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Panorami e personaggi così vicendevolmente immedesimati da formare<br />
una cosa sola: il vero volto <strong>del</strong> paese, la sua anima più genuina.<br />
Chiamato dunque ad andare a ritroso nel tempo per un arco di oltre<br />
cinquanta anni, ho riaperto un piccolo spiraglio <strong>del</strong>la memoria, e subito<br />
la mente si è popolata di volti di voci e di nomi.<br />
E come per incanto, mi sono ritrovato nei luoghi e tra la gente <strong>del</strong>la<br />
mia adolescenza. Ho rivisto le strade <strong>del</strong> paese, polverose d’estate e cosparse<br />
di pozzanghere d’inverno. Ci piaceva percorrerle a piedi scalzi ai primi tepori<br />
d’aprile, quando insistevamo con le nostre mamme per avere il permesso<br />
di toglierci le scarpe (anche se, ad onor <strong>del</strong> vero, si può affermare<br />
che non erano molti quelli che le avevano).<br />
E che frenesia per noi ragazzi andare in Chiesa il Venerdì Santo, muniti<br />
di robusti bastoni per battere Barabba. <strong>La</strong> stessa sera ci godevamo<br />
poi lo spettacolo <strong>del</strong> rituale falò acceso dai contadini di Soriasco, nella tradizione<br />
dei fuochi di Pasqua. Nelle sere di maggio molti fe<strong>del</strong>i si radunavano<br />
in Chiesa per la funzione mariana. Le donne in particolare recitavano<br />
il Rosario con devozione, ma per noi ragazzi era solo una occasione per ritrovarci<br />
insieme. A volte non riuscivamo a frenare le intemperanze dei<br />
nostri anni verdi, ma a ciò provvedeva Don Innocenzo, che con estrema<br />
noncuranza (e senza interrompere la recita <strong>del</strong> Rosario) si aggirava tra i<br />
banchi distribuendo bacchettate a destra e a sinistra.<br />
Quando arrivava il tempo <strong>del</strong>la mietitura ci portavamo lungo la strada<br />
per Begoglio, costeggiata da entrambi i lati da lunghi filari di gelsi.<br />
Era l’occasione giusta per assaporarne i frutti; che venivano a maturazione<br />
proprio in quel periodo. <strong>La</strong> zona <strong>del</strong> Giaron era intensamente coltivata<br />
a grano, e noi dai bordi <strong>del</strong>la strada guardavamo i mietitori al lavoro in<br />
mezzo ai campi, riarsi dal sole e fiammeggianti di papaveri.<br />
Di tanto in tanto una donna arrivava con un secchio dalla cascina, ed<br />
essi interrompevano un istante la loro estenuante fatica per dissetarsi all’ombra<br />
dei gelsi con una sco<strong>del</strong>la di vino annacquato.<br />
Ma la vera festa coincideva con la trebbiatura <strong>del</strong> grano sull’aia dei Fugazza.<br />
I movimenti cadenzati <strong>del</strong>la pressa <strong>del</strong>la paglia, la lunga cinghia<br />
di trasmissione che collegava la trebbiatrice col trattore e tutti i meccanismi<br />
<strong>del</strong>la “machina dä batt” esercitavano su noi ragazzi un fascino irresistibile,<br />
e così noi indugiavamo estasiati a goderci per ore lo spettacolo, pur<br />
tra il gran polverone e l’acre odore <strong>del</strong>la pula di frumento.<br />
In quei pomeriggi, quando la campagna piombava in un silenzio pie-<br />
20 “<strong>Quelli</strong> <strong>del</strong> Ciclo”