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LA TESI - SAP Alessandria

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE<br />

Relatore:<br />

Chiar.mo Prof. Giorgio D’ALLIO<br />

“AMEDEO AVOGADRO”<br />

FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA<br />

<strong>TESI</strong> DI <strong>LA</strong>UREA<br />

CAMORRA<br />

UNO STILE DI VITA<br />

ANNO ACCADEMICO 2008/2009<br />

Candidata:<br />

SERENA ROBBA


INDICE<br />

PREMESSA pag. 1<br />

CAPITOLO I<br />

Etimologia del termine camorra pag. 2<br />

CAPITOLO II<br />

Storia pag. 4<br />

CAPITOLO III<br />

I Lazzari pag. 8<br />

3.1 I Patroti insoddisfatti pag. 11<br />

3.2 Vecchie attività e nuovi fermenti pag. 13<br />

3.3 La plebe esclusa pag. 15<br />

3.4 La Bella Società Riformata pag. 16<br />

CAPITOLO IV<br />

I Capintesta pag. 19<br />

4.1 La zumpata pag. 21


4.2 Il pizzo per l’olio votivo per<br />

la Madonna pag. 32<br />

CAPITOLO V<br />

Collusione con il potere legale pag. 38<br />

5.1 Amnistia e vendette pag. 46<br />

5.2 L’incredibile ascesa di Salvatore<br />

De Crescenzo pag. 49<br />

5.3 Camorristi e garibaldini uniti<br />

nella violenza pag. 50<br />

CAPITOLO VI<br />

Tentativo di ritorno alla normalità pag. 54<br />

CAPITOLO VII<br />

Il domicilio coatto pag. 57<br />

7.1 La legge Pica. Prima legge dell’Italia<br />

unita contro la criminalità organizzata pag. 59<br />

7.2 Il domicilio coatto pag. 62


CAPITOLO VIII<br />

Espansione territoriale della camorra pag. 66<br />

8.1 La camorra rurale pag. 70<br />

8.2 Obolo della paranza pag. 77<br />

8.3 La tenuta del potere camorristico pag. 79<br />

CAPITOLO IX<br />

La camorra e la politica pag. 83<br />

9.1 Gli eletti di Montecalvario pag. 88<br />

9.2 La denuncia di Giacomo De Martino pag. 97<br />

9.3 Indagine di cinque commissari governativi<br />

sugli intrecci affaristici e malavitosi.<br />

Il doppio gioco del governo pag. 101<br />

9.4 La camorra durante il fascismo pag. 110<br />

9.5 La Nuova Camorra Organizzata di<br />

Raffaele Cutolo pag. 116<br />

CAPITOLO X<br />

Analisi politica pag. 119


CAPITOLO XI<br />

Analisi economica pag-124<br />

11.1 Appalti pubblici e imposizione estorsiva<br />

del subappalto pag. 124<br />

11.2 Attività economiche illegali tradizionali pag. 128<br />

11.3 Attività legali gestite in modi e forme illegali pag. 130<br />

CAPITOLO XII<br />

Gli studi Lombrosiani pag. 132<br />

12.1 Analisi antropologica pag. 134<br />

CAPILO XIII<br />

Inquadramento sociologico pag. 140<br />

13.1 Considerazioni sulla società campana pag. 142<br />

13.2 Le età della vita pag. 147<br />

13.3 Lo sviluppo diseguale pag. 149<br />

13.4 Il camorrista mancato pag. 150<br />

13.5 Condizioni di miseria e di impotenza pag. 152


CAPITOLO XIV<br />

Assuefazione pag. 155<br />

14.1 Assuefazione biologica pag. 157<br />

14.2 Assuefazione fisica pag. 157<br />

CAPITOLO XV<br />

Statistica della criminalità camorristica pag. 158<br />

15.1 La quantità,una costante pag. 159<br />

15,2 La ferocia nel delitto, un’eredità<br />

dell’antica Grecia pag. 163<br />

15.3 L’organizzazione”frattale” della camorra,<br />

elemento di resistenza ad ogni tentativo<br />

di cura legale. pag. 164<br />

CAPITOLO XVI<br />

Le donne di camorra pag. 165<br />

CAPITOLO XVII<br />

Le altre donne di Napoli pag. 173


La camorra nell’Alessandrino<br />

CAPITOLO XVIII<br />

(Azienda Burro di Campagna) pag. 174<br />

18.1 Intervista ad uno dei funzionari inquisiti coinvolto<br />

in un caso di camorra pag. 176<br />

CAPITOLO XIX<br />

Servizi giornalistici pag. 181<br />

Allegati pag. 190<br />

Bibliografia pag. 202<br />

Documenti pag. 205


Solo a te,<br />

a te così speciale,<br />

a te Donna,<br />

l’unica Donna che io abbia<br />

mai amato<br />

incondizionatamente.<br />

Amore vero, Amore che<br />

riuscirò ad eguagliare solo a<br />

quello di un figlio.<br />

Grazie di avermi permesso di<br />

essere la “tua bambina”,<br />

grazie di avermi insegnato a<br />

vivere.<br />

Il mio primo grande<br />

traguardo lo devo a te;<br />

il mio successo è il tuo<br />

successo.<br />

Ora e sempre nel mio cuore.


Ringraziamenti.<br />

Al termine di questo lavoro, sento l’obbligo di ringraziare il relatore<br />

Chiar. mo Prof. Giorgio D’Allio, per la sua guida paziente e costante nella<br />

stesura della tesi, e per l’assidua presenza lungo il mio percorso di crescita e<br />

maturazione culturale.


1.0 Etimologia del termine camorra.<br />

Le prime notizie dell’uso del termine camorra le troviamo<br />

in un documento medievale .<br />

Definiva gamurra un’organizzazione di mercenari sardi, al<br />

servizio della Repubblica Pisana al cui dominio, nel XIII secolo,<br />

era assoggettata la Sardegna.<br />

Si distinguevano perché indossavano una corta giacca di tela<br />

rossa rimasta in uso, presso i mercanti del Campidano, sino alla<br />

fine del XIX secolo.<br />

Si ipotizza anche un collegamento alla parola morra, che<br />

nell’Italia centrale, oltre ad indicare un gioco popolare<br />

antichissimo, connota una moltitudine di uomini e d’animali, una<br />

frotta, un gruppo numeroso.<br />

Infatti con lo stesso significato di folla vengono adoperate<br />

espressioni come “una morra di persone”, “ una morra di<br />

pecore”. Può avere anche il significato di rissa, tassa sul gioco,<br />

da pagare ai protettori dei locali del gioco d’azzardo nel Regno<br />

di Napoli (1735).<br />

In castigliano, camorra vuol dire lite, rissa; camorra vuol<br />

dire litigare ed il camorrista è un litigioso.<br />

Fare la camorra, a Napoli, vuol dire trarre profitto in<br />

maniera illecita e non dovuta, minacciando, per ottenere denaro,<br />

chi esercita un’attività lecita.<br />

Secondo Salvatore Battaglia * le diverse locuzioni hanno<br />

anche differenti significati:


Arabi.<br />

-fare la morra: vuol dire scalciare (un animale);<br />

-fare la morra con qualcuno: fare a botte.<br />

Altri etimi congetturali ne ricollegano l’origine ai Mori, gli<br />

Nell’espressione della lingua campana “sta c’a morra” vuol<br />

dire appartenere ad un gruppo solidale.<br />

Sempre come espressione locale campana “ca murra” vuol<br />

dire “capo della murra” , cioè guappo di quartiere impegnato a<br />

risolvere le dispute tra giocatori della murra o morra.<br />

• Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua<br />

2. Storia.<br />

Italiana,UTET.<br />

Le favole non rappresentano la storia.<br />

Ma nell’immaginario collettivo di una popolazione, la<br />

consuetudine di tramandare oralmente le conoscenze rappresenta<br />

un aspetto rilevante nell’acquisizione di certezze.<br />

La favola dei cavalieri spagnoli, per chiarire l’origine dei<br />

più importanti fenomeni mafiosi, è talmente diffusa, per cui<br />

bisogna tenerne debitamente conto.


Osso, Mastrosso e Carcagnosso, sono i nomi di tre fratelli,<br />

mitici cavalieri spagnoli, associati ad una società segreta di<br />

Toledo chiamata guarduna, venuti in Italia attorno all’anno 1412,<br />

perché in fuga dal loro Paese per aver difeso l’onore della propria<br />

famiglia, vendicando col sangue l’offesa subita da una sorella.<br />

Si narra che fecero tappa all’isola di Favignana, per 29 anni<br />

e, lavorando segretamente sotto terra, elaborarono le regole<br />

sociali delle più grandi organizzazioni mafiose.<br />

Quando tornarono alla luce del sole, Osso si recò in Sicilia e<br />

fondò la mafia; Mastrosso arrivò in Campania e fondò la<br />

Camorra;<br />

Carcagnosso sbarcò in Calabria e diede vita alla<br />

‘ndrangheta.<br />

Secondo un rituale riportato da Luigi Malafarina:<br />

-Osso rappresenta Gesù Cristo;<br />

-Mastrosso rappresenta San Michele Arcangelo;<br />

-Carcagnosso rappresenta San Pietro che cavalca un<br />

bianco destriero e staziona davanti alla porta della Società.<br />

Secondo un’altra versione:<br />

- San Giorgio assicurerebbe la protezione di Osso;<br />

- la Madonna quella di Carcagnosso;<br />

- l’Arcangelo Gabriele quella di Mastrosso.<br />

Nella cultura e nella tradizione mafiosa , questi sono<br />

elementi simbolici di grande importanza.<br />

Fanno riferimento alla Spagna, per le nobili origini dei<br />

cavalieri, come mito fondante di tutte le organizzazioni mafiose,


e intesse la storia con l’onore, la famiglia, la segretezza, le<br />

regole.<br />

Il riferimento all’isola di Favignana, sede di penitenziario, è<br />

una chiara allusione al carcere, importante nella formazione<br />

mafiosa degli affiliati, che nei richiami alla protezione dei santi<br />

della Chiesa cattolica credono di beneficiare di una protezione<br />

sacra che assicura ad essi grande forza psicologica.<br />

Altra ipotesi più attendibilmente storica è quella della<br />

nascita e dello sviluppo medievale nei quartieri bassi attorno al<br />

porto di Cagliari.<br />

Poi, nel secolo XIII, Pisa riesce a controllare i sardi<br />

attraverso bande armate ed organizzate di mercenari che<br />

pattugliano i borghi e mantengono l’ordine pubblico.<br />

Questa consolidata organizzazione di mercanti-mercenari<br />

presenti nell’isola, con il passaggio del potere dai Pisani agli<br />

Aragonesi, manterrà intatta la sua operatività.<br />

Successivamente, questi gruppi, attraverso i sardo-ispanici<br />

lasciano Cagliari e si trasferiscono in Campania nel XVI secolo e<br />

saranno attivi sotto la dominazione spagnola.<br />

Nel territorio campano sono presenti gruppi banditeschi<br />

soprattutto nelle zone rurali.<br />

La camorra, invece, trova il suo habitat più propizio nella<br />

città, specialmente nei quartieri più densamente popolati.<br />

Gioco d’azzardo, gabelle, protettorato, sono le fonti<br />

economiche di sostentamento dell’organizzazione criminale.


2.1 La Guarduna spagnola.<br />

Punti di contatto ed analogie tra lo statuto della<br />

“Guarduna“ spagnola<br />

ed il regolamento della camorra denominato “il frieno “.<br />

Strutturazione della “Guarduna”.<br />

Il capo riconosciuto è il Gran Maestro.<br />

Nella scala sociale della “Guarduna”, è seguito da:<br />

Guapos. Il guapos è uomo bravo, elegante, bello.<br />

Venivano detti anche punteadores, cioè esecutori di colpi di<br />

arma da punta.<br />

singole province.<br />

Capatazes, che facevano eseguire gli ordini nelle<br />

Floreadores, che ricevevano incarichi di minore<br />

rischio. In genere giovanissimi ladri cui venivano assegnati<br />

incarichi di rischio minore e per questo venivano chiamati anche<br />

hermanos postulantes.<br />

Les fecalles, informatori, specie di spie su tutto ciò<br />

che poteva interessare l’organizzazione.<br />

Cobertas, ricettatrici di bottini.<br />

Chivatos, ragazzini dai 10 ai 15 anni che aspiravano<br />

ad incarichi maggiori, che dopo 2 anni diventavano postulantes e<br />

dopo altri 2 anni guapos.<br />

L’organico veniva completato dalle:<br />

Sirenas, donne giovani e carine che divenivano<br />

amanti dei capi. Spesso facevano da specchietto per le allodole,<br />

per attirare le vittime degli agguati in posti prestabiliti.


A tutte queste persone si aggiungevano:<br />

guardie,<br />

Scrivani,<br />

Procuratori,<br />

Monaci,<br />

Canonici,<br />

Vescovi,<br />

Inquisitori, che erano spesso strumenti o protettori<br />

della guarduna, di cui avevano frequentemente bisogno e dalla<br />

quale ricevevano denaro.<br />

tolleranza.<br />

L’associazione godeva di connivenze, appoggio,<br />

Il ricorso all’uso della forza e della violenza, per<br />

risolvere il contenzioso in affari e altri contrasti, era una<br />

normalità.<br />

Tutte queste regole erano dettate nei nove articoli<br />

della guarduna nel 1840.<br />

Appare scontato che all’arrivo degli Spagnoli a<br />

Napoli, subito dopo la dominazione Aragonese, nel 1502, lo<br />

statuto della guarduna fosse patrimonio di conoscenza di gran<br />

parte dei soldati di occupazione, dagli stessi ispanici chiamati<br />

giannizzeri, i quali ben presto affiliarono sgherri e malandrini,<br />

commettendo soprusi e ricatti a danno di benestanti, con la<br />

minaccia di morte.


3.0 I Lazzari.<br />

Il lazzaro è un popolano plebeo, senza arte né parte,<br />

senza un tetto sotto cui ripararsi, tendenzialmente<br />

sfaccendato, sempre pronto ad attaccar briga, dedito alla<br />

gestione di affari illeciti.<br />

Il nome è di origine spagnola. Li chiamavano los<br />

lazzaros, dall’etimologia del Lazzaro delle sacre carte,<br />

che disputava gli ossi ai famelici cani, presso le porte del<br />

ricco Epulone.<br />

All’arrivo di Carlo III di Borbone, si stimava che, a<br />

Napoli, vi fossero almeno 60.000 lazzari.<br />

Nell’ambito del lavoro, costituivano la massa<br />

dequalificata di ragazzi di bottega, giovani al servizio di<br />

artigiani con funzioni subalterne ed un’assoluta precarietà<br />

nel rapporto con il padrone, di facchini, e tutta una<br />

popolazione inoperosa che si limitava al reperimento del<br />

minimo indispensabile, sopravvivendo alla giornata.<br />

Nel 1799, a Napoli, si era determinata una situazione<br />

particolarmente critica.<br />

I Francesi stavano per entrare in città.<br />

Ferdinando IV, il re nasone, unitamente ai nobili, era<br />

prudentemente in fuga.<br />

La massa della plebe, unita agli sfruttatori di<br />

prostitute, tangentisti del gioco d’azzardo, facchini,<br />

bottegai, malavitosi di professione, nell’incertezza che<br />

accompagna tutti i cambiamenti epocali, preoccupati<br />

dell’arrivo dei soldati di Napoleone, si coalizzarono per<br />

difendere gli illeciti interessi comuni.


Divennero così una folla, minacciosa e combattente,<br />

che individuò i suoi capi in due popolani che godevano<br />

della stima comune: Michele Marino, detto ‘O Pazz, il<br />

pazzo, e Antonio Avella detto Pagliuchella.<br />

Loro un lavoro ce l’avevano, anche se assai<br />

modesto:<br />

- il pazzo faceva il garzone di vinattiere;<br />

- pagliuchella, invece era un marinaio.<br />

Come capitava spesso, a Napoli, nei ricorrenti<br />

avvicendamenti di dominatori e di poteri, con la partenza<br />

del Re e dei suoi nobili, la città precipitò in preda<br />

all’anarchia.<br />

Per diversi giorni, dal 16 al 20 gennaio 1799, i<br />

lazzari, come folla raccogliticcia e poco ordinata si dedicò<br />

al saccheggio, ai furti, alle rapine.<br />

Nel frattempo, arrivarono i Francesi.<br />

I lazzari, determinati a difendere la città,<br />

ingaggiarono una lotta feroce e sanguinosa contro gli<br />

invasori, con l’obiettivo di imporre le loro condizioni.<br />

Morirono a migliaia.<br />

Il generale Championnet scrisse: “I Lazzaroni sono<br />

uomini eccezionali, sono degli eroi”. Capì che in un<br />

ambiente, così ribollente di folla determinata, disposta a<br />

morire per difendere il niente che possedeva, per<br />

conoscere approfonditamente il territorio, elemento<br />

fondamentale nell’esercizio positivo dell’arte militare,<br />

bisognava scendere a compromessi.<br />

Individuò i capi dei rivoltosi e li fece convocare.


Conobbe Michele Marino, il pazzo, con un<br />

curriculum carico di reati e privo di buone referenze, e lo<br />

convinse che con l’arrivo delle truppe francesi nulla<br />

sarebbe cambiato nelle usanze e nel modo di vivere dei<br />

lazzari.<br />

A queste condizioni, venne rapidamente raggiunto<br />

l’accordo.<br />

Michele Marino, posizionato in testa allo squadrone<br />

di cavalleria del generale Thiébault, acclamato dalla folla<br />

dei suoi, guidò i francesi attraverso le vie della città, per<br />

consentirne la conoscenza territoriale, indispensabile per<br />

una più agevole occupazione.<br />

In questo periodo di tumulti della plebe, di violenza<br />

e diffusa delinquenza, di avvicendamenti al potere, nasce<br />

il mito dei sovrani della parte bassa, cioè dei delinquenti<br />

più abili nel controllare tutti i traffici illeciti, sempre<br />

pronti ad usare le armi, capaci di approfittare di ogni più<br />

caotica situazione.<br />

Il secolo dell'Illuminismo, per Napoli, è quello dei<br />

tumulti.<br />

Se ne verificarono ben tre, e determinarono<br />

cambiamenti di potere rilevanti:<br />

- fine della dominazione spagnola;<br />

- conquista austriaca della durata di ventisette anni,<br />

con la successione di dodici viceré;<br />

- avvento della dinastia Borbone e realizzazione di<br />

uno stato autonomo, con capitale a Napoli.<br />

Cronologia degli avvenimenti:<br />

- 1764, prima rivolta;


- 1790, seconda rivolta;<br />

- 1799, terza rivolta.<br />

Nel 1764 i nobili si allearono con i lazzari.<br />

Al popolo venne concessa la facoltà di vendere pane<br />

e farina a prezzi sestuplicati.<br />

All'aristocrazia venne riservata la possibilità di fare<br />

speculazioni economiche.<br />

Nel 1790, seconda rivolta, capeggiata da Nicola<br />

Sabato e dal suo vice Fabiano.<br />

Nel 1799, terza rivolta. È il periodo più intenso.<br />

La conoscenza con i camorristi, i liberali l'avevano<br />

fatta nelle carceri, dopo i moti del 1848.<br />

Avvocati, professori, nobili avversari dei Borbone<br />

condannati per cospirazione e per le loro idee politiche,<br />

avevano subito l'onta di un carcere duro, ma nella<br />

convivenza con i camorristi avevano ottenuto rispetto e<br />

considerazione; avevano dialogato con loro, nonostante le<br />

enormi distanze culturali.<br />

Agli occhi dei camorristi i detenuti politici<br />

meritavano rispetto per il loro contrasto con la polizia,<br />

anche se disputato solo a parole, che produceva però il<br />

medesimo effetto di finire in galera.<br />

La comune detenzione fu una straordinaria<br />

occasione di reciproca conoscenza con l'abbattimento<br />

temporaneo di ogni barriera culturale.


3.1 Patrioti insoddisfatti.<br />

I patrioti erano delusi, insoddisfatti della netta<br />

separazione tra la plebe e gli aristocratici, desideravano<br />

eliminare il solco ideologico e di interessi che divideva<br />

nettamente i due strati della popolazione. Per cominciare,<br />

si poteva dare dignità linguistica al dialetto, anche se tutti<br />

erano convinti che i motivi della distanza culturale<br />

fossero un insieme di fattori difficili da conciliare.<br />

La situazione era disastrosa soprattutto per quanto<br />

riguardava l'istruzione popolare.<br />

In molti casi l'esigenza non era quella di migliorarla,<br />

ma di introdurla, perché l'analfabetismo era la condizione<br />

più ricorrente per una parte rilevante della popolazione.<br />

La massa, la plebe che doveva essere sollevata dalla<br />

condizione di ignoranza e di miseria, viveva di sotterfugi<br />

e di illegalità, cercava di sfruttare ogni opportunità offerta<br />

loro dai gestori del potere.<br />

Negli anni attorno al 1799, imperversava il gioco<br />

d'azzardo. Ogni festa era occasione di forte richiamo per<br />

una folla di giocatori che disponevano, in poco tempo, di<br />

grandi somme, ripulendo sistematicamente le tasche degli<br />

sprovveduti. Il giudizio dei patrioti sul gioco d'azzardo<br />

era giustamente severo. Ma veniva praticato anche perché<br />

regolamentato: nel 1735, Carlo III di Borbone , a pochi<br />

mesi dal suo insediamento sul trono di Napoli e Sicilia,<br />

aveva firmato una prammatica, dal titolo De Aleatoribus,<br />

contenente l'elenco delle case da gioco tollerate. Tra di<br />

esse figurava anche la Camorra innanzi Palazzo, che era<br />

una bisca situata di fronte alla reggia, a Largo Palazzo,


dove veniva praticato il gioco della morra. Nel termine<br />

camorra, contenuto in questo atto ufficiale, alcuni<br />

individuano un'altra possibile origine etimologica della<br />

camorra, che in effetti, legata com'è all'estorsione sulle<br />

scommesse, non è tanto distante dalle altre ipotesi<br />

correnti.<br />

Anche se il gioco era legalizzato, i prepotenti<br />

pretendevano una tangente per assicurare la calma e la<br />

tranquillità della piazza.<br />

Nonostante le buone intenzioni, e il sincero desiderio<br />

dell'elevazione morale e materiale della società, i patrioti,<br />

loro malgrado, dovevano constatare che le uniche attività<br />

in crescita erano il gioco d'azzardo, la prostituzione,<br />

l'estorsione a danno dei detenuti, i furti. Anzi, nel tempo,<br />

queste attività, oltre alla crescita quantitativa,<br />

miglioravano anche sotto l'aspetto qualitativo: aumentava<br />

l'attività dei gruppi criminali organizzati per parassitare<br />

ogni forma di iniziativa lecita o illecita, e con essa anche<br />

le occasioni di contrasto, che spesso sfociavano nelle lotte<br />

più accanite.<br />

Tra i gruppi delinquenziali partenopei i contrasti<br />

venivano spesso regolati facendo uno sfregio sul viso<br />

dell'avversario con un coltello affilato, per lasciare una<br />

traccia permanente di una punizione inflitta per una<br />

mancanza grave, ma non tanto da richiedere la morte.<br />

Questa usanza di procurare una grossa cicatrice sul volto<br />

dell'avversario, con modalità diverse ed armi dalle lame<br />

affilate o sgranate ed insozzate di feci, le ritroviamo 100<br />

anni dopo nel frieno della Bella Società Riformata. E,


segno dell'evoluzione dei tempi, la troviamo più<br />

frequentemente a danno delle donne, già sfruttate col<br />

meretricio quasi sempre imposto.<br />

Di parere diverso, anche se pronunciato nel 1896, in<br />

piena influenza lombrosiana, il parere dell'avvocato<br />

napoletano Ciraolo Hamnett, perché convinto che la<br />

criminalità femminile fosse un fatto inarrestabile, e che<br />

“la donna napoletana avesse una cristallizzazione etnica,<br />

per cui gli istinti primitivi appaiono e trionfano come in<br />

nessuna delle altre donne italiane”.<br />

3.2 Vecchie attività e nuovi fermenti.<br />

Quasi ad indicare una continuità nella diversità dei<br />

regnanti, nel periodo della dominazione austriaca, con<br />

atto del 30 settembre, il Viceré emise una Prammatica<br />

contro l'uso dello sfregio, che prevedeva la pena di morte.<br />

I patrioti avevano ormai compreso da tempo che la<br />

plebe rappresentava l'ostacolo maggiore a ogni riforma, e<br />

che lo sviluppo, nell'impossibilità di una mobilità sociale<br />

uniformemente diffusa avrebbe richiesto tempi<br />

incompatibili con i loro progetti.<br />

Intanto le abitudini e le vecchie attività del popolino<br />

non mutavano. E come avrebbero potuto se le condizioni<br />

di vita economiche e sociali restavano cristallizzate al<br />

passato? In una società interamente chiusa gli unici<br />

segnali di cambiamento e di mobilità, erano i fermenti<br />

della malavita, che dal singolo e dal piccolo gruppo,<br />

evolveva in forme di aggregazione più potenti e perciò<br />

progressivamente più prevaricatrici e parassitarie. Ma era


comunque una forma di organizzazione del potere della<br />

plebe, che nell'immediato svolgeva la sua attività<br />

parassitaria a carico di onesti lavoratori e non: cocchieri,<br />

facchini, lattai, acquaioli, commercianti, gioco d'azzardo,<br />

prostituzione, eccetera.<br />

Spariva rapidamente lo spontaneismo delinquenziale<br />

dei lazzari, trasformandosi nello status delinquenziale del<br />

camorrista. E così, la camorra, da fenomeno di massa,<br />

diveniva anche fenomeno di classe, e cominciava a<br />

prendere coscienza del suo potere.<br />

Fioriva intanto l'illegalità del gioco, dell'estorsione e,<br />

soprattutto della prostituzione, ed erano i segni più<br />

evidenti del cambiamento della società.<br />

Tanto che per limitarne l’ubiquitarietà, nel 1737, fu<br />

emanata una prammatica rescritto, intitolata come le altre<br />

numerose emanate in precedenza, De Meretricibus, che<br />

prevedeva di relegare le prostitute in zone delimitate, una<br />

specie di quartiere ghetto. Di fatto, la prostituzione,<br />

poteva essere esercitata nei borghi di S. Antonio e di<br />

Loreto. In epoche successive il problema si ripresentò per<br />

gli abitanti del quartiere dell'Imbrecciata che protestarono<br />

indignati, nell'aprile del 1799, ed ottennero il divieto<br />

dell'esercizio della prostituzione nel loro quartiere.<br />

Quando la società partenopea del Regno di Napoli e<br />

delle due Sicilie, godeva ancora di un certo equilibrio, il<br />

popolo minuto era legato ai ceti abbienti con una specie<br />

di cordone ombelicale che gli garantiva la sopravvivenza<br />

attraverso una serie di attività svolte a servizio degli<br />

stessi.


Alla fine di settembre del 1799, lazzari e popolani,<br />

furono protagonisti dei disordini che seguirono l’arrivo<br />

dell'armata sanfedista del cardinale Ruffo. Nella<br />

confusione generale, alla normalità dei furti si<br />

accompagnò quella dell'assassinio di cittadini accusati, a<br />

torto o a ragione, di giacobinismo. Ma erano comunque<br />

accuse pretestuose, perché allora come ora, ai soggetti<br />

inquadrabili nel mondo della camorra, interessa solo il<br />

lato economico, piccolo o grande che sia. Il fatto nuovo è<br />

che comprendono che nonostante la lotta e le<br />

rivendicazioni la struttura sociale esistente li condanna al<br />

ruolo di esclusi, ma acquistano coscienza che la violenza<br />

è la loro forza, e poteva essere messa in gioco per<br />

rompere il guscio di povertà e di isolamento<br />

3.3 La plebe esclusa.<br />

La storia della camorra è la storia di un popolo<br />

costretto a vivere in un contesto caratterizzato<br />

dall'immobilismo sociale; che si sente emarginato; che<br />

percepisce il potere camorristico più vicino e meno<br />

vessatorio di tutte le strutture statali deputate al governo<br />

della città.<br />

Nell'Ottocento i gruppi spontanei, uniti da interessi<br />

contingenti e di durata incerta, raggiunsero l'assetto di<br />

un'organizzazione stabile.<br />

In una struttura sociale prevalentemente chiusa, che<br />

non riesce a comunicare al suo interno, la camorra, anche<br />

per la vicinanza fisica, rappresenta una forma di


aggregazione in grado di controllare la violenza della<br />

plebe, sempre pronta ad esplodere.<br />

La camorra, come fenomeno di classe e di massa, è<br />

uno degli illegalismi più noti della storia europea<br />

dell'Ottocento.<br />

Per evoluzione propria e per il coinvolgimento delle<br />

Amministrazioni, la camorra assunse il ruolo di partito<br />

della plebe.<br />

La storia della società campana è una storia di<br />

contrasti: grande ricchezza e grande miseria. Una<br />

convivenza difficile e pericolosa.<br />

È la storia di una élite incapace di modernizzarsi, e<br />

che risponde con la forza alla richiesta, della popolazione<br />

indigente, di una maggiore disponibilità di beni di<br />

sussistenza.<br />

In questo contesto, la plebe napoletana, la plebe<br />

esclusa, individua nella violenza l'unica vera risorsa di cui<br />

dispone per ottenere, di volta in volta, una conveniente<br />

contropartita.<br />

E la camorra, espressione e figlia di questa<br />

mentalità, costruì su di essa la sua struttura di potere in<br />

grado di contenerne gli eccessi e di manovrarla a seconda<br />

delle situazioni.<br />

Per consuetudine e per mediazione interessata, il<br />

dialogo tra “la plebe esclusa” e la classe dirigente<br />

borbonica, sabauda o repubblicana, è stato sempre<br />

assicurato dalla camorra.


4.0 La Bella Società Riformata.<br />

Nel 1650, Napoli, con 400.000 abitanti era, per quei tempi,<br />

una metropoli enorme che venne falcidiata dalla peste.<br />

Sopravvisse solo il 40% della popolazione.<br />

Una società che cercava di riprendersi e crescere<br />

nuovamente, con l'attività degli artigiani, commercianti,<br />

commercianti, marinai, pescatori, domestici.<br />

Alla delinquenza individuale andava ad aggiungersi sempre<br />

più diffusamente quella organizzata.<br />

Le prime personalità rilevanti del crimine campano,<br />

cominciano con l'abate Cesare, al secolo Cesare Riccardi,<br />

maestro di breviario e di coltello.<br />

Don Cesare era abate per vocazione, ma gli eventi gli<br />

cambiarono la vita.<br />

Per difesa personale commise il primo delitto, uccise<br />

Alessandro Mastrillo, duca di San Paolo di Nola, e per evitare<br />

una sicura condanna a morte si diede alla macchia e creò uno dei<br />

gruppi malavitosi più pericolosi di cui era il capo riconosciuto e<br />

autorevole.<br />

Nel 1670, in uno scontro con i soldati, rimase ferito un suo<br />

compagno e per farlo curare lo affidò al tavernaio di Nola,<br />

Natale Guazzone, ma questi fece la spia.<br />

La vendetta non si fece attendere. Raggiunse il tavernaio e<br />

lo fece appendere per un piede, gli tagliò la gola e gli appese un<br />

cartello sul quale spiegava che Natale Guazzone era uno spione.<br />

Aveva fatto uno sgarro, un'infamità.


Qui già c'è il germe della mentalità e della personalità<br />

camorristica: “lo spione è un infame e per questo deve morire”<br />

Per sopravvivere, abate Cesare continuò a imporre tangenti,<br />

a fare rapine, sequestri, assassinii, per questo veniva ricercato dai<br />

giudici di tutto il vicereame spagnolo, ed era stato convocato in<br />

giudizio a Castelcapuano.<br />

latitante.<br />

Non presentandosi venne dichiarato fuorbandito, cioè<br />

Alla base dell’organizzazione camorristica c’è la<br />

consapevolezza che la violenza è l’unica risorsa dei ceti più<br />

poveri.<br />

Ma l’impiego di tale risorsa va disciplinato e controllato.<br />

La violenza è un’attività mercificabile, e chi è capace di<br />

governarla e di usarla la rende funzionale al mercato e ne trae<br />

smisurati profitti.<br />

All’inizio dell’Ottocento, la camorra non disponeva di<br />

regole codificate.<br />

Questa condizione prestava il fianco ad ogni esagerazione<br />

criminosa individuale ed<br />

i numerosi eccessi di prevaricazioni creavano sconforto e<br />

ulteriore confusione nei quartieri popolari.<br />

Nelle carceri, la camorra, favorita dalle restrizioni della<br />

detenzione, era rigidamente organizzata, agevolata anche dalla<br />

passività e dalla connivenza dell’autorità penitenziaria, che se ne<br />

serviva per mantenere l’ordine tra i detenuti.<br />

Per le strade della città, invece, regnava lo spontaneismo.


