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00 - Copertina n. 9-2008.indd - Centro Studi Lavoro e Previdenza

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il Giurista del <strong>Lavoro</strong><br />

M e n s i l e d i a p p r o f o n d i m e n t o g i u r i d i c o , f i s c a l e , p r e v i d e n z i a l e e a s s i c u r a t i v o i n m a t e r i a d i l a v o r o<br />

Sommario<br />

9 2<br />

0 0 8<br />

L’utilizzabilità delle prove acquisite<br />

a sostegno del licenziamento<br />

disciplinare<br />

L’ontologico conflitto tra esercizio del<br />

potere datoriale (e del giudice) e diritto<br />

alla riservatezza del lavoratore<br />

di Daniele Iarussi 2<br />

Il licenziamento motivato da<br />

finalità di riduzione dei costi<br />

di Pietro Scudeller 17<br />

L’impugnazione della cartella<br />

di pagamento per i contributi<br />

Inps<br />

di Sergio Mogorovich 22<br />

Il confine fra trasferta “strutturale”<br />

e “occasionale”<br />

Osservazioni a Min. Lav. 20 giugno<br />

2<strong>00</strong>8<br />

di Paolo Cuzzelli 26<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

Approfondimenti su sentenze di particolare<br />

interesse<br />

a cura di Romina Dalzini 29<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

Rapida panoramica delle ultime pronunce<br />

della Suprema Corte<br />

a cura di Romina Dalzini 34


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

L’utilizzabilità delle prove acquisite<br />

a sostegno del licenziamento disciplinare<br />

L’ontologico conflitto tra esercizio del potere datoriale (e del giudice)<br />

e diritto alla riservatezza del lavoratore<br />

DANIELE IARUSSI<br />

Tribunale Torino, 28 settembre 2<strong>00</strong>7, n. 4885 - Est. Ciocchetti - E.C. c. Fiat Auto Financial Services spa<br />

Licenziamento disciplinare - Acquisizione ex art. 421 c.p.c. tabulati telefonici - Diritto alla riservatezza lavoratore - Decadenza e<br />

rinuncia - Art. 1175 c.c. - Disapplicazione provvedimento Garante privacy - Utilizzabilità in giudizio delle prove illecitamente acquisite<br />

- Controlli difensivi datoriali - Diritto alla riservatezza ed abuso del diritto di difesa<br />

La giurisdizione, per le finalità istituzionali che persegue e per la rilevanza costituzionale che le attribuisce la Carta<br />

Costituzionale, si colloca in un ambito tale da rendere ad essa inapplicabili i vincoli e limiti previsti da numerose<br />

e qualificanti disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196),<br />

le quali non hanno né possono avere come destinatario il giudice, sotto pena di veder vanificato l’accertamento<br />

processuale e frustrate le esigenze di giustizia cui esso mira.<br />

(Omissis)<br />

Le prove offerte dal datore di lavoro, a sostegno dell’intimato licenziamento del lavoratore, consistenti nei tabulati<br />

telefonici analitici riferiti al telefonino aziendale sono utilizzabili in quanto si collocano nell’ambito di situazioni<br />

che prescindono dal consenso dell’interessato ovvero nell’ambito dei c.d. “controlli difensivi” datoriali, ammessi e<br />

ritenuti legittimi dalla giurisprudenza, o comunque per non essere la privacy del prestatore di ostacolo all’accertamento<br />

giudiziale, sulla scorta della disciplina processuale vigente, cui il Codice della privacy rinvia.<br />

1. Il Tribunale premesso:<br />

(Omissis)<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

- che il ricorrente - già dipendente di Fiat Sava spa dal settembre 2<strong>00</strong>1, con mansioni di responsabile di settore<br />

legale recupero crediti e inquadramento al 7° livello del CCNL industria metalmeccanica, licenziato per giusta causa<br />

con lettera del 08.03.2<strong>00</strong>6, in relazione alla contestazione d’addebito 28.02.2<strong>00</strong>6 - impugna il recesso datoriale in<br />

riferimento ai seguenti specifici profili:<br />

a) carattere ritorsivo e ingiurioso di esso,<br />

b) tardività dell’addebito, con conseguente contrarietà al canone di buona fede e violazione del diritto di difesa,<br />

c) mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione, atteso (quanto all’addebito su telefonate e sms) l’affidamento<br />

suscitato nel lavoratore e la tenuità del danno dal medesimo cagionato nonché (quanto all’addebito relativo ai<br />

files presenti sul pc portatile) l’inutilizzabilità delle prove invocate dal datore,<br />

2


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

onde chiede di essere reintegrato nel proprio posto di lavoro, con tutte le conseguenze di legge;<br />

Approfondimenti<br />

- che parte convenuta, nel domandare pronuncia assolutoria, contesta specificamente tutti gli assunti contenuti<br />

in ricorso;<br />

- che con ordinanza 16.04.2<strong>00</strong>7 il giudice acquisisce, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., i tabulati analitici TIM relativi all’utenza<br />

del telefonino aziendale assegnato al lavoratore e al periodo oggetto di causa (giugno-novembre 2<strong>00</strong>5);<br />

- che il ricorrente formula opposizione a tale acquisizione, attesa la genericità della contestazione d’addebito, l’intervenuta<br />

decadenza del datore dall’onere della prova ex art. 5 della legge n. 604/66, la contrarietà del provvedimento<br />

alla legge (art. 132 D.Lgs. n. 196/03; art. 15 direttiva UE 2<strong>00</strong>2/58; artt. 1 e 13 direttiva UE 2<strong>00</strong>6/24);<br />

- che il giudice ribadisce la propria precedente ordinanza, tenuto conto dell’art. 24, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 196/03,<br />

peraltro con riserva al definitivo di valutare le specifiche ragioni di opposizione prospettate dal ricorrente;<br />

- che all’udienza del 17.05.2<strong>00</strong>7 il ricorrente produce nota del Segretario generale del Garante della privacy del<br />

16.05.2<strong>00</strong>7, all’esito del reclamo 18.04.2<strong>00</strong>7 proposto dal ricorrente ex art. 142 del Codice della privacy nei<br />

confronti della convenuta, con richiesta di vietare l’illegittimo trattamento dei dati relativi al traffico telefonico<br />

comunicati dal gestore a questo ufficio;<br />

- che a tale udienza chiede altresì la cancellazione delle e-mail di trasmissione a questo ufficio dei citati tabulati<br />

telefonici da parte del gestore telefonico, per violazione degli artt. 132 e 123 del Codice della privacy, nonché la<br />

declaratoria di inutilizzabilità di tali dati a fini probatori, ai sensi dell’art. 160, ultimo comma, di tale Codice;<br />

- che il giudice, nel riconfermare la propria ordinanza 16.04.2<strong>00</strong>7, invita quindi entrambe le parti in causa a depositare<br />

breve nota, onde dar conto delle risultanze complessive emergenti dai tabulati telefonici acquisiti, con<br />

analisi puntuale e a campione di singole giornate, rappresentate dai giovedì di ciascuna settimana dal periodo<br />

oggetto del giudizio;<br />

- che parte convenuta deposita in cancelleria in data 14.06.2<strong>00</strong>7 la propria nota;<br />

- che il ricorrente non vi provvede e riconferma la propria eccezione di inutilizzabilità dei dati provenienti dal<br />

gestore telefonico, già formulata all’udienza del 17.05.2<strong>00</strong>7;<br />

- che il giudice acquisisce, infine ai sensi dell’art. 421 c.p.c., la registrazione (e relativa trascrizione) effettuata<br />

dal ricorrente con riferimento alla conversazione telefonica in viva voce avvenuta il 07.03.2<strong>00</strong>6 e menzionata in<br />

ricorso;<br />

ciò premesso in ordine all’oggetto della controversia e allo svolgimento del processo, il Tribunale osservava quanto<br />

segue all’esito dell’istruttoria esperita e della successiva discussione orale della causa<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

2. La prima questione che in ordine logico deve essere affrontata concerne la doglianza prospettata dal ricorrente<br />

in riferimento all’ordinanza 16.04.2<strong>00</strong>7, pronunciata dal giudice ai sensi dell’art. 421 c.p.c., di acquisizione dei<br />

tabulati analitici TIM relativi all’utenza del telefonino aziendale assegnato al lavoratore e al periodo giugno-novembre<br />

2<strong>00</strong>5.<br />

Essa muove da un triplice ordine di considerazioni:<br />

α) genericità della contestazione d’addebito;<br />

β) intervenuta decadenza del datore all’onere della prova ex art. 5 della legge n. 604/66;<br />

γ) contrarietà del provvedimento alla legge e in particolare:<br />

- agli artt. 123 (Dati relativi al traffico) e 132 (Conservazione di dati di traffico per altre finalità) del decreto<br />

legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali),<br />

- all’art. 15 della direttiva UE 2<strong>00</strong>2/58 (Direttiva relativa al trattamento dei dati personali),<br />

3


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

- agli artt. 1 e 13 della direttiva UE 2<strong>00</strong>6/24 (Direttiva riguardante la conservazione dei dati generati o trattati<br />

nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica).<br />

Il rilievo sub α) è privo di fondamento.<br />

In proposito è sufficiente osservare che l’addebito relativo all’utilizzo abusivo del telefonino aziendale contenuto<br />

nella lettera 28.02.2<strong>00</strong>6 è specifico e puntuale sia in riferimento alla situazione anomala lamentata sia in ordine<br />

al periodo preso in considerazione (giugno-novembre 2<strong>00</strong>5), come si evidenzia del resto dal prospetto allegato a<br />

tale lettera, contenente la distribuzione temporale di Sms e di telefonate.<br />

Quanto poi al profilo sub β) va osservato che la convenuta ha già prodotto in allegato alla propria memoria un<br />

tabulato telefonico, peraltro con numeri del destinatario della chiamata parzialmente criptati, onde quello acquisito<br />

d’ufficio dal Tribunale è semplicemente destinato a consentire un migliore apprezzamento della situazione dallo<br />

stesso emergente; e ciò nel rispetto dell’onere della prova che, in ipotesi di recesso disciplinare, incombe per legge<br />

sul datore.<br />

In riferimento infine al rilievo sub γ) il Tribunale osserva quanto segue.<br />

I tabulati telefonici acquisiti in corso di causa ex art. 421 c.p.c. concernono un telefonino di proprietà della convenuta,<br />

la quale ne è l’abbonato, titolare cioè della relativa utenza, avendo stipulato con fornitore di servizi telefonici<br />

accessibili al pubblico un apposito contratto; il ricorrente non è parte in senso formale di tale contratto né quindi<br />

abbonato, ma utente di tale telefonino, per decisione della convenuta, la quale glielo ha assegnato affinché se ne<br />

serva per ragioni di lavoro e cioè per l’espletamento della prestazione ex art. 2094 c.c.<br />

Secondo la prassi in atto presso la resistente è peraltro consentito ai dipendenti assegnatari di telefonino aziendale<br />

di utilizzarlo, all’occorrenza, per ragioni estranee al facere lavorativo, con obbligo in tal caso di digitare il prefisso<br />

46, che comporta l’addebito del relativo costo, anziché all’azienda, direttamente sul conto corrente del lavoratore,<br />

il cui numero viene comunicato dal medesimo al gestore telefonico.<br />

Il datore consente altresì ai dipendenti di effettuare con il telefonino aziendale Sms (o Mms) per ragioni extra-lavorative,<br />

ma in tal caso i medesimi sono tenuti ad effettuare specifica e periodica segnalazione alla convenuta, per il<br />

relativo addebito, non essendo tecnicamente possibile digitare il prefisso 46 per tale tipologia di comunicazione.<br />

Dal momento che la convenuta è l’abbonato dell’utenza del telefonino dato in dotazione al ricorrente, la medesima<br />

ha legittimamente chiesto ed ottenuto dal gestore telefonico Tim, che li ha in carico, i tabulati del periodo<br />

oggetto di causa e a cui si riferisce la contestazione d’addebito (giugno-novembre 2<strong>00</strong>5), nei quali le ultime tre cifre<br />

dei numeri chiamati risultano però criptati, in conformità con quanto previsto dall’art. 5, comma 3, del decreto<br />

legislativo 13 maggio 1988 n. 171, e ora, a seguito del riordino della materia, dall’art. 124, comma 4, del decreto<br />

legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196 per ragioni che sono state individuate sia nell’esigenza di ridurre il numero di<br />

delicate informazioni in circolazione sia nel possibile interesse alla privacy della chiamata effettuata dal chiamante,<br />

quando questi sia soggetto diverso dall’abbonato. Tale ultimo articolo e comma - recependo precedenti decisioni<br />

del Garante per la protezione dei dati personali in ordine al diritto di accesso ai propri dati da parte dell’abbonato<br />

- prevede peraltro il diritto di quest’ultimo di chiedere al gestore telefonico i numeri chiamati in forma “completa”<br />

con la sola limitazione rappresentata dal dover essere essa relativa a “periodi limitati”. In riferimento a tale ipotesi<br />

e richiesta il Garante aveva già precisato, prima del riordino della normativa da parte del decreto legislativo 30<br />

giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196 - e cioè sotto il vigore dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 13 maggio 1998, n. 171,<br />

che prevedeva sui tabulati comunicati all’abbonato il mascheramento delle ultime tre cifre dei numeri chiamati, e<br />

dell’art. 13 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 che sanciva il diritto del medesimo di accesso ai propri dati - che<br />

“l’abbonato non è tenuto a fornire alcuna particolare motivazione per richiedere “in chiaro” i numeri chiamati e<br />

può rivolgersi al gestore telefonico con una procedura informale”. Tale precisazione deve ritenersi del tutto attuale<br />

anche in riferimento al testo normativo oggi in vigore, dal momento che esso, nel sancire il diritto dell’abbonato<br />

alla completezza dei numeri chiamati, esige ora - unicamente e restrittivamente, rispetto alla prassi antecedente<br />

imposta dal Garante - che la richiesta abbia ad oggetto un arco temporale limitato.<br />

4


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

Ciò premesso, il ricorrente non ha quindi alcuna ragione per dolersi dell’acquisizione dei tabulati telefonici disposta dal<br />

Tribunale, nella parte in cui essi riportano dati completi delle utenze chiamate, che la convenuta in qualità di abbonato,<br />

avrebbe potuto direttamente chiedere al gestore telefonico, essendo essi relativi a limitato periodo di tempo.<br />

Il diritto alla tutela della privacy che il ricorrente può legittimamente vantare, in riferimento a tali tabulati, risulta<br />

conseguentemente circoscritto e confinato alle sole comunicazioni per le quali egli ha anteposto il prefisso 46 o<br />

agli Sms dal medesimo dichiarati e qualificati all’epoca come extra-lavorativi, con apposita doverosa segnalazione<br />

alla resistente. Va però detto che le comunicazioni effettuate dal lavoratore premettendo il prefisso 46 sono prive<br />

di reale interesse per la causa, comparendo del resto non nella fatturazione a carico della convenuta, ma in quella<br />

a carico del ricorrente; quanto poi agli Sms, si deve osservare che il sig. E. non ne ha segnalato alcuno al datore,<br />

per l’addebito personale, dei numerosissimi effettuati nel periodo oggetto di contestazione disciplinare, o quanto<br />

meno non ha provato di averlo fatto, onde essi devono ritenersi tutti inerenti all’attività lavorativa.<br />

Sull’oggetto reale della causa e dell’accertamento giudiziale, rappresentato dalle telefonate prive del prefisso 46 e da<br />

tutti gli Sms effettuati nel periodo, il ricorrente non può pertanto vantare alcun diritto alla riservatezza, trattandosi<br />

per sua stessa ammissione di comunicazioni afferenti il facere lavorativo.<br />

Se poi così non è - e cioè se una parte di quelle telefonate e una parte degli Sms sono in realtà estranei al rapporto<br />

di lavoro, pur avendo il ricorrente dichiarato e fatto risultare l’esatto contrario - non per questo gli è consentito di<br />

invocare il diritto alla privacy, che sarebbe non già la tutela di un diritto costituzionale, ma diverrebbe la tutela dell’abuso,<br />

destinata ad impedire i controlli - essi si legittimi - del datore di lavoro su telefonate e Sms del cui costo si è<br />

fatto economicamente carico (o meglio, ha dovuto farsi carico) per fatto imputabile esclusivamente al dipendente.<br />

Il ricorrente va conseguentemente dichiarato decaduto dal diritto alla privacy vantato, per il divieto - argomentabile<br />

e desumibile dall’art. 1175 c.c. - di venire contra factum proprium, il quale esclude la tutela giuridica quando essa<br />

si correli a pregresso comportamento antidoveroso in antecedenza tenuto da colui che la richiede.<br />

A prescindere dai ristretti ambiti in cui il ricorrente potrebbe, in questa sede, far valere il proprio diritto alla privacy,<br />

destinati come tali ad avere un’incidenza pressoché nulla sulla vicenda e sull’accertamento oggetto di causa, va<br />

comunque osservato che nel caso qui in discussione del tutto legittimamente il Tribunale ha chiesto e ottenuto dal<br />

gestore telefonico, in forza degli ampi poteri istruttori previsto dal 2° comma dell’art. 421 c.p.c. i tabulati integrali<br />

relativi al telefonino aziendale in dotazione dal ricorrente e al periodo giugno-novembre 2<strong>00</strong>5, non potendosi<br />

ravvisare alcun ostacolo normativo nel decreto legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196.<br />

Il comma 1, lett. f), dell’art. 24 (Casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso) di tale decreto<br />

stabilisce innanzi tutto che “il consenso non è richiesto … quando il trattamento … è necessario … per far valere o<br />

difendere un diritto in sede giudiziaria”. In tal caso, che è quello di causa, si può pertanto prescindere dal consenso<br />

dell’interessato o degli interessati.<br />

Ragionare diversamente significherebbe, del resto, impedire alla convenuta di poter assolvere all’onere della prova<br />

che le incombe e quindi di difendersi, in contrasto con l’art. 24 Cost. ed il principio di inviolabilità che esso sancisce.<br />

Né ad una diversa conclusione può pervenirsi in base a quanto previsto dall’art. 132 (Conservazione dei dati<br />

per altre finalità) del decreto legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196, come invece pare suggerire la nota del Segretario<br />

generale del Garante della privacy 16.05.2<strong>00</strong>7 acquisita in corso di giudizio.<br />

Tale norma ha infatti come destinatari i gestori telefonici, disciplinando gli ambiti territoriali in cui i medesimi<br />

sono tenuti a conservare i dati del traffico telefonico, ai fini dell’accertamento e repressione dei reati, e pertanto<br />

è fatto loro divieto di procedere alla cancellazione ex art. 123, commi 1, 2, 3 e 5, del Codice della privacy, in<br />

quanto non più necessari ai fini della comunicazione elettronica, della fatturazione, della gestione del traffico,<br />

dell’accertamento di frodi, ecc.<br />

Essa non ha invece come funzione quella di escludere che l’accertamento giudiziario civile possa avvalersi dei<br />

dati comunque conservati presso i gestori telefonici né che questi siano tenuti ad fornirli, a fronte dell’ordine di<br />

esibizione del giudice, ai sensi dell’art. 210 c.p.c.<br />

5


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

Da altre due norme del Codice della privacy si ricava del resto, in modo inequivoco, l’esatto contrario rispetto<br />

a tale pretesa esclusione. Si tratta dell’art. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia) e del 6° comma dell’art. 160<br />

(Particolari accertamenti), la cui portata verrà esaminata nel seguito, al quale pertanto si rinvia.<br />

(Omissis)<br />

4. Il ricorrente sostiene, in subordine, che il recesso sarebbe annullabile per le seguenti autonome ragioni:<br />

c) tardività dell’addebito, con conseguente contrarietà al canone di buona fede e violazione del diritto di difesa,<br />

d) mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione applicata, quanto a telefonate e Sms, atteso sia l’affidamento<br />

suscitato nel lavoratore circa il possibile utilizzo del telefonino aziendale anche per finalità e collegamenti extralavorativi<br />

sia la tenuità del danno dal medesimo cagionato al datore,<br />

e) mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione applicata, sia quanto a telefonate ed Sms sia quanto ai<br />

presenti nella cartella personale del pc portatile, attesa l’inutilizzabilità in giudizio delle prove invocate o prodotte<br />

dal datore.<br />

In merito alla doglianza sub c) il Tribunale osserva quanto segue. La questione contestata al lavoratore emerge,<br />

come già si è detto, a fine 2<strong>00</strong>5, in coincidenza con il momento in cui il responsabile di settore effettua l’esame dei<br />

costi delle telefonate, ed è poi formalizzata a livello di incolpazione con lettera 28.02.2<strong>00</strong>6.<br />

Il tempo decorso non evidenzia pertanto alcun apprezzabile ritardo, apparendo esso del tutto congruo per consentire<br />

un esame ponderato della situazione, anche nell’interesse dello stesso lavoratore.<br />

A ciò aggiungasi che nelle imprese dotate di struttura complessa - e tale è il caso della società resistente - le decisioni<br />

in materia disciplinare, ivi compresa la formulazione dell’addebito, vengono ordinariamente assunte con la<br />

collaborazione di più persone e di più uffici, all’esito di apposita istruttoria interna, la quale per definizione richiede<br />

un certo tempo tecnico. Nel caso di specie esso deve ritenersi limitato e contenuto, onde non appare censurabile.<br />

In conseguenza di ciò non sussiste pertanto la violazione al canone di buona fede lamentata in causa né può dirsi<br />

pregiudicato il diritto di difesa del lavoratore.<br />

5. Veniamo a questo punto al profilo afferente la mancanza di proporzionalità tra addebito e sanzione, il quale<br />

suppone che la trasgressione da parte del lavoratore agli obblighi sul medesimo gravanti vi sia stata, ma vada valutata<br />

diversamente da come effettuato dal datore e cioè con applicazione di una sanzione conservativa, in luogo<br />

del recesso disciplinare.<br />

Il ricorrente sostiene in proposito che nella vicenda sarebbero presenti alcune circostanze, destinate a segnalare<br />

l’eccesso di potere disciplinare in cui la convenuta è incorsa, rappresentate:<br />

1) dall’affidamento dalla medesima determinato nel lavoratore circa il possibile utilizzo del telefonino aziendale<br />

anche per finalità e collegamenti extra-lavorativi,<br />

2) dalla tenuità del danno da questi cagionato alla resistente, avuto riguardo al costo di telefonate e Sms estranei<br />

al facere lavorativo.<br />

Il profilo sub 1) è del tutto destituito di fondamento. È, infatti, agli atti di causa la prova dell’esatto contrario di<br />

quanto asserito dal lavoratore, rappresentata:<br />

- dalla prassi aziendale, vigente fin dal 2<strong>00</strong>0 e di cui si è detto sopra, di far elaborare dal proprio Ente Information<br />

Technology i files di tutte le telefonate, da inviare periodicamente a ciascun responsabile di settore (tra cui il<br />

ricorrente, in tale qualità, sino a metà 2<strong>00</strong>5), onde controllare i costi relativi, prassi ben nota al lavoratore, come<br />

attesta quanto dal medesimo riferito in sede di interrogatorio,<br />

- dall’obbligo per i dipendenti tutti di digitare, per le telefonate private effettuate dal telefonino aziendale, il prefisso<br />

