<br />

così che padre Gonzaga guarì per sempre dall’insonnia, e il cortile di Pe-<br />

37<br />

4. L’aramaico era la lingua<br />

semitica parlata<br />

correntemente al tempo<br />

di Gesù e presente nel<br />

territorio del vicino Oriente<br />

già da mille anni circa,<br />

come lingua ufficiale<br />

del culto e della legge.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


38<br />

5. Struttura portante<br />

della penna con cui essa<br />

si attacca all’ala.<br />

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195<br />

layo ritornò solitario come ai tempi in cui aveva piovuto per tre giorni e<br />

i granchi si aggiravano nelle camere da letto.<br />

I padroni di casa non ebbero niente di cui lamentarsi. Grazie al denaro<br />

raccolto costruirono una villa a due piani, con balconi e giardini, e soglie<br />

molto alte perché non entrassero i granchi d’inverno, e sbarre di ferro<br />

alle finestre perché non entrassero gli angeli. Inoltre, Pelayo aprì un allevamento<br />

di conigli a un passo dal paese e rinunciò per sempre al suo<br />

brutto lavoro di gendarme, ed Elisenda si comprò delle scarpette di raso<br />

a tacco alto e tanti vestiti in seta cangiante, di quelli che all’epoca indossavano<br />

la domenica le signore più invidiate. Il pollaio fu l’unica cosa a<br />

non ricevere attenzioni. Se qualche volta lo lavarono con creolina e vi<br />

bruciarono grani di mirra non fu in omaggio all’angelo ma per scacciare<br />

il fetore da letamaio che ormai si aggirava ovunque come un fantasma e<br />

stava invecchiando la casa nuova. All’inizio, quando il piccolo imparò a<br />

camminare, badarono che non ci si avvicinasse troppo. Ma poi pian piano<br />

dimenticarono i loro timori e si abituarono alla puzza, e prima che il<br />

bambino cambiasse i denti si era già infilato a giocare dentro il pollaio, la<br />

cui recinzione marcita cadeva a pezzi. L’angelo non fu meno scontroso<br />

con lui che con il resto dei mortali, ma sopportava le infamie più ingegnose<br />

con una mansuetudine da cane senza illusioni. Contrassero la varicella<br />

insieme. Il medico che curò il bambino non seppe resistere alla tentazione<br />

di auscultare l’angelo, e sentì talmente tanti soffi al cuore e<br />

rumori nelle reni da sembrargli incredibile che fosse ancora vivo. Ma fu<br />

la logica delle sue ali a stupirlo di più. Apparivano così naturali in quell’organismo<br />

completamente umano che non riusciva a capire perché non<br />

le avessero anche gli altri uomini.<br />

Quando il bambino andò a scuola, il sole e la pioggia avevano da tempo<br />

distrutto il pollaio. L’angelo si trascinava qua e là come un moribondo<br />

senza padrone. Lo cacciavano via da una camera a colpi di scopa e un momento<br />

dopo se lo ritrovavano in cucina. Sembrava essere in così tanti<br />

posti assieme da spingerli a pensare che si sdoppiasse, che si moltiplicasse<br />

in tutta la casa, e l’esasperata Elisenda gridava fuori di sé che era una disgrazia<br />

vivere in quell’inferno pieno di angeli. Lui riusciva a stento a<br />

mangiare, i suoi occhi da antiquario erano così annebbiati che inciampava<br />

nei pilastri della casa, e non gli restavano che le cannule 5 pelate delle<br />

ultime penne. Pelayo gli buttò addosso una coperta e gli fece la carità di<br />

lasciarlo dormire sotto la tettoia, e solo allora si accorsero che passava la<br />

notte a delirare per la febbre con scioglilingua da vecchio norvegese.<br />

Quella fu una delle poche volte in cui si allarmarono, perché pensavano<br />

che stesse per morire, e neppure la saggia vicina aveva saputo dire che<br />

cosa si faceva degli angeli morti.<br />

Eppure non solo sopravvisse al suo peggiore inverno, ma parve riprendere<br />

le forze al primo sole. Rimase immobile per giorni e giorni nell’angolo<br />

più appartato del cortile, dove nessuno poteva vederlo, e agli inizi di<br />

dicembre cominciarono a spuntargli sulle ali penne grandi e dure, penne<br />

da uccellaccio decrepito che sembravano quasi un nuovo guaio della vec-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


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chiaia. Ma lui doveva conoscere la ragione di quei cambiamenti, perché<br />

stava bene attento che nessuno li notasse, né sentisse le canzoni da marinaio<br />

che a volte cantava sotto le stelle. Una mattina Elisenda stava affettando<br />

una cipolla per il pranzo, quando entrò in cucina un vento che<br />

sembrava d’alto mare. Allora si affacciò alla finestra e sorprese l’angelo<br />

nei suoi primi tentativi di volo. Erano talmente goffi che aprì con le unghie<br />

un solco d’aratro fra gli ortaggi e per poco non buttò giù la tettoia<br />

con quegli indegni colpi d’ala che scivolavano sulla luce e non trovavano<br />

appiglio in aria. Ma riuscì a guadagnare quota. Elisenda tirò un sospiro di<br />

sollievo, per lei e per lui, quando lo vide passare sopra le ultime case, tenendosi<br />

su in qualche modo con un incerto svolazzio da avvoltoio senile.<br />

Continuò a vederlo anche quando finì di tagliare la cipolla, e continuò a<br />

vederlo anche quando non era possibile che potesse vederlo, perché<br />

ormai non era più una seccatura nella sua vita, ma un punto immaginario<br />

sull’orizzonte del mare.<br />

Un signore molto vecchio con due ali enormi,<br />

in L’incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata,<br />

Mondadori, Milano 2004<br />

39<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


40<br />

STRUMENTI DI LETTURA<br />

La storia<br />

Sin dall’incipit, l’autore riesce<br />

a farci accettare come “normali” una<br />

quantità di elementi surreali, da una casa<br />

invasa dai granchi al fatto di scovare in<br />

fondo al cortile un anziano signore con<br />

le ali. Così, dopo lo spavento causato da<br />

quell’«incubo», alla fine si finisce per<br />

trovarlo «familiare». Tuttavia, poiché in<br />

quel mondo tropicale, impantanato e<br />

misero, pare non esservi posto per i sentimenti,<br />

colui che la superstizione popolare<br />

aveva immediatamente identificato<br />

come un angelo caduto diventa un fenomeno<br />

da baraccone, da esibire a <strong>pag</strong>amento.<br />

Il sistematico, minuzioso intreccio<br />

di reale e surreale fa scaturire quel<br />

senso di «realismo magico» per cui García<br />

Márquez è giustamente famoso, dove<br />

la «magia» è come la scintilla che rivela<br />

tutto lo squallore di una «realtà» avida,<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

cinica e crudele. Così, alla fine, quando<br />

l’uomo con le ali vola via, per qualcuno<br />

sarà soltanto una «seccatura» in meno.<br />

La lingua<br />

e lo stile<br />

In García Márquez, considerato il maggior<br />

esponente del moderno «realismo<br />

magico» in letteratura, un acuto senso<br />

del particolare sfuma costantemente nell’indefinito<br />

e nel fantastico. La prosa è<br />

scorrevole ma costantemente pervasa<br />

da un’ironia amara. Il linguaggio, complesso<br />

e articolato, intreccia realtà e fantasia,<br />

storia e leggenda, vita quotidiana e<br />

mito, infimo e sublime. Nel racconto<br />

trovano posto, nella stessa misura paradossale,<br />

uno stile vivo e concreto e una<br />

dolente rappresentazione della vita.


1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

41<br />

DOMANDE DI VERIFICA<br />

L’ambientazione del racconto è situata in:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

Un pollaio malridotto in prossimità del mare.<br />

Una villa ben costruita con un pollaio semi distrutto.<br />

Un cortile pieno di fango, di granchi e galline.<br />

Una casa in sud America, vicina al mare, tormentata dalla presenza dei granchi.<br />

Prima che la vicina di casa lo riconosca come tale, l’autore introduce la figura dell’angelo (oltre<br />

a ciò che già dice nel titolo) come “un vecchio, sdraiato a faccia in giù nel pantano, che malgrado<br />

i continui sforzi non riusciva ad alzarsi, impedito dalle sue enormi ali”; un “corpo caduto”;<br />

“vestito come uno straccivendolo”; “con il cranio pelato”; “pochissimi denti in bocca”;<br />

“bisnonno fradicio”; con “ali da grosso avvoltoio, spennacchiate, sporche, incagliate nel pantano”;<br />

capace solo di “parlare un dialetto incomprensibile”.<br />

Sapresti interpretare i dati scelti dall’autore per presentare il personaggio dell’angelo?<br />

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Servendoti degli elementi tratti dal racconto, quale giudizio sull’angelo esprime il parroco,<br />

padre Gonzaga?<br />

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Tenendo conto di tutto lo svolgimento del racconto, quale comportamento hanno gli uomini<br />

del popolo (esclusi i protagonisti) rispetto all’angelo?<br />

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Considerando l’aspetto dell’angelo e il suo comportamento nel corso della storia, individua gli<br />

aspetti “divini” che connotano la sua immagine.<br />

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Ripercorrendo l’intera storia, si può dire che Márquez abbia usato l’espediente dell’angelo –<br />

presentato nei termini che conosciamo – per dare una sua particolare valutazione della realtà<br />

umana?<br />

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42<br />

Antonio Tabucchi<br />

Treni che vanno<br />

a Madras<br />

anno 1985<br />

luogo<br />

Italia<br />

genere<br />

racconto tra<br />

realtà<br />

e fantasia<br />

Presentazione dell’opera<br />

L’attenzione critica dedicata a Pessoa ha fornito a Tabucchi suggerimenti e suggestioni anche per la sua opera narrativa. Dopo i<br />

primi romanzi lo scrittore si è rivolto soprattutto alla forma del racconto, più congeniale a creare situazioni in cui si mette in evidenza<br />

ciò che è possibile, relativo o capovolto rispetto alla realtà, e in cui ritornano insistentemente i motivi del destino, dell’ambiguità,<br />

dell’insensatezza dell’esistenza. Alla base di Piccoli equivoci senza importanza vi è il concetto della vita come rebus, rebus<br />

destinati a rimanere senza soluzione fra mille ipotesi e congetture. In Treni che vanno a Madras il com<strong>pag</strong>no di viaggio del protagonista<br />

“potrebbe” essere colui che commette l’omicidio di cui si parla sul giornale il giorno seguente, ma il protagonista di Rebus,<br />

un altro racconto della stessa raccolta, riflettendo sull’impossibilità di capire la realtà, fa questa considerazione: «la vita è come<br />

una tessitura, tutti i fili si intrecciano, è questo che un giorno vorrei capire, vedere tutto il disegno». Tuttavia, poiché il disegno<br />

sfugge al protagonista quanto al lettore, i piccoli rebus diventano metafora di un rebus ben più ampio, quello rappresentato dalla<br />

letteratura, vista come enigma insolubile o come equivoco.<br />

5<br />

Antonio Tabucchi<br />

Nato a Pisa nel 1943, già direttore a Lisbona dell’Istituto italiano di cultura,<br />

della letteratura portoghese ha fatto oggetto d’insegnamento, saggi critici e<br />

traduzioni. A lui si deve la diffusione in Italia delle opere di Fernando Pessoa,<br />

il massimo scrittore lusitano moderno. Pessoa ha profondamente influenzato<br />

il Tabucchi narratore, autore di romanzi e racconti lunghi fra i quali Piazza<br />

d’Italia (19<strong>75</strong>), Il piccolo naviglio (1978), Notturno indiano (1984), Il filo dell’orizzonte<br />

(1986), Requiem (1992), Sostiene Pereira (1994), il suo libro di<br />

maggior successo, La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), Si sta facendo<br />

sempre più tardi (2001). Dopo il suo primo racconto Irma Serena, pubblicato<br />

nel volume L’Astromostro. Racconti per bambini (1980), sono uscite<br />

numerose raccolte: Il gioco del rovescio (1981), Donna di Porto Pim e altre storie (1983), Piccoli equivoci<br />

senza importanza (1985), I volatili del Beato Angelico (1987), L’angelo nero (1991), Sogni di sogni<br />

(1992). Per il teatro ha scritto i monologhi I dialoghi mancati (1988), mentre della sua produzione saggistica<br />

ricordiamo La gastrite di Platone (1998) e, tra quelli dedicati a Pessoa, Il poeta e la finzione<br />

(1983) e Un baule pieno di gente (1990).<br />

treni che da Bombay vanno a Madras1 partono dalla Victoria Station.<br />

La mia guida assicurava che una partenza dalla Victoria Station vale<br />

da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi<br />

aveva fatto preferire il treno all’aereo. La mia guida era un libretto<br />

un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo stavo<br />

seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente<br />

incongruo, dunque quello era il libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore<br />

non come un predone avido di immagini stereotipe 2 I<br />

al quale si consigliano<br />

tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di<br />

1. Il viaggio descritto dal racconto attraversa da ovest a est<br />

la penisola indiana nella zona meridionale, congiungendo<br />

due delle maggiori città della regione.<br />

2. La similitudine accosta l’idea del viaggiatore più banale<br />

desideroso di conoscere i luoghi più tipici a quella del<br />

predone, ovvero del brigante che si impadronisce delle<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

cose preziose che incontra sulla sua strada in terra<br />

straniera. Così facendo l’autore pone idealmente a<br />

confronto un turismo più superficiale che incontra le<br />

bellezze artistiche e naturali di un paese seguendo schemi<br />

predefiniti, con uno più attento alla realtà che incontra,<br />

anche se apparentemente meno organizzato.


10<br />

15<br />

20<br />

25<br />

30<br />

35<br />

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55<br />

corsa, ma alla stregua di un essere vagante e illogico, disponibile all’ozio e<br />

all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete<br />

l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili. Con i treni di lunga<br />

percorrenza vi sottoporrete al rischio di soste fuori programma e potrete<br />

anche arrivare un giorno più tardi del previsto, ma vedrete la vera India.<br />

Però, se avrete la fortuna di prendere il treno giusto, sarà puntualissimo e<br />

confortevole, avrete cibo eccellente e un servizio perfetto, e un biglietto di<br />

prima classe vi costerà meno della metà di un biglietto aereo. E poi non dimenticate<br />

che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili.<br />

Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto; e forse<br />

mi era anche capitata la fortuna del treno giusto. Avevo attraversato paesaggi<br />

di rara bellezza, o comunque indimenticabili per l’umanità che avevo<br />

visto; il vagone era di un conforto eccezionale, l’aria condizionata gradevole,<br />

il servizio impeccabile. Stava calando il crepuscolo e il treno attraversava<br />

un paesaggio di montagne rosse e scabre. Il servitore entrò con uno<br />

spuntino su un vassoio di legno laccato, mi porse una salvietta umida, mi<br />

versò il tè, mi informò con discrezione che ci trovavamo in mezzo all’India.<br />

Mentre mangiavo sistemò la mia cuccetta, specificò che il vagone ristorante<br />

restava aperto fino alla mezzanotte e che se desideravo cenare nel mio<br />

scompartimento bastava suonassi il campanello. Lo ringraziai con una piccola<br />

mancia e gli restituii il vassoio vuoto. Poi restai a fumare guardando dal<br />

finestrino quel panorama ignoto, pensando al mio strano itinerario. Andare<br />

a Madras a visitare la Società Teosofica 3 , per un agnostico 4 , e per di più fare<br />

due giorni di treno, era un’impresa che probabilmente sarebbe piaciuta agli<br />

strambi autori della mia stramba guida di viaggio. Ma la verità era che una<br />

persona della Società Teosofica mi avrebbe potuto fornire un’informazione<br />

alla quale tenevo moltissimo. Era una tenue speranza, forse un’illusione, e<br />

non volevo bruciarla nel breve spazio di un viaggio aereo: preferivo cullarla<br />

e assaporarla con un certo agio, come si ama fare con le speranze alle quali<br />

teniamo molto e che sappiamo hanno poche possibilità di realizzarsi.<br />

La frenata del treno mi strappò alle mie considerazioni, forse al mio torpore.<br />