4.1 I capintesta.<br />

Forse non sarà stato il primo malvivente ad aver organizzato<br />

una consorteria di soggetti poco raccomandabili, ma la sua<br />

attività si può ben definire di stampo camorristico.<br />

E fu sicuramente antesignano capintesta, se si tiene conto<br />

che abate Cesare, con i suoi associati, impose tangenti, ed<br />

organizzò rapine e sequestri di persone a scopo estorsivo.<br />

Ignorò l'ordine di comparizione in tribunale a Castelcapuano<br />

e venne dichiarato fuorbandito, cioè latitante.<br />

Abate Cesare, non era l'unico fior di delinquente operante a<br />

Napoli e dintorni.<br />

Bande diverse, organizzate, esercitavano la loro attività<br />

criminale nei settori che consentivano facili profitti: sequestri di<br />

persone, gioco d'azzardo, prostituzione, estorsioni,<br />

taglieggiamenti.<br />

Uno di questi altri pezzi da novanta era 'o maranese, al<br />

secolo Giovanni Lepore, che taglieggiava le cascine intorno alla<br />

città.<br />

Altro malavitoso, organizzato e ferocemente geloso, fu<br />

Marco Sciarpa che, avendo sorpreso la moglie Carmela Riccio<br />

in tenero abbandono con Matteo De Lellis, li uccise entrambi.<br />

Prostituzione, tangenti sul gioco, sulle piccole attività<br />

commerciali ed artigianali, come risulta da un documento della<br />

polizia del 1827, erano gli introiti prevalenti dei camorristi.<br />

Particolarmente fiorente, la prostituzione, nel 1836, venne<br />

regolamentata, imponendo delle restrizioni, stabilendo il divieto<br />

dell'esercizio negli alberghi e nelle locande. Il divieto veniva<br />

spesso aggirato dalle donne che, con la scusa di vendere uova,


vino ed altri alimenti, continuava ad esercitare nei luoghi<br />

interdetti al meretricio.<br />

Non mancavano i casi di corruzione delle forze dell'ordine<br />

che, in cambio di denaro, consentivano una libera attività.<br />

In quel tempo, Napoli, era una popolosa città di 400.000<br />

abitanti, asfissiata dal fiscalismo esasperato del governo dei<br />

viceré, che l'amministravano per conto dei sovrani di Madrid,<br />

imponendo gabelle pesantissime.<br />

Quando la camorra era già divenuta, di fatto,<br />

un'organizzazione gerarchica, il primo capintesta riconosciuto,<br />

che dal 1830 al 1839, si impose su tutti gli altri, fu Michele<br />

Aitollo, alias Michele 'a nubiltà, che si distingueva da tutti gli<br />

altri camorristi per i suoi modi gentili e una certa signorilità. Di<br />

professione pescatore di ostriche e frutti di mare, integrava il suo<br />

reddito soprattutto con le tangenti imposte ai pescivendoli.<br />

Venne nominato capintrito del quartiere Porto e seppe<br />

esercitare la sua attività camorristica con personalità e con<br />

rapporti cordiali e strettissimi, prestando la sua autorità a<br />

chiunque avesse un bisogno o un contenzioso da risolvere. Di lui<br />

si apprezzava il suo “ buon cuore” e gli aneddoti che circolavano,<br />

tra i popolani, sul suo conto erano numerosi e di segno positivo.<br />

Questa specie di propaganda continua sulle qualità positive dei<br />

camorristi, favoriva la tolleranza e l'acquiescenza nei confronti<br />

dei capintriti, nelle zone d'influenza. Michele Aitollo, di bassa<br />

statura, e con il corpo ricoperto di tatuaggi, aveva moglie e<br />

cinque figli. Morirono tutti nell'epidemia di colera del 1836.<br />

Dopo la morte dei familiari, unitamente ai suoi affiliati camorristi


collaborò alla disinfezione di estese aree cittadine, e la sua fama<br />

di uomo di buon cuore si diffuse ulteriormente.<br />

Nel 1838, il padre di una ragazzina di 15 anni sedotta da un<br />

pescivendolo, chiese il suo intervento per convincere o<br />

costringere il giovanotto al matrimonio riparatore perché la<br />

ragazza era stata compromessa nel suo onore. L'impegno di<br />

Michele Aitollo fu immediato, ed il seduttore, intimorito,<br />

promise di sposare la ragazzina. Ma alla prima occasione, il<br />

pescivendolo fuggi in Inghilterra. Nell'impossibilità di imporre il<br />

matrimonio riparatore al fuggiasco, Michele mantenne l'impegno,<br />

sposando lui la ragazza compromessa.<br />

L'anno successivo per la sua mania dei tatuaggi contrasse<br />

un'infezione che lo portò a morte. Il tatuatore venne sgozzato e<br />

non fu possibile trovare il colpevole, che andava sicuramente<br />

cercato tra gli associati alla “ Bella Società Riformata”.<br />

4.2 La zumpata.<br />

Accadeva spesso che chi sapeva usare il coltello con<br />

maestria riusciva a prevalere nell'universo camorristico attraverso<br />

duelli, denominati zumpate, la cui etimologia è da ricercare nelle<br />

modalità con cui si svolge il combattimento: attacchi repentini e<br />

salti per arretrare celermente. Saltare, in napoletano, si dice<br />

zumpare, e l'insieme dei salti è una zumpata.<br />

Luoghi designati per questi scontri erano Fuori Porta<br />

Medina, Capodichino, alcune zone di S. Antonio Abate. Spesso i<br />

duelli erano estremamente cruenti e l'esito mortale. Quando uno<br />

dei duellanti rimaneva a terra, in una pozza di sangue, privo di


vita, non si trovava mai un testimone: nessuno aveva visto,<br />

nessuno aveva sentito.<br />

Nella zona di Porta Capuana, nel 1840, il camorrista più<br />

abile nella zumpata e prepotente nei modi, era Aniello Ausiello,<br />

di Porta Capuana. La sua paranza lucrava sulla partecipazione<br />

all'asta dei cavalli di scarto dismessi dall'Esercito. In pratica<br />

Aniello ed i suoi picciotti si presentavano all'asta e la<br />

monopolizzavano, scoraggiando con modi appropriati ed efficaci<br />

chiunque intendesse parteciparvi. Capitò che in un'asta, un<br />

camorrista concorrente non volesse sentire ragioni, e fece una<br />

brutta fine.<br />

In una situazione di assoluto monopolio, Ausiello riusciva<br />

ad accaparrarsi tutti gli animali a misero prezzo, favorito da<br />

banditori corrotti, e li rivendeva con cospicui guadagni. In questa<br />

situazione di consolidato dominio nessuno osava intromettersi<br />

nell'ambiente delle aste.<br />

Quattro capintriti avevano cercato di insidiargli la moglie,<br />

nannina 'a pizzicata e lui li sfidò uno ad uno, in regolari zumpate<br />

e li uccise. Divenne capintesta senza opposizione alcuna:<br />

proveniva da Porta Capuana, come previsto dal frieno ed era,<br />

cosa molto importante, il più lesto ad uccidere. L'intraprendenza<br />

di Ausiello non aveva limiti, e spalleggiato sempre da un nutrito<br />

gruppo di malviventi, tra i quali un ex soldato svizzero, da lui<br />

nominato contaiolo, esercitava una nuova attività, quella della<br />

vendita delle armi alle bande dei briganti della provincia. Questa<br />

attività aggiuntiva ne decretò la sua definitiva scomparsa.<br />

L'assemblea dei camorristi lo dichiarò indegno e dovette<br />

dimettersi ed allontanarsi da Napoli, mentre la moglie, causa di


morte dei quattro capintriti, giustiziati dal marito, venne uccisa<br />

dalla moglie del nuovo capintesta. In questa occasione Ausiello<br />

fu sfortunato. Infatti i tempi cambiavano rapidamente, e nel<br />

sodalizio della Bella Società Riformata entravano a pieno titolo<br />

ladri e rapinatori. Prima la camorra esigeva tangenti dai ladri, ora<br />

li aggregava e concedeva ad essi la possibilità di esercitare<br />

l'attività ladresca in conto proprio, senza pretendere alcunché.<br />

In un clima di generale accettazione e rassegnazione,<br />

s’imponevano quelli che venivano definiti i re della plebe.<br />

Ma gli equilibri precari non sono destinati a durare a lungo.<br />

In quegli anni, il personaggio dominante sulla scena<br />

camorristica napoletana era, indiscutibilmente, Pasquale<br />

Capuozzo.<br />

Questi faceva il maniscalco, e arrotondava il reddito<br />

facendo la camorra nella zona di Porta Capuana, vicino al<br />

carcere ed al Tribunale della Vicaria.<br />

Altri personaggi autorevoli ed intraprendenti, contendevano<br />

a Pasquale Capuozzo la pretesa supremazia, e lo status di unico<br />

capo cittadino.<br />

Parimenti prepotente ed agguerrito, Nicola Castaldi, ne<br />

ostacolava l’attività e ne contestava l’autorità.<br />

Accadde così che il contrasto, fatalmente, sfociasse nel<br />

duello.<br />

Castaldi ebbe la peggio e ci rimise la pelle.<br />

Quando arrivarono i gendarmi borbonici, nessuno aveva<br />

visto e udito nulla.<br />

Un morto senza testimoni.


Tradizionalmente i camorristi esercitavano attività di<br />

intermediazione nel settore degli alimentari.<br />

Imponevano a fornai, beccai, rivenditori di derrate nei<br />

mercati, prezzi e fornitori e, con le buone o con le cattive,<br />

scacciavano la concorrenza.<br />

Permanendo una condizione di perenne belligeranza tra i<br />

camorristi, urgeva la necessità di darsi delle regole per stabilire<br />

tempi, modi e gerarchie della camorra.<br />

Fu così che, nel 1842, il contaiuolo Francesco Scorticelli,<br />

venne incaricato dalla setta di redigere un documento scritto, uno<br />

statuto.<br />

Doveva contenere tutti i “frieni” vigenti, la scansione<br />

temporale e le modalità d’ingresso nella carriera percorribile<br />

dagli adepti, il sistema di spartizione dei proventi delle estorsioni,<br />

commisurate alla posizione occupata nella scala gerarchica.<br />

Il 12 settembre 1842, nella chiesa di Santa Caterina a<br />

Formiello, Scorticelli diede lettura di un frieno composto da 26<br />

articoli:<br />

Art. 1. La Società dell’Umiltà o Bella Società Riformata ha per scopo<br />

di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in<br />

circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente.<br />

Art. 2. La Società si divide in Maggiore e Minore: alla prima<br />

appartengono i compagni camorristi alla seconda i compagni picciotti e<br />

giovanotti onorati.<br />

Art. 3. La Società ha la sua sede principale in Napoli, ma può avere<br />

delle categorie anche in altri paesi.<br />

Art. 4. Tanto i compagni di Napoli che di fuori Napoli, tanto quelli<br />

che stanno nelle isole o sottochiave (in carcere) o all’aria libera, debbono


iconoscere un sol capo, che è il superiore di tutti e si chiama capintesta, che<br />

sarà scelto tra i camorristi più ardimentosi.<br />

Art. 5. La riunione di più compagni camorristi costituisce la paranza<br />

ed ha per superiore un capintrito o un caposocietà.<br />

Art. 6. La riunione di più compagni picciotti o di giovanotti onorati si<br />

chiama chioma e dipende anche dal capo società dei compagni camorristi.<br />

Art. 7. Ciascun quartiere deve avere un caposocietà o capintrito che<br />

sarà, per votazione, scelto fra i camorristi del quartiere e dura in carica un<br />

anno.<br />

Art. 8. Se fra le paranze vi fosse qualcuno di penna, allora dietro il<br />

parere del capintesta e dopo un sacro giuramento, sarà nominato contaiuolo.<br />

Art. 9. Se fra le chiome vi fosse qualcuno di penna, allora dal picciotto<br />

anziano del quartiere sarà presentato al capintito dal quale dipende e, dietro<br />

sacro giuramento, sarà nominato contaiuolo dei compagni picciotti; ma se<br />

non si trovasse, allora il contaiuolo delle paranze farà da segretario anche<br />

alle chiome.<br />

Art. 10. I componenti delle paranze e delle chiome, oltre Dio, i Santi e<br />

i loro capi non riconoscono altre autorità.<br />

Art. 11. Chiunque svela cose della Società sarà severamente punito<br />

dalle mamme.<br />

Art. 12. Tanto i compagni vecchi che quelli che si trovano n elle isole<br />

o sottochiave ( in carcere ) debbono essere soccorsi.<br />

Art. 13. L e madri, le mogli, le figlie e le innamorate dei camorristi,<br />

dei picciotti e dei giovanotti onorati debbono essere rispettate sia dai soci<br />

che dagli estranei.<br />

Art. 14. Se, per disgrazia, qualche superiore trovasi alle isole, deve,<br />

dagli altri dipendenti, essere servito.<br />

Art. 15. Quattro camorristi sotto chiave possono fra loro scegliersi un<br />

capo, che cesserà di essere tale appena toccherà l’aria libera.<br />

Art. 16. Un socio della società Maggiore, per essere punito, dovrà<br />

essere sottoposto al giudizio della Grande Mamma. Alla Grande Mamma


presiede il capintesta e alla Piccola Mamma il capintrito o il capo società del<br />

quartiere di chi deve essere condannato.<br />

Art. 17. Se uno delle chiome offendesse qualcuno delle paranze, il<br />

paranzuolo si potrà togliere la soddisfazione da sé. Avverandosi l’opposto,<br />

dovrà essere informato prima il capintesta.<br />

Art. 18. Il dichiara mento si farà sempre dietro il parere del capintrito,<br />

se trattasi di picciotto o giovanotto onorato, e dietro il parere del capintesta,<br />

se di camorrista. Ai vecchi e agli scornacchiati (cornuti) sarà vietato<br />

zompare.<br />

Art. 19. Per essere camorrista o ci si arriva per novizio o per colpo.<br />

Art. 20. Chi fu implicato in qualche furto e fu riconosciuto come<br />

ricchione ( omosessuale passivo) non può essere mai capo.<br />

Capuana.<br />

Art. 21. Il capintesta si dovrà scegliere sempre tra le paranze di Porta<br />

Art. 22. Tutte le punizioni delle Mamme si debbono eseguire nel<br />

termine che stabilisce il superiore e dietro tocco<br />

( sorteggio ).<br />

Art. 23. Tutti i camorristi e i picciotti diventano, a turno, camorristi e<br />

picciotti di giornata.<br />

Art. 24. Quelli che sono condannati ad eseguire le tangenti le debbono<br />

consegnare per intero ai superiori. Delle tangenti spetta un quarto al<br />

capintesta e il resto verrà versato nella cassa sociale a scopo di dividerlo<br />

scrupolosamente fra i compagni, gli infermi e quelli che stanno in punizione<br />

per sfizio del governo.<br />

Art. 25. I pali, nella divisione del barattolo, debbono essere trattati<br />

ugualmente come gli altri della società.<br />

Art. 26. Al presente frieno, secondo le circostanze, possono essere<br />

aggiunti altri capitoli.<br />

Da questo momento esistevano le regole ed andavano<br />

rispettate. Ed era più facile farle rispettare perché nella camorra<br />

di allora, il potere non era frantumato come oggi, ma somigliava


a Cosa Nostra del Novecento, era verticistico e gerarchizzato, e<br />

consentiva perciò il più agevole ed assoluto controllo<br />

dell'associazione.<br />

Il frieno somigliava ad una Società Operaia di Mutuo<br />

Soccorso tra delinquenti, con un sistema di assistenza e<br />

previdenza per i soci. Se un camorrista finiva in carcere, ai<br />

familiari veniva assicurato un aiuto economico, infatti una quota<br />

degli incassi della Bella Società Riformata era destinata a loro.<br />

La restante parte degli incassi veniva così ripartita:<br />

- un quarto al Capintesta;<br />

- il resto veniva ripartito tra tutti gli altri associati, ma in<br />

proporzione al gradino occupato nella scala gerarchica:<br />

- Camorrista;<br />

- picciotto;<br />

- picciotto di sgarro;<br />

- picciotto di giornata.<br />

Tranne i cornuti, i ladri e gli omosessuali passivi, tutti<br />

potevano divenire affiliati.<br />

L'articolo 15, consentiva la costituzione di una paranza<br />

autonoma in carcere, per i cosiddetti sotto chiave. Questo<br />

privilegio accordato, si giustificava col fatto che la presenza in<br />

carcere dei camorristi, non era un evento raro, ma una acclarata<br />

costante, connaturata al mestiere di delinquente professionista.<br />

Ogni quattro ne potevano fare una scegliendosi un capo che<br />

decadeva appena tornato in libertà. L'affiliazione seguiva un<br />

rituale che prevedeva un voto dei camorristi riuniti per decidere<br />

se accettare o no il nuovo adepto, che veniva presentato dal capo.<br />

Se il voto era favorevole, il capo dichiarava: “fin da oggi siete


nostro compagno, voi parteciperete con noi ai benefici di questa<br />

società”.<br />

Quindi veniva chiesto al nuovo affiliato se conosceva i<br />

doveri del camorrista, e questi rispondeva:<br />

“Debbo fare una tirata (affrontare con il coltello un<br />

camorrista esperto) con uno dei miei compagni, giurare di essere<br />

fedele ai miei soci, nemico delle autorità pubbliche, non avere<br />

alcun rapporto con individui addetti alla polizia, non denunziare<br />

i miei compagni ladri, anzi amarli più degli altri, poiché<br />

pongono la loro vita in pericolo”.<br />

Alla fine del duello che il novizio doveva affrontare<br />

dimostrando abilità e coraggio, arrivava il giuramento su due<br />

pugnali incrociati.<br />

A questo punto, il capo abbracciava e baciava il neo affiliato<br />

e la stessa cosa facevano tutti gli altri. Seguiva la dichiarazione<br />

ufficiale che nella camorra era entrato un altro camorrista.<br />

Ironia della sorte, questi delinquenti, mentre infrangevano<br />

costantemente la Legge, erano assoggettati all'osservanza<br />

assoluta della loro “legge”, il frieno. Le pene previste per chi<br />

infrangeva le regole, inflitte dal tribunale interno: la Grande<br />

Mamma, che era il tribunale supremo, e la Piccola Mamma, che<br />

erano i tribunali delle singole zone controllate dai capintriti,<br />

erano proporzionali allo sgarro commesso:<br />

- espulsione temporanea o permanente dalla Società;<br />

- ricevere uno schiaffo in pubblico;<br />

- subire uno sfregio col rasoio sgranato;<br />

- essere tagliato il volto con il rasoio affilato;<br />

- essere deturpato il volto con il rasoio sporco di feci;


- uccisione.<br />

I comportamenti “illeciti” venivano classificati come:<br />

- sgarro ( sbaglio);<br />

- infamità( tradimenti).<br />

Anche il duello dei camorristi aveva una sua gradualità<br />

d'impegno. Diverse erano le fasi che li portavano ad affrontarsi<br />

con il coltello:<br />

- si cominciava con l'appicceco, il contrasto;<br />

- la seconda fase era il raggiunamento, esame dei motivi del<br />

contrasto tra le parti;<br />

- la terza fase era la cuistione, litigio ad alta voce e con toni<br />

forti;<br />

- la quarta fase era il dichiaramento, la sfida, il combattimento<br />

vero e proprio.<br />

Alle regole del frieno si arrivava, comunque, attraverso usi,<br />

costumi, consuetudini consolidate, per cui le nuove regole<br />

assumevano una connotazione soprattutto politica. Infatti il<br />

problema del riconoscimento di un capo unico trovava<br />

regolarmente la sua soluzione con la forza. Chi era in grado di<br />

esercitare il più esteso controllo delle attività camorristiche sul<br />

territorio attraverso un consistente numero di fedeli affiliati<br />

picciotti, diveniva capintesta.<br />

Storicamente il quartiere a più alta concentrazione<br />

camorristica era quello di Porta Capuana, de facto il più forte,<br />

quello predominante. E, di conseguenza, anche de iure diveniva<br />

Capintesta.


Niente di nuovo sotto il sole di Napoli: i rapporti di forza<br />

all'interno della malavita napoletana si applicavano sempre allo<br />

stesso modo.<br />

Il fatto nuovo era la presa di coscienza di poter esercitare un<br />

potere proprio, autonomo, perché all'interno della società, la<br />

camorra era in grado di costruire una sua microsocietà, una<br />

specie di cisti sociale contenuta soprattutto nei quartieri più<br />

poveri. E in questi quartieri dove tutte le attività produttive,<br />

lecite o illecite, venivano parassitate, il capintesta poteva essere<br />

considerato il re della plebe.<br />

Per i camorristi detenuti, cosiddetti sotto chiave, era prevista<br />

la possibilità di scegliersi un capo ogni quattro detenuti, e la sua<br />

autorità sarebbe cessata appena tornato in libertà.<br />

All’art. 1, veniva costituita la “ Società dell’Umiltà, o<br />

dell'Umirtà, o Bella Società Riformata, con lo scopo di riunire<br />

tutti quei compagni che hanno a cuore, allo scopo di potersi, in<br />

circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente”.<br />

La Camorra viene così suddivisa:<br />

- una Società Maggiore, cui appartengono i compagni<br />

camorristi;<br />

- una Società Minore, cui appartengono i compagni picciotti<br />

e i giovanotti onorati<br />

Le tappe del cammino della camorra, dall'origine ai tempi<br />

nostri, possono essere così suddivise:


- nascita dei primi gruppi malavitosi, nel periodo del<br />

vicereame spagnolo;<br />

- crescita come criminalità organizzata, e presa di coscienza<br />

come forza collettiva,<br />

con i lazzari;<br />

- a partire dal 1830, dalla massa emergono soggetti in grado<br />

di guidare gruppi organizzati di malavitosi. Diretta conseguenza<br />

di questa nuova realtà nell'amministrazione della criminalità, è<br />

l'organizzazione, statuita con l'elaborazione del frieno della Bella<br />

Società Riformata;<br />

- dal 1860, i capintesta vengono utilizzati dalla Pubblica<br />

Amministrazione per il controllo sistematico della protesta della<br />

plebe;<br />

- avvento del fascismo e confluenza di manovalanza<br />

camorristica all'interno dell'organizzazione periferica del partito;<br />

- la camorra dei mercati ortofrutticoli, a partire dalle aree rurali<br />

della provincia cresce e consolida l'organizzazione;<br />

- a consolidamento avvenuto del potere fascista, lotta senza<br />

quartiere a tutte le forme di criminalità organizzata;<br />

- fase di declino o di “sonno;<br />

- il secondo conflitto mondiale e la ripresa dell'attività<br />

camorristica;<br />

- intreccio con la mafia siciliana;<br />

- contrabbando organizzato di tabacchi lavorati esteri (t. l.<br />

e.);<br />

- interscambio con gruppi criminali stranieri;<br />

- espansione all'estero e controllo dei canali di<br />

approvvigionamento di droga e tabacchi lavorati esteri.


Il secondo conflitto mondiale è lo spartiacque del<br />

cambiamento tra la vecchia e la nuova camorra. Il segreto della<br />

crescita dell'attività dei clan camorristici sta nel controllo<br />

materiale diretto sul territorio d'influenza, che gli consente di<br />

esercitare un'attività più vasta di quella del racket del gioco<br />

d'azzardo, dell'usura, della prostituzione, spaccio di droga e<br />

sigarette, facendo da intermediari tra la gente comune e i politici<br />

al potere, acquistando legittimità sociale e considerazione agli<br />

occhi dei politici corrotti.<br />

Il contrabbando dei tabacchi lavorati esteri (t. l. e.), con<br />

l'aggiunta di quello della droga, hanno elevato l'esigenza di<br />

ridurre i rischi per i maggiori investimenti finanziari e per il<br />

rischio di condanne penali più gravose. Di conseguenza la<br />

criminalità organizzata ha incrementato il suo sforzo per il<br />

controllo del territorio con il miglioramento nelle comunicazioni<br />

e nei trasporti, e una militarizzazione sempre maggiore.<br />

L'aumento della violenza tra i clan camorristici è dovuta alla<br />

mancanza di capacità di mediazione tra clan rivali. Il livello di<br />

violenza non è l'unico indicatore del controllo della camorra su<br />

un dato territorio: la vendita di sigarette di contrabbando, e tutta<br />

l'attività legata al narcotraffico, ad esempio, richiede una<br />

regolare, visibile e numerosa presenza di persone. Il<br />

coinvolgimento di tanti soggetti fa si che la criminalità<br />

organizzata appaia come una forma alternativa di potere. La<br />

camorra non ha mai avuto queste pretese, e più che un anti-Stato<br />

vuole apparire ed essere uno stato parallelo e non vuole avere il<br />

sopravvento sul potere governativo. Se la sistematica presenza e<br />

influenza all'interno della struttura politica viene comunemente


accettata, con le conseguenti protezioni contro le sanzioni penali,<br />

il controllo della camorra diviene noto a tutti e condiziona sia la<br />

popolazione locale, sia la politica. In queste condizioni tutte le<br />

attività criminali possono prosperare, ratificate privatamente dai<br />

politici locali.<br />

Anche se il controllo totale di una zona attraverso le<br />

intimidazioni potrebbe essere più efficace della possibilità di un<br />

totale controllo politico, sarebbe errato considerare la camorra<br />

solo come un soggetto criminale. Essa è spinta da motivazioni<br />

puramente economiche e non ha aspirazioni politiche o sociali. Il<br />

controllo materiale di un territorio, cioè l'esercizio del potere, è<br />

solo un mezzo per raggiungere l'arricchimento e l'accumulazione<br />

del capitale. I magistrati che si sono occupati di camorra, come<br />

Agostino Cordova, hanno potuto accertare che:<br />

“mediante il controllo di una data area, riguardante in<br />

particolare le elezioni e le attività finanziarie, i capi camorra-<br />

Carmine Alfieri nella provincia di Napoli, Gennaro Licciardi<br />

nell'area urbana e Francesco Schiavone nell'area di Caserta,<br />

sono stati in grado di dominare i politici e gli imprenditori con<br />

cui concludevano affari”.<br />

Recentemente i clan di camorra, una volta conseguito il<br />

controllo totale di un dato territorio, mutano, scegliendo di<br />

specializzarsi in particolari attività. Secondo il giudice Giuseppe<br />

Borrelli, oggi c'è una differenza fondamentale nelle modalità<br />

operative tra i clan attivi nella città di Napoli e nella provincia<br />

limitrofa:<br />

“In città i clan contano 60-70 persone per zona e si<br />

concentrano sul traffico degli stupefacenti [...] di solito questo


tipo di attività porta all'emergere di una camorra di massa, che<br />

recluta nelle proprie file un altissimo numero di persone per il<br />

lavoro di preparazione e distribuzione, eccetera [...].<br />

Questi numeri sono più bassi in provincia, in media 30-40<br />

persone. Normalmente queste organizzazioni hanno una storia,<br />

sono forti e molto affermate. Operano in settori tradizionali<br />

come l'usura, gli appalti e l'estorsione. Per questo motivo sono<br />

legate ai comuni [...]. Ci sono intere zone dove il traffico di<br />

stupefacenti viene proibito. Visto che queste organizzazioni<br />

esercitano un forte controllo sul territorio, è sempre stato nel<br />

loro interesse evitare di attirare troppa attenzione. Ma ovunque<br />

c'è traffico di stupefacenti, normalmente c'è anche una forte<br />

presenza della polizia. Inoltre in provincia, la camorra é molto<br />

consapevole del rischio di informatori[...]”.<br />

Gli esponenti delle maggiori organizzazioni camorristiche<br />

tendono a far eseguire alcune attività ad elementi non inquadrati<br />

nell'organico del clan. Racket, gioco d'azzardo, vendita al minuto<br />

di sigarette e droga, non vengono praticati direttamente.<br />

Il narcotraffico viene talvolta condotto dagli stessi<br />

tossicodipendenti, considerati scarsamente affidabili per essere<br />

inquadrati nell'organico delle organizzazioni, oppure vengono<br />

utilizzati ragazzi non perseguibili per la loro minore età.<br />

Si tratta comunque di attività che spesso implicano<br />

l'esercizio della violenza e creano allarme nella cittadinanza,<br />

ragione per cui i politici tendono a dedicare tempo e risorse<br />

pubbliche e di pubblica sicurezza a questi crimini di basso<br />

livello, ignorando i massimi gradi della camorra. In questo modo<br />

la manovalanza diviene “capro espiatorio” per i veri camorristi.


La folla di giovani minorenni e non, che giornalmente<br />

vendono sigarette t. l. e., che spacciano droga, estorcono danaro<br />

attraverso i racket, organizzano il gioco d'azzardo, non hanno<br />

influenza diretta sulla politica del clan e sono soggetti alla parola<br />

e alle decisioni insindacabili del capo. Spesso finiscono in galera,<br />

senza un quattrino, senza risorse per la tutela giuridica di un buon<br />

avvocato. Ciononostante, sempre numerosi sono i ragazzi che<br />

hanno meno di 18 anni e vengono impiegati per conflitti a fuoco,<br />

rapine, omicidi. In passato gli avanzamenti nella carriera<br />

camorristica per arrivare a posizioni di vertice duravano decenni.<br />

Gli enormi profitti conseguibili con il narcotraffico invogliano<br />

sempre più giovani ad intraprendere l'attività di trafficanti e<br />

spacciatori, con la speranza o con il sogno di divenire miliardari<br />

in fretta.


4.3 Il pizzo per l’olio votivo per la Madonna.<br />

L’organizzazione delle carceri napoletane era decisamente<br />

precario e la popolazione carceraria, ammassata negli stanzoni,<br />

sporca e seminuda, contava una consistente presenza di quelli<br />

che potremmo definire delinquenti professionisti, i camorristi.<br />

Organizzati secondo i dettami del “frieno” della Bella<br />

Società Riformata, ogni quattro detenuti camorristi potevano<br />

nominare un capo, per costituire una paranza, e restava in carica<br />

fino a che non fosse tornato in libertà.<br />

Ogni detenuto che non apparteneva alla camorra, appena<br />

entrato in carcere ne diveniva vittima.<br />

Dopo la registrazione da parte dei cancellieri e degli<br />

scrivani, i detenuti venivano avviati negli stanzoni a loro<br />

assegnati, popolati da una turba di derelitti parassitati da pochi<br />

violenti.<br />

A Napoli, la venerazione religiosa non era riservata solo a<br />

S. Gennaro ed a S. Antonio Abate. Una particolare devozione<br />

veniva e viene accordata alla Madonna.<br />

La Madonna, Vergine e Madre, è sentita più umanamente<br />

vicina di un Dio onnipotente ed invisibile e perciò inavvicinabile,<br />

e di un Cristo sofferente e sanguinante, morto di stenti sulla<br />

Croce,.<br />

La religiosità popolare napoletana dell’Ottocento era (e<br />

spesso lo è ancora) una religiosità profana e materiale,<br />

superstiziosa ed esigente: alle più strane intercessioni, dalle<br />

questioni di cuore agli affari, dalla salute ai numeri del lotto,


pretendevano completa e rapida soddisfazione, pena bestemmie e<br />

maledizioni di ogni ordine e grado.<br />

Diffusissima era l’abitudine, specialmente da parte dei<br />

camorristi, di farsi tatuare il corpo con immagini sacre della<br />

Madonna, affiancate da frasi e figure oscene.<br />

Tuttavia, questa ostentata religiosità non impediva ad<br />

alcuni detenuti, specialmente camorristi, di perpetrare un’odiosa<br />

e persistente attività parassitaria a danno di una massa di<br />

diseredati.<br />

Per comprendere l’invasività e la pervasività della camorra,<br />

basta pensare che persino le sepolture e le messe in suffragio dei<br />

defunti erano soggette al pagamento di una tangente.<br />

In ogni angolo di Napoli, in ogni viuzza, in ogni locanda, in<br />

ogni casa, piccola o grande che fosse c’era un ritratto della<br />

Madonna, un’edicola votiva con una lampada sempre accesa.<br />

Arrivati in carcere, i detenuti subivano il primo<br />

taglieggiamento, proprio in nome della Madonna.<br />

Dai camorristi, veniva chiesto loro del denaro per<br />

l’illuminazione dell’immagine sacra.<br />

Chiedevano l’obolo per l’olio alla Madonna.<br />

In effetti, il significato della richiesta e dell’accettazione di<br />

tale tassa era anche simbolico, perché il detenuto, nel momento<br />

in cui pagava, accettava “le regole”.<br />

Consentiva cioè di farsi taglieggiare durante tutto il periodo<br />

della reclusione.


D’altra parte non aveva alternative: il rifiuto comportava<br />

angherie di ogni tipo, inauditi maltrattamenti o a volte anche la<br />

morte.<br />

L’atrocità di questo trattamento appare ancora più<br />

allucinante se si tiene conto che le carceri napoletane<br />

dell’Ottocento erano luoghi di degrado, di sporcizia e<br />

malnutrizione, dove le malattie contagiose trovavano le migliori<br />

condizioni di diffusione.<br />

La vecchia letteratura, quando si occupa di questo sopruso,<br />

rappresenta la cosa in modo scontato e naturale:<br />

Il primo tributo, che s’impone al detenuto novellino è un<br />

soldo o due o due per la cassetta destinata all’acquisto dell’olio<br />

per la lampada che arde davanti alla sacra immagine protettrice<br />

della corsia: la Madonna del Carmine, l’Addolorata, Sant’Anna,<br />

o San Vincenzo della Sanità che costituiscono le sacre stelle del<br />

paradiso dei camorristi. Ebbene, Ciccio Cappuccio, ancora<br />

imberbe, ignoto alla camorra alta e bassa, ignoto ai guappi più<br />

famosi carcerati o a piede libero, si ribellò con un atto clamoroso<br />

spavaldo rude al tempo stesso stupefacente, all’imposizione del<br />

tributo dell’uoglio.<br />

Ferdinando Russo ricorda così l’episodio:<br />

L’UOGLIO.<br />

I.<br />

_Ve site mai truvato carcerato<br />

cu na ventina ‘e bammenielle attuorno<br />

ca appena ca ve site presentato<br />

fanno ‘o ruciello pe ve fa nu cuorno?


“Guagliò, che d’è? Pecchè t’hanno pigliato?<br />

Chi si’? Ch’è fatto?” E passa ‘o primmo juorno.<br />

‘A notte n’ uocchioha survigliato a n’ato,’<br />

‘o juorno appriesso accummencia ‘o taluorno!<br />

‘O picciuotto ‘e jurnata se ne vene:<br />

“L’uoglio p’ ‘a lampa, tanto! ‘O pranzo mmano<br />

‘o ttabbacco, ‘e denare…Te cunvene?”<br />

Si faie ‘o nzisto so gguardate storte:<br />

po’ quann’è ascuro, e dorme ‘o guardiano,<br />

te truove sulo…e so’ mazzate ‘e morte.<br />

II.<br />

Accussi ‘on Ciccio. L’uoglio? ‘O pranzo? ‘O che?<br />

Chi ve consce! Chi ve vo’ parlà?<br />

‘A cammorra songh’io! Lassate sta!<br />

_ Tu!! Nu guaglione!!! – Embè, chi vo’ vede<br />

Ciccio Cappuccio che ve sape fa?<br />

Io ve cumanno!_ Ma chi fusse?…_ ‘O Rre!<br />

L’uoglio v’’o ddongo…pe ve medecà!<br />

E scartanno, e zumpanno ‘a miezo ‘e liette<br />

Pigliai nu scanno… e dette . Uh, mamma mia!


La dinto nun chiudevano cunfiette!<br />

Mo’ … si vulite ca ve conto ‘e botte<br />

S’ ‘o ricordano ancora, ‘a Nfermaria<br />

Dudece cape e sette vracce rotte!…<br />

L’OLIO._ Siete mai stato in carcere/circondato da una ventina di<br />

ragazzi/ che appena vi siete presentato,/ fanno un capannello per farvi<br />

un cattivo servizio?// “Ehi, ragazzo, cosa è successo?/ Perché sei stato<br />

catturato?/ Chi sei ? Cosa hai fatto?” E passa il primo giorno./ Di notte<br />

non ha potuto chiudere occhio [ un occhio ha sorvegliato un altro]./ Il<br />

giorno seguente iniziano le seccature!// Viene il picciotto di giornata/<br />

“L’olio per la lampada, tanto! Il pranzo da servire,/ il tabacco, il<br />

denaro…Ti conviene?// Se sei ostinato di guardano di mal occhio./poi di<br />

notte quando il carceriere dorme/ ti trovi solo…e sono botte da orbi.<br />

Così don Ciccio. – L’olio? Il pranzo?O cos’altro?/ Chi vi conosce!<br />

Chi vi dà retta ? [chi vuole parlare con voi?]/ E’ il diritto di camorra!-<br />

Ma perché?/ La camorra sono io! Lasciate perdere!//-Tu!! Un<br />

ragazzo!!!-Beh, chi vuol vedere/ Ciccio Cappuccio cosa sa fare??/ Sono<br />

io il vostro capo!-Chi saresti?-Il Re!/L’olio ve lo do…per medicarvi!-//E<br />

sgattaiolando e saltando tra i letti/ prese uno scanno… e le diede di<br />

santa ragione. Oh mamma mia!/ Là dentro certamente non piovevano<br />

confetti!// Ora se volete che vi racconto la zuffa ./ se la ricordano ancora<br />

gl’infermieri:/ dodici teste e sette braccia rotte!!<br />

Fu la grande prova per colui che doveva prendere, dalle<br />

mani grifagne di Tore ‘e Criscienzo e dei formidabili<br />

luogotenenti di questo capo camorrista da leggenda , le redini<br />

della vasta società. Egli guadagnava, di punto in bianco, sul<br />

campo di battaglia, il bastone di maresciallo. Guappi, camorristi


giovani e provetti, rimasero allibiti ed ammirati di fronte al<br />

giovane prodigio, che denotava il genio…del condottiero di<br />

guagliune ‘e malavita. Cosicché allorquando si furono medicate<br />

le ferite e contusioni toccate nella formidabile mischia, quei bruti<br />

innamorati del bel gesto, che empiva di affascinante vita reale la<br />

visione di incredibili bravure estasianti gli spettatori del Teatro di<br />

donna Peppa, invitarono lo smilzo don Ciccillo a “onorare<br />

dell’opera e della persona sua l’onorata società”.<br />

La carriera fu rapidissima: Cappuccio, come un ufficiale<br />

che abbia fatto la scuola di guerra, superato che ebbe lo scoglio<br />

dei primi gradi, raggiunse in breve tempo l’apice pervenendo<br />

ancor giovane al generalato.<br />

Fu il periodo fulgido della ricostituita camorra, andata in<br />

frantumi tra i rivolgimenti del 1860 e mal ricostruita e a stento<br />

vivacchiante durante i primi tempi del regno italico a causa della<br />

rigidezza senza pietà spiegata dai gabinetti conservatori. Il potere<br />

centrale, per due o tre lustri, aveva perseguitato incessantemente<br />

il brigantaggio, dovunque gettasse germogli, nelle città e nelle<br />

campagne. Non ancora la malavita era ridiventata uno strumento<br />

quasi di Stato attraverso la corruttela organizzata che è<br />

l’elettorato, politico e amministrativo.


