Rocca di Giugno 2007 - La Rocca - il giornale di Sant'Agata Feltria ...
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<strong>La</strong> <strong>Rocca</strong><br />
erano esattamente le ore 9,30 del<br />
19 luglio, quando Decio Raggi<br />
affrontava con i suoi leoni <strong>di</strong> Romagna<br />
la sorte avversa.<br />
Già <strong>il</strong> 2 luglio Decio a Capriva aveva<br />
chiamato vicino i due compagni d’armi<br />
savignanesi Flavio Docci, suo cugino, e<br />
Romolo Zolini, suo amico. Alla presenza<br />
dei due soldati scriveva <strong>il</strong> testamento<br />
eroico. “Mentre la venerata maestà <strong>di</strong><br />
Vittorio Emanuele III con animo paterno<br />
pensa a unire tutta la nostra gente in<br />
una sola famiglia entro i naturali confini,<br />
da Capriva <strong>il</strong> 2 luglio faccio noto<br />
ai miei cari queste ultime volontà. O<br />
gioventù italiana, invi<strong>di</strong>a la mia sorte<br />
fortunata. Nel nome santo <strong>di</strong> Dio e nella<br />
speranza <strong>di</strong> una vita migliore, per la<br />
grandezza, per l’unità e per l’amore della<br />
Patria, per la libertà e l’in<strong>di</strong>pendenza dei<br />
fratelli oppressi, nel nome santo d’Italia,<br />
nell’amore e per l’amore <strong>di</strong> tutto ciò che<br />
è italiano, io muoio beato. Né le fatiche,<br />
né i <strong>di</strong>sagi, né i pericoli, né la fame, né<br />
la sete, né le veglie hanno mai scosso la<br />
mia fede nelle nostre giuste aspirazioni<br />
nazionali, l’amore agli italiani oppressi,<br />
l’o<strong>di</strong>o contro i vecchi tiranni nostri oppressori.<br />
Quin<strong>di</strong> voi che mi volete bene<br />
non abbandonatevi a inut<strong>il</strong>i rimpianti,<br />
ma coltivate l’amore per me, come<br />
l’animo mio si nutrirà ancora <strong>di</strong> un tale<br />
amore per voi. Chiedo perdono a tutti<br />
coloro cui feci del male, come io lo concedo<br />
a chi potè farmene. (…). Se <strong>il</strong> mio<br />
attendente adempirà all’incarico affidatogli<br />
a portare fuori dal campo <strong>di</strong> battaglia<br />
<strong>il</strong> mio corpo morto o moribondo<br />
– sì che io non resti in mano del nemico<br />
– si abbia una giusta regalia per la sua fedeltà.<br />
Il mio corpo, se è possib<strong>il</strong>e, riposi<br />
nel mio paese presso gli altri miei cari.<br />
Date pure fiori a chi morì per la Patria,<br />
Decio Raggi”.<br />
Dopo la sosta a Capriva tornò coi suoi<br />
soldati lassù nella bufera <strong>di</strong> fuoco e <strong>di</strong><br />
sangue.<br />
Alcuni giorni prima <strong>di</strong> essere mortalmente<br />
ferito scriveva a casa: “Le palle mi<br />
hanno spesso fischiato a pochi centimetri,<br />
ma sono sempre incolume. Si vede<br />
STORIA<br />
decio Raggi<br />
(seconda parte)<br />
che qualche santo mi assiste”.<br />
Queste furono le ultime righe dell’ultima<br />
lettera.<br />
Alle ore 9,30 precise gli fu comunicato<br />
l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> assalto. Il rischio era estremamente<br />
grave. Il reticolato davanti<br />
all’eroe cedette, s’afflosciò come una<br />
tela <strong>di</strong> ragno sotto un colpo <strong>di</strong> scopa. Il<br />
tenete gridò ai suoi fedeli: “Avanti, Romagna!<br />
Avanti!”<br />
Una pioggia <strong>di</strong> fuoco, una gran<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
ferro in fiamme s’abbatté sulle chine,<br />
sulle valli, sulle trincee. Tutte le furie si<br />
scatenarono in bagliori abbacinanti, in<br />
boati <strong>di</strong> vulcani e rombi <strong>di</strong> folgori sulle<br />
teste degli audaci che salivano sulle rocce<br />
e sui <strong>di</strong>rupi rossi, dalle trincee.<br />
Il tenente Raggi, che aveva <strong>il</strong> comando<br />
nelle veci del capitano in licenza, cadde<br />
riverso con la fronte rivolta alla vetta; e<br />
in breve, dopo la seconda ferita mortale,<br />
si trovò insanguinato nel caldo bagno<br />
rosso, immoto e quasi senza respiro e<br />
senza battito. Una, due pallottole <strong>di</strong> mitraglia<br />