Probabilmente mi ero appisolato per qualche minuto e il treno era già<br />

entrato in una stazione senza che potessi leggere il nome sul cartello. Avevo<br />

letto sulla guida che una delle fermate intermedie era Mangalore, o forse<br />

Bangalore, non ricordavo bene, ma ora non avevo voglia di mettermi nuovamente<br />

a sfogliare il libro per cercare l’itinerario della strada ferrata. Sotto<br />

la pensilina c’erano rari viaggiatori: indiani vestiti all’occidentale dall’aspetto<br />

di persone facoltose, un gruppo di donne, alcuni facchini affaccendati. Doveva<br />

essere una città importante e industrializzata. In lontananza, oltre i binari,<br />

si vedevano le ciminiere di una fabbrica, grandi edifici e viali alberati.<br />

L’uomo entrò mentre il treno si stava rimettendo in movimento. Mi salutò<br />

frettolosamente, verificò che il numero della cuccetta libera corrispondesse<br />

a quello del suo biglietto e dopo avere constatato che non c’erano errori mi<br />

chiese scusa dell’intrusione. Era un europeo di una grassezza flaccida, portava<br />

un completo blu abbastanza fuori luogo dato il clima e un cappello<br />

elegante. Come bagaglio aveva soltanto una valigetta ventiquattrore di<br />

43<br />

3. La teosofia afferma che<br />

tutte le religioni hanno<br />

un’unica origine e che<br />

nel corso della storia solo<br />

alcune persone<br />

a conoscenza di questa<br />

verità abbiano potuto<br />

rivelarla agli altri. I seguaci<br />

della teosofia<br />

appartengono a un<br />

movimento che chiede<br />

di raggiungere la verità<br />

religiosa solo attraverso<br />

un percorso graduale<br />

ed esclusivo, sotto la guida<br />

di maestri. Non tutti sono<br />

presupposti raggiungere gli<br />

stessi livelli di conoscenza<br />

e di approfondimento<br />

religioso.<br />

4. Posizione di chi ritiene<br />

di non sia possibile<br />

affermare o negare<br />

l’esistenza di Dio, in<br />

quanto non si possiedono<br />

elementi sufficienti alla<br />

soluzione del problema.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


44<br />

5. Si individua come<br />

dravidica la regione<br />

meridionale della penisola<br />

indiana.<br />

6. Il testo allude al fatto<br />

che l’agnello era un<br />

animale usato da molte<br />

religioni, soprattutto nel<br />

passato, nei sacrifici verso<br />

le divinità. Peter consiglia<br />

l’agnello perché ritiene che<br />

la cucina indiana usi dei<br />

procedimenti che<br />

assomigliano a quelli dei<br />

riti religiosi e dunque<br />

l’agnello sarebbe un piatto<br />

particolarmente conforme<br />

alle modalità della cucina<br />

indiana.<br />

7. Le civiltà dravidiche si<br />

attestarono nella valle del<br />

fiume Indo nel periodo<br />

compreso tra il III e il II<br />

millennio a.C., praticavano<br />

l’agricoltura, conoscevano<br />

l’uso della ceramica<br />

e la lavorazione dei metalli;<br />

la vita associata era<br />

organizzata in città. Dopo<br />

il II millennio a.C. gli arii,<br />

popolazione nomade di<br />

origine indoeuropea, resero<br />

le civiltà dravidiche loro<br />

sottomesse, inglobandole.<br />

8. Si tratta di sculture e<br />

templi monumentali nella<br />

roccia, compiuti sotto la<br />

dinastia Pallava (III-IX<br />

secolo), caratterizzati da<br />

un ricco ornato con<br />

elementi vegetali, animali,<br />

umani.<br />

9. Tempio costruito in<br />

granito sotto la dinastia<br />

Pallava, datato all’VIII<br />

secolo, dedicato alle<br />

divinità indu Shiva e Visnu.<br />

Dichiarato Patrimonio<br />

dell’Umanità dall’UNESCO,<br />

è uno dei maggiori esempi<br />

di arte e architettura<br />

indiana.<br />

10. Nel testo sacro della<br />

religione indiana, i Veda, si<br />

indica il Brahma come uno<br />

Spirito che attraversa tutto<br />

il cosmo e si definisce<br />

infinito ed eterno; per<br />

questo il racconto parla<br />

di ‘panteismo’, perché<br />

l’induismo intende tutto<br />

il mondo pervaso dallo<br />

Spirito di Brahma.<br />

11. Il testo probabilmente<br />

allude a una divinità in<br />

forma di aquila dalla testa<br />

bianca e dalle ali d’oro,<br />

che nei Veda è citata come<br />

60<br />

65<br />

70<br />

<strong>75</strong><br />

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85<br />

90<br />

cuoio nero. Si sedette al suo posto, trasse di tasca un fazzoletto candido e si<br />

pulì con cura gli occhiali da vista, sorridendo. Aveva un’aria affabile ma riservata,<br />

quasi compunta.<br />

– Anche lei va a Madras? – mi chiese senza aspettare la mia risposta – questo<br />

treno è molto puntuale, arriveremo domani mattina alle sette.<br />

Parlava un buon inglese con accento tedesco, ma non mi parve tedesco.<br />

Olandese, mi venne da pensare senza sapere perché, o forse svizzero. Aveva<br />

l’aria di un uomo d’affari, così a prima vista pareva sulla sessantina, ma<br />

forse era più vecchio.<br />

– Madras è la capitale dell’India dravidica 5 – aggiunse – se non c’è mai stato<br />

avrà cose straordinarie da vedere –. Parlava con la disinvoltura un po’ distaccata<br />

degli europei che conoscono l’India, e mi preparai a una conversazione<br />

basata sulle banalità. Decisi che era opportuno informarlo che potevamo<br />

cenare nel vagone ristorante, preferendo intercalare i prevedibili luoghi<br />

comuni dell’inevitabile dialogo con i necessari silenzi previsti da un<br />

pasto consumato civilmente.<br />

Mentre camminavamo nel corridoio mi presentai scusandomi per la distrazione<br />

di non averlo fatto prima.<br />

– Oh, le presentazioni sono diventate una formalità inutile, ormai – affermò<br />

con la sua aria affabile. Accennò un lieve inchino con la testa. – Mi<br />

chiamo Peter – concluse.<br />

A cena si dimostrò un esperto prezioso. Mi sconsigliò le cotolette vegetali<br />

sulle quali mi stavo orientando per pura curiosità, «perché i vegetali devono<br />

essere molto variati e lavorati» disse «ed è difficile che ciò possa verificarsi<br />

nelle cucine di un treno». Tentai timidamente altri cibi a caso, suscitando<br />

sempre la sua disapprovazione. Alla fine acconsentii al tandoori di<br />

agnello che egli aveva scelto per sé, «perché l’agnello è un cibo nobile e sacrificale,<br />

e gli indiani hanno il senso della ritualità del cibo 6 ».<br />

Parlammo molto delle civiltà dravidiche 7 , anzi, parlò quasi sempre lui,<br />

perché i miei interventi si limitavano alle domande tipiche dell’inesperto,<br />

a qualche timida obiezione, perlopiù al consenso incondizionato. Mi descrisse<br />

con dovizia di dettagli i rilievi rupestri di Kancheepuram 8 e l’architettura<br />

dello Shore Temple 9 , mi parlò di culti arcaici e ignoti, estranei<br />

al panteismo induista 10 , come quello delle aquile bianche 11 di Mahabalipuram<br />

12 ; del significato dei colori, dei riti funebri, delle caste 13 . Gli esposi<br />

con qualche esitazione quello che sapevo: le mie conoscenze della penetrazione<br />

europea sulle coste del Tamil 14 ; parlai della leggenda del martirio<br />

di san Tommaso a Madras 15 , del fallito tentativo dei portoghesi di fon-<br />

Garuda, un antico maestoso uccello che portava agli dei il<br />

nettare dal Cielo alla Terra.<br />

12. Anche a Mahabalipuram sono presenti templi<br />

monumentali costruiti sotto la dinastia Pallava, fra il VII e<br />

il IX secolo, dichiarati nel 1984 Patrimonio dell’Umanità<br />

dall’UNESCO.<br />

13. In India la società è divisa in gruppi sociali, o caste, che<br />

costituiscono una gerarchia rigida, per cui un individuo che<br />

fa parte di una casta non può entrare a fare parte di<br />

un’altra, specie se questa risulta di rango più elevato.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

14. Si fa riferimento all’arrivo degli occidentali nella<br />

regione del Tamil, situata nell’India sud orientale, a partire<br />

dal XVI secolo in avanti; si trattò dei Portoghesi,<br />

successivamente degli Olandesi e infine dei Britannici.<br />

15. La tradizione cristiana dell’India racconta che<br />

Tommaso, apostolo di Cristo, venne a diffondere il Vangelo<br />

in India e morì a Madras, martire. Nella cripta della chiesa<br />

si dice siano conservati resti delle sue ossa.


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1<strong>05</strong><br />

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135<br />

dare un’altra Goa 16 su quelle coste, delle loro guerre con i reami locali,<br />

dei francesi di Pondicherry 17 . Egli completò le mie informazioni e corresse<br />

certe mie inesattezze sulle dinastie indigene citando nomi, date,<br />

luoghi e avvenimenti. Parlava con sicurezza e competenza, e la sua erudizione<br />

denotava una vastità di conoscenze che lo facevano supporre un<br />

esperto qualificato, forse un professore universitario o uno studioso illustre.<br />

Glielo chiesi in modo diretto, con una certa ingenuità, sicuro di una<br />

risposta affermativa. Egli sorrise non senza finta modestia e scosse il<br />

capo.<br />

– Solo un semplice amatore – disse – è una passione che il destino mi ha invitato<br />

a coltivare.<br />

La sua voce aveva una nota struggente, mi parve, come un rimpianto o una<br />

pena. I suoi occhi erano lustri, e il volto glabro pareva più pallido sotto la<br />

luce del vagone ristorante. Aveva mani delicate e i gesti stanchi. C’era una<br />

sorta di incompiutezza, nel suo aspetto, qualcosa di dimidiato 18 , ma era difficile<br />

dire che cosa: pensai a qualcosa di infermo e di nascosto, come una<br />

vergogna.<br />

Tornammo nel nostro scompartimento continuando a conversare, ma ora<br />

la sua verve si era affievolita e il nostro colloquio era intercalato da lunghi<br />

silenzi. Mentre ci disponevamo a prepararci per la notte, solo per dire qualcosa,<br />

senza una ragione specifica, gli chiesi perché viaggiasse in treno, piuttosto<br />

che in aereo. Pensavo che per una persona della sua età sarebbe stato<br />

più agevole e comodo usare l’aereo, invece di sottoporsi a un viaggio così<br />

lungo; e probabilmente mi aspettavo la confessione del timore di un simile<br />

mezzo di trasporto, come a volte accade a persone che non vi furono abituate<br />

nella giovinezza.<br />

Il signor Peter mi guardò perplesso, come se non ci avesse mai pensato.<br />

Poi si illuminò all’improvviso e disse:<br />

– Con l’aereo si fanno viaggi comodi e rapidi, ma si salta la vera India.<br />

Certo con i treni che fanno lunghi percorsi c’è il rischio di arrivare anche<br />

con un giorno di ritardo; ma se si ha la fortuna di indovinare il treno giusto<br />

si può fare un viaggio molto confortevole e arrivare con estrema puntualità.<br />

E poi sul treno c’è sempre il piacere di una conversazione che l’aereo non<br />

permette.<br />

Fu più forte di me e mormorai:<br />

– India, a travel survival kit.<br />

– Come? – disse lui.<br />

– Niente – risposi – mi era venuto in mente un libro –. E poi dissi con sicurezza:<br />

– Lei non è mai stato a Madras.<br />

Il signor Peter mi guardò con candore.<br />

– Per conoscere un luogo non è sempre necessario esserci stati – affermò.<br />

Si tolse la giacca e le scarpe, infilò la sua valigetta sotto il cuscino, tirò la<br />

tenda della sua cuccetta e mi augurò la buona notte.<br />

Avrei voluto dirgli che anche lui aveva una tenue speranza, e per questo<br />

aveva preso il treno: perché preferiva cullarla e assaporarla a lungo, invece<br />

di bruciarla nel breve spazio di un viaggio aereo, ne ero certo. Ma natural-<br />

45<br />

16. Si tratta di un piccolo<br />

stato fondato dai mercanti<br />

portoghesi sulla costa<br />

occidentale dell’India nel<br />

XVI secolo. Rimase sotto il<br />

dominio portoghese per<br />

450 anni fino al 1961,<br />

quando venne inglobato<br />

dall’India.<br />

17. Pondicherry è una città<br />

fondata dai francesi nel<br />

XVII secolo sulla costa sud<br />

orientale dell’India e<br />

rimasta in possesso della<br />

Francia fino al 1956.<br />

18. Dimezzato, diviso a<br />

metà.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


46<br />

19. Si tratta della lampada<br />

dalla luce azzurra che<br />

rimane accesa durante la<br />

notte negli scompartimenti<br />

ferroviari, senza disturbare<br />

il sonno dei viaggiatori. Dal<br />

francese veille, veglia.<br />

20. Come detto in<br />

precedenza, il Tamil Nadu<br />

è la regione sud orientale<br />

dell’India<br />

21. A. von Chamisso<br />

pubblicò nel 1814 la Storia<br />

straordinaria di Peter<br />

Schlemihl, in cui il<br />

protagonista viveva molte<br />

avventure originate<br />

dall’aver barattato con il<br />

demonio la sua ombra per<br />

un sacco dal quale<br />

sarebbero uscite<br />

continuamente monete<br />

d’oro.<br />

22. Il racconto di Peter fa<br />

riferimento al fatto che<br />

molti degli ebrei<br />

perseguitati dai nazisti nel<br />

corso della seconda guerra<br />

mondiale rientrarono in<br />

speciali programmi di<br />

studio nel campo della<br />

ricerca medica, come cavie<br />

umane.<br />

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mente non dissi niente, spensi la luce centrale, lasciai la veilleuse azzurra 19 ,<br />

tirai la mia tenda e gli augurai la buona notte.<br />

* * *<br />

Ci svegliò il fastidio della luce accesa all’improvviso e una voce che chiedeva<br />

qualcosa. Dal finestrino si vedeva una baracca di tavole rischiarata da<br />

una luce fioca, con un cartello incomprensibile. Il controllore era accom<strong>pag</strong>nato<br />

da un poliziotto molto scuro dall’aria sospettosa.<br />

– Stiamo entrando nel paese Tamil Nadu 20 – disse il controllore con un sorriso<br />

– è una pura formalità –. Il poliziotto tese la mano e disse:<br />

– Documenti, prego.<br />

Guardò il mio passaporto con aria distratta e lo richiuse subito. Sul documento<br />

del signor Peter si trattenne con maggiore attenzione. Mentre lo<br />

esaminava mi accorsi che era un passaporto israeliano.<br />

– Mister... Shi… mail? – sillabò faticosamente il poliziotto.<br />

– Schlemihl – corresse il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio – Peter Schlemihl.<br />

Il poliziotto ci restituì i documenti, spense la luce e si accomiatò freddamente.<br />

Il treno aveva ripreso a correre attraverso la notte indiana, la luce<br />

della lampada azzurra creava un’atmosfera di sogno, restammo a lungo in<br />

silenzio, poi alla fine io parlai.<br />

– Lei non può avere questo nome – dissi – esiste un solo Peter Schlemihl,<br />

è un’invenzione di Chamisso 21 , e lei lo sa perfettamente. Una cosa del genere<br />

va bene per un poliziotto indiano.<br />

Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio non rispose. Poi mi chiese:<br />

– Le piace Thomas Mann?<br />

– Non tutto – risposi.<br />

– Che cosa?<br />

– I racconti, alcuni romanzi brevi, Tonio Kröger, Morte a Venezia.<br />

– Non so se conosce una prefazione al Peter Schlemihl – disse lui – è un<br />

testo ammirevole.<br />

Il silenzio cadde di nuovo. Pensai che il mio com<strong>pag</strong>no si fosse addormentato,<br />

ma non poteva essere, certo. Aspettava solo che parlassi io, e io parlai.<br />

– Che cosa va a fare a Madras?<br />

Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio non rispose subito. Tossì leggermente.<br />

– Vado a vedere una statua – sussurrò.<br />

– È un lungo viaggio, per vedere una statua.<br />

Il mio com<strong>pag</strong>no non rispose. Si soffiò il naso a più riprese.<br />

– Voglio raccontarle una piccola storia – disse poi – ho voglia di raccontarle<br />

una piccola storia –. Parlava sommessamente e la sua voce mi giungeva<br />

attutita da dietro la tenda. – Molti anni fa, in Germania, conobbi un<br />

uomo. Era un medico, e doveva visitarmi. Stava seduto dietro una scrivania<br />

e io stavo in piedi nudo davanti a lui. Dietro di me c’era una fila di<br />

altri uomini nudi che egli doveva visitare. Quando ci avevano condotti in<br />

quel luogo ci avevano detto che noi servivamo al progresso della scienza<br />

tedesca 22 . Accanto al medico c’erano due guardie armate e un infermiere<br />

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che riempiva delle schede. Egli ci poneva delle domande precise concernenti<br />

le nostre funzioni virili, l’infermiere procedeva a certe analisi sui nostri<br />

corpi, e poi scriveva. La fila procedeva svelta, perché quel medico<br />

aveva fretta. Quando avevo già superato il mio turno, invece di proseguire<br />

verso la stanza in cui ci conducevano, indugiai qualche attimo, perché il<br />

mio sguardo fu attratto da una statuetta che il medico teneva sulla scrivania.<br />