5.0 Collusione con il potere legale.<br />

Il re Francesco II di Borbone, stava per abbandonare Napoli.<br />

Dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, a Marsala. Nel popolo si<br />

avvertivano fremiti simili a quelli del 1799, ed i timori di<br />

disordini indussero il sovrano a chiedere suggerimenti al<br />

Piemonte e alla Francia, nella speranza anche di poter ottenere un<br />

appoggio futuro.<br />

Napoleone III, re di Francia, suggerì al Borbone di<br />

concedere la Costituzione. Il 26 giugno 1860, seguendo i consigli<br />

d’Oltralpe, la concesse. Provvide anche a licenziare il governo in<br />

carica, sostituendolo con un altro i cui componenti erano di idee<br />

e di estrazione liberale.<br />

L’avvocato Liborio Romano, già professore di diritto<br />

commerciale alla Regia Università di Napoli, che aveva<br />

conosciuto il carcere e l’esilio per l’opposizione al regime, era in<br />

prima linea per diventare ministro nel nuovo governo. Di<br />

estrazione massonica e liberale per tradizione familiare, paziente<br />

e doppiogiochista, che mentre era parte costitutiva ed attiva del<br />

governo dei Borbone, intratteneva una fitta corrispondenza con il<br />

generale Giuseppe Garibaldi, e ne preparava l’ingresso più rapido<br />

ed agevole a Napoli.<br />

L’avvocato Liborio Romano, però, nutriva timori circa la<br />

tenuta delle strutture preposte al mantenimento dell’ordine<br />

pubblico nel momento del trapasso del potere. E’ cosa ovvia e<br />

provata in modo certo che quando il comando passa, per


costrizione, da un potente all’altro, ci sono sempre forze che<br />

cercano di creare difficoltà. In una situazione come quella<br />

esistente nella capitale partenopea, dove l’indigenza di una parte<br />

notevole della popolazione si andava sempre più aggravando, per<br />

l’incapacità dei governanti di promuovere uno sviluppo al passo<br />

dei tempi, così come avveniva in ogni altra nazione europea, lo<br />

scontento era palpabile nell’aria.<br />

Da tempo, i sovrani del Regno di Napoli e delle due Sicilie,<br />

timorosi di dover abbandonare la poltrona di comando<br />

spendevano molto più volentieri risorse per individuare gli<br />

avversari del regime, attraverso l’azione costante della polizia,<br />

che per fare investimenti e prendersi cura della plebe incolta,<br />

povera ed affamata. Della plebe, però, se ne prendeva cura la<br />

criminalità organizzata. A modo suo, naturalmente. Una<br />

moltitudine di persone dedite ai mestieri più umili e meno<br />

redditizi, parassitata in concorrenza ed a fianco dello Stato da<br />

un’organizzazione che traeva forza da questo perverso sistema.<br />

corpo<br />

Nella mente dell’avvocato Romano prendevano sempre più<br />

Il timore che la situazione in città precipitasse e la necessità<br />

di trovare una forza in grado di mitigare e controllare la reazione<br />

della folla.<br />

Evidentemente il timore era tanto, che si convinse di poter<br />

utilizzare, utilmente e convenientemente, la malavita organizzata,<br />

la camorra, per due motivi: il primo era quello di togliere punti di<br />

riferimento alla plebe, il secondo quello di utilizzare l’unica


icchezza da essi posseduta, la violenza, per contrastare ogni<br />

possibile reazione della parte avversa, appartenente ad altri strati<br />

sociali.<br />

In quel tempo, capintesta della camorra era Salvatore De<br />

Crescenzo, che i suoi compagni chiamavano Tore ‘e Crescenzio.<br />

Il camorrista, incontrastato e indiscusso capo dei capi della<br />

camorra napoletana, aveva la stoffa per realizzare lo strano e<br />

pericoloso disegno di don Liborio Romano.<br />

In passato non erano mancate forme di collaborazione,<br />

anche eclatanti, come del 1799, tra il generale Giovanni<br />

Championnet e Michele Marino, quando i francesi, dopo giorni<br />

di cruenta battaglia, non riuscivano ad avere ragione dei lazzari<br />

napoletani.<br />

Certo, adesso era un’altra cosa, e conveniva agire alla luce<br />

del sole e senza ipocrisie. Don Liborio Romano conosceva bene i<br />

camorristi. Li aveva incontrati nel 1848, come oppositore liberale<br />

e massonico, che insieme agli altri liberali aveva conosciuto le<br />

carceri, entrando quindi in contatto con gli esponenti ivi<br />

rinchiusi, dialogando con loro in quella particolare situazione di<br />

cattiva sorte.<br />

Le comuni prigioni, seppure per reati differenti, servirono<br />

ad abbattere molte barriere, e ad accorciare le distanze culturali,<br />

favorendo un dialogo impossibile in condizioni normali.<br />

Anche per questo, l’idea maturata nella mente dell’avvocato<br />

Liborio Romano, di utilizzare i camorristi come polizia per<br />

mantenere l’ordine pubblico, in attesa dei mutamenti


istituzionali, fu ben digerita dalla maggior parte dei liberali.<br />

Invece i simpatizzanti per i Borbone manifestarono, anche se<br />

debolmente il loro disaccordo.<br />

Intanto l’amnistia seguita alla concessione della<br />

Costituzione, aveva favorito la scarcerazione di tante persone, tra<br />

le quali figuravano camorristi e delinquenti comuni, che appena<br />

in libertà sfogarono il risentimento personale e la loro voglia di<br />

vendetta verso i funzionari di polizia che si mostrarono<br />

impreparati ad affrontare una tale situazione di emergenza,<br />

incapaci di dare disposizioni ai gendarmi alle loro dipendenze sul<br />

comportamento da assumere nei confronti dei sorvegliati politici<br />

liberali.<br />

L’incertezza favorì il caos, e i disordini scoppiati<br />

immediatamente furono la logica conseguenza. Dal 26 al 28<br />

giugno 1860, la città fu in balìa di dimostranti che non<br />

rivendicavano diritti politici, ma si abbandonavano alla<br />

distruzione e al saccheggio sfruttando l’occasione per regolare<br />

qualche conto in sospeso e rubare beni utili ai bisogni personali. I<br />

camorristi ed i delinquenti comuni assaltarono i commissariati di<br />

polizia, bruciando carte, rapporti, archivi interi, assalendo i<br />

funzionari e malmenandoli, mentre i gendarmi che avrebbero<br />

dovuto assicurar loro protezione, fuggivano terrorizzati, senza<br />

opporre la benché minima resistenza, nell’estremo tentativo di<br />

salvare la vita.<br />

A capeggiare la rivolta di una folla di donne inferocite ed<br />

urlanti c’era Marianna De Crescenzo, cugina di Salvatore,


titolare di una locanda di infima categoria. Si disse che era<br />

motivata da sentimenti patriottici, desiderosa di unire Napoli al<br />

Piemonte, ma non era certamente soggetto capace di tanto.<br />

Capaci di alimentare la rabbia della folla erano, invece, i<br />

camorristi provenienti dai quartieri di Pignasecca e di<br />

Montecalvario, che colsero l’occasione per pugnalare un<br />

confidente del direttore della polizia Michele Aiossa. Tra i capi<br />

c’erano pure Salvatore De Crescenzo, Nicola Jossa, Ferdinando<br />

Mele.<br />

Un giovane ispettore di polizia, abbandonato dai suoi<br />

gendarmi, venne linciato. Raccolto stremato e ferito, venne<br />

sistemato su una carrozza per trasportarlo in ospedale, ma<br />

Ferdinando Mele, vilmente e proditoriamente lo raggiunse e lo<br />

pugnalò. Morì per strada prima di arrivare all’ospedale.<br />

Intanto, come nel 1848, le masse popolari si divisero e, a<br />

Santa Lucia, zona dei fedelissimi ai Borbone, i dimostranti<br />

inneggiavano al re. Seguirono scontri durante i quali da Santa<br />

Maria degli Angeli, alcuni detenuti, appena usciti dal carcere,<br />

spararono sui dimostranti filo borbonici e ne ferirono alcuni.<br />

L’episodio più grave è quello che vide coinvolto<br />

l’Ambasciatore di Francia Anatole Brebier, che all’uscita del<br />

palazzo del Nunzio apostolico, nell’intento di garantirsi un<br />

agevole passaggio tra la folla rivelò la sua identità e gli fu fatale,<br />

perché ricevette due bastonate sulla testa salvandosi poi a fatica,<br />

grazie alla decisione ed all’abilità del cocchiere che sollecitò i<br />

cavalli e riuscì a portare l’ambasciatore in ospedale, dove


icevette la visita del sovrano, che inviò anche scuse formali al re<br />

di Francia<br />

Intanto la folla continuava la sua attività distruttrice.<br />

Alcuni interventi però parvero “orientati” a distruggere<br />

prove documentarie, soprattutto quelle a carico di oppositori<br />

politici liberali. Proprio per questo ci fu chi ne era fermamente<br />

convinto e ne addossava la responsabilità al comitato liberale<br />

dell’ordine.<br />

Finalmente, quando la situazione appariva seriamente<br />

compromessa, il prefetto di polizia don Liborio Romano si decise<br />

a chiedere l’aiuto della camorra.<br />

A convincere ulteriormente don Liborio della bontà assoluta<br />

della sua intuizione, fu l’amnistia ratificata il 3 luglio 1860.<br />

Azzerate le responsabilità penali, i camorristi risultavano<br />

nettati da ogni passata colpa, e perciò erano perfettamente idonei<br />

all’impiego ipotizzato.<br />

D’altra parte, il prefetto di polizia Liborio Romano, a<br />

proposito della malavita aveva idee e considerazioni diverse,<br />

tanto da scrivere a proposito dei camorristi:<br />

“Laonde, fatto venire in mia casa il più rinomato fra essi,<br />

sotto le apparenze di commettergli il disbrigo di una mia privata<br />

faccenda, lo accolsi alla buona e gli dissi che era venuto per esso<br />

e pe’ suoi amici il momento di riabilitarsi dalla falsa posizione<br />

cui aveali spinti non già la buona indole popolana, ma<br />

l’imprevidenza del governo […] era mia intenzione tirare un velo


sul loro passato e chiamare i migliori fra essi a far parte della<br />

novella polizia”.<br />

Convocò il camorrista Salvatore De Crescenzo a casa sua e<br />

avanzò le proposte di collaborazione.<br />

Salvatore De Crescenzo, il capo dei capi della camorra,<br />

omicida, estorsore e contrabbandiere, ascoltò attentamente le<br />

proposte: redimersi e diventare guardia cittadina con quanti<br />

compagni camorristi avesse voluto, per assicurare l’ordine. e<br />

chiese un’ora di tempo per decidere. Tornò puntuale, insieme a<br />

un suo compagno camorrista ed accettò la proposta, assicurando<br />

che la situazione napoletana sarebbe stata sotto controllo: quello<br />

della camorra.<br />

Poste le premesse e raggiunto l’accordo, si passò<br />

speditamente alla realizzazione pratica, perché la situazione<br />

continuava a peggiorare.<br />

Nacque una specie di pubblica sicurezza, tutti armati<br />

dall’autorità costituzionale. I camorristi affluirono numerosi nella<br />

n uova professione di gendarmi, organizzati in compagnie e<br />

pattuglie, pronti a controllare le strade cittadine.<br />

Molti camorristi credevano sinceramente di potersi rifare<br />

una vita all’insegna della legalità. La camorra raggiungeva così il<br />

periodo del massimo splendore: potente, riconosciuta, sempre più<br />

organizzata come potere autonomo. I camorristi dettavano legge<br />

e decidevano la vita delle strade.<br />

Il 7 luglio 1860, un decreto ratificò l’azione del prefetto.


Divennero Commissari di polizia: Cozzolengo, cameriere in<br />

una locanda di infima categoria, Ferdinando Mele, assassino<br />

dell’ispettore Perelli, il taverniere Callicchio, Nicola Jossa e<br />

Michele Capuano. Il 14 luglio 1860, don Liborio Romano<br />

divenne contemporaneamente Ministro degli Interni e prefetto di<br />

polizia. La riforma della polizia da lui progettata, era realizzata.<br />

Ai vertici della polizia c’erano quattro capi camorra: Salvatore<br />

De Crescenzo, Nicola Jossa, Michele Capuano e Ferdinando<br />

Mele. Furono loro a controfirmare tutti i fogli del decreto del 19<br />

luglio 1860, che conferiva un nuovo aspetto alla polizia: 12<br />

capisquadra, centinaia di agenti già inquadrati provvisoriamente<br />

nell’organico qualche giorno prima.<br />

Molti dei picciotti di sgarro che figuravano tra gli agenti,<br />

solo qualche giorno prima esercitavano l’attività di delinquente.<br />

Come in una sorta di tragicomica commedia si era invertito<br />

il gioco delle parti.<br />

A riprova che non erano pochi quelli che pensavano e<br />

credevano in una sana riabilitazione, gli aneddoti non mancano.<br />

Luigi Cozzolino, uno dei capi della polizia, noto come ‘o<br />

persianaro, riconobbe un commissario della vecchia polizia e lo<br />

salvò dal linciaggio. Poi rifiutò i ducati che l’uomo voleva<br />

donargli per ricompensa.<br />

Sdegnato, rispose: “non siamo la vecchia polizia”.<br />

Per la camorra, a Napoli, erano giorni esaltanti di potere,<br />

diverso, legale, completo, libero. Irripetibili.


I camorristi in divisa con la coccarda tricolore sul petto e<br />

bene armati, garantivano l’ordine pubblico, tenendo d’occhio<br />

soprattutto i fedeli al re Borbone ed i nostalgici del precedente<br />

governo non costituzionale, eseguendo diligentemente le<br />

disposizioni del ministro Liborio Romano.<br />

Alla prima prova diedero subito dimostrazione di<br />

affidabilità.<br />

Il 15 luglio1860, la guardia nazionale tentò un colpo di<br />

stato, prontamente represso dalla nuova polizia, che meritò<br />

l’apprezzamento di chi l’aveva creata.<br />

Disordini e raggruppamenti di persone, in via Toledo, Largo<br />

di Palazzo e del Castello, San Potito, San Giovanni a Teduccio e<br />

Antignano, furono le zone di massimo intervento.<br />

In questo periodo, nessuno di quelli che governavano la<br />

comunicazione e l’informazione, dominante e non, asservita e<br />

libera, levarono la voce per mostrarsi indignati.<br />

Ci fu anche qualche giornale, pubblicato a Torino, che si<br />

compiacque per l’impiego dei camorristi per la tutela dell’ordine<br />

pubblico, apprezzando anche l’adesione del popolo alle idee<br />

liberali.<br />

La Guardia liberale controllata totalmente dal ministro<br />

Romano e contaminata dalla presenza di un numero rilevante di<br />

camorristi.<br />

Nel frattempo, si consolidava nell’organico e negli<br />

armamenti:<br />

- 9.600 uomini;


- 1.200 fucili di armamento.<br />

Il 27 agosto 1860, gli uomini in servizio, inquadrati nella<br />

polizia, divennero 12.000.


5.1 Amnistia e vendette.<br />

L’evoluzione dell’attività delle camicie rosse garibaldine,<br />

che di successo in successo avevano conquistato la Sicilia,<br />

lasciava ipotizzare il loro agevole approdo in Calabria. Il timore<br />

di uno sbarco immediato nel continente, mise pressione e timore<br />

addosso al re Francesco II di Borbone, che non sapeva proprio<br />

come porre rimedio a una situazione che, già compromessa,<br />

minacciava di precipitare.<br />

Inviò suoi diplomatici in Francia ed in Piemonte. Convinto<br />

di poter trarre futuri benefici e ricavare appoggi in caso di<br />

estrema necessità, seguì i consigli del re di Francia Napoleone III<br />

e concesse la Costituzione, subito dopo nominò un governo di<br />

simpatie e trascorsi liberali. L’amnistia, fatalmente rimise in<br />

libertà una marea di delinquenti della criminalità comune e di<br />

quella organizzata, animati tutti dal desiderio di vendetta nei<br />

confronti dei funzionari di polizia, che attaccati dai rivoltosi<br />

subirono uno sbandamento che interessò anche i gendarmi ai<br />

quali non erano state impartite istruzioni sull’atteggiamento da<br />

assumere nei confronti dei sorvegliati politici liberali.<br />

Camorristi e delinquenti comuni assaltarono i commissariati<br />

di polizia senza incontrare ostacoli. Dal 26 al 28 giugno la città<br />

fu in balia dei dimostranti animati solo da spirito distruttivo,<br />

senza ideali politici. D’altronde la massa popolare era quasi tutta<br />

analfabeta e sicuramente non politicizzata. La sua attività, quindi,<br />

era animata dal desiderio di procacciarsi qualche ruberia e di fare


comunque confusione. Una parte della folla inferocita, composta<br />

da donne, era capeggiata da una certa Marianna De Crescenzo,<br />

proprietaria di una locanda di cattiva fama, cugina del capintesta<br />

Salvatore De Crescenzo. Alcuni storici l’hanno descritta come<br />

un’ardente garibaldina desiderosa di unire Napoli al Piemonte,<br />

ma sono solo agiografie folkloristiche. Il grosso della folla<br />

urlante era aizzata e guidata dai capi camorristi Salvatore De<br />

Crescenzo, Nicola Jossa, Ferdinando Mele, che provenivano<br />

maggiormente dai quartieri Pignasecca e Montecalvario. Un<br />

confidente del direttore della polizia Michele Aiossa, tale Peppe<br />

Aversano fu pugnalato. Il più giovane ispettore di polizia Cioffi,<br />

della zona di Santa Maria la Carità a Toledo, malmenato dalla<br />

folla, salvatosi faticosamente, fu messo su una carrozza per<br />

essere trasportato in ospedale, ma Mele lo raggiunse e lo<br />

accoltellò ferocemente e vigliaccamente. Evento agevolato dalla<br />

fuga dei gendarmi terrorizzati, che invece di proteggerlo si erano<br />

dati precipitosamente alla fuga. Il giorno successivo gli scontri<br />

continuarono, sempre con i gendarmi senza guida e senza<br />

direttive, costantemente in fuga. Questa volta gli obiettivi<br />

privilegiati del saccheggio e del danneggiamento erano i<br />

commissariati di polizia, che venivano sistematicamente assaliti,<br />

con il personale che riusciva a stento a mettersi in salvo,mentre i<br />

locali e gli archivi venivano dati alle fiamme, per distruggere<br />

dati, rapporti sulla criminalità comune e sulla criminalità<br />

organizzata, indispensabili per la normale attività di polizia. La<br />

mancanza di dati statistici e notizie dettagliate di quel periodo, è


la testimonianza palese dell’accanimento sistematico verso alcuni<br />

obiettivi privilegiati e che la folla non si muoveva casualmente,<br />

ma era guidata da soggetti interessati soprattutto all’eliminazione<br />

degli archivi di polizia. L’ipotesi più accreditata era quella che<br />

soprattutto chi aveva interessi politici, il comitato liberale dell’<br />

“ordine”, avesse coordinato quest’attività distruttiva. Come già<br />

era accaduto nei moti del 1848, le masse popolari si divisero, nel<br />

quartiere Santa Maria degli Angeli, zona di fedelissimi ai<br />

Borbone che inneggiavano al re. Una torma di detenuti, appena<br />

usciti dal carcere di Santa Maria Apparente sparò sulla folla<br />

ferendone alcuni. Anche l’ambasciatore francese a Napoli, il<br />

barone Anatole Berbier, mentre usciva in carrozza dal palazzo<br />

del Nunzio apostolico, diretto a Toledo, rivelò ai dimostranti la<br />

sua identità nell’illusione che la notizia potesse costituire un<br />

valido lasciapassare. L’effetto però fu contrario, perché gli<br />

assestarono due bastonate sulla testa e si salvò solo per l’abilità e<br />

la prontezza di riflessi del cocchiere che sollecitò i cavalli e riuscì<br />

a raggiungere l’ospedale.<br />

Il re Francesco II, nell’intento di limitare o evitare le<br />

reazioni diplomatiche della Francia si recò in visita<br />

all’ambasciatore Berbier e presentò le sue scuse all’imperatore<br />

francese, Napoleone III. Come conseguenza diretta del ferimento<br />

dell’ambasciatore francese, venne dichiarato lo stato d’assedio,<br />

decisione annunciata in un manifesto affisso in tutta la città,<br />

firmato dal prefetto di polizia Liborio Romano. In una situazione<br />

di precarietà diffusa, resa ancora più difficile dall’ambiguità del


comportamento di alcuni esponenti del governo, era<br />

estremamente difficoltoso riuscire ad applicare le disposizioni,<br />

anche con l’aiuto dell’esercito.<br />

Una simile decisione riscuoteva pochi consensi.<br />

L’incertezza e la gravità del momento, non consentivano<br />

dilazioni e tentennamenti sulle decisioni da prendere. Decisioni<br />

difficili e pericolose. Con le guardie di polizia ed i gendarmi,<br />

precipitosamente in fuga, per salvare la vita, nel timore che la<br />

parte reazionaria, anche se sgominata, potesse unirsi, per<br />

convenienza ed interesse comune, ai sanfedisti, con il pericolo<br />

che anche la canaglia camorrista potesse ingrossare le loro fila,<br />

per seppellire col saccheggio e con il sangue le libere istituzioni,<br />

al prefetto di polizia don Liborio Romano, l’idea di utilizzare la<br />

camorra come strumento pacificatore e stabilizzante, in grado d<br />

spegnere ogni ulteriore forma di disordine e violenza, parve<br />

l’unica luce in grado di scacciare il buio della paura e della<br />

disperazione.<br />

5.2. L’incredibile ascesa di Salvatore De Crescenzo.<br />

Maturata la decisione di affidare la sicurezza della città<br />

all’organizzazione camorristica, il prefetto di polizia don Liborio<br />

Romano, convocò a casa sua il capintesta della camorra Salvatore<br />

De Crescenzo, proponendogli l’accordo di cui si è già parlato.<br />

La scelta del prefetto poteva apparire un espediente furbesco<br />

e di bassa moralità politica e sociale, ma l’urgenza e<br />

l’indifferibilità delle decisioni da prendere, non ammettevano


alternative e tentennamenti.<br />

Fu così che Tore, omicida sanguinario patentato, gestore dei<br />

traffici più odiosi a danno di una plebe indigente e disperata,<br />

irruppe sulla scena della vita pubblica napoletana.<br />

La partecipazione ai più alti livelli nella costituzione di una<br />

struttura in grado di garantire ordine e sicurezza alla popolazione,<br />

utilizzando una consorteria di soggetti addestrati a delinquere,<br />

assicurando fedeltà al governo, mettendo in gioco la sua autorità<br />

personale non è cosa di poco conto. Si potrà argomentare che<br />

intanto non aveva nulla da perdere, ed in ogni caso si garantiva<br />

vitto, alloggio e tutte le comodità che il nuovo stato sociale<br />

consentiva ed imponeva. Però la libertà non ha prezzo, anche per<br />

un malavitoso. Da capo dei capi, anche se solo della camorra,<br />

diveniva mansueto strumento nelle mani di un professionista<br />

della politica, abile e profondo conoscitore delle umane<br />

debolezze e passioni, che come lui, unitamente a un gran numero<br />

di liberali aveva conosciuto l’umiliazione e la disperazione del<br />

carcere, a seguito dei moti del 1848-1849.<br />

In quell’epoca, il comune destino del carcere aveva fatto<br />

sentire i liberali emotivamente più vicini ai camorristi, che<br />

mostravano rispetto per chi, come loro, con parole ed azioni<br />

concrete, si era messo contro la polizia. La permanenza nel<br />

carcere, anche se in “padiglioni distinti”, fu irripetibile occasione<br />

di reciproca conoscenza, di abbattimento momentaneo delle<br />

barriere culturali, con il rispetto per chi era nutrito di ignoranza e<br />

di miseria e chi aveva avuto la fortuna dell’istruzione e del


enessere. Questa radicale differenza, non aveva impedito un<br />

dialogo fruttuoso di educazione e sentimenti etici.


5.3 Camorristi e garibaldini uniti nella violenza.<br />

La “strana polizia” tenne in mano la città per diversi mesi,<br />

confondendo legalità e illegalità, soprattutto perché avevano, da<br />

sempre, più dimestichezza con la seconda.<br />

Sapevano come mettere a frutto la loro condizione di<br />

controllori e controllati e sapevano come mettere a frutto la<br />

rendita di posizione che i mutati tempi gli consentivano.<br />

Jossa e Capuano, calati completamente nella parte,<br />

svolgevano il loro compito scrupolosamente ed acquistavano<br />

prestigio. Salvatore De Crescenzo, che aveva stipulato con don<br />

Liborio Romano un patto unico ed irripetibile, si manteneva<br />

defilato, dando il benestare all’operato degli uomini a lui più<br />

vicini e funzionali allo sfruttamento della situazione. Soprattutto<br />

il contrabbando esercitato a livelli mai raggiunti prima,<br />

incontrollato e senza pudore, consentiva vergognosi<br />

arricchimenti.<br />

Le entrate, per le imposte ed i dazi governativi erano al<br />

livello minimo, e tendevano sempre più a zero. Dietro tutta<br />

questa attività ladresca c’era la mano di Salvatore De Crescenzo,<br />

che da buon camorrista non intendeva abbattere lo Stato, ma di<br />

associarsi ad esso per succhiare tutto il sangue che poteva alla<br />

popolazione.<br />

Garibaldi.<br />

Il regno borbonico volgeva alla fine.<br />

Il 7 settembre 1860, a Napoli, era arrivato Giuseppe<br />

Dopo due governi dittatoriali, a partire dal 3 gennaio 1861,<br />

vennero costituiti governi luogotenenziali in rappresentanza del


e Vittorio Emanuele II di Savoia.<br />

Durante i governi dittatoriali, i camorristi, avevano<br />

governato il contrabbando senza freni inibitori. Dal momento in<br />

cui era stato inquadrato nelle guardie cittadine, Salvatore De<br />

Crescenzo, non aveva perso tempo e si era accordato con un altro<br />

camorrista, Pasquale Merolle: si suddivisero le aree di<br />

competenza nel contrabbando, per affidarle ai rispettivi gruppi di<br />

azione camorristica.<br />

Leggi precarie ed ordini tutti da costruire, consentivano ai<br />

camorristi protetti dalla “loro” polizia di fare il bello e cattivo<br />

tempo, e permisero che nessuno controllasse che cibo ed altri<br />

beni di consumo entrassero a Napoli, pagando il dovuto a dazi e<br />

imposte.<br />

Durante i due governi dittatoriali, i camorristi facevano<br />

incetta di vestiti da rivendere, introdotti in città via mare e via<br />

terra.<br />

Si arricchivano i camorristi e languivano le casse dello<br />

Stato. Ogni giorno, la dogana perdeva mediamente 40.000 ducati.<br />

Il sistema di appropriazione prevedeva che le merci in arrivo<br />

a Napoli, venissero scortate da torme di giovani camorristi armati<br />

di nodosi bastoni e, quando venivano fermati dalle guardie<br />

doganali, usavano ripetere una frase che era divenuto un<br />

lasciapassare : E’ roba d’o zì Peppe. Cioè, è roba di zio Giuseppe<br />

Garibaldi, e nessuno si permetteva di replicare alcunché.<br />

camorra.<br />

Così, lo Stato pagava lo scotto dell’aiuto chiesto alla<br />

Alla fine del 1860, vennero arrestati una novantina di<br />

camorristi, con un’operazione condotta dai commissari Capuano,


Josssa, De Matino e Chiarini; operazione possibile solo perché<br />

eseguita dai carabinieri e dalla guardia nazionale. Non lo<br />

avrebbero certamente potuto fare con le guardie cittadine perché<br />

non era consigliabile affidarsi a loro stessi per l’improvvisa<br />

retata. Il giorno prima degli arresti, gli introiti erano stati di<br />

appena 25 soldi, e passarono subito a 800 ducati.<br />

Fu una brutta sorpresa per la camorra ed i suoi picciotti, che<br />

appena pochi giorni prima, armati di bastoni e di coltelli avevano<br />

vigilato sulle urne palesi del plebiscito del 21 ottobre 1860. Una<br />

vera e propria votazione farsa che doveva sancire il passaggio dei<br />

poteri, quando ancora l’esercito borbonico combatteva sulla linea<br />

del Volturno, fornendo una giustificazione giuridica<br />

all’annessione del Regno delle due Sicilie al Piemonte.<br />

Dopo il plebiscito, la gente operosa, onesta e pacifica visse<br />

momenti di terrore, procurati dalle violenze senza limiti dei<br />

camorristi e dei garibaldini, che ferivano e uccidevano<br />

impunemente. L’attività dei camorristi in questo periodo di<br />

massimo splendore era veramente in crescita: nel 1861, nei<br />

quartieri di Vicaria, San Ferdinando, Pendino vi erano 250<br />

camorristi, tutti provenienti dalle fila dei facchini e dei sensali.<br />

Nel 1863, nella sola Napoli se ne contavano più di 1.000. Erano<br />

quadruplicati. La cosa più triste è che la loro azione parassitaria<br />

veniva esercitata a carico della popolazione più povera.<br />

Tartassavano e spremevano tutti, con ricatti e intimidazione,<br />

anche quelli che svolgevano mestieri umili e poco redditizi, tanto<br />

che già allora si diceva che i camorristi cercavano di far uscire<br />

l’oro dai pidocchi.<br />

I camorristi, però, dopo l’esperienza con Liborio Romano, si


sentivano ben protetti e con le spalle al sicuro, e tanti si erano<br />

davvero immedesimati nel ruolo di tutori dell’ordine che avevano<br />

stabilito con il loro arbitrio, e non si rendevano conto che<br />

l’emergenza che avevano contribuito a superare, stava per<br />

giungere al termine.<br />

Da Torino avevano ordinato a Silvio Spaventa, nuovo<br />

ministro degli Interni del governo luogotenenziale a Napoli,<br />

senza mezzi termini, di far rientrare i camorristi nei loro ranghi di<br />

partenza e di ristabilire condizioni di normalità.


6.0 Silvio Spaventa ministro degli interni.<br />

Con la nomina di Silvio Spaventa al ministero degli Interni del<br />

governo luogotenenziale, le direttive erano chiare: mano dura nei<br />

confronti degli ex borbonici, specialmente gli ufficiali ed i soldati<br />

che tornavano a casa dopo aver combattuto sulla linea Volturno,<br />

Garigliano, Capua, Gaeta, e repressione dura contro i camorristi ed i<br />

loro protettori.<br />

Tra chi prendeva in mano le redini del governo per conto dei<br />

ministri di Torino cominciava a diffondersi la convinzione che la<br />

camorra fosse un fenomeno negativo, tutto da conoscere e<br />

reprimere. Al fine di far conoscere meglio la natura del complesso<br />

problema, e di individuare i possibili rimedi, vennero inviate a<br />

Torino due corpose relazioni, scritte proprio dopo la nomina di<br />

Sapaventa nel amrzo 1861, dove si individuavano i luoghi di<br />

controllo, la capacità d’intimidazione attraverso la violenza, il<br />

consenso accordato in alcuni strati sociali, le fonti di guadagno<br />

illegale (gioco, estrorsioni su ogni attività lavorativa, compresi i<br />

mestieri più umili, prostituzione ).<br />

Naturalmente a Torino erano completamente a digiuno di quel<br />

fenomeno, di cui avevano preso una conoscenza soltanto epidermica<br />

in occasione della pubblicazione di articoli su giornali pubblicati<br />

nella capitale piemontese con tono folkloristico ed agiografico, che<br />

magnificavano l’utilizzazione dei camorristi nella polizia e<br />

l’adesione del popolo alle nuove idee liberali.


Le relazioni contenevano anche un elenco dettagliato di tutte le<br />

fonti di guadagno illecito ricavato con le estorsioni, cui andavano<br />

sommate le tangenti sul gioco d’azzardo nelle strade e nelle taverne<br />

di infima categoria. I mercati di frutta, di pesce, cerali, farine, carni,<br />

nolo dei carri da trasporto merci e carrozze, sullo scarico delle<br />

barche, ed il carico di calce e mattoni e di ogni merce.<br />

Acutamente nelle relazioni si osservava che il camorrista, fuori<br />

dal suo ambiente naturale non riusciva più ad esercitare questo tipo<br />

di particolare violenza, perdeva gran parte della sua aggressività e<br />

del suo potere, che veniva esercitato nelle carceri, ed era praticato<br />

sia a Napoli, sia nelle province.<br />

6.1 Tentativo di ritorno alla normalità.<br />

La strada per il ritorno alla normalità, si presentava impervia e<br />

dolorosa. Impervia, perché i passaggi erano tutti ostruiti da persone<br />

e cose fuori posto. Dolorosa, perché non era possibile fare una serie<br />

di manovre, ed adottare provvedimenti, senza coinvolgere<br />

violentemente molti soggetti presenti sulla scena vecchia e nuova<br />

della società partenopea.<br />

Tanto per cominciare, possiamo seguire la traccia di quel<br />

Salvatore De Crescenzo, soggetto primo ed indispensabile per la<br />

nascita e la crescita della creatura di don Liborio Romano: la<br />

guardia cittadina.


