00 - Copertina n. 9-2008.indd - Centro Studi Lavoro e Previdenza
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il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />
Approfondimenti<br />
Ciò premesso, il ricorrente non ha quindi alcuna ragione per dolersi dell’acquisizione dei tabulati telefonici disposta dal<br />
Tribunale, nella parte in cui essi riportano dati completi delle utenze chiamate, che la convenuta in qualità di abbonato,<br />
avrebbe potuto direttamente chiedere al gestore telefonico, essendo essi relativi a limitato periodo di tempo.<br />
Il diritto alla tutela della privacy che il ricorrente può legittimamente vantare, in riferimento a tali tabulati, risulta<br />
conseguentemente circoscritto e confinato alle sole comunicazioni per le quali egli ha anteposto il prefisso 46 o<br />
agli Sms dal medesimo dichiarati e qualificati all’epoca come extra-lavorativi, con apposita doverosa segnalazione<br />
alla resistente. Va però detto che le comunicazioni effettuate dal lavoratore premettendo il prefisso 46 sono prive<br />
di reale interesse per la causa, comparendo del resto non nella fatturazione a carico della convenuta, ma in quella<br />
a carico del ricorrente; quanto poi agli Sms, si deve osservare che il sig. E. non ne ha segnalato alcuno al datore,<br />
per l’addebito personale, dei numerosissimi effettuati nel periodo oggetto di contestazione disciplinare, o quanto<br />
meno non ha provato di averlo fatto, onde essi devono ritenersi tutti inerenti all’attività lavorativa.<br />
Sull’oggetto reale della causa e dell’accertamento giudiziale, rappresentato dalle telefonate prive del prefisso 46 e da<br />
tutti gli Sms effettuati nel periodo, il ricorrente non può pertanto vantare alcun diritto alla riservatezza, trattandosi<br />
per sua stessa ammissione di comunicazioni afferenti il facere lavorativo.<br />
Se poi così non è - e cioè se una parte di quelle telefonate e una parte degli Sms sono in realtà estranei al rapporto<br />
di lavoro, pur avendo il ricorrente dichiarato e fatto risultare l’esatto contrario - non per questo gli è consentito di<br />
invocare il diritto alla privacy, che sarebbe non già la tutela di un diritto costituzionale, ma diverrebbe la tutela dell’abuso,<br />
destinata ad impedire i controlli - essi si legittimi - del datore di lavoro su telefonate e Sms del cui costo si è<br />
fatto economicamente carico (o meglio, ha dovuto farsi carico) per fatto imputabile esclusivamente al dipendente.<br />
Il ricorrente va conseguentemente dichiarato decaduto dal diritto alla privacy vantato, per il divieto - argomentabile<br />
e desumibile dall’art. 1175 c.c. - di venire contra factum proprium, il quale esclude la tutela giuridica quando essa<br />
si correli a pregresso comportamento antidoveroso in antecedenza tenuto da colui che la richiede.<br />
A prescindere dai ristretti ambiti in cui il ricorrente potrebbe, in questa sede, far valere il proprio diritto alla privacy,<br />
destinati come tali ad avere un’incidenza pressoché nulla sulla vicenda e sull’accertamento oggetto di causa, va<br />
comunque osservato che nel caso qui in discussione del tutto legittimamente il Tribunale ha chiesto e ottenuto dal<br />
gestore telefonico, in forza degli ampi poteri istruttori previsto dal 2° comma dell’art. 421 c.p.c. i tabulati integrali<br />
relativi al telefonino aziendale in dotazione dal ricorrente e al periodo giugno-novembre 2<strong>00</strong>5, non potendosi<br />
ravvisare alcun ostacolo normativo nel decreto legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196.<br />
Il comma 1, lett. f), dell’art. 24 (Casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso) di tale decreto<br />
stabilisce innanzi tutto che “il consenso non è richiesto … quando il trattamento … è necessario … per far valere o<br />
difendere un diritto in sede giudiziaria”. In tal caso, che è quello di causa, si può pertanto prescindere dal consenso<br />
dell’interessato o degli interessati.<br />
Ragionare diversamente significherebbe, del resto, impedire alla convenuta di poter assolvere all’onere della prova<br />
che le incombe e quindi di difendersi, in contrasto con l’art. 24 Cost. ed il principio di inviolabilità che esso sancisce.<br />
Né ad una diversa conclusione può pervenirsi in base a quanto previsto dall’art. 132 (Conservazione dei dati<br />
per altre finalità) del decreto legislativo 30 giugno 2<strong>00</strong>3, n. 196, come invece pare suggerire la nota del Segretario<br />
generale del Garante della privacy 16.05.2<strong>00</strong>7 acquisita in corso di giudizio.<br />
Tale norma ha infatti come destinatari i gestori telefonici, disciplinando gli ambiti territoriali in cui i medesimi<br />
sono tenuti a conservare i dati del traffico telefonico, ai fini dell’accertamento e repressione dei reati, e pertanto<br />
è fatto loro divieto di procedere alla cancellazione ex art. 123, commi 1, 2, 3 e 5, del Codice della privacy, in<br />
quanto non più necessari ai fini della comunicazione elettronica, della fatturazione, della gestione del traffico,<br />
dell’accertamento di frodi, ecc.<br />
Essa non ha invece come funzione quella di escludere che l’accertamento giudiziario civile possa avvalersi dei<br />
dati comunque conservati presso i gestori telefonici né che questi siano tenuti ad fornirli, a fronte dell’ordine di<br />
esibizione del giudice, ai sensi dell’art. 210 c.p.c.<br />
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