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00 - Copertina n. 9-2008.indd - Centro Studi Lavoro e Previdenza

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il Giurista del <strong>Lavoro</strong> 9 2<strong>00</strong>8<br />

(Omissis)<br />

Approfondimenti<br />

10. Chiarito in base a quanto precede, che l’eccezione processuale prospettata dal ricorrente - di inutilizzabilità<br />

delle prove offerte dalla convenuta al fine di assolvere all’onere che le compete per legge, in relazione all’intimato<br />

licenziamento del lavoratore - deve ritenersi totalmente destituita di fondamento, per collocarsi tali prove o nell’ambito<br />

di situazioni che prescindono dal consenso dell’interessato ovvero nell’ambito dei c.d. “controlli difensivi”<br />

datoriali, ammessi e ritenuti legittimi dalla giurisprudenza, o comunque per non essere la privacy del prestatore, ove<br />

invocabile (in via di ipotesi) nella fattispecie, di ostacolo all’accertamento giudiziale, sulla scorta della disciplina<br />

processuale vigente, cui il Codice della privacy rinvia, passiamo ora ad esaminare il merito della causa.<br />

(Omissis)<br />

11. Passiamo ora ad analizzare il secondo addebito contestato al lavoratore. Esso concerne la creazione nel pc<br />

portatile datogli in dotazione, in contrasto con il divieto contenuto nelle Linee guida per l’utilizzo delle postazioni<br />

di lavoro prodotte da entrambe le parti del giudizio, di una “cartella personale” contenente “sotto cartelle con<br />

228 files con estensione JPG (quindi di tipo immagine), con contenuto principalmente di tipo pornografico e 47<br />

files di tipo Word con contenuti prevalentemente di tipo pornografico, che risultano esser stati realizzati durante<br />

l’orario di lavoro”.<br />

(Omissis)<br />

Come si ricava dalla documentazione degli atti di causa, il ricorrente ha infatti preteso e provocato, attraverso<br />

l’ostinata difesa della propria privacy (invocata peraltro senza fondamento, come si è detto e dimostrato sopra),<br />

la distruzione di una parte delle prove detenute dalla convenuta e cioè della cartella c.d. “personale” presente<br />

sull’hard disk del computer portatile aziendale a suo tempo detenuto dal medesimo: e questo non può certamente<br />

ritenersi legittimo, concretando un grave “abuso del diritto di difesa” fattispecie oggi pacificamente riconosciuta<br />

dalla giurisprudenza.<br />

A fronte di tale distruzione sollecitata e pretesa, il ricorrente sostiene ora, in sede di discussione finale della vertenza,<br />

che, in assenza di tale prova, non sarebbe possibile ricostruire e stabilire i fatti di causa; con la conseguenza<br />

che, competendo alla convenuta fornire la dimostrazione del fatto addebitato al lavoratore sul piano disciplinare<br />

e della sua gravità, egli dovrebbe essere assolto dall’addebito e reintegrato nel posto di lavoro. Il Tribunale non<br />

ritiene però che tale conclusione possa essere condivisa ed accolta. Nelle difese scritte proposte dal lavoratore<br />

nel corso del procedimento disciplinare a suo carico si legge quanto segue: “non sono in grado di ricordare se e<br />

quali di essi [files] furono registrati durante l’orario di lavoro e, in caso positivo, quale possa essere stato il tempo<br />

necessario alla loro registrazione. Certamente, però, posso escludere che si trattò di un tempo quantitativamente<br />

rilevante o comunque tale da arrecare alcun tipo di pregiudizio alla mia prestazione lavorativa”. Ma se così è, il<br />

ricorrente avrebbe allora dovuto consentire l’accertamento giudiziale sulla cartella in questione, anziché provocarne<br />

la distruzione, con atti che costituiscono indiscutibilmente offesa grave all’altrui diritto costituzionale di difesa;<br />

indagine che avrebbe anche permesso di chiarire se e quanti accessi vi furono ai files in questione, durante l’orario<br />

di lavoro, e per quanto tempo.<br />

Non averlo fatto è sicuro indice che tale verifica avrebbe non solo confermato quanto allegato dalla convenuta,<br />

ma anzi evidenziato un abuso ancor più grave di quello ipotizzato. Va d’altra parte osservato che, secondo la regola<br />

sulla ripartizione dell’onere della prova per legge prevista (art. 2697 c.c.), nella vicenda disciplinare qui in esame<br />

spetta al datore fornire la prova dell’utilizzo, per ragioni personali ed extra-professionali, del pc portatile assegnato<br />

al lavoratore; e tale prova è stata fornita.<br />

È viceversa onere del lavoratore, e non dell’impresa, dare la dimostrazione della tenuità della propria condotta,<br />

facente seguito a comportamento costituente violazione degli obblighi aziendali sulla disciplina delle postazioni di<br />

lavoro, quali definiti dalla normativa interna (le citate Linee guida). Orbene, nel caso in esame il ricorrente non<br />

solo non ha fornito la prova a suo carico, ma ha anzi tenuto una condotta diretta ad ostacolare l’accertamento giudiziale,<br />

portata allo stadio estremo, quello della (provocata) cancellazione dei dati e dell’offesa all’altrui diritto.<br />

11

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