46, con conseguente addebito del costo di esse direttamente sul conto corrente del lavoratore comunicato dal<br />

medesimo al gestore telefonico, obbligo anch’esso noto al ricorrente,<br />

6


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

- dall’obbligo di segnalare gli utilizzi privati del telefonino aziendale che non consentono di digitare il prefisso<br />

46, come nel caso degli Sms, per il relativo addebito al dipendente, e anche tale obbligo era certamente noto al<br />

ricorrente, essendosi questi dichiarato ex post disponibile a risarcire la convenuta sul punto,<br />

- dall’esistenza di precedente licenziamento di dipendente della convenuta per abuso del telefonino aziendale,<br />

risalente agli anni 2<strong>00</strong>3-2<strong>00</strong>4.<br />

Quanto poi al profilo sub 2), il Tribunale ne rinvia l’esame e la trattazione al seguito, facendo esso parte della<br />

complessiva valutazione del caso qui in discussione.<br />

6. Passiamo ora ad esaminare la questione sub e), concernete l’eccezione prospettata dal ricorrente di inutilizzabilità<br />

in giudizio delle prove invocate o prodotte dal datore, fondata:<br />

A. quanto alle telefonate e agli Sms, sull’illegittima acquisizione dei tabulati telefonici, per violazione degli artt.<br />

123 e 132 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196),<br />

B. quanto ai files contenuti nella cartella personale del pc portatile in dotazione al lavoratore, sul provvedimento<br />

18.05.2<strong>00</strong>6 del Garante per la protezione dei dati personali, pronunciato nei confronti di Fiat Auto Financial<br />

Services Spa su ricorso del sig. E. ex art. 146 del Codice della privacy.<br />

L’assunto sub A. è stato già esaminato nel paragrafo 2., sub γ), e all’esito della relativa trattazione ritenuto destituito<br />

di fondamento; onde appare superfluo in questa sede aggiungere altro, salvo quanto si dirà nel seguito a proposito<br />

della categoria legale dell’inutilizzabilità, invocata a proprio beneficio dal ricorrente, e sulla sua portata nell’ambito<br />

dell’ordinamento giuridico italiano.<br />

E veniamo all’assunto sub B., che si fonda sul provvedimento del Garante della privacy in atti, il quale accerta la<br />

violazione, da parte della società qui resistente:<br />

- dell’art. 13 del Codice della privacy, per non essere il lavoratore stato previamente informato del trattamento dei<br />

suoi dati personali, al momento della visione del contenuto dei files, pur avvenuto alla sua presenza;<br />

- dell’art. 11 del Codice della privacy, per essere il trattamento avvenuto eccedendo le finalità di controllo perseguite,<br />

non essendo necessario rendere visibili gli specifici contenuti di tali files ed essendo viceversa bastevole<br />

l’accertamento delle dimensioni informatiche della cartella personale e delle tipologie dei files ivi contenute;<br />

onde così conclude e dispone: “… considerato l’art. 11, comma 2, del Codice secondo cui i dati trattati in violazione<br />

della disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali non possono essere utilizzati, l’Autorità<br />

dispone, ai sensi dell’art. 150, comma 2, del Codice, quale misura a tutela dei diritti dell’interessato, il divieto per<br />

la società resistente di trattare ulteriormente, in qualsiasi forma, le informazioni raccolte nei modi contestati con<br />

il ricorso”.<br />

In merito a tale provvedimento ed alla sua incidenza nell’ambito del presente giudizio il Tribunale osserva quanto<br />

segue. Il ricorrente, al pari di tutti i dipendenti della convenuta aventi in dotazione un computer aziendale, era<br />

pacificamente tenuto ad ottemperare alle prescrizioni contenute nella normativa aziendale e cioè nelle Linee<br />

guida per l’utilizzo delle postazioni di lavoro, prodotte del resto d entrambe le parti in causa, nelle quali si legge<br />

che: “…la postazione di lavoro (di seguito “PdL”) è oggi dotata di strumenti, come il personal computer (fisso,<br />

portatile o palmare), che sono utilizzati a supporto della normale attività lavorativa… Tali strumenti, ma anche<br />

le informazioni contenute nei sistemi ed i servizi utilizzati, sono un bene aziendale … Le norme di seguito<br />

specificate sono […]:<br />

- la PdL e i programmi installati sono beni aziendali affidati ai dipendenti come strumenti di lavoro;<br />

- la PdL deve essere sempre utilizzata solo per fini professionali (in relazione alle mansioni assegnate); devono<br />

essere evitati sia l’uso per scopi personali che per finalità illecite o non consentite dall’azienda (quali ad esempio<br />

memorizzazione di dati personali, esecuzione di programmi di intrattenimento, giochi o multimedialità) …<br />

L’impegno dei modem è consentito solamente su pc portatili secondo le regole… sopra indicate …”<br />

7


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

Tale tassativa prescrizione aziendale, specificamente richiamata sia nella lettera di contestazione d’addebito che<br />

in quella di recesso, è stata pacificamente violata dal ricorrente, come del resto si ricava dalle sue stesse difese in<br />

punto, avendo sul pc portatile datogli in dotazione creato una cartella personale contenente files musicali, di testo<br />

e fotografici.<br />

Nell’accesso da parte del datore di lavoro a tale cartella - avvenuto alla presenza dello stesso lavoratore e con<br />

modalità che non paiono né vessatorie né contrastare con il divieto generale di correttezza ex art. 1175 c.c. - non<br />

è pertanto astrattamente configurabile un trattamento di dati personali del dipendente, ai sensi dell’art. 4 del Codice<br />

della privacy: siamo, infatti, in presenza, per un verso, di dati personali che il medesimo ha illegittimamente<br />

inserito sul computer aziendale e, per altro verso, di un’attività di “controllo difensivo” effettuata dal proprietario<br />

del bene, dei programmi e di tutte le elaborazioni informatiche presunti sul suo hard disk, nessuna esclusa, del tutto<br />

legittima ed ineccepibile, anche per le modalità che l’hanno accompagnata.<br />

Inserendo tali dati personali in un luogo non proprio, ma altrui, in cui non avrebbero potuto né dovuto trovarsi,<br />

contravvenendo inoltre ad un esplicito divieto aziendale a lui ben noto, il dipendente ha infatti rinunciato ad<br />

avvalersi di un diritto alla privacy, la quale suppone l’esistenza di una sfera personale e privata - legittimamente<br />

creata - inaccessibile ai terzi e tutelata dalla legge contro possibili intromissioni altrui. Ragionare diversamente,<br />

nella vicenda qui in discussione, comporterebbe del resto un risultato paradossale, di fornir cioè tutela a situazioni<br />

immeritevoli di essa, così da sfociare in quella summa iniuria (per usare le sagge parole di Cicerone, De officiis, I,<br />

33) dalla quale il processo deve viceversa rifuggire.<br />

La privacy è infatti bene troppo prezioso, anche per le sue implicazioni di ordine costituzionale, per immaginare<br />

che la sua garanzia possa innestarsi su condotte che contravvengono ai doveri professionali ed essere quindi terreno<br />

per coprire attività abusive e mezzo per evitare strumentalmente di doverne rispondere.<br />

Ciò premesso, non condivisibile deve pertanto ritenersi il provvedimento adottato dal Garante della privacy,<br />

verosimilmente frutto di incompleta informazione sul caso in esame. Tale provvedimento, avente natura amministrativa,<br />

come si ricava dall’art. 152, comma 12, del Codice della privacy, va conseguentemente ritenuto illegittimo<br />

e disapplicato, ai sensi dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E).<br />

In tale contesto risulta pertanto infondata l’eccezione sollevata dal ricorrente di inutilizzabilità dei dati emersi a<br />

seguito dell’accesso alla cartella personale creata sul computer portatile datogli in dotazione.<br />

7. Quanto esposto al paragrafo che precede è di per sé sufficiente a definire la questione prospettata dal ricorrente,<br />

correlata all’eccezione di inutilizzabilità delle prove invocate o prodotte dalla convenuta e discendente dalla<br />

pretesa illegittimità del provvedimento del Tribunale di acquisizione in giudizio dei tabulati telefonici relativi al<br />

telefonino in dotazione del lavoratore e al periodo richiamato nella contestazione d’addebito nonché dalla pretesa<br />

illegittimità dell’accesso del datore alla cartella indebitamente creata dal lavoratore sul pc portatile aziendale quale<br />

“cartella personale”.<br />

Dal momento che, per le ragioni sopra esposte, i profili di illegittimità denunciati dal ricorrente sono risultati<br />

infondati, ne discende che insussistente è anche la conclusione che questi ne trae, di inutilizzabilità sul piano<br />

probatorio di tali tabulati e di quanto contenuto nella citata cartella del pc aziendale.<br />

Il Tribunale ritiene pertanto doveroso - indipendentemente dall’iter argomentativo seguito in antecedenza e per<br />

completezza di motivazione - affrontare comunque anche il profilo giuridico concernente la pretesa inutilizzabilità<br />

di dati afferenti la privacy del lavoratore, nell’ambito di controversia avente ad oggetto il recesso disciplinare.<br />

Come è noto, la categoria legale dell’inutilizzabilità delle prova in sede giudiziale, quale sanzione conseguente alla<br />

violazione di legge commessa all’atto della sua acquisizione, è stata individuata per la prima volta nell’ordinamento<br />

processuale italiano, che sino a quel momento conosceva unicamente la nullità, esposta se del caso alla sanatoria,<br />

con l’art. 191 del vigente c.p.p. del 1988, che così stabilisce: “1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti<br />

dalla legge non possono essere utilizzate. 2. L’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del<br />

procedimento”. Al suo apparire tale enunciato normativo è parso, in uno dei primi commenti, recepire la “fruit<br />

8


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

of the poisonous tree doctrine” utilizzata dalla giurisprudenza della Corte Suprema USA, a partire dal 1939, per<br />

fondare il divieto di utilizzo sul piano probatorio (exclusionary rule) del sequestro del corpus delicti (ad es. droga)<br />

disposto dalla polizia nel corso e a seguito di perquisizione ritenuta illegittima, per violazione del IV emendamento<br />

della Costituzione americana, il quale stabilisce: “The right of the people to be secure in their persons, houses,<br />

papers, and effects, against unreasonable searches and seizures, shall not be violated, and no Warrants shall issue,<br />

but upon probabile cause, supported by Oath or affirmation, and particularly describing the place to be searched,<br />

and the persons or things to be seized ”.<br />

Secondo tale teoria - che non ha avuto fortuna in altri paesi di common law ed è ritenuta da uno dei nostri migliori<br />

studiosi di diritto processuale penale ispirata da “intransigenza puritana”, il cui effetto pratico è di fornire un “arnese<br />

provvidenziale” ad imputati acclaratamente colpevoli, essendo sempre “escogitabile qualche lesione dei diritti fondamentali”<br />

nelle prove fornite dalla pubblica accusa - non può entrare nel processo, anche se ne costituisce solo il<br />

risultato indiretto e mediato, ogni elemento di prova ottenuto a seguito di violazione di un diritto costituzionale del<br />

cittadino, in quanto «macchiato» e «contagiato» dall’illegalità del primo atto e cioè «frutto dell’albero velenoso».<br />

La lettura dell’art. 191 c.p.p. nel quadro della “poisonous tree doctrine” è però stata decisamente respinta sia dalle<br />

Sezioni Unite della Corte di Cassazione che dalla Corte Costituzionale.<br />

In un caso avente ad oggetto la sequenza perquisizione illegittima-sequestro il Supremo Collegio ha, infatti, stabilito<br />

che: “... allorquando quella ricerca [della prova del commesso reato], comunque effettuata, si sia conclusa con il<br />

rinvenimento del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento processuale a considerarlo<br />

del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti: in questa specifica ipotesi, e ancorché nel<br />

contesto di una situazione non legittimamente creata, il sequestro rappresenta un “atto dovuto”, la cui omissione<br />

esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali, quali che siano state, in concreto, le modalità propedeutiche<br />

e funzionali che hanno consentito l’esito positivo della ricerca compiuta”.<br />

Il giudice delle leggi ha inoltre rilevato, sempre con riferimento ad un caso similare, caratterizzato dalla stessa<br />

sequenza (perquisizione illegittima-sequestro), che non è consentito all’interprete “trasferire nella disciplina della<br />

inutilizzabilità (art. 191 c.p.p.) un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al<br />

tema della nullità (art. 185, comma 1, c.p.p.)”.<br />

Per parte sua la dottrina processual-penalistica - salvo qualche limitata e marginale eccezione, che non a caso si<br />

richiama alla “poisonous tree doctrine” - ha nella sua stragrande maggioranza precisato quanto segue:<br />

- l’enunciato normativo contenuto nell’art. 191 c.p.p. non ha portata a sé stante, ma mero carattere sanzionatorio,<br />

onde deve essere correlato ad altre norme processuali penali, contenenti le singole ipotesi di inutilizzabilità (artt.<br />

62, 63, 103, 188, 195, 197, 203, 234, 254, 270, 271, 2<strong>00</strong> c.p.p.),<br />

- tale enunciato fa inoltre riferimento a divieti probatori stabiliti dalla legge processuale e non già, genericamente,<br />

a ipotesi di illiceità, onde non è sufficiente a realizzarne il presupposto della violazione, al momento di acquisizione<br />

della prova, di norme appartenenti ad altra sfera (penale, civile, tributaria, ecc.) dell’ordinamento,<br />

- la sanzione di inutilizzabilità discende pertanto dalla violazione di uno specifico divieto probatorio stabilito dalla<br />

legge processuale, a fronte della quale il legislatore si fa carico di intervenire in modo più penetrante rispetto alla<br />

nullità, esposta se del caso alla sanatoria, così da incidere direttamente sull’idoneità giuridica dell’atto a svolgere<br />

funzione di prova, da espungerlo dall’ordinamento processuale, cui è reso pertanto totalmente estraneo, e da azzerare<br />

i conseguenti risultati cognitivi eventualmente realizzati.<br />

È in tale quadro normativo di riferimento che a questo punto deve essere affrontata la questione afferente l’ammissibilità<br />

nel processo penale delineato dal c.p.p. del 1988 delle prove precostituite illecitamente apprese, intendendosi<br />

per tali prove che vengono ad esistenza fuori dal processo, ottenute però a seguito di violazione di norma penale.<br />

Sotto la vigenza del c.p.p. del 1930 la questione era stata risolta, in un autorevole studio, nel senso di ritenere tali<br />

prove ammissibili, ove ne fosse comunque consentita l’apprensione coattiva da parte del giudice, fatta ovviamente<br />

salva l’applicazione delle previste sanzioni a carico del trasgressore e a tutela del cittadino leso.<br />

9


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

Questa conclusione deve ritenersi tuttora valida e anzi normativamente imposta, dal momento che il nuovo c.p.p.,<br />

come si è detto, circoscrive e limita i divieti probatori a quelli esplicitati dalla sola legge processuale penale, impedendo<br />

così all’interprete di crearne o individuarne altri: e tale sarebbe il caso del divieto probatorio relativo alla<br />

prove precostituite illecitamente apprese.<br />

Una soluzione similare viene altresì delineata, con riferimento alle prove civili precostituite, in un importante contributo<br />

dottrinale della seconda metà degli anni ’80, ancor oggi apprezzato e citato. In esso si evidenzia la totale irrilevanza, sul<br />

piano del processo, del fatto materiale che ha consentito alla parte di entrare in possesso della prova precostituita - la<br />

cui illiceità, asserita da una parte del giudizio, potrebbe del resto essere contestata dall’altra o comunque presentarsi,<br />

di fronte al giudice, del tutto dubbia e obiettivamente controversa -, salvo ben inteso il diverso ed eventuale profilo<br />

di responsabilità da fatto illecito a carico dell’autore dell’acquisizione, peraltro esterno ed estraneo al giudizio in cui<br />

la prova è prodotta. A tale orientamento si è di recente richiamata una pronuncia di merito in materia matrimoniale.<br />

Applicando al caso qui in esame tale principio, ne discende che - ove i dati contenuti nella “cartella personale” creata<br />

dal ricorrente indebitamente (e cioè in violazione delle prescrizioni contenute nelle Linee guida per l’utilizzo delle<br />

postazioni di lavoro) sul pc portatile di proprietà aziendale fossero da qualificare, nonostante tale violazione, come “dati<br />

personali”, ai sensi dell’art. 1 del Codice della privacy, onde l’apprensione datoriale di tali dati verrebbe a costituire a<br />

sua volta violazione della privacy del lavoratore - non per questo essi diverrebbero processualmente inutilizzabili.<br />

A tal fine sarebbe infatti necessaria la presenza, nell’ordinamento processuale civile, di una specifica regola di<br />

esclusione probatoria, quale quella ad es. enunciata nell’art. 222 c.p.c. (inutilizzabilità di documento, ove, proposta<br />

la querela di falso, la parte dichiari di non volersene avvalere) o che si ricava dall’art. 216 c.p.c. (inutilizzabilità<br />

di scrittura privata disconosciuta, non seguita da richiesta di verificazione), che però, allo stato, non esiste, sussistendo<br />

in punto mera proposta de iure condendo, la cui formulazione risulta peraltro inidonea a definire nel senso<br />

dell’inutilizzabilità tutte le svariate ipotesi di prove illecite.<br />

(Omissis)<br />

9. Quanto esposto al paragrafo che precede ci consente di chiarire che è esclusivamente nell’ordinamento processuale<br />

civile che vanno rintracciate le regole di esclusione probatoria, destinate ad espungere dal processo civile prove<br />

precostituite apprese in violazione dei diritti inviolabili della persona e, nel contempo, che non è consentito al<br />

giudice rintracciarle aliunde, fuori cioè da tale ordinamento, e in particolare inferirle dalle garanzie costituzionali<br />

relative a tali diritti. Questa conclusione oggi può ritenersi confermata da alcuni enunciati normativi del Codice<br />

in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196) e, in particolare, da quelli contenuti<br />

nel 2° comma dell’art. 11 (Modalità del trattamento e requisiti dei dati), nel 6° comma dell’art. 160 (Particolari<br />

accertamenti) e nell’art. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia).<br />

(Omissis)<br />

Orbene, dal complesso di tali enunciati si ricavano i seguenti principi.<br />

Primo. La giurisdizione, per le finalità istituzionali che persegue e per la rilevanza costituzionale che le attribuisce<br />

la Carta Costituzionale, si colloca in un ambito tale da rendere ad essa inapplicabili i vincoli e limiti previsti da<br />

numerose e qualificanti disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali, le quali non hanno né<br />

possono avere come destinatario il giudice, sotto pena di veder vanificato l’accertamento processuale e frustrate<br />

le esigenze di giustizia cui esso mira.<br />

Secondo. L’inutilizzabilità del trattamento dei dati personali reperiti in violazione della disciplina vigente in materia<br />

è riferibile unicamente ai destinatari delle prescrizioni del Codice della privacy, onde non si converte automaticamente<br />

in divieto probatorio per il giudice, ancorché nel processo risultino prodotti atti, documenti o provvedimenti<br />

basati su trattamento di dati personali non conformi a disposizioni di legge o di regolamento.<br />

Terzo. L’inutilizzabilità sul piano probatorio operante nell’ambito del giudizio civile e penale va fatta discendere<br />

- unicamente - dalle eventuali previsioni esistenti rispettivamente, nell’ordinamento processuale civile e in quello<br />

penale e cioè dalle specifiche regole di esclusione rinvenibili in ciascuno di tali ordinamenti.<br />

10


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

(Omissis)<br />

Approfondimenti<br />

10. Chiarito in base a quanto precede, che l’eccezione processuale prospettata dal ricorrente - di inutilizzabilità<br />

delle prove offerte dalla convenuta al fine di assolvere all’onere che le compete per legge, in relazione all’intimato<br />

licenziamento del lavoratore - deve ritenersi totalmente destituita di fondamento, per collocarsi tali prove o nell’ambito<br />

di situazioni che prescindono dal consenso dell’interessato ovvero nell’ambito dei c.d. “controlli difensivi”<br />

datoriali, ammessi e ritenuti legittimi dalla giurisprudenza, o comunque per non essere la privacy del prestatore, ove<br />

invocabile (in via di ipotesi) nella fattispecie, di ostacolo all’accertamento giudiziale, sulla scorta della disciplina<br />

processuale vigente, cui il Codice della privacy rinvia, passiamo ora ad esaminare il merito della causa.<br />

(Omissis)<br />

11. Passiamo ora ad analizzare il secondo addebito contestato al lavoratore. Esso concerne la creazione nel pc<br />

portatile datogli in dotazione, in contrasto con il divieto contenuto nelle Linee guida per l’utilizzo delle postazioni<br />

di lavoro prodotte da entrambe le parti del giudizio, di una “cartella personale” contenente “sotto cartelle con<br />

228 files con estensione JPG (quindi di tipo immagine), con contenuto principalmente di tipo pornografico e 47<br />

files di tipo Word con contenuti prevalentemente di tipo pornografico, che risultano esser stati realizzati durante<br />

l’orario di lavoro”.<br />

(Omissis)<br />

Come si ricava dalla documentazione degli atti di causa, il ricorrente ha infatti preteso e provocato, attraverso<br />

l’ostinata difesa della propria privacy (invocata peraltro senza fondamento, come si è detto e dimostrato sopra),<br />

la distruzione di una parte delle prove detenute dalla convenuta e cioè della cartella c.d. “personale” presente<br />

sull’hard disk del computer portatile aziendale a suo tempo detenuto dal medesimo: e questo non può certamente<br />

ritenersi legittimo, concretando un grave “abuso del diritto di difesa” fattispecie oggi pacificamente riconosciuta<br />

dalla giurisprudenza.<br />

A fronte di tale distruzione sollecitata e pretesa, il ricorrente sostiene ora, in sede di discussione finale della vertenza,<br />

che, in assenza di tale prova, non sarebbe possibile ricostruire e stabilire i fatti di causa; con la conseguenza<br />

che, competendo alla convenuta fornire la dimostrazione del fatto addebitato al lavoratore sul piano disciplinare<br />

e della sua gravità, egli dovrebbe essere assolto dall’addebito e reintegrato nel posto di lavoro. Il Tribunale non<br />

ritiene però che tale conclusione possa essere condivisa ed accolta. Nelle difese scritte proposte dal lavoratore<br />

nel corso del procedimento disciplinare a suo carico si legge quanto segue: “non sono in grado di ricordare se e<br />

quali di essi [files] furono registrati durante l’orario di lavoro e, in caso positivo, quale possa essere stato il tempo<br />

necessario alla loro registrazione. Certamente, però, posso escludere che si trattò di un tempo quantitativamente<br />

rilevante o comunque tale da arrecare alcun tipo di pregiudizio alla mia prestazione lavorativa”. Ma se così è, il<br />

ricorrente avrebbe allora dovuto consentire l’accertamento giudiziale sulla cartella in questione, anziché provocarne<br />

la distruzione, con atti che costituiscono indiscutibilmente offesa grave all’altrui diritto costituzionale di difesa;<br />

indagine che avrebbe anche permesso di chiarire se e quanti accessi vi furono ai files in questione, durante l’orario<br />

di lavoro, e per quanto tempo.<br />

Non averlo fatto è sicuro indice che tale verifica avrebbe non solo confermato quanto allegato dalla convenuta,<br />

ma anzi evidenziato un abuso ancor più grave di quello ipotizzato. Va d’altra parte osservato che, secondo la regola<br />

sulla ripartizione dell’onere della prova per legge prevista (art. 2697 c.c.), nella vicenda disciplinare qui in esame<br />

spetta al datore fornire la prova dell’utilizzo, per ragioni personali ed extra-professionali, del pc portatile assegnato<br />

al lavoratore; e tale prova è stata fornita.<br />

È viceversa onere del lavoratore, e non dell’impresa, dare la dimostrazione della tenuità della propria condotta,<br />

facente seguito a comportamento costituente violazione degli obblighi aziendali sulla disciplina delle postazioni di<br />

lavoro, quali definiti dalla normativa interna (le citate Linee guida). Orbene, nel caso in esame il ricorrente non<br />

solo non ha fornito la prova a suo carico, ma ha anzi tenuto una condotta diretta ad ostacolare l’accertamento giudiziale,<br />

portata allo stadio estremo, quello della (provocata) cancellazione dei dati e dell’offesa all’altrui diritto.<br />