I camorristi, esecutori fedeli ed interessati, delle disposizioni di<br />

don Liborio, avevano saputo muoversi con maestria negli spazi non<br />

ancora definitivamente delimitati della dittatura garibaldina. Si<br />

erano illegalmente arricchiti. Troppo illegalmente, e troppo<br />

arricchiti.<br />

Agli eccessi segue abitualmente la repressione. E la repressione<br />

in corso, colse anche Salvatore De Crescenzo: finì di nuovo ospite<br />

delle patrie galere. Prima a Castelcapuano, poi relegato all’isola di<br />

Ponza. Nelle carceri di Castelcapuano non se la passava male. Entrò<br />

come un re in mezzo al suo popolo. Ma non era più un uomo libero.<br />

La libertà in divisa, assaporata negli otto mesi di esperienza<br />

governativa, gli aveva fatto conoscere una realtà diversa, che per lui<br />

e tanti altri non era quella vera. E allora, per ristabilire la normalità,<br />

si comincia rimettendo le cose al loro posto: ogni cosa al suo posto,<br />

ogni uomo al suo posto. Solo così si poteva tornare alla normalità.<br />

Nonostante i metodi di don Liborio Romano e le commistioni<br />

di Silvio Spaventa, Napoli divenne italiana. Nel marzo del 1861, il<br />

Parlamento di Torino, dichiarò re Vittorio Emanuele II di Savoia<br />

sovrano della Nazione unita. Il periodo dei luogotenenti finì qualche<br />

mese dopo; così anche nell’ex Regno delle due Sicilie, vennero<br />

estesi leggi e codici piemontesi. Nelle città, in rappresentanza del<br />

governo centrale arrivarono i prefetti, che inizialmente, solo nell’ex<br />

Regno delle due Sicilie, accorparono insieme potere militare e<br />

civile. Quindi, il generale Alfonso Lamarmora, era responsabile


militare del VI dipartimento, con delega all’esecuzione della leva<br />

nelle regioni meridionali, ma anche prefetto a Napoli. Lamarmora<br />

gestì la guerra contro il cosiddetto brigantaggio lucano, abruzzese,<br />

Sannita, Irpino, vesuviano, ed in parte anche calabrese, ma anche lo<br />

stato d’assedio, che servì a fermare, a colpi di fucile, Garibaldi, in<br />

marcia su Roma. Consapevole e noncurante delle violazioni<br />

commesse sul flessibile Statuto albertino, il governo Farini -<br />

Minghetti, decise di mantenere in vita prassi antigarantiste non solo<br />

contro i cosiddetti briganti, ma anche contro i camorristi che<br />

venivano considerati briganti cittadini.<br />

La camorra appariva una anomalia della vita sociale per la<br />

quale erano accettabili metodi non pienamente legali. Ed è proprio<br />

considerandola un’anomalia, che Lamarmora, prefetto e comandante<br />

militare, decise di utilizzare lo stato d’assedio per fare arrestare, in<br />

accordo col questore Carlo Aveta, 300 camorristi, di cui 63, tra i<br />

quali figuravano anche Salvatore De Crescenzo, Vincenzo Zingone,<br />

capo della camorra nel carcere di San Francesco, Vincenzo<br />

Attingenti e Pasquale Baschi, vennero inviati al carcere fiorentino di<br />

Murate. Altri 200, tra cui Giambattista De Falco, controllore<br />

assoluto del contrabbando via mare, da Napoli Pozzuoli, vennero<br />

inviati alle isole Tremiti. Il 23 settembre 1862, preso dall’attività<br />

veramente impegnativa della lotta alla camorra, il generale Alfonso<br />

Lamarmora, sollecitò il governo di Torino di legalizzare , anche<br />

attraverso una legge, strumenti repressivi più severi, ricordando i


suoi 300 arresti di camorristi. Nel contempo, sollecitava la creazione<br />

di carceri speciali per i camorristi, preferibilmente in Sardegna, allo<br />

scopo di allontanare i camorristi dai luoghi di origine, perché se<br />

rinchiusi nelle carceri cittadine, mantenevano inalterata la loro forza<br />

di intimidazione, se le loro mogli potevano presentarsi a loro nome a<br />

riscuotere le estorsioni. Quindi l’unico rimedio era quello di inviarli<br />

lontano dai luoghi di origine. Le idee di Lamarmora non tenevano<br />

conto delle ragioni della difesa e scavalcavano di continuo la<br />

magistratura. Infatti, il procuratore generale Ianigro, che aveva<br />

percorso tutti i gradini della magistratura sotto i Borbone, rivendicò<br />

alla magistratura la titolarità delle decisioni su modalità e tempi di<br />

carcerazioni. Ma protetto dal governo centrale Lamarmora ebbe<br />

buon gioco, opponendo a quelle proteste l’eccezionalità dei tempi e<br />

lo stato d’assedio. Sta di fatto che, anche se con i codici sotto i piedi,<br />

l’azione del generale ottenne buoni seppur temporanei risultati.<br />

In questa attività, il ministro Ubaldino Peruzzi, si avvalse<br />

dell’aiuto di Silvio Spaventa, tornato nel frattempo a Torino. In data<br />

15 dicembre 1862, chiese ai prefetti di tutto il Mezzogiorno, Sicilia<br />

compresa, gli elenchi completi dei detenuti accusati di essere<br />

camorristi. La richiesta venne ripetuta il 19 febbraio del 1863. Un<br />

mese prima erano state istituite le Commissioni per decidere le sorti<br />

di tutti i detenuti in odore di camorra, prospettando tre possibili<br />

opzioni: Processo, invio al domicilio coatto, liberazione. Furono<br />

esaminate 600 posizioni.


6.2 Epurazione dei camorristi dal ministero degli<br />

Interni della luogotenenza.<br />

Cominciando coerentemente la sua attività, il ministro<br />

Spaventa, mise in congedo 42 impiegati del ministero degli interni<br />

della luogotenenza, 58 impiegati della Prefetura e 250 funzionari di<br />

polizia.<br />

Con un’azione mirata nei confronti dei camorristi vietò l’uso<br />

dell’uniforme fuori servizio, che era motivo di veri e propri abusi di<br />

potere. Su questo provvedimento trovò l’accordo totale anche del<br />

comandante della guardia nazionale Ottavio Tupputi. L’ordinanza<br />

venne pubblicata il 25 aprile 1861.<br />

Erano giorni difficili sia per i camorristi che erano rimasti tali,<br />

sia per quelli che erano transitati anche solo formalmente sotto la<br />

legge, perché in realtà avevano mantenute anche le vecchie cattive<br />

abitudini, aggravate dal fatto che dalla loro posizione agevolavano<br />

l’attività di quelli che potremmo definire soci esterni. Nella<br />

confusione generale, Jossa e Capuano riuscirono a rimanere<br />

saldamente in sella. Il terzo del gruppo, quel Ferdinando Mele che<br />

aveva accoltellato vilmente l’ispettore Perelli, fu ucciso da uno dei<br />

fratelli De Meta, Salvatore. Voleva arrestarlo per un ricatto ai danni<br />

del barone Farina, con la richiesta di 1.500 ducati, ma questi fu più<br />

svelto e l’uccise.


6.3 Rivolta popolare e caccia al ministro Spaventa.<br />

Scoppiò un finimondo di proteste rese ancora più aspre dalle<br />

antipatie che Spaventa aveva suscitato già dai primi momenti del<br />

suo incarico, e sfociarono in una protesta di massa violenta, che vide<br />

uniti camorristi, guardie nazionali, ex guardie cittadine, ex<br />

garibaldini, che si recarono sotto il palazzo del ministero. Spaventa<br />

si salvò grazie alla prontezza di decisione dedi suoi segretari<br />

Giuseppe Colucci ed Emilio Vaglio, che lo fecero fuggire attraverso<br />

una scala segreta.<br />

Il corteo non abbandonò la protesta e si recò sotto palazzo<br />

Latilla, dove Spaventa era ospite dello zio Onorato Croce, gridando:<br />

morte a Spaventa.<br />

Spaventa, cosciente antipatico ed anche spaventato, si creò una<br />

sua scorta personale, che venne definita virgolatori, dal nome del<br />

bastone, virgola, con il quale gli accompagnatori andavano in giro<br />

quando uscivano col ministro. I componenti di questo comitato di<br />

protezione del ministro Spaventa , non erano stinchi di santo. Tra di<br />

essi vi erano anche i fratelli De Meta, noti ricattatori dei Borbone,<br />

ed anche omicidi. Se le vittime dei virgolatori erano i borbonici o<br />

gli avversari politici, il ministro lasciava correre volentieri. Ma<br />

Salvatore De Meta aveva commesso un omicidio fresco fresco, ed il<br />

fatto fece conoscere situazioni poco edificanti, ed il ministro fu<br />

costretto a dimettersi, sotituito da Filippo De Blasio, lo stesso<br />

funzionario che mesi prima, in qualità di prefetto di polizia, aveva


disposto l’arresto di decine di pricolosi camorristi. Si trattò di una<br />

vera e propria retata nella quale vennero prelevati e condotti in<br />

carcere 106 persone, e solo 16 riuscirono ad evitare la detenzione.<br />

Ci furono notevoli difficoltà per tenere in cella gli arrestati, presi<br />

dalla polizia, calpestando i codici, e senza alcun processo inviati a<br />

Santo Stefano e Ponza. De Blasio, come abbiamo visto s’era già<br />

occupato di ordine pubblico, ed al suo rientro trovò una situazione<br />

simile a quella di prima. Il ministro Ubaldino Peruzzi, spedito a<br />

Napoli da Urbano Rattazzi che era ministro degli Interni e capo del<br />

Governo, riferì che la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di<br />

emanare un provvedimento legislativo per trasportare i camorristi<br />

lontano dalle province meridionali, altrimenti ogni altro<br />

provvedimento sarebbe stato improduttivo. Spunta, da queste<br />

comunicazioni, la consapevolezza politica dell’esistenza di un<br />

problema criminale di difficile soluzione, fortemente radicato nella<br />

società a causa di situazioni socio-economiche e culturali precarie,<br />

che avrebbe impegnato seriamente tutta la classe politica e militare<br />

dell’Italia unita.


7.0 Provvedimenti contro la camorra.<br />

Gli studi sui problemi socio-economici meridionali fece<br />

sorgere l’idea che esistesse una secolare particolarità di quelle<br />

regioni, derivante anche dal modo di essere degli abitanti.<br />

La camorra appariva ed era un fenomeno delinquenziale<br />

diverso da quello di tutte le altre grandi città europee.<br />

Si moltiplicarono anche le indagini di tipo etnico-<br />

antropologico; le analisi sulle paranze, sulla loro attività<br />

parassitaria e violenta, si facevano sempre più attente.<br />

Nel 1863, il generale La Marmora venne sostituito da<br />

Rodolfo D’Afflitto, marchese di Montefalcone, funzionario<br />

borbonico fino al 1859. L’analisi politica ed il dibattito sulle<br />

cause della camorra, attivate dalle relazioni conoscitive inviate a<br />

Torino nel marzo del 1861 da Silvio Spaventa, allora ministro<br />

degli Interni del governo luogotenenziale, avevano portato alla<br />

convinzione che come affermava La Marmora, a situazioni<br />

eccezionali bisogna rispondere con mezzi legislativi ed azioni di<br />

polizia straordinari.<br />

7.1 La legge Pica. Prima legge dell’Italia unita contro<br />

la criminalità organizzata.<br />

La commissione Parlamentare, costituita da nove deputati,<br />

riunitasi in sedute riservate un numero rilevante di volte, dopo<br />

aver visitato le regioni del Mezzogiorno, elaborò una relazione<br />

apripista, per l’approvazione della prima legge speciale dell’Italia


unita contro la criminalità: la legge Pica, approvata il 15 agosto<br />

1863.<br />

Teneva conto del principio “a mali estremi, estremi rimedi”.<br />

D’altronde lo stato d’assedio, nell’Italia meridionale, era già<br />

stato introdotto prima del varo della legge Pica, e delle leggi anti-<br />

brigantaggio, usando il pugno di ferro contro l’imputato, senza<br />

alcuna garanzia per la difesa, e perciò pazienza, ora era inutile<br />

discuterne.<br />

Di fatto la legge Pica sanciva l’eterna emergenza criminale<br />

nelle regioni meridionali.<br />

La legge Pica, introduceva un reato-genere, quello<br />

camorrista, ripreso successivamente 142 anni dopo, con<br />

l’introduzione del famoso articolo 416-bis dell’attuale codice<br />

penale, che prevede pene per gli appartenenti ad associazioni<br />

camorristiche.


La legge Pica del 15 agosto del 1863.<br />

Vittorio Emanuele II<br />

Per grazia di Dio e volontà della Nazione<br />

RE D’ITALIA<br />

Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato,<br />

Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue.<br />

Art.1.<br />

Fino a 31 dicembre corrente anno, nelle province infestate dal<br />

brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con Decreto Reale, i<br />

componenti comitiva o banda armata composta almeno di tre persone,<br />

la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere<br />

crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai Tribunali<br />

militari, di cui nel libro II, parte II del Codice penale militare, e con la<br />

procedura determinata dal capo III del detto libro.<br />

Art. 2.<br />

I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano<br />

appongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la<br />

fucilazione, oppure coi lavori forzati a vita concorrendovi attenuanti.<br />

A coloro che non oppongono resistenza, non che ai ricettatori e<br />

somministratori di viveri, notizie, ed aiuti in ogni maniera, sarà<br />

applicata la pena dei lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze<br />

attenuanti il maximum dei lavori forzati a tempo.<br />

Art. 3.<br />

Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti o che<br />

costituiranno volontariamente entro il termine di un mese dalla


pubblicazione della presente legge la diminuzione da uno a tre gradi di<br />

pena. Tale pubblicazione dovrà essere fatta per bando in ogni comune.<br />

Art. 4.<br />

Il Governo avrà pure facoltà, dopo il termine stabilito<br />

dall’articolo precedente, di abilitare alla volontaria presentazione col<br />

beneficio della diminuzione di un grado di pena.<br />

Art. 5.<br />

Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un tempo non<br />

maggiore di un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle<br />

persone sospette, secondo la designazione del Codice penale, non che ai<br />

camorristi, e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta<br />

del Prefetto, del Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di<br />

due Consiglieri provinciali.<br />

Art. 6.<br />

Gli individui, di cui al precedente articolo, trovandosi fuori dal<br />

domicilio assegnato, andranno soggetto alla pena stabilita dalla linea 2°<br />

dell’articolo 29 del Codice penale, che sarà applicata dal competente<br />

Tribunale circondariale.<br />

Art. 7.<br />

Il Governo del Re avrà facoltà di istruire compagnie o frazioni di<br />

compagnie di volontari a piedi od a cavallo, decretandone i<br />

Regolamenti, l’uniforme e l’armamento, nominarne gli ufficiali, e<br />

bassi-ufficiali ed ordinarne lo scioglimento. I volontari avranno dallo<br />

Stato la diaria stabilita per i militi mobilizzati; il Governo però potrà<br />

accordare un soprassoldo, il quale sarà a carico dello Stato.


Art. 8.<br />

Quanto alle pensioni per cagione di ferite o mutilazioni ricevute in<br />

servizio per la repressione del brigantaggio, ai volontari ed alle guardie<br />

nazionali saranno applicate le disposizioni degli articoli 3, 22, 28, 29, 30<br />

e 32 della Legge sulle pensioni militari del 27 giugno 1850. Il Ministero<br />

della Guerra con apposito Regolamento stabilirà le norme per accertare<br />

i fatti che danno luogo alle pensioni.<br />

Art. 9.<br />

In aumento del capitolo 95 del bilancio approvato per il 1863, è<br />

aperto al Ministero dell’Interno il credito di un milione di lire per<br />

sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. Ordiniamo che la<br />

presente, munita del sigillo di Stato, sia inserita nella Raccolta ufficiale<br />

delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque<br />

spetti di osservarla e di farla osservare come Legge dello Stato.<br />

Dat. Torino,addì 15 agosto 1863<br />

Vittorio Emanuele<br />

7.2 Il domicilio coatto.<br />

Con il criterio del sospetto, introdotto dalla legge Pica, la<br />

quale prevedeva che un delatore, o chiunque altro avesse in<br />

animo di consumare una vendetta, poteva accusare qualcuno di<br />

essere in odore di camorra, non mancarono gli errori giudiziari.<br />

La prima riunione della Commissione provinciale prevista<br />

dalla legge, si tenne il 21 settembre 1863.


Si cominciò ad esaminare le 300 posizioni dei camorristi<br />

che, il generale La Marmora, utilizzando lo stato d’assedio, li<br />

aveva arrestati un anno prima.<br />

La Commissione continuò i suoi lavori, riunendosi fino 31<br />

luglio1864, esaminando i primi 596 casi. Nelle mani dei<br />

commissari finirono anche lettere sequestrate ai detenuti, ma non<br />

vennero utilizzate come prove certe.<br />

La commissione provinciale esaminò negli anni 1863 e<br />

1864, 1.800 posizioni con richieste di invio al domicilio coatto.<br />

Ne furono condannati 1.200, in gran parte napoletani: ben 1.029,<br />

cioè il 2 per mille della popolazione residente a Napoli.<br />

Gli imputati, risultavano tutti impiegati in alcuni lavori:<br />

cocchieri, caprai, facchini, braccianti, guardiani, accusati di reati<br />

che andavano dai furti, al contrabbando, al vagabondaggio, alle<br />

estorsioni, fino all’omicidio.<br />

C’erano anche lenoni, grassatori, sensali.<br />

Nel verbale della commissione provinciale del 20 ottobre<br />

1983, veniva posta in evidenza la pericolosità della malefica<br />

camorra, con attività a danno di persone e cose, ma anche dello<br />

Stato per l’attività di contrabbando,<br />

“fino ad avversare ed impedire l’esazione dei balzelli dello<br />

Stato in compagnie di contrabbandieri”.<br />

Nel novero dei camorristi vennero sicuramente elencati<br />

soggetti come piccoli delinquenti non facenti parte della<br />

criminalità organizzata, la quale era quella più perniciosa, che<br />

destava le maggiori preoccupazioni, per la capacità di imporsi


alla popolazione e di gestire la violenza organizzata in funzione<br />

di un utile o di una agevolazione della più diversa natura.<br />

Al domicilio coatto furono inviati un bel po’ di delinquenti,<br />

ripulendo Napoli come mai altre volte era accaduto.<br />

L’effetto ebbe una durata temporale limitata, perché nella<br />

struttura esistente e consolidata si poneva rimedio con l’ingresso<br />

di nuovi soggetti, pronti ad occupare gli spazi delinquenziali<br />

rimasti vuoti, garantendone efficienza e funzionalità.


7.3 Efficacia del provvedimento del domicilio coatto.<br />

Il domicilio coatto, non l’eliminazione fisica definitiva, che<br />

qualcuno invocava a viva voce.<br />

Dopo un certo periodo di tempo, poco o tanto che fosse,<br />

delinquente riposato e ripulito, si ripresentava nel suo luogo di<br />

origine dove non aveva difficoltà a far germogliare con nuovo<br />

vigore la vecchia pianta del malaffare.<br />

Siccome è caratteristica e pittoresca la figura di un delinquente<br />

di prima grandezza come Salvatore De Crescenzo, proviamo a<br />

seguire i suoi itinerari, le sue permanenze al domicilio coatto, per<br />

vedere di scoprire se lontano da casa se la passa più o meno bene e<br />

se i periodi di assenza dalla sua Napoli alterano i suoi beni, la sua<br />

salute fisica e mentale, la coesione familiare.<br />

Cerchiamo, in definitiva, di appurare qual è l’efficacia<br />

rieducativa del provvedimento.<br />

Appena tornato dal carcere fiorentino di Murate, riprese le fila<br />

dell’estorsione. Dopo pochi mesi, un’altra denuncia lo riportò al<br />

domicilio coatto, per un breve periodo di tempo a Piedimonte<br />

d’Alife. Rientrato a Napoli trascorreva il suo tempo davanti alla sua<br />

tabaccheria, in via Mezzocannone, restandovi fino a tarda notte.<br />

gente.<br />

La sua giornata non era monotona: un via vai continuo di


Sbrigava affari, dava consigli, affidava incarichi, e continuava<br />

ostinatamente a gestire affari illeciti, ma aveva una copertura: il<br />

commercio delle ossa degli animali macellati, raccolte per tutta la<br />

città da una decina di suoi collaboratori. Si serviva anche di diversi<br />

facchini e, per quel commercio, aveva intrecciato rapporti con quasi<br />

tutti i macellai napoletani. Naturalmente la polizia quando si<br />

interessava di lui, riusciva a prendergli le misure: appurava<br />

perfettamente quale era la fonte dei suoi guadagni, anche se<br />

s’industriava per fare apparire onesta ed operosa la sua attività.<br />

Le sue estese relazioni con tutti i macellai di Napoli, lo<br />

ponevano in condizione di rapportarsi anche con individui<br />

facinorosi e per questo disponeva di una paranza di facchini sempre<br />

pronta ai suoi ordini. Dopo una serie di trattative raggiunse un<br />

accordo con i fratelli Scarparelli che controllavano il quartiere porto,<br />

cui facevano riferimento anche le paranze del quartiere mercato.<br />

Nonostante sapesse che la polizia lo controllava, fu arrestato<br />

per un’asta pubblica combinata.<br />

Non riuscirono ad avere le prove della combine.<br />

Ma con la scusa che portava illegalmente un pugnale fu di<br />

nuovo allontanato da Napoli, in domicilio coatto prima a Ventotene,<br />

poi a Ustica ed infine a Sondrio, sulle montagne della Valtellina.<br />

Naturalmente siccome era un criminale carico di accuse e di<br />

segreti per i rapporti con gli uomini politici, il questore di Napoli lo<br />

faceva sottoporre a un controllo continuativo, anche per riferire al


prefetto della sua città. Così risultava che diversamente dalla<br />

condizione di disagio e di carenza di denaro manifestata quando si<br />

trovava a Ventotene, a Sondrio non gli era mai capitato di restare<br />

senza adeguate provviste. Provvedeva, mensilmente, a inviargli 50<br />

lire, suo nipote Francesco, che in sua assenza, si prendeva cura del<br />

controllo di gran parte delle paranze cittadine.<br />

Non mancava mai, anche se distante, di far pervenire i suoi<br />

assensi o i suoi dinieghi sulla nomina di nuovi picciotti e camorristi,<br />

perché comunque, vicino o lontano, era sempre il capintesta della<br />

camorra napoletana. Tornò a Napoli, nel 1879, e venne accolto con<br />

manifestazioni di affetto e di entusiasmo, venerato e protetto dai<br />

camorristi di Montecalvario.<br />

Il suo potere, la sua autorità, non mostrava crepe.<br />

Aveva una nuova attività di copertura: aveva acquistato un<br />

negozio di crusca e carrube, e riusciva a controllare le aste sugli<br />

scarti delle forniture militari, il fitto delle vetture ai cocchieri, le<br />

tangenti sull’acquisto delle biade. E, antesignano riciclatore di<br />

denaro sporco, aprì un negozio di mobili dove De Crescenzo<br />

rivendeva la merce che faceva accaparrare dai suoi uomini alle aste<br />

pubbliche. Fu certamente il capo camorra dalle idee più avanzate,<br />

dal ciclo vitale irripetibile: dapprima omicida e svelto di coltello, poi<br />

interlocutore di politici; infine imprenditore nelle aste e rivendite.<br />

Negli ultimi anni dei governi di destra, prima dell’avvento<br />

della sinistra con la politica trasformista di Agostino Depretis, il


prefetto Antonio Mordini fece di tutto per allontanare da Napoli,<br />

quanti più camorristi fosse possibile, usando gli strumenti giuridici a<br />

sua disposizione, perché si rendeva conto dell’aumento della<br />

pressione criminale sulla popolazione, che diventava un peso<br />

sempre più insopportabile per la società partenopea.<br />

Il prefetto Mordini, seguiva attentamente l’attività della<br />

camorra e in un suo rapporto del 1874, pose in evidenza l’influenza<br />

della camorra sulle elezioni politiche, riferendo che Giovanni<br />

Nicotra, futuro ministro degl’Interni, intratteneva rapporti con un<br />

camorrista del mercato.<br />

Per capire il domicilio coatto ho scelto di seguire il soggetto<br />

che più di altri doveva essere controllato.<br />

Lo abbiamo visto all’apice dell’attività camorristica, e non ne è<br />

mai più sceso.<br />

L’autorità, con prove certe ed altre costruite o pretestuose,<br />

come nel caso del possesso illegale del pugnale, che lo riportò al<br />

domicilio coatto, a Sondrio, per altri 10 anni, non lo ha certo<br />

ignorato.<br />

Ma l’isolamento, che dovrebbe essere il disinfettante per tenere<br />

a bada agenti patogeni virulenti come Salvatore De Crescenzo, non<br />

ha funzionato.<br />

Dobbiamo riconoscere che il domicilio coatto è un<br />

provvedimento che aveva ed ha un’efficacia parziale e limitata nel<br />

tempo. Parziale, perché il camorrista continua a curare i suoi


interessi per interposta persona; limitata nel tempo, perché quando<br />

rientra nella sua terra d’origine, non ha più bidogno nemmeno di<br />

supplenti per riprendere la sua attività.


8.0 Espansione territoriale della camorra.<br />

Le regioni dove maggiore è la circolazione della ricchezza,<br />

sono quelle che più si prestano al riciclaggio del denaro<br />

attraverso l’acquisizione di società o l’apertura di servizi<br />

commerciali.<br />

La Camorra mantiene la sua storica presenza nella<br />

Campania, ma attiva intese e propaggini operative in Lombardia,<br />

Veneto, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e basso<br />

Lazio.<br />

Nel Trentino Alto Adige, sono presenti gli affiliati al clan<br />

Aprea di Ponticelli (NA);<br />

nel basso Sarca (Riva del Garda ed Arco) sono presenti nel<br />

settore economico turistico le famiglie camorristiche Tarallo,<br />

Cardelli, Lanna, Dato.<br />

Nel Veneto, è stato verificato che dietro il fallimento di<br />

alcune società si nascondeva l’attività di riciclaggio e di<br />

alterazione del mercato legale economico da parte di clan<br />

camorristici.<br />

In Umbria, in particolare a Perugia, viene accertata la<br />

presenza di soggetti provenienti da Casal di Principe, legati con<br />

vincoli di parentela con la famiglia camorristica Schiavone, ed<br />

altri collegati al gruppo camorristico Licciardi, nonché soggetti


appartenenti al gruppo Ciccone Fabbrocino che hanno investito<br />

nel campo immobiliare.<br />

In Abruzzo, contrariamente alla convinzione corrente,<br />

l'invasione della camorra, negli anni passati, è stata massiccia.<br />

Nel 2006, si scoprì che l'agguato al boss Vitale era stato deciso a<br />

tavolino, a Villa Rosa di Martinsicuro, in Abruzzo. Nicola del<br />

Villano, cassiere della consorteria imprenditoriale criminale degli<br />

Zagaria di Casapesenna, era ripetutamente sfuggito alla cattura,<br />

rifugiandosi nel Parco nazionale d'Abruzzo, con libertà di<br />

movimento nei centri abitati del luogo.<br />

Gianluca Bidognetti, quando la mamma decise di pentirsi, si<br />

trovava in Abruzzo.<br />

Il 10 settembre 2008, Diego Leòn Montoya Sanchez, il<br />

narcotrafficante inserito tra i dieci most wanted dell'FBI, è stato<br />

catturato in una sua base in un paese in Abruzzo.<br />

Il traffico dei rifiuti, in Abruzzo, ha trovato una piattaforma<br />

ideale: Le zone montane sono scarsamente abitate, hanno una<br />

disponibilità notevole di cave dismesse. I carabinieri, negli anni<br />

Novanta, hanno dimostrato con l'inchiesta Ebano, che 60.000<br />

tonnellate di rifiuti solidi urbani, provenienti dalla Lombardia.<br />

Finivano tutti in cave dismesse e nelle depressioni di terreni<br />

abbandonati, e riempivano le tasche dei camorristi.<br />

Finora, L'Aquila, protetta dalla mancanza assoluta di affari<br />

di una certa consistenza, non ha avuto grandi infiltrazioni<br />

camorristiche, ma il grande, irripetibile affare, come nel 1980 in<br />

Campania, ora è possibile. Per le imprese si apre una miniera,


una ricca miniera nella quale infilarsi per tranne il massimo<br />

profitto.<br />

Conosciute da tutti, e da tempo, le intenzioni delle autorità<br />

ad ogni livello: il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il<br />

Presidente della Provincia de L'Aquila Stefania Pezzopane, il<br />

sindaco del comune de L'Aquila Massimo Cialente, di impedire<br />

ogni infiltrazione della malavita organizzata nei lavori di<br />

ricostruzione, cioè niente camorra, niente mafia, niente<br />

'ndrangheta , niente sacra corona unita, le rispettiamo e le<br />

apprezziamo per l'impegno. Conoscendo la storia, la capacità<br />

mimetica di adattamento a qualsiasi emergenza delle nostre<br />

organizzazioni criminali, più che il dubbio, mi viene la paura che,<br />

more solito iteratur verba, ma l'infezione, tutti lo sanno, ha già<br />

invaso l'organismo.<br />

A L'Aquila, strano segno del destino, le carceri, il luogo<br />

dove sono detenuti i boss del cemento ( ce ne sono 80 in regime<br />

di 416 bis), è risultato intatto. Le famiglie di camorra, di mafia,<br />

di 'nrangheta, di sacra corona unita, in Abruzzo, ci sono sempre<br />

state, e non solo perché nelle carceri abruzzesi c'è il gotha dei<br />

capi della camorra imprenditrice. Il rischio serio è quello che le<br />

“organizzazioni”si spartiscano i lavori: alla 'ndrangheta i lavori<br />

dell'expo di Milano, alla camorra la ricostruzione de L'Aquila,<br />

sempre in subappalto.


In Liguria, accanto alla perdurante presenza, nella città di<br />

Genova, dove l'attività camorristica tradizionale è quella del<br />

contrabbando di tabacchi lavorati esteri si assiste al<br />

consolidamento di formazioni camorristiche nelle città di La<br />

Spezia e di Massa Carrara, interessate attraverso estorsioni,<br />

condizionamento violento ed intimidatorio della concorrenza , ad<br />

acquisire il controllo del gioco d’azzardo condotto in numerosi<br />

esercizi pubblici, attraverso l’installazioni di apparecchi<br />

videopoker ed il controllo della distribuzione di sostanze<br />

stupefacenti.<br />

Risulta anche confermato l’interesse dei gruppi camorristici,<br />

congiuntamente ad esponenti della Sacra Corona Unita pugliese<br />

per i porti liguri, funzionali al contrabbando di tabacco lavorato<br />

estero e di stupefacenti.<br />

Tra le altre attività camorristiche i prestiti ad usura ai<br />

giocatori del casinò di Sanremo, e soprattutto riciclaggio di soldi<br />

sporchi, ma anche tentativi di infiltrarsi nel commercio dei fiori.<br />

In Toscana, nel distretto di Firenze, la zona di Montecatini è<br />

interessata come ambito privilegiato dei progetti e delle attività di<br />

reinvestimento speculativo dei capitali a disposizione della<br />

criminalità campana, ma anche calabrese.<br />

Identica attività di infiltrazione con investimenti immobiliari<br />

e nelle attività commerciali, è in atto nella provincia di Grosseto,<br />

con la presenza dei clan Casalesi, Fabbrocino, Ascione, Gionta,<br />

Gargiulo.


Nelle Marche, soprattutto nel distretto di Ancona è palese il<br />

tentativo di insediamento di gruppi criminali appartenenti alle<br />

tradizionali organizzazioni della camorra, ma anche della<br />

‘ndrangheta e della mafia siciliana, per esercitare la loro attività<br />

delittuosa nel traffico delle sostanze stupefacenti e nel connesso<br />

riciclaggio del denaro, nel controllo del gioco d’azzardo e della<br />

prostituzione.<br />

In Emilia Romagna, nel distretto di Bologna sono presenti<br />

soggetti riconducibili alla al clan camorristico dei Casalesi.<br />

Insediati da anni, hanno creato strutture di supporto logistico utili<br />

al favoreggiamenti di pericolosi latitanti collocati in posizione<br />

dominante nell’organizzazione di riferimento.<br />

Altri importanti ambiti economici nei quali è presente la<br />

camorra<br />

In Lombardia, in provincia di Brescia, ai tempi di Cutolo<br />

s'insediò un clan camorristico legato alla Nuova Camorra<br />

Organizzata. Gli investimenti vennero fatti soprattutto sul Lago<br />

di Garda, nell'area settentrionale, e nel 1998 ci fu un duplice<br />

omicidio per contrasti tra due gruppi di napoletani per questioni<br />

legati alla gestione ed allo sfruttamento di locali di ristorazione,<br />

di locali notturni e sui prestiti ad usura. Al Csm ne diede notizia,<br />

nel 2001, il procuratore della Repubblica Giancarlo Tarquini che<br />

rilevava la presenza diretta o indiretta di organizzazioni<br />

camorristiche nel settore della ristorazione (ristoranti, bar,


pizzerie), dell'intrattenimento (discoteche), commercio di auto,<br />

tappeti ed alimentari.<br />

In una regione dove le opportunità economiche sono tante,<br />

non potevano mancare i clan campani.<br />

Pasquale Zagaria, il clan guidato dai fratelli Zagaria ha<br />

investito massicciamente, a Parma con le società di Aldo Bazzini,<br />

e a Milano sempre con lo stesso, socio nella “Ducato<br />

Immobiliare”, acquisendo immobili in zona Santa Lucia per<br />

ristrutturarli e trasformarli in condomini di lusso con annessi<br />

garage e locali commerciali. Non mancano i collegamenti con<br />

uomini d’affari con esperienze politiche come l’ex assessore del<br />

comune di Parma Stocchi, che lo mise in contatto con Giovanni<br />

Bernini, presidente del Consiglio comunale di Parma, nominato<br />

nel luglio del 2002 dal ministro per le Infrastrutture, Pietro<br />

Lunardi, consigliere per i rapporti con gli enti locali.<br />

Comunque nella zona i gruppi criminali preminenti sono<br />

sardi, calabresi, ed i nuovi arrivati albanesi, mentre i camorristi<br />

sono minoritari.<br />

Secondo l’ex sostituto procuratore della DDA di Napoli, ora<br />

magistrato presso il Massimario della Cassazione, Raffaele<br />

Cantone: “Oggi i Casalesi stanno aprendo nuovi fronti nel Centro<br />

e nel Nord Italia, per esempio il gioco d’azzardo on-line: roulette,<br />

slot machine elettriche, videopoker. Ci sono porti franchi dove è<br />

facile impiantare un’attività. Alcune realtà criminali siciliane,<br />

come i Santapaola, sono già inserite in questo settore, sanno<br />

come fare, e i Casalesi sfruttano il loro Know-how”.


8.1 La camorra rurale.<br />

La camorra rurale era, ed è quella dei mercati ortofrutticoli<br />

che sia nella città di Napoli, sia nella Provincia, prosperava e<br />

prospera con un giro di affari di dimensioni enormi (cui si sono<br />

aggiunte altre attività, come lo smaltimento illegale dei rifiuti, il<br />

traffico della droga, l’appalto dei lavori pubblici e dei servizi<br />

negli ospedali e nelle comunità).<br />

In origine, la Bella Società Riformata, con il suo frieno,<br />

riusciva ad organizzare e a regolare l’attività dei camorristi in<br />

modo pressoché uniforme, nella zona urbana ed in quella rurale.<br />

Dopo l’Unità d’Italia, questa uniformità di applicazione<br />

viene meno a causa dell’autonomia conseguita, con le buone o<br />

con le cattive, da parte di alcune realtà camorristiche provinciali,<br />

in grado di alienarsi dalla gerarchia metropolitana.<br />

Una consolidata tradizione nelle carceri riconosceva un<br />

prestigio preminente agli affiliati della Bella Società Riformata<br />

casertana. Tanto è vero che le sentenze emesse dai camorristi in<br />

carcere, sottochiave, così venivano chiamati i camorristi ospiti<br />

delle patrie galere, aveva valore sia all’interno sia all’esterno del<br />

carcere.<br />

Tale consuetudine venne bruscamente interrotta grazie alla<br />

repressione del maggiore Vincenzo Anceschi, esercitata negli<br />

anni 1926-1927, che arrestò migliaia di camorristi, e tanti altri li<br />

inviò al confino, il cosiddetto domicilio coatto.


