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00 - Copertina n. 9-2008.indd - Centro Studi Lavoro e Previdenza

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il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

Approfondimenti<br />

Tale tassativa prescrizione aziendale, specificamente richiamata sia nella lettera di contestazione d’addebito che<br />

in quella di recesso, è stata pacificamente violata dal ricorrente, come del resto si ricava dalle sue stesse difese in<br />

punto, avendo sul pc portatile datogli in dotazione creato una cartella personale contenente files musicali, di testo<br />

e fotografici.<br />

Nell’accesso da parte del datore di lavoro a tale cartella - avvenuto alla presenza dello stesso lavoratore e con<br />

modalità che non paiono né vessatorie né contrastare con il divieto generale di correttezza ex art. 1175 c.c. - non<br />

è pertanto astrattamente configurabile un trattamento di dati personali del dipendente, ai sensi dell’art. 4 del Codice<br />

della privacy: siamo, infatti, in presenza, per un verso, di dati personali che il medesimo ha illegittimamente<br />

inserito sul computer aziendale e, per altro verso, di un’attività di “controllo difensivo” effettuata dal proprietario<br />

del bene, dei programmi e di tutte le elaborazioni informatiche presunti sul suo hard disk, nessuna esclusa, del tutto<br />

legittima ed ineccepibile, anche per le modalità che l’hanno accompagnata.<br />

Inserendo tali dati personali in un luogo non proprio, ma altrui, in cui non avrebbero potuto né dovuto trovarsi,<br />

contravvenendo inoltre ad un esplicito divieto aziendale a lui ben noto, il dipendente ha infatti rinunciato ad<br />

avvalersi di un diritto alla privacy, la quale suppone l’esistenza di una sfera personale e privata - legittimamente<br />

creata - inaccessibile ai terzi e tutelata dalla legge contro possibili intromissioni altrui. Ragionare diversamente,<br />

nella vicenda qui in discussione, comporterebbe del resto un risultato paradossale, di fornir cioè tutela a situazioni<br />

immeritevoli di essa, così da sfociare in quella summa iniuria (per usare le sagge parole di Cicerone, De officiis, I,<br />

33) dalla quale il processo deve viceversa rifuggire.<br />

La privacy è infatti bene troppo prezioso, anche per le sue implicazioni di ordine costituzionale, per immaginare<br />

che la sua garanzia possa innestarsi su condotte che contravvengono ai doveri professionali ed essere quindi terreno<br />

per coprire attività abusive e mezzo per evitare strumentalmente di doverne rispondere.<br />

Ciò premesso, non condivisibile deve pertanto ritenersi il provvedimento adottato dal Garante della privacy,<br />

verosimilmente frutto di incompleta informazione sul caso in esame. Tale provvedimento, avente natura amministrativa,<br />

come si ricava dall’art. 152, comma 12, del Codice della privacy, va conseguentemente ritenuto illegittimo<br />

e disapplicato, ai sensi dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E).<br />

In tale contesto risulta pertanto infondata l’eccezione sollevata dal ricorrente di inutilizzabilità dei dati emersi a<br />

seguito dell’accesso alla cartella personale creata sul computer portatile datogli in dotazione.<br />

7. Quanto esposto al paragrafo che precede è di per sé sufficiente a definire la questione prospettata dal ricorrente,<br />

correlata all’eccezione di inutilizzabilità delle prove invocate o prodotte dalla convenuta e discendente dalla<br />

pretesa illegittimità del provvedimento del Tribunale di acquisizione in giudizio dei tabulati telefonici relativi al<br />

telefonino in dotazione del lavoratore e al periodo richiamato nella contestazione d’addebito nonché dalla pretesa<br />

illegittimità dell’accesso del datore alla cartella indebitamente creata dal lavoratore sul pc portatile aziendale quale<br />

“cartella personale”.<br />

Dal momento che, per le ragioni sopra esposte, i profili di illegittimità denunciati dal ricorrente sono risultati<br />

infondati, ne discende che insussistente è anche la conclusione che questi ne trae, di inutilizzabilità sul piano<br />

probatorio di tali tabulati e di quanto contenuto nella citata cartella del pc aziendale.<br />

Il Tribunale ritiene pertanto doveroso - indipendentemente dall’iter argomentativo seguito in antecedenza e per<br />

completezza di motivazione - affrontare comunque anche il profilo giuridico concernente la pretesa inutilizzabilità<br />

di dati afferenti la privacy del lavoratore, nell’ambito di controversia avente ad oggetto il recesso disciplinare.<br />

Come è noto, la categoria legale dell’inutilizzabilità delle prova in sede giudiziale, quale sanzione conseguente alla<br />

violazione di legge commessa all’atto della sua acquisizione, è stata individuata per la prima volta nell’ordinamento<br />

processuale italiano, che sino a quel momento conosceva unicamente la nullità, esposta se del caso alla sanatoria,<br />

con l’art. 191 del vigente c.p.p. del 1988, che così stabilisce: “1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti<br />

dalla legge non possono essere utilizzate. 2. L’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del<br />

procedimento”. Al suo apparire tale enunciato normativo è parso, in uno dei primi commenti, recepire la “fruit<br />

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