11


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

L’avvenuta eliminazione della possibilità di accertamento, per fatto del ricorrente, induce a ritenere che ciò sia<br />

avvenuto per occultare non solo che la registrazione avvenne in orario di lavoro e per tempi consistenti, ma anche<br />

che vi furono numerosi accessi durante l’orario di lavoro, con conseguente depauperamento del credito lavorativo<br />

del datore.<br />

Se, d’altra parte, la registrazione di quei files in orario di lavoro fosse stata trascurabile e se gli accessi fossero stati minimali,<br />

sarebbe sicuramente stato interesse del ricorrente farlo emergere, consentendo l’accertamento giudiziale.<br />

La contraria condotta viceversa tenuta da lavoratore lascia ragionevolmente presumere l’esatto contrario, ai sensi e<br />

per gli effetti di cui all’art. 2729 c.c. Anche tale addebito va pertanto ritenuto provato; ad esso va inoltre attribuito<br />

un connotato di notevole gravità, oltre che per le mansioni espletate dal lavoratore e per il suo inquadramento,<br />

anche per la condotta tenuta e di cui si è detto, da valutare nel quadro della previsione di cui al 2° comma dell’art.<br />

116 c.p.c.<br />

12. Alla luce di quanto in antecedenza esposto, il ricorso va pertanto respinto, con conseguente conferma del<br />

recesso datoriale. Le spese di lite vengono compensate, atteso che nella vicenda è intervenuto un provvedimento<br />

del Garante della privacy a favore del ricorrente, peraltro disapplicato dal Tribunale, in quanto ritenuto frutto di<br />

informazione parziale sui fatti di causa.<br />

Il commento<br />

La sentenza annotata, di cui si condivide la soluzione,<br />

offre lo spunto per affrontare una serie di<br />

questioni giuridiche dibattute, con riflessi processuali<br />

e sostanziali di assoluta rilevanza.<br />

Una prima questione concerne la legittimità<br />

dell’acquisizione ex art. 421 c.p.c. dei tabulati<br />

telefonici relativi all’utenza del telefonino aziendale<br />

assegnato al lavoratore con riferimento<br />

all’intervenuta decadenza del datore dall’assolvimento<br />

dell’onere della prova ex art. 5 della legge<br />

n. 604/66 ed alla contrarietà del provvedimento<br />

al Codice (ed alle direttive europee) in materia<br />

di protezione dei dati personali. Come ben evidenziato<br />

in sentenza il datore di lavoro aveva<br />

correttamente adempiuto all’onere di allegazione<br />

(e prova) nella prima difesa utile a lui incombente.<br />

In secondo luogo, se anche il datore non lo avesse<br />

fatto, la questione sarebbe vanificata dall’uso dei<br />

poteri istruttori e per certi versi “integrativi” del<br />

giudice ex art. 421 c.p.c. 1 , qui legittimo in quanto<br />

“destinato a consentire un migliore apprezzamento<br />

della situazione”. Si deve trattare, quindi, di un<br />

(Omissis)<br />

esercizio non meramente discrezionale, bensì<br />

di un potere-dovere del giudice adeguatamente<br />

motivato 2 .<br />

Quanto alla asserita (dal ricorrente) contrarietà<br />

dell’acquisizione dei tabulati telefonici del telefonino<br />

aziendale al D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n.<br />

196 ed alle direttive UE n. 2<strong>00</strong>2/58 e n. 2<strong>00</strong>6/24,<br />

si rende necessaria una breve premessa. La valutazione<br />

della legittimità o meno dell’utilizzo<br />

di dati, avvenuto senza il consenso del titolare,<br />

necessita di un’analisi sul “comportamento”<br />

assunto dal datore di lavoro e stabilire se questo<br />

integri un’ipotesi di trattamento di dati riconducibile<br />

all’ambito di applicazione della disciplina<br />

in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs.<br />

n. 196/2<strong>00</strong>3). Per quanto concerne la nozione<br />

di «trattamento», contenuta nell’art. 4, primo<br />

comma, lett. a), D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3, il legislatore<br />

ha in essa ricompreso qualsiasi operazione<br />

o complesso di operazioni concernenti, tra le<br />

altre, sia la raccolta di informazioni, sia l’utilizzo<br />

di queste: assumono pertanto rilievo, ai fini dell’applicazione<br />

del Codice, anche gli atti aventi ad<br />

oggetto informazioni sulla persona del lavoratore,<br />

(1) L. DE ANGELIS, Giustizia del lavoro, Padova, 1992, pag. 29 e segg.; L. MONTESANO, Le prove officiose nel processo del lavoro coordinate<br />

all’oralità, alle preclusioni e alla paritaria difesa, Pret. Milano, 16 gennaio 1976, in Mass. Giur. Lav., 1976, pag. 437 e segg.<br />

(2) Sul corretto esercizio dei poteri istruttori del giudice, cfr Cass. Sez. Un., 17 giugno 2<strong>00</strong>4, n. 11353, in Giust. civ. mass., 2<strong>00</strong>4, pag. 6 e Orient.<br />

giur. lav., 2<strong>00</strong>4, I, pag. 755.<br />

12


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

posti in essere dal datore nello svolgimento delle<br />

indagini preliminari al procedimento disciplinare.<br />

Il “dato personale”, ai fini della disciplina positiva,<br />

consiste in qualsiasi informazione relativa,<br />

anche indirettamente, a persona fisica, oltre che<br />

a persona giuridica, ente od associazione 3 . Se<br />

controversa è spesso risultata la qualificazione<br />

dell’espressione «qualunque informazione», vero<br />

è che su tale questione definitoria il Garante si<br />

è pronunciato affermando che con la norma in<br />

parola il legislatore, nell’attribuire alla nozione di<br />

«dato personale» la massima ampiezza, ha voluto<br />

comprendere anche “… ogni notizia, informazione<br />

o elemento che abbia un’efficacia informativa<br />

tale da fornire un contributo aggiuntivo di conoscenza<br />

rispetto ad un soggetto identificato o<br />

identificabile …” (provvedimento 19 dicembre<br />

2<strong>00</strong>1, doc. n. 41854 in www. garanteprivacy. it).<br />

La costruzione delle categorie di “dato personale”<br />

e di “trattamento”, inusitate prima nel nostro ordinamento,<br />

disciplinano pressoché qualsiasi informazione,<br />

a prescindere quindi dal loro oggetto<br />

e dal contesto dei diversi comportamenti. Ciò<br />

sembra francamente iniquo, in quanto il taglio<br />

generale ed astratto della disciplina normativa,<br />

seppur per una scelta espressa del legislatore, non<br />

mette sempre in rilievo i variegati e contrastanti<br />

interessi sottostanti 4 . Si pone poi la questione di<br />

come conciliare la disciplina contenuta nell’art.<br />

7 dello Statuto dei lavoratori che regolamenta,<br />

pur entro una serie di limiti, il potere disciplinare<br />

del datore di lavoro e la normativa volta a<br />

realizzare un sistema di tutela della riservatezza<br />

del lavoratore nei confronti di qualsiasi forma<br />

di trattamento di dati inerenti la persona. Ad<br />

avviso della giurisprudenza antecedente l’entrata<br />

in vigore della L. n. 675/1996 (poi recepita nel<br />

D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3), in materia di sanzioni disciplinari,<br />

erano da ritenersi legittime le indagini<br />

preliminari al procedimento disciplinare disposte<br />

dal datore di lavoro purché finalizzate all’acqui-<br />

Approfondimenti<br />

sizione di elementi necessari per la verifica della<br />

configurabilità o dell’esclusione dell’illecito da<br />

sanzionare 5 ; nuovi interrogativi oggi si pongono<br />

a fronte del sistema di garanzie introdotto a<br />

tutela della riservatezza delle informazioni sulla<br />

persona 6 .<br />

L’indagine non può non concentrarsi sul consenso<br />

del titolare dei dati trattati; infatti, se il<br />

consenso espresso dell’interessato costituisce il<br />

requisito per la legittimità 7 di qualsiasi forma di<br />

trattamento di dati personali (art. 23, D.Lgs. n.<br />

196/2<strong>00</strong>3), è vero altresì che lo stesso legislatore<br />

contempla una serie di casi di esclusione del consenso<br />

(art. 24, D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3). Il conflitto<br />

tra consenso finalizzato al trattamento dei dati<br />

e l’esercizio del potere disciplinare datoriale è<br />

in certa misura paradossale, poiché può condurre<br />

al risultato di un comportamento lecito,<br />

che tuttavia lascia una traccia, la cui raccolta<br />

deve considerarsi illecita, a fronte del mancato<br />

rispetto delle norme del «Codice sulla privacy»,<br />

ovvero di un dato trattato in conformità alle<br />

disposizioni di quest’ultima fonte normativa,<br />

ma raccolto in forma illecita. Di tale difficoltà,<br />

peraltro, pare essere ben consapevole l’estensore<br />

della decisione annotata. Con riguardo alla causa<br />

di esclusione del consenso del titolare dei dati,<br />

si deve mettere in rilievo come, nel caso specifico,<br />

la richiesta di acquisizione dei tabulati sia<br />

duplice: la prima avanzata dal datore di lavoro<br />

in una fase preliminare al giudizio, ove le ultime<br />

tre cifre dei numeri chiamati risultavano criptate<br />

in conformità a quanto previsto dall’art. 124,<br />

comma 4, del D.Lgs. 196/2<strong>00</strong>3; e la seconda, durante<br />

la fase istruttoria del giudizio, ordinata dal<br />

giudice ai sensi dell’art. 421 c.p.c. (quest’ultima<br />

con numerazione completa).<br />

Per quanto concerne il primo caso, la richiesta,<br />

come osserva il Tribunale, è legittima in quanto<br />

il datore di lavoro è titolare dell’utenza e la mo-<br />

(3) M. POLACCHINI, Tutela della privacy in azienda: misure di sicurezza per il trattamento dei dati personali, Milano, 2<strong>00</strong>5, pag. 54 e segg.<br />

(4) Per una lucida ed esaustiva trattazione sul tema cfr E. GRAGNOLI, Tutela della riservatezza, obbligo di protezione e consenso del lavoratore,<br />

in ADL., 2<strong>00</strong>6, 1, pag. 235.<br />

(5) Trib. Roma, 14 giugno 1997, in NGL, 1997, pag. 767; Cass. 10 gennaio 1990, n. 23, in NGL, 1990, pag. 398; Trib. Roma, 24 settembre 1988,<br />

in Riv. It. Dir. Lav., 1989, II, pag. 141, con nota di V.A. POSO.<br />

(6) In tema di tutela dei dati personali nel rapporto di lavoro cfr. A. BELLAVISTA, La protezione dei dati personali nel rapporto di lavoro dopo il<br />

codice della privacy, in <strong>Studi</strong> in onore di Giorgio Ghezzi, vol. I, Padova, 2<strong>00</strong>5, pag. 319.<br />

(7) Sull’assoluta rilevanza del consenso cfr V. SCALISI, Il diritto alla riservatezza, Milano, 2<strong>00</strong>2, pagg. 240 e ss.<br />

13


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

dalità di acquisizione dei dati (con numerazione<br />

criptata) è rispettosa del diritto alla riservatezza<br />

del chiamante diverso dall’abbonato. L’acquisizione<br />

è, inoltre, determinata dalla necessità di<br />

adempiere l’onere, derivante dal contratto di<br />

lavoro, di contestare al lavoratore per iscritto<br />

gli addebiti prima di adottare qualsiasi sanzione<br />

disciplinare. Il flusso di informazioni risulta,<br />

inoltre, pertinente e non eccedente rispetto alle<br />

finalità per le quali i dati sono stati raccolti e<br />

successivamente utilizzati: non solo il “controllo”<br />

è circoscritto ad un periodo limitato (equivalente<br />

al tempo della contestazione), ma l’utilizzazione<br />

delle informazioni acquisite è risultata tesa in<br />

via esclusiva alla contestazione dell’addebito. A<br />

ciò si aggiunga, fatto non irrilevante, che i dati<br />

oggetto di acquisizione riguardano esclusivamente<br />

il facere lavorativo (le chiamate personali,<br />

autorizzate dalla resistente, dovevano essere<br />

precedute dal prefisso 46 e gli sms preventivamente<br />

segnalati). Tra l’altro, se la contestazione<br />

dell’addebito deve soddisfare il requisito della<br />

specificità, come pacificamente riconosciuto in<br />

dottrina e in giurisprudenza, appare evidente<br />

come l’acquisizione di informazioni si riveli<br />

necessaria, pertinente e non eccedente anche<br />

rispetto all’obbligo, prescritto ex lege a carico<br />

del datore di lavoro, di instaurare il procedimento<br />

disciplinare con un atto che contenga<br />

l’esposizione puntuale delle circostanze essenziali<br />

dei fatti costitutivi dell’infrazione disciplinare<br />

ascritta al lavoratore, ovvero i dati e gli aspetti<br />

essenziali del fatto materiale posto alla base del<br />

provvedimento sanzionatorio 8 . Ciò è ancor più<br />

vero, in rapporto al carattere di immutabilità<br />

Approfondimenti<br />

ascritto alla contestazione dell’addebito, per<br />

cui al datore di lavoro è precluso di far valere<br />

in giudizio, a sostegno del suo provvedimento<br />

disciplinare, circostanze e fatti nuovi o ulteriori<br />

rispetto a quelli ritualmente contestati 9 . Seppur<br />

è anche vero, che è ammesso allegare altre circostanze<br />

non contestate solo ai fini confermativi<br />

od integrativi della gravità dell’addebito e della<br />

sua attendibilità 10 .<br />

La decisione annotata, seppur per meri cenni,<br />

non trascura il bilanciamento di interessi tra diritto<br />

alla riservatezza del lavoratore e diritto alla<br />

difesa (ex art. 24 Cost.) del datore di lavoro. Il<br />

ragionamento è a contrario: riconoscere il diritto<br />

alla privacy significherebbe “…impedire alla<br />

convenuta di poter assolvere all’onere della prova<br />

che le incombe e quindi di difendersi…”. L’osservazione<br />

è condivisibile, ed è rafforzata dalla considerazione<br />

nell’ottica opposta, che parta cioè dalla<br />

posizione del lavoratore. L’acquisizione di precise<br />

e circostanziate informazioni è anche necessaria,<br />

pertinente e non eccedente rispetto alla garanzia<br />

del diritto di difesa del lavoratore, consentendo<br />

a quest’ultimo di individuare facilmente e in maniera<br />

univoca l’infrazione, ovvero di difendersi in<br />

maniera analitica e circostanziata 11 .<br />

La decisione argomenta come il diritto alla riservatezza<br />

del ricorrente non sussista relativamente<br />

alle comunicazioni afferenti alla prestazione di<br />

lavoro; alla stessa conclusione si sarebbe pervenuti<br />

qualora sussistessero chiamate personali (ipotesi<br />

negata dalle risultanze probatorie), per il divieto<br />

- riconosciuto dall’ordinamento giuridico - di<br />

venire contra factum proprium, che esclude la<br />

(8) Cfr. in giurisprudenza: Cass. 27 ottobre 2<strong>00</strong>0, n. 14225, in Riv. It. Dir. Lav., 2<strong>00</strong>1, II, pag. 538, con nota di S. BORELLI, Specificità della<br />

contestazione e obbligo di documentazione; Cass. 7 settembre 1993, n. 94<strong>00</strong>, in NGL, 1993, pag. 828; Cass. 27 gennaio 1993, n. 1<strong>00</strong>0, in NGL,<br />

1993, pag. 219; Cass. 21 giugno 1988, n. 4240, in NGL, 1988, pag. 843; Cass. 9 novembre 1985, n. 5484, in Foro it, 1986, I, pag. 1378; in dottrina:<br />

L. MONTUSCHI, voce Sanzioni disciplinari, in Digesto disc. priv., Sez. comm., vol. XIII, Torino, Utet, 1996, pag. 153; M. PAPALEONI, Il procedimento<br />

disciplinare nei confronti del lavoratore, Napoli, 1996, pag. 301.<br />

(9) C. PANDURI, Ancora sull’immutabilità dei fatti contestati posti a fondamento di un licenziamento disciplinare, in D.L. Riv. Crit. Dir. lav., 1997,<br />

pag. 179; A. PIZZOFERRATO, Oneri procedurali e licenziamento disciplinare: un’ulteriore conferma da parte della Cassazione - Nota a Cass., Sez. Lav.,<br />

21 dicembre 1991 n. 13829, in Giust. civ., 1992, I, pag. 3088; in giurisprudenza per tutte Cass. 7 febbraio 1997, n. 1152, in NGL, 1997, pag. 656.<br />

(10) Sul punto cfr Cass. 26 febbraio 2<strong>00</strong>2, n. 2853, in Giust. civ. mass., 2<strong>00</strong>2, pag. 326; Cass. 25 febbraio 1993, n. 2287, in Mass. Foro it., 1993,<br />

pag. 1391; Cass. 9 febbraio 1989, n. 823, in NGL, 1989, pag. 167.<br />

(11) Cfr. Cass. 13 giugno 2<strong>00</strong>5, n. 12644, in NGL, 2<strong>00</strong>6, pag. 44; Cass. 7 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 9167, in Foro it., 2<strong>00</strong>3, pag. 2637; Cass. 3 febbraio<br />

2<strong>00</strong>3, n. 1562, in Foro it., 2<strong>00</strong>3, I, pag. 1453, con nota di D. DOMENICO; Cass. 27 febbraio 1995, n. 2238, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, pag. 119, con<br />

nota di A. PIZZOFERRATO, Ancora sul requisito di specificità della contestazione dell’addebito nel procedimento disciplinare; Cass. 8 ottobre 1992, n.<br />

10955, in NGL, 1992, pag. 627. Sulla specificità e immutabilità dell’addebito in funzione di garanzia del diritto di difesa del lavoratore, A. ALESSE,<br />

sub art. 7 St. lav., in M. GRANDI- M. PERA, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2<strong>00</strong>5, pagg. 674-675. Sul carattere pertinente e non<br />

eccedente dei dati raccolti dal datore di lavoro ai fini dell’esercizio del potere disciplinare, Garante, provv. 23 dicembre 2<strong>00</strong>4, doc. web n. 1121411<br />

e provv. 27 giugno 2<strong>00</strong>1, doc. web. n. 40213, in sito web cit.<br />

14


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

tutela giuridica quando essa sia correlata ad un<br />

comportamento antidoveroso in antecedenza<br />

tenuto da colui che la richiede 12 .<br />

In relazione all’acquisizione dei tabulati in giudizio<br />

ex art. 421 c.p.c., la sentenza in commento precisa<br />

che la norma di cui all’art. 132 del “Codice della<br />

privacy” ha come destinatari i gestori telefonici<br />

e non i giudici, con la funzione di proteggere il<br />

trattamento dei dati non più giustificato dalla gestione<br />

del servizio (salvo i casi in cui il trattamento<br />

sia finalizzato all’accertamento e repressione dei<br />

reati), e non quella di escludere che l’accertamento<br />

giudiziario civile possa avvalersi dei dati per<br />

finalità di giustizia. Conferma di ciò si riscontra<br />

negli artt. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia)<br />

e 160 (Particolari accertamenti), comma 6, del<br />

D.Lgs. n. 196/2<strong>00</strong>3.<br />

La decisione offre uno spunto di riflessione anche<br />

in merito all’incidenza del provvedimento del<br />

Garante sul processo civile. Il Tribunale torinese<br />

sul presupposto della natura amministrativa della<br />

decisione di tale organo (che qui aveva disposto il<br />

divieto per la società resistente di trattare ulteriormente<br />

ed in qualsiasi forma i dati del ricorrente),<br />

dopo averla considerata illegittima, la disapplica<br />

ai sensi dell’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248,<br />

allegato E). Ora, l’attività del Garante ha di sicuro<br />

natura di vigilanza amministrativa, di conseguenza<br />

riconoscerle natura giurisdizionale risulterebbe in<br />

palese violazione del precetto costituzionale che<br />

fa divieto al legislatore ordinario di creare giudici<br />

speciali (art. 102, comma 2, Cost.). Ciò detto, al<br />

Garante non spetta tanto il controllo sul «comportamento»<br />

del datore (regolamentato dalla<br />

disciplina dello Statuto dei Lavoratori), quanto<br />

quello sul trattamento dei dati. In tal senso, occorre<br />

ribadire che la disciplina della privacy appare<br />

diretta alla tutela dei dati e non a modificare il<br />

regime probatorio, che rimane fondato sulla necessità<br />

di poter accertare lo svolgimento dei fatti,<br />

Approfondimenti<br />

anche quando questi riguardino la sfera più intima<br />

del soggetto interessato. Del resto, se così non<br />

fosse, per assurdo, nei procedimenti penali l’imputato<br />

sarebbe legittimato a rivolgersi all’Autorità<br />

Garante ogni qual volta sorgesse una questione<br />

circa la liceità dei sistemi di investigazione. Infine,<br />

per il principio della separatezza delle giurisdizioni,<br />

le decisioni di natura amministrativa non<br />

possono invadere la sfera della giurisdizione vera<br />

a propria. Della sussistenza di un simile limite, la<br />

decisione del Garante sembra consapevole tanto<br />

che vieta il trattamento ulteriore dei dati, senza<br />

nulla esplicitamente disporre per quello pregresso.<br />

L’incidenza della decisione amministrativa<br />

sul procedimento civile, quindi, si ridimensiona<br />

con “spiazzante” evidenza a causa essenzialmente<br />

della diversità funzionale e dei differenti effetti<br />

giuridici dei due procedimenti. Tutto ciò ha una<br />

profonda ed intima coerenza; l’esame sistematico<br />

della vicenda non può nascondere l’impressione<br />

che ritenere sussistente un interesse del ricorrente<br />

(almeno al blocco dei dati), in ipotesi come quella<br />

della decisione in esame, significherebbe garantire<br />

una pretesa ultronea, rispetto al vero oggetto della<br />

questione, che è costituito, con tutta evidenza,<br />

dalla liceità del comportamento del datore e del<br />

licenziamento intimato.<br />

La sentenza in commento tratta, inoltre, il tema<br />

dell’inutilizzabilità delle prove illecitamente<br />

acquisite. Ciò si relaziona apparentemente alla<br />

tematica dell’atipicità delle prove nel giudizio<br />

civile, che - secondo un’impostazione di massima<br />

- può investire un duplice aspetto: da un lato può<br />

riguardare la vera e propria fonte probatoria del<br />

convincimento del giudice, che non sia prevista<br />

e disciplinata normativamente (si usano addurre<br />

come esempi in proposito lo scritto proveniente<br />

da terzi, di per sé avulso dai paradigmi tipici contemplati<br />

dagli art. 2699-2702 c.c. e dall’art. 213<br />

c.p.c.; la perizia stragiudiziale; la prova assunta od<br />

acquisita in altro giudizio, ecc.); dall’altro la con-<br />

(12) Sull’applicabilità del principio alla tematica del licenziamento disciplinare L. MONTUSCHI, Ancora sulla rilevanza della buona fede nel<br />

rapporto di lavoro, in ADL, n. 3, 1999, pagg. 723 e segg.; A. PIZZOFERRATO, Brevi considerazioni sull’uso delle clausole generali di buona fede e<br />

correttezza, in Riv. it. dir. lav., 1997, II, pagg. 563 e segg.<br />

(13) Per un panorama esaustivo delle problematiche connesse alle prove atipiche L. ARIOLA, Le prove atipiche nel processo civile, Torino, 2<strong>00</strong>8,<br />

pagg. 1<strong>00</strong> e segg., B. CAVALLONE, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, pagg. 335 e segg., M. TARUFFO, Prove atipiche e convincimento<br />

del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, pag. 389 e segg., nonché in La prova dei fatti giuridici, op. cit., Milano, 1992, pag. 377 e segg., G. RICCI,<br />

