00 - Copertina n. 9-2008.indd - Centro Studi Lavoro e Previdenza
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il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
Questa conclusione deve ritenersi tuttora valida e anzi normativamente imposta, dal momento che il nuovo c.p.p.,<br />
come si è detto, circoscrive e limita i divieti probatori a quelli esplicitati dalla sola legge processuale penale, impedendo<br />
così all’interprete di crearne o individuarne altri: e tale sarebbe il caso del divieto probatorio relativo alla<br />
prove precostituite illecitamente apprese.<br />
Una soluzione similare viene altresì delineata, con riferimento alle prove civili precostituite, in un importante contributo<br />
dottrinale della seconda metà degli anni ’80, ancor oggi apprezzato e citato. In esso si evidenzia la totale irrilevanza, sul<br />
piano del processo, del fatto materiale che ha consentito alla parte di entrare in possesso della prova precostituita - la<br />
cui illiceità, asserita da una parte del giudizio, potrebbe del resto essere contestata dall’altra o comunque presentarsi,<br />
di fronte al giudice, del tutto dubbia e obiettivamente controversa -, salvo ben inteso il diverso ed eventuale profilo<br />
di responsabilità da fatto illecito a carico dell’autore dell’acquisizione, peraltro esterno ed estraneo al giudizio in cui<br />
la prova è prodotta. A tale orientamento si è di recente richiamata una pronuncia di merito in materia matrimoniale.<br />
Applicando al caso qui in esame tale principio, ne discende che - ove i dati contenuti nella “cartella personale” creata<br />
dal ricorrente indebitamente (e cioè in violazione delle prescrizioni contenute nelle Linee guida per l’utilizzo delle<br />
postazioni di lavoro) sul pc portatile di proprietà aziendale fossero da qualificare, nonostante tale violazione, come “dati<br />
personali”, ai sensi dell’art. 1 del Codice della privacy, onde l’apprensione datoriale di tali dati verrebbe a costituire a<br />
sua volta violazione della privacy del lavoratore - non per questo essi diverrebbero processualmente inutilizzabili.<br />
A tal fine sarebbe infatti necessaria la presenza, nell’ordinamento processuale civile, di una specifica regola di<br />
esclusione probatoria, quale quella ad es. enunciata nell’art. 222 c.p.c. (inutilizzabilità di documento, ove, proposta<br />
la querela di falso, la parte dichiari di non volersene avvalere) o che si ricava dall’art. 216 c.p.c. (inutilizzabilità<br />
di scrittura privata disconosciuta, non seguita da richiesta di verificazione), che però, allo stato, non esiste, sussistendo<br />
in punto mera proposta de iure condendo, la cui formulazione risulta peraltro inidonea a definire nel senso<br />
dell’inutilizzabilità tutte le svariate ipotesi di prove illecite.<br />
(Omissis)<br />
9. Quanto esposto al paragrafo che precede ci consente di chiarire che è esclusivamente nell’ordinamento processuale<br />
civile che vanno rintracciate le regole di esclusione probatoria, destinate ad espungere dal processo civile prove<br />
precostituite apprese in violazione dei diritti inviolabili della persona e, nel contempo, che non è consentito al<br />
giudice rintracciarle aliunde, fuori cioè da tale ordinamento, e in particolare inferirle dalle garanzie costituzionali<br />
relative a tali diritti. Questa conclusione oggi può ritenersi confermata da alcuni enunciati normativi del Codice<br />
in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196) e, in particolare, da quelli contenuti<br />
nel 2° comma dell’art. 11 (Modalità del trattamento e requisiti dei dati), nel 6° comma dell’art. 160 (Particolari<br />
accertamenti) e nell’art. 47 (Trattamenti per ragioni di giustizia).<br />
(Omissis)<br />
Orbene, dal complesso di tali enunciati si ricavano i seguenti principi.<br />
Primo. La giurisdizione, per le finalità istituzionali che persegue e per la rilevanza costituzionale che le attribuisce<br />
la Carta Costituzionale, si colloca in un ambito tale da rendere ad essa inapplicabili i vincoli e limiti previsti da<br />
numerose e qualificanti disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali, le quali non hanno né<br />
possono avere come destinatario il giudice, sotto pena di veder vanificato l’accertamento processuale e frustrate<br />
le esigenze di giustizia cui esso mira.<br />
Secondo. L’inutilizzabilità del trattamento dei dati personali reperiti in violazione della disciplina vigente in materia<br />
è riferibile unicamente ai destinatari delle prescrizioni del Codice della privacy, onde non si converte automaticamente<br />
in divieto probatorio per il giudice, ancorché nel processo risultino prodotti atti, documenti o provvedimenti<br />
basati su trattamento di dati personali non conformi a disposizioni di legge o di regolamento.<br />
Terzo. L’inutilizzabilità sul piano probatorio operante nell’ambito del giudizio civile e penale va fatta discendere<br />
- unicamente - dalle eventuali previsioni esistenti rispettivamente, nell’ordinamento processuale civile e in quello<br />
penale e cioè dalle specifiche regole di esclusione rinvenibili in ciascuno di tali ordinamenti.<br />
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