Era la riproduzione di una divinità orientale, ma io non l’avevo mai<br />

vista. Rappresentava una figura danzante, con le braccia e le gambe in posizioni<br />

armoniche e divergenti iscritte in un circolo. C’erano solo pochi<br />

spazi aperti in quel circolo, piccoli vuoti che aspettavano di essere chiusi<br />

dall’immaginazione di chi lo guardava. Il medico si accorse del mio rapimento<br />

e sorrise. Aveva una bocca sottile e beffarda. – Questa statua rappresenta<br />

il circolo vitale – disse – nel quale tutte le scorie devono entrare<br />

per raggiungere la forma superiore della vita che è la bellezza. Le auguro<br />

che nel ciclo biologico previsto dalla filosofia che concepì questa statua lei<br />

possa avere, in un’altra vita, un gradino superiore a quello che le è toccato<br />

nella sua vita attuale 23 .<br />

Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio tacque. Nonostante il rumore del treno potevo<br />

avvertire perfettamente la sua respirazione pausata e profonda.<br />

– Vada avanti, la prego – dissi.<br />

– Non c’è molto da aggiungere – disse lui – quella statua era l’immagine di<br />

Shiva danzante, ma io allora non lo sapevo. Come vede non sono ancora<br />

entrato nel circolo del riciclaggio vitale 24 , e la mia interpretazione di quella<br />

figura è un’altra. Ci ho pensato ogni giorno, è l’unica cosa a cui ho pensato<br />

in tutti questi anni.<br />

– Quanti anni sono passati?<br />

– Quaranta.<br />

– Si può pensare a una sola cosa per quarant’anni?<br />

– Credo di sì, se si è provata su di noi la turpitudine.<br />

– E quale è la sua interpretazione di quella figura?<br />

– Credo che essa non rappresenti affatto il circolo vitale. Rappresenta semplicemente<br />

la danza della vita.<br />

– In che cosa consiste la differenza? – chiesi io.<br />

– Oh, è molto diverso – sussurrò il signor Peter. – La vita è un cerchio. C’è<br />

un giorno in cui il cerchio si chiude, e noi non sappiamo quale –. Si soffiò<br />

di nuovo il naso e poi disse: – E ora mi scusi, sono stanco, se permette vorrei<br />

cercare di dormire.<br />

* * *<br />

Mi svegliai nei dintorni di Madras. Il mio com<strong>pag</strong>no di viaggio era già rasato<br />

e pronto nel suo impeccabile vestito blu. Aveva un’aria riposata e sorridente,<br />

aveva rialzato la sua cuccetta e mi indicava il vassoio della colazione<br />

posato sul tavolo accanto al finestrino.<br />

– Ho aspettato che si svegliasse per prendere il tè insieme – disse. – Non ho<br />

voluto disturbarla, dormiva così bene.<br />

47<br />

23. Come poco oltre il<br />

racconto chiarirà, si tratta<br />

della statua di Shiva, una<br />

delle tre divinità maggiori<br />

indu. Il discorso fatto dal<br />

medico spiega un concetto<br />

proprio della religione<br />

induista secondo la quale<br />

ogni forma di vita, anche<br />

quelle che appaiono più<br />

basse, assumeranno<br />

attraverso un ciclo<br />

successivo di<br />

reincarnazioni una forma<br />

più alta e perfetta.<br />

Sottintesa è la teoria<br />

propria del nazismo<br />

secondo cui solo la razza<br />

ariana era superiore,<br />

mentre quella semitica,<br />

ovvero quella ebrea, era<br />

inferiore e imperfetta. Nelle<br />

parole del medico si<br />

fondono perciò la teoria<br />

nazista con quella della<br />

religione indu.<br />

24. Ovvero non è ancora<br />

morto; solo attraverso la<br />

morte, secondo la religione<br />

induista, si entra nel ciclo<br />

delle reincarnazioni.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


48<br />

25. American Express è<br />

una società nata in<br />

America nel 1850,<br />

specializzata in servizi<br />

finanziari e di viaggio. Nelle<br />

sue sedi sparse in tutto il<br />

mondo, è possibile fare<br />

operazioni finanziarie di<br />

cambio e di credito,<br />

usufruire di una sorta di<br />

fermo posta per recapitare<br />

messaggi personali,<br />

comunicare attraverso il<br />

telefono.<br />

26. Cfr. nota 8.<br />

27. Il Kerala è uno stato<br />

che occupa una lunga e<br />

stretta striscia di terra<br />

costiera nella zona sud<br />

occidentale dell’India; per<br />

Goa cfr. nota 16.<br />

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Entrai nello stanzino del lavabo e feci rapidamente la toeletta mattutina,<br />

raccolsi le mie cose, sistemai il mio bagaglio e mi sedetti davanti alla colazione.<br />

Cominciavamo a percorrere un luogo abitato, una zona di villaggi<br />

popolosi con le prime avvisaglie di città.<br />

– Come vede siamo in perfetto orario – disse il mio com<strong>pag</strong>no – sono le<br />

sette meno un quarto –. Piegò con cura il suo tovagliolo. – Mi piacerebbe<br />

che anche lei andasse a vedere quella statua – aggiunse – si trova<br />

nel museo di Madras. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa –. Si alzò in<br />

piedi e prese la sua valigetta. Mi tese la mano e mi salutò col suo tono affabile.<br />

– Sono grato alla mia guida di viaggio che consigliava questo<br />

mezzo di trasporto – disse, – è vero che sui treni indiani si possono fare<br />

gli incontri più inattesi: la sua com<strong>pag</strong>nia è stata per me un piacere e un<br />

conforto.<br />

– È un piacere reciproco – replicai – sono io che sono grato ai consigli della<br />

mia guida.<br />

Stavamo entrando nella stazione, davanti a un marciapiede brulicante di<br />

folla. Il treno azionò i freni e il convoglio si fermò dolcemente. Gli cedetti<br />

il passo ed egli scese per primo, facendomi un cenno di saluto con la mano.<br />

Mentre si allontanava lo chiamai e lui si voltò.<br />

– Non so dove potrei eventualmente comunicarle la mia opinione – gridai<br />

– non ho il suo indirizzo.<br />

Lui tornò sui suoi passi, con quell’aria perplessa che già gli conoscevo, e rifletté<br />

un istante.<br />

– Mi lasci un messaggio all’American Express 25 – disse – passerò a raccoglierlo.<br />

Poi ciascuno di noi si perse tra la folla.<br />

* * *<br />

A Madras restai solo tre giorni. Furono giorni intensi, quasi febbrili. Madras<br />

è una città enorme di case basse e di immensi spazi incolti, ingorgata<br />

da un traffico di biciclette, di autobus sconnessi e di animali; per percorrerla<br />

da una punta all’altra ci vuole molto tempo. Assolti gli obblighi che<br />

mi aspettavano mi restò un solo giorno di libertà, e al museo preferii una<br />

visita ai rilievi rupestri di Kancheepuram 26 , che distano molti chilometri<br />

dalla città. La mia guida, anche in quell’occasione, si rivelò una preziosa<br />

com<strong>pag</strong>nia.<br />

La mattina del quarto giorno mi trovavo in una stazione degli autobus che<br />

fanno il percorso per il Kerala e per Goa 27 . Mancava un’ora alla partenza,<br />

faceva un caldo torrido e le pensiline dell’enorme hangar della stazione<br />

erano l’unico rifugio contro la calura delle strade. Per ingannare l’attesa<br />

comprai il giornale in lingua inglese di Madras. Era un giornale di appena<br />

quattro fogli, dall’aspetto di giornale di parrocchia, con molti annunci di<br />

ogni specie, riassunti di film popolari, cronaca cittadina. In prima <strong>pag</strong>ina,<br />

con molto rilievo, c’era la notizia di un omicidio avvenuto il giorno precedente.<br />

La vittima era un cittadino di nazionalità argentina che viveva a Ma-<br />

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dras dal 1958. Era descritto come un signore schivo e discreto, senza amicizie,<br />

settantenne, che viveva in una villetta nel quartiere residenziale di<br />

Adyar. La moglie era deceduta tre anni prima per cause naturali. Non avevano<br />

figli.<br />

Era stato ucciso con un colpo di pistola al cuore. Era un omicidio apparentemente<br />

inspiegabile, perché l’assassino non aveva agito a scopo di furto.<br />

La casa risultava in ordine, senza tracce di scassi. L’articolo descriveva<br />

l’abitazione come una residenza semplice e sobria, con alcuni pezzi<br />

d’arte di buon gusto e un piccolo giardino. Pareva che la vittima fosse un<br />

intenditore di arte dravidica; il giornale menzionava alcuni servigi resi<br />

nella catalogazione del locale museo e riportava la fotografia di uno sconosciuto:<br />

il viso di un vecchio calvo, con gli occhi chiari e la bocca sottile.<br />

Era una descrizione neutra e anodina 28 . L’unico particolare curioso era la<br />

fotografia di una statuetta abbinata al volto della vittima. Si trattava certo di<br />

un abbinamento plausibile, perché la vittima era un intenditore di arte dravidica<br />

e la danza di Shiva è il pezzo più noto del museo di Madras, una specie<br />

di simbolo. Ma quell’accostamento plausibile suscitò in me un altro accostamento.<br />

Mancavano ancora venti minuti alla partenza, cercai un<br />

telefono e feci il numero dell’American Express. Mi rispose una signorina<br />

gentile.<br />

– Vorrei lasciare un messaggio per il signor Schlemihl – dissi.<br />

La signorina mi pregò di attendere un attimo e poi disse:<br />

– Per il momento non abbiamo nessuna persona con un recapito a questo<br />

nome, ma se lo desidera può lasciare ugualmente il suo messaggio, gli sarà<br />

consegnato appena passerà.<br />

– Pronto, pronto – ripeté la telefonista che non sentiva più la mia voce. –<br />

Un attimo, signorina – dissi – mi lasci riflettere un attimo.<br />

Che cosa potevo dire? Pensai al ridicolo del mio messaggio. Forse che<br />

avevo capito? E che cosa? Che per qualcuno il cerchio si era chiuso?<br />

– Non ha importanza – dissi – ho cambiato idea –. E riattaccai.<br />

Non escludo che la mia immaginazione abbia lavorato più del consentito.<br />

Ma se avessi indovinato quale era l’ombra che il signor Schlemihl aveva<br />

perduto; e se mai gli capitasse di leggere questo racconto, per lo stesso<br />

strano caso che ci fece incontrare quella sera in treno, vorrei che gli giungesse<br />

il mio saluto. E la mia pena.<br />

Treni che vanno a Madras, in Piccoli equivoci senza importanza, Feltrinelli, Milano 1985<br />

49<br />

28. Insignificante.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


50<br />

STRUMENTI DI LETTURA<br />

La storia<br />

La vicenda esprime in modo esemplare il<br />

concetto, tipico di Tabucchi, dalla vita come rebus.<br />

Attraverso quali misteriosi passaggi, infatti, si può<br />

collegare un incontro casuale durante un viaggio in<br />

treno nella remota India all’angoscia dei campi di<br />

sterminio nazisti nell’Europa sconvolta dall’ultima<br />

guerra mondiale? E poi, questo collegamento esiste<br />

davvero, oppure è soltanto frutto dell’interpretazione<br />

del protagonista del racconto? E il cerchio, alla<br />

fine, si chiude davvero? e per chi? Il finale rimane<br />

aperto, e il rebus irrisolto.<br />

I personaggi<br />

Il protagonista-narratore definisce il suo<br />

viaggio «perfettamente incongruo» e descrive se<br />

stesso come «un essere vagante e illogico». Si presenta<br />

dunque come un personaggio che non ama<br />

rispettare le regole e stare in schemi predefiniti.<br />

Per esempio, si dice agnostico, ma si sobbarca due<br />

giorni di treno per andare a Madras a visitare la<br />

Società Teosofica; viaggia in treno e non in aereo<br />

– cosa che gli farebbe risparmiare tempo – perché<br />

vuole vedere «la vera India» e non quella dei circuiti<br />

turistici predefiniti. Durante il suo percorso,<br />

in modo del tutto inatteso, entra in contatto con<br />

un misterioso viaggiatore che si presenta con il<br />

nome fittizio di un personaggio letterario – Peter<br />

Schlemihl, l’uomo che in un racconto di Adalbert<br />

von Chamisso vende la sua ombra al diavolo – e<br />

talora si esprime con le identiche parole del libro<br />

che il narratore usa come guida turistica. Anche il<br />

passeggero appare, a suo modo, non meno «illogico»<br />

del narratore: provvisto di un bagaglio minimo,<br />

vestito in modo incongruo rispetto al clima<br />

indiano, affabile ma riservato, è di età e di nazionalità<br />

indefinibili. Viaggia però con passaporto<br />

israeliano.<br />

Il tempo<br />

ll tempo del viaggio in treno diventa un<br />

viaggio nel tempo e anche un viaggio all’interno dell’enigma<br />

rappresentato dall’uomo che ha il nome di<br />

un personaggio letterario. Dunque, anche il lettore<br />

deve andare indietro nel tempo, è invitato a stornare<br />

la propria attenzione dal “presente” di questo racconto,<br />

quello di Tabucchi, al “passato” di un altro<br />

racconto, quello di Chamisso, alla ricerca di un possibile<br />

scioglimento del rebus circa l’identità del misterioso<br />

viaggiatore. Non si tratta solamente, però,<br />

di rimandi letterari: c’è anche il tempo della Storia,<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

quella presente che si intreccia con quella passata,<br />

che ritorna, incancellabile, quella della guerra e dei<br />

campi di sterminio.<br />

Lo spazio<br />

L’immensità caotica dell’India, i suoi grovigli<br />

di strade, di gente, di traffico, di case, di vegetazione,<br />

apre e chiude il racconto. Tra lo spazio aperto<br />

e illimitato dell’India dell’incipit e della chiusa, c’è lo<br />

spazio limitato del treno, l’angusto scompartimento<br />

dove, poco alla volta, fra allusioni, reticenze, ambiguità<br />

si costruisce il rebus dettato dal viaggiatore misterioso.<br />

Il narratore<br />

Le perplessità del narratore diventano le<br />

stesse del lettore: sperduto tra le varie interpretazioni<br />

possibili, si sente intrappolato come tra le figure di<br />

un insolubile rebus illustrato. Né il narratore, né il<br />

lettore riescono perciò a dare un ordine all’universo,<br />

destabilizzando qualsiasi tipo di certezza e costringendosi<br />

a riflettere su un mondo dai molteplici significati.<br />

Le tecniche narrative<br />

Seppure con finalità del tutto particolari,<br />

l’andamento narrativo del racconto potrebbe essere<br />

paragonato a quello di un giallo (del resto, nella storia<br />

non manca il classico delitto). Tabucchi, infatti,<br />

procede accumulando indizi, dettagli inquietanti, allusioni<br />

misteriose, anche se nella sua opera l’infittirsi<br />

del mistero non culmina nella soluzione finale e<br />

la tensione non si scioglie in una liberatoria “spiegazione”.<br />

Al contrario, il mistero rimane tale, non<br />

solo, ma in conclusione diventa ancora più inquietante<br />

perché sentiamo che il «cerchio» non si è<br />

chiuso, e la realtà rimane alla fine sostanzialmente<br />

indecifrabile.<br />

La lingua e lo stile<br />

La scrittura di Tabucchi è semplice e al<br />

tempo stesso raffinata, intensa e coinvolgente ma<br />

sempre venata d’ironia. Evoca vividamente ambienti,<br />

personaggi e situazioni, eppure rimane<br />

ben lontana da qualsiasi tipo di realismo. Il suo<br />

stile ha un andamento apparentemente lineare,<br />

ma da esso scaturisce alla fine un mondo complesso<br />

e quasi indecifrabile, cosicché la fedeltà al<br />

dato reale sfuma continuamente in una dimensione<br />

di sogno.