Le prove illecite nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, pag. 34 e segg.<br />

(14) In dottrina sull’esistenza della regola M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992, pag. 334 e segg.<br />

15


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

notazione atipica può inerire al modo, al metodo<br />

ed alla forma dell’assunzione o dell’acquisizione di<br />

una prova, i quali si distinguono ontologicamente<br />

dai “procedimenti tipici”, regolati dall’ordinamento<br />

positivo, ovvero vi si conformano soltanto apparentemente,<br />

non riproducendone gli essenziali<br />

requisiti di legittimità. Tuttavia - con riguardo a<br />

quest’ultimo aspetto - il caso di specie si colloca<br />

in una dimensione parzialmente diversa. La prova<br />

atipica si identifica con una prova che non trova<br />

riscontro nella previsione normativa, mentre la<br />

prova tipica viziata non si trasforma in atipica,<br />

ma rimane comunque una prova tipizzata non<br />

formatasi in modo valido 13 . I tabulati telefonici di<br />

cui si discute, seppur in ipotesi (non riscontrata<br />

in istruttoria) illegalmente acquisiti, configurano<br />

prove tipiche in ipotesi viziate perché formatesi<br />

in modo illegittimo, in una fase pre-processuale,<br />

del tutto estranea al giudizio.<br />

Il ragionamento del giudice torinese ripercorre,<br />

in modo puntuale, il dibattito sulla categoria<br />

dell’inutilizzabilità delle prove nel processo penale<br />

(che discende dalla violazione di uno specifico<br />

divieto stabilito dalla legge processuale), sulla<br />

scorta della giurisprudenza statunitense che è<br />

giunta ad espungere dal processo penale “per<br />

ragioni di contagio genetico” prove teoricamente<br />

disponibili ed utili. L’impostazione è condivisibile,<br />

giungendo ad essere pacifica in giurisprudenza<br />

(non constano orientamenti contrari), laddove<br />

si riconosce l’esistenza di una regola (comune, tra<br />

l’altro, agli ordinamenti di common e civil law) secondo<br />

la quale ogni prova utile per l’accertamento<br />

giudiziale deve ritenersi ammissibile 14 . Altresì, in<br />

un’ottica diametralmente opposta, è corretto far<br />

discendere dalla valutazione negativa circa tale<br />

utilità, rispetto all’accertamento richiesto, l’inammissibilità<br />

della prova stessa. Tale concezione<br />

mette in luce, secondo una corretta gerarchia di<br />

“valori”, la strumentalità delle acquisizioni pro-<br />

Approfondimenti<br />

batorie rispetto all’accertamento della c.d. “verità<br />

materiale”, a cui tende il giudizio - in particolare,<br />

in ambito giuslavoristico - caratterizzato da una<br />

pregnante accelerazione dell’iter cognitivo attraverso<br />

una serie di caratteristiche che investono<br />

l’intero svolgimento del processo. Un ulteriore e<br />

convincente argomento risiede nell’ammissibilità<br />

nel nostro ordinamento processuale delle prove<br />

atipiche (esplicita per il processo penale ex art.<br />

189 c.p.p. ed implicita, in dipendenza dell’assenza<br />

di una norma inderogabile che configuri come<br />

numerus clausus l’ambito delle prove espressamente<br />

disciplinate, per il processo civile). Non<br />

si comprenderebbe un diverso “trattamento” da<br />

riservarsi alla questione dell’ammissibilità delle<br />

prove precostituite illecite. Ed ancora, è opportuno<br />

precisare, secondo una chiave di lettura “sistemica”,<br />

che nell’ordinamento processuale civile (a<br />

differenza di quello penale) non esistono divieti<br />

probatori che consentano al giudice di espellere<br />

dal giudizio le prove precostituite illecite. Anzi,<br />

quando il legislatore abbia voluto introdurre specifiche<br />

regole di inutilizzabilità probatoria, lo ha<br />

esplicitamente enunciato (ad es. nel caso degli<br />

artt. 222 e 216 c.p.c.), in un ordinamento quale<br />

il nostro in cui vige il principio di “libertà della<br />

prova”. Il dato non può considerarsi irrilevante,<br />

bensì, al contrario, deve qualificarsi come una<br />

precisa opzione legislativa finalizzata a massimizzare<br />

il risultato dell’accertamento giudiziario,<br />

onde evitare che il processo s’allontani dal suo<br />

ontologico obiettivo.<br />

Il rango costituzionale dei valori in gioco, il diritto<br />

alla riservatezza da un lato ed il diritto alla tutela<br />

giurisdizionale (ed alla difesa) dall’altro, non può<br />

essere che una conferma della necessità di un<br />

intervento normativo, che introduca un preciso<br />

criterio di prevalenza. In assenza, ogni iniziativa<br />

giudiziaria sarebbe ultronea rispetto al potere ad<br />

essa conferito.<br />

16


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Il licenziamento motivato da finalità<br />

di riduzione dei costi<br />

Con la sentenza n. 17962 del 31 gennaio 2<strong>00</strong>8 la<br />

Sezione <strong>Lavoro</strong> della Corte di Cassazione è ritornata<br />

sul tema del licenziamento per giustificato<br />

motivo oggettivo determinato da riorganizzazione<br />

interna con smembramento delle mansioni del<br />

licenziato tra gli altri lavoratori, per affermarne<br />

la legittimità. L’intervento offre quindi lo spunto<br />

per ripercorrere gli orientamenti giurisprudenziali<br />

sul tema, talvolta contrastanti, soffermandosi in<br />

particolare sui casi di licenziamenti determinati<br />

da ragioni di riduzione dei costi aziendali.<br />

È nota, infatti, come controversa, la questione<br />

se costituisca giustificato motivo oggettivo la<br />

minore onerosità della nuova scelta organizzativa<br />

datoriale. È stato infatti osservato 1 al proposito<br />

che “l’orientamento negativo è minoritario, ma<br />

vanta una rilevante presa di posizione della Corte<br />

di Cassazione, la quale si è pronunciata a Sezioni<br />

Unite” (nel 1994).<br />

L’argomento merita quindi particolare attenzione<br />

e si procederà perciò illustrando dapprima la sentenza<br />

in commento e poi procedendo con ordine<br />

nell’esame delle questioni dibattute.<br />

La sentenza de qua riguarda il caso di due autisti<br />

che erano stati licenziati nel 2<strong>00</strong>2 per giustificato<br />

motivo oggettivo, i quali si erano opposti ai licenziamenti,<br />

sostenendo, tra gli altri argomenti, che<br />

si sarebbe violato il disposto dell’art. 3 della Legge<br />

PIETRO SCUDELLER<br />

Approfondimenti<br />

15 luglio 1966 n. 604 in quanto “il licenziamento<br />

non può essere giustificato dalla finalità dell’incremento<br />

dei profitti; né è sufficiente giustificazione<br />

il ridimensionamento dell’attività: è da provare<br />

(piuttosto) la necessità della soppressione dei<br />

posti di lavoro ai quali erano addetti i singoli<br />

ricorrenti”. La Corte, nel rigettare il ricorso, ha<br />

richiamato i seguenti suoi precedenti arresti:<br />

“nella nozione di giustificato motivo oggettivo<br />

di licenziamento è riconducibile anche l’ipotesi<br />

del riassetto organizzativo dell’azienda attuato al<br />

fine d’una più economica gestione della stessa, e<br />

deciso dall’imprenditore non semplicemente per<br />

un incremento del profitto, bensì per far fronte a<br />

sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti,<br />

influenti in modo determinante sulla normale<br />

attività produttiva, imponendo la riduzione dei<br />

costi; questo motivo oggettivo è rimesso alla<br />

valutazione del datore; e la scelta dei criteri di<br />

gestione dell’impresa, essendo espressione della<br />

libertà d’iniziativa economica tutelata dall’art.<br />

41 Cost., non è sindacabile dal giudice, che ha<br />

il compito di accertare solo la reale sussistenza<br />

del motivo addotto dall’imprenditore” (Cass. 2<br />

ottobre 2<strong>00</strong>6 n. 21282); “ai fini della configurabilità<br />

del giustificato motivo oggettivo non è<br />

necessario che siano soppresse tutte le mansioni<br />

in precedenza attribuite al lavoratore licenziato,<br />

ben potendo le stesse essere solo diversamente<br />

(1) Da LUNARDON e SANTINI, in Diritto del lavoro - Commentario diretto da Franco Carinci, III, Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del<br />

reddito, estinzione e tutela dei diritti, UTET, 2<strong>00</strong>7, cap. IV, p. 262.<br />

17


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

ripartite ed attribuite” (Cass. 2 ottobre 2<strong>00</strong>6 n.<br />

21282; Cass. n. 21121 del 2<strong>00</strong>4; Cass. 15 novembre<br />

1993 n. 11241; Cass. n. 13021 del 2<strong>00</strong>1; Cass.<br />

n. 4670 del 2<strong>00</strong>1).<br />

Con affermazione innovativa, la Corte, anche<br />

“considerando il diritto datorile di assegnare al<br />

dipendente (nei limiti dell’art. 2103 cod. civ.)<br />

mansioni equivalenti” ha poi aggiunto che “il<br />

rapporto di causalità (che nell’art. 3 della Legge<br />

15 luglio 1966 n. 604 è espresso con la parola<br />

‘determinato’) fra licenziamento ed attività produttiva<br />

(od organizzazione del lavoro) coinvolge<br />

l’intera struttura aziendale con le sue finalità e le<br />

sue conseguenti esigenze. Può pertanto delinearsi<br />

anche in relazione a settori diversi da quello cui<br />

il lavoratore era assegnato”.<br />

Conclude quindi la Corte affermando altresì, da<br />

un lato, che “nell’ambito della riorganizzazione<br />

aziendale determinata da oggettiva situazione di<br />

crisi, la scelta datorile legittima, nel quadro della<br />

redistribuzione delle mansioni, anche la conservazione<br />

delle mansioni svolte dal lavoratore licenziato,<br />

attraverso l’accorpamento con altre mansioni<br />

complessivamente assegnate ad altro lavoratore<br />

dell’azienda”; dall’altro lato, che “la necessità dell’azienda<br />

di assicurare, ed in elevato grado, qualità<br />

e sicurezza del servizio, anche al fine di presentarsi<br />

competitiva sul mercato ed evitare perdite, ha<br />

fondamento nella stessa esistenza e sopravvivenza<br />

dell’impresa. La scelta aziendale fondata su questa<br />

necessità rientra pertanto nello spazio della tutela<br />

costituzionale (art. 41 Cost.)”.<br />

Accertato quindi che nel caso di specie vi era stato<br />

un effettivo calo di fatturato per calo di commesse,<br />

ancorché esso non avesse determinato la soppressione<br />

dei posti di lavoro specifici dei due autisti,<br />

la sentenza ha riconosciuto la legittimità dei loro<br />

licenziamenti, a seguito di assegnazione delle loro<br />

mansioni a personale dell’officina aziendale.<br />

La sentenza, come preannunciato, si inserisce<br />

dunque in uno stato del dibattito giurisprudenziale<br />

tutt’altro che univoco.<br />

Approfondimenti<br />

L’art. 3 della Legge n. 604 del 1966 contiene la<br />

nozione di giustificato motivo: “il licenziamento<br />

per giustificato motivo con preavviso é determinato<br />

da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali<br />

del prestatore di lavoro ovvero da ragioni<br />

inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione<br />

del lavoro ed al regolare funzionamento di essa”.<br />

Nella giurisprudenza, a tale proposito, va rilevato<br />

innanzitutto che non si trova una chiara definizione<br />

e distinzione delle tre previsioni finali della<br />

norma, integranti il motivo oggettivo, ricorrendo<br />

invece sovente il richiamo a generiche “esigenze<br />

aziendali”.<br />

Tradizionalmente si ritiene che in ipotesi di cessazione<br />

della esigenza di un determinato posto<br />

di lavoro, il relativo dipendente che fino a quel<br />

momento era ivi occupato, può essere legittimamente<br />

licenziato: così si ritiene legittimo sia il<br />

licenziamento che consegua ad una soppressione<br />

del posto di lavoro determinata da calo di commesse,<br />

sia se determinata da autonoma scelta<br />

imprenditoriale che, ad esempio, comporti la<br />

commissione all’esterno di un servizio fino a prima<br />

gestito internamente 2 .<br />

Il contrasto giurisprudenziale si é manifestato invece<br />

in relazione al caso in cui le mansioni di un<br />

dipendente licenziato vengano redistribuite tra gli<br />

altri dipendenti rimasti: si possono, per tale fattispecie,<br />

individuare tre filoni giurisprudenziali.<br />

Secondo il primo di essi il licenziamento, in<br />

quanto volto soltanto ad un maggior profitto imprenditoriale,<br />

risulterebbe illegittimo: così è per<br />

Cass. SS. UU. 11.04.1994, n. 3353 (in FI 1994, I,<br />

1352), pronunciatasi nel caso di un insegnante di<br />

una scuola gestita con fini di lucro da una congregazione<br />

religiosa, che aveva affidato, nell’intento<br />

di realizzare economie di gestione, lo stesso posto<br />

di lavoro ad un religioso che, in quanto membro<br />

dell’organizzazione, prestava la propria attività<br />

senza retribuzione.<br />

Così è pure per Pret. Vicenza, 17.2.1995, RGL VE,<br />

1996, 71, secondo la quale “se la modifica è dovuta<br />

(2) Vedi, per tutti tali casi, la giurisprudenza citata da A. VALLEBONA, in Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, Cedam, 2<strong>00</strong>5,<br />

pag. 406/407 (e nota 84). Merita solo richiamare la specificazione dell’Autore circa il fatto che la soppressione del posto di lavoro “non significa<br />

necessariamente soppressione delle mansioni già svolte da quest’ultimo, …essendo sufficiente che siano eliminate quelle prevalenti e caratterizzanti<br />

la posizione lavorativa cui era addetto il dipendente licenziato: Cass. 17 dicembre 1997 n. 12764, MGL, 1998, suppl., 21”.<br />

18


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

a mere esigenze economiche consistenti nella<br />

riduzione del costo del lavoro, dimostrata dalla<br />

prosecuzione dell’attività nella nuova attività<br />

produttiva con le stesse modalità della precedente<br />

soppressa, non vi è giustificato motivo oggettivo”.<br />

Nello stesso senso anche: Cass. 30.07.2<strong>00</strong>1 n.<br />

10371 in un caso di licenziamento intimato per<br />

liberare il posto al figlio del datore di lavoro, per<br />

prepararlo alla successione; Cass. 24/6/1995, n.<br />

7199, nel caso di un licenziamento dell’unica<br />

addetta alle pulizie, affidate ad altri lavoratori;<br />

nonché Pret. Brescia 7/3/1980 e Pretura Milano<br />

15/2/1980.<br />

Negativa anche Cass. 29.07.1990, n. 7540 (in<br />

RGL, 1991, II, 305) in un caso di riduzione del<br />

numero di dipendenti per mantenere la natura di<br />

impresa artigiana e le conseguenti agevolazioni<br />

contributive e fiscali.<br />

Parimenti é stato considerato illegittimo il licenziamento<br />

di una cassiera da parte di una S.r.l.,<br />

deciso per una riduzione dei costi, da realizzare<br />

con il personale impegno dei soci a rotazione nel<br />

servizio di cassa, nonché con l’ausilio occasionale<br />

del lavoro di altri dipendenti preesistenti e grazie<br />

alla semplificazione dell’impegno per l’introduzione<br />

di un elaboratore elettronico (Cass. n. 4164<br />

del 18/04/1991, DPL, 1991, 1619).<br />

Per un secondo filone, invece, che appare peraltro<br />

prevalente, “nella nozione di giustificato motivo<br />

oggettivo rientrano anche i riassetti attuati per<br />

la più economica gestione dell’impresa”, purché,<br />

tuttavia, essi non siano “pretestuosi e meramente<br />

strumentali ad incrementi dei profitti, bensì<br />

funzionali a fronteggiare situazioni sfavorevoli<br />

non contingenti”: rientrano in questo filone, ad<br />

esempio: Cass. 7.7.2<strong>00</strong>4, n. 12514, DRI, 2<strong>00</strong>5,<br />

456; Cass. 17.03.2<strong>00</strong>1, n. 3899, LPO, 10, 2<strong>00</strong>1,<br />

1415; Cass. 13.11.1999, n. 12603, OGL, 2<strong>00</strong>0, I,<br />

186; Cass. 23.6.1998, n. 6222; Cass. 28.3.1996,<br />

n. 2796; Cass. 20.12.1995, n. 12999, LG, 1996,<br />

506; Cass. 24.6.1994, n. 6067, NGL, 1995, 87;<br />

Cass. 3.11.1992, n. 11909, NGL, 1993, 90;<br />

Cass. 5.4.1990, n. 2824, RGL, 1991, II, 306;<br />

Trib. Milano, 23.7.1999, LG, 1999, 1164; Pret.<br />

Parma, 16.2.1996, LG, 1996, 658; Pret. Roma,<br />

(3) Citate anche alla nota 1.<br />

Approfondimenti<br />

23.3.1995, RCDL, 1995, 1054 3 ; e ancora Cass.<br />

17 maggio 2<strong>00</strong>3, n. 7750; Cass. 17 agosto 1998,<br />

n. 8057; Cass. 18.11.1998, n. 11646; Cass. 27.11.<br />

1996, n. 10527; Cass. 15/11/1993 n. 11241; Cass.<br />

26/1/1989, n. 462; Cass. SS.UU. 9/12/1986, n.<br />

7295; Pret. Roma 22/3/1994.<br />

Secondo questo filone “non è necessario che<br />

vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza<br />

attribuite al lavoratore licenziato, atteso che le<br />

stesse ben possono essere soltanto diversamente<br />

ripartite e attribuite nell’ambito del personale già<br />

esistente” (Cass., 14 giugno 2<strong>00</strong>0, n. 8135).<br />

Infine vi è un terzo filone giurisprudenziale, ancor<br />

più minoritario del primo, secondo il quale anche<br />

modifiche organizzative finalizzate esclusivamente ad<br />

un incremento dei profitti consentono licenziamenti<br />

legittimi: Cass. 11.4.2<strong>00</strong>3, n. 5777, OGL, 2<strong>00</strong>3, I,<br />

604 e Trib. Sulmona 21.9.2<strong>00</strong>4, LG, 2<strong>00</strong>5, 89.<br />