erano penetrate nel petto giovane<br />
e forte del grande soldato <strong>di</strong> Romagna<br />
e d’Italia.<br />
Più morto che vivo, fu trasportato nell’Ospedale<br />
da Campo 024 <strong>di</strong> Cormons.<br />
Questo ospedale era una casa <strong>di</strong> dolore<br />
in tumulto. Tutte le mattine si arrivava e<br />
si partiva, o per <strong>il</strong> Regno dei Cieli o per<br />
gli ospedali delle retrovie.<br />
C’era chi urlava, chi pregava, chi moriva.<br />
Decio vedeva e intendeva tutto,<br />
comprendeva nel suo cuore grande <strong>il</strong><br />
dolore immenso <strong>di</strong> tutti i presenti, <strong>di</strong><br />
tutti i lontani. Padre Pietro corse subito<br />
al letto <strong>di</strong> Decio, che era in attesa del<br />
Viatico, e che tentava con supremo sforzo<br />
<strong>di</strong> volontà <strong>di</strong> sollevarsi a sedere sulla<br />
branda.<br />
Guardando intorno gli altri ufficiali feriti<br />
e ai presenti, Decio <strong>di</strong>ede l’ultimo<br />
comando: “Signori ufficiali, sull’attenti!<br />
Entra <strong>il</strong> Viatico”. Un s<strong>il</strong>enzio solenne e<br />
sacro regnò per un momento nella corsia<br />
dolente. Al ferito che <strong>di</strong> istante in istante<br />
s’aggravava, Padre Pietro pensò <strong>di</strong><br />
amministrare l’Estrema Unzione. Decio<br />
ebbe ancora un momento lucido e fiero;<br />
6<br />
Maggio/<strong>Giugno</strong> <strong>2007</strong><br />
chiese al cappellano <strong>di</strong> aprire la sua cassetta<br />
d’or<strong>di</strong>nanza: “Guardate, gli <strong>di</strong>sse,<br />
ci deve essere in fondo l’abitino <strong>di</strong> terziario<br />
francescano, mettetemelo al collo<br />
prima <strong>di</strong> darmi l’Olio Santo e quando<br />
sarò morto scrivete alla mia mamma accennando<br />
a questo. Sarà contenta”.<br />
Ricevuta l’Estrema Unzione, pregò a<br />
lungo con assorta e commossa fede insieme<br />
al Cappellano. Erano le ore 10<br />
del 24 luglio 1915 quando Decio Raggi<br />
posò gli occhi sul Crocefisso che stringeva<br />
nella mano destra, poi si adagiò e<br />
si <strong>di</strong>spose a dormire <strong>il</strong> grande sonno, in<br />
seno al Padre nostro che è nei cieli.<br />
Nella pace solenne e sacra del piccolo<br />
cimitero, poco più grande <strong>di</strong> un’aiuola,<br />
dove dormono nella pace <strong>di</strong> Cristo,<br />
i suoi cari, anch’egli volle <strong>il</strong> suo riposo<br />
<strong>di</strong> pace per <strong>il</strong> suo corpo mortale. Decio<br />
è tornato con la salma colpita a morte,<br />
ma invitta, sulle sue montagne.<br />
Prima <strong>di</strong> appuntare sul petto <strong>di</strong> mamma<br />
Giovanna la medaglia d’oro, <strong>il</strong> Generale<br />
Crispo lesse la pagina storica e, fattosi<br />
forza, <strong>di</strong>sse in st<strong>il</strong>e m<strong>il</strong>itare parole in forma<br />
rude, ma piene <strong>di</strong> comprensione e<br />
d’affetto. “Questa medaglia che luccica<br />
del sangue del vostro sangue vale più <strong>di</strong><br />
una pergamena <strong>di</strong> nob<strong>il</strong>tà, e sarà un prezioso<br />
ricordo che vale a rendere benemerita<br />
della Patria una famiglia intera.<br />
Permettete, signora Raggi, che io deponga<br />
sulla vostra mano quel bacio che<br />
l’Esercito Italiano vorrebbe posare sulla<br />
fronte <strong>di</strong> Decio Raggi, che, figlio della<br />
forte e generosa Romagna, ha saputo<br />
mostrare come si coltivino gli affetti sacri<br />
per la Patria e come per essa si sappia<br />
dare la vita”.<br />
Amedeo Varotti<br />
Nota:<br />
Pensieri e dati biografici da autori vari e<br />
particolarmente da: Manoscritto ine<strong>di</strong>to<br />
<strong>di</strong> Marco Mainar<strong>di</strong> dal titolo: “<strong>La</strong> bufera<br />
<strong>di</strong> fuoco e <strong>di</strong> sangue sul Podgora nell’estate<br />
eroica del 1915”.<br />
Riduzione del testo<br />
del maestro Varotti<br />
a cura <strong>di</strong> Enzo Liverani