1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

51<br />

DOMANDE DI VERIFICA<br />

Alle righe 11-18 e 122-127 si trovano due passi quasi identici. In base ai contenuti del racconto,<br />

sapresti spiegare che cosa comprende il protagonista a proposito del suo interlocutore Peter attraverso<br />

le parole che questi ripete dalla guida di viaggio?<br />

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Il nome Peter Schlemihl scritto sul passaporto del viaggiatore risulta essere:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

Un nome israeliano, come la nazionalità del suo possessore<br />

Un falso, derivato da un racconto di Thomas Mann<br />

Il nome del protagonista di un romanzo di Chamisso<br />

Il nome di un medico tedesco<br />

L’ambientazione della prima parte del racconto si trova:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

Nell’India meridionale<br />

In un treno di lunga percorrenza con destinazione Madras<br />

Nella città di Bombay<br />

Tra Goa e Pondicherry<br />

“E quale è la sua interpretazione di quella figura?”.<br />

“Credo che essa non rappresenti affatto il circolo vitale. Rappresenta semplicemente la danza<br />

della vita”.<br />

“In che cosa consiste la differenza? – chiesi io”.<br />

“Oh, è molto diverso – sussurrò il signor Peter. – La vita è un cerchio. C’è un giorno in cui il cerchio<br />

si chiude, e noi non sappiamo quale”.<br />

Sulla base dei contenuti del racconto e anche del suo finale, quale interpretazione pensi si<br />

possa dare a questa precisazione di Peter sul significato della statua di Shiva come cerchio e<br />

non come circolo vitale?<br />

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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


52<br />

5<br />

6<br />

7<br />

Che cosa significa nella parte finale del racconto l’espressione “se avessi indovinato quale era<br />

l’ombra che il signor Schlemihl aveva perduto [...] vorrei che gli giungesse il mio saluto. E la mia<br />

pena”.<br />

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Sapendo che l’agnello nella religione ebraica e cristiana è un animale che rappresenta la vittima<br />

sacrificata per riparare al male che esiste nel mondo, sapresti interpretare la scelta di Peter di<br />

prendere per cena l’agnello e di consigliarlo al suo com<strong>pag</strong>no di viaggio “perché è un cibo nobile<br />

sacrificale”?<br />

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Considera come possibile l’interpretazione che nel finale propone il protagonista-narratore secondo<br />

cui Peter avrebbe compiuto un lungo viaggio per arrivare, dopo quarant’anni, a commettere<br />

l’omicidio del medico nazista del campo a cui era stato assegnato. Per quali motivi secondo<br />

te il protagonista dice di provare “pena”?<br />

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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


5<br />

anno 1970<br />

luogo<br />

Polonia<br />

genere<br />

racconto<br />

realistico<br />

Isaac Bashevis Singer<br />

Il figlio<br />

1. Il testo fa riferimento agli ebrei che si sono conformati<br />

alle abitudini di vita dei popoli lontani dalla Palestina<br />

presso cui si sono stabiliti per via della diaspora.<br />

2. Il rabbino, all’interno delle comunità di religione ebraica,<br />

è colui che, dopo avere studiato i testi sacri e le loro<br />

maggiori interpretazioni, è in grado di insegnare e<br />

commentare i libri biblici e di decidere sui problemi della<br />

vita quotidiana sulla base dei principi religiosi. Portano<br />

normalmente una lunga barba e l’abito nero.<br />

53<br />

Presentazione dell’opera<br />

La narrativa di Singer, costantemente fedele a certi temi e atteggiamenti, è sostanzialmente divisa in due filoni, che potremmo definire<br />

rispettivamente magico-folklorico e realistico. Nel primo, che si esprime in alcuni romanzi brevi e in numerosi racconti ambientati<br />

nei villaggi della vecchia Polonia rurale, compaiono ogni sorta di demonietti o demoni maggiori, streghe vecchie o giovani<br />

e belle, amanti diabolici. In alcuni racconti scritti negli Stati Uniti viene introdotto anche il tema del «magico» contemporaneo, legato<br />

a fenomeni di telepatia e stati di allucinazione (Singer dichiarava di essere particolarmente attento a tutte le forme di conoscenza<br />

non razionale). Nei romanzi e racconti di carattere realistico, spesso di evidente impronta autobiografica, Singer dà corpo<br />

a una narrativa attenta alle dinamiche storiche e sociali. Nei racconti di ambiente americano, come Il figlio, lo scrittore pone particolare<br />

attenzione al mondo interiore dei personaggi, mettendone in luce travagli e debolezze. Centrale è il tema dell’identità, dello<br />

scontro tra un sistema di valori tradizionali e l’inesorabile processo di assimilazione dell’ebraismo alla cultura dominante.<br />

Isaac Bashevis Singer<br />

Scrittore polacco naturalizzato statunitense, nacque a Radzymin, presso Varsavia,<br />

nel 1904. Sin dalla prima infanzia visse in un ambiente di profonda cultura<br />

religiosa. Figlio e nipote di rabbini, studiò alla scuola rabbinica (yeshivah) di<br />

Varsavia e quell’ambiente osservante e bizzarro, domestico e sacrale, costituì<br />

una ricca fonte di spunti per la sua narrativa, in un inesauribile teatro di casi<br />

umani, personaggi curiosi, situazioni comiche o patetiche. Esordì con il romanzo<br />

storico Satana a Goray (1935) e nello stesso anno, prevenendo l’invasione tedesca<br />

della Polonia, emigrò a New York. Nonostante le sue opere si conoscano<br />

nella versione inglese, in parte tradotte da lui stesso (considerava queste traduzioni<br />

come un «secondo originale»), in parte da letterati americani come Saul<br />

Bellow, Singer compose sempre in yiddish (cfr. nota 17 nel racconto), da lui definita «la saggia e umile lingua<br />

di noi tutti, l’idioma di un’umanità spaventata e piena di speranza». Il primo romanzo pubblicato in inglese<br />

fu La famiglia Moskat (1950), cui seguirono, tra gli altri, La fortezza (1957), Il mago di Lublino (1960),<br />

Lo schiavo (1962), La proprietà (1969). Molte sono le raccolte dei suoi racconti, ad esempio Gimpel l’idiota<br />

(1957), Breve venerdì (1964), Un amico di Kafka (1970), Una corona di piume (1973), La morte di Methuselah<br />

e altre storie (1988). La trilogia autobiografica Un ragazzo in cerca di Dio (1976), Un giovane in cerca<br />

di amore (1978) e Perduto in America (1981) ripercorre in particolare le tappe della sua evoluzione spirituale.<br />

Tra i racconti e i romanzi autobiografici ricordiamo ancora Alla corte di mio padre (1966), Ricerca e<br />

perdizione (1984), mentre tra le raccolte di storie per l’infanzia, che attingono al patrimonio popolare della<br />

terra d’origine, vi sono Zlateh la capra (1966), Un giorno di felicità (1976), Quando Schlemiel andò a Varsavia<br />

(1978). Fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1978. Morì a Miami nel 1991.<br />

a nave proveniente da Israele doveva arrivare a mezzogiorno, ma era<br />

in ritardo. Si fece sera prima che attraccasse a New York; poi dovetti<br />

attendere ancora prima che si lasciassero sbarcare i passeggeri.<br />

Il tempo era caldo e piovoso. Una folla era venuta ad attendere l’arrivo<br />

della nave. Mi parve che tutti gli ebrei della città fossero lì: ebrei assimilati<br />

1 , e anche rabbini con lunghe barbe e basette2 L<br />

; ragazze con un nu-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


54<br />

3. Durante la seconda<br />

guerra mondiale gli ebrei<br />

che vennero internati nei<br />

campi di concentramento<br />

vennero marchiati con un<br />

numero sul braccio, unico<br />

segno della loro identità.<br />

4. Le organizzazioni<br />

sioniste nacquero alla fine<br />

del XIX secolo tra gli ebrei<br />

residenti in Europa per<br />

istituire uno stato ebraico<br />

in terra d’Israele.<br />

Soprattutto in seguito<br />

all’antisemitismo del ’900<br />

le organizzazioni sioniste si<br />

occuparono anche di<br />

raccogliere informazioni e<br />

materiali giudiziari per<br />

agire legalmente contro i<br />

loro persecutori.<br />

5. La yeshivah è una scuola<br />

presso cui si impara lo<br />

studio dei testi sacri<br />

dell’ebraismo (Torah), è<br />

diretta da un rabbino e si<br />

divide in piccola (in cui si<br />

fornisce un’istruzione di<br />

base) e grande (in cui si<br />

approfondiscono gli studi a<br />

livello universitario).<br />

6. Tiro e Sidone erano città<br />

fenicie, situate sulla costa<br />

a nord della Palestina. Il<br />

protagonista allude qui<br />

all’epoca antica, in cui i<br />

commerci via nave<br />

portavano alle città di<br />

scambio più vicine e non<br />

oltreoceano, in America,<br />

per via della diaspora e<br />

delle persecuzioni.<br />

7. Nietzsche, filosofo<br />

vissuto tra la fine dell’800<br />

e l’inizio del ’900 parlò di<br />

‘eterno ritorno’, teoria<br />

secondo la quale nella<br />

Storia e nella vita di<br />

ognuno le cose che<br />

accadono non sono<br />

infinite, ma anzi possono<br />

ripresentarsi in modo tale<br />

che eventi già vissuti<br />

possono ritornare infinite<br />

volte nel futuro.<br />

8. Il protagonista pone a<br />

confronto i tranquilli ebrei<br />

d’America con quelli che<br />

pochi anni prima, in<br />

Europa, erano stati<br />

vittima delle persecuzioni<br />

naziste.<br />

9. Si fa riferimento alla<br />

kippah, un piccolo cappello<br />

a forma di zuccotto che<br />

tutti gli uomini di religione<br />

ebraica portano sul capo.<br />

10. I gentili secondo la<br />

10<br />

15<br />

20<br />

25<br />

30<br />

35<br />

40<br />

mero impresso sul braccio nei campi di sterminio hitleriani 3 ; ufficiali di organizzazioni<br />

sioniste 4 con cartelle rigonfie; studenti yeshivah 5 con il cappello<br />

di velluto e la barba incolta; donne di mondo con il volto imbellettato<br />

e le unghie laccate. Mi resi conto che ero di fronte a un’epoca nuova della<br />

storia ebraica. Quando mai gli ebrei avevano avuto navi? E se le avevano<br />

avute, le loro navi si erano dirette a Tiro e a Sidone 6 , non a New York. Pur<br />

ammettendo per vera la folle teoria di Nietzsche sull’eterno ritorno 7 , erano<br />

dovuti passare quattro-cinque millenni prima che accadesse nel presente<br />

un minimo degli eventi accaduti prima. Ma quell’attesa mi infastidiva. Misuravo<br />

ogni persona con gli occhi e ogni volta mi facevo la stessa domanda:<br />

che cosa rende costui mio fratello? Che cosa rende costei mia sorella? Le<br />

donne di New York agitavano i ventagli, parlavano tutte insieme con voci<br />

roche, si ristoravano con cioccolata e coca-cola. Lo sguardo che si sprigionava<br />

dai loro occhi era di una durezza non ebrea. Era difficile credere che<br />

appena pochi anni prima i loro fratelli e le loro sorelle d’Europa erano andati<br />

al macello come pecore miti 8 . Giovani ortodossi moderni, con minuscoli<br />

zucchetti 9 nascosti come cerotti nei capelli folti, parlavano ad alta voce<br />

in inglese e scherzavano con le ragazze, che nel contegno e nelle vesti non<br />

mostravano alcun segno della loro religione. Persino i rabbini qui erano<br />

diversi, ben diversi da mio padre e da mio nonno. A me, tutta quella gente<br />

pareva mondana e scaltra. Quasi tutti, eccetto me, si erano procurati il permesso<br />

di salire sulla nave. E facevano conoscenza fra loro con insolita rapidità,<br />

si scambiavano informazioni, scotevano il capo con l’aria di chi la sa<br />

lunga. Incominciarono a sbarcare gli ufficiali della nave, rigidi nelle loro<br />

uniformi con le spalline e i bottoni dorati. Parlavano in ebraico, ma avevano<br />

l’accento dei gentili 10 .<br />

Rimasi fermo ad attendere un figlio che non vedevo da vent’anni. Aveva<br />

cinque anni quando mi ero separato da sua madre. Io ero venuto in America,<br />

lei era andata nella Russia sovietica. Ma evidentemente una rivoluzione<br />

11 , a lei, non era bastata. Voleva la rivoluzione permanente. E, a<br />

Mosca, l’avrebbero liquidata, se non avesse avuto dalla sua chi poteva essere<br />

ascoltato in alto loco. Le sue vecchie zie bolsceviche 12 , reduci dalle prigioni<br />

polacche per attività comunista, avevano interceduto per lei, e se l’era<br />

cavata con la deportazione 13 in Turchia, con il suo bimbo. Di là aveva trovato<br />

il modo di raggiungere la Palestina, e vi aveva allevato nostro figlio in<br />

un kibbutz 14 . Ora egli veniva a trovarmi.<br />

religione ebraica sono tutti coloro che non appartengono<br />

al popolo eletto, ovvero i non ebrei.<br />

11. Si fa riferimento al movimento rivoluzionario che portò<br />

la Russia nel 1917 al rovesciamento della monarchia<br />

zarista e all’instaurazione del primo Soviet.<br />

12. I bolscevichi ritenevano che in Russia proletari e<br />

contadini dovessero guidare la rivoluzione, concordando<br />

con le tesi di Lenin. Dalla rivoluzione del 1917 si dicono<br />

bolscevichi tutti colori che, in tutto il mondo e non solo in<br />

Russia, concordavano con le tesi del socialismo. Il testo fa<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

riferimento ad alcune zie della moglie del protagonista<br />

imprigionate in Polonia proprio per avere aderito alle tesi<br />

dei bolscevichi.<br />

13. Si tratta del forzato allontanamento dalla terra in cui si<br />

vive per essere trasferiti in un luogo lontano, senza le<br />

stesse condizioni economiche, sociali e civili.<br />

14. Il kibbutz è un’associazione volontaria di lavoratori<br />

nello stato d’Israele, basata sul possesso comune della<br />

terra e sull’uguaglianza sociale e civile.


45<br />

50<br />

55<br />

60<br />

65<br />

70<br />

<strong>75</strong><br />

80<br />

85<br />

Mi aveva mandato una fotografia fatta al tempo in cui aveva servito l’esercito<br />

e combattuto gli arabi 15 . Ma era sfocata, e per di più lo ritraeva in uniforme.<br />

Ora, mentre i primi passeggeri cominciavano a sbarcare, mi venne<br />

in mente che non avevo un’immagine chiara dell’aspetto di mio figlio. Era<br />

alto? Basso? I suoi capelli biondi erano diventati scuri con gli anni? L’arrivo<br />

di quel figlio in America mi riportava indietro in un’epoca che avevo considerato<br />

già relegata nell’eternità. Egli emergeva dal passato come un fantasma.<br />

Non si inseriva nella mia attuale vita privata, né fuori avrebbe legato<br />

con le mie conoscenze. In casa non avevo una stanza per lui, non un<br />

letto, né denaro, né tempo. Come quella nave che batteva bandiera bianca<br />

e blu con la stella di Davide 16 , egli costituiva una strana combinazione del<br />

passato e del presente. Mi aveva scritto che di tutte le lingue da lui parlate<br />

nell’infanzia, l’yiddisch 17 , il polacco, il russo, il turco, ora parlava soltanto<br />

l’ebraico. Così sapevo in anticipo che, con quel poco di ebraico che avevo<br />

appreso dal Talmud e dal Pentateuco, non mi sarebbe stato possibile conversare<br />

con lui. Invece di parlare da padre a mio figlio, avrei farfugliato e<br />

avrei dovuto cercare le parole nei vocabolari.<br />

Le spinte e il chiasso aumentavano. La banchina era in tumulto. Tutti urlavano<br />

e si lanciavano in avanti con la gioia esagerata della gente che ha perduto<br />

il senso della misura per quanto riguarda le conquiste terrene. Le<br />

donne gridavano istericamente; gli uomini piangevano con mugolii rochi. I<br />

fotografi scattavano fotografie, e i cronisti si precipitavano dall’uno all’altro,<br />

facendo frettolose interviste. Poi accadde quel che mi accade sempre<br />

quando faccio parte di una folla: mentre tutti divenivano una sola famiglia,<br />

io rimanevo un estraneo. Nessuno parlava con me, né io con gli altri. La<br />

forza segreta che li aveva uniti mi metteva in disparte. Certi sguardi mi misuravano<br />

assenti, quasi dicessero: che cosa fa qui costui? Quando tentai,<br />

vincendo la riluttanza, di fare una domanda a qualcuno, l’altro non mi<br />

ascoltò, o almeno se ne andò via prima ancora che finissi di parlare. Avrei<br />

potuto benissimo essere uno spettro. Dopo un poco mi risolsi, come sempre<br />

in casi simili, a fare pace col destino. Mi tenni in un angolo, lontano dal<br />

trambusto, e osservai le persone a mano a mano che scendevano dalla nave,<br />

selezionandole nella mia mente. Mio figlio non poteva essere tra i vecchi,<br />

né fra le persone di mezza età. Non poteva avere i capelli nero pece, le<br />

spalle larghe e gli occhi ardenti; un tipo del genere non poteva essere germogliato<br />

dai miei lombi. Ma a un tratto apparve un giovane stranamente<br />

simile al soldato dell’istantanea, alto, magro, piuttosto curvo, con il naso<br />

lunghetto e il mento stretto. «Questo è lui», qualcosa proruppe in me. Mi<br />

strappai dal mio cantuccio per corrergli incontro. Egli cercava qualcuno.<br />

L’amore paterno mi si destò dentro. Aveva le guance incavate e un pallore<br />

malato soffuso sul viso. È malato, è tisico, pensai ansiosamente. Avevo già<br />

aperto la bocca per chiamare «Gigi», come sua madre ed io lo chiamavamo<br />

da bambino, quando improvvisamente un donnone caracollò verso di lui e<br />

lo serrò tra le braccia. Il suo pianto si tramutò in una specie di latrato; presto<br />

una folla di altri parenti lo circondò. Mi avevano portato via un figlio<br />

che non era mio! In quel fatto sentivo una specie di ratto spirituale. I miei<br />