Dunque pare di capire dal primo orientamento citato,<br />

contrario al mero perseguimento del profitto,<br />

come pure dal secondo orientamento suddetto,<br />

predominante, che legittima il perseguimento del<br />

maggior profitto purché esso si accompagni ad una<br />

necessità di far fronte ad un qualche evento sfavorevole,<br />

che occorra sempre un qualche fattore<br />

esterno che giustifichi e sia causa della decisione<br />

di riduzione dei costi tramite il licenziamento;<br />

mentre non sarebbe sufficiente a giustificare il<br />

medesimo la mera decisione del datore di lavoro<br />

di voler contenere i costi ed aumentare i profitti,<br />

di per sé (salvo, appunto, che per le scarsissime<br />

sentenze del terzo filone giurisprudenziale).<br />

Ma ci si deve chiedere allora: vi è una differenza<br />

ontologica reale tra la situazione del datore di lavoro<br />

che decide, d’amblais, di licenziare un dipendente,<br />

ripartendo internamente le sue mansioni,<br />

al fine di ottimizzare la gestione imprenditoriale<br />

della sua azienda e massimizzare o migliorare i<br />

profitti, e la situazione di una decisione del tutto<br />

analoga che venga presa tuttavia solo a fronte di<br />

una crisi aziendale ovverossia di una situazione di<br />

difficoltà non contingente?<br />

La riposta, a mio modesto parere, deve essere<br />

negativa. Nel primo caso, infatti, l’imprenditore<br />

19


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

(o datore di lavoro in genere), riorganizza meglio<br />

la sua azienda per ottenere un maggior profitto<br />

(senza necessità di fattori esterni scatenanti); nel<br />

secondo caso fa la stessa cosa, allo scopo però di<br />

limitare una perdita o di compensare minori entrate<br />

con minori costi, puntando comunque ad un<br />

maggior profitto. In entrambi i casi c’è una somma<br />

algebrica di fattori positivi e di fattori negativi,<br />

di più e di meno (di ricavi e di costi) che, nel<br />

risultato algebrico dato dal bilancio finale, sarà<br />

comunque più favorevole per il datore di lavoro.<br />

Non si comprende quindi perché il risultato finale<br />

più economicamente favorevole (maggior utile<br />

o minor perdita) perseguito dal datore di lavoro<br />

con il licenziamento, e cioè con un taglio di costi<br />

ritenuti superflui, debba essere dalla giurisprudenza<br />

considerato legittimo o illegittimo a seconda che<br />

esso sia accompagnato o meno da un quid pluris, individuato<br />

volta per volta nella crisi aziendale, nella<br />

necessità di far fronte ad una situazione sfavorevole<br />

di mercato, in un calo di commesse o di fatturato,<br />

ecc., cioè in quelle che vengono definite “situazioni<br />

sfavorevoli sopravvenute e non contingenti”.<br />

Cosicché il licenziamento perderebbe, invece,<br />

la sua legittimità, se la scelta è indipendente da<br />

questi fattori ulteriori.<br />

Invero, se si ammette, come riconosciuto dalla<br />

sentenza in commento, che “la necessità dell’azienda<br />

di assicurare, ed in elevato grado, qualità<br />

e sicurezza del servizio, anche al fine di presentarsi<br />

competitiva sul mercato ed evitare perdite, ha<br />

fondamento nella stessa esistenza e sopravvivenza<br />

dell’impresa. La scelta aziendale fondata su questa<br />

necessità rientra pertanto nello spazio della tutela<br />

costituzionale (art. 41 Cost.)”, allora si dovrebbe<br />

trarre la conseguenza che ogni licenziamento,<br />

che non sia - ovviamente - seguito da assunzioni<br />

sostitutive di pari o maggior costo, comporta un<br />

taglio di costi aziendali e quindi attua di per sé<br />

un riassetto organizzativo che rientra tra le libere<br />

ed insindacabili prerogative del datore di lavoro,<br />

tutelate dalla libertà di iniziativa economica<br />

costituzionalmente garantita (senza necessità di<br />

alcun quid pluris esterno).<br />

Approfondimenti<br />

Conforme a queste conclusioni, peraltro, pare<br />

essere anche la sentenza 21 settembre 2<strong>00</strong>7 del<br />

Tribunale di Treviso n. 281 4 , nella quale, ancorché<br />

riguardante una dirigente 5 , che s’era trovata licenziata<br />

al termine della sua assenza per gravidanza,<br />

il giudice ha confermato la liceità del licenziamento,<br />

il quale era stato espresso con la seguente<br />

motivazione: “Le comunichiamo che la nostra<br />

società si è determinata a riorganizzare l’attività<br />

di Merchandising con la finalità di garantire la<br />

massima efficacia delle attività merchandising e<br />

contestualmente ottimizzare i processi decisionali<br />

interni e snellire le procedure, con l’obiettivo di<br />

migliorare il rapporto costi-benefici. A tal fine si<br />

è deciso di sopprimere la “Direzione Merchandising”<br />

ed accorpare la responsabilità della stessa<br />

nella posizione superiore e cioè nella “Direzione<br />

Marketing” che, a seguito di ciò, ha assunto il<br />

nome di “Direzione Marketing e Merchandising”.<br />

Ne consegue pertanto la soppressione della sua<br />

posizione lavorativa, appunto nella veste di responsabile<br />

della soppressa “Direzione Merchandising”.”<br />

Un licenziamento espressamente motivato,<br />

dunque, dall’obiettivo di migliorare il rapporto<br />

costi-benefici, viene ritenuto non pretestuoso e<br />

degno di tutela.<br />

Va ripetuto che, forse, la decisione del giudice<br />

avrebbe potuto cambiare se anziché d’un dirigente<br />

si fosse trattato di un impiegato o operaio,<br />

dovendosi quindi far applicazione della nozione di<br />

giustificato motivo oggettivo anziché di quella di<br />

giustificatezza del licenziamento. Tuttavia il caso<br />

permette di proseguire nel nostro ragionamento,<br />

in quanto consente di osservare che la soluzione<br />

non avrebbe dovuto variare se il giudice avesse<br />

potuto far applicazione del canone, appena richiamato,<br />

della Cassazione, secondo cui, anche<br />

in tema di giustificato motivo oggettivo, “la<br />

necessità dell’azienda di assicurare, ed in elevato<br />

grado, qualità e sicurezza del servizio, anche al fine<br />

di presentarsi competitiva sul mercato ed evitare<br />

perdite” vale quale giustificato motivo oggettivo<br />

di licenziamento.<br />

(4) Dott.ssa CLOTILDE PARISE, pubblicata in Diritti (Unindustria Treviso) n. 8/2<strong>00</strong>8, p. 126, con commento di VANIA BRINO.<br />

(5) Venendo quindi in esame la nozione di “giustificatezza” del licenziamento, diversa e distinta, invero, dalla nozione di giustificato motivo<br />

oggettivo.<br />

20


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

D’altra parte richiedere quel quid pluris, di cui si<br />

diceva poco sopra, appare come un limitare le scelte<br />

organizzative del datore di lavoro almeno in senso<br />

temporale: equivale cioè a ritenere che se il datore di<br />

lavoro ha assunto una persona, la sua scelta diventi<br />

irrevocabile ed immodificabile se non in presenza di<br />

quel quid pluris; se infatti la sua scelta di licenziare<br />

la stessa persona, assegnando le stesse mansioni al<br />

restante personale, avviene in assenza di ogni quid<br />

pluris e per un semplice ripensamento organizzativo<br />

da parte del datore di lavoro, ritenere che in tal<br />

caso la scelta di licenziare sia illegittima equivale a<br />

proibire i ripensamenti, a distanza di un certo tempo<br />

dalla precedente scelta, dell’imprenditore: il che appare<br />

senz’altro in contrasto con la giusta e tralaticia<br />

affermazione giurisprudenziale della insindacabilità<br />

delle scelte organizzative datoriali.<br />

Pur avvertendo del prevalente diverso orientamento<br />

giurisprudenziale, di cui fa parte anche la<br />

sentenza in commento, pare a chi scrive, quindi<br />

ed in definitiva, che nelle “ragioni inerenti l’organizzazione<br />

del lavoro e il regolare funzionamento<br />

di essa” di cui all’art. 3 della L. 604/1966 debbano<br />

poter rientrare tutte le decisioni del datore di<br />

lavoro di licenziamenti per soppressione di posti<br />

di lavoro, volte ad una riduzione dei costi, anche<br />

con redistribuzione delle mansioni (indipendentemente<br />

dalla sopravvenienza di situazioni sfavorevoli).<br />

Fermo restando che il limite della non<br />

pretestuosità del licenziamento andrà ricercato,<br />

non tanto nelle situazioni sfavorevoli aziendali,<br />

cioè il quid pluris detto sopra (che, non essendo<br />

richiesto, consentirà anche, a maggior ragione,<br />

licenziamenti relativi a reparti non direttamente<br />

incisi dalla crisi o dalle altre situazioni sfavorevoli),<br />

quanto soltanto nella serietà e correttezza<br />

della scelta datorile, il cui indice principale sarà<br />

dato da una sufficiente stabilità temporanea di essa<br />

Approfondimenti<br />

(id est dall’assenza di sostituzioni, per un congruo<br />

periodo, dei licenziati, significativa di una effettiva<br />

superfluità, sulla base di determinate scelte<br />

organizzative, del lavoratore licenziato).<br />

In altre parole, si va qui sostenendo che il numero<br />

dei dipendenti di un’azienda è sempre un aspetto<br />

dell’organizzazione di essa che compete, in modo<br />

insindacabile, al datore di lavoro. Perciò sempre<br />

insindacabili dovrebbero essere altresì le scelte di<br />

adeguamento, in aumento o in diminuzione, del<br />

personale alle effettive esigenze aziendali.<br />

Dov’è quindi che trova tutela la contrapposta<br />

esigenza del lavoratore alla tendenziale durata<br />

indeterminata del suo rapporto e quindi a non<br />

essere licenziato per motivi futili o pretestuosi?<br />

Nel fatto, a parere di chi scrive, che la riduzione<br />

del o dei posti di lavoro, sia accompagnata da una<br />

riorganizzazione aziendale, che ben può consistere<br />

anche nella redistribuzione al personale rimasto<br />

(come nell’affidamento all’esterno) delle mansioni<br />

del licenziato, e dal fatto che tale riorganizzazione<br />

sia tendenzialmente stabile, cioè non venga<br />

variata nuovamente se non in presenza di ulteriori,<br />

sopraggiunte esigenze aziendali; al fine, appunto,<br />

di evitare un abuso del potere organizzativo<br />

del datore di lavoro da parte dello stesso (come<br />

accadrebbe, all’evidenza, in caso di variazioni<br />

continue, o di quasi immediata sostituzione del<br />

lavoratore con altro successivo, ecc.).<br />

Il mero perseguimento del (maggior) profitto,<br />

quindi, non deve essere visto con disvalore,<br />

servendo invece a rendere più competitive le<br />

organizzazioni del lavoro (con beneficio, almeno<br />

teorico o tendenziale, per i consumatori) ed essendo<br />

connaturato alle finalità d’impresa; mentre<br />

possono e ben devono essere puniti i comportamenti<br />

datorili scorretti o abusivi.<br />

21


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

L’impugnazione della cartella<br />

di pagamento per i contributi Inps<br />

1. Le informazioni sulla cartella di pagamento<br />

La cartella di pagamento è notificata dall’agente<br />

della riscossione per conto della sede dell’INPS<br />

che ha formato il ruolo.<br />

Pertanto, l’agente della riscossione è il tramite tra<br />

l’ente previdenziale e il debitore; l’agente della riscossione<br />

può fornire soltanto notizie sulla situazione<br />

dei pagamenti, ma per avere informazioni sugli<br />

addebiti è necessario rivolgersi alla sede dell’INPS<br />

indicata nella sezione “dettaglio degli addebiti”.<br />

2. Il pagamento<br />

Il pagamento deve essere effettuato, in rata unica,<br />

entro 60 giorni dalla data in cui la notifica è<br />

stata effettuata, onde evitare l’addebito di somme<br />

aggiuntive e degli interessi di mora.<br />

Nel caso di mancato pagamento entro la scadenza,<br />

l’agente della riscossione procede all’esecuzione<br />

forzata nonché al fermo amministrativo di beni<br />

mobili registrati (ad esempio, le autovetture), all’ipoteca<br />

sugli immobili di proprietà del debitore<br />

e ad acquisire presso i suoi debitori notizie utili sui<br />

crediti che l’interessato ha nei loro confronti.<br />

3. Il ricorso<br />

Dopo aver verificato il contenuto della cartella di<br />

pagamento ed aver constatato i dati in suo possesso,<br />

il debitore che si intende leso nelle sue ragioni, ai<br />

sensi dell’art. 24, comma 5, del D.Lgs. 26/2/1999,<br />

n. 46, può proporre opposizione contro l’iscrizione<br />

SERGIO MOGOROVICH<br />

Approfondimenti<br />

a ruolo entro il termine di 40 giorni (e non di 60<br />

giorni!) dalla data di notifica dell’atto.<br />

La procedura di opposizione è disciplinata dagli artt.<br />

442 e seguenti del codice di procedura civile.<br />

L’opposizione contro l’iscrizione a ruolo per motivi<br />

di merito va proposta contro l’INPS, che è l’ente impositore,<br />

e la “Società di cartolarizzazione dei crediti<br />

INPS-S.C.C.I. S.p.A., che è la cessionaria dei crediti<br />

contributivi, quale litisconsorte necessaria ai sensi<br />

dell’art. 13, comma 8, della L. 23/12/1998, n. 488 (la<br />

cui sede legale è Largo Chigi n. 5-<strong>00</strong>1<strong>00</strong> Roma).<br />

La proposizione del ricorso non sospende la riscossione.<br />

Pertanto, la procedura può essere richiesta<br />

in sede contenziosa: nel corso del giudizio di<br />

primo grado il Giudice del lavoro può sospendere<br />

l’esecuzione del ruolo per gravi motivi; in tal caso,<br />

il ricorrente deve notificare il provvedimento di<br />

sospensione all’agente della riscossione che ha<br />

emesso la cartella, secondo quanto è stabilito<br />

dall’art. 24, commi 6 e 7, del citato D.Lgs.<br />

3.1 La sospensione in via amministrativa<br />

Il debitore può presentare alla sede dell’INPS che ha<br />

emesso il ruolo una richiesta di adozione di provvedimenti<br />

amministrativi di sospensione e di sgravio.<br />

L’istanza, da redigere in carta semplice, deve contenere<br />

le seguenti indicazioni:<br />

le generalità e il codice fiscale del debitore;<br />

il rappresentante legale, se chi propone il ricorso<br />

è una società o un ente;<br />

22


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

la residenza o la sede legale o il domicilio eventualmente<br />

eletto;<br />

le motivazioni della richiesta.<br />

3.2 Il pagamento rateale<br />

In base alle modifiche recate con l’art. 36 del<br />

D.L. 31/12/2<strong>00</strong>7, n. 248, ai sensi dell’art. 19 del<br />

D.P.R. 29/9/1973, n. 602, il debitore può chiedere<br />

al concessionario, purché sussista la condizione di<br />

temporanea ed obiettiva difficoltà, di beneficiare<br />

del pagamento frazionato in un massimo di 72<br />

rate, secondo le procedure indicate nella direttiva<br />

Equitalia 27/3/2<strong>00</strong>8, n. 2070.<br />

Va tenuto presente che l’art. 83, comma 23, del<br />

D.L. 25/6/2<strong>00</strong>8, n. 112, ha soppresso l’obbligo della<br />

garanzia di una polizza fideiussoria o di una fideiussione<br />

bancaria o di una garanzia di ipotecaria.<br />

La richiesta di rateazione può essere avanzata anche<br />

per crediti sottoposti a procedura esecutiva.<br />

Questa regola si applica anche alle entrate iscritte<br />

a ruolo dagli enti previdenziali in quanto la norma<br />

vuole la presenza di un unico interlocutore e regole<br />

uniche anche nell’eventualità della presenza di<br />

una pluralità di debiti (cioè fiscali, previdenziali<br />

e di altra natura).<br />

Tuttavia, la norma non ha esplicitamente abrogato<br />

la facoltà dell’INPS di concedere la rateazione<br />

del pagamento dei soli contributi previdenziali.<br />

Pertanto, l’istituto della rateazione presenta una<br />

duplice procedura in quanto, alternativamente, la<br />

pratica può essere istituita dall’INPS o dall’agente<br />

della riscossione.<br />

Anteriormente all’invio della procedura esecutiva<br />

il debitore può presentare una domanda di<br />

rateazione delle somme iscritte a ruolo utilizzando<br />

l’apposita modulistica predisposta dall’INPS cui<br />

va allegata la fotocopia della cartella.<br />

In pratica, la disciplina del pagamento frazionato<br />

è strutturata come risulta dalla seguente tabella.<br />

3.3 La rateazione dei contributi previdenziali<br />

A) Crediti non iscritti a ruolo<br />

rateazione fino ad un massimo di 24 mensilità<br />

ovvero di un prolungamento fino a 36 rate<br />

Approfondimenti<br />

dietro parere del Ministero del lavoro e delle<br />

politiche sociali (art. 2, comma 11, della L.<br />

7/12/1989, n. 389);<br />

rateazione fino a 60 mensilità, per particolari<br />

specifici casi, previa autorizzazione del Ministero<br />

del lavoro e delle politiche socili (art. 116,<br />

comma 17, della L. 23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388).<br />

B) Crediti iscritti a ruolo<br />

competenza dell’INPS: rateazione fino a 60<br />

mensilità, con provvedimento motivato dell’Ente<br />

(art. 3, comma 3-bis, della L. 8/8/2<strong>00</strong>2,<br />

n. 178);<br />

competenza dell’agente della riscossione: rateazione<br />

fino a 72 mensilità nei confronti di debitori<br />

in temporanea condizione di obiettiva difficoltà<br />

(art. 19 del D.P.R. 29/9/1973, n. 602).<br />

La domanda rivolta all’agente della riscossione è<br />

esente dall’imposta di bollo e deve avere per oggetto<br />

la totalità degli importi iscritti a ruolo residui<br />

per i quali è già scaduto il termine per effettuare<br />

il pagamento (cioè dopo il decorso del termine di<br />

60 giorni dalla data di notifica della cartella) al<br />

netto degli importi già versati.<br />

Il debitore iscritto a ruolo sia dall’INPS che da altri<br />

enti (ad esempio, l’Agenzia delle Entrate) può beneficiare<br />

del pagamento rateale per questo ultimo<br />

debito soltanto se documenta di aver già chiesto<br />

la rateazione contributiva all’ente previdenziale;<br />

tuttavia, questa procedura può essere evitata<br />

qualora richieda all’agente della riscossione la<br />

concessione della rateazione sia contributiva sia<br />

di altra natura.<br />

La prima rata comprende l’intero ammontare delle<br />

seguenti poste:<br />

le sanzioni civili di cui all’art. 27, comma 1, del<br />

D.Lgs. 26/2/1999, n. 46, in luogo degli interessi di<br />

mora di cui all’art. 30 del D.P.R. 29/9/1973, n. 602;<br />

gli aggi di riscossione di cui all’art. 17, commi<br />

da 1 a 3-bis, del D.Lgs. 13/4/1999, n. 112, sulle<br />

somme iscritte a ruolo residue, per la parte a<br />

carico del debitore;<br />

le spese per le procedure di riscossione coattiva<br />

di cui all’art. 17, comma 6, del D.Lgs.<br />

13/4/1999, n. 112, calcolate tenendo conto,<br />

ai sensi dei punti n. 18 e n. 19 della Tabella A<br />

23


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

allegata al D.D. 21/11/2<strong>00</strong>0, anche delle spese<br />

di cancellazione dell’ipoteca iscritta anteriormente<br />

alla concessione della rateazione;<br />

i diritti di notifica della cartella di pagamento.<br />

3.4 Le modalità di calcolo<br />

A) La L. 23/12/1996, n. 662<br />

Le ulteriori somme aggiuntive per ritardato pagamento,<br />

che sostituiscono gli interessi di mora,<br />

vanno conteggiate come segue:<br />

va determinato il numero dei giorni che intercorre<br />

tra la data della notifica e la data del<br />

pagamento;<br />

tale numero va moltiplicato per il tasso vigente<br />

e per l’importo di ciascun contributo da versare<br />

e il risultato va diviso per 365<strong>00</strong>;<br />

va verificato che tale importo sia inferiore o<br />

uguale a quello indicato come “ulteriore somma<br />

aggiuntiva”, esposto nella sezione “Dettaglio<br />

degli addebiti” della cartella di pagamento,<br />

per ogni contributo interessato e va effettuato<br />

il versamento.<br />

B) L’art. 116, comma 8, lettera a), L. 23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388<br />

Se è presente l’importo “ulteriore somma aggiuntiva”,<br />

gli oneri accessori (somme aggiuntive e/o<br />

interessi di mora) per ritardato pagamento, relativamente<br />

ad ogni contributo interessato, vanno<br />

conteggiati come segue:<br />

va determinato il numero dei giorni che intercorrono<br />

tra la data della notifica e la data del<br />

pagamento;<br />

tale numero va moltiplicato per il tasso vigente<br />

e per l’importo di ciascun contributo da versare<br />

e il risultato va diviso per 365<strong>00</strong>;<br />

va verificato che tale importo sia inferiore o<br />

uguale a quello indicato come “ulteriore somma<br />

aggiuntiva”, esposto nella sezione “Dettaglio<br />

degli addebiti” della cartella di pagamento,<br />

per ogni contributo interessato e va effettuato<br />

il versamento.<br />

Mediante tale conteggio, dopo che è stato raggiunto<br />

l’importo indicato come “ulteriore somma<br />

aggiuntiva”, è necessario effettuare un ulteriore<br />

calcolo, in ragione degli ulteriori giorni di ritardo<br />

Approfondimenti<br />

nel pagamento, applicando il tasso stabilito per<br />

gli interessi di mora soltanto sull’importo dovuto<br />

titolo di contributi e, quindi, va effettuato il<br />

versamento.<br />

Qualora non sia presente l’importo “ulteriore<br />

somma aggiuntiva”, in quanto il tetto massimo è<br />

stato già raggiunto, va effettuato il conteggio degli<br />

interessi di mora secondo le modalità indicate<br />

alla successiva lettera D). La stessa procedura di<br />

computo va seguita qualora sia presente la sola<br />

voce “interessi di mora”.<br />

C) L’art. 116, comma 8, lettera b), della L.<br />

23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388<br />

Se è indicato l’importo “ulteriore somma aggiuntiva”,<br />

gli oneri accessori (somme aggiuntive e/o<br />

interessi di mora) per ritardato pagamento, relativamente<br />

ad ogni contributo interessato, vanno<br />

conteggiati come segue:<br />

va determinato il numero dei giorni che intercorrono<br />

tra la data della notifica e la data del<br />

pagamento;<br />

tale numero va moltiplicato per il tasso vigente<br />

e per l’importo di ciascun contributo da versare<br />

e il risultato va diviso per 365<strong>00</strong>;<br />

va verificato che tale importo sia inferiore o<br />

uguale a quello indicato come “ulteriore somma<br />

aggiuntiva”, esposto nella sezione “Dettaglio<br />

degli addebiti” della cartella di pagamento,<br />

per ogni contributo interessato e va effettuato<br />

il versamento.<br />

Mediante tale conteggio, dopo che è stato raggiunto<br />

l’importo indicato come “ulteriore somma aggiuntiva”,<br />

è necessario effettuare un ulteriore calcolo, in ragione<br />

degli ulteriori giorni di ritardo nel pagamento,<br />

applicando il tasso stabilito per gli interessi di mora<br />

soltanto sull’importo dovuto a titolo di contributi.<br />

Qualora non sia presente l’importo “ulteriore<br />

somma aggiuntiva”, in quanto il tetto massimo è<br />

stato già raggiunto, va effettuato il conteggio degli<br />

interessi di mora secondo le modalità indicate<br />

alla successiva lettera D). La stessa procedura di<br />

computo va seguita qualora sia presente la sola<br />

voce “interessi di mora”.<br />

D) L’art. 116, comma 9, L. 23/12/2<strong>00</strong>0, n. 388<br />

Qualora per ogni contributo sia già stato raggiunto<br />

il tetto massimo previsto per le somme aggiunti-<br />

24


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

ve, gli interessi di mora vanno conteggiati come<br />

segue:<br />

va determinato il numero dei giorni che intercorrono<br />

tra la data della notifica e la data del<br />

pagamento;<br />

tale numero va moltiplicato per il tasso stabilito<br />

per gli interessi di mora in ragione d’anno, per<br />

l’importo del solo contributo e va diviso per<br />

365<strong>00</strong>;<br />

l’importo così calcolato va sommato agli importi<br />

che sono stati indicati nella cartella e,<br />

quindi, va effettuato il pagamento.<br />

Per effettuare il calcolo delle somme aggiuntive<br />

va fatto riferimento all’apposito provvedimento<br />

della Banca d’Italia con il quale è determinato il<br />

Tasso ufficiale di Riferimento (T.U.R.).<br />

Invece, per conoscere il tasso vigente per il calcolo<br />

degli interessi di mora va fatto riferimento<br />

all’apposito D.M.<br />

3.5 I compensi per l’agente della riscossione<br />

La normativa di riferimento è rappresentata dall’art.<br />

17, comma 3, del D.Lgs. 13/4/1999, n. 112,<br />

dal D.M. 17/11/2<strong>00</strong>6 e dal D.M. 4/8/2<strong>00</strong>0, nonché<br />

dal decreto 22/12/2<strong>00</strong>0 dall’Assessorato Bilancio<br />

e Finanze e della regione Sicilia.<br />

A carico del contribuente è previsto un aggio nella<br />

misura del 4,65% da conteggiarsi sulla cartella<br />

pagata entro il 60° giorno successivo alla data di<br />

notifica. Inoltre, nel caso di ritardato pagamento<br />

nella misura del 4,65% alla quale va aggiunta la<br />

percentuale a carico dell’ente impositore.<br />

Approfondimenti<br />

In base all’attuale normativa, la percentuale dei<br />

compensi a carico dell’INPS è diversificata in<br />

relazione alle diverse tipologie di ruoli emessi.<br />

Nel “Dettaglio degli addebiti”, all’interno del<br />

riquadro creato per ogni singola partita, accanto<br />

all’importo dovuto per contributi e/o sanzioni, è<br />

già calcolato il compenso che deve essere pagato<br />

all’agente della riscossione.<br />

Nel riquadro sottostante, invece, è riportata la<br />

stessa partita con lo stesso importo del debito ma<br />

non con a fianco il calcolo dell’aggio che deve essere<br />

corrisposto nell’ipotesi di pagamento tardivo,<br />

cioè oltre il 60° giorno dalla notifica.<br />

3.6 I compensi spettanti all’agente della riscossione<br />

A) Ruoli rateizzati:<br />

nel caso di pagamento tempestivo, l’aggio a<br />

carico del debitore si applica nella misura del<br />

4,65% mentre la percentuale residua è a carico<br />

dell’INPS;<br />

nel caso di pagamento tardivo delle rate, l’aggio<br />

è totalmente a carico del debitore nella misura<br />

del 7,15%.<br />

B) Ruoli coattivi:<br />

nel caso di pagamento tempestivo, l’aggio è a<br />

carico del debitore nella misura del 4,65% mentre<br />

la percentuale residua è a carico dell’INPS;<br />

nel caso di pagamento tardivo, l’aggio previsto<br />

in ragione del 4,65% va integrato con la percentuale<br />

a carico dell’INPS, che varia da provincia<br />

a provincia di cui al D.M. 4/8/2<strong>00</strong>0 (e al decreto<br />

22/12/2<strong>00</strong>0 della Regione Sicilia).<br />

25


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Il confine fra trasferta<br />