Successivamente la camorra casertana aveva avuto modo di<br />

ricostituirsi durante il secondo conflitto mondiale, soprattutto<br />

tramite il mercato nero degli alimentari.<br />

La crescita definitiva, si è però verificata attorno agli anni<br />

’60, grazie al business della droga. Le organizzazioni criminali,<br />

camorristiche, nella provincia campana, non sono, ma<br />

somigliano, nella struttura, alla mafia siciliana.<br />

Non si combattono più militarmente strada per strada. Il<br />

loro credo assoluto è il business: l’affare, il denaro.<br />

Il loro provincialismo è stato sdogananto dall’affaire<br />

terremoto; per il quale si erano preparati come un gruppo coeso<br />

di criminali, che conoscono la forza del gruppo, dell’insieme, e<br />

ne hanno dimostrato l’efficienza assoluta.<br />

Altro elemento del sistema è il monopolio spurio del traffico<br />

dei rifiuti. Una quantità enorme. I Casalesi se ne occupano dagli<br />

anni 80. In Italia vengono prodotti 97 milioni di tonnellate di<br />

rifiuti. Circa 35 milioni di tonnellate prendono la via illegale,<br />

perché in Italia non vi sono impianti sufficienti per lo<br />

smaltimento, ma anche perché l’industria trova economicamente<br />

più conveniente questa via per disfarsi di rifiuti tossici e<br />

pericolosi. Smaltire legalmente nelle discariche regolari, costa 80<br />

centesimi al chilo; in quelle abusive soltanto 10 centesimi al<br />

chilo.<br />

Secondo il Pm Donato Ceglie, che dal 1997 ha alle sue<br />

dipendenze un Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei<br />

carabinieri, affiancato da una squadra della Guardia di Finanza


per completare le indagini sul fronte fiscale, tributario,<br />

economico e finanziario, solo in provincia di Caserta vi sono 900<br />

discariche illegali e 116 ditte autorizzate allo smaltimento dei<br />

rifiuti tossici. Sono un numero enorme e “lavorano” una quantità<br />

illegale enorme di rifiuti, sul posto e in altri siti fuori regione.<br />

Il Sistema, la sfera d’influenza territoriale, economica,<br />

politica e militare, che un gruppo criminale organizzato riesce a<br />

realizzare, è il segno della capacità di adattarsi ai cambiamenti<br />

della Società.<br />

E ognuna ha le sue caratteristiche.<br />

Cutolo, organizzazione e combattimento, tradimenti ed<br />

esecuzioni, guerra permanente ad ogni ostacolo, profitti e<br />

riciclaggio. La NCO come sistema in grado di influire su<br />

economie di scala extraregionale, il sistema l’aveva già<br />

collaudato negli anni ottanta; oggi paga l’assenza del suo<br />

creatore, che anche se in cattività, non conosce pentimenti, e non<br />

collabora con la giustizia.<br />

Sempre a partire dal terremoto si delinea e si consolida il<br />

sistema dei Casertani, o dei Casalesi, che sono una parte<br />

consistente, ma non il tutto di un cartello di famiglie che hanno il<br />

controllo assoluto del territorio, e che riescono ad assicurare una<br />

pace armata, garanzia assoluta di profitto.<br />

Antonio Bardellino, Lorenzo Nuvoletta, Francesco<br />

Schiavone, Mario Iovine, Francesco Bidognetti, Vincenzo<br />

Zagaria, Carmine Schiavone, Raffaele Diana, Pasquale Galasso,


Carmine Alfieri, Michele Zaza, Pasquale Zagaria… e via<br />

dicendo; tutti pezzi da novanta autori di tanta guerra e poca pace<br />

nella Terra campana.<br />

Il Sistema, l’insieme delle attività e delle influenze<br />

territoriali, economiche e militari.<br />

Dei diversi insiemi, per il tipo di sistema urbano, si può fare<br />

riferimento a quello storico dei Giuliano; inventori del lotto<br />

clandestino, grande capacità di intessere relazioni militari con gli<br />

altri clan, contrabbando di sigarette, guerra contro Cutolo,<br />

tradimenti, scontri, declino. Ma sempre sistema.<br />

Così come accade in altre province, in quella casertana<br />

l’attività criminale camorristica pesantissima, è dominata dal clan<br />

dei Casalesi, il cui predominio si basa su alcuni elementi<br />

fondamentali per la buona riuscita di ogni attività, soprattutto di<br />

quelle di natura criminale:<br />

- stabile radicamento nel mondo delinquenziale;<br />

- controllo e forte dominio sul territorio, per le capacità<br />

operative militari dimostrate;<br />

- capacità penetrativa enorme in tutti i settori della società e<br />

dell’economia;<br />

- grande capacità di riciclaggio, utilizzando colletti bianchi<br />

autoctoni, familiari o associati.<br />

Questa situazione e la conoscenza della pericolosità per le<br />

caratteristiche criminali possedute, hanno indotto la<br />

Commissione Nazionale Antimafia ad approfondire la


conoscenza della realtà del crimine organizzato in provincia di<br />

Caserta.<br />

Il modello operativo della camorra casertana, si basa<br />

sull’attività di più gruppi organizzati, con competenze assegnate<br />

su base territoriale, collegati “verticisticamente”.<br />

La realtà più consolidata sul territorio, per la presenza<br />

ininterrotta da almeno due secoli, è quella denominata dei<br />

Casalesi.<br />

Alcuni decenni orsono, per contrasti al vertice, il clan si è<br />

diviso in due tronconi:<br />

- uno, quello più importante, fa capo a Francesco<br />

Schiavone, detto Sandokan, per la sua somiglianza all’attore<br />

indiano Kabir Bedi;.<br />

Attualmente Francesco Schiavone è detenuto in regime ex<br />

articolo 41 bis ordinamento penitenziario.<br />

Il clan è perciò governato dal cugino, anch’egli di nome<br />

Francesco Schiavone, detto Cicciariello figlio di Schiavone<br />

Luigi, scarcerato per decorrenza dei termini, colpito da nuovi<br />

provvedimenti restrittivi della libertà personale, si è reso<br />

irreperibile.<br />

- l’altro, meno importante, che ha come capo clan<br />

Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte anch’egli in<br />

carcere , detenuto in regime di 41 bis ordinamento penitenziario,<br />

a livello di non ha conflittualità formali, ma sul livello operativo,<br />

sul territorio, insorgono contrasti, specie ad opera di quei gruppi


satellite che a quei vertici fanno riferimento, dando luogo a<br />

scontri, tensione, regolamenti di conti e omicidi.<br />

Francesco Bidognetti, ormai, è in carcere, detenuto in<br />

regime di 41 bis ordinamento penitenziario, da anni.<br />

Il suo clan ha continuato ad operare tramite i suoi figli:<br />

Aniello e Raffaele.<br />

La lotta per il potere al vertice del gruppo, si avvale<br />

dell’appoggio della malavita napoletana, ed in particolare di<br />

Luigi Guida, detto ‘o Drink, proveniente dal quartiere<br />

napoletano della Sanità, viene concordemente ritenuto braccio<br />

destro di Francesco Bidognetti, controllando per conto del<br />

Bidognetti il business dei traffici illeciti nella zona del litorale<br />

domizio.<br />

Il nucleo storico, è costituito dalle famiglie:<br />

- Schiavone;<br />

- Bidognetti ;<br />

- Iovine;<br />

- Zagaria.<br />

Le famiglie Iovine e Zagaria, in questo momento osservano<br />

una politica di equidistanza e di apparente tranquillità.<br />

In pratica l’area controllata dai clan dei Casalesi,<br />

s’identifica con tutta la provincia di Caserta,tranne:<br />

- Marcianise, polo industriale controllato dal clan Belfiore;<br />

- Sessa Aurunca, controllata dal clan Esposito;<br />

- Mondragone, controllato dal clan La Torre.


Nonostante le misure restrittive della libertà e la confisca di<br />

beni e di denaro contante per migliaia di miliardi delle vecchie<br />

lire, il clan dei Casalesi non ha perso la capacità operativa<br />

dimostrata prima dell’intervento della Magistratura.<br />

Riescono ad affiliare nuovi giovani, che garantiscono<br />

l’operatività del gruppo.<br />

La proverbiale capacità di adattamento ai trend di mercato<br />

che la holding dei Casalesi ha dimostrato in tutti questi anni, è<br />

impressionante. La sua attività più produttiva si svolge al Centro<br />

– Nord Italia, con filiali per gestire il traffico della droga, lo<br />

smaltimento dei rifiuti tossici, il commercio di armi, il gioco<br />

d’azzardo via internet, le frodi nel campo alimentare<br />

La presenza di soggetti stranieri conferisce al clan la<br />

capacità di infiltrarsi nelle economie di Paesi dell’Est Europa,<br />

mentre immutata è la capacità operativa a livello nazionale.<br />

Come dice Rosaria Capacchione, Carmine Schiavone faceva<br />

il contabile prima di buttarsi pentito, come dicono i camorristi.<br />

Era addetto alla compilazione delle schede di conferimento dei<br />

prodotti agricoli, quando l’eccesso di produzione, ne consentiva<br />

la distruzione, beneficiando del contributo A.I.M.A.. Cioè<br />

quando c’erano eccedenze di produzione, si eliminava una parte<br />

di prodotto. A.I.M.A., correntemente, nel periodo di vigenza di<br />

quella regolamentazione comunitaria era sinonimo di<br />

distribuzione del prodotto in eccesso. Sfortunatamente, un<br />

provvedimento di natura straordinaria viene confuso con una<br />

modalità di produzione variabile, o addirittura inesistente.


Sfortunatamente per noi, e per una parte della collettività, le<br />

cose chiamate con un nome, non hanno dappertutto lo stesso<br />

significato: se mi riferisco a un eccesso di produzione, ipotizzo<br />

che si tratti di un eccesso di prodotto a qualità costante.<br />

Sia che si tratti di prodotto che viene conferito e viene<br />

stoccato nei magazzini A.I.M.A., per placare a buon mercato la<br />

dame delle popolazioni dell’Est.<br />

A questo punto l’interpretazione, che per comodità ed<br />

opportunismo viene considerata soggettiva, può avere uno<br />

sviluppo variabile:<br />

-al mutare dell’imprenditore, che può variare la<br />

composizione qualitativa del capitale investito e la combinazione<br />

dei mezzi tecnici di produzione, che comporta sempre una<br />

depressione qualitativa del prodotto conferito, e per fare un<br />

esempio che classifica tutti i produttori quasi onesti, invece di<br />

allevare il bovino della solita razza Limousine, allevo dei bovini<br />

polacchi di qualità decisamente peggiore, che nel mercato<br />

normale vale 2.000 lire in meno al chilogrammo, ma la piazzo<br />

sicuramente ad un prezzo d’intervento stabilito e ci guadagno<br />

comunque; sicuramente molto di più che se onestamente avessi<br />

allevato la razza di bovini che, per tradizione consolidata, avrei<br />

allevato; si tratta di una furbata, ma c’è di peggio.<br />

- al mutare dell’interpretazione filosofica del soggetto,<br />

imprenditore artista opportunista, che può decidere sicuramente<br />

che la qualità non può e non deve essere la stessa, che la quantità


di produzione, per unità di superficie sarà sempre enorme, e che<br />

“al momento del conferimento, siccome le schede le compila una<br />

brava persona, che quando arrivano a scaricare i camion con il<br />

mio prodotto fa la cortesia di andarsi a prendere un caffè, passo<br />

sulla bilancia a bilico tutte le volte necessarie per fare il<br />

quantitativo giusto”, e come si può facilmente intuire è la<br />

modalità più conveniente.<br />

Nelle zone che per fantasia variabile si collocano all’inizio<br />

della scala, come <strong>Alessandria</strong>, si fa per dire… il problema, era<br />

della prima specie.<br />

Nell’agro campano, dove ci sono i clan organizzati, dagli<br />

Schiavone ai Nuvoletta, e a tutti gli altri, le cose cambiano e sono<br />

sempre della specie “ a fantasia variabile al massimo dei valori<br />

della scala”.<br />

La differenza è evidente. Con la prima scelta conferisco un<br />

prodotto che siccome viene stoccato nelle celle frigorifere, deve<br />

comunque esistere, nella seconda opzione, siccome non deve<br />

essere conservato, ma viene distrutto, per distruggere un prodotto<br />

agricolo, se al controllo c’è un fedele servitore (mio, non dello<br />

Stato), che controlla, devo solo conservare il quantitativo solo<br />

come dato statistico. Solo sulla carta.<br />

Sembra che questo affare sia stato inventato dai siciliani e<br />

dai calabresi; ma in Campania, nell’agro nocerino-sarnese e in<br />

provincia di Caserta è stato sicuramente raffinato.


C’era un solo problema iniziale: “l’autorizzazione<br />

all’apertura ai centri di raccolta costava amicizie politiche e tanti<br />

soldi, tangenti consegnate in valigia”.<br />

Siccome le somme in movimento erano talmente rilevanti<br />

da fare impressione, si comprende come queste attività criminale<br />

potessero avere garanzia di riuscita solo in presenza di un sistema<br />

criminale ben concepito, organizzato e collaudato. E il sistema<br />

esisteva e veniva utilizzato.<br />

“La Unicoop fu costruita alla fine degli anni Settanta inizi<br />

anni Ottanta ed era diventata la più grande cooperativa<br />

dell’Italia meridionale tanto da avere un fatturato di almeno 100<br />

miliardi l’anno almeno sulla carta. Dico sulla carta perché la<br />

trasformazione del prodotto era in gran parte fittizia, in modo da<br />

ritenere rilevanti contributi dall’AIMA […]. Il provento delle<br />

truffe veniva sostanzialmente suddiviso fra la camorra da una<br />

parte ed i politici, i finanzieri, e gli imprenditori dall’ altra. Il<br />

problema era costituito dal fatto che i politici e i finanzieri<br />

volevano essere pagati anticipatamente.[…] Mi spiegavano che<br />

portavano delle valigie piene di denaro.” *<br />

I prodotti agricoli interessati erano soprattutto quelli orticoli<br />

e frutticoli: pomodori San Marzano, oggi IGP; cavolfiori;<br />

broccoli, zucche, barbabietole.<br />

Soprattutto i pomodori, l’oro rosso, ma anche tante pesche.<br />

Naturalmente le modalità della truffa potevano essere<br />

diverse. C’era chi arrivava con il camion carico di materiale<br />

diverso e lo scaricava ugualmente nelle fosse scavate , già piene.


*Dichiarazione di Pasquale Pirolo del 20 gennaio 1997. Da Rosaria<br />

Capacchione, L’oro della camorra.<br />

Oppure se ne andava via direttamente.<br />

Prodotti come la mozzarella di bufala, rigorosamente DOP,<br />

a volte possono anche non provenire dalle zone più fortemente<br />

vocate alle produzioni di qualità.<br />

Il clan Lubrano e Nuvoletta, che trasferì in Lombardia<br />

bufale di razza Casertana, dalle quali si ricava la pregiata<br />

mozzarella DOP, siccome in Lombardia non esiste la<br />

Denominazione di Origine Protetta, producono un latte che non<br />

può essere marchiato DOP.<br />

Ma il Clan che alleva 12.000 capi in Lombardia, e vi ricava<br />

perciò 6.000 tonnellate all’anno di mozzarella, trova il modo di<br />

commercializzarle unitamente alla produzione campana, per<br />

almeno 20 anni, lucrando sul prezzo, ma frodando il<br />

consumatore.


8.2 Obolo della paranza.<br />

Mercati del pesce e della frutta, un movimento di merci di<br />

enormi proporzioni.<br />

La sopravvivenza di tutta la popolazione, eccezion fatta per la<br />

produzione della campagna destinata all’autoconsumo, dipende dal<br />

funzionamento di questo canale commerciale, e genera il<br />

movimento di un fiume di denaro.<br />

Dove c’è denaro, o comunque un’attività produttiva, grande o<br />

misera che sia, c’è la camorra. Lo svolgimento pacifico delle<br />

attività, crea sicurezza anche anche agli acquirenti, alla clientela, e<br />

contribuisce alla fidelizzazione. La pace e la tranquillità sui luoghi<br />

di mercato, almeno in quelli campani, ha sempre avuto un prezzo, da<br />

pagare alla camorra, e quindi, a cominciare dall’Ottocento fino ai<br />

giorni nostri.<br />

La somma da versare alla paranza che controllava la zona, o al<br />

clan se prliamo dei tempi nostri, era conosciuta come obolo alla<br />

paranza. Chiamiamola come vogliamo, si tratta di una tangente.<br />

Naturalmente cambiando i tempi qualche comportamento, sempre<br />

indirizzato ad avere gli stessi effetti, può anche non seguire la stessa<br />

liturgia.<br />

La storia di questa attività ha conosciuto e conosce episodi di<br />

violenza, come nel 1876, quando a Napoli venne ucciso un<br />

confidente di polizia: Vincenzo Borrelli, ex camorrista del Biorgo


Loreto, il più affidabile confidente del Commissariato di polizia al<br />

Mercato. Per il delitto venne arrestato un operaio, tale Raffaele<br />

Esposito noto come ‘o sapunaro, lo straccivendolo. Una turba<br />

urlante di donne, acclamava l’assassino mentre veniva condotto nel<br />

carcere di Castelcapuano alla Vicaria. Aveva già conosciuto la<br />

galera, per una serie di furti, e correva voce che avesse venduto i<br />

suoi complici alla polizia. Proprio per rifarsi un ‘aureola diversa, si<br />

mise a frequentare assiduamente tutti i camorristi che conosciuto in<br />

carcere, i quali gli affidarono l’incarico di raccogliere le giocate del<br />

lotto clandestino. La regola dell’omertà, sacra per la Bella Società<br />

Riformata, era stata infranta, perché la spiata era un’infamità, e<br />

l’infame doveva morire, non poteva essere perdonato. Tra Esposito e<br />

Borrelli c’era stato un contenzioso per una vincita al lotto non<br />

pagata, e Borrelli aveva fatto ammonire Esposito. Quindi c’era già<br />

uno sgarro. Nel Luglio 1876, nella Taverna delle paludi, durante<br />

una cena di camorristi, venne deciso che Borrelli doveva essere<br />

ucciso. In sei estrassero il nome del dell’incaricato e toccò a<br />

Esposito, che ottenne anche l’autorizzazione del capintrito del<br />

Mercato.<br />

Il teatro del delitto erano i mercati della frutta, dove per la<br />

prima volta una quarantina di commercianti si erano ribellati ai<br />

camorristi che li tenevano sotto estorsione, e li avevano denunciati.<br />

Però si sa come accade in certe occasioni in certi luoghi: il coraggio<br />

è tanto, momentaneamente, e la paura molto di più, sempre. I


coraggiosi denunzianti, messi a confronto con gli accusati,<br />

ritrattarono.<br />

Dopo il delitto, i camorristi festeggiarono la morte di Borrelli<br />

con un pranzo luculliano alla Taverna delle Brecce. Il processo in<br />

Corte d’Assise, cominciò il 10 giugno 1878, Esposito imputato<br />

come esecutore ed altri cinque camorristi come mandanti. La folla<br />

naturalmente parteggiava per i malavitosi. I testimoni del delitto<br />

riferirono di aver dimenticato ogni dettaglio sull’accaduto, come al<br />

solito.<br />

Tra la camorra dei mercati e della frutta si impose Pasquale De<br />

Felice, negoziante prima, poi agli ordini di Salvatore De Crescenzo,<br />

contrabbandiere. Infine, passando attraverso l’estorsione ai<br />

cocchieri, camorrista capintrito.<br />

Definito camorrista incorreggibile dall’ispettore di polizia di<br />

Portici, venne condannato al domicilio coatto, ma tentò di uccidere<br />

un suo compagno di pena e venne condannato ai lavori forzati a vita.


8.3 La tenuta del potere camorristico.<br />

Sulla camorra, la pubblicistica giornalistica ha sempre<br />

proposto degli stereotipi, soggetti ma non consentono una<br />

corretta comprensione della struttura organizzativa, del<br />

radicamento storico e sociale, della capacità di adattamento in<br />

funzione del mercato, della sua funzione di risorsa economica,<br />

per un numero rilevante di persone coinvolte a vario titolo<br />

nell’attività del settore.<br />

L’uomo della strada, informato dai media di ogni ordine e<br />

grado, percepisce la camorra come tutte le altre criminalità<br />

organizzate: corpi estranei alla società che, tuttavia, esercitano la<br />

loro attività criminosa senza avere connessione e contiguità con<br />

la società civile e con la popolazione.<br />

Per la camorra, non è così. La camorra, uniformemente<br />

distesa sul territorio campano, in forma reticolare non omogenea,<br />

è funzionale alla vita di un numero statisticamente rilevante di<br />

persone, ed ai bisogni di una collettività ancora più estesa e<br />

generalizzata.<br />

Così combinato ed attrezzato, il potere camorristico, mostra<br />

una straordinaria tenuta.<br />

Dopo il periodo di massimo splendore della Bella Società<br />

Riformata, con Salvatore De Crescenzo sempre associato per<br />

considerazioni politiche a don Liborio Romano, con la<br />

repressione iniziata dal generale La Marmora e proseguita con<br />

alterne fortune, dobbiamo riconoscere che l’adattamento a<br />

situazioni più o meno gravi e contingenti, come quelle degli anni


del secondo conflitto mondiale e del periodo post-bellico,<br />

abbandonando gradualmente la sacralità del frieno, per approdare<br />

ai giorni nostri a una situazione delegificata, rispetto alla<br />

tradizione, che gli consente una capacità di adattamento<br />

proteiforme non riscontrabile in nessun organismo patogeno<br />

sociale.<br />

Adattarsi alle nuove situazioni e sfruttarle, è un specificità<br />

della camorra.<br />

Domenica 23 novembre 1980, ore 19,35 secondo l’orologio<br />

del teatro San Carlo di Napoli, il terreno comincia a muoversi<br />

come un’onda. In qualche secondo si verifica un enorme disastro.<br />

In Irpinia, 2.000 vittime, 9.000 feriti, 300.000 sfollati. Si mette in<br />

modo, a livello nazionale, un piano di ricostruzione di tutto ciò<br />

che è andato distrutto: strade, ferrovie, edifici, linee telefoniche,<br />

reti di distribuzione del gas e dell’elettricità, ecc. Questa<br />

mobilitazione generale si rivelò un fiasco. Nel 1996, oltre 4.000<br />

persone, non avevano ancora un’abitazione, ed alcune di queste<br />

continueranno ad abitare in containers di acciaio di 12 mq.<br />

frequentemente allagati. Molti sindaci affermano di non aver<br />

ancora ricevuto tutti i fondi destinati alla ricostruzione e<br />

richiedono il denaro che spetta loro. Dei 40 miliardi circa, spesi<br />

da Roma, solo 9,6 miliardi, pari al 24% della cifra totale, sono<br />

stati destinati a questo scopo.<br />

La manna economica piovuta sulla Campania, non è<br />

scomparsa per tutti. Una parte considerevole finisce direttamente


nelle tasche dei politici locali. Alla camorra finisce direttamente<br />

una cifra come 6,4 miliardi. Le famiglie più abili sono riuscite a<br />

creare fortune immense perché si erano preparate per tempo una<br />

vasta rete di collusioni, con un meccanismo talmente sofisticato<br />

da far scomparire legalmente il denaro.<br />

A partire dal terremoto dell’Irpinia, le gang di trafficanti di<br />

sigarette che sono ancora considerate dall’opinione pubblica<br />

come esponenti di un crimine folkloristico, possono finalmente<br />

giocare nel cortile delle persone che contano, cugini siciliani.<br />

Dopo il sisma, l’Italia scopre la camorra. Prima, la<br />

commissione antimafia nel 1962, non aveva nemmeno ritenuto<br />

opportuno indagare sul fenomeno camorristico, considerandolo<br />

non assimilabile alla mafia siciliana. Il fatto è che l’opinione<br />

pubblica ha considerato sempre i camorristi napoletani, operanti<br />

nei bassifondi, dei simpatici banditi alla Dumas, senza alcun<br />

rapporto con i mafiosi siciliani e per avvalorare questa<br />

distinzione bastano pochi dettagli: la camorra avrebbe una<br />

struttura più orizzontale, non esistono più cerimonie particolari<br />

per aderirvi, ecc., ecc. Per questi motivi, la camorra, fino agli<br />

‘90, non verrà considerata davvero come un pericolo nazionale.<br />

Siccome non era pericolosa, in 20 anni, dal 1980 al 1990, in<br />

Campania, vengono commessi 2.000 omicidi imputabili alla<br />

camorra. Una situazione criminale che non ha eguali in Italia, e<br />

non ha nulla da invidiare alla criminalità newyorchese e a quella<br />

colombiana


Gli ingenti fondi pubblici, per la ricostruzione della<br />

Campania, risvegliano le vecchie rivalità che separano le grandi<br />

famiglie camorriste. L’oro dello Stato è allettante tanto quanto<br />

quello della droga. Inizia così una nuova catastrofe sociale e<br />

criminale. La criminalità napoletana è sempre stata caratterizzata<br />

dalla molteplicità delle sue “famiglie” e dalle guerre tra gang. Si<br />

sa, la camorra non è mai stata capace di costruire una struttura di<br />

tipo verticistico sul modello di Cosa Nostra.<br />

Negli anni ‘80, Carmine Alfieri, del clan di Nola, tenta di<br />

combattere questo sistema orizzontale, ma non riesce a<br />

raggiungere il proprio obiettivo, e scatena un’ondata di massacri.<br />

Il pentito di camorra Pasquale Galasso riassume la situazione con<br />

queste parole: “ se decapitate un gruppo camorristico, altri dieci<br />

sorgeranno al suo posto”.<br />

La Commissione Antimafia nel 1993, affermava che, in<br />

Sicilia “la mafia [sia] isolata dalla società; la sua struttura<br />

gerarchica la rende un’organizzazione che si immerge nel tessuto<br />

sociale senza farne parte. La camorra, al contrario, con il<br />

centinaio abbondante di clan […], fa un uso della disperazione<br />

sociale che la rende capace di riprodursi non appena una risorsa<br />

illegale dà a un giovane l’impressione di potersi costruire un<br />

futuro.


9.0. La camorra e la politica<br />

Tanto per stabilire un punto di partenza, possiamo<br />

cominciare da quel 1764, quando lazzari e nobili si allearono: al<br />

popolo la facoltà di vedere pane e farina a sei volte il prezzo<br />

normale, all’aristocrazia l’appoggio per concludere speculazioni<br />

economiche.<br />

Appena dopo, nel 1799, l’accordo alla luce del sole tra il<br />

generale francese Giovanni Championnet da una parte, e<br />

dall’altra Michele Marino e Antonio Avella, capi riconosciuti<br />

dei lazzari, che dopo una strenua battaglia, durata cinque giorni,<br />

contro i francesi, con 2.000 morti tra i napoletani, raggiunsero<br />

un’intesa: per i lazzari, anche con i francesi, poco o nulla sarebbe<br />

cambiato circa le loro usanze e il loro modo di vivere, in cambio<br />

di un loro aiuto a tenere tranquilla la popolazione e favorire i<br />

francesi nella conoscenza della città. E così fu. Michele Marino,<br />

sistemato davanti allo squadrone di cavalleria del generale<br />

Thiebault li guidò attraverso tutta la città tra l’acclamazione<br />

della sua gente.<br />

L’abbraccio più totale e coinvolgente, però, è quello che<br />

realizzarono don Liborio Romano dalla parte governativa e<br />

Salvatore De Crescenzo dalla parte della camorra.<br />

Con De Crescenzo sistemato nelle forze di polizia<br />

unitamente agli atri suoi compagni camorristi, si ha l’esempio più<br />

eclatante di “confusione” tra lo Stato e la criminalità organizzata.<br />

Anche il ravvedimento con il ministro Silvio Spaventa e la lotta


dura, senza quartiere, usando anche lo stato d’assedio, a<br />

cominciare dal generale Alfonso La Marmora, proseguendo con<br />

l’azione del governo centrale dell’Italia unita, con la legge Pica,<br />

il domicilio coatto e la pressione continua per decenni, non<br />

riuscirono a rimediare alla follia del luglio del 1860 ed agli otto<br />

mesi successivi di convivenza profonda.<br />

Nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, diveniva sempre più<br />

esasperante la pressione della camorra, che moltiplicava le<br />

estorsioni sui facchini, sui cocchieri e su altre umili attività, con<br />

il controllo totale delle aste pubbliche, ma s’intravvedeva<br />

chiaramente anche la possibilità per la mafia bassa di intrecciare<br />

convenienti rapporti con uomini politici, per ottenere, in cambio<br />

del voto raccomandazioni o altre opportunità.<br />

La carenza di capintesta dotati di spiccata personalità e<br />

autorevolezza, anche nella camorra ci si doveva accontentare di<br />

quello che passava la piazza.<br />

Erano i tempi di Gaetano Del Giudice, che con il fratello<br />

Francesco si ricavò uno spazio in città, e solo a seguito della lotta<br />

condotta e vinta da Errico Alfano, contro Totonno ‘e Pappavale,<br />

che controllava così quasi tutte le paranze, fu costretto ad<br />

occupare uno spazio secondario.<br />

Del Giudice, vicino agli ambienti dei facchini, si era<br />

avvicinato al deputato giornalista Rocco De Zerbi, da cui in<br />

cambio di appoggi elettorali otteneva raccomandazioni per alcuni<br />

facchini suoi amici. Anche se biglietti e segnalazioni non erano<br />

ancora prove di reato erano tracce di pericolose frequentazioni.


Della voce ricorrente di queste frequentazioni ed il sospetto<br />

di connivenze ne fece le spese Rocco De Zerbi, con il suo collega<br />

di Sciacca Saverio Friscia.<br />

De Zerbi e Friscia, avevano fatto una raccomandazione in<br />

favore una raccomandazione in favore del facchino capo della<br />

Dogana di Napoli, tale Pasquale Cafiero. Il deputato Friscia,<br />

socialista aderente all’internazionale socialista, preoccupato<br />

dell’avvenire della famiglia del suo raccomandato, nel 1880,<br />

scrisse una lettera nella quale affermava che:<br />

“Cafiero non potrebbe essere di pericolo all’ordine e alla<br />

pubblica quiete”.<br />

Oltre alle due lettere di De Zerbi e Friscia, ci fu anche<br />

un’altra segnalazione a favore del camorrista da parte di Luigi<br />

Petriccione, consigliere provinciale. La difesa a favore del<br />

soggetto malavitoso, doveva avere per forza un motivo debitorio<br />

da parte dei tre intervenuti..<br />

De Zerbi, giornalista napoletano già direttore del giornale<br />

“Il Piccolo”, da lui fondato il 2 luglio 1868, fortemente<br />

impegnato in denunce sociali, scrisse un libro La miseria di<br />

Napoli, in cui descriveva il totale disimpegno sociale della<br />

maggioranza degli abitanti napoletani. Aveva poi la costante<br />

abitudine di indagare la realtà di tutti gli strati sociali della città.<br />

Erano pittoresche le sue descrizioni della società napoletana che<br />

divideva in 7.000 scimmie mondane e 3.000 uomini attivi<br />

contrapposti a 45.000 animali analfabeti, che non leggevano né<br />

giornali, né libri a digiuno di politica, estranei a qualsiasi forma


di partecipazione sociale e di conoscenza collettiva.<br />

Ciononostante, il giornalista per essere eletto fu costretto a<br />

chiedere voti a chi controllava, con la violenza, pacchetti di voti,<br />

con l’impegno di sdebitarsi tramite le raccomandazioni. Alle<br />

accuse il giornalista rispose: “ non conoscono noi e noi non<br />

conosciamo loro” citando anche la metafora dell’ostrica scoglio<br />

per descrivere la compenetrazione tra malavita e città; una sorta<br />

di interdipendenza per la sopravvivenza.<br />

La Camera autorizzò la richiesta di autorizzazione a<br />

procedere, ma De Zerbi, cinquantenne, il 20 febbraio 1893, morì<br />

in circostanze misteriose.<br />

Le ipotesi furono tante. Si disse che s’era avvelenato o che<br />

l’avessero avvelenato perché conosceva troppo a fondo lo<br />

scandalo del doppio conio di moneta della Banca Romana, che<br />

aveva arricchito politici e speculatori, rischiando di coinvolgere<br />

anche casa Savoia. La crescita elefantiaca dei dipendenti<br />

dell’amministrazione partenopea, era stata spesso criticata, e<br />

stigmatizzata per l’influenza che riuscivano ad esercitare certi<br />

soggetti che lui amava definire camorristi in guanti gialli, che in<br />

quegli anni venivano indicati anche come alta camorra.<br />

La città di Napoli, già sede di Ministeri e burocrati, ormai<br />

era in una fase di cambiamento totale di identità. Si esasperava la<br />

lotta politica, per il controllo del comune o per un posto in<br />

Parlamento, con battaglie condotte con ogni mezzo lecito o<br />

illecito, con la camorra a fare da strumento aggiunto in una<br />

competizione priva di freni morali.