55<br />

15. Il testo allude al<br />

conflitto tra gli ebrei che si<br />

sono stabiliti sul territorio<br />

della Palestina e gli arabi<br />

che lo abitavano in<br />

precedenza.<br />

16. La bandiera bianca a<br />

strisce blu con la stella di<br />

Davide in centro è quella<br />

dello stato d’Israele.<br />

17. Significa giudaico e si<br />

riferisce alla lingua che gli<br />

ebrei parlarono nell’Europa<br />

centrale e orientale tra il X<br />

e il XVII secolo; tuttora è<br />

diffusa in numerose<br />

comunità in tutto il<br />

mondo. È scritta con i<br />

caratteri dell’alfabeto<br />

ebraico ma si distanzia<br />

dall’originale perché fonde<br />

una particolare lingua<br />

germanica medievale con<br />

elementi della lingua<br />

ebraica e aramaica.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


56<br />

18. Uno dei campi di<br />

sterminio più tristemente<br />

noti durante la<br />

persecuzione nazista degli<br />

ebrei.<br />

19. Cfr nota 5.<br />

20. La Torah nella religione<br />

ebraica indica i primi 5<br />

libri delle Sacre Scritture<br />

(Genesi, Esodo, Levitico,<br />

Numeri, Deuteronomio)<br />

ai quali si riferisce il nucleo<br />

più antico ed essenziale<br />

della religione ebraica,<br />

in cui sono contenute<br />

le principali norme di<br />

comportamento e di purità.<br />

21. Il testo si riferisce al<br />

piano di sterminio di Hitler<br />

durante la seconda guerra<br />

mondiale, per cui dopo<br />

avere ucciso gli ebrei nelle<br />

camere a gas, i loro corpi<br />

venivano bruciati in forni;<br />

le ceneri poi, come si dice<br />

poco più avanti nel testo,<br />

venivano poste in anonime<br />

fosse.<br />

090<br />

095<br />

100<br />

1<strong>05</strong><br />

110<br />

115<br />

120<br />

125<br />

130<br />

sentimenti paterni si sentirono umiliati e arretrarono in fretta in quel nascondiglio<br />

dove le emozioni possono rintanarsi per anni senza farsi sentire.<br />

Ebbi la sensazione di essere arrossito di vergogna, come se fossi stato colpito<br />

in faccia. Stabilii di attendere con pazienza, di non lasciare i miei sentimenti<br />

prorompere prematuramente. Per un pezzo non sbarcò più alcun<br />

passeggero. Che cos’è un figlio, in fondo? pensavo. Che cosa rende il mio<br />

seme più importante per me che per un altro? Che valore ha un legame di<br />

sangue e di carne? Siamo tutti schiuma dello stesso calderone. Se retrocedi<br />

di un certo numero di generazioni scopri che probabilmente tutta questa<br />

folla di sconosciuti ha avuto un avo in comune. E fra due o tre generazioni<br />

i discendenti di coloro che ora sono parenti saranno estranei. Tutto è temporaneo<br />

e passeggero; siamo spuma dello stesso oceano, pantano della stessa<br />

palude. Poiché non si può amare tutti, non si dovrebbe amare nessuno.<br />

Altri passeggeri sbarcarono. Tre giovani comparvero insieme e li esaminai.<br />

Nessuno dei tre era Gigi; e comunque, se uno lo fosse stato, nessuno me lo<br />

avrebbe tolto. Fu un sollievo vedere che ciascuno dei tre se ne andava con<br />

qualcun altro. Nessuno di loro mi era piaciuto. Appartenevano alla feccia.<br />

L’ultimo si era persino voltato e mi aveva lanciato un’occhiata aggressiva,<br />

come se in qualche modo misterioso avesse captato i miei pensieri di disapprovazione<br />

per lui e per i suoi simili.<br />

Se è mio figlio, sbarcherà per ultimo, mi venne in mente a un tratto, e benché<br />

questa fosse una supposizione, non so come, ero certo che sarebbe<br />

stato così. Mi ero armato di pazienza e di quella rassegnazione che è sempre<br />

pronta in me a immunizzarmi contro i miei fallimenti e a frenare qualsiasi<br />

velleità di liberarmi dalle mie limitazioni. Continuai a osservare ogni<br />

passeggero attentamente, cercando di indovinare il carattere e la personalità<br />

dall’aspetto e dal vestito. Forse era soltanto frutto d’immaginazione,<br />

ma ogni volto mi trasmetteva i suoi segreti e mi pareva di sapere esattamente<br />

come funzionava ogni cervello. Tutti i passeggeri avevano qualcosa<br />

in comune: la fatica di un lungo viaggio attraverso l’oceano, l’irritabilità e<br />

l’insicurezza della gente che arriva in un paese nuovo. Gli occhi chiedevano<br />

tutti, con un’ombra di delusione: è questa l’America? Una ragazza con<br />

il numero impresso sul braccio scosse irosamente il capo. Il mondo intero<br />

era un Auschwitz 18 . Un rabbino lituano, con la barba grigia tagliata tonda e<br />

gli occhi sporgenti, stringeva un pesante volume. Lo aspettava un gruppo<br />

di studenti yeshivah 19 e appena egli li raggiunse incominciò a predicare con<br />

lo zelo stizzito di uno che possieda la verità e cerchi di divulgarla in fretta<br />

e furia. Lo udii dire: «Torah... Torah... 20 ». Avrei voluto chiedergli perché la<br />

Torah non avesse difeso e salvato milioni di ebrei dai forni crematori 21 di<br />

Hitler. Ma a quale scopo chiederglielo, quando già sapevo la risposta? «I<br />

miei pensieri non sono i vostri pensieri». Subire il martirio in nome di Dio<br />

è il più alto dei privilegi. Un passeggero parlava una specie di dialetto che<br />

non era né tedesco né jiddisch, ma un pasticcio inintelligibile attinto a libri<br />

antichi. Strano, quelli che erano venuti ad attenderlo chiacchieravano nello<br />

stesso linguaggio.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


135<br />

140<br />

145<br />

150<br />

155<br />

160<br />

165<br />

170<br />

1<strong>75</strong><br />

Pensai che nel più completo caos esistono leggi precise. I morti restano<br />

morti. Coloro che vivono hanno i loro ricordi, i loro calcoli, i loro progetti.<br />

Chi sa dove, nei fossati della Polonia, vi sono le ceneri di coloro che<br />

furono bruciati. In Germania, gli ex nazisti giacciono nei loro letti, ognuno<br />

con l’elenco dei propri delitti, delle torture, degli stupri più o meno violenti.<br />

Chi sa dove, deve esservi un Onnisciente che conosce i pensieri di<br />

ogni essere umano, che sa le sofferenze di ogni infima creatura, che conosce<br />

ogni cometa, ogni molecola della più lontana galassia. Gli parlai. Bene,<br />

potente Onnisciente, per te ogni cosa è giusta. Tu sai tutto e sei informato<br />

di tutto... per questo sei tanto bravo. Ma che cosa debbo fare io con le mie<br />

briciole di realtà?… Sì, debbo attendere mio figlio. Di nuovo era cessato lo<br />

sbarco dei passeggeri; pensai che dovevano essere scesi a terra tutti. Divenni<br />

nervoso. Forse mio figlio non era a bordo di quella nave? Forse me<br />

lo ero lasciato sfuggire? E se si fosse gettato nell’oceano? Quasi tutti se ne<br />

erano andati dalla banchina e intuivo che gli inservienti si preparavano a<br />

spegnere le luci. Che cosa dovevo fare adesso? Avevo avuto una premonizione:<br />

doveva andare storto qualcosa con quel figlio che per vent’anni era<br />

stato per me soltanto una parola, un nome, una colpa sulla coscienza.<br />

Improvvisamente lo vidi. Scendeva lentamente, incerto, con l’espressione<br />

di chi non si aspetti che qualcuno gli sia venuto incontro. Non smentiva la<br />

sua fotografia, ma pareva più vecchio. Aveva rughe giovanili nel volto e gli<br />

abiti sgualciti. Dimostrava la trascuratezza e la negligenza di un giovane<br />

che non ha casa, che ha passato anni in luoghi strani, che ha avuto parecchie<br />

traversie ed è invecchiato precocemente. Tra i suoi capelli arruffati e<br />

scarmigliati mi parve di vedere qualche filo di <strong>pag</strong>lia o di fieno, come di<br />

chi dorme nei fienili. I suoi occhi azzurri, che guardavano di traverso sotto<br />

le sopracciglia biancastre, avevano il sorriso semicieco di un albino 22 . Portava<br />

con sé una cassetta di legno come una recluta dell’esercito, e un pacco<br />

avvolto in carta marrone. Invece di corrergli subito incontro, rimasi immobile,<br />

a bocca aperta. Il portamento del dorso era leggermente curvo,<br />

non come quello di uno studente yeshivah 23 , ma piuttosto di chi è abituato<br />

a portare sulle spalle carichi pesanti. Assomigliava a me, ma riconobbi alcune<br />

caratteristiche di sua madre, l’altra metà che non poté mai fondersi<br />

con la mia. Persino in lui, che era il prodotto di noi due, non armonizzavano<br />

le nostre caratteristiche contrastanti. Le labbra della madre non si accordavano<br />

con il mento del padre. Gli zigomi sporgenti non s’intonavano<br />

con la fronte alta. Egli si guardò intorno attentamente e il suo volto diceva<br />

bonario: «Naturalmente, non è venuto a incontrarmi».<br />

Mi avvicinai e domandai incerto: – Atah Gigi?<br />

Egli rise. – Sì, sono Gigi.<br />

Ci baciammo e la sua barbetta ispida mi raspò le guance come una grattugia.<br />

Era un estraneo per me, eppure nello stesso tempo sapevo che gli<br />

ero devoto come lo è il padre verso il figlio. Rimanemmo immobili con<br />

quella sensazione di appartenerci reciprocamente, che non ha bisogno di<br />

parole. In un attimo seppi come dovevo trattarlo. Aveva servito tre anni<br />

nell’esercito, aveva combattuto una guerra crudele. Doveva avere avuto<br />

57<br />

22. L’albino è chi, per via<br />

ereditaria, ha un difetto di<br />

produzione della melanina<br />

nella pelle, negli occhi e nei<br />

capelli. Per questo un<br />

albino ha pelle e capelli<br />

molto chiari e occhi di un<br />

azzurro molto pallido.<br />

23. Cfr. nota 5.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


58<br />

180<br />

185<br />

190<br />

195<br />

200<br />

2<strong>05</strong><br />

210<br />

215<br />

220<br />

225<br />

chi sa quante ragazze, ma era rimasto timido quanto può esserlo un uomo.<br />

Gli parlai in ebraico, piuttosto meravigliato io stesso della mia conoscenza<br />

della lingua. Acquisii immediatamente l’autorità di un padre, e tutte le mie<br />

inibizioni svanirono. Volevo prendere la sua cassetta di legno, ma egli non<br />

me lo permise. Indugiammo a cercare un tassì, ma tutti se n’erano già andati.<br />

La pioggia era cessata. La strada lungo il porto si stendeva umida,<br />

scura, malamente pavimentata, l’asfalto tutto buche e pozze d’acqua che riflettevano<br />

lembi di cielo luminoso, un cielo basso e rosso come una cappa<br />

di rame. L’aria era soffocante. Guizzavano lampi senza tuoni. Cadeva qualche<br />

rara goccia d’acqua, ma era difficile sapere se erano le ultime della cessata<br />

pioggia, o le prime di un nuovo acquazzone che incominciava. Il fatto<br />

che New York si mostrasse a mio figlio così cupa e triste feriva il mio orgoglio.<br />

Avevo la sciocca ambizione di fargli vedere subito i quartieri più belli<br />

della città. Ma attendemmo un quarto d’ora e nessun tassì comparve. Si<br />

sentivano già i primi fragori dei tuoni. Dovevamo rassegnarci ad avviarci a<br />

piedi. Parlavamo tutti e due con lo stesso stile, breve e tagliente. Come vecchi<br />

amici che conoscono i reciproci pensieri, non avevamo bisogno di lunghe<br />

spiegazioni. Mi diceva senza parole: «Capisco che non potessi stare<br />

con mia madre. Non ho rimostranze. Anch’io sono fatto della tua stessa<br />

pasta...».<br />

Gli domandai: – Che tipo di ragazza è quella di cui mi hai scritto?<br />

– Una brava ragazza. Ero il suo consigliere nel kibbutz. Poi andammo insieme<br />

nell’esercito.<br />

– Che cosa fa nel kibbutz?<br />

– Lavora nei granai.<br />

– Ha studiato almeno?<br />

– Siamo andati insieme alle scuole superiori.<br />

– Quando vi sposerete?<br />

– Al mio ritorno. I suoi genitori pretendono un matrimonio ufficiale.<br />

Lo disse in un modo che significava: «Naturalmente, noi due non abbiamo<br />

necessità di simili cerimonie, ma i genitori delle ragazze hanno una mentalità<br />

diversa».<br />

Feci un cenno a un tassì di passaggio ed egli quasi protestò.<br />

– Perché un tassì? Potevamo camminare. Posso camminare per miglia.<br />

Dissi all’autista di condurci oltre la quarantaduesima strada, verso la parte<br />

illuminata di Broadway, e poi di voltare nella quinta strada. Gigi sedette<br />

guardando fuori dal finestrino. Non fui mai tanto orgoglioso dei grattacieli<br />

e delle luci di Broadway quanto quella sera. Egli guardava e taceva. Intuii,<br />

non so come, che stava pensando alla guerra contro gli arabi, e a tutti i pericoli<br />

ai quali era sopravvissuto sul campo di battaglia. Ma le forze che reggono<br />

il mondo avevano stabilito che dovesse venire a New York a vedere<br />

suo padre. Era come se sentissi i suoi pensieri passare dietro la sua fronte.<br />

Certo, anche lui, come me, stava ponderando gli eterni interrogativi.<br />

Quasi per provare le mie forze telepatiche, gli dissi:<br />

– I casi fortuiti non esistono. Se è detto che devi vivere, resti vivo. È destino<br />

che sia così.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


Volse il capo e mi guardò meravigliato:<br />

– Ehi, leggi nel pensiero, tu!<br />

E sorrise, stupito, incuriosito e incredulo, come se gli avessi paternamente<br />

giocato uno scherzo.<br />

Il figlio, in Un amico di Kafka, Longanesi, Milano 1987<br />

59<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


60<br />

STRUMENTI DI LETTURA<br />

Il personaggio<br />

narratore<br />

Poiché l’intera vicenda è osservata dal<br />

punto di vista dell’io narrante, emerge in<br />

primo piano la psicologia del narratore, il<br />

suo proprio modo di vedere la realtà. Con<br />

un profondo senso di estraneità, egli<br />

sente di appartenere a un’epoca passata,<br />

non più in sintonia con i modi di vita che<br />

vede praticati in terra americana. Persino<br />

coloro i quali, in attesa come lui sul molo,<br />

recano evidenti i segni della propria appartenenza<br />

religiosa, sembrano dimostrare<br />

una modernità che non gli appartiene.<br />

Come l’unica fotografia del figlio<br />

in suo possesso è «sfocata», egli stesso dichiara<br />

di non avere «un’immagine chiara»<br />

del giovane, il quale emerge dal passato<br />

«come un fantasma». La folla eterogenea<br />

in attesa della nave gli appare un<br />

campionario dell’intera umanità, «gente<br />

che ha perduto il senso della misura per<br />

quanto riguarda le conquiste terrene»,<br />

ma mentre tutti sembrano diventare «una<br />

sola famiglia», egli si sente un estraneo,<br />

anzi, «uno spettro». L’attesa del figlio si<br />

tramuta così in un tempo di riflessione su<br />

di sé, in cui hanno parte l’appartenenza<br />

culturale e religiosa ebraica, ma anche, in<br />

senso più lato, il significato e lo scopo<br />

dell’appartenenza al genere umano fino a<br />

domandarsi: l’Onnisciente sa tutto, «ma<br />

che cosa debbo fare io con le mie briciole<br />

di realtà?». Disorientato, senza un valido<br />

punto di riferimento in questo mondo<br />

«sfocato», il personaggio-narratore troverà<br />

nell’incontro col figlio le ragioni per<br />

tornare a confrontarsi lucidamente e positivamente<br />

con la realtà.<br />

Il tempo<br />

Il racconto intreccia magistralmente<br />

due diverse dimensioni tem-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

porali, il tempo reale che il personaggio-narratore<br />

trascorre sul molo in attesa<br />

della nave, e il tempo interiore<br />

della memoria, delle riflessioni sulla vita,<br />

sul passato, sui misteriosi, insondabili<br />

legami che collegano al «tutto» le<br />

«briciole di realtà» di cui dispone. Le<br />

sue vicende personali, quelle della ex<br />

moglie, del figlio lontano, che ora è<br />

cresciuto e ha combattuto in guerra,<br />

s’intrecciano con le vicende collettive<br />

del popolo ebraico. È il tempo della<br />

meditazione sul contrasto tra il passato<br />

e il presente, tra l’antica fede dei padri<br />

che ancora sopravvive nei segni esteriori<br />

degli ebrei ortodossi e il destino<br />

delle nuove generazioni, costrette a difendere<br />

con le armi la sopravvivenza di<br />

Israele.<br />

Le tecniche<br />

narrative<br />

Oltre che sul piano temporale, anche<br />

dal punto di vista narrativo il racconto<br />

appare suddiviso in due parti. La prima<br />

è costruita come un lungo, ininterrotto<br />

monologo interiore, attraverso il quale<br />

conosciamo il modo di pensare del protagonista,<br />

il suo punto di vista sul<br />

mondo, i suoi sentimenti. Nel secondo,<br />

scandito per lo più dal dialogo diretto<br />

tra padre e figlio, si scioglie, per così<br />

dire, la cupa tensione accumulatasi nella<br />

prima parte in cui dominano le riflessioni<br />

sul senso di estraneità, l’ossessione<br />

dell’olocausto e l’angoscia per quello<br />

che potremmo definire “il silenzio di<br />

Dio”. Il dialogo ha la funzione di un’apertura<br />

al mondo, di una liberazione<br />

dalle ossessioni personali: parlare è andare<br />

finalmente verso «l’altro» e, non a<br />

caso, il racconto si chiude sul sorriso del<br />

figlio.