“strutturale” e “occasionale”<br />

In campo previdenziale vi sono alcuni argomenti<br />

che, con una locuzione certamente non all’altezza<br />

della serietà della materia, ma molto pertinente,<br />

possono essere classificati come “tormentoni” che<br />

periodicamente si ripresentano. Possiamo ricordare,<br />

ad esempio le dispute sulla distinzione tra<br />

subordinazione ed autonomia, la controversia su<br />

duplice/unica assicurazione del lavoratore autonomo<br />

contemporaneamente amministratore, il lavoratore<br />

se collaboratore a progetto o subordinato, le<br />

caratteristiche della trasferta del lavoratore.<br />

A proposito di quest’ultima questione, è intervenuto<br />

ultimamente (20 giugno 2<strong>00</strong>8) il Ministero<br />

del lavoro, con la risposta ad un quesito avanzato<br />

da una Direzione provinciale del lavoro. L’organo<br />

periferico chiedeva chiarimenti in merito<br />

alla classificazione come “occasionale” ovvero<br />

“strutturale” di trattamenti di trasferta erogati ad<br />

operai edili o metalmeccanici per lavori eseguiti<br />

al di fuori della sede legale della azienda datrice<br />

di lavoro.<br />

La distinzione, apparentemente nominalistica,<br />

appare rilevante sul piano fiscale (di conseguenza<br />

previdenziale), atteso che l’attuale formulazione<br />

dell’art. 51 del TUIR - nella modifica apportata<br />

con il decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314,<br />

art. 3, commi 5 e 6 - prevede differenti discipline<br />

fiscali e contributive a seconda della classificazione<br />

dei compensi in questione.<br />

Molto brevemente, la norma opera la distinzione<br />

tra “indennità percepite per le trasferte o<br />

le missioni fuori del territorio comunale… che<br />

Osservazioni a Min. Lav. 20 giugno 2<strong>00</strong>8<br />

PAOLO CUZZELLI<br />

Approfondimenti<br />

…concorrono a formare il reddito per la parte<br />

eccedente...” e “le indennità e le maggiorazioni<br />

di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per<br />

contratto all’espletamento delle attività lavorative<br />

in luoghi sempre variabili e diversi, anche<br />

se corrisposte con carattere di continuità... che<br />

…concorrono a formare il reddito nella misura del<br />

50 per cento del loro ammontare ...”. A proposito<br />

di queste ultime somme, la norma precisa che con<br />

appositi decreti interministeriali “...possono essere<br />

individuate categorie di lavoratori e condizioni di<br />

applicabilità della disposizione”. La norma è del<br />

1997, siamo nel 2<strong>00</strong>8 ed attendiamo i decreti.<br />

Come si vede, la classificazione comporta un differente<br />

trattamento fiscale (e di conseguenza contributivo)<br />

a seconda della fattispecie, prevedendo<br />

nel primo caso (trasferte occasionali) una fascia<br />

di esenzione attualmente pari a 46,48 euro (le<br />

originarie 90.<strong>00</strong>0 lire), mentre nel secondo caso<br />

(trasferte strutturali) abbiamo un imponibile costituito<br />

dall’abbattimento al 50 per cento dell’importo<br />

erogato. Da ciò deriva che nel primo caso i<br />

compensi sfuggono (sia pure entro indeterminato<br />

ammontare) al fisco ed ai contributi, mentre nel<br />

secondo caso, anche se con una riduzione alla<br />

metà, si realizza comunque un imponibile fiscale<br />

e contributivo.<br />

A questo punto è di tutta evidenza che gli interessi<br />

del datore di lavoro (in vari casi anche del<br />

lavoratore) e delle entità percettrici di tasse e<br />

contributi sono contrapposti: i primi tenderanno<br />

alla fattispecie dell’occasionalità (costi trasparenti<br />

e scaricabili senza ricarichi aggiuntivi da costo del<br />

26


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

lavoro), i secondi ad individuare le caratteristiche<br />

strutturali, per poi pretendere l’imponibilità del<br />

50 per cento.<br />

Passando ad approfondire gli argomenti contenuti<br />

nella risposta ministeriale, richiamiamo alcuni<br />

punti essenziali per analizzare correttamente la<br />

questione.<br />

La nota ministeriale ribadisce che la natura dell’indennità<br />

di trasferta non è rimessa alla volontà<br />

dei soggetti coinvolti nel rapporto di lavoro e che<br />

non risultano vincolanti le definizioni contenute<br />

nei contratti collettivi di lavoro. Richiama poi<br />

il fatto che, relativamente al duplice contenuto<br />

- retributivo e risarcitorio - individuabile nelle<br />

indennità economiche di cui stiamo trattando,<br />

ultimamente la giurisprudenza privilegia la natura<br />

retributiva dei compensi, mentre le funzioni<br />

risarcitorie parrebbero riservate alle sole somme<br />

erogate a titolo di rimborso spese.<br />

Viene ribadito quanto a suo tempo già evidenziato<br />

nella circolare del Ministero delle finanze n.<br />

326/E del 23 dicembre 1997 (emanata appunto a<br />

seguito delle innovazioni contenute nel decreto<br />

legislativo n. 314/1997) circa il fatto che per i<br />

dipendenti che “abitualmente” lavorano al di<br />

fuori della sede aziendale (trasfertisti ex comma<br />

6 dell’art. 51 del TUIR) le relative indennità e<br />

maggiorazioni da contratto non appaiono precisamente<br />

ed obbligatoriamente legate alla effettiva<br />

prestazione esterna né, tanto meno, vincolate dal<br />

luogo della medesima, essendo previste per tutte<br />

le giornate comunque retribuite.<br />

Viene successivamente confermato che, per<br />

ricadere nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art.<br />

51 del TUIR, i compensi debbono riferirsi ad<br />

attività occasionali e temporanee, mentre per<br />

parte sua il contratto individuale di lavoro (in<br />

pratica la lettera di assunzione) deve contenere<br />

un espresso riferimento ad una sede di lavoro<br />

predeterminata.<br />

La nota di risposta conclude riaffermando che<br />

“…si ritiene che per le trasferte di tipo occasionale<br />

- quali quelle del settore edile e metalmeccanico,<br />

alle condizioni sopra indicate - possa<br />

applicarsi la disposizione di cui all’art. 51, comma<br />

5 del TUIR”. La locuzione “…si ritiene…” è un<br />

classico in materia.<br />

Approfondimenti<br />

A noi piace, ed è sempre piaciuto, esaminare i<br />

fatti e le questioni da punti di vista eminentemente<br />

pratici. Di conseguenza, non possiamo<br />

non cogliere alcune ambiguità nei ragionamenti<br />

svolti dal Ministero o, per lo meno, ravvisare<br />

che sarebbe stato opportuno emanare istruzione<br />

ed analisi maggiormente calate nel concreto. Ad<br />

esempio, considerato che il richiedente parla di “...<br />

lavoro svolto al di fuori della sede legale da parte<br />

di operai edili...”, e la risposta classifica genericamente<br />

come “occasionali ” le trasferte del settore<br />

edile, non riusciamo, con tutta la buona volontà,<br />

a figurarci un operaio edile che come normale<br />

attività operi presso la sede legale della azienda<br />

e solo occasionalmente lavori al di fuori di tale<br />

ambito. A meno che non venga considerato come<br />

sede legale pro tempore della azienda il singolo<br />

cantiere di lavoro.<br />

Per il settore metalmeccanico è più comprensibile<br />

la possibilità della “occasionalità” delle trasferte.<br />

Pensiamo all’operaio che normalmente lavori alla<br />

costruzione di macchinari e solo occasionalmente<br />

si rechi presso gli acquirenti per operazioni di<br />

riparazione o manutenzione. Se però l’impresa<br />

utilizza specifici operai con il compito esclusivo<br />

di procedere alla posa in opera dei prodotti presso<br />

gli acquirenti, ritorniamo alla fattispecie del<br />

“trasfertista”.<br />

In definitiva, la distinzione tra i due tipi di trasferta<br />

dovrebbe sempre ed esclusivamente essere<br />

operata in relazione alle concrete modalità di<br />

svolgimento del lavoro, a prescindere anche dalle<br />

locuzioni apposte sul contratto individuale o<br />

lettera di assunzione che dir si voglia.<br />

Quindi, il criterio di valutazione dovrebbe essere<br />

la determinazione di quale dei due aspetti,<br />

retributivo/indennitario, ricorra nella fattispecie<br />

che si esamina. L’attuale quadro legislativo per le<br />

trasferte occasionali ha deciso di determinare la<br />

natura risarcitoria dei compensi in questione entro<br />

un determinato limite giornaliero. Tutto ciò che<br />

oltrepassa tale limite assume in modo automatico<br />

la natura di retribuzione. La funzione risarcitoria<br />

viene altresì confermata dal fatto che la norma<br />

prevede la riduzione di un terzo o di due terzi del limite<br />

di esenzione in concomitanza con il rimborso<br />

a piè di lista, o la fruizione gratuita rispettivamente<br />

del vitto o del vitto più alloggio.<br />

27


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Al contrario, nel caso delle maggiorazioni corrisposte<br />

ai trasfertisti “strutturali” il legislatore ha<br />

deciso che attualmente tali maggiorazioni o indennità<br />

hanno per metà natura risarcitoria e per metà<br />

assumono natura retributiva. Tale meccanismo<br />

non è nuovo, in quanto si rifà al dettato dell’art.<br />

12 della legge n. 153/1969, nel testo originario,<br />

precedente, cioè, la riscrittura operata con l’art. 6<br />

del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314,<br />

che prevedeva in generale “l’esclusione dalla<br />

retribuzione imponibile delle somme corrisposte<br />

al lavoratore a titolo di diaria o d’indennità di<br />

trasferta in cifra fissa, limitatamente al 50 per<br />

cento del loro ammontare”.<br />

In altre parole, l’indennità di trasferta assume<br />

sempre una funzione di risarcimento, anche se<br />

di regola ha anche una funzione retributiva.<br />

Di conseguenza le norme fiscali e quelle che<br />

regolano i contributi obbligatori, ciascuna per<br />

le sue finalità, hanno sempre definito i criteri<br />

per la determinazione dei due distinti valori.<br />

Da ultimo, il decreto legislativo n. 314/1997<br />

ha introdotto due fondamentali innovazioni:<br />

l’armonizzazione delle basi imponibili fiscale<br />

e previdenziale (nel caso in questione l’imponibile<br />

previdenziale segue pedissequamente<br />

quello fiscale) e la distinzione tra le trasferte<br />

occasionali e quelle strutturali.<br />

Ciò non ha modificato il fatto che le due funzioni,<br />

retributiva/indennitaria, pur se in linea di massima<br />

coesistenti (l’indennità di trasferta potrebbe<br />

anche non avere alcuna valenza retributiva, se<br />

andasse a ristorare solamente le spese sostenute e<br />

Approfondimenti<br />

documentate), assumono un valore ben diverso<br />

per i trasfertisti abituali e per quelli che invece<br />

vengono inviati in trasferta solamente in via occasionale.<br />

Per i trasfertisti di professione il disagio<br />

derivante dal fatto di operare fuori sede è collegato<br />

strutturalmente alla prestazione professionale<br />

che sono tenuti a dare, predeterminato all’atto<br />

della costituzione del rapporto di lavoro, e come<br />

tale viene retribuito con una voce specifica, che<br />

diventa parte della retribuzione ordinaria.<br />

Per il trasfertista occasionale, al contrario, il<br />

fatto di essere inviato saltuariamente ad operare<br />

fuori sede con il disagio che questo spostamento<br />

comporta, è estraneo alla normale prestazione.<br />

Di conseguenza, la voce compensativa a parte è<br />

anch’essa estranea alla retribuzione ordinaria, assumendo<br />

per dettato legislativo natura risarcitoria<br />

entro un limite massimo giornaliero e, ricordiamolo,<br />

limitatamente agli spostamenti effettuati al<br />

di fuori del territorio del comune.<br />

La distinzione appare poi coerente se valutata in<br />

relazione a quelle che sono le finalità dei contributi<br />

previdenziali richiesti: la pensione. Posto<br />

che la pensione può essere considerata come un<br />

“salario differito”, calcolato sulla base dei contributi<br />

versati, appare logico che la trasferta “strutturale”<br />

concorra, sia pure in parte, a determinare<br />

l’importo del trattamento pensionistico, mentre<br />

la trasferta “occasionale” è giusto non abbia rilevanza<br />

per determinare la misura della prestazione,<br />

salvo che per la parte (caso più che altro teorico)<br />

che, eccedendo la quota esente, acquista appunto<br />

natura retributiva.<br />

28


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

La sentenza: App. Ancona, rel. Miconi, 15 maggio 2<strong>00</strong>7,<br />

n. 146<br />

La questione: l’esercizio dell’opzione relativa all’indennità<br />

sostitutiva della reintegrazione rende definitiva la<br />

cessazione del rapporto di lavoro?<br />

La soluzione: la Corte d’Appello risponde affermativamente.<br />

Tizio, dipendente presso un’Amministrazione,<br />

nel giugno 2<strong>00</strong>3 veniva licenziato<br />

con effetto immediato per avere iniziato<br />

nel luglio 2<strong>00</strong>1 l’attività di promotore finanziario<br />

nonostante la datrice di lavoro gli avesse negato<br />

l’autorizzazione a svolgere tale seconda attività.<br />

Tizio conveniva dunque in giudizio l’Amministrazione<br />

per sentir dichiarare illegittimo il licenziamento<br />

comminatogli senza preavviso ed ottenere<br />

la reintegrazione nel posto di lavoro.<br />

Il Tribunale, in accoglimento del ricorso, dichiarava<br />

illegittimo il licenziamento per violazione del<br />

principio dell’immediatezza, ordinava il ripristino<br />

del rapporto di lavoro, condannava l’Amministrazione<br />

al pagamento delle retribuzioni dalla data<br />

del licenziamento all’effettiva reintegrazione.<br />

A CURA DI ROMINA DALZINI<br />

Nel giudizio di secondo grado, Tizio proponeva<br />

appello incidentale denunciando l’illegittimità<br />

dell’ordine di riprendere servizio impartitogli<br />

dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza<br />

del Tribunale e dichiarava di aver optato<br />

“momentaneamente”, per evitare decadenze, per<br />

le quindici mensilità sostitutive a’ sensi dell’art.<br />

18, L. n. 3<strong>00</strong>/1970.<br />

La Corte territoriale rigettava l’appello proposto<br />

dall’Amministrazione, confermando l’illegittimità<br />

del licenziamento.<br />

Quanto all’appello incidentale, con motivazione<br />

peraltro alquanto succinta, la Corte dava atto<br />

della avvenuta e definitiva cessazione del rapporto<br />

di impiego a seguito della opzione per le quindici<br />

mensilità, non essendo ammissibile una “momentanea<br />

opzione” per l’indennità sostitutiva della<br />

reintegrazione, poiché l’esercizio della facoltà<br />

alternativa del creditore-lavoratore esaurisce definitivamente<br />

e fa venir meno la facoltà stessa.<br />

La sentenza in esame mostra di aderire all’orientamento<br />

minoritario secondo il quale la manifestazione<br />

di volontà del lavoratore di esercitare<br />

l’opzione estingue l’obbligo del datore di lavoro<br />

alla reintegrazione, con conseguente cessazione<br />

anche dell’obbligo di corrispondere l’indennità<br />

29


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

risarcitoria per essere questa strettamente legata<br />

con nesso di causalità alla perdurante mancata<br />

reintegra (Trib. Genova, 13 gennaio 2<strong>00</strong>6, Lav.<br />

Giur., 2<strong>00</strong>6, 6, 591; Trib. Roma, 10 gennaio 2<strong>00</strong>6,<br />

Lav. Giur., 2<strong>00</strong>6, 9, 905; Trib. Napoli, 22 luglio<br />

2<strong>00</strong>2, Mass. Giur. Lav., 2<strong>00</strong>4, 77; Pret. Vicenza, 18<br />

aprile 1996, Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 183).<br />

La giurisprudenza di legittimità e di merito prevalente,<br />

sulla base di quanto affermato da C. Cost.,<br />

4 marzo 1992, n. 81, afferma invece che l’obbligo<br />

di reintegrazione nel posto di lavoro, facente carico<br />

al datore di lavoro a norma dell’art. 18, L. n.<br />

3<strong>00</strong>/1980, si estingue soltanto con il pagamento<br />

dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, prescelta<br />

dal lavoratore illegittimamente licenziato, e<br />

non già con la semplice dichiarazione, proveniente<br />

da quest’ultimo, di scegliere tale indennità in luogo<br />

della reintegrazione; pertanto, anche nel caso in cui<br />

già con la domanda giudiziale il lavoratore abbia<br />

chiesto il pagamento dell’indennità sostitutiva, il<br />

risarcimento del danno, il cui diritto è dalla legge<br />

fatto salvo anche nel caso di opzione per l’indennità<br />

sostitutiva della reintegrazione, va commisurato<br />

alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno<br />

del pagamento dell’indennità sostitutiva (Trib.<br />

Milano, 6 dicembre 2<strong>00</strong>5, Lav. Giur., 2<strong>00</strong>6, 9, 920;<br />

Trib. Torino, 7 marzo 2<strong>00</strong>5, Giur. piemontese, 2<strong>00</strong>6,<br />

1, 101; Cass. Sez. Lav., 26 agosto 2<strong>00</strong>3, n. 12514,<br />

Mass. Giur. Lav., 2<strong>00</strong>3, 943; 28 luglio 2<strong>00</strong>3, n.<br />

11609, Mass. Giur. Lav., 2<strong>00</strong>3, 861; 6 marzo 2<strong>00</strong>3,<br />

n. 3380, Lav. Giur., 2<strong>00</strong>3, 679; 5 agosto 2<strong>00</strong>0, n.<br />

10326, Mass. Giur. It., 2<strong>00</strong>0).<br />

La sentenza: Trib. Ascoli Piceno, est. Boeri, 11 gennaio<br />

2<strong>00</strong>8, n. 5<br />

La questione: è legittima l’iscrizione a ruolo di contributi<br />

da parte dell’Inps in pendenza di una controversia innanzi<br />

all’autorità giudiziaria ordinaria per contestare gli effetti<br />

dell’accertamento?<br />

La soluzione: il Tribunale risponde negativamente.<br />

Con ricorso al Giudice del lavoro, Tizio<br />

proponeva opposizione avverso l’iscrizione<br />

a ruolo di contributi relativi alla<br />

gestione lavoratori agricoli nel periodo 1998-<br />

2<strong>00</strong>4, sanzioni civili e diritti di notifica.<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