In questo mondo di persone sofferenti e disperate per le<br />

condizioni economiche precarie, arrivò il colera, la febbre<br />

napoletana. 15.000 morti. Con questa tragedia, il resto del Paese<br />

si avvide della situazione disperata. Napoli andava sventrata e<br />

rifatta, cambiando l’aspetto urbanistico della parte più degradata.<br />

Il prefetto Antonio Mordini in un suo rapporto del 1874,<br />

fece trasparire per la prima volta l’influenza della camorra sulle<br />

elezioni politiche, riferendo che un camorrista del Mercato, aveva<br />

rapporti con Giovanni Nicotera, futuro Ministro degli Interni.<br />

Con l’allargamento del suffragio, il dio voto si affermava. Anche<br />

se l’allargamento interessava uomini e persone di alto censo e<br />

con buoni requisiti culturali, provocava un aumento delle<br />

possibilità di pressione che i camorristi potevano esercitare in<br />

appoggio a qualche candidato. Così all’estorsione, dopo appena<br />

una decina d’anni dall’unità d’Italia, si aggiungeva un altro<br />

monopolio nelle mani della Bella Società Riformata, che però<br />

continuava a non possedere un colore politico preciso.<br />

Strumentali e temporanei, gli appoggi ai candidati, erano<br />

concessi in cambio di benefici immediati, oppure a breve<br />

termine. Così per un’ammonizione poteva servire l’intervento sul<br />

magistrato. I Primi due episodi di pressioni elettorali esercitate<br />

dai camorristi, si ebbero già nel 1865. Proprio in questo periodo<br />

in cui si codificava la relazione candidati politici-camorristi,<br />

nasceva il mito di un altro capo dei capi, il vero successore di<br />

Salvatore De Crescenzo, Ciccio Cappuccio, succeduto ad un<br />

insignificante dominio di Pasquale Caiazzo, e che avrebbe


monopolizzato la scena camorristica e quindi anche quella della<br />

società napoletana.<br />

Il rapporto tra potere politico e malavita organizzata, come<br />

andiamo constatando non era un fatto episodico, o attribuibile ad<br />

un solo funzionario dello Stato. La spiegazione è possibile<br />

rintracciarla nel salto di qualità compiuto dalla malavita<br />

organizzata, divenuta ormai un soggetto organizzato e strutturato,<br />

un potere in grado di orientare e influenzare le persone, di avere<br />

rapporti sociali forti e ampi che potevano tornare utili al<br />

momento del bisogno. C’erano diversità tra regioni e regioni,<br />

come tra la Campania e la Sicilia, ma il comportamento delle<br />

autorità fu pressoché uniforme e commisurato alla forza e<br />

all’ascendente della malavita organizzata che agiva sul territorio.<br />

sociale.<br />

A Napoli, lo si vide nel 1893, durante un acuto momento<br />

La città era paralizzata da agitazioni simili ad altre città<br />

italiane, in seguito agli eccidi di operai italiani in Francia,<br />

accusati di essersi prestati a lavorare per salari da fame,<br />

determinando una concorrenza sleale nei confronti dei lavoratori<br />

francesi. A Napoli, la protesta fu particolarmente estesa, anche<br />

perché ai motivi generali si aggiunse anche un malessere locale.<br />

A guidare la massa dei dimostranti c’erano i cocchieri,<br />

categoria controllata dalla camorra, i quali avevano motivi<br />

specifici ed urgenti per essere esasperati: i tram da poco<br />

funzionanti in città, rischiavano di farli sparire, preoccupazione,<br />

questa, di certo non infondata. Erano già arrivati in città 5.000


soldati in assetto di guerra, pronti a reprimere con la forza ogni<br />

manifestazione non autorizzata. La situazione rischiava di<br />

precipitare da un momento all’altro. Non precipitò perché<br />

intervenne un patto tra il prefetto, il questore e la camorra. Il<br />

prefetto fece ritirare le truppe e in una città deserta dove non<br />

c’era neanche una vettura o un cavallo, ecco apparire il mitico<br />

capo della camorra napoletana Ciccio Cappuccio a cassetta di<br />

una carrozzella nuova.<br />

Da solo e al trotto attraversò la città, e tutti a quel punto<br />

compresero, senza bisogno di ulteriori spiegazioni che lo<br />

sciopero era terminato e la situazione stava per tornare alla<br />

normalità. Due acuti osservatori stranieri che avevano assistito<br />

agli avvenimenti, Bolton King e Thomas Okey, colsero il<br />

messaggio della solitaria traversata della città di Ciccio<br />

Cappuccio in carrozzella:<br />

“la polizia volentieri ricorre alla sua autorità quando si<br />

sente impotente”.<br />

Giudizio crudo, ma vero. Era un rapporto tra due poteri che<br />

si fronteggiavano sul territorio. E quello della camorra godeva di<br />

un consenso radicato, che non era solo il frutto dell’imposizione<br />

e della violenza. E infatti, Ciccio Cappuccio era uno dei capi<br />

della camorra più rispettato e più amato, come dimostravano<br />

episodi minuti, ma significativi.<br />

9.1 Gli eletti di Montecalvario.


Il successore di Ciccio Cappuccio, Enrico Alfano, detto<br />

Erricone, basso e magrolino, a 33 anni era il camorrista più<br />

potente della città.<br />

Introdusse nella Bella Società Riformata, la figura del<br />

camorrista proprietario; non significava che possedesse<br />

immobili o altri beni, ma che aveva accumulato indiscussa<br />

esperienza e prestigio criminale. Proprio grazie alla sua grande<br />

esperienza criminale, alla morte di Cappuccio, aveva posto il<br />

problema della successione, ed aveva avuto vita facile a farsi<br />

eleggere capintrito.<br />

Siccome non era bene accetto da tutti, quando si presentò<br />

l’occasione: la restituzione di una borsetta rubata a una<br />

canzonettista del teatro Salone Margherita, presero a pretesto<br />

l’episodio per farlo decadere da capintesta. Riuscì a far eleggere<br />

una persona a lui legata da affari, Luigi Fucci. In realtà il vero<br />

capo era lui, perché il Fucci esercitava l’incarico per conto di<br />

Erricone. Tutti lo sapevano, ma tutti facevano finta di ignorarlo.<br />

Aveva rilevato la bottega di Ciccio Cappuccio, ma gli introiti più<br />

consistenti li realizzava con la compravendita degli scarti di<br />

cavalleria in provincia di Caserta e Napoli. Tutti guadagni che si<br />

moltiplicavano con la sua principale attività, il prestito a usura.<br />

Riuscì a cambiare alcune regole del frieno, introducendo il<br />

camorrista proprietario, i camorristi scelti da nominare in diverse<br />

zone della città, naturalmente tutti suoi fedelissimi. Introdusse<br />

anche il camorrista d’ordine che veniva sistemato in zone<br />

malfamate per evitare che scoppiassero le liti, onde evitare


l’arrivo della polizia. E poi, la modifica delle regole per il<br />

camorrista di giornata, che fino ad allora aveva avuto sempre<br />

l’incarico della responsabilità per un giorno, in una determinata<br />

zona.<br />

Enrico Alfano era al massimo della sua potenza quando si<br />

tennero le elezioni del 1904, quelle che portarono alla sconfitta<br />

dei socialisti dopo la relazione Saredo.<br />

Ettore Ciccotti, qualche anno dopo, poteva affermare.<br />

“Sopra un basso brulicame, veniva sorgendo un’altra<br />

camorra, più industre e più dotta, che mirava a monopolizzare un<br />

po’ d’industrie esistente a Napoli, e quelle che eventualmente<br />

potessero sorgere, particolarmente col favore della legge<br />

speciale per Napoli. Questa nuova camorra evitava,<br />

possibilmente, di avvilirsi e di compromettersi”.<br />

Enrico Alfano, disponeva nelle diverse zone della città<br />

decine di comparielli tra i quali c’era persino un prete, don Ciro<br />

Vitozzi, cappellano del cimitero di Poggioreale, che oltre a dire<br />

messa, non aveva particolari freni inibitori a dare assoluzioni a<br />

chiunque lo chiedesse.<br />

Tra le frequentazioni di Alfano c’era anche il professor<br />

Giovanni Rapi, che si impegnò nelle elezioni anticipate del<br />

1904, sostenendo in ogni modo il conte Enzo Ravaschieri Foschi,<br />

candidato liberale che si opponeva al socialista uscente Ettore<br />

Ciccotti nel collegio della Vicaria. Naturalmente il professor Rapi<br />

fece valere le sue amicizie con i camorristi, che attivarono


comparielli, camorristi di giornata, camorristi scelti e gli fecero<br />

battere tutto il collegio, convincendo la gente, a loro modo, a dare<br />

il voto a Ravaschieri. Rapi aprì anche alcuni circoli per agevolare<br />

la propaganda in favore del suo candidato. Anche a tanti<br />

camorristi che erano al domicilio coatto, furono concesse licenze<br />

e la Prefettura, guidata da Emilio Caracciolo di Sarno, prese<br />

impegni per revocare alcune misure di prevenzione, perché<br />

secondo Livio Guidotti, che ha ricostruito quelle elezioni mezzo<br />

secolo dopo, a giustificare l’atteggiamento governativo:<br />

“Le autorità politiche e di Pubblica sicurezza avevano<br />

dovuto ricorrere, durante la campagna elettorale, ad elementi<br />

“aggregati” per porre un freno alla propaganda socialista, che<br />

ricorreva a mezzi intimidatori. Intere colonne di operai si<br />

lanciarono, gridando, per le vie del rione, il giorno delle<br />

elezioni, , costringendo gli elettori ritenuti avversari a rinserrarsi<br />

nelle case, accusandoli di corruzione, minacciandoli, facendoli<br />

arrestare. Quella gazzarra fu battezzata l’incantata. Qualcuno la<br />

definì i saturnali della canaglia.<br />

Così alla fine prevalse Ravaschieri. Per lui erano scesi in<br />

campo usando della loro influenza sulle classi popolari, Enrico<br />

Alfano, il professor Giovanni Rapi e don Ciro Vitozzi.<br />

Ettore Ciccotti, Giacomo De Martino e Roberto Gargiulo,<br />

non vennero rieletti. Vincitori e vinti. Tra i primi, per il personale<br />

impegno contro i socialisti, c’era anche Edoardo Scarfoglio.


Riprese con determinazione la lotta del giornale “La<br />

Propaganda”, cui si aggiunse quella del periodico “ La Scintilla”<br />

di Roberto Marvasi.<br />

Questi, che seguì tutte le fasi del processo Cuocolo, scrisse:<br />

“ Dirigeva la questura il comm. Ballanti, uomo imbelle e<br />

compromesso, per aver consegnato la città nelle mani dei<br />

camorristi da lui scritturati nei tempi elettorali, allo scopo di<br />

impedire che il collegio di Vicaria avesse riconfermato nella<br />

carica il deputato professor Ciccotti.<br />

Appunto il contratto criminoso si era qui perfezionato alla<br />

luce del sole, per volontà del governo e la protezione di un<br />

prefetto senza scrupoli, il senatore Caracciolo: costui esegui<br />

l’ordine ministeriale che Tommaso Tittoni, allora ministro degli<br />

esteri, ottenne fosse dato per un suo proposito di rappresaglia.<br />

Molti camorristi furono autorizzati a non uniformarsi agli<br />

obblighi loro imposti dalla “sorveglianza speciale”, cui erano<br />

soggetti; altri ebbero porti d’arma e licenze commerciali: altri<br />

infine furono tolti dal carcere con la libera condizionale, e<br />

magari qualche grazia”.<br />

Giacomo Ferri, allora magistrato accusò il prefetto Emilio<br />

Caracciolo di Sarno, di “aver irreggimentato la camorra” per<br />

sconfiggere Ciccotti.<br />

A Napoli, nella reggia di Capodimonte, viveva il principe<br />

Emanuele Filiberto, Duca D’Aosta, cugino del re, preoccupato<br />

come tanti altri, chiedeva al Quirinale l’adozione del pugno di


ferro per stroncare la delinquenza che rendeva poco vivibile<br />

un’intera area urbana. Il re fece pressione sui carabinieri, per<br />

attivare una stretta sulla delinquenza comune e sulla camorra.<br />

Appena si presentò l’occasione, fornita da un duplice<br />

delitto: l’uccisione di Maria Cutinelli e Gennaro Cuocolo,<br />

presero lo spunto per un’azione di ampio respiro.<br />

Il ritrovamento dei cadaveri dei coniugi Cuocolo, quello<br />

della donna in casa, quello del marito, a Cupa Calastro, nei pressi<br />

di Torre del Greco, con un coltello in mano per simulare un<br />

omicidio suicidio, ma il particolare che la giacca era stata tagliata<br />

ed il portafoglio non c’era più, chiarì che erano stati assassinati<br />

da altri.<br />

Gennaro Cuocolo, dai modi eleganti, faceva il basista, cioè<br />

il complice dei ladri di appartamenti, che introducendosi in quelli<br />

in vendita dava le giuste indicazioni a chi faceva il furto.<br />

Maria Cutinelli, la moglie, era una ex prostituta.<br />

Durante indagini che inizialmente vennero subito avviate<br />

dalla polizia, si appurò che tutti i ladri del quartiere di<br />

Montecalvario i quali avevano a che fare con Cuocolo, non lo<br />

sopportavano più ed avevano sparsa la voce che fosse diventato<br />

confidente della polizia. Dalla testimonianza di due spazzini i<br />

quali avevano notato che quattro uomini con un biroccino tirato<br />

da due cavalli erano stati visti nelle vicinanze della trattoria Mimì<br />

a mare, di proprietà di Domenico Villani. La polizia cercò i<br />

colpevoli tra i clienti abituali e scoprì che Enrico Alfano ed il<br />

fratello Ciro, il professore Giovanni Rapi, Gennaro Ibello,


commerciante di vini di Afragola ed il cocchiere Giovanni<br />

Iacovitti, frequentavano assiduamente il locale. Accertato che si<br />

trovavano nel ristorante, proprio nel periodo di tempo in cui era<br />

stato commesso l’omicidio, a poca distanza dal locale, vennero<br />

condotti in carcere, accusati di duplice omicidio.<br />

Tra i comparielli di Enrico Alfano, c’era don Ciro Vitozzi, il<br />

prete dall’assoluzione facile.<br />

Dopo quattro giorni si presentò a casa del giudice istruttore<br />

capo Erennio Ciccaglione, e gli annunciò di conoscere i nomi dei<br />

veri assassini dei coniugi Cuocolo.<br />

Enrico Alfano e compagni furono scarcerati. I colpevoli<br />

vennero individuati in Tommaso De Angelis e Gaetano Amodeo.<br />

Il capitano dei carabinieri Carlo Fabroni, comandante della<br />

compagnia esterna dei carabinieri nella sede dell’ex convento di<br />

Montecalvario, non era dello stesso avviso, e chiese di incontrare<br />

il questore Cesare Ballanti. Fu uno scontro, perché Fabroni<br />

annunciò che intendeva riprendere le indagini su Enrico Alfano e<br />

sulla pista camorra, accusando il questore di aver influenzato i<br />

giudici nella decisione che aveva portato alle scarcerazioni.<br />

Ballanti rispose di non aver influenzato nessuno e che<br />

Alfano e i suoi amici non c’entravano in quella storia e c’erano<br />

prove sufficienti.<br />

Il colloquio teso e duro, portò alla rottura quando il capitano<br />

Fabroni estrasse dalla tasca un foglio, sul quale erano riportati<br />

nomi di politici che avevano preso voti dai camorristi.<br />

Si arrivò alla rottura, definitiva. Da quel momento Fabroni,


vedendo nel duplice delitto una grande occasione per passare alla<br />

storia come paladino dell’anti-camorra, spinse i suoi a tentare<br />

nell’ambiente della piccola delinquenza di trovare spunti per dare<br />

consistenza alle prove, che non c’erano.<br />

Era chiaro che dietro il contrasto tra Fabroni e Ballanti,<br />

c’erano due schieramenti che facevano da sfondo all’inchiesta: il<br />

re, con la sua richiesta di un’azione di forza contro la camorra,<br />

ma c’erano anche pressioni nascoste di uomini politici a<br />

protezione di qualche malavitoso.<br />

In questi termini, l’indagine doveva servire solo a trovare<br />

prove contro i camorristi e portarne a giudizio un numero<br />

consistente.<br />

Fu creata una squadra di sette carabinieri che in borghese si<br />

misero a frequentare tutti i locali, anche le bettole del più infimo<br />

ordine, infiltrandosi tra ladri e sfruttatori per contattare<br />

delinquenti e trovare confidenti. Riuscirono ad avere indicazioni<br />

su un ricettatore della zona, Gennaro De Marinis, e su una<br />

comitiva di ladri della zona di San Giovanni a Teduccio, e nella<br />

notte tra il 2 e il 3 febbraio del 1907, li arrestarono. Erano una<br />

ventina, ma quello che si rivelò più utile fu Gennaro De Marinis.<br />

Il maresciallo Capezzuti scoprì che aveva alla sue<br />

dipendenze un cocchiere, tale Gennaro Abbatemaggio, che in<br />

quel momento era in carcere per un furto.<br />

Abbatemaggio, basso, tarchiato, sfregiato in viso, con un<br />

tatuaggio sul braccio sinistro; così conciato poteva sembrare un<br />

camorrista; in realtà lo sfregio glielo aveva inferto un camorrista


per convincerlo ad interrompere la corte a una ragazza.<br />

Il maresciallo Capezzuti era convinto che Abbatemaggio<br />

fosse l’uomo giusto e gli promise che l’avrebbe fatto scarcerare<br />

in cambio di informazioni. Per cominciare lo fece subito<br />

trasferire in un carcere più vicino a casa.<br />

Abbatemaggio chiese in cambio del denaro, ma i carabinieri<br />

non avevano molta disponibilità, e allora pensò di ricattare<br />

Enrico Alfano, facendogli sapere che se gli avesse dato 2.000<br />

lire, non l’avrebbe denunciato. Alfano rispose picche e<br />

Abbatemaggio decise di affidarsi anima e corpo ai carabinieri. Il<br />

23 dicembre 1906, con uno sconto di pena, tornò a casa.<br />

Abbatemaggio rivelò che in un pranzo nella trattoria Coppola di<br />

Bagnoli, si erano riuniti 45 commensali, con la presenza di Ciro<br />

Alfano, il fratello di Enrico, il capo camorra, e fece intendere che<br />

in quell’occasione fosse stata presa la decisione di uccidere i<br />

coniugi Cuocolo, perché questi aveva fatto uno sgarro alla<br />

camorra, e perché era una spia. Aggiunse anche che il banchetto<br />

da Mimì a mare, in contemporanea all’omicidio di Gennaro<br />

Cuocolo, serviva ad attende la notizia dell’esecuzione avvenuta.<br />

Con queste rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio, detto<br />

cucchieriello, i carabinieri operarono altri e più rilevanti arresti,<br />

avallati dalla Camera di Consiglio dei Giudici. Dell’esecuzione<br />

materiale dell’omicidio di Gennaro Cuocolo venivano accusati<br />

Antonio Cerrato e Gaetano Esposito, mentre Corrado Sortino<br />

fu accusato di aver trucidato Maria Cutinelli.<br />

Dalla sera del 31 gennaio all’alba del 2 febbraio 1907, i


carabinieri fecero una retata che portò in carcere più di cento<br />

malavitosi. Il capitano Fabroni ebbe una delega totale dai<br />

magistrati. Le cronache riferirono di assemblee di camorra, di<br />

potenti capisocietà, ma della complicità della cosiddetta alta<br />

camorra, si sussurrava solo in silenzio. In effetti l’inchiesta<br />

toccherà solo ladri, picciotti, camorristi di giornata, cioè la<br />

manovalanza della Bella Società Riformata.<br />

Intanto, Enrico Alfano, fiutando guai, si dichiarò di essere<br />

disposto ad essere ascoltato dai giudici se gli fosse stato<br />

permesso di restare a casa per le sue precarie condizioni di salute.<br />

Ottenuto un netto rifiuto, si rese uccel di bosco. Fuggì negli Stati<br />

Uniti e, a Nuova York, si fece ospitare da un’associazione<br />

napoletana di camorristi. A casa di uno di questi venne arrestato,<br />

dopo una serie di pedinamenti, da Joe Petrosino.<br />

Parallelamente all’indagine principale, i carabinieri ne<br />

aprirono altre parallele, su episodi su cui sospettavano ci fosse lo<br />

zampino della camorra: 14 furti, 4 estorsioni e la costituzione di<br />

un’associazione a delinquere a Castellammare. In cella, arrestato<br />

poco dopo il matrimonio, morì, per un infarto, Ciro Alfano,<br />

fratello di Enrico. A seguito di riscontri con le rivelazioni di<br />

Abbatemaggio, vennero arrestati anche altri tra cui Giuseppe di<br />

Salvo, tra le cui lenzuola venne ritrovato l’anello di Maria<br />

Cutinelli, e Luigi Di Maio, ricettatore, che aveva acquistato i<br />

gioielli sottratti in casa Cuocolo. Nella caserma di Monteoliveto,<br />

per convenienza, pur di non essere coinvolto nell’inchiesta,<br />

confermò le dichiarazioni del cocchiere.


L’inchiesta sul duplice omicidio andò avanti e Fabroni<br />

ottenne il trasferimento del sostituto procuratore Nicola Garzia,<br />

troppo legato al rispetto della norme e delle procedure, ed al suo<br />

posto arrivò Alfredo De Tilla, fratello di Domenico De Tilla,<br />

giolittiano, deputato dei collegi Vomero e Arenella.<br />

Mentre i carabinieri andavano avanti nelle loro indagini, con<br />

il consenso della maggior parte della stampa, i deputati socialisti<br />

approfittarono del momento opportuno per denunciare “il<br />

carattere clientelare ed illegale dell’attività politica nelle province<br />

meridionali”.<br />

9.2 La denuncia di Giacomo De Martino.<br />

Sette anni prima era toccato al deputato Giacomo De<br />

Martino, ora, nel giugno del 1907, Giacomo Ferri, eletto deputato<br />

nel 1904, per la prima volta, nel collegio di San Giovanni in<br />

Persiceto, presentò un’interpellanza che riprendeva in parte<br />

quella presentata l’anno prima dal deputato napoletano Alfredo<br />

Capece Minutolo di Bugnano, che aveva chiesto informazioni<br />

sulle elezioni del 1904 e sulle presunte pressioni della camorra<br />

sul voto. Era chiaro che in quel clima, l’indagine doveva<br />

procedere rapidamente, infatti il 3 ottobre 1907, il sostituto<br />

Procuratore del re Alfredo De Tilla, presentò la sua requisitoria in<br />

Camera di consiglio, per inviare gli atti alla procura generale,<br />

dove c’era Enrico Mazzola.<br />

E arriviamo ai giorni nostri, con l’aiuto dei collaboratori di<br />

giustizia, la magistratura scopre una parte della coltre che copriva


le collusioni tra politica e camorra.<br />

Negli ultimi anni dell’Ottocento Napoli, con continui<br />

avvicendamenti ai vertici comunali, ed i cantieri aperti per il<br />

risanamento fu teatro di ripetute proteste sociali. Il primo<br />

episodio avvenne nel 1893. Presero a pretesto gli incidenti di<br />

Aigues Mortes, contro 400 lavoratori italiani, per manifestare per<br />

le strade di Napoli contro il prezzo del pane.<br />

Ci furono scontri con i carabinieri e corse voce che dietro gli<br />

incidenti ci fosse la mano del prefetto, sollecitato da Giovanni<br />

Giolitti interessato ad alzare la protesta contro la Francia, che<br />

avrebbe utilizzato la camorra per raggiungere il suo scopo. In<br />

effetti tra la folla c’erano camorristi che aizzavano i dimostranti<br />

contro i carabinieri. La protesta culminò con l’incendio di un<br />

tram. Per impedire l’incendio di un altro tram, i carabinieri<br />

accidentalmente colpirono un ragazzo tredicenne che morì.<br />

Cinque anni più tardi, nel 1898, il bis, con altri morti.<br />

Motivo della protesta il prezzo del pane, aumentato per la crisi<br />

del grano.<br />

Nonostante il calmiere imposto dalla Prefettura i prezzi<br />

erano aumentati.<br />

I Primi incidenti si ebbero in seguito al discorso<br />

all’Università del deputato socialista Arturo Labriola,<br />

cominciarono il 30 aprile.<br />

Nel quartiere popolare del Lavinaio, Il 9 maggio, la folla<br />

attaccò i reparti militari, ci fu un morto e molti feriti. Da Roma<br />

arrivò una stretta repressiva imposta dal Governo presieduto da


Antonio Starabba Rudinì: venne proclamato lo stato d’assedio<br />

esteso anche a Milano e Firenze. Ciò voleva dire sequestro dei<br />

giornali dissenzienti e giudizi affidati ai tribunali militari per i<br />

promotori dei disordini.<br />

Anche Labriola si rese conto che fra i dimostranti si era<br />

insinuata la violenta vecchia plebe definita razza a parte, fossile<br />

cristallizzato nei secoli. Contro i socialisti si scatenò una<br />

repressione che portò all’emissione del provvedimento di arresto<br />

per i socialisti Casilli, Brambilla, Leone, Mocchi, Alfani e<br />

Labriola. Tranne Labriola e Leone che riuscirono a fuggire, gli<br />

altri finirono in galera.<br />

Per il governo lo spauracchio era divenuto il socialismo,<br />

analogamente a quando nel periodo borbonico si tenevano<br />

d’occhio più i liberali che i delinquenti.<br />

Intanto tra i funzionari di polizia cominciava a prendere<br />

corpo l’idea che la camorra stesse uscendo anche dal suo<br />

substrato naturale e dalla caratterizzazione folkloristica delle sue<br />

espressioni, e che approfittando delle mutate condizioni<br />

“ambientali”, avesse cominciato a lavorare senza la costituzione<br />

di gruppi stabili, ma con i guanti bianchi.<br />

D’altronde, ladri e truffatori, una volta esclusi<br />

dall’organizzazione camorristica, ora venivano accettati e riveriti.<br />

Il funzionario di polizia Eugenio De Cosa, in un suo<br />

rapporto riferiva:<br />

“I camorristi d’oggi non sono affiliati tra loro, e salvo


qualche gruppo stabile che opera di concerto, e forse sotto a un<br />

capo invisibile ed agli occhi del pubblico incognito, i camorristi<br />

in guanti bianchi compiono le loro gesta separatamente […]il<br />

camorrista moderno conosce anticipatamente a chi verrà<br />

aggiudicato l’appalto di questa o di quella amministrazione,<br />

regola la vendita all’asta pubblica, ne svia le maggiori offerte,<br />

concerta e mena a termine questue e feste di beneficienza da cui<br />

trae lauta sua spettanza […] dispone della servitù di tutto il<br />

quartiere, ed in caso di elezioni, per logica conseguenza , di 100<br />

o 200 voti, a seconda la sua importanza e a seconda degli anni<br />

della sua carriera. Il camorrista moderno conosce ed è<br />

conosciuto da tutte le Autorità locali, qualche volta è nominato<br />

notabile municipale del quartiere”.<br />

A grattare sotto la crosta superficiale che copriva la realtà di<br />

cui era ben conscio il funzionario De Cosa, ci pensò il periodico<br />

fondato dai socialisti il primo maggio del 1899, “ La<br />

Propaganda” insistendo sulle presunte commistioni sociali dei<br />

blocchi di potere dominanti, sui patti inconfessati in città tra<br />

lobbies e malavita. Riprendendo le interpellanze del deputato<br />

socialista Giacomo De Martino ed i suoi attacchi al sindaco<br />

Celestino Summonte, i redattori del periodico attivarono una<br />

violenta campagna di stampa. Bersaglio degli attacchi fu anche il<br />

quotidiano “Il Mattino”, che superava le diecimila copie vendute<br />

in tutt’Italia, ma letto soprattutto a Roma.<br />

“La Propaganda” divenuto quotidiano, aveva individuato


un altro obiettivo da attaccare nel deputato liberale Alberto<br />

Casale, avversario dei socialisti nel collegio popolare della<br />

Vicaria, accusandolo di essere un intrallazzatore. Nel giornale,<br />

intanto, era stata creata una rubrica dal titolo “contro la<br />

camorra”.<br />

Il socialista Mocchi, quello che era stato arrestato dai<br />

giudici militari il 13 maggio 1898, scriveva:<br />

“I napoletani abituati dal regime assoluto a considerare la<br />

burocrazia non come serva del pubblico, ma come padrona, a<br />

considerare la ricerca di una fede di nascita, di un certificato di<br />

buona condotta, di un’esenzione, non come un servizio cui si ha<br />

diritto per la qualità di cittadino, ma come un favore che bisogna<br />

impetrare e mercanteggiare, a considerare ogni imposta, ogni<br />

contributo personale[…] non come un dovere imprescindibile,<br />

ma come una corvée di cui ci si può liberare, ungendo un po’ le<br />

ruote del macchinismo burocratico, i napoletani , dunque, non<br />

hanno potuto abbandonare la concezione propria dei governi<br />

autocratici, che il deus ex machina del congegno pubblico sia<br />

l’intermediario, ed il motore la corruzione. Per essi, così tutto il<br />

sistema rappresentativo si riduce alla fabbricazione elettorale di<br />

intermediari che spicciano faccende private presso i pubblici<br />

uffici”.<br />

Questi concetti, rappresentativi di un sistema in atto,<br />

vennero giustamente ripresi nella famosa relazione Saredo, uno<br />

dei cinque commissari incaricati dal Parlamento di chiarire se


ealmente a Napoli vi fossero quegli intrecci affaristici e<br />

malavitosi denunciati da “La Propaganda”.<br />

Le conclusioni degli articoli, sempre pesanti:<br />

“Camorra nel Municipio e camorra nella Provincia e<br />

camorra nelle opere pie. Denaro pubblico destinato a sollazzi<br />

privati fortune improvvise nelle mani di pezzenti dell’ieri,<br />

impunità ai ladri, ai pregiudicati, ai lenoni purché fedeli elettori<br />

di Tizio o di Caio. E più in alto alcuni deputati”.<br />

Il primo effetto immediato fu l’elezione di Ettore Ciccotti in<br />

Parlamento, nell’ottavo collegio della Vicaria di Napoli. Con 800<br />

voti entrò in ballottaggio con il deputato uscente Eduardo<br />

Magliano, ma al ballottaggio la spuntò Ciccotti. Siccome il<br />

risultato, anche in vista del processo per diffamazione frutto delle<br />

querele del deputato Casale al giornale socialista, Scarfoglio, del<br />

giornale “ Il Mattino”, insinuò, capovolgendo le accuse de “La<br />

Propaganda” che quelle votazioni fossero state falsate<br />

dall’intervento della camorra. Il processo, svoltosi alla sesta<br />

sezione del tribunale di Castelcapuano, iniziò il 22 ottobre del<br />

1900. I collegi difensivi dimostrarono che quel dibattimento era<br />

divenuto anche una contrapposizione politica. Labriola citò il<br />

rapporto già apparso sul periodico del senatore Senise, già<br />

prefetto di Napoli durante il primo governo Giolitti, che<br />

conteneva denunce di illeciti commessi da Casale. Il Pm tenne<br />

una breve requisitoria, chiedendo l’assoluzione degli imputati,<br />

per aver raggiunto la prova della verità, con conseguente<br />

condanna della parte civile ai danni ed alle spese di giudizio.


Dopo poco tempo dalla sentenza e un anno dopo le accuse<br />

di Giacomo De Martino, e la sua richiesta d’istituire un’indagine<br />

su Napoli, maturò il clima per nominare una commissione<br />

d’inchiesta sulla capitale partenopea. Dal 1860, erano stati spediti<br />

nove commissari regi per gestire il Comune di Napoli.<br />

9.3 Indagine di cinque commissari governativi sugli<br />

intrecci affaristici e malavitosi. Il doppio gioco del<br />

Governo.<br />

L’8 ottobre 1900, un mese prima dell’attentato mortale a<br />

Umberto I, il presidente del consiglio Giuseppe Saracco, firmò il<br />

decreto di istituzione della commissione, con il compito di<br />

dissipare sospetti e accuse.<br />

I commissari avevano poteri ampi, potevano interrogare e<br />

richiedere documenti. Era previsto che l’inchiesta terminasse<br />

entro il mese di maggio del 1901, ma intervenne una proroga fino<br />

ad ottobre. A presiedere la Commissione fu incaricato Giuseppe<br />

Saredo, che aveva già svolto le funzioni di commissario del re a<br />

Napoli, nove anni prima.<br />

L’indagine interessava Napoli ed altri due comuni. La città<br />

era posta sotto osservazione.<br />

accuse:<br />

L’onorevole De Martino, interrogato, confermò le sue<br />

“Quando io portai la questione in Parlamento, imperava a<br />

Napoli la triade Summonte – Casale – Scarfoglio, la cui<br />

responsabilità non si può scindere. Io ritengo che essi abbiano


etto, o si siano altrimenti intromessi elle cose pubbliche di<br />

Napoli con scopi personali e fini illeciti”.<br />

Subito dopo Natale del 1900, si insediarono i commissari<br />

nominati dal Parlamento, con l’incarico di appurare se Napoli<br />

fosse sede di quegli intrecci affaristici e malavitosi denunciati dal<br />

giornale “La Propaganda” e dal deputato Giacomo De Martino.<br />

I commissari erano cinque:<br />

- Giuseppe Saredo, senatore e Presidente del Consiglio di<br />

Stato;<br />

- Adolfo Leris, procuratore generale alla Corte dei Conti;<br />

- Antonio Rossi, direttore generale delle Imposte dirette;<br />

- Filippo Muscianini, prefetto;<br />

- Achille Sinigaglia, consigliere delegato di prefettura.<br />

Acquisirono e studiarono documenti come gli atti comunali,<br />

e quelli del risanamento, sentirono testi, e lessero tanti giornali e<br />

soprattutto quello che aveva lanciato le accuse più pesanti e<br />

ripetute, “La Propaganda”.<br />

I commissari furono accolti tra sospetti e diffidenze.<br />

Qualcuno plaudì alla scelta di non inserire nella commissione<br />

esponenti del Governo centrale. I socialisti, invece annunciarono<br />

una loro inchiesta autonoma, giustamente ritenendo che, essendo<br />

stato cliente dell’avvocato Celestino Summonte, Saredo non<br />

poteva essere obiettivo. Ma dopo un intervento della segreteria<br />

romana, i socialisti partenopei si schierarono con Saredo. Ispirati


da Saredo, molti articoli contro Scarfoglio vennero pubblicati sul<br />

giornale socialista.<br />

In queste condizioni il lavoro della commissione era<br />

difficilissimo.<br />

Francesco Saverio Nitti, scrisse:<br />

“Il Governo aveva mandato l’inchiesta e all’apparenza la<br />

difendeva, ma in realtà in mille modi duramente l’avversava. Il<br />

Governo pagava quasi senza mistero i giornali che sostenevano<br />

l’immoralità; li aiutava apertamente: Uomini dello Stato( non<br />

tali per dignità, ma solo per ragioni di uffizio) ne’ privati discorsi<br />

biasimavano la smania inquisitrice della Commissione”.<br />

Nitti rese pubblica anche una lettera del senatore Carmine<br />

Senise, che era stato prefetto a Napoli, in cui si sosteneva la<br />

necessità che il Governo rinunci ai voti dei deputati napoletani,<br />

perché anche se in gran parte persone degne di stima erano<br />

comunque condizionati dall’ambiente, e aggiungeva che<br />

combattere la piccola camorra era relativamente facile, perché<br />

essa vive all’ombra della più grande, ma è contro quest’ultima<br />

che bisogna agire.<br />

Dieci mesi di lavoro per i commissari per interrogare e<br />

verbalizzare 1.300 persone e analizzare l’operato delle<br />

amministrazioni comunali dal 1860 al 1900. In un ambiente<br />

conflittuale al massimo, Saredo comunicò al presidente del<br />

Consiglio, Giovanni Giolitti, la conclusione del suo lavoro alla<br />

fine del 1901, chiedendo che del documento ne fosse assicurata


una tiratura adeguata ed anticipò iniziative giudiziarie,<br />

comunicando a Roma che erano imminenti dei mandati di<br />

comparizione per Summonte, Casale ed altre persone, dopo la<br />

trasmissione alla magistratura di alcuni documenti raccolti dalla<br />

commissione.<br />

Giolitti, per nulla imbarazzato dal possibile coinvolgimento<br />

di qualche personaggio vicino al Governo, rispose: “ il Ministero<br />

colpirà inesorabilmente quelli che dall’inchiesta risulteranno<br />

colpevoli senza occuparsi punto di considerazioni politiche”.<br />

I risultati dell’indagine, condensati in due poderosi volumi,<br />

denunciava l’esasperato individualismo dei napoletani, ma non<br />

analizzava le cause politiche ed economiche di alcune<br />

degenerazioni della società napoletana. Abbondava invece di<br />

osservazioni antropologiche, frutto della collaborazione del<br />

professor Enrico Presutti.<br />

Fatte le premesse, veniva denunciata la fuga delle migliori<br />

risorse cittadine verso Roma, la persistente frustrazione di essere<br />

divenuta provincia periferica, il gioco delle clientele, la<br />

manipolazione delle liste e i brogli elettorali avevano favorito<br />

l’infiltrazione della camorra nella vita politica ed amministrativa,<br />

attraverso le persone interposte, i mediatori corrotti e corruttori,<br />

che dispensavano favori, posti e licenze e procuravano sentenze<br />

di compiacenti tribunali.<br />

Tra le funeste conseguenze politiche e sociali della<br />

corruzione elettorale, si citò l’accettazione diffusa e rassegnata,<br />

dell’influenza della camorra sull’esito delle votazioni, facendola


così arbitra della vita pubblica.<br />

La cosiddetta interposta persona, politico o camorrista che<br />

fosse, secondo l’analisi dei commissari, dominava tutta la vita<br />

sociale napoletana.<br />

Per concludere affari, ottenere voti, assicurarsi lavori,<br />

assunzioni, appalti, anche per un semplice certificato, tutti<br />

sapevano di doversi rivolgere a qualche mediatore (nella<br />

relazione indicati come faccendieri o intermediari).<br />

Questa era la conclusione di Saredo, riferendo anche di<br />

singoli episodi, come contratti comunali, assunzioni, relazioni<br />

degli Enti con ditte private. Le reazioni della stampa e<br />

del’opinione pubblica italiana sulla situazione partenopea, furono<br />

numerose ed allarmate. In molti sollecitarono l’emanazione di<br />

altre leggi speciali per Napoli.<br />

Indagine che doveva servire per dimostrare accordi,<br />

connivenze, interessi comuni tra camorristi, imprenditori e<br />

politici, cioè tra quella che allora veniva definita come bassa ed<br />

alta camorra, ebbe come unico effetto giudiziario concreto un<br />

processo per concussione all’undicesima sezione penale di<br />

Castelcapuano; cioè per reati contro la pubblica amministrazione,<br />

che vide coinvolti e condannati l’ex deputato Alberto Casale, l’ex<br />

sindaco Celestino Summonte, l’ex assessore Eduardo De Siena, il<br />

segretario generale del Comune Michele D’Orlando, l’ingegnere<br />

Eugenio Vilers e Vittorio Kraft, ed altri personaggi minori.<br />

Furono riconosciuti colpevoli e condannati a pene variabili<br />

da tre anni e un mese a due anni e sei mesi, tutte confermate sia


in appello, sia in Cassazione, diventando definitive il 31 marzo<br />

1905.<br />

Nel frattempo, Celestino Summonte era deceduto, per<br />

infarto, qualche mese prima.<br />

Le discussioni ed i confronti sulla stampa e nei dibattiti,<br />

avvelenarono l’ambiente politico.<br />

Nelle battaglie elettorali abbiamo già visto il confronto<br />

vittorioso del 1904, con la vittoria del conte Ravaschieri, che fu<br />

ribattezzato il conte della malavita.<br />

Ettore Ciccotti e Giacomo De Martino, accaniti nel<br />

denunciare l’insostenibile situazione della società napoletana,<br />

furono penalizzati: non vennero rieletti. L’unico che si era<br />

opposto con fermezza all’inchiesta della commissione Saredo:<br />

Emanuele Gianturco, ebbe un clamoroso successo.<br />

In fin dei conti, il popolo sancì la sconfitta di chi voleva fare<br />

pulizia e chiarezza nei rapporti tra la società civile ed i suoi<br />

rappresentanti e la camorra.<br />

Il giornale “ La Propaganda” scrisse articoli di fuoco sui<br />

quartieri che con il loro voto ne avevano decretato al sconfitta:<br />

“ Una specie di associazione a malfare, non precisamente e<br />

burocraticamente organizzata, ma tenuta insieme da aderenze<br />

personali, servizi inconfessabili, complicità vergognose di<br />

corrotti e corruttori, di minaccianti e intimiditi, e che è composta<br />

di deputati, senatori, consiglieri provinciali e comunali, grandi<br />

appaltatori, ricchi tenutari di bische e di bordelli, alte cocottes e<br />

potenti ruffiani”.