1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

61<br />

DOMANDE DI VERIFICA<br />

“A me tutta quella gente pareva mondana e scaltra”. Così dice il narratore osservando la folla in<br />

attesa dello sbarco della nave, all’inizio del racconto. Sulla base dei contenuti del testo, quali motivi<br />

spingono il protagonista a fare questa considerazione?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

“Avevo già aperto la bocca per chiamare ‘Gigi’, come sua madre ed io lo chiamavamo da bambino,<br />

quando improvvisamente un donnone caracollò verso di lui e lo serrò tra le braccia. [...] Mi<br />

avevano portato via un figlio che non era mio!”.<br />

Questa breve sezione del testo significa che:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

Una donna riconosce erroneamente il figlio del protagonista come suo e si allontana con lui.<br />

Il protagonista non riesce a riconoscere suo figlio.<br />

Non è semplice per il protagonista riconoscere il figlio; pensa di averlo identificato, ma poi invece<br />

vede che non è così.<br />

Il figlio del protagonista non è sulla nave.<br />

Durante l’attesa del figlio, una delle preoccupazioni più importanti del protagonista è di non sapere<br />

in quale lingua potrà conversare con lui. Facendo riferimento a tutti gli elementi a tua disposizione<br />

nel testo, per quale motivo questo aspetto risulta così problematico per il protagonista?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

“Che cos’è un figlio, in fondo? Che cosa rende il mio seme più importante per me che per un<br />

altro? Che valore ha un legame di sangue e di carne? Siamo tutti schiuma dello stesso calderone.<br />

Se retrocedi di un certo numero di generazioni scopri che probabilmente tutta questa folla di sconosciuti<br />

ha avuto un avo in comune. E fra due o tre generazioni i discendenti di coloro che ora<br />

sono parenti saranno estranei”.<br />

In questa parte del testo si può distinguere tutta la paura del protagonista di incontrare suo figlio.<br />

Sapresti giustificare questa interpretazione?<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

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....................................................................................................................................................................................................................................<br />

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62<br />

5<br />

6<br />

Leggi le seguenti affermazioni e indica se a tuo giudizio risultano vere o false, sulla base dei contenuti<br />

del racconto:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

e<br />

f<br />

La madre del ragazzo che sta arrivando, almeno da un certo momento in avanti,<br />

ha allevato il figlio in un kibbutz.<br />

Il vero aspetto del figlio è molto diverso dall’immagine sfuocata della fotografia<br />

che il padre aveva con sé.<br />

L’aspetto del volto del figlio appare al padre come una copia fedele di quello della<br />

madre; non riconosce invece tratti propri.<br />

Il modo di comportarsi e di muoversi del ragazzo era composto e curato.<br />

Il ragazzo aveva combattuto nell’esercito di Israele e aveva compiuto anche lavori<br />

pesanti.<br />

Dopo qualche domanda del padre il figlio dice di essere fidanzato e che tra<br />

poco si sposerà.<br />

Considera come il protagonista del racconto cambi la sua prospettiva nel vivere la paternità di un<br />

figlio lontano, dal momento in cui lo aspetta, a quello in cui lo incontra e infine gli parla e lo<br />

ascolta: si può dire che ci sia un’evoluzione radicale nel personaggio? O si può affermare che in lui<br />

era sempre esistito il sentimento di paternità e che egli scopre soltanto di possederlo, nel momento<br />

in cui vede il figlio? Giustifica i due punti di vista argomentandoli.<br />

Primo punto di vista: ..........................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

Secondo punto di vista: ....................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

....................................................................................................................................................................................................................................<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

‘ V<br />

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‘ V<br />

F<br />

F<br />

F<br />

F<br />

F<br />

F


5<br />

anno 1970<br />

luogo<br />

Italia<br />

genere<br />

racconto<br />

realistico<br />

1. Si tratta di un modello della Alfa Romeo, ditta<br />

produttrice di automobili del gruppo FIAT. Così anche per<br />

quanto riguarda la Giulietta, citata poco più avanti nel<br />

racconto.<br />

2. San Giovanni a Teduccio è un quartiere della periferia di<br />

Napoli; prima paese autonomo, venne aggregato alla città<br />

Giorgio Scerbanenco<br />

Villa della<br />

disperazione<br />

durante il fascismo e, pur mantenendo alcuni aspetti<br />

dell’antico borgo, ha avuto uno sviluppo poco coerente per<br />

via della speculazione edilizia.<br />

3. Molte delle strade presenti nel sud italiano erano state<br />

fatte costruire durante la dominazione dei Borboni,<br />

regnanti sulle Due Sicilie dal 1734 all’Unità d’Italia.<br />

63<br />

Presentazione dell’opera<br />

La fama di Scerbanenco come giallista è affidata alla tetralogia incentrata su Duca Lamberti, esperto della nuova criminalità dell’hinterland<br />

milanese, caratterizzata da una notevole violenza. Alla produzione romanzesca lo scrittore ha affiancato un cospicuo<br />

numero di racconti, spesso brevissimi e dall’effetto fulminante. Villa della disperazione appartiene al ristretto numero di quelli che<br />

non sono ambientati a Milano o comunque nel nord industrializzato. Al di là dell’impianto narrativo giallo o noir, i suoi romanzi e<br />

racconti appaiono oggi come un amaro e disincantato spaccato degli anni Sessanta, che svelano un’Italia difficile, avida, cattiva e<br />

disillusa, ben lungi dalla solita immagine edulcorata degli anni del cosiddetto “miracolo economico”. «Le storie che racconta Giorgio<br />

Scerbanenco non sono storie delicate, sono storie nere, nerissime, storie di delitti efferati, di sentimenti abbietti, di trasgressioni<br />

e devianze, di bassifondi bruti e di ambienti alti anche peggio. Sono storie ambientate in un’Italia di ieri che non ha quasi<br />

niente di diverso da quella di oggi, perché potere e politica, delitti e passioni, mafia e criminalità più o meno o per niente organizzata<br />

sono ancora gli stessi» (Carlo Lucarelli).<br />

Giorgio Scerbanenco<br />

Vladimir Giorgio ·čerbanenko, poi italianizzatosi in Giorgio Scerbanenco, nacque<br />

a Kiev nel 1911 da madre italiana e padre ucraino. A sedici anni si trasferì<br />

a Milano dove praticò svariati mestieri prima di approdare all’editoria, ricoprendo<br />

importanti incarichi redazionali e direttivi presso noti settimanali femminili.<br />

Scrittore straordinariamente prolifico e versatile, esordì come romanziere<br />

nel 1935 e quando scomparve prematuramente al culmine del successo,<br />

nel 1969, aveva al suo attivo innumerevoli racconti e più di sessanta romanzi<br />

(altri ancora furono pubblicati postumi). Famoso soprattutto come autore di<br />

romanzi “rosa”, molto in voga negli anni Cinquanta e Sessanta, diede tuttavia<br />

il meglio di sé nel genere giallo e noir, tanto da essere oggi considerato un maestro<br />

del genere. Venere privata (1966), Traditori di tutti (1966), I ragazzi del massacro (1968) e I milanesi<br />

ammazzano al sabato (1969), costituiscono un ciclo il cui protagonista è Duca Lamberti, ex medico dalla<br />

profonda umanità che diventa una sorta di investigatore privato, a contatto con i risvolti più torbidi e<br />

spietati della vita metropolitana. Scerbanenco è stato anche uno straordinario autore di racconti, talora<br />

brevissimi ma sempre di fulminante intensità, recentemente raccolti in varie edizioni (Uccidere per amore.<br />

Racconti 1948-1952, Racconti neri, Il cinquecentodelitti). A tutt’oggi, Scerbanenco è l’unico autore italiano<br />

a essersi aggiudicato, con Traditori di tutti, il prestigioso “Gran Prix de la littérature policière”, che dal<br />

1948 viene ogni anno assegnato in Francia al miglior romanzo giallo. Alla sua memoria è dedicato anche<br />

il premio più importante per la narrativa gialla italiana, il “Premio Scerbanenco”.<br />

La vecchia Alfa1 , attraversato il caos costruttivo di San Giovanni a<br />

Teduccio 2 , lasciò la strada borbonica3 L<br />

e prese quella che conduceva<br />

al Vesuvio, di cui nella chiarità del pieno mattino di giugno si vedeva<br />

l’aggraziata e pur minacciosa mole.<br />

Al volante c’era un giovane con un grosso ciuffo di capelli neri che gli ricadeva<br />

in mezzo alla fronte, e vicino a lui c’era come il suo contrario, un<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


64<br />

4. Ferdinando Sanfelice fu<br />

un architetto del XVII<br />

secolo, di famiglia nobile<br />

napoletana, che realizzò<br />

molti edifici sia civili sia<br />

religiosi nell’area campana,<br />

secondo lo stile barocco.<br />

5. Le ringhiere dei balconi<br />

durante l’età barocca erano<br />

talvolta fatte in ferro<br />

battuto e ricche di motivi<br />

ornamentali come foglie,<br />

fiori, piccoli animali,<br />

creature fantastiche.<br />

6. Sinonimo di anticamera,<br />

cioè un locale che precede<br />

la zona effettivamente<br />

abitata della casa.<br />

7. Il lavabo, fatto in ferro<br />

battuto con una catinella<br />

nella parte superiore e una<br />

brocca che conteneva<br />

l’acqua nella parte<br />

inferiore, era in uso nelle<br />

camere da letto per fare la<br />

toilette personale; è un<br />

altro indizio del fatto che<br />

nella casa mancano le<br />

comodità proprie dell’età<br />

contemporanea, come<br />

l’acqua corrente.<br />

10<br />

15<br />

20<br />

25<br />

30<br />

35<br />

40<br />

45<br />

50<br />

uomo anziano, ma grosso, tutto robusto e tutto rapato in testa. Nei sedili<br />

dietro c’era un uomo di neppure trent’anni con un maglione grigio scuro<br />

dal collo alto fino al mento perché quel giugno anche a Napoli fece freddo,<br />

era bruno, ma dai capelli tagliati cortissimi, meno di un dito, e, anche se era<br />

rasato da poche ore, aveva una maschera violacea sulle guance. Vicino a lui<br />

una donna giovanissima, bionda, boccheggiava al finestrino aperto, l’abito<br />

premaman, per quanto largo fosse, aderiva ormai strettissimo al suo ventre<br />

enorme di gestante all’ultimo giorno. Dopo una svolta quasi a L, l’Alfa<br />

fermò di colpo davanti alla villa. La villa era tutta recintata da una staccionata,<br />

all’ingresso c’era un grande cartello: Ministero della Pubblica Istruzione.<br />

Sovrintendenza ai monumenti della Campania. Restauro e ripristino delle ville<br />

settecentesche vesuviane. L’ingresso è consentito soltanto alle autorità competenti.<br />

Non è permessa alcuna visita.<br />

L’uomo rapato lesse il cartello senza parlare e senza parlare tutti scesero. Il<br />

ragazzo col ciuffo dette un piccolo colpo di clacson, poi slegò i numerosi<br />

bagagli che erano sul tetto dell’Alfa. Non c’era nessuno sullo stradone, l’aria<br />

era polverosa di microscopiche faville che piovevano dalle falde del Vesuvio<br />

spazzato da un vento abbastanza forte e freddo.<br />

Al brevissimo, quasi inesistente colpo di clacson il portello della staccionata<br />

si aprì e vennero avanti una donna e un uomo, anziani ma dall’aspetto<br />

robusto, e una ragazza alta, dal viso pallido, dai capelli bruni, lunghi, tutti<br />

in disordine, da una gonna rossa cortissima, ma spiegazzata e stracciata.<br />

Senza parlare, la vecchia donna andò a sostenere la giovane gestante, mentre<br />

il vecchio e la ragazza presero le molte valigie che erano sul tetto della<br />

vettura, escluse due che, con un gesto imperioso, il vecchio robusto dalla<br />

testa rapata volle portare lui.<br />

«Sbrighiamoci,» disse il ragazzo col ciuffo, «prima che qualcuno ci veda.»<br />

Attraversarono lo stradone in fretta e furono tutti al riparo un momento<br />

dopo dietro la staccionata che circondava la villa, senza che si fosse visto un<br />

passante o un’auto.<br />

La villa sembrava dovesse crollare da un momento all’altro, i due portali<br />

disegnati dal Sanfelice 4 erano spariti, così le preziose ringhiere panciute e<br />

fogliute dei quattro balconi 5 , e delle preziose persiane dell’epoca non esisteva<br />

neppure il ricordo: finestre e balconi erano tappati da assi di legno.<br />

Percorso il lungo androne arrivarono nel cortile con porticato e, a sinistra,<br />

entrarono nel vasto anticamerone di servizio, buio come una cantina, la<br />

luce filtrava soltanto da due grandi finestre tappate però dalle assi di legno<br />

e a destra di questa area di disbrigo 6 entrarono nella cucina. Una cucina del<br />

tardo seicento, grande come una vasta sala da ballo di oggi, con un camino<br />

alto due metri, il soffitto che recava ancora qualche traccia di affreschi di<br />

cani che inseguivano la selvaggina, fagiani, lepri, uccellini.<br />

«Di qui, signori,» disse la vecchia. Aprì una porta ed entrarono in una<br />

stanza ancora più vasta della cucina. Le finestre non erano chiuse dalle assi<br />

di legno, ma da polverosi vetri e rozze imposte non verniciate. In quell’immensità,<br />

il letto matrimoniale, l’altro letto singolo, un armadione, enorme<br />

e sgangherato, un lavabo con la brocca e il catino 7 , un tavolino e due sbrin-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


55<br />

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95<br />

dellate poltrone, si sperdevano come pochi chicchi di riso in una grande<br />

scodella.<br />

«Signora, stendetevi qui un poco,» disse la vecchia alla giovane, nel suo<br />

morbido, grasso napoletano. Aiutò la donna incinta, viola in viso, a mettersi<br />

sul letto. «È un letto molto morbido, mio marito dice che è troppo<br />

morbido, che fa fatica a dormirci.»<br />

Erano entrati anche il vecchio e la ragazza con le valigie, insieme col giovanotto<br />

dal ciuffo che aveva guidato l’Alfa.<br />

«Mandali via,» disse il grosso uomo rapato al ragazzo col ciuffo. «Tu resta<br />

qui, dobbiamo parlare.»<br />

Senza parole, con un gesto e uno sguardo, il ragazzo ordinò ai tre di uscire<br />

e chiuse la porta dietro di loro.<br />

Il vecchio gli andò davanti. Con la mano gli indicò una delle poltrone.<br />

«Siediti.» Così lo dominava meglio. «Che posto è?»<br />

«È il posto più sicuro, signo’, qui non vi trova nessuno,» disse il ragazzo,<br />

anche lui evidentemente napoletano.<br />

«Perché?»<br />

«Perché è un monumento nazionale...» disse il ragazzo, «avete visto la<br />

staccionata e il cartello? Nessuno va a pensare che qualcuno si voglia nascondere<br />

qui, infatti nessuno ci si è mai nascosto.»<br />

«Chi ha pensato a questo nascondiglio?» disse il grosso vecchio, incombendo<br />

su di lui.<br />

«Gli amici…» disse il ragazzo, dette un’inflessione speciale alla parola<br />

amici. «Siete con una signora che aspetta un bambino, non potevamo tenervi<br />

a Napoli, troppo vistoso. Allora abbiamo pensato qui, è l’angolo più<br />

deserto della zona.»<br />

«Chi sono quei due vecchi e la ragazza?» disse il grosso.<br />

Fece segno di no all’uomo col maglione dal collo alto fino al mento, che<br />

aveva preso una bottiglia di whisky da una valigia e gliene offriva un po’ in<br />

un bicchiere di metallo, dette un’occhiata alla donna distesa sul letto che<br />

invece beveva bravamente dalla bottiglia.<br />

«Sono i custodi della villa. La ragazza è la loro figlia, ed è la mia fidanzata,»<br />

disse caldamente il giovane col ciuffo. «Per questo gli amici mi<br />

hanno detto: “Tu hai la passione, lassù, in quella villa, e allora portali<br />

lassù”. Sono gente brava, dovete stare sicuro, dotto’,» cominciò a chiamarlo<br />

dottore per quanto con quella faccia non desse troppo la sensazione<br />

del dottore.<br />

La grande camera era illuminata da due sole finestre e quindi, nonostante<br />

la mattinata così luminosa, era piena di ombre. L’uomo in maglione era seduto<br />

sul letto vicino alla giovane donna, fumavano tutti e due quei robusti<br />

sigaretti, e dopo tutto il whisky lei, invece di vomitare, pareva che stesse<br />

molto bene, e aveva un dolce color fragola in viso.<br />

«Come ti chiami?» disse il vecchio.<br />

«Fiorello,» disse il ragazzo.<br />

«Io mi chiamo Gennaro. Se non ci credi, fai male,» disse il grosso, si frugò<br />

sotto la giacca, come avesse prurito, e ne tirò fuori una grossa browning 8 .<br />