Il Tribunale rilevava in primo luogo che la natura<br />

del giudizio previsto dall’art. 24, D.Lgs. n.<br />

46/1999 è, nei limiti delle istanze delle parti, di<br />

accertamento della legittimità del procedimento<br />

di iscrizione e ruolo e/o della fondatezza della<br />

pretesa contributiva.<br />

Il precedente storico di tale giudizio è l’opposizione<br />

avverso la cartella esattoriale di pagamento<br />

emessa a’ sensi dell’art. 2, D.l. 9 ottobre 1989,<br />

n. 338, convertito, con modificazioni, nella L. 7<br />

dicembre 1989, n. 389.<br />

In merito a tale procedimento, Cass. Sez. Lav.<br />

n. 5762/2<strong>00</strong>2 ha affermato che esso “dà luogo<br />

ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti<br />

ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale<br />

obbligatorio e, segnatamente, al rapporto<br />

contributivo, con la conseguenza che l’ente<br />

previdenziale convenuto può chiedere, oltre che<br />

il rigetto dell’opposizione, anche la condanna<br />

dell’opponente all’adempimento dell’obbligo<br />

contributivo, portato dalla cartella, senza che<br />

ne risulti mutata la domanda”.<br />

L’art. 24, comma 6, D.Lgs. n. 46/1999 ha conservato<br />

ed accentuato tale natura. Esso prevede<br />

espressamente che l’opposizione può avere ad<br />

oggetto il merito della pretesa contributiva; e<br />

l’attribuzione della controversia al giudice del<br />

lavoro con il rito di cui agli artt. 442 e seguenti<br />

c.p.c., anziché al giudice dell’esecuzione nelle<br />

forme di cui agli articoli 615 e seguenti c.p.c., ha<br />

un senso solo laddove si consideri che per tramite<br />

dell’opposizione alla iscrizione a ruolo il procedimento<br />

possa avere ad oggetto, se una delle parti lo<br />

richiede, una decisione sulla esistenza e quantità<br />

del credito previdenziale.<br />

Secondo il Giudicante, si tratta non tanto<br />

di impugnazione di un atto amministrativo,<br />

quanto di opposizione a un titolo esecutivo<br />

stragiudiziale che sfocia in un procedimento<br />

cognitivo nel quale il creditore opposto, quale<br />

attore in senso sostanziale, deve dimostrare<br />

i fatti costitutivi della pretesa contributiva<br />

iscritta a ruolo.<br />

Ne deriva che l’accoglimento dell’opposizione per<br />

l’esistenza di un vizio della iscrizione a ruolo può<br />

condurre automaticamente alla definizione del<br />

giudizio solo se una delle parti non richieda una<br />

30


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

decisione di accertamento o di condanna sulla<br />

contribuzione.<br />

L’unica eccezione a tale regola è data dall’art.<br />

24, comma 3, in base al quale “se l’accertamento<br />

effettuato dall’ufficio è impugnato davanti<br />

all’autorità giudiziaria l’iscrizione a ruolo è eseguita<br />

in presenza di provvedimento esecutivo<br />

del giudice”.<br />

In sostanza, se il credito previdenziale risulta fondato<br />

su di un accertamento d’ufficio l’iscrizione<br />

a ruolo è impedita dalla pendenza di una controversia<br />

promossa dal presunto debitore dinnanzi<br />

all’autorità giudiziaria ordinaria per contestare gli<br />

effetti dell’accertamento medesimo. È il caso del<br />

giudizio di accertamento negativo della pretesa<br />

contributiva.<br />

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale affermava<br />

che la violazione del divieto di legge non può essere<br />

limitata alla dichiarazione di illegittimità della<br />

iscrizione a ruolo, ma deve giocoforza estendersi<br />

anche alla preclusione di ogni domanda di merito<br />

eventualmente proposta.<br />

Il caso in cui scatta il divieto di iscrizione a ruolo<br />

si caratterizza per la preesistenza di un giudizio di<br />

merito sul credito iscritto, onde viene meno ogni<br />

ragione di consentirne un secondo, contestuale,<br />

della stessa natura fra le medesime parti, perlomeno<br />

fin quando non intervenga un provvedimento<br />

esecutivo del giudice cui è demandata la<br />

controversia.<br />

Non è possibile nemmeno provvedere alla<br />

riunione o alla sospensione dei giudizi proprio<br />

perché il secondo di essi è sorto a seguito di una<br />

procedura che non doveva essere promossa, e<br />

per accertarlo non è necessario attendere l’esito<br />

del primo giudizio, mentre l’accertamento del<br />

merito della pretesa contributiva è demandata<br />

ad altra sede.<br />

Nella fattispecie in esame, l’Inps aveva iscritto a<br />

ruolo un credito fondato su accertamenti le cui<br />

risultanze erano già state contestate da Tizio con<br />

ricorso giudiziale depositato nell’ottobre 2<strong>00</strong>4<br />

avente ad oggetto l’accertamento negativo dell’altrui<br />

pretesa contributiva.<br />

Infine, priva di rilievo era la circostanza secondo<br />

cui l’iscrizione a ruolo era stata preceduta anche<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

da gravame amministrativo respinto, atteso che<br />

dal coordinamento tra i commi 3 e 4 dell’art. 24<br />

emerge la regola secondo cui in caso di gravame<br />

amministrativo l’iscrizione a ruolo è eseguita dopo<br />

la decisione del competente organo amministrativo<br />

e comunque entro i termini di decadenza<br />

previsti dall’art. 25 purché nel frattempo non sia<br />

intervenuta impugnazione dinnanzi all’autorità<br />

giudiziaria.<br />

La sentenza: Cass. Sez. Lav., 14 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 9816<br />

La questione: il godimento delle ferie è lasciato alla libera<br />

scelta del dipendente?<br />

La soluzione: la Cassazione risponde negativamente.<br />

La Alfa s.r.l. contestava al dipendente<br />

Caio dapprima l’abbandono del posto<br />

di lavoro, per essersi recato il giorno<br />

3 aprile 2<strong>00</strong>0 in infermeria e dai superiori gerarchici<br />

senza autorizzazione; successivamente,<br />

in maggio, una nuova infrazione in relazione<br />

ad assenze ingiustificate nei giorni 4, 5, 6 e 7<br />

aprile 2<strong>00</strong>0.<br />

Nonostante le giustificazioni fornite da Caio, che<br />

in quei giorni avrebbe fruito di ferie concessegli<br />

verbamente, la Alfa gli intimava il licenziamento<br />

senza preavviso.<br />

Nel giudizio innanzi al Giudice del lavoro, la<br />

Società si costituiva formulando domanda riconvenzionale<br />

per la conversione del titolo del recesso<br />

in giustificato motivo oggettivo.<br />

Il Tribunale adito rigettava il ricorso di Caio e<br />

dichiarava inammissibile la riconvenzionale; la<br />

decisione veniva confermata in secondo grado.<br />

I giudici di merito, in particolare, ritenevano<br />

corretto il frazionamento operato dalla Alfa delle<br />

condotte tenute nei giorni 3, 4, 5, 6 e 7 aprile<br />

2<strong>00</strong>0, atteso che la condotta tenuta dal lavoratore<br />

il giorno 3 (abbandono temporaneo ed ingiustificato<br />

del posto di lavoro, ritardo dell’inizio del<br />

lavoro, sospensione o anticipo della cessazione,<br />

insubordinazione grave verso i superiori) era del<br />

tutto diversa da quella tenuta nei giorni successivi<br />

(assenza ingiustificata dal lavoro) ed integrava<br />

una autonoma infrazione secondo il contratto<br />

collettivo di categoria.<br />

31


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

La Suprema Corte, investita della questione,<br />

riteneva anzitutto corretta la pronuncia di<br />

inammissibilità della prova in ordine alla concessione<br />

informale delle ferie da parte della<br />

datrice di lavoro, atteso che tale prova non era<br />

stata dedotta dal dipendente durante il giudizio<br />

di primo grado, ma articolata per la prima volta<br />

in appello.<br />

In mancanza di tale prova, doveva configurarsi<br />

un’ipotesi di autoassegnazione delle ferie.<br />

Senonchè, la Cassazione ha osservato al riguardo<br />

che il godimento delle ferie non è lasciato alla<br />

libera scelta del dipendente, trattandosi di evento<br />

dell’attività aziendale, che va coordinato con<br />

l’attività produttiva e, come tale, è subordinato<br />

alla valutazione del datore di lavoro.<br />

Doveva pertanto ritenersi corretta l’affermazione<br />

del giudice di appello, secondo il quale nel caso<br />

di specie lo stesso Caio aveva negato di essere in<br />

malattia e in ogni caso la facoltà del lavoratore<br />

di imputare a ferie le assenze per malattia doveva<br />

essere contemperata con le esigenze organizzative<br />

del datore di lavoro, costituendo, come già<br />

detto, la concessione delle ferie una prerogativa<br />

riconducibile al potere organizzativo dello stesso<br />

datore di lavoro.<br />

Costituisce principio pacifico in giurisprudenza<br />

quello secondo il quale spetta all’imprenditore,<br />

nel contemperamento delle esigenze dell’impresa<br />

e degli interessi del lavoratore, la scelta<br />

del tempo in cui le ferie debbono essere fruite,<br />

purché tale potere non sia esercitato in modo<br />

da vanificare il principio della effettività del<br />

riposo in questione e la finalità cui è preordinato<br />

l’istituto, attesa la sua funzione reintegratrice<br />

delle energie lavorative e partecipativa alle<br />

vicende della società civile (Cass. Sez. Lav., 12<br />

giugno 2<strong>00</strong>1, n. 7951; 21 febbraio 2<strong>00</strong>1, n. 2569;<br />

19 novembre 1998, n. 11691; 6 giugno 1991,<br />

n. 6431; 18 giugno 1988, n. 4198; C. Cost., 19<br />

dicembre 1990, n. 543).<br />

La sentenza: C. Cost., 9 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 218, ordinanza<br />

La questione: è fondata la questione di legittimità<br />

costituzionale dell’art. 26, comma1, lettera b), D.Lgs.<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

n. 80/2<strong>00</strong>5, che rende appellabile la sentenza resa nel<br />

giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione?<br />

La soluzione: la Corte Costituzionale risponde negativamente.<br />

Il giudizio di opposizione ad ordinanzaingiunzione<br />

innanzi al Giudice di pace<br />

si concludeva con l’irrogazione di una<br />

sanzione amministrativa pecuniaria.<br />

In appello, il Tribunale sollevava, in riferimento<br />

agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., ed in relazione<br />

all’art. 1, commi 2 e 3, L. 14 maggio 2<strong>00</strong>5, n.<br />

80 (recante conversione in legge, con modifiche,<br />

del D.l. 14 marzo 2<strong>00</strong>5, n. 35) questione di legittimità<br />

costituzionale dell’art. 26 (rectius, art. 26,<br />

comma 1, lettera b), del D.Lgs. 2 febbraio 2<strong>00</strong>6,<br />

n. 40, che aveva abrogato l’ultimo comma dell’art.<br />

23, L. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al<br />

sistema penale).<br />

Secondo il Giudicante, infatti, la norma censurata,<br />

applicabile nel giudizio principale ratione<br />

temporis, abrogando l’ultimo comma dell’art.<br />

23, L. n. 689/1981, aveva reso impugnabile con<br />

appello la sentenza che aveva deciso l’opposizione<br />

all’ordinanza-ingiunzione, prima soltanto ricorribile<br />

per cassazione.<br />

L’art. 26, comma 1, lettera b), tuttavia, violerebbe<br />

gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in<br />

relazione all’art. 1, commi 2 e 3, della legge n.<br />

80 del 2<strong>00</strong>5, in quanto la delega oggetto di quest’ultima<br />

disposizione concerneva l’introduzione<br />

di modificazioni al codice di procedura civile ed<br />

al processo di cassazione, non all’art. 23, L. n.<br />

689/1981.<br />

Inoltre, il citato art. 1, comma 3, lettera a), aveva<br />

conferito al Governo il potere di modificare<br />

il processo di legittimità e di prevedere “la non<br />

ricorribilità immediata delle sentenze che decidono<br />

di questioni insorte senza definire il giudizio”,<br />

ipotesi differente da quella disciplinata dalla<br />

norma censurata.<br />

La Corte Costituzionale ha preliminarmente<br />

rilevato che una questione identica, sollevata in<br />

riferimento ai medesimi parametri costituzionali<br />

e sotto gli stessi profili, era stata già dichiarata<br />

non fondata dalla Corte con sentenza 11 aprile<br />

32


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

2<strong>00</strong>8, n. 98, nella quale è stato precisato che la<br />

corretta interpretazione dell’art. 1, L. n. 80/2<strong>00</strong>5,<br />

in considerazione dello scopo di disciplinare il<br />

processo di cassazione in funzione nomofilattica<br />

(comma 3, lettera a), ed alla luce del significato<br />

assunto da tale espressione, di rafforzamento di<br />

detta funzione, rende chiara la facoltà del legislatore<br />

delegato di ridurre i casi di immediata<br />

ricorribilità per cassazione delle sentenze, anche<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

mediante la modifica di disposizioni non collocate<br />

nel codice di rito civile, con conseguente<br />

infondatezza del denunciato vizio di eccesso di<br />

delega.<br />

Nel giudizio in esame, non risultando addotti<br />

profili o argomenti diversi o ulteriori rispetto a<br />

quelli già valutati nella citata sentenza, la Consulta<br />

ha dichiarato la questione manifestamente<br />

infondata.<br />

33


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Amministratori<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

Cass. Sez. Lav., 19 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 12630<br />

Rapporto di lavoro con la società – Configurabilità<br />

– Condizioni<br />

La qualifica di amministratore di una società<br />

commerciale non è di per sé incompatibile con<br />

la condizione di lavoratore subordinato alle<br />

dipendenze della stessa società ma, perchè sia<br />

configurabile tale rapporto di lavoro subordinato,<br />

è necessario che colui che intenda farlo valere<br />

non sia amministratore unico della società e<br />

provi in modo certo il requisito della subordinazione,<br />

elemento tipico qualificante del rapporto,<br />

che deve consistere nel suo effettivo assoggettamento,<br />

nonostante egli rivesta la carica di<br />

amministratore, al potere direttivo di controllo<br />

e disciplinare dell’organo di amministrazione<br />

della società nel suo complesso.<br />

C.i.g.<br />

Cass. Sez. Lav., 23 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 13377<br />

Criteri di scelta – Mutamento – Illegittimità<br />

La cassa integrazione straordinaria - prevista in<br />

presenza di ristrutturazioni, riorganizzazioni e<br />

conversioni aziendali ovvero di crisi aziendali<br />

riguardanti situazioni occupazionali in ambito<br />

territoriale o situazioni produttive di settore<br />

- viene autorizzata dal Ministero del <strong>Lavoro</strong> a<br />

A CURA DI ROMINA DALZINI<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

seguito dell’approvazione di un programma ed a<br />

seguito della valutazione delle ragioni dell’impresa<br />

importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione,<br />

al fine di rendere l’attuazione del suddetto<br />

programma funzionale all’efficienza produttiva<br />

dell’impresa stessa. Ne consegue che nel corso<br />

della sua durata non è consentito - seppure con la<br />

copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi<br />

collettivi sul punto - pena l’invalidità della intera<br />

procedura di messa in cassa integrazione con le<br />

consequenziali ricadute in termini risarcitori,<br />

determinare un mutamento dei criteri di scelta<br />

del personale da sospendere con l’abbandono<br />

di quelli iniziali previsti nel programma e la<br />

contestuale adozione, invece, di criteri di scelta<br />

diversi e privi di razionalità e congruità rispetto<br />

alla causa integrabile, potendosi un mutamento<br />

delle regole selettive operare solo a seguito di<br />

un decreto di proroga volto ad accertare la compatibilità<br />

di tale cambiamento con la regolare<br />

esecuzione del programma stesso ovvero a seguito<br />

di una distinta domanda di integrazione salariale<br />

e di un successivo decreto autorizzativo sulla base<br />

di un nuovo e distinto programma.<br />

Contratti collettivi<br />

Cass. Sez. Lav., 9 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11602<br />

Ultrattività – Inoperatività<br />

Alla scadenza prevista del contratto collettivo<br />

regolarmente disdetto secondo quanto previsto<br />

dalle parti stipulanti, non è applicabile la disci-<br />

34


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

plina di cui all’art. 2074 c.c., o comunque una<br />

regola di ultrattività del contratto medesimo e<br />

il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato<br />

resta disciplinato dalle norme di legge (in<br />

particolare, quanto alla retribuzione, dall’art. 36<br />

Cost.) e da quelle convenzionali eventualmente<br />

esistenti, le quali ultime possono manifestarsi anche<br />

per facta concludentia, con la prosecuzione<br />

dell’applicazione delle norme precedenti.<br />

Cooperative – Soci lavoratori<br />

Cass. Sez. Lav., 8 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11371<br />

Obbligo assicurativo – Sussistenza – Subordinazione<br />

– Irrilevanza<br />

In tema di obblighi contributivi delle società<br />

cooperative nei confronti dei soci lavoratori, il<br />

R.D. n. 1422 del 1924, art. 2 (da ritenersi tuttora<br />

vigente in forza del D.L. n. 1827 del 1935, art.<br />

140, nonostante l’abrogazione, ad opera del dello<br />

stesso R.D.L., art. 141, della legge delegata R.D.<br />

n. 3184 del 1923) è norma regolamentare (per<br />

l’esecuzione del R.D. n. 3184 del 1923) che,<br />

con una “fictio”, ha equiparato ai fini assicurativi<br />

la posizione dei soci lavoratori di società<br />

cooperative a quella dei lavoratori subordinati,<br />

con conseguente sussistenza dell’obbligazione<br />

contributiva a carico di tali società a prescindere<br />

dalla sussistenza degli estremi della subordinazione<br />

in rapporto alla posizione dei soci lavoratori<br />

e dal fatto che la cooperativa svolga attività per<br />

conto proprio o per conto terzi, non rilevando<br />

in senso contrario il disposto del D.P.R. n. 602<br />

del 1970, che si è limitato ad indicare alcune<br />

categorie di lavoratori soci di società ed enti<br />

cooperativi (specificamente indicati in allegato<br />

elenco) assoggettandole, sia pure a determinate<br />

condizioni, agli oneri contributivi previdenziali,<br />

senza peraltro incidere sulla disciplina dettata in<br />

via generale dal citato R.D. n. 1422 del 1924,<br />

art. 2.<br />

Detto principio della equiparazione ai fini contributivi<br />

della posizione del socio lavoratore di<br />

società cooperativa al lavoratore subordinato<br />

assume una valenza generale che ne consente<br />

l’estensione alle assicurazioni cosiddette minori.<br />

Dirigenti<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

Cass. Sez. Lav., 27 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 13812<br />

Indennità supplementare e sostitutiva del preavviso<br />

– Diritto – Condizioni<br />

A differenza dell’esonero del datore di lavoro<br />

dal pagamento dell’indennità supplementare,<br />

generalmente prevista per i dirigenti di azienda<br />

dalla contrattazione collettiva, che presuppone la<br />

giustificatezza del licenziamento, l’esonero dall’obbligo<br />

del preavviso o da quello alternativo del pagamento<br />

dell’indennità sostitutiva presuppone la<br />

giusta causa, nozione non del tutto sovrapponibile<br />

a quella di giustificatezza: mentre la giusta causa<br />

consiste in un fatto che, in concreto valutato (e<br />

cioè, sia in relazione alle sua oggettività sia con<br />

riferimento alle sue connotazioni soggettive),<br />

determina una grave lesione della fiducia del datore<br />

di lavoro nel proprio dipendente, tale da non<br />

consentire la prosecuzione, neppure temporanea,<br />

del rapporto, tenuto conto altresì della natura di<br />

quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula,<br />

la ricorrenza della giustificatezza dell’atto<br />

risolutivo - ancor più strettamente vincolata al<br />

carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale<br />

- è da correlare alla presenza di valide<br />

ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come<br />

tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza<br />

e della buona fede, sicché non giustificato è il<br />

licenziamento per ragioni meramente pretestuose,<br />

al limite della discriminazione, ovvero anche<br />

del tutto irrispettoso delle regole procedimentali<br />

che assicurano la correttezza dell’esercizio del<br />

diritto. Conseguentemente, possono ricorrere<br />

le condizioni per non corrispondere l’indennità<br />

supplementare, in presenza della giustificatezza del<br />

licenziamento, e non sussistere quelle per negare<br />

l’indennità sostitutiva di preavviso in assenza della<br />

giusta causa.<br />

Contestazione – Immutabilità<br />

L’immutabilità della contestazione preclude al<br />

datore di lavoro di far valere, a sostegno delle<br />

sue determinazioni disciplinari (nella specie:<br />

licenziamento), circostanze nuove rispetto a<br />

quelle contestate, tali da implicare una diversa<br />

valutazione dell’infrazione disciplinare anche<br />

diversamente tipizzata dal codice disciplina-<br />

35


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

re apprestato dalla contrattazione collettiva,<br />

dovendosi garantire l’effettivo diritto di difesa<br />

che la normativa sul procedimento disciplinare<br />

di cui all’art. 7 della L. n. 3<strong>00</strong>/1970 assicura al<br />

lavoratore incolpato.<br />

Impresa familiare<br />

Cass. Sez. Lav., 23 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 17057<br />

Utili – Momento di maturazione<br />

La maturazione del diritto agli utili dell’impresa<br />

familiare - dalla quale decorrono altresì rivalutazione<br />

e interessi ai sensi dell’art. 429 c.p.c,<br />

applicabile in ragione della riconducibilità della<br />

relativa controversia tra quelle di cui all’art. 409,<br />

n. 3) c.p.c. - coincide, di regola, con la cessazione<br />

dell’impresa medesima o della collaborazione del<br />

singolo partecipante, salvo diverso patto tra i<br />

partecipanti relativo alla distribuzione periodica<br />

degli utili, l’onere della prova del quale grava sul<br />

partecipante che ne afferma l’esistenza.<br />

<strong>Lavoro</strong> subordinato<br />

Cass. Sez. Lav., 21 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10312<br />

E autonomo – Criteri distintivi<br />

L’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto<br />

di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è<br />

l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo,<br />

disciplinare e di controllo del datore di lavoro<br />

ed il conseguente inserimento del lavoratore in<br />

modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione<br />

aziendale. Costituiscono poi indici sintomatici<br />

della subordinazione, valutabili dal giudice del<br />

merito sia singolarmente che complessivamente,<br />

l’assenza del rischio di impresa, la continuità della<br />

prestazione, l’obbligo di osservare un orario di<br />

lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione,<br />

l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento<br />

della prestazione in ambienti messi a<br />

disposizione dal datore di lavoro. (Nella fattispecie,<br />

il giudice del gravame, la cui sentenza è stata<br />

confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto<br />

che il rapporto di lavoro intercorso tra la società e<br />

sei lavoratrici avesse natura subordinata per le seguenti<br />

ragioni: a) il lavoro consisteva nell’assem-<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

blaggio di parti elettriche, era di natura semplice<br />

e ripetitiva e non comportava alcuna autonomia<br />

nell’esecuzione; b) il lavoro veniva svolto all’interno<br />

di un capannone messo a disposizione dal<br />

legale rappresentante e le lavoratrici seguivano<br />

le disposizioni date da quest’ultimo; c) le operaie<br />

osservavano un orario di lavoro e percepivano<br />

un compenso commisurato al tempo di lavoro e<br />

non al risultato conseguito; d) le lavoratrici non<br />

erano esposte ad alcun rischio di impresa in relazione<br />

all’attività svolta; d) le dichiarazioni rese<br />

dalle lavoratrici all’ispettore del lavoro nel corso<br />

dell’ispezione, e quindi senza alcuna possibilità di<br />

condizionamento da parte del datore di lavoro,<br />

dovevano ritenersi più attendibili di quelle, parzialmente<br />

diverse, rese successivamente al giudice<br />

del lavoro, dopo che le donne avevano costituito<br />

una società per svolgere lo stesso lavoro commissionato<br />

dal legale rappresentante della società e<br />

quindi in una situazione di dipendenza economica<br />

da quest’ultimo).<br />

Cass. Sez. Lav., 21 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10313<br />