L’analisi, aspra e giustamente risentita nei confronti di un<br />

elettorato, conformato ed adattato a situazioni di comodo, degli<br />

accadimenti di queste elezioni, sarà la voce di sottofondo che<br />

animerà il cammino del capitano Fabroni dei carabinieri, che del<br />

processo Cuocolo ne ha fatto un’azione insistita e produttiva<br />

contro la camorra su cui intendeva costruire e consolidare la sua<br />

figura di eroe alla lotta contro la stessa.<br />

I fascicoli delle indagini dei carabinieri, passarono nelle<br />

mani della Procura Generale, che secondo le procedure di allora<br />

avrebbe dovuto formalizzare le accuse. La decisione toccò al<br />

conte Leopoldo Lucchesi Palli, che approfondì ogni atto e<br />

preparò la sua richiesta. Nello studio delle carte notò alcune<br />

irregolarità e chiese ulteriori indagini e riscontri. Nel frattempo,<br />

con il pretesto che il conte Lucchesi Palli era imparentato con<br />

Leopoldo De Gregorio, duca di Noia, presidente del Circolo del<br />

Mezzogiorno, di cui era socio uno degli imputati, si fece in modo<br />

di accantonarlo, dando l’incarico al procuratore generale Michele<br />

Ciancaglini, che concluse il suo lavoro il 6 settembre del 1909.<br />

Individuò i mandanti del duplice omicidio Cuocolo - Cutinelli,<br />

tutti accusati di associazione a delinquere, che era l’ipotesi di<br />

reato applicata in quegli anni agli affiliati alla camorra.<br />

Dall’ipotesi del maresciallo Capezzuti che aveva<br />

individuato in una decisione della Grande Mamma, il Tribunale<br />

dei camorristi, il via per l’azione punitiva di chi come Cuocolo si<br />

era appropriato della refurtiva che spettava agli associati, facendo<br />

anche la spia alla polizia, si passò al movente finale, contenuto


nella richiesta del sostituto procuratore, che era quello in cui si<br />

ipotizzava il timore del professor Rapi di essere denunciato:<br />

secondo l’ipotesi portata al processo, lo stato maggiore della<br />

camorra, su richiesta di Rapi, decise il duplice omicidio, per<br />

evitare che Cuocolo rivelasse l’attività di ricettatore del<br />

professore, nei furti al barone Amato, all’orefice Galante, e al<br />

signor D’Aquino. La polizia nel frattempo veniva riabilitata agli<br />

occhi della gente. Il processo sulle accuse di presunte collusioni e<br />

corruzione di alcuni agenti di polizia, accusati dal capitano<br />

Fabroni, si concluse con un’assoluzione.<br />

Intanto il capitano Fabroni, promosso, fece carriera ed andò<br />

via da Napoli.<br />

Il processo, ritenendo che l’ambiente partenopeo fosse<br />

troppo inquinato da polemiche e condizionamenti per sperare in<br />

un giudizio sereno, fu fissato a Viterbo per legittima suspicione.<br />

Il processo prese inizio il 12 marzo 1911. E fu processo<br />

spettacolo. Divisi, logicamente, colpevoli e innocentisti.<br />

Con una requisitoria interminabile di 21 udienze del Pm<br />

Giovanni Santoro, cui fece riscontro la deposizione del capitano<br />

Fabroni, che andò avanti per 67 sedute. Nella lotta tra accusa e<br />

difesa, intervenne anche Carmine Morelli, Presidente dell’ottava<br />

sezione penale del Tribunale Penale di Napoli, parlando di prove<br />

false a carico di innocenti. La sintesi della vicenda la fece in aula<br />

proprio Enrico Alfano.<br />

disse:<br />

Rivolto a Fabroni, con riferimento ai pentiti-accusatori,


“Voi siete un infelice come me, prigioniero di sciacalli come<br />

questi. Gente che non sarebbe degna di lustrarvi gli stivali vi<br />

detta condizioni. E i peggiori non sono venuti, non si vedono, ma<br />

voi li conoscete. Siete un ufficiale intelligente, vi siete reso conto<br />

alla fine che tutta questa festa non si fa per Cuocolo, pace<br />

all’anima sua, di cui nessuno si è mai curato, né si cura. La festa<br />

è per voi”.<br />

Era vero. In aula non c’erano gli autori e i mandanti del<br />

duplice omicidio, ma gli affiliati - non tutti - alla camorra<br />

napoletana di quei giorni.<br />

imputati.<br />

Al termine del processo ci furono condanne per 27 dei 36<br />

Le scarcerazioni arrivarono in anticipo soltanto per effetto<br />

dell’amnistia del 1920.<br />

Successivamente, Abbatemaggio, che scontava sette anni di<br />

carcere, scrisse al suo avvocato, il calabrese Rocco Salomone,<br />

confessando che le accuse formulate da lui erano false.<br />

Il processo servì a soddisfare il protagonismo di Fabroni, ma<br />

dell’intreccio tra il potere camorrista e gli altri poteri legali che<br />

tutti si attendevano, non v’era traccia.<br />

Alla fine, con la confessione di Abbatemaggio, che rivelò<br />

trucchi, falsità e compensi, apparve chiaro a tutti che la lotta<br />

contro la camorra era stata condotta con carte truccate.<br />

Tornato in libertà, dopo aver scontato la pena, cucchieriello,<br />

era riuscito a vivere di rendita, coltivando il suo mito di primo<br />

pentito di camorra, promettendo ulteriori inesistenti rivelazioni


sulla malavita napoletana, fino a quando, nel 1968, morì in<br />

ospedale.<br />

ragioni.<br />

Già allora, a Viterbo, i media avevano dettato le loro<br />

Marcella Marmo, docente all’Università Federico II di<br />

Napoli, studiosa di storia e fatti della camorra, così riassume<br />

l’ambiente creatosi al processo di Viterbo:<br />

“A Viterbo risulterà chiaro come fosse in buona misura<br />

l’esposizione mediatica a dettare la logica che tenne insieme le<br />

tante contorsioni del caso giudiziario, per quel che si desume<br />

dalla sofferta ricostruzione della sconfitta annunciata, che<br />

seguiamo nella citata storia dell’avvocato Salomone […]. La<br />

logica inquisitoria legittimata dalla pericolosità sociale, che si<br />

annuncia chiara nella sfida finale sul palcoscenico di Viterbo,<br />

avallerà un verdetto di condanna, dall’esito forse incerto sino<br />

alla conclusione”.<br />

Il profilo comportamentale di Abbatemaggio, rompe con il<br />

tradizionale stile di vita dei camorristi. E per lungo tempo<br />

apparirà come un insetto raro.<br />

fiumana.<br />

Troverà imitatori solo al calar del Novecento, e saranno una<br />

A Napoli, cominciavano a cambiare i tempi: Aurelio<br />

Padovani e Paolo Greco, con i loro gruppi, controllavano di<br />

fatto il potere.<br />

Era arrivato il fascismo.


9.4 La camorra durante il fascismo.<br />

Tra convivenza e repressione, il ventennio vide delinquenti<br />

diventare squadristi nelle squadre fasciste in cambio del silenzio<br />

sulle loro malefatte pregresse. Furono anni di cambiamenti<br />

traumatici. Da Napoli, dove si tenne il congresso del partito<br />

all'interno del Partito fascista, si affermarono in città.<br />

Uno, capeggiato da Aurelio Padovani, alias il capitano, era<br />

quello movimentista. L'altro, clientelare e disposto al<br />

compromesso con i notabili ed i poteri forti locali, faceva capo a<br />

Paolo Greco.<br />

Nel periodo dal 1922 al 1924, le principali azioni di forza<br />

condotte a Napoli vennero con il consenso tra i ceti più popolari,<br />

specialmente tra i portuali ed i facchini . Di questo ascendente<br />

erano preoccupati i ceti dominanti, timorosi di dover dividere<br />

qualcosa o di cedere potere allo strato sociale più basso. Anche<br />

per i protagonisti della stagione giolittiana furono anni di<br />

contrasti e rivolgimenti . I protagonisti politici al centro della<br />

contese della stagione giolittiana che avevano portato alla<br />

relazione Saredo e al processo Cuocolo, si ritrovarono insieme<br />

sullo stesso carro, quello del vincitore fascista. Il socialista<br />

Ettore Ciccotti, quello eletto alla Vicaria, successivamente<br />

sconfitto in maniera poco chiara dal conte Ravaschieri nel 1904,<br />

passò dalla parte dell'ex socialista Benito Mussolini, nel 1919, e<br />

fu candidato nella lista presentata da Padovani. In quelle elezioni<br />

risultò eletto anche un primo deputato napoletano fascista:<br />

Alfonso Imparato. E subito si vociferò che avesse raccolto voci<br />

anche con l'aiuto di qualche camorrista.


Intanto il Partito Socialista viveva un momento di accesi<br />

contrasti interni e, nel congresso del 1921, a Livorno si arrivò<br />

alla rottura, con la nascita del Partito Comunista Italiano. Napoli,<br />

tra il 1920 ed il 1922, fu teatro di manifestazioni di protesta e di<br />

scioperi sulla cui autonomia e spontaneità si nutrirono subito forti<br />

dubbi e si avanzò l'ipotesi che la massa fosse sobillata e pilotata<br />

dalla malavita organizzata. D'altra parte, anche se la camorra<br />

risultava indebolita dall'azione di contrasto del Governo, era<br />

tutt'altro che estinta. Formalmente non esisteva più<br />

l'organizzazione malavitosa, ma il camorrismo che veniva<br />

identificato come comportamento prevaricatore e violento. Tra<br />

gli aderenti al Partito Nazionale Fascista, una percentuale<br />

considerevole era stata spinta dal desiderio di fare piazza pulita<br />

degli intriganti politici ed i collusi con la camorra. Il 24 ottobre<br />

1922, Mussolini tenne un discorso al teatro San Carlo di Napoli,<br />

alla presenza del sindaco Geremicca e di Benedetto Croce. In<br />

città non si placavano i contrasti tra le due anime napoletane del<br />

PNF. Durante un comizio, mentre salutava la folla, affacciato su<br />

un balcone in via Orsini a Santa Lucia, Padovani precipitò sulla<br />

piazza, per il crollo della struttura, e morì.<br />

La camorra, anche se in forma ridotta, continuava ad<br />

esercitare il suo sordo lavorio.<br />

Erano i tempi di Michele Aria, detto 'o capraro, usuraio e<br />

sfruttatore di prostitute, sempre coinvolto in contrasti violenti, e<br />

dichiaramenti, fu costretto a diverse peregrinazioni estere: in<br />

Turchia, Egitto, Argentina. Ma tornò ed impose con la violenza il<br />

suo potere territoriale negli ambienti popolari. I contrasti vincenti


con i capi malavitosi più affermati, come Michele Bracco,<br />

Nicola Morra (già imputato al processo Cuocolo), e soprattutto<br />

con Alberto Fraumene, concordemente ritenuto il camorrista più<br />

temibile di quell'epoca, gli valsero la considerazione di tutto<br />

l'ambiente malavitoso organizzato e, molti strozzini affidavano il<br />

denaro a lui affinché ne facesse l'investimento più proficuo.<br />

L'usura crea sempre disperazione.<br />

Vincenzo De Vivo, commerciante napoletano di 34, finito<br />

nelle mani dei “cravattari” per salvare la sua attività in difficoltà,<br />

costretto a impegnarsi in altre attività illegali, si uccise. Da Roma<br />

arrivò l'ordine di catturare Michele Aria, che trovò rifugio presso<br />

un suo accolito a Secondigliano ma, sotto la pressione della<br />

polizia, fuggì in Francia per proseguire il suo viaggio verso gli<br />

Strati Uniti, a Brooklin, dove cercò una sua collocazione nel<br />

mercato della droga, della prostituzione, dell'alcool, del gioco<br />

d'azzardo e naturalmente dell'usura, attività gestite tutte dalla<br />

mano nera, mafia americana costituita da diversi gruppi criminali<br />

di origine Italia: siciliani, napoletani, calabresi. La repressione<br />

della criminalità organizzata, ordinata da Mussolini, che a<br />

cominciare dalla Sicilia con il prefetto Cesare Mori, destinò<br />

uomini e mezzi per questa battaglia, provocò un esodo massiccio<br />

di criminali verso gli Stati Uniti, dove costituirono nuove<br />

pericolosissime aggregazioni, riunite nella mano nera. All'estero<br />

l'immagine dell'emigrante italiano delinquente, era<br />

uniformemente diffusa ed il fascismo s'impegnò a fondo per<br />

cancellarla. Intanto in città si affermavano altri personaggi che<br />

con la violenza imponevano il loro controllo sul mercato delle


attività illecite. Paolo Barracano, delinquente precoce, ospite<br />

del riformatorio e del carcere di Poggioreale, divenuto uomo di<br />

rispetto, fornì la sua protezione ad alcuni commissionari del<br />

mercato ittico già controllati dalla camorra e seppe imporsi con<br />

una serie di conflitti a fuoco. Per questo curriculum Alberto<br />

Fraumene decise di accoglierlo nella camorra, inserendolo nella<br />

paranza della zona di Mercato. Successivamente, assurto a vero e<br />

proprio “sindaco di quartiere” divenne difensore degli operai del<br />

porto, che lo ripagarono con una stima assoluta. Per difendere un<br />

pizzaiolo da uno strozzino s'imbatté nel capraro Michele Aria<br />

che proteggeva lo strozzino. Lo scontro fu evitato per l'azione<br />

congiunta di Alberto Fraumene e, camorristi che godevano di una<br />

grande considerazione negli ambienti delinquenziali del periodo<br />

fascista.<br />

Anche Barracano, come Aria, fu costretto a fuggire ed<br />

arrivò a Brooklin ad ingrossare le file della “mano nera”. I<br />

contrasti con gli esponenti di origine siciliana furono fatali:<br />

vennero ammazzati entrambi.<br />

Al fascismo davano fastidio i guappi a capo di piccole entità<br />

criminali che non riusciva ad eliminare. La pressione sulla<br />

malavita era continua e pesante, perché non c'era nessuna<br />

possibilità e nessuna intenzione di giungere a compromessi.<br />

Oltretutto i voti dei camorristi non servivano più a nulla: non<br />

esistevano più libere elezioni.<br />

In un regime dittatoriale il potere, l'uso della forza, deve<br />

essere concentrato esclusivamente nelle mai dello Stato. Il potere


e la forza nelle mani della camorra era inammissibile. Tutti i<br />

rimedi contro la delinquenza dovevano essere messi in campo.<br />

Il Ministero della Cultura Popolare dispose che anche le<br />

notizie di cronaca nera fosse ridotta. Le gesta dei boss della<br />

camorra non avrebbero avuto eco sui giornali. E non avrebbero<br />

potuto provocare comportamenti imitativi da parte dei giovani,<br />

né la popolazione avrebbe potuto sollecitare azioni repressive di<br />

una delinquenza cui l'informazione non dava spazio e quindi era<br />

sconosciuta. In questo clima repressivo, alcuni camorristi<br />

fiutando il vento di provvedimenti sempre più pesanti,<br />

abbracciarono il regime. Arturo Cocco, camorrista del rione<br />

Sanità, era uno di essi. Funzionale alle attività repressive del<br />

regime, perché il suo grande ascendente personale nella zona<br />

d'origine, era garanzia di un efficace controllo sulla popolazione,<br />

quando la polizia lo riteneva necessario. Altri nomi noti ed<br />

affermati nella malavita che aderirono al fascismo, sono quelli<br />

dei guappi :<br />

- Guido Scaletti, cofondatore del sindacato padronale dei<br />

camerieri;<br />

- Enrico Forte, che da agente provocatore contro gli operai<br />

della ditta “Miani e Silvestri” divenne direttore della manifattura<br />

dei tabacchi;<br />

- Marco Buonocore, soggetto violento, che sparò ad un<br />

operaio antifascista ed ottenne buoni incarichi pubblici.<br />

Altri personaggi famosi della malavita, come i fratelli<br />

Vittorio ed Armando Aubry che tennero a freno gli operai<br />

dell'Ilva di Bagnoli, ottenendo in cambio, fino al 1935, l'appalto


di carico e scarico ai pontili della fabbrica, il cui controllo<br />

consentiva anche buoni guadagni con il contrabbando che<br />

passava da quella piattaforma. Amadeo Bordiga (protagonista<br />

intransigente della scissione del Partito Socialista al congresso di<br />

Livorno del 1921, cofondatore del Partito Comunista Italiano) nel<br />

Comitato esecutivo dell'internazionale comunista riunito, il 6<br />

gennaio del 1923, affermava che il Governo fascista aveva<br />

appena ultimato i suoi vecchi metodi di violenza con<br />

l'utilizzazione del suo apparato poliziesco, riunendo in un'unica<br />

milizia guardie regie compresi gli agenti in borghese e i<br />

carabinieri, ma che la repressione della criminalità comune con<br />

metodi ultraenergici era una pura illusione. Nel 1930, il<br />

giornalista Gustavo Di Giacomo, sosteneva che prima<br />

dell'avvento del fascismo i carabinieri avevano colpito duramente<br />

la malavita, sbaragliandola, e per vari anni nessun malvivente si<br />

mise più in vista, fino a quando, specialmente nella zona del<br />

porto e tra gli organizzatori dello strozzinaggio si ebbero dei<br />

rigurgiti di violenza. Ma provvidenziale giunse l'onda depuratrice<br />

d con leggi implacabili e giuste che consentirono al capitano<br />

Padovani di spazzare via i prepotenti dal porto. La timidezza<br />

della cittadinanza rassicurata dalla nuova situazione scomparve.<br />

E concludeva affermando “La mala vita, col rapido salutare<br />

intervento del Governo fascista non esiste più in Napoli. I casi<br />

isolati, e neppure frequenti, sono comuni a quelli di tutti i grandi<br />

centri popolosi.”


Nella repressione della criminalità venivano usati i metodi<br />

collaudati all'inizio dell'unità d'Italia, con l'ammonizione ed il<br />

confino lontano da Napoli.<br />

A consolidamento di potere avvenuto, come era già<br />

successo nei primi anni dell'unità d'Italia, il regime fascista che si<br />

era servito di guappi e camorristi ritenuti funzionali al potere,<br />

scatenò contro di loro una radicale repressione, utilizzando<br />

soggetti come Salvatore Cinicola, detto macchiulella, del rione<br />

Sanità, con un passato da guappo affermato, come informatori di<br />

polizia, compensandolo con favori ed onori.<br />

Con la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, macchiulella,<br />

assediato dalla gente del quartiere venne salvato da Luigi<br />

Campoluongo, ma la folla lo costrinse, comunque a girare in via<br />

dei Vergini, coperto di sterco.<br />

Il 24 dicembre 1926, l'ispettore Losito aveva inviato al<br />

Ministero degli interni un allarmato rapporto sulla situazione<br />

della malavita organizzata in Campania, evidenziando che la<br />

camorra si diffondeva a raggiera tra Napoli, Aversa, Caserta,<br />

Nola e l'agro nocerino-sarnese, con movimenti migratori di<br />

truffatori, sensali, vagabondi. In sostanza la camorra organizzata<br />

così come si conosceva a Napoli era scomparsa, ma in provincia<br />

di Caserta continuava a prosperare specialmente attorno agli<br />

allevatori di bufale ed al commercio degli animali e dei loro<br />

prodotti.<br />

Si arrivò, così, al più grande intervento di massiccia<br />

repressione del 1927. In provincia di Aversa, dove si era<br />

consolidato un nucleo di camorra autonomo, furono praticati


4.000 arresti, sgominando praticamente l'organizzazione<br />

camorristica.<br />

In pratica a Napoli sopravviveva ridimensionata, praticando<br />

in tono dimesso il contrabbando, l'usura, piccole estorsioni. Nella<br />

provincia invece sopravviveva in maniera più consistente quella<br />

legata al commercio dei prodotti ortofrutticoli. L'azione<br />

ventennale del Governo fascista aveva prodotto i suoi frutti<br />

riducendola a livello di sopravvivenza, ed avrebbe avuto modo di<br />

risvegliarsi energicamente solo dopo la seconda guerra mondiale.


9.4 La Nuova Camorra Organizzata di Raffaele<br />

Cutolo.<br />

“Mi rendo conto come Mussolini non abbia retto alla<br />

ventata di piaggeria e abbia finito per credersi un superuomo.<br />

Provo uguali sensazioni, mi riesce difficile tenere i piedi per<br />

terra”. È l’affermazione di Raffaele Cutolo nel “Camorrista” di<br />

Giuseppe Marrazzo.<br />

È già qualcosa che se ne sia reso conto.<br />

‘O Professore di Ottaviano. È lì che nasce, ad Ottaviano,<br />

paese della provincia vesuviana, il 20 dicembre 1941.<br />

I primi contatti con la malavita li ebbe proprio in paese,<br />

quando il padre, contadino, affittuario del grande proprietario<br />

don Aversa, nell’impossibilità di far fronte alle esose ed<br />

ingiustificate richieste dell’aumento del canone di affitto, chiese<br />

l’intervento del boss locale Alfredo Maisto, ottenendo<br />

immediata soddisfazione. Al piccolo Raffaele che aveva<br />

accompagnato il padre, in altra occasione, fu chiesto di<br />

accompagnare un mediatore collaboratore di Maisto nel mercato<br />

del bestiame di Aversa. Prima di entrare, per evitare i controlli<br />

della polizia, l’uomo fece nascondere la sua pistola addosso al<br />

bambino. Evitato il controllo, si riprese la pistola. Incontrarono<br />

un altro mediatore, tra i due si accese una lite, e nell’agitazione<br />

del momento estrasse la pistola ed uccise l’avversario. Fece<br />

nascondere di nuovo la pistola addosso a Raffaele ed<br />

abbandonarono il mercato, facendo ritorno a casa.


Per Raffaele Cutolo era il battesimo del crimine: complice<br />

dell’assassinio del mediatore di bestiame.<br />

Nella famiglia di Raffaele, c’erano anche malati di mente.<br />

Un cugino del padre e due nipoti soffrivano di schizofrenia,<br />

mentre uno zio ed una zia erano idioti congeniti.<br />

Raffaele era un bambino intelligentissimo, ma finite le<br />

elementari abbandonò gli studi per fare il garzone di un fabbro e<br />

di un falegname.<br />

Riteneva di possedere doti taumaturgiche.<br />

Una zia che viveva in famiglia con loro, restava per lunghi<br />

periodi inanimata, chiamavano il medico infruttuosamente;<br />

quindi il prete, perché credevano che morisse. Ma accadde che al<br />

comando di Raffaele: alzati e cammina…, perché noi i soldi per<br />

farti il funerale non li abbiamo! La zia si alzò improvvisamente e<br />

si preparò un caffè.<br />

All’inizio degli anni sessanta capeggiava una piccola banda<br />

che faceva furti ed estorsioni.<br />

Il suo destino gli avrebbe fatto incrociare nelle patrie galere<br />

un famoso camorrista affermato: Antonio Spavone.<br />

Mentre Cutolo cominciava la sua carriera criminale, altri<br />

come, appunto, Antonio Spavone detto ‘O malommo, erano<br />

affermati Imprenditori del crimine e mantenevano il loro potere a<br />

colpi di pistola. Antonio Spavone, in origine. Lo era divenuto al<br />

posto del fratello morto ammazzato in un duello con Giovanni<br />

Mormone. Aveva ereditato il ruolo di “carta da tresette”. Un


anno dopo, in un ristorante di Marechiaro, uccise Mormone,<br />

gridandogli: “Non sono io che ti uccido, è mio fratello Carmine”.<br />

Condannato a venti anni di prigione, ne scontò una parte a<br />

Procida e, a seguito dell’accoltellamento del suo compagno di<br />

cella, fu trasferito a Firenze dove, durante l’alluvione del 1966, si<br />

distinse per aver salvato diversi carcerati, il direttore del carcere e<br />

la figlia di questi. Per tale motivo, il presidente della Repubblica<br />

Giuseppe Saragat gli concesse la grazia.<br />

Sette anni dopo, per gelosia, uccise un miliardario<br />

italoamericano; tornò di nuovo in prigione. Assolto, tornò in<br />

libertà e buscò un colpo di lupara in pieno volto( Il mandante<br />

poteva essere Raffaele Cutolo). Nel 1986 venne condannato per<br />

associazione mafiosa, tornò in carcere e vi mori sette anni dopo.<br />

Un’altra famosa “carta di tresette”, Pasquale Simonetti,<br />

detto Pascalone ‘e Nola, cominciò la sua ascesa criminale<br />

schiaffeggiando il boss Luky Luciano, liberato dal carcere per<br />

l’aiuto fornito alla Patria in guerra, e sempre dalla Patria espulso<br />

perché “indesiderabile”.<br />

Anche dall’Italia, però, riusciva a dirigere i traffici<br />

internazionali di stupefacenti.<br />

La sua mancata reazione assicurò la scalata di Pascalone e<br />

Nola ai vertici del racket che taglieggiava i mercati ortofrutticoli,<br />

imponendo prezzi al di fuori della domanda e dell’offerta. Sulla<br />

sua strada incontrò Antonio Esposito, altra carta di tresette. I due<br />

ebbero ripetuti scontri. Un sicario uccise Pascalone. La colpa<br />

ricadde su Totonno Esposito, che venne affrontato ed ucciso in


pieno giorno, a colpi di pistola da Pupetta Maresca, vedova<br />

incinta di Pascalone.<br />

Intanto Luky Luciano cercava di soggiogare “le carte di<br />

tresette”, mentre la mafia siciliana contendeva il traffico degli<br />

stupefacenti ai “Marsigliesi”, Luciano insieme ad altri<br />

“indesiderabili” ebbe la meglio, divenendo il collegamento tra la<br />

malavita napoletana e le famiglie italoamericane ai vertici di<br />

Cosa Nostra. Le basi per l’internazionalizzazione dei traffici era<br />

cosa fatta.<br />

Nel mese di gennaio 1962, moriva il capo indiscusso del<br />

Sindacato del crimine Luky Luciano. Nello stesso anno la<br />

commissione antimafia ritenne inutile di occuparsi di Napoli e<br />

del circondario.<br />

Nel 1963, Raffaele Cutolo, al termine di una lite tra giovani,<br />

tra spinte ed insulti, nel corso di Ottaviano, spara con la sua<br />

pistola ed uccide Michele Viscido; e viene condannato<br />

all’ergastolo.<br />

A Poggioreale, matura, nella mente di Cutolo l’idea della<br />

creazione di un nuovo ordine per la malavita organizzata e ne<br />

traccia un progetto ambizioso, al quale lavora in continuazione,<br />

studiando anche gli aspetti organizzativi e i bacini malavitosi di<br />

attingi mento. Il progetto che prende corpo nella sua mente<br />

prevede la costituzione di un’organizzazione potente come la<br />

Bella Società Riformata.<br />

Della sua associazione avrebbe dovuto farne parte anche<br />

quell’esercito di derelitti, taglieggiatori, ladri, ai quali forniva i


suoi servigi, curando la loro corrispondenza con la famiglia,<br />

consigliandoli nelle loro tecniche difensive e indottrinandoli per<br />

averli al suo fianco una volta tornato in libertà.<br />

Nel carcere di Poggioreale, ospite di riguardo, c’era anche<br />

‘O Malommo. Godeva di tutti i privilegi che, anche in carcere,<br />

venivano accordati ad un boss del suo calibro. Attorniato da una<br />

schiera di funzionari corrotti, riusciva a garantire la continuità dei<br />

suoi traffici anche da Poggioreale.<br />

Così come aveva fatto Pascalone ‘e Nola, che aveva<br />

schiaffeggiato Luky Luciano nell’ippodromo di Agnano,<br />

Raffaele Cutolo, con la scusa di non sopportarne più i privilegi e<br />

l’atteggiamento, mandò un suo tirapiedi a sfidare a duello, all’ora<br />

di pranzo, il Malommo; il quale, non si presentò. Cutolo non<br />

aveva avuto la possibilità di sostituirsi a lui con il metodo<br />

classico della zumpata, ma ottenne parimenti un grande risultato<br />

per la popolarità e l’autorità che raggiunse al’interno ed<br />

all’esterno del carcere. Dall’esterno piccoli capicamorra si<br />

rivolgevano a lui per avere appoggi nelle loro operazioni di<br />

contrabbando; all’interno, tutti i nuovi arrivati, aspiranti<br />

camorristi, si rivolgevano a lui per essere accolti sotto la sua ala<br />

protettrice.<br />

Alla sua frenetica attività all’interno del carcere, faceva<br />

riscontro quella della sorella Rosetta, che con il crescere<br />

dell’organizzazione, dimostrava con il suo impegno di essere la<br />

mente amministrativa della Nuova Camorra Organizzata.


È proprio in questa fase che nella corrispondenza con i suoi<br />

“cumparielli” in libertà, comincia a comparire il termine di<br />

Nuova Camorra Organizzata.<br />

Stabilì una specie di rituale simile a quello della Bella<br />

Società Riformata, con uno statuto, una affiliazione che<br />

prevedeva un giuramento di sangue, che esaltava regolarmente<br />

soprattutto gli animi semplici.<br />

La parte economica a questo punto era divenuta<br />

efficientissima, perché le estorsioni erano una miniera d’oro.<br />

Unitamente a Michele Casillo ed agli altri luogotenenti in<br />

libertà, Rosetta si occupava della redistribuzione del denaro ai<br />

“cumparielli” in carcere, alle loro famiglie, gestendo nel<br />

contempo il denaro che restava nelle casse comuni.<br />

Era la nascita di un impero economico che avrebbe<br />

condizionato molti ambiti economici di tutta la Campania, con<br />

alleanze in tutta Italia, in Europa e negli Stati Uniti.<br />

Cutolo, nel carcere tendeva a dare agli affiliati un’identità<br />

specifica, attraverso cerimonie di iniziazione e riattivazione degli<br />

antichi costumi camorristici; nel contempo curava che il sistema<br />

di solidarietà, tra gli affiliati alla sua organizzazione, che<br />

prevedeva la ripartizione degli utili, l’assistenza alle famiglie, la<br />

difesa legale, l’assistenza in carcere, funzioni a dovere.<br />

La vicenda giudiziaria che lo riguardava continuava il suo<br />

percorso: la pena dell’ergastolo, in appello, venne ridotta a<br />

ventiquattro anni. Ricorse in Cassazione e, dopo sette anni, per<br />

decorrenza dei termini, nel maggio del 1970 tornò in libertà, ed


ebbe modo di consolidare la sua posizione, intessendo nuovi<br />

legami con la malavita nostrana, con i fornitori sudamericani,<br />

nordafricani ed altri grandi trafficanti di droga e sigarette, che<br />

ritenevano più conveniente misurasi con un unico interlocutore.<br />

Nel frattempo, venne confermata la sentenza di secondo<br />

grado. Cutolo non si presento dinanzi all’autorità giudiziaria e si<br />

diede alla latitanza.<br />

La NCO, all’interno di alcuni istituti, costituiva un vero e<br />

proprio governo parallelo a quello legale. Poggioreale, Ascoli<br />

Piceno, Bellizzzi Irpino, sono le carceri dove Cutolo riusciva ad<br />

avere disponibilità di qualsiasi cosa. Nel frattempo pensava ad<br />

acquisire un numero sempre più cospicuo di affiliati. Viveva un<br />

periodo di grande crescita con un aumento della sua autorità<br />

enorme, soprattutto all’interno delle carceri.<br />

Le contese dei clan si regolano in carcere.<br />

Durante i terremoti del novembre del 1980 e del febbraio<br />

1981, all’interno del carcere vennero uccisi dei detenuti, sempre<br />

per ordine di Cutolo.<br />

Gli avversari, costituendo la Nuova Famiglia, si<br />

organizzarono come Cutolo, seguendo rituali simili.<br />

E tutte e due, queste organizzazioni, erano talmente forti,<br />

che riuscivano a far trasferire i detenuti, anche quando li<br />

dovevano avvicinare per ucciderli.<br />

Nel carcere riuscivano ad avere anche armi, che venivano<br />

utilizzate per conflitti a fuoco all’interno delle carceri. I due<br />

gruppi continuavano a crescere. Ci fu un momento nel quale


aggruppavano tutte le cosche criminali dell’area metropolitana<br />

di Napoli. Quello di Cutolo era una sorta di populismo criminale.<br />

La NCO realizzò un inedito solidarismo criminale che<br />

assicurava ai suoi miliziani un salario, la difesa in caso d’arresto,<br />

l’assistenza alle loro famiglie.<br />

“Mi chiamano professore, e all’occorrenza so anche esserlo<br />

in maniera convincente”.<br />

“Chi era impegnato ad arricchirsi con gli appalti statali, con<br />

l’edilizia selvaggia,con le forniture alle caserme, alle scuole, alle<br />

carceri, agli ospedali, persino con i loculi del camposanto, con le<br />

ambulanze, non poteva certo preoccuparsi di sottrarre volontari<br />

destinati ad arruolarsi nelle fila della Camorra.”<br />

Il Messia, Cutolo, portò il Verbo, la parola nuova, la<br />

ribellione armata.<br />

La Nuova Famiglia capì che se non si fosse data una diversa<br />

organizzazione sarebbe scomparsa sotto l’incalzare impietoso<br />

della Nuova Camorra Organizzata.<br />

Il populismo criminale cutoliano riusciva a creare spazi di<br />

adesione enormi.<br />

Nel corso di una riunione con i giornalisti, Pupetta Maresca,<br />

la vedova di Pascalone ‘e Nola, lanciò la sfida ai cutoliani e<br />

successe un macello.<br />

Il primo atto di guerra della Nuova Famiglia fu l’uccisione<br />

di Roberto Cutolo, il figlio del Professore e di sua moglie.