65<br />

8. Browning è in realtà il<br />

nome della ditta<br />

produttrice dell’arma, non<br />

del modello.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


66<br />

9. Non si tratta<br />

evidentemente degli scavi<br />

di Pompei. La battuta<br />

ironica di Fiorello intende<br />

dire che la villa è un<br />

rudere, come appunto le<br />

case scavate a Pompei.<br />

10. Ovvero un medico<br />

ginecologo, in grado di fare<br />

nascere i bambini<br />

(cavapupi, ovvero in<br />

dialetto prendi-bambini,<br />

dal ventre della madre).<br />

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«Sono più napoletano di te anche se da quarant’anni vivo a New York e<br />

parlo l’italiano così male.» Alzò la voce rabbiosamente, urlò addirittura:<br />

«Alzati!».<br />

Lentamente, non per svogliatezza, ma per terrore, Fiorello si alzò, cercando<br />

di non guardare la piatta canna della rivoltella.<br />

«Ascoltami, Fiorello,» disse Gennaro, «tu mi sei stato raccomandato dagli<br />

amici di laggiù. Mi hanno dato la tua fotografia a New York, e a Capodichino,<br />

quando siamo scesi dall’aereo, tu eri lì ed eri quello della fotografia.<br />

Ti ho chiesto: “Lei è dell’agenzia alberghiera?” e tu hai risposto, secondo<br />

la parola d’ordine: “Sì, dell’hotel Continental”. Tutto questo va bene, ma<br />

io prima di fidarmi sto attento.» Alzò la browning, gliel’appoggiò sulla<br />

pelle, sotto il mento, costringendolo ad alzare il viso. «In questo posto ci<br />

sono molte cose che non mi piacciono. Per esempio non c’è il telefono.»<br />

«Dotto’,» si lamentò Fiorello, «ma in questi scavi di Pompei 9 cosa volete<br />

che mettano il telefono? È solo questione di pochi giorni, poi vi troviamo<br />

la casa degna di voi, dotto’.»<br />

Gennaro abbassò la rivoltella, ma la tenne sempre in mano.<br />

«Poi non mi piaci tu. <strong>Sei</strong> troppo giovane, l’ho detto anche a New York<br />

quando mi hanno dato la tua fotografia, per una cosa così grossa. Mi<br />

hanno assicurato che posso fidarmi, ma non mi piaci lo stesso.» Alzò di<br />

nuovo la rivoltella verso il suo viso, guardò un attimo l’uomo in maglione<br />

che si era disteso sul letto accanto alla donna. «Ti assicuro che, se sbagli,<br />

se servi due padroni, se prendi soldi da noi e poi vai a informare la polizia,<br />

non ti salverai più, e non solo tu, ma tua madre, tuo padre, la tua ragazza,<br />

tua sorella. Siamo venuti qui per questo, ci sono troppi figli di Giuda intorno<br />

a noi, e siamo venuti a sistemarli.»<br />

«Dottore, io non le faccio certe cose.»<br />

«Sarà,» disse il grosso. «E poi non mi piace che non ci sia la luce elettrica.<br />

Qui di notte ci infilzano come tordi allo spiedo.»<br />

«Dotto’, qui non c’è mai stata la luce elettrica, sono ville di tre, quattro secoli<br />

fa. Ma ci sono i lumi a petrolio e le candele, e poi nessuno si sogna di<br />

venire qui, state sicuro, dotto’, parola.»<br />

L’altro si rimise la rivoltella dentro la camicia.<br />

«Adesso cerca di ricordarti quello che mi occorre subito, e portamelo subito.»<br />

In quel momento la donna distesa sul letto ebbe una specie di breve rantolo.<br />

Il vecchio, con voce d’improvviso tenera, raucamente dolce, le si rivolse:<br />

«Cos’hai, cara?».<br />

«I dolori, papà, diventano sempre più forti,» disse lei.<br />

«Il dottore verrà subito,» la rassicurò lui, poi la sua voce ritornò dura e si<br />

rivolse al ragazzo napoletano. «Te l’ho già detto prima in macchina: mi<br />

occorre subito l’ostetrico.»<br />

«Sì, dottore, lo teniamo il cavapupi 10 , gli amici lo sapevano che arrivavate<br />

con la signora così.»<br />

«Subito vuol dire subito, ragazzo.»<br />

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«Sì, dotto’, fra un’ora arrivo qui col cavapupi.»<br />

«E mi occorrono due auto.»<br />

«Due, dotto’?»<br />

«Non molto grandi, ma veloci. E subito. Quando vieni qui con l’ostetrico<br />

devi portare anche le due auto, col serbatoio pieno.»<br />

«Piccole, ma veloci,» rifletté a voce alta il ragazzo. «Due Giuliette forse<br />

vanno bene.»<br />

«Non conosco le auto italiane, ma voglio che facciano almeno i centosessanta.»<br />

«Va bene, dottore.»<br />

«Sono le undici e tre quarti. All’una meno un quarto devi essere qui col<br />

dottore. Se succede qualche cosa a mia figlia perché tu ritardi, è meglio<br />

che ti tagli la gola da solo.»<br />

«No, dotto’, sono qui anche prima di un’ora.» Il ragazzo era lucido di sudore.<br />

«E porta questo messaggio agli amici, ricordati bene le parole.»<br />

«Sì, dotto’.»<br />

«Questo è il messaggio: “voglio subito casa con telefono”.»<br />

Quello voleva tutto subito, pensò il ragazzo.<br />

«E adesso voglio la cosa più importante: il numero di telefono dell’amico<br />

più grosso, e tutti e due sappiamo chi è.»<br />

«Sì, dotto’, ve lo scrivo subito.»<br />

Lo sapeva a memoria, aveva in tasca dei foglietti sparsi, consunti, sgualciti,<br />

e una matita che si passò tra le labbra per inumidirla. Era un numero facile<br />

da ricordare, 35.25.65, e scrisse il numero sul foglietto, ma arrivato alla<br />

quinta cifra sbagliò, non si accorse che invece di scrivere 6 aveva scritto 5,<br />

così consegnò al vecchio, la mano tremante per l’agitazione, il foglietto<br />

con scritto questo numero sbagliato: 35.25.55.<br />

«Adesso va’ via e fa’ presto,» disse il vecchio.<br />

Solo quando fu fuori, sulla strada, il ragazzo riprese a respirare normalmente.<br />

Era la prima volta che veniva in contatto con gli americani, era<br />

stata una prova di fiducia che gli avevano dato, ma un po’ pesante. Coi<br />

suoi padroni napoletani si sentiva molto più sicuro, ma di questi stranieri<br />

e delle loro rivoltelle aveva paura. E bisognava far subito subito. Si mise al<br />

volante dell’Alfa, girò la macchina e discese verso Napoli, continuava a<br />

pensare che doveva trovare il cavapupi, subito subito, e poi le due Giuliette,<br />

subito subito, che strano che a mezzogiorno, a Napoli, e in giugno,<br />

dovesse fare freddo, tirò su il finestrino dalla sua parte e senza accorgersene<br />

continuava a premere l’acceleratore, finché, come era prevedibile,<br />

appena arrivò sulla via borbonica, due militi della strada 11 alzarono il loro<br />

palettino irritante e gli fecero segno di fermarsi, coi loro irritanti caschi, le<br />

loro irritanti moto appoggiate al muro, e le loro irritanti facce.<br />

Il ragazzo col ciuffo, Fiorello, era un napoletano verace, e un napoletano<br />

verace se nell’orecchio ha il rombo di cento “subito, subito, subito”, non<br />

resiste a tante cose irritanti insieme. E infatti non resisté. Invece di fermarsi<br />

all’intimazione, accelerò, schizzò via nel traffico convulso di San<br />

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11. Ovvero due vigili<br />

urbani oppure due agenti<br />

della polizia stradale.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


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12. Fedele Fischetti è un<br />

pittore del Settecento<br />

napoletano, che affrescò<br />

edifici di culto e palazzi<br />

civili, tra cui anche molte<br />

parti della reggia di<br />

Capodimonte, della<br />

residenza reale e della<br />

reggia di Caserta.<br />

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Giovanni a Teduccio in quell’ora convulsa vicino all’ora di colazione. Era<br />

impossibile che ce la facesse, e infatti non ce la fece. Un bambino che era<br />

caduto di bicicletta rompendo il fiasco di vino che teneva in mano e che<br />

piangeva, lì, in mezzo alla strada, lo bloccò, e dallo specchietto lui vide arrivare<br />

come un proiettile uno dei motociclisti.<br />

«Vieni fuori.»<br />

Il ragazzo guardò il bambino che si rialzava, fradicio di vino rosso e di lacrime,<br />

e scese. Dette al milite la patente e il libretto. Arrivò anche l’altro<br />

milite.<br />

«Perché sei scappato?»<br />

«Avevo fretta.»<br />

Il milite si trattenne i documenti.<br />

«Sali, e seguici,» disse. «E sta’ tranquillo.»<br />

«Tranquillissimo,» disse lui colando sudore dalla fronte al rimbombo di<br />

quella voce nelle orecchie: “Subito, subito, subito.”<br />

La prima mezz’ora l’italo-americano Gennaro la passò a ispezionare la villa.<br />

Il vecchio custode, con un lume a petrolio in mano, lo condusse al piano superiore<br />

e alle soffitte, o stanze, a quei tempi, per la servitù. Il lume a petrolio<br />

era necessario perché di sopra tutte le finestre erano sbarrate da assi di<br />

legno. La larga scala era senza l’arabescata ed elaborata balaustra di bronzo,<br />

bisognava stare attenti perché non sempre i gradini si mostravano sicuri, sul<br />

primo e sul secondo pianerottolo si erano aperte due falle, due grossi buchi<br />

dai quali s’intravedeva il vago chiarore dell’anticamera sottostante.<br />

«Dotto’, attento a dove mettete i piedi,» diceva il custode.<br />

Al piano superiore vi erano due grandi saloni e quattro stanze. Anche qui<br />

vi erano dei buchi nel pavimento, e anche nel soffitto. Pezzi di muro cadevano<br />

un po’ da per tutto, sempre semplici scaglie, ma era una pioggia<br />

continua. In uno dei saloni vi era ancora un massiccio, lungo tavolo dell’epoca,<br />

evidentemente non era stato rubato soltanto per la sua mole e la<br />

sua pesantezza. E a tutte le pareti si vedevano ancora, in ogni stanza o salone,<br />

le larghe chiazze di affreschi del Fischetti 12 , gentili vergini nude<br />

nelle volute ariose e geometriche delle decorazioni, con fantastici paesaggi<br />

sullo sfondo, monti sui quali si ergevano leggiadre rocche, e cani da caccia<br />

che inseguivano la selvaggina in irreali foreste.<br />

Gennaro guardò tutto senza capire, guardò il grande lampadario penzolante<br />

pericolosamente dal soffitto.<br />

«Una volta c’era la luce elettrica,» disse indicandolo con la browning, che<br />

teneva in mano.<br />

«No, signore, quello è un lampadario a candele.»<br />

«Di sopra cosa c’è?»<br />

«Le soffitte. Il tetto è molto rotto, si sta sfasciando tutto, sono due anni<br />

che hanno messo quel recinto col cartello intorno alla villa, ma non hanno<br />

ancora fatto nulla. Sono venuti un paio di volte, forse a controllare che la<br />

villa sia ancora in piedi, ma io ho paura a starci, qualche notte magari ci<br />

casca tutto addosso.»<br />

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Gennaro ispezionò anche le soffitte, e solo quando fu sicuro che nella villa<br />

non c’era nessuno tornò da basso nella stanza dove erano sua figlia e il genero.<br />

Tina dormiva.<br />

«È ubriaca fradicia,» disse l’uomo in maglione. «Non resiste alle doglie,<br />

adesso le ha ogni quarto d’ora, ma non si sveglia neppure, si lamenta un<br />

po’. Il bambino nascerà sbronzo.»<br />

«Non c’è nessuno nella villa, Charlie,» disse Gennaro.<br />

Charlie aveva un viso da duro, ma non da bruto, i suoi occhi, anzi, esprimevano<br />

intelligenza, acume, se avesse portato gli occhiali sarebbe sembrato<br />

un giovane e aitante professore.<br />

«Figurati che consolazione,» disse acre. «Avrai tempo di incontrare tanti<br />

poliziotti da non poterli contare. Non si va in giro a fare i gangster con<br />

una donna gravida appresso.»<br />

«Io non lascio mia figlia sola in un momento come questo. E tu che sei<br />

suo marito dovresti pensare come me.»<br />

«No, non posso pensare che Tina abbia il bambino qui, in questa catapecchia,<br />

in questo letto,» Charlie alzò la voce, guardò il suocero con odio,<br />

«non ci farei dormire il gatto, su queste lenzuola, su questo cuscino…»<br />

«Forse non nasce subito, domani o dopo ci sistemeranno in una casa migliore.»<br />

«No, nasce qui, fra poche ore, le doglie sono sempre più fitte. Senti,»<br />

disse Charlie.<br />

Pur nel sonno dell’ubriachezza Tina si mosse convulsamente e lanciò una<br />

specie di ululato, poi respirò profondamente e ricadde in quella specie di<br />

coma.<br />

«Adesso guarda l’orologio, fra dieci minuti gliene verrà un’altra, poi<br />

gliene verranno ogni cinque minuti e allora ci vuole subito il medico.»<br />

«Sta arrivando,» disse Gennaro.<br />

All’una e mezzo non era arrivato nessuno. Alle due neppure, alle due e<br />

mezzo Tina si svegliò urlando e Charlie dovette metterle una mano sulla<br />

bocca. Le dettero ancora tanto whisky da narcotizzarla, e lei si riaddormentò.<br />

Gennaro guardò l’orologio.<br />

«Vado a telefonare.»<br />

Charlie si accese uno dei sigaretti che gli erano rimasti.<br />

«E a chi telefoni? Non hai ancora capito che ti hanno tradito? Siamo venuti<br />

qui per vedere se tradivano, e adesso lo sappiamo.»<br />

«Vado a telefonare lo stesso.»<br />

Aprì una delle due valigie che aveva voluto portare personalmente lui:<br />

c’era parecchia roba, quattro cinture caricatori per la browning, due pistole<br />

mitragliatrici e due mitra smontati in due. Sul fondo c’erano le scatole,<br />

tre, coi candelotti di nitroglicerina, ne aprì una e si mise due candelotti<br />

in tasca, prese una cintura caricatore e se l’allacciò alla vita. Sembrava<br />

un po’ più grosso, ma era già abbastanza grosso per non destare sospetti.<br />

Un uomo così equi<strong>pag</strong>giato, e deciso a usare il suo equi<strong>pag</strong>giamento, è un<br />