E autonomo – Criteri distintivi – Volontà delle parti<br />

– Rilevanza – Limiti<br />

L’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto<br />

di lavoro subordinato dal lavoro autonomo<br />

è l’assoggettamento del lavoratore al potere<br />

direttivo, disciplinare e di controllo del datore<br />

di lavoro ed il conseguente inserimento del<br />

lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione<br />

aziendale. Costituiscono poi indici<br />

sintomatici della subordinazione, valutabili dal<br />

Giudice del merito sia singolarmente che complessivamente,<br />

l’assenza del rischio di impresa, la<br />

continuità della prestazione, l’obbligo di osservare<br />

un orario di lavoro, la cadenza e la forma della<br />

retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro<br />

e lo svolgimento della prestazione in ambienti<br />

messi a disposizione dal datore di lavoro.<br />

Ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e<br />

lavoro autonomo non si può comunque prescindere<br />

dalla volontà delle parti contraenti e sotto<br />

questo profilo va tenuto presente il nomen iuris<br />

utilizzato, il quale però non ha mai un rilievo<br />

assorbente, poiché deve tenersi conto, sul piano<br />

della interpretazione della volontà delle parti, del<br />

36


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

comportamento complessivo delle stesse, anche<br />

posteriore alla conclusione del contratto, con<br />

la conseguenza che in caso di contrasto tra dati<br />

formali e dati fattuali relativi alle modalità della<br />

prestazione occorre dare prevalenza ai secondi.<br />

In presenza di una espressa volontà negoziale delle<br />

parti, della cui spontaneità e non dissimulazione<br />

non vi è ragione di dubitare, è possibile affermare<br />

la sussistenza di un diverso schema negoziale soltanto<br />

sulla base di un inequivoco comportamento<br />

delle parti che dimostri la successiva formazione<br />

di una diversa volontà negoziale.<br />

Spetta dunque al giudice di merito accertare in<br />

maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel<br />

documento contrattuale si sia poi tradotto nella<br />

realtà fattuale attraverso un coerente comportamento<br />

delle parti, ovvero se quest’ultimo possa<br />

ragionevolmente indurre a ravvisare la formazione<br />

di una diversa volontà negoziale.<br />

Cass. Sez. Lav., 1 agosto 2<strong>00</strong>8, n. 21031<br />

E autonomo – Criteri distintivi<br />

Ogni attività umana economicamente rilevante<br />

può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato<br />

sia di rapporto di lavoro autonomo,<br />

a seconda delle modalità del suo svolgimento;<br />

l’elemento tipico che contraddistingue il primo<br />

dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla<br />

subordinazione, intesa quale disponibilità del<br />

prestatore nei confronti del datore di lavoro<br />

con assoggettamento alle direttive da questo<br />

impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività<br />

lavorativa, mentre altri elementi, come<br />

l’osservanza di un orario, l’assenza di rischio<br />

economico, la forma di retribuzione e la stessa<br />

collaborazione, possono avere, invece, valore<br />

indicativo, ma mai determinante; l’esistenza del<br />

suddetto vincolo va concretamente apprezzata<br />

dal giudice di merito con riguardo alla specificità<br />

dell’incarico conferito al lavoratore e al<br />

modo della sua attuazione, fermo restando che,<br />

in sede di legittimità, è censurabile soltanto la<br />

determinazione dei criteri generali ed astratti da<br />

applicare al caso concreto, mentre costituisce<br />

accertamento di fatto, come tale incensurabile<br />

in tale sede se sorretto da motivazione adeguata<br />

e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

delle risultanze processuali che hanno indotto<br />

il giudice di merito ad includere il rapporto<br />

controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.<br />

(Nella fattispecie, la Corte territoriale<br />

aveva puntualmente osservato i criteri dettati<br />

per l’individuazione della natura del rapporto,<br />

riscontrando la sussistenza del vincolo della<br />

subordinazione sulla base delle descritte modalità<br />

dell’attività lavorativa, contraddistinta<br />

dalla messa a disposizione da parte dei lavoratori<br />

delle proprie energie lavorative, dall’obbligo di<br />

sottostare alle disposizioni impartite loro dal<br />

superiore gerarchico e, quindi, dal loro inserimento<br />

nell’organizzazione aziendale. Aveva<br />

altresì congruamente motivato in ordine alla inidoneità<br />

del carattere saltuario delle prestazioni<br />

a consentire di per sé la loro qualificazione nel<br />

senso dell’autonomia e, del pari congruamente,<br />

in ordine all’inidoneità dell’effettuazione della<br />

ritenuta d’acconto sui compensi a far ritenere che<br />

la volontà delle parti si fosse formata nel senso<br />

della autonomia del rapporto).<br />

Cass. Sez. Lav., 7 agosto 2<strong>00</strong>8, n. 21380<br />

E autonomo – Criteri distintivi<br />

Per escludere la subordinazione del rapporto di<br />

lavoro prestato con continuità e coordinamento<br />

con altro soggetto, è necessario che il giudice<br />

di merito accerti il rischio economico a carico<br />

del lavoratore e così ad esempio che resti a suo<br />

carico l’acquisto o l’uso dei materiali necessari a<br />

lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga<br />

da lui instaurato e gestito. Quanto all’assenza<br />

dell’obbligo di giustificare assenze, quale indice<br />

della mancanza di subordinazione, è necessario<br />

l’accertamento negativo in concreto delle conseguenze<br />

disciplinari.<br />

Licenziamenti individuali<br />

Cass. Sez. Lav., 23 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10526<br />

Illegittimità – Indennità sostitutiva della reintegrazione<br />

– Opzione – Termine<br />

Il termine per l’esercizio della facoltà di opzione<br />

in favore della indennità sostitutiva della reintegrazione<br />

nel posto di lavoro decorre alternati-<br />

37


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

vamente dal ricevimento dell’invito del datore<br />

di lavoro a riprendere servizio o dalla comunicazione<br />

del deposito della sentenza contenente<br />

l’ordine di reintegrazione, a seconda che il primo<br />

preceda o segua la seconda.<br />

Nel caso in cui sia inutilmente decorso il termine<br />

di trenta giorni dalla comunicazione del deposito<br />

della sentenza ma non anche quello decorrente<br />

dall’invito a riprendere servizio, viene conservato<br />

al dipendente il diritto alla reintegra fino all’esaurimento<br />

del termine per riprendere servizio.<br />

Cass. Sez. Lav., 23 aprile 2<strong>00</strong>8, n. 10541<br />

Giusta causa – Dipendente di istituto di credito<br />

– Accertamento del giudice di merito<br />

In tema di licenziamento per giusta causa, spetta<br />

al giudice del merito - e non è sindacabile in<br />

sede di legittimità se sorretto da motivazione<br />

congrua ed immune da vizi - l’accertamento che<br />

i fatti addebitati siano di gravità tale da integrare<br />

gli estremi della fattispecie di cui all’art. 2119<br />

cod. civ., fermo restando che nell’ipotesi di dipendente<br />

di un istituto di credito l’idoneità del<br />

comportamento contestato a ledere il rapporto<br />

fiduciario deve essere valutata con particolare<br />

rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un<br />

danno effettivo per il datore di lavoro, rilevando<br />

la lesione dell’affidamento che, non solo il datore<br />

di lavoro, ma anche il pubblico, ripongono nella<br />

lealtà e correttezza dei funzionari.<br />

Cass. Sez. Lav., 12 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11668<br />

Facoltà di opzione – Garanzia di stabilità – Collocamento<br />

a riposo per limiti di età – Illegittimità<br />

A seguito dell’esercizio della facoltà di opzione,<br />

il rapporto di lavoro rimane assoggettato, quanto<br />

alle garanzie di stabilità, alla medesima disciplina<br />

ad esso applicabile, ma al datore di lavoro non è<br />

più consentito di collocare a riposo il dipendente<br />

per raggiunti limiti di età; invero, il rifiuto del<br />

datore di lavoro di consentire la prosecuzione<br />

del rapporto malgrado l’esercizio della facoltà<br />

in questione configura un atto radicalmente<br />

nullo per contrarietà ad una norma imperativa,<br />

con conseguente obbligo di riassunzione del<br />

lavoratore.<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

Cass. Sez. Lav., 12 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11811<br />

Contestazione – Immediatezza – Necessita – Limiti<br />

Nel licenziamento disciplinare, nel valutare<br />

l’immediatezza della contestazione occorre tener<br />

conto dei contrapposti interessi del datore di<br />

lavoro a non avviare procedimenti senza aver<br />

acquisito i dati essenziali della vicenda e del<br />

lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole<br />

lasso di tempo dalla loro commissione.<br />

Il principio della immediatezza della contestazione<br />

dell’addebito e della tempestività del recesso<br />

datoriale, che si configura quale elemento costitutivo<br />

del diritto al recesso del datore di lavoro,<br />

deve essere inteso in senso relativo, potendo in<br />

concreto essere compatibile con un intervallo di<br />

tempo più o meno lungo, quando l’accertamento<br />

e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale<br />

maggiore, ovvero quando la complessità<br />

della struttura organizzativa dell’impresa possa<br />

far ritardare il provvedimento di recesso.<br />

In ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività<br />

costituisce giudizio di merito, e non è<br />

sindacabile in Cassazione ove adeguatamente<br />

motivato.<br />

Processo del lavoro<br />

Cass. Sez. Lav., 5 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 14914<br />

Procedura di selezione concorsuale – Legittimità –<br />

Contestazioni – Litisconsorzio necessario – Condizioni<br />

Sia con riguardo al lavoro subordinato privato,<br />

sia con riguardo al lavoro contrattuale alle dipendenze<br />

di amministrazioni pubbliche (D.Lgs. n.<br />

165/2<strong>00</strong>1), in presenza di selezioni concorsuali e<br />

di contestazioni sulla legittimità del procedimento<br />

da parte di un soggetto che domandi l’accertamento<br />

giudiziale del suo diritto ad essere inserito<br />

nel novero dei prescelti per il conseguimento<br />

di una determinata utilità (promozioni, livelli<br />

retributivi, trasferimenti, assegnazioni di sede<br />

ecc.), il giudizio deve svolgersi in contraddittorio<br />

degli altri partecipanti al concorso coinvolti dai<br />

necessari raffronti e, pertanto, il giudice, ove<br />

riscontri la non integrità del contraddittorio,<br />

deve ordinarne l’integrazione nei confronti di<br />

38


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

tutti i controinteressati; tale integrazione non è<br />

necessaria, invece, quando l’attore non chieda<br />

la dichiarazione di inefficacia della selezione e<br />

la riformulazione della graduatoria, ma si limiti<br />

a domandare il risarcimento del danno, o comunque<br />

faccia valere pretese compatibili con<br />

i risultati della selezione, dei quali non deve<br />

attuarsi la rimozione.<br />

Né tale principio risulta minimamente contraddetto<br />

dall’esclusione, in controversia avente ad<br />

oggetto la contestazione di un bando di concorso,<br />

del litisconsorzio necessario con i soggetti che<br />

hanno presentato domanda di partecipazione ovvero<br />

sono in possesso dei requisiti per parteciparvi,<br />

atteso che, in detta ipotesi, non sono individuabili<br />

i titolari di diritti suscettibili di essere pregiudicati<br />

in via immediata e diretta dall’esito del giudizio.<br />

Cass. Sez. Lav., 5 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 14914<br />

Litisconsorzio necessario – Violazione – Conseguenze<br />

Allorquando si sia verificata violazione delle norme<br />

sul litisconsorzio necessario, non rilevata né<br />

dal giudice di primo grado, che non ha disposto<br />

l’integrazione del contraddittorio, né da quello<br />

d’appello che non ha provveduto a rimettere<br />

la causa al primo giudice a’ sensi dell’art. 354,<br />

comma primo, c.p.c., resta viziato l’intero procedimento<br />

e si impone, in sede di giudizio per<br />

cassazione, l’annullamento, anche di ufficio,<br />

delle pronunce emesse e il rinvio della causa<br />

al giudice di primo grado a norma dell’art. 383,<br />

comma ultimo, c.p.c.<br />

Cass. Sez. Lav., 6 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 15073<br />

Verbali ispettivi – Valore probatorio<br />

I verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali<br />

e assistenziali o dell’ispettorato del lavoro<br />

fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi<br />

attestino avvenuti in loro presenza, mentre per le<br />

altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino<br />

di avere accertato, il materiale probatorio è<br />

liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice,<br />

il quale può anche considerarlo prova sufficiente<br />

delle circostanze riferite al pubblico ufficiale,<br />

qualora il loro specifico contenuto probatorio o il<br />

concorso d’altri elementi renda superfluo l’espletamento<br />

di ulteriori mezzi istruttori.<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

Cass. Sez. Lav., 16 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 16203<br />

Pretesa contribuzione – Instaurazione causa di<br />

accertamento negativo – Opposizione a successiva<br />

iscrizione a ruolo – Non necessita<br />

Una volta che sia stata già introdotta, e sia<br />

in corso, una causa di merito sulla fondatezza<br />

della pretesa contributiva, non occorre che il<br />

contribuente previdenziale instauri un secondo<br />

separato giudizio di merito (in cui il secondo<br />

giudice dovrebbe inevitabilmente dichiarare<br />

la litispendenza o, quanto meno, la continenza<br />

dei giudizi, e che potrebbe generare - se questo<br />

non viene fatto - una serie di complicazioni<br />

di carattere procedurale) relativo anch’esso al<br />

merito sostanziale della pretesa dell’ente previdenziale.<br />

Le decadenze che si siano verificate in precedenza<br />

rendono inammissibile, o comunque infondata,<br />

una impugnazione successiva proposta per<br />

ragioni di merito, e perciò anche una opposizione<br />

al ruolo per ragioni di merito che avrebbero<br />

potuto, e dovuto, essere proposte prima, ma,<br />

allo stesso modo, le decadenze processuali che<br />

si possano verificare in un momento successivo<br />

non possono incidere sul contenzioso di merito<br />

già in atto che sia già stato ritualmente proposto,<br />

né incidere sugli effetti delle pronunzie emanate<br />

nel corso di esso.<br />

Non rileva perciò che il contribuente previdenziale<br />

non abbia proposto un nuovo contenzioso<br />

con una opposizione di merito contro l’iscrizione<br />

a ruolo.<br />

Cass. Sez. Lav., 1 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 17978<br />

Giudizio di opposizione – Impedimento alla definitività<br />

del titolo – Condizioni<br />

L’efficacia dell’opposizione quale atto idoneo<br />

ad impedire la definitività del titolo e l’incontestabilità<br />

della pretesa contributiva viene<br />

meno non soltanto nel caso di sua tardiva proposizione,<br />

ma anche qualora, per sopravvenute<br />

situazioni processuali, risulti definitivamente<br />

precluso il risultato a cui l’opposizione è finalizzata,<br />

ossia l’emanazione nell’ambito del giudizio<br />

promosso, di una pronuncia sulla fondatezza<br />

39


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

della pretesa contributiva portata dalla cartella<br />

esattoriale opposta. Il che si verifica in ipotesi<br />

di estinzione del giudizio di opposizione; con<br />

la conseguenza che gli effetti che si generano<br />

sono gli stessi descritti nel caso di mancata o<br />

tardiva proposizione dell’opposizione ex art.<br />

24, D.Lgs. n. 46/1999 (ossia, definitività del<br />

titolo e incontestabilità del diritto alla pretesa<br />

contributiva).<br />

Le sopradescritte conseguenze dell’estinzione<br />

del giudizio di opposizione alla cartella esattoriale,<br />

discendenti dalla disciplina speciale che<br />

regola la materia all’esame e sostanzialmente<br />

analoghe agli effetti prodotti dal giudicato,<br />

precludono il riesame del merito della pretesa<br />

contributiva in un diverso giudizio, sia instaurando,<br />

sia già in corso, rendendo quindi inapplicabile<br />

la regola generale di cui all’art. 310,<br />

comma 1, c.p.c.<br />

Cass. Sez. Un., 30 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 20604<br />

Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – Ricorso<br />

– Mancata notifica – Improcedibilità<br />

Nel rito del lavoro l’appello pur tempestivamente<br />

proposto nel termine previsto dalla<br />

legge, è improcedibile ove la notificazione del<br />

ricorso depositato e del decreto di fissazione<br />

dell’udienza non sia avvenuta non essendo<br />

consentito - alla stregua di una interpretazione<br />

costituzionalmente orientata (art. 111 Cost.,<br />

comma 2) - al giudice di assegnare ex art. 421<br />

c.p.c. all’appellante, previa fissazione di una<br />

altra udienza di discussione, un termine perentorio<br />

per provvedere ad una nuova notifica a<br />

norma dell’art. 291 c.p.c.<br />

Principio questo che deve ritenersi applicabile<br />

al procedimento per opposizione a decreto<br />

ingiuntivo - per identità di ratio rispetto alle<br />

sopraindicate disposizioni di legge ed ancorché<br />

detto procedimento debba considerarsi<br />

un ordinario processo di cognizione anziché<br />

un mezzo di impugnazione - sicché anche in<br />

tale procedimento la mancata notifica del ricorso<br />

in opposizione e del decreto di fissazione<br />

dell’udienza determina l’improcedibilità della<br />

opposizione e con essa la esecutività del decreto<br />

ingiuntivo opposto.<br />

Reati<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 18371<br />

Omissioni contributive costituenti reato – Soggetto<br />

responsabile<br />

In caso di omissioni contributive, dei reati di cui<br />

agli artt. 37, L. 24 novembre 1981, n. 689 e 2, L.<br />

11 novembre 1983, n. 638, risponde il datore di<br />

lavoro e, cioè, il titolare del rapporto di lavoro<br />

con i lavoratori e, dunque, nelle persone giuridiche,<br />

il rappresentante legale, salvo che fornisca la<br />

prova di aver delegato la gestione amministrativa<br />

nelle forme e con i requisiti prescritti.<br />

Risarcimento del danno<br />

Cass. Sez. Lav., 22 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 20188<br />

Danno morale – Onere della prova – Anche in via<br />

presuntiva<br />

In tema di danno morale dovuto ai parenti della<br />

vittima non è necessaria la prova specifica della<br />

sua sussistenza, siccome la prova può essere<br />

desunta anche solo in base allo stretto vincolo<br />

familiare; ai fini della valutazione del danno<br />

morale conseguente alla morte di un prossimo<br />

congiunto, quindi, l’intensità del vincolo familiare<br />

può già di per sé costituire un utile elemento<br />

presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza<br />

del menzionato danno morale, in assenza di<br />

elementi contrari, mentre l’accertata mancanza<br />

di convivenza dei soggetti danneggiati con il<br />

congiunto deceduto può rappresentare soltanto<br />

un idoneo elemento indiziario da cui desumere<br />

un più ridotto danno morale.<br />

Sicurezza del lavoro<br />

Cass. Sez. Lav., 13 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11928<br />

Responsabilità ex art. 2087 c.c. – Onere della prova<br />

La responsabilità conseguente alla violazione dell’art.<br />

2087 c.c. ha natura contrattuale e, pertanto,<br />

applicandosi l’art. 1218 c.c., una volta provato<br />

l’inadempimento consistente nell’inesatta esecuzione<br />

della prestazione nonché la correlazione<br />

40


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

fra tale inadempimento ed il danno, la prova che<br />

tutto era stato approntato ai fini dell’osservanza<br />

del precetto del suddetto art. 2087 c.c. e che<br />

gli esiti dannosi erano stati determinati da un<br />

evento imprevisto e imprevedibile deve essere<br />

fornita dal datore di lavoro.<br />

Cass. Sez. Lav., 2 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 18107<br />

Responsabilità del datore di lavoro – Fattispecie<br />

In tema di danno alla salute subito dal prestatore<br />

di lavoro, ove il danno stesso derivi da macchinario<br />

malfunzionante cui il lavoratore è stato<br />

assegnato ed il malfunzionamento dipenda da<br />

causa esterna al macchinario ed al suo intrinseco<br />

meccanismo, poiché per accedere od in qualche<br />

modo manovrare il macchinario il lavoratore<br />

affronta un rischio estraneo alle sue mansioni<br />

(indipendentemente dall’eventuale contributo<br />

causale del lavoratore stesso), la responsabilità<br />

del datore non può essere esclusa.<br />

Cass. pen., Sez. IV, 9 luglio 2<strong>00</strong>8, n. 27959<br />

Responsabilità del datore di lavoro – Esclusione<br />

– Condizioni<br />

Nel campo della sicurezza del lavoro, deve<br />

essere esclusa l’esistenza del rapporto di causalità<br />

nei casi in cui sia provata l’abnormità del<br />

comportamento del lavoratore infortunato e<br />

sia provato che proprio questa abnormità abbia<br />

dato causa all’evento; questa caratteristica della<br />

condotta del lavoratore infortunato è idonea ad<br />

interrompere il nesso di condizionamento tra la<br />

condotta e l’evento quale causa sopravvenuta da<br />

sola sufficiente a determinare l’evento in base<br />

all’art. 41 comma 2 cod. pen.<br />

Nel settore della prevenzione degli infortuni<br />

sul lavoro deve dunque considerarsi abnorme<br />

il comportamento che, per la sua stranezza e<br />

imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni<br />

possibilità di controllo da parte delle persone<br />

preposte all’applicazione delle misure di prevenzione<br />

contro gli infortuni sul lavoro ed è<br />

stato più volte affermato, dalla giurisprudenza di<br />

questa medesima sezione, che l’eventuale colpa<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

concorrente del lavoratore non può spiegare<br />

alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi<br />

l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi<br />

responsabili della violazione di prescrizioni in<br />

materia antinfortunistica.<br />

Trasferimento del lavoratore<br />

Cass. Sez. Lav., 10 giugno 2<strong>00</strong>8, n. 15327<br />

Illegittimità – Riduzione dell’orario di lavoro –<br />

Risarcimento del danno – Accertamento<br />

Per l’accertamento della dipendenza della riduzione<br />

di orario dal trasferimento deve ritenersi<br />

sufficiente il grave disagio personale e familiare<br />

nonché il pericolo di aggravamento delle condizioni<br />

di salute derivante dall’iniziativa datoriale,<br />

in quanto ritenuti, con valutazione ex ante di<br />

mera probabilità scientifica, elementi idonei a<br />

determinare, secondo le regole della causalità<br />

giuridica, la decisione del lavoratore di chiedere<br />

un nuovo meno gravoso contratto di lavoro<br />

parziale e non invece necessariamente la “impossibilità<br />

di poter osservare la quota lavorativa<br />

precedente”.<br />

T.f.r.<br />

Cass. Sez. Lav., 5 maggio 2<strong>00</strong>8, n. 11<strong>00</strong>9<br />

Fondo di garanzia – Accessori – Determinazione<br />

– Decorrenza<br />

Il trattamento di fine rapporto, che il Fondo<br />

di Garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982,<br />

art. 2, gestito dall’Inps, è tenuto a versare in<br />

sostituzione del datore di lavoro in caso di<br />

insolvenza di quest’ultimo, comprende, oltre<br />

al capitale, gli accessori - con decorrenza dal<br />

giorno della maturazione del diritto e fino al<br />

giorno dell’effettivo pagamento - dovuti dal<br />

datore di lavoro insolvente in base alla previsioni<br />

contenute nel CCNL dal medesimo applicato<br />

e che restano determinati nei termini<br />

previsti in sede di ammissione del credito al<br />

passivo fallimentare.<br />

41


il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Guida alla consultazione<br />

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Approfondimenti<br />

Articoli di studio e commenti.<br />

Redazionali<br />

Osservatorio Giurisprudenziale<br />

Approfondimenti su sentenze di particolare interesse. Nel titolo sono indicate la sentenza oggetto di<br />

studio, la questione affrontata dalla medesima e la soluzione data; segue un commento evidenziato da<br />

una lente d’ingrandimento.<br />

Ultime dalla Cassazione<br />

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novembre 2<strong>00</strong>3.<br />

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“il Giurista del <strong>Lavoro</strong>” n. 9/2<strong>00</strong>8 - Settembre 2<strong>00</strong>8<br />

Si compone di 42 pagine.

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