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po’ difficile da prendere. Charlie non disse nulla e non lo guardò neppure<br />

molto: il vecchio gli faceva pena, gli faceva pena sua moglie schiacciata da<br />

un tiranno così spietato e aveva anche pena di se stesso. Ma era nato in<br />

quell’ambiente, e doveva viverci. Gennaro risolveva tutto sparando. Anche<br />

quando parlava senza puntare la rivoltella era implicito che se qualcuno<br />

non fosse stato del suo parere, avrebbe sparato. Facesse pure.<br />

Il vecchio si tolse la rivoltella da sotto la camicia ed entrò di colpo nella<br />

stanza accanto, la grande cucina: c’era la ragazza che sembrava una zingara<br />

che stava ascoltando una radio a transistor, e al tavolo c’erano sua madre e<br />

suo padre che discutevano, con un fiasco di vino in mezzo a loro. Puntò la<br />

rivoltella contro di loro.<br />

«Devo telefonare. Quanto è lontano il telefono più vicino?»<br />

Il custode si alzò.<br />

«Signo’, non sparate, noi non vi abbiamo fatto niente.»<br />

«Dov’è il telefono più vicino!» urlò selvaggiamente Gennaro. «Se no,<br />

sparo davvero.»<br />

«È più su, verso il Vesuvio,» disse il custode, frustato da quell’urlo, «c’è<br />

un ristorante per i turisti che vanno fino in cima, lì c’è il telefono.»<br />

«Allora mi ci accom<strong>pag</strong>ni, e subito. Voi due starete qui in camera col mio<br />

genero,» le sospinse malamente nella stanza. «Vado a telefonare. Sta’ sicuro<br />

che torno. Se non torno, sai cosa devi fare,» disse a Charlie.<br />

Oh, sì, lo sapeva, doveva uccidere le due donne. I traditori devono morire,<br />

sì, verissimo, ma a che serviva?<br />

«Sì, lo so,» disse Charlie.<br />

Guardò Gennaro che usciva col custode, richiuse la porta e, con lo stile<br />

desiderato da suo suocero, levò dalla cintura la rivoltella e la tenne puntata<br />

contro le due donne.<br />

«Sedete nelle poltrone e non seccate.»<br />

Carezzò con la sinistra il viso umidiccio di Tina. Dormiva tranquilla.<br />

Guardò l’orologio: erano più di venti minuti che non aveva la doglia.<br />

Forse aveva ragione il suocero, poteva essere un falso allarme.<br />

Dopo un’ora e mezzo, Gennaro non era ancora tornato. Tina non sudava<br />

più, continuava a dormire e ogni tanto rabbrividiva, e non aveva più avuto<br />

nessuna doglia. Chiese delle altre coperte alle due donne, ma Tina continuò<br />

lo stesso a tremare.<br />

Dopo un’ora e tre quarti, Gennaro tornò, rientrò nella stanza spingendo<br />

avanti il custode.<br />

«Mi hanno dato un numero di telefono falso,» disse con una voce senza<br />

rabbia ma cattiva, spietata. «Ho chiamato venti o trenta volte, risponde<br />

uno che non ha niente a che fare col nostro amico. Siamo dentro la trappola.<br />

Bisogna uscirne subito perché fra poco arriverà la polizia.»<br />

Era logico, pensò anche Charlie, avevano tradito, avevano voluto liberarsi<br />

dagli ispettori che venivano da New York.<br />

«Mamma santissima, guardate sotto il letto, signo’, quello è sangue, si<br />

sente anche l’odore,» disse la moglie del custode. Charlie guardò subito:<br />

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da sotto il letto usciva e si allargava una spessa macchia di liquido scuro lucido<br />

che subito diveniva opaco. Si curvò a guardare. Il sangue gocciava dal<br />

sotto del materasso, allora Charlie sollevò un attimo le coperte e il lenzuolo<br />

che coprivano Tina, e la ricoprì subito stringendo i denti dalla nausea.<br />

«Tina, Tina,» carezzandola sul viso e sentì il viso non ancora freddo ma<br />

che stava divenendo rapidamente freddo, la scosse, le mise l’orecchio sulla<br />

bocca, e così capì, che era morta, sotto i suoi occhi, dissanguata.<br />

«È morta,» disse.<br />

Gennaro si avvicinò, cauto, a Tina, le mise una mano dietro il collo, alla<br />

nuca, le sollevò il capo e non ebbe bisogno di altro che di questo, di sentire<br />

l’innaturale peso della testa di lei e l’innaturale rigidità del collo. La<br />

ridepose, cauto, sul cuscino e la coprì tutta col lenzuolo. Sedette sull’altro<br />

lettino, accanto a Charlie, e stettero tutti e due lì in fondo al loro abisso di<br />

disperazione, per lunghi e lunghi e lunghi minuti. Poi Gennaro si alzò.<br />

«Dobbiamo andare,» disse, «fra poco qui arriva la polizia.»<br />

Era logico. Erano stati traditi e adesso li davano in pasto alla polizia.<br />

«Ma dove andiamo?» disse Charlie. «Non conosciamo nessuno, neppure<br />

i posti…»<br />

«Io so dove andare,» disse Gennaro. «A Napoli, ai telefoni. Voglio telefonare<br />

a New York perché siano informati di quello che succede qui, e di<br />

che genere di amici sono. E perché vengano a prenderci.»<br />

Forse era l’unica cosa che potessero tentare, pensò Charlie.<br />

«Tu porta la valigia coi soldi,» disse Gennaro, «io prendo quella con le<br />

armi.» Le mani gli tremavano. Si rivolse ai tre napoletani che stavano in<br />

piedi, ammucchiati vicino al muro. «Mia figlia è morta per colpa vostra.<br />

Se voi non foste delle sporche carogne di traditori, il medico sarebbe arrivato<br />

qui in tempo e mia figlia sarebbe viva, e anche il bambino. Siete degli<br />

assassini.»<br />

«No, signo’, no, signo’, Fiorello è acqua chiara, non ha tradito mai nessuno,<br />

gli deve essere successo qualche cosa,» disse la vecchia custode.<br />

«Ah, sì? E che cosa? E perché mi ha dato un numero di telefono falso?<br />

Stai zitta.» Si avvicinò alla ragazza, le prese un braccio. «Tu adesso vieni<br />

con noi e ci insegni la strada.» Si rivolse ai genitori della ragazza. «Se la<br />

volete rivedere viva state qui buoni. Se noi ci salviamo, si salva anche lei.»<br />

Guardò Charlie che si stava asciugando con le dita gli occhi umidi. «Andiamo,<br />

Charlie.»<br />

Charlie bevette, vuotò la bottiglia di whisky, e prese la sua valigia piena di<br />

valuta italiana avvolta nei pigiama, negli slip, nei maglioni e nelle camicie.<br />

«Io non vengo con voi, io ho paura, lasciatemi stare.»<br />

La ragazza si divincolò dalla presa di Gennaro che le teneva un braccio e<br />

frullò via verso i suoi genitori che le si strinsero addosso, in una posa di<br />

protezione che era quasi un affresco, come quelli dipinti sui muri della<br />

villa.<br />

Il viso di Gennaro si scompose tutto nel furore, la morte della figlia gli ribollì<br />

nel sangue come veleno. Era vecchio, ma nessuno ebbe il tempo di<br />

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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


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13. Il forcipe è uno<br />

strumento usato talvolta<br />

durante i parti, quando si<br />

presentano difficoltà nella<br />

nascita, per estrarre il<br />

bambino; il plasma è usato<br />

per le trasfusioni di<br />

sangue, in caso di<br />

emorragia.<br />

3<strong>75</strong><br />

380<br />

385<br />

390<br />

395<br />

400<br />

4<strong>05</strong><br />

410<br />

415<br />

accorgersi di ciò che succedeva. Anche Charlie, solo quando udì la sequenza<br />

di spari, capì che cosa aveva fatto Gennaro, mentre i tre, i custodi<br />

e la loro figlia, non capirono neppure di morire, morirono semplicemente,<br />

senza saperlo.<br />

«Sporche carogne, assassini.»<br />

«<strong>Sei</strong> tu un assassino,» disse Charlie, la voce ingolata di pianto rabbioso.<br />

«Muoviti!» Gennaro gli agitò la rivoltella davanti. «O vuoi star qui ad<br />

aspettare la polizia?»<br />

Charlie resisté alla voglia di sparare lui al vecchio pazzo e uscì per primo<br />

dalla stanza. Uscirono insieme dalla villa, sullo stradone, sotto il sole non<br />

caldo del tardo pomeriggio, ciascuno con la sua valigetta blu scurissimo, in<br />

una specie di foschia data dal polverume pietroso delle falde del Vesuvio,<br />

che il vento quasi freddo diffondeva nell’aria. S’incamminarono, verso<br />

Napoli.<br />

Nel buio totale dello stradone, le due Giuliette, con le mezze luci, fermarono<br />

davanti alla villa. Al volante della prima era Fiorello, che dette il solito,<br />

piccolo colpettino di clacson e scese, quasi rotolò fuori dall’auto. Subito,<br />

subito, subito, risentiva sempre la voce. Era riuscito a farsi rilasciare<br />

dalla polizia stradale solo un’ora prima, ma in un’ora, grazie ai suoi padroni,<br />

aveva trovato le Giuliette e il cavapupi. Chi sa come era arrabbiato<br />

l’americano, doveva ritornare dopo un’ora e arrivava invece con nove ore<br />

di ritardo.<br />

L’altra Giulietta era guidata da quello che Fiorello chiamava il cavapupi,<br />

che scese dall’auto a fatica, data la corpulenza, con una grossa valigia, in<br />

cui vi era tutto quello che poteva occorrere per un parto, fino ai flaconi di<br />

plasma e al forcipe 13 . Era il solito medico quarantenne che ha passato tre<br />

o quattro anni in galera per procurato aborto, se non per omicidio colposo<br />

in seguito alla morte della ragazza che non voleva essere madre.<br />

Corsero tutti e due verso la staccionata, il portello era aperto, il ragazzo<br />

col ciuffo in fondo era contento, aveva fatto quello che doveva fare, anche<br />

se in ritardo, l’americano doveva riconoscerlo. Soltanto, non gli piacque il<br />

buio assoluto della villa, e il silenzio assoluto. Perché stavano così al buio?<br />

La luce dei lumi a petrolio avrebbe dovuto trapelare dalle finestre, così invece<br />

sembrava che non ci fosse nessuno. Entrarono a tentoni, poi il dottore<br />

fece scattare l’accendino: erano in cucina.<br />

«Silvana, Silvana,» disse Fiorello. Nessuno rispose. Chiamava la sua ragazza.<br />

Sul tavolo c’era una candela, il dottore l’accese.<br />

«Silvana, Silvana...»<br />

Continuò a chiamarla, non comprendendo come mai nella villa non ci<br />

fosse più nessuno, finché, entrando nella camera vicina, non la vide ammucchiata<br />

a terra insieme con la madre e il padre, in un ricamo di macchie<br />

di sangue che decorava il volto e gli abiti di tutti e tre, alla viva, lunga, fumosa<br />

fiamma della candela che il dottore teneva alta.<br />

«Dottore, che cosa è?» il ciuffo gli ondeggiò sulla fronte, vedeva che cosa<br />

era ma non riusciva ancora a capire, a crederlo.<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


420<br />

425<br />

430<br />

435<br />

«Li hanno sparati,» disse il dottore, in grasso napoletano.<br />

Fissò la candela al tavolo e andò vicino al letto, sollevò il lenzuolo che copriva<br />

il viso di Tina, posò una mano sulla fronte di lei, sollevò tutta la coperta<br />

e vide la pozza di sangue. Non avrebbe avuto più da cavare nessun<br />

pupo. Poi si volse subito a quei sordi tonfi e vide Fiorello che stava sbattendo<br />

la testa contro il muro con tutta la sua forza. Gli saltò addosso e lo<br />

trattenne.<br />

«Lasciatemi fare, dotto’, che volete che faccia d’altro, adesso? Lasciatemi<br />

fare.»<br />

L’indomani, nel tardo pomeriggio, un quotidiano riportò per primo la notizia:<br />

Ieri sera, negli uffici delle comunicazioni intercontinentali della SET, sono<br />

stati arrestati due pericolosi banditi italo-americani che avevano chiesto una comunicazione<br />

con New York. Il loro atteggiamento aveva messo in sospetto l’agente<br />

di P.S. Andrea Salapanti che aveva chiesto loro i documenti. Uno dei due<br />

banditi, allora, il più anziano, ha subito sparato, ma l’agente Salapanti è riuscito<br />

a evitare il colpo e a sparare a sua volta ferendolo lievemente, riducendolo all’impotenza.<br />

L’altro, il più giovane, non ha opposto alcuna resistenza. In seconda <strong>pag</strong>ina<br />

i particolari...<br />

Villa della disperazione, in Il centodelitti, Garzanti, Milano 1970<br />

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V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010


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STRUMENTI DI LETTURA<br />

La storia<br />

Una serie di banali contrattempi<br />

– un 5 al posto di un 6, un bambino<br />

che cade dalla bici – scatenano un massacro.<br />

Siamo a Napoli e due gangster italoamericani<br />

venuti da New York per sistemare<br />

certe faccende oppongono ai<br />

ritmi blandi e caserecci della malavita nostrana<br />

una spietata ferocia criminale. Il<br />

racconto, d’intonazione tipicamente noir,<br />

ha la caratteristica di essere ambientato<br />

completamente nell’universo squallido e<br />

crudele della malavita, con l’esclusione di<br />

qualsiasi personaggio “positivo”.<br />

I personaggi<br />

Gennaro, un gangster italoamericano<br />

folle e spietato, sentendosi<br />

preso in trappola a causa di un equivoco,<br />

massacra un’intera famiglia. La tragedia è<br />

resa ancora più sinistra dalla presenza di<br />

Tina, una giovane donna incinta trascinata<br />

suo malgrado in questa vicenda allucinante<br />

dalla follia paterna. Charlie,<br />

complice e genero di Gennaro, si rende<br />

perfettamente conto della pazzia del suocero<br />

ma non può che assistere impotente<br />

al precipitare degli eventi verso il tragico<br />

finale. Scerbanenco ha sempre prestato<br />

particolare attenzione alla psicologia dei<br />

personaggi, anche quando si tratta di criminali,<br />

descrivendoli con acume e partecipazione<br />

in tutti i loro risvolti, dai più<br />

umani ai più efferati.<br />

Il tempo<br />

Il racconto è costruito mediante<br />

il montaggio di due tempi diffe-<br />

V. Jacomuzzi, R. Miliani, F.R. Sauro, Trame - Dalla comprensione del testo alla scrittura © SEI 2010<br />

renti, quello “dentro” la villa e quello<br />

“fuori”. Nel tempo di “fuori” il giovane<br />

Fiorello annaspa freneticamente per compiere<br />

il suo incarico, in quello di “dentro”<br />

la tensione aumenta in un crescendo parossistico.<br />

Sono due dimensioni temporali<br />

non comunicanti, e soltanto al lettore è<br />

dato di percepirne la giustapposizione,<br />

che genera una forte carica di suspense.<br />

La banalità dei disguidi all’origine del<br />

massacro stride con il clima di cupa angoscia<br />

e di tensione che regna all’interno<br />

della villa.<br />

Lo spazio<br />

A un tempo di “dentro” e un<br />

tempo di “fuori” corrispondono altrettante<br />

dimensioni spaziali. Benché la storia<br />

sia ambientata presso Napoli, “fuori” fa<br />

freddo e tira vento. “Dentro”, nel chiuso<br />

di una fatiscente villa settecentesca in attesa<br />

di restauri, il luogo appare oscuro e<br />

minaccioso, e man mano si trasformerà in<br />

uno spazio claustrofobico e ossessivo, un<br />

teatro di morte.<br />

Le tecniche<br />

narrative<br />

Prevale il dialogo diretto, insistito e martellante,<br />

fatto per lo più di domande seccamente<br />

perentorie e risposte ossequienti<br />

o imbarazzate. Il ritmo incalzante e dinamico<br />

della narrazione contrasta con l’atmosfera<br />

del racconto, sostanzialmente<br />

“nera” e immobile. L’unico svolgimento<br />

riguarda il lettore, al quale Scerbanenco,<br />

con un sapiente uso della dilazione, somministra<br />

la realtà dei fatti a piccole dosi,<br />

poco per volta.


1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

<strong>75</strong><br />

DOMANDE DI VERIFICA<br />

Dalle azioni compiute nel corso del racconto, ritieni che il ragazzo napoletano messo dagli ‘amici’ a disposizione<br />

dei boss newyorkesi sia:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

incapace di eseguire i compiti che gli sono stati affidati<br />

troppo emotivo per mantenere la calma in una situazione di pericolo<br />

troppo innamorato per essere obiettivo nelle decisioni<br />

succube senza capacità di reazione rispetto ai gangster<br />

Servendoti di tutto quanto puoi ricavare dal testo nel suo complesso, che cosa rivela del personaggio l’affermazione<br />

che “Gennaro risolveva tutto sparando. Anche quando parlava senza puntare la rivoltella era<br />

implicito che se qualcuno non fosse stato del suo parere, avrebbe sparato”?<br />

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Nel corso della narrazione uno degli episodi più drammatici e violenti è quello della morte di Tina. Quali<br />

aspetti la rendono particolarmente cruda, sia a livello descrittivo, sia di significato?<br />

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L’ambientazione della villa risulta così fatiscente perché:<br />

a<br />

b<br />

c<br />

d<br />

intende conferire al racconto un’atmosfera di paura<br />

costituisce uno spazio chiuso e separato rispetto all’esterno in cui si trova la minaccia della polizia<br />

fa intendere che altrettanto traballante è l’agire dei gangster, solo apparentemente minacciosi<br />

diventa uno spazio simbolico della rovina che incombe su tutti i personaggi del racconto<br />

Nella fiducia data e tradita risiede uno degli aspetti fondamentali del racconto. Facendo riferimento a tutti<br />

gli elementi che ritieni necessari, prova a descrivere in quale modo viene vissuto questo legame dai personaggi<br />

della storia.<br />

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Provando a riflettere sul racconto nel suo complesso, trovi che la conclusione sia significativa e adeguata<br />

a esplicitare il senso della vicenda narrata? Giustifica, argomentandola, la tua risposta.<br />

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