Vennero disegnate mappe d’influenza per tutta la Campania,<br />

e siccome le due organizzazione cercavano di incrementare la<br />

loro sfera d’influenza, si trovavano a parassitare, a volte, lo<br />

stesso soggetto. Il numero dei morti in questa battaglia serrata<br />

aumentava ogni giorno. Dal suo nascondiglio di Albanella, dove<br />

aveva trovato accoglienza, consolidava la struttura della sua<br />

organizzazione, spostandosi rapidamente anche fuori del suo<br />

rifugio.<br />

Stava per compiersi, però, quella che i camorristi chiamano<br />

‘nfamità. Così come rivelerà più tardi lui stesso, decretandone la<br />

morte, un suo uomo di fiducia, Rosanova, rivelò il suo<br />

nascondiglio.<br />

L’arrivo degli elicotteri, il 15 maggio del 1979, pose fine<br />

alla sua latitanza. All’appuntato dei carabinieri che gli metteva le<br />

manette, disse: “chi ti credi di essere? Il generale Dalla Chiesa,<br />

forse? Solo lui meriterebbe lo sfizio di arrestare un grande capo<br />

come me”.<br />

In tutto i terreno campano, le bande cutoliane presenti sul<br />

posto, ben visibili, vennero massacrate dagli affiliati della Nuova<br />

Famiglia che disponevano di una ben diversa organizzazione ed<br />

un comando altamente professionalizzato.<br />

Cutolo perse la partita e la Nuova Famiglia restò padrona<br />

del campo.<br />

Cutolo è stato l’interprete di un sogno malavitoso realizzato<br />

a livelli impensabili per un soggetto che di giorni fuori delle<br />

carceri, a partire da una certa data, non ne ha avuti tanti.


In carcere ad Ascoli Piceno, nel momento di massimo<br />

splendore della potenza della NCO, gli viene chiesto di mediare<br />

con gli esponenti del terrorismo, per il rilascio dell’uomo politico<br />

campano Ciro Cirillo.<br />

Cirillo era presidente della commissione della ricostruzione<br />

del dopo terremoto, un obiettivo molto allettante, legato ai Gava<br />

ed ai maggiori costruttori partenopei, e rappresentava, perciò, un<br />

obiettivo molto allettante per l’eversione perché avrebbe potuto<br />

ottenere un riscatto miliardario.<br />

La DC, non ripropose la stessa linea comportamentale<br />

assunta con i terroristi per il sequestro Moro, ma scese a patti con<br />

le Brigate rosse, ed i contatti tra politici ed eversori furono<br />

stabiliti da Cutolo. Le modalità con cui avvennero gli incontri tra<br />

esponenti politici e servizi segreti da una parte e camorra<br />

dall’altra, non sono note. Però sembra che ad avviare le trattative<br />

furono alcuni agenti del SISDE, con la partecipazione del vice<br />

direttore Vincenzo Parisi. Subito dopo vennero sostituiti dagli<br />

agenti del SISMI con Abelardo Mei, che rappresentava la lobby<br />

dei costruttori, e che fu il primo a prendere contatto con Cutolo,<br />

successivamente se ne occuparono gli operativi del Sismi: il<br />

generale Musumeci ed il colonnello Belmonte, avendo come<br />

punti di riferimento, ‘O Professore ed il suo braccio destro<br />

Vincenzo Casillo, detto ‘O Nirone.<br />

L’intenso via vai di soggetti di ogni ordine e grado che si<br />

recavano da Cutolo per pregarlo di convincere i brigatisti a


ilasciare Cirillo, non è rilevabile nel registro delle visite, perché<br />

è stato alterato.<br />

Sta di fatto però, che il magistrato Carlo Alemi, titolare<br />

dell’inchiesta sul rapimento, appurò che in quel periodo, ad<br />

Ascoli Piceno, erano presenti Flaminio Piccoli, Carlo Gava, e<br />

Giuliano Granata, sindaco di Giugliano, il quale sull’argomento<br />

ha scritto recentemente la sua versione, dando alle stampe, presso<br />

le Edizioni Cento Autori “Io Cirillo e Cutolo, dal sequestro alla<br />

liberazione”.<br />

Dopo ottantanove giorni Cirillo tornò in libertà e Cutolo<br />

visse un periodo di gloria ed esaltazione. Dal suo intervento con<br />

esito positivo, si attendeva riconoscimenti e, soprattutto,<br />

riduzione di pena da ottenere con una perizia ed una<br />

certificazione di infermità mentale, nonché una corposa<br />

ricompensa in denaro.<br />

Attese invano anche le azioni mirate delle Brigate Rosse di<br />

Giovanni Senzani contro magistrati, giudici, funzionari che si<br />

erano espressi contro gli eccessi della Nuova Camorra<br />

Organizzata.<br />

“Per i miei seguaci, sono diventato un re, un santo<br />

protettore, un mito”. Che sapeva essere spietato: il suo uomo di<br />

fiducia, Pasquale Barra, detto ‘O Nimale, a Nuoro, nel carcere<br />

Bad’e Carros, aveva raggiunto Francis Turatello il bandito<br />

milanese, noto come faccia d’angelo, associato che aveva tradito,<br />

e lo ridusse come un colabrodo. ‘O Nimale riferiva a Cutolo:<br />

“Rafè, mi devi credere. Un servizio da maestro. Faccia d’angelo


era una maschera insanguinata. Fu la prima cosa che colpii, la<br />

faccia di quel pezzo di merda milanese, del signorino che si<br />

credeva un uomo superiore e che dopo averti dato la mano si<br />

lavava con l’acqua di colonia. Rafè, mentre i compagni me lo<br />

trattenevano, gli affondai il coltello da tutte le parti, per almeno<br />

una quarantina di volte. Lui rantolava, si dimenava come un<br />

serpente ferito, mentre io colpivo sempre di più con la rapidità di<br />

una macchinetta. Non voleva morire, Rafè! Saparpetiava come<br />

una tarantola sul terriccio, sotto il sole, con le mosche che già<br />

guazzavano nel suo sangue”.<br />

Questa è ferocia, eccedente, orripilante, oscena.<br />

Il continuo spargimento di sangue nella lotta tra NCO e NF<br />

ed il ruolo ricoperto da Cutolo nella liberazione di Cirillo,<br />

esasperò la pubblica opinione, che chiese interventi più energici<br />

nei confronti della malavita organizzata.<br />

Proprio per questo, Sandro Pertini ne sollecita il<br />

trasferimento nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara, che<br />

avviene rapidamente, con un o schieramento di forze esagerato.<br />

La verità sul caso Cirillo e sulle sue conseguenze, non è<br />

stata ancora appurata; l’ipotesi più accreditata e corrente vuole<br />

che la classe politica campana individuasse in Cutolo e in<br />

Casillo, una vera e propria minaccia ai loro affari, dirottando le<br />

loro simpatie agli esponenti della Nuova Famiglia, Carmine<br />

Alfieri e Pasquale Galasso. Alcuni soggetti che avevano stabiliti i<br />

primi contatti con le Brigate Rosse, come il ristoratore di Acerra,<br />

Nicola Nuzzo, vennero tolti di mezzo in modo cruento. La stessa


fine fece Vincenzo Casillo, che a Roma saltò in aria con la sua<br />

auto, imbottita di tritolo.<br />

Per capire, la mentalità criminale di Raffaele Cutolo,<br />

bisogna porre in primo piano la consapevolezza del possesso di<br />

doti straordinarie criminali ed organizzative. Fa trasferire nel<br />

carcere di Nuoro Pasquale Barra, che conosce la condanna a<br />

morte di Francis Turatello, ma non è stato incaricato<br />

dell’esecuzione. Capisce però perché è stato fatto trasferire in<br />

quel carcere. Sa che non è stato inviato li in villeggiatura.<br />

“Non avrei scomodato il ministero per nulla. Un piano per<br />

eliminare il potente capo della malavita milanese, richiede<br />

impegno, intelligenza, strategia. L’opera di un personaggio come<br />

‘O Nimale, rappresenta la fase culminante di una missione che va<br />

studiata nei minimi particolari, valutando anche le reazioni che<br />

susciterà”.<br />

Questo è il profilo comportamentale razionale, di un<br />

interprete ineguagliabile della camorra, che ha mostrato uno stile<br />

di vita coerente ad un grande progetto negativo<br />

Cutolo, certamente non è il diavolo, ma più di altri ha dato<br />

fondo alla sua abilità criminale, peggiorando enormemente la<br />

situazione della Campania.


10.0 Analisi politica<br />

Anche volendo non potremmo raccontare la situazione<br />

politica napoletana, e campana in generale, con espressioni di<br />

fiducia e soddisfazione, e tanto meno di speranza nei<br />

cambiamenti.<br />

La verità, sulla società politica napoletana ha sempre la<br />

stessa faccia. La puoi rigirare come vuoi, ma l’edificio politico<br />

mostra sempre le componenti che ne hanno limitato lo sviluppo<br />

economico e sociale legale.<br />

L’intreccio del potere militare, politico, imprenditoriale,<br />

attivo in settori legali e paralegali, con la contraffazione, il<br />

traffico dei rifiuti, il monopolio del cemento, il traffico della<br />

droga, il contrabbando delle sigarette t.l.e., l’usura, le estorsioni,<br />

rafforza sempre di più il potere del crimine organizzato, che non<br />

è più stanziale solo nella Campania, ma ha proteso le sue<br />

propaggini in tutte le regioni italiane, eccezion fatta per la<br />

Calabria e la Sicilia, che sono già ben messe per conto loro, e<br />

nella conquista dei territori delle altre regioni sono anch’esse<br />

molto attive.<br />

In Campania, nemmeno la speranza nei cambiamenti, è<br />

ipotizzabile, almeno a breve termine.<br />

E’ avvilente che i poteri del crimine organizzato, appaiano<br />

sempre più invadenti, e non siano messi in discussione. Tant’è<br />

vero che nell’ultima campagna elettorale di piani specifici di


contrasto, di nuova concezione, efficaci sul piano normativo e<br />

istituzionale, non se n’è sentito nemmeno parlare.<br />

Questa assenza mostra una volontà reazionaria da parte del<br />

potere consolidato, vergognosa e arrogante.<br />

I segnali preoccupanti rivelati dall’evento elettorale, si<br />

arricchiscono con la presentazione nelle liste elettorali di soggetti<br />

indagati, o addirittura condannati, sia pure con sentenza non<br />

definitiva, con l’annuncio di programmi di opere infrastrutturali,<br />

prede predestinate e comunque da sempre nel mirino dei gruppi<br />

criminali organizzati e, obiettivamente, riforme normative<br />

destinate ad indebolire la magistratura negli strumenti di cui<br />

dispone.<br />

L’intercettazione telefonica per i reati di corruzione,<br />

concussione, favoreggiamento, a mio giudizio è e rimane<br />

essenziale; perché nelle organizzazioni mafiose, l’inserimento nei<br />

loro canali di comunicazione consente di raccogliere sempre<br />

maggiori frutti. Altrimenti di tante losche attività e di tanti<br />

intrecci criminali non si avrebbe al minima conoscenza.<br />

Accade spesso che anche l’enunciazione di intenzioni e<br />

programmi negativi resti senza realizzazione, e l’augurio per<br />

Napoli e che si ripeta pure questa volta.<br />

La camorra è cosciente di aver raccolto l’eredità critica della<br />

classe politica. Lo dimostra la reazione al romanzo di Roberto<br />

Saviano, che aggiornando la situazione dell’occupazione del<br />

territorio e della distruzione sistematica della vita civile,<br />

dell’ambiente, della città, opera una specie di criminalizzazione


proveniente dal mondo della cultura. E allora, la camorra che si è<br />

fatta classe di governo, reagisce perché ad essa è affidata la tutela<br />

e la difesa dell’immagine della città e della regione.<br />

La camorra, nasce come fenomeno di popolo, non di classi<br />

dirigenti, ma le dinamiche restano le stesse anche mutando le<br />

condizioni sociali, geografiche e storiche, e il livello del potere<br />

conseguito quando raggiunge l’apice, così come rappresenta una<br />

sciagura per la società legale controllata, per essa è occasione di<br />

arricchimenti incontrollati.<br />

Oggi, la situazione politica a Napoli, come intreccio del<br />

potere legale e di quello camorristico, pare cristallizzato alla<br />

stessa condizione ideologica del 1901, quando la Real<br />

commissione d’inchiesta Saredo, descrivendo puntualmente e<br />

compiutamente, usi, costumi, consuetudini, collusioni,<br />

convivenze e connivenze della camorra in tutti i settori della vita<br />

pubblica cittadina, pose al servizio del Paese, con due poderosi<br />

volumi, l’insieme delle conoscenze più complete, indispensabili<br />

per combattere la guerra contro la criminalità organizzata<br />

napoletana.<br />

Il meccanismo fondamentale del faccendiere, intermediario<br />

tra il governo locale e i cittadini sopravvive ancora, anche se non<br />

proprio al livello più elementare. Ma l’azione costante e<br />

progressivamente invadente condotta dalla camorra,<br />

specialmente nell’ultimo sessantennio, per divenire padrona del<br />

suo territorio, dei suoi apparati socio-conomici, delle assemblee


elettive, sostituendosi allo Stato con una profonda penetrazione<br />

nei suoi apparati, è cosa fatta in maniera disastrosa.<br />

Un autorevole uomo di giustizia ha definito la Campania un<br />

oceano di illegalità e Napoli un corpo di reato, lanciando così un<br />

messaggio forte e preoccupato, che fino ad oggi è rimasto<br />

inascoltato, a quelle istituzioni preposte a contrastare la<br />

criminalità, ma purtroppo pervase anch’esse da forte<br />

inquinamento, in molti casi, addirittura, assoggettate alla causa<br />

criminale.<br />

Oggi, senza tema di smentita, si può definire il quadro<br />

esistente in materia di ordine pubblico e legalità, nella regione<br />

Campania, drammatico e virulento con una metastasi impregnata<br />

di illegalità, diffusa su tutto il territorio, con poche probabilità di<br />

sapere se l’antidoto contrasto, prevenzione e repressione, possa<br />

rimediare ad una pervasione penetrante, visibile ed occulta del<br />

soggetto camorra, in tutti i suoi apparati, anche quelli preposti<br />

alla lotta del sistema criminale. 1<br />

Senza oleografia alcuna, l’immagine di Napoli è quella di<br />

una città corrotta ed infetta, di un territorio regionale, salvo<br />

qualche eccezione, gestito dagli apparati criminali, conviventi<br />

politici, imprenditori e pezzi consistenti dello stesso Stato, voler<br />

difendere, per anacronistiche posizioni di parte le<br />

Amministrazioni che governano il territorio, anche se coscienti<br />

della vastità del fenomeno e le ripercussioni traumatiche sulla<br />

collettività.


I luoghi comuni del buon governo locale con le note svolte<br />

storiche, non hanno inciso minimamente, sul tessuto socio-<br />

economico, sull’ordine pubblico, sulla trasparenza e sulla legalità<br />

nella città e nella regione.<br />

Anche l’abusata equazione: disoccupazione = criminalità;<br />

sviluppo, investimenti ed occupazione = progresso, legalità,<br />

ordine pubblico, dimostrano un chiaro segno di incapacità<br />

intellettuale; perché è vero il contrario, più si progetta, più<br />

s’investe, più si finanzia, più la camorra insediata in tutti i settori,<br />

potenzia i suoi apparati e riempie i suoi forzieri.<br />

D’altra parte, le confessioni dei collaboratori di giustizia,<br />

come Pasquale Galasso, Alfieri, Schiavone, hanno scoperchiato<br />

una fitta rete di radici camorristiche rigogliosamente sviluppate,<br />

con connivenze e collusioni con tutti gli apparati, soprattutto<br />

quelli istituzionali.<br />

Nel documento del 16 giugno 1997, la procura della<br />

repubblica presso il Tribunale di Napoli, nel descrivere le<br />

esistenti forme del rapporto CAMORRA-POLITICA AFFARI,<br />

affermava: non vi è settore della Pubblica Amministrazione nel<br />

quale le indagini non abbiano registrato e dimostrato il<br />

dispiegarsi dell’illecita influenza dei gruppi camorristici,<br />

direttamente oppure per il tramite di figure imprenditoriali o<br />

politiche espressive degli interessi di quelli.<br />

Correlativamente, non vi è indagine su organizzazioni<br />

camorristiche che non riveli preoccupanti fenomeni di<br />

penetrazione correttiva – collusiva nelle istituzioni.


La situazioni riflette la sfera di interessi economici facenti<br />

capo ai gruppi criminali organizzati e del grado di invasività del<br />

controllo mafioso del territorio, ma anche la presenza di stati di<br />

diffusa illegalità della pubblica amministrazione.<br />

Per molti versi, lo stato delle cose sembra corrispondere a<br />

modelli di sviluppo degli interessi criminali anziché di<br />

salvaguardia degli interessi della collettività e degli interessi<br />

statali.<br />

Da tali indagini diversificate emerge una raffigurazione, di<br />

segno sostanzialmente unitario, del concreto sviluppo delle<br />

relazioni interattive fra consorterie criminali ed esponenti del<br />

ceto politico e burocratico sulle quali in gran parte si fonda il<br />

controllo mafioso del territorio.<br />

Nell’esercizio di tale governo, la capacità d’intimidazione<br />

violenta conserva spesso un ruolo importante, al fine sia della<br />

gestione controllata del voto che dalla dissuasione degli operatori<br />

politici ed amministrativi, ma altrettanto reali e perfino più<br />

rilevanti sono le risorse criminali delle organizzazioni<br />

camorristiche connesse al sistema di cointeressenze affaristiche<br />

ed elettorali delle categorie sociali e professionali, oltre che con<br />

esponenti politici, nel tempo sviluppatosi al fine del controllo e<br />

dello sfruttamento illecito dei meccanismi di erogazione della<br />

spesa pubblica.<br />

1 Relazione alle Camere XIII legislatura


11. Analisi economica.<br />

Il dato fornito dall’Eurispes, per 2004, è riferito alle quattro<br />

cupole mafiose messe insieme, ed ammonta a 100 miliardi di<br />

euro all’anno ed è un dato impressionante, se si pensa che il Pil,<br />

il prodotto interno lordo italiano è di 1.052 miliardi di euro<br />

all’anno.<br />

L’industria del crimine organizzato, perciò, è pari al 9,5 %.<br />

Il dato disaggregato, riguardante solo la camorra, ammonta<br />

a 16 miliardi e 459 milioni di euro.<br />

Sempre forniti dall’Eurispes, altri dati più aggiornati,<br />

riguardanti la camorra, stimano per le diverse attività, i seguenti<br />

guadagni annui:<br />

- traffico di droga: 7.230 milioni di euro;<br />

-Crimini legati all’imprenditoria (appalti truccati, riciclaggio<br />

di denaro sporco, ecc.): 2.582 milioni di euro;<br />

- sfruttamento della prostituzione: 258 milioni;<br />

- traffico di armi: 2.066 milioni di euro.<br />

- estorsione ed usura: 362 milioni di euro.<br />

A queste attività vanno aggiunti i proventi per lo<br />

smaltimento illegale di rifiuti urbani ed industriali. Anche se<br />

lucrosa, questa attività penalizza soprattutto le zone d’origine dei<br />

criminali, Napoli e soprattutto Caserta. Quella che una volta era<br />

una fertile campagna, tra Acerra, Marigliano e Nola, oggi viene<br />

indicata col termine triangolo della morte, che la dice lunga,<br />

anche se non tutta.


11.1. Appalti pubblici e imposizione estorsiva del<br />

subappalto.<br />

Il sostituto procuratore Raffaele Cantone, nell’intento di<br />

catturare Michele Zagaria, uno dei trenta latitanti più pericolosi<br />

d’Italia, affida al Ros di Roma la delega per le ricerche, con<br />

intercettazioni telefoniche e ambientali, che risultano infruttuose<br />

per la cattura del camorrista, ma consente di scoprire l’attività di<br />

riciclaggio ed il rastrellamento sistematico degli appalti banditi in<br />

Campania tra il 2003 ed il 2006, comprendenti tra gli altri i lavori<br />

di ammodernamento e di ampliamento della ferrovia Alifana ed il<br />

Centro Radio Ricevente della Nato a Licola.<br />

Le indagini consentono di individuare una capillare<br />

organizzazione in grado di monitorare il territorio, individuare le<br />

opere più importanti che devono essere realizzate sul territorio e<br />

attraverso una rete di ditte e società associate, sono in grado sia<br />

di eseguire direttamente tutti i lavori, oppure, sempre<br />

direttamente, ma attraverso il subappalto palese od occulto. La<br />

parte più consistente di partecipazione si realizza attraverso<br />

l’inserimento funzionale con la produzione e la fornitura dei<br />

materiali necessari per la realizzazione delle grandi opere<br />

pubbliche.<br />

Naturalmente, una volta appurati i reati ed individuati i<br />

soggetti coinvolti, si arriva agli arresti che sono numerosi.<br />

Ma quello che preme appurare è la consistenza degli affari e<br />

d il modo di realizzarli.


Da una intercettazione telefonica si scopre un’informazione<br />

in codice, sempre nell’ambito del clan degli Zagaria di<br />

Casapesenna: “stasera Bin Laden mi ha chiamato e mi ha detto<br />

che ha venti miliardi di lavoro… per cento anni a Bin Laden…” 1<br />

Si tratta dell’appalto della nuova ferrovia Alifana, nella<br />

tratta da Santa Maria Capua Vetere a Napoli. Dopo aver<br />

modificato il progetto originario ed aver reperito i fondi, si passa<br />

alla fase realizzativa.<br />

Pasquale Zagaria, è stato allertato con quattro mesi di<br />

anticipo dalla sua rete di complicità e di alleanze, ed ha modo di<br />

attrezzarsi per partecipare all’affare.<br />

L’appalto viene aggiudicato a due imprese, la Torno Spa e<br />

alla Astaldi Spa, che la subappaltano ad una società consortile<br />

creata appositamente la T.S.I.G., COMPOSTA DAL<strong>LA</strong> Tirrena<br />

Scavi Spa e dalla S.I.G. (Società Italiana Gallerie) della famiglia<br />

Insigne di Sorrento, amministrata da Vittorio Tiberio Insigne,<br />

consigliere regionale della Campania e dal fratello Salvatore.<br />

La S.I.G., concesse in subappalto lavori a due società la<br />

Ceca Srl la Edilpadiro Srl. La Ceca Srl, pagherà il prezzo<br />

dell’estorsione, imposto con minacce di ritorsione e punizione<br />

cedendo i lavori di sua spettanza alla Edilpadiro nella quale è<br />

interessato Zagaria.<br />

La descrizione degli accadimenti, nella vicenda della<br />

ferrovia Alifana, serve a far comprendere il paradigma camorra-<br />

impresa-politica, che siccome a questo punto sono la stessa cosa


non hanno più bisogno di percorsi paralleli (Rosaria<br />

Capacchione. L’oro della Camorra).<br />

In questo caso la saldatura è il consigliere regionale Insigne,<br />

costruttore di Massalubrense.<br />

Quando si mette a nudo un rapporto economico illegale, di<br />

complicità, tra camorra-imprenditoria-politica, esso risulta<br />

sempre più produttivo del previsto: è come una stringa cui sono<br />

legate tante altre congeneri informazioni, che adeguatamente<br />

valutate e riscontrate consentono di ottenere un quadro<br />

sufficientemente completo del progetto criminoso in corso e dei<br />

suoi attori partecipanti.<br />

Rifiuti.<br />

Sempre da informazioni in cui ci si imbatte per caso, nelle<br />

reti di complicità consolidate.<br />

Sempre un’intercettazione telefonica, consente di scoprire<br />

un’azione intimidatoria per una estorsione in corso, a danno di<br />

un’azienda bufalina che ha già subito un incendio, e ne sta<br />

subendo un secondo.<br />

Dopo questo secondo fatto criminoso che distrugge<br />

cinquemila balle di foraggio, una quantità considerevole di scorte<br />

in dispensabili per la sopravvivenza dell’azienda agricola, i<br />

proprietari cedono e aderiscono alla richiesta estorsiva:<br />

cinquemila euro al mese.<br />

Traccia dell’estorsione viene trovata anche tra i pizzini<br />

sequestrati in Germania al postino rumeno del latitante Francesco<br />

Schiavone detto Sandokan.


I pizzini forniscono anche informazioni su collegamenti ed<br />

affari di altra natura. Si legge su uno di essi, indirizzato da<br />

Schiavone ad un altro camorrista, Michele Zagaria:<br />

“Io spero che quando ti arivi questo mio scritto tu stai sulla<br />

zona. Michele, visto che io ritorno tra una 40rantina di giorni, e<br />

non posso parlare con nessuno, fami il piacere di quei soldi della<br />

imontizia, la mia parte me la mandi a casa e mi fai dare anche la<br />

rimanenza del gas e ti fai dare già da Garofalo la prima rata che<br />

abiamo stabilito asieme, perché io sono rimasto senza soldi”.<br />

Come informazione plurima non c’è che dire. Ci fa<br />

comprendere che i proventi delle estorsioni confluiscono in un<br />

fondo comune del clan camorristico, in questo caso quello dei<br />

Casalesi, e che da questo fondo si attinge per il pagamento degli<br />

stipendi agli affiliati.<br />

Ci informa, inoltre, che l’estorsione interessa allevamenti,<br />

immondizia, gas, e si suppone anche se già si sa che oggetto di<br />

estorsione sono tutte le attività produttive e le rendite<br />

patrimoniali<br />

Legaambiente, nel 2008, fornisce dati impressionanti sui<br />

reati contro l’ambiente commessi ogni anno: oltre 30.000, cioè<br />

83 al giorno.<br />

Per le illegalità ambientali, la camorra è prima assoluta.<br />

Montagne di rifiuti solidi urbani, misti a rifiuti industriali di<br />

qualsiasi tipo, (soprattutto scarti velenosi perché sono quelli<br />

meglio retribuiti). Alle ecomafie, per lo sfruttamento delle risorse


ambientali per fini criminali, nel 2007, sono andati compensi per<br />

18 miliardi e 400 milioni. Il solo smaltimento illegale dei rifiuti<br />

industriali genera compensi, alla criminalità organizzata, per 4<br />

miliardi e 500 milioni di euro, dati sempre riferiti al 2007.<br />

In questo lauto pasto della criminalità organizzata, la DIA,<br />

Direzione Nazionale Antimafia, ha appurato che nel ciclo illegale<br />

dei rifiuti, Cosa Nostra si affianca al clan dei Casalesi, rivelando<br />

una multifunzionalità, che va dal business dei rifiuti al ciclo del<br />

cemento, dall’agricoltura al racket degli animali.<br />

11.2 Attività economiche illegali tradizionali<br />

Contrabbando di sigarette tabacchi lavorati esteri (t.l.e.).<br />

Coinvolte, a vario titolo, nel settore, 40.000 persone<br />

Mercato della prostituzione.<br />

Addetti al settore: 10.000 persone.<br />

Commercio e spaccio di droga.<br />

Si calcola che gli addetti siano 15.000 persone.<br />

E’ il settore che realizza i capitali più rilevanti. La gestione<br />

del traffico della droga ha dato origine ad una situazione<br />

conflittuale originata dall’incapacità dei clan di raggiungere un<br />

accordo tra di loro.<br />

Estorsione.<br />

Il fenomeno, sempre in crescita, ha raggiunto dimensioni<br />

impressionanti. Qui sono presenti addetti anche part time.<br />

Il numero degli addetti è stimato attorno alle 10.000 unità.


Contrabbando di armi.<br />

È un settore continuamente in crescita, esploso con il crollo<br />

del regime comunista nei paesi dell’Est. In origine si incanalava<br />

dalle coste albanesi. Successivamente anche da Serbia e<br />

Montenegro.<br />

I finanziamenti alle banche russe a corto di denaro, spesso<br />

come contropartita parziale hanno alimentato questo canale<br />

logistico commerciale che sfrutta la struttura consolidata, ma<br />

flessibile dei tabacchi lavorati esteri, della droga e degli<br />

anabolizzanti.<br />

Contrabbando di merce rubata.<br />

I TIR vengono svuotati sistematicamente a centinaia da<br />

bande organizzate, non solo nell’area campana, ma in molte altre<br />

zone del Paese, e che provvedono alla collocazione del prodotto<br />

sul mercato. Per il riciclaggio delle auto rubate oltre ai<br />

collegamenti nazionali esistono punti di vendita europei ed<br />

extraeuropei.<br />

Inoltre, il traffico di merce rubata è spesso associato<br />

all’attività estorsiva.<br />

Le attività sopra menzionate rientrano nella sfera delle<br />

attività illecita.<br />

Esse però non esauriscono il campo d’azione camorristica, e<br />

vanno tenute presenti anche altre attività legali, ma gestite nei<br />

modi e nelle forme illegali, che qui di seguito sommariamente<br />

vengono elencate:


Attività legali gestite in modi e forme illegali.<br />

Imprese edili abusive.<br />

Costruiscono senza autorizzazione per l’esercizio<br />

dell’attività, cioè senza iscrizione alla Camera di Commercio e al<br />

Collegio dei Costruttori, e senza licenza edilizia. A Napoli,<br />

nell’area metropolitana, negli ultimi cinque anni sono stati<br />

costruiti oltre un milione di vani senza licenza, da ditte abusive.<br />

Imprese di trasporto abusive.<br />

Imprese che operano nel settore del trasporto merci, ma<br />

anche in quello passeggeri.<br />

Imprese di questo tipo controllano il trasporto extraurbano,<br />

almeno per il 30%.<br />

Il movimento terra, collegato all’edilizia abusiva, è<br />

completamente gestito in forme abusive.<br />

Contraffazione e imprese produttive abusive.<br />

I settori produttivi delle calzature, pelletterie,<br />

abbigliamento, scatole di cartone, ecc., sono attività sommerse ed<br />

abusive. Le modalità di sfruttamento della mano d’opera, a<br />

domicilio e non, insieme con quelle della gestione delle attività,<br />

oltre alla provenienza dei capitali, s’identificano come vere e<br />

proprie imprese criminali.<br />

Anche l’attività di questo settore è collegata a quello<br />

dell’estorsione, del contrabbando e dello sfruttamento della<br />

prostituzione. E’ anche capitato che soggetti arrestati o<br />

ammazzati per attività collegate al traffico della droga, risultino


esercitare anche l’attività di imprenditori. In pratica un<br />

riciclaggio produttivo.<br />

Naturalmente la contraffazione, che interessa quasi tutti i<br />

settori manifatturieri, produce ricambi aeronautici e<br />

automobilistici, apparecchi elettrici, medicinali, giocattoli.<br />

Cybercrimine.<br />

L’enorme sviluppo dei new media, negli ultimi anni ha<br />

prodotto un criminalità informatica preoccupante.<br />

Dai dati processuali e dall’esperienza acquisita dalle forze<br />

dell’ordine, risulta che la criminalità organizzata, in questo<br />

settore svolge un ruolo di primo piano, gestendo la fase della<br />

produzione e della successiva distribuzione dei beni illecitamente<br />

riprodotti (compito questo che viene riservato prevalentemente ai<br />

venditori extracomunitari) lucrando facili guadagni che vengono<br />

successivamente riciclati.<br />

In Campania, per la duplicazione illegale e la diffusione di<br />

prodotti musicali contraffati, sono stati effettuati 1.334.701<br />

sequestri di duplicatori, che rispetto alle altre regioni è al primo<br />

posto.


12. Analisi antropologica<br />

Assumere un’ottica antropologica della camorra, secondo<br />

alcuni antropologi,1 significa prima di tutto sgombrare il campo<br />

dai luoghi comuni particolarmente quelli che condizionano la<br />

nostra visione delle organizzazioni criminali meridionali.<br />

Soprattutto per l’idea personale che ci facciamo giorno dopo<br />

giorno, con informazioni dirette o riferite, di una camorra<br />

escrescenza, cancro da estirpare, con una terminologia sanitaria,<br />

in cui si contrappone un corpo sano ad una parte malata.<br />

Per questo motivo, del fenomeno, ci creiamo una figura<br />

mostruosa non riconducibile alla normalità.<br />

Si crea in questo modo un’antropologia della<br />

contrapposizione, che distinguendo in maniera netta il “nostro”<br />

dal “loro”, diviene fuorviante.<br />

Nell’osservare il fenomeno camorra dobbiamo creare uno<br />

stato di coinvolgimento, partendo dal presupposto che si sta<br />

parlando di qualcosa che interessa ognuno di noi, non come<br />

individui, ma come intera società.<br />

Così facendo, possiamo trovare più facilmente linee<br />

d’intervento efficaci, senza limitarci ad azioni che dopo una<br />

fiammata iniziale, siccome sono troppo impegnative, durano<br />

sempre.______________________________________________<br />

1. Fonte: Fenomenologie della camorra. Lo sguardo dell’antropologo<br />

sulla criminalità organizzata. Intervista al professor Luigi Maria Lombardi<br />

Satriano.<br />

Autore: Gianluca Limatola-Paolo Graziano.


Per dare la giusta idea di quale deve essere il<br />

comportamento idoneo per affrontare questo compito, Lombardi<br />

Satriano, cita Madre courage di Berthod Brecht. C è un episodio<br />

nel quale un soldato protesta per un’ingiustizia subita e madre<br />

courage gli chiede se lui sente una rabbia forte, perché la rabbia<br />

forte è destinata ad esaurirsi in breve tempo: quello che ci vuole<br />

invece è una rabbia lunga, che lasci emergere l’indignazione e si<br />

trasformi in impegno etico politico.<br />

Possiamo condividere l’esigenza di un impegno estremo<br />

nella ricerca dei dati della realtà ed accettarli, ma la capacità di<br />

analisi del fenomeno, se non l’hanno mostrata attraverso il tempo<br />

studiosi abituali del settore, com’è possibile che si possa arrivare<br />

a comprenderne una realtà che muta al mutar del tempo e delle<br />

condizioni.<br />

L’idea che la camorra abbia, come le altre organizzazioni<br />

criminali una onnipervasività - che poi è quella caratteristica che<br />

ho in altra parte già definita ubiquitarietà - ed una capacità di<br />

adeguare i campi d’interesse dove volta a volta si delinea la<br />

possibilità del maggiore profitto, occupando settori<br />

precedentemente trascurati perché poco produttivi o inesistenti e<br />

che per le mutate condizioni socio-economiche globali, dovute al<br />

diverso assetto geografico-politico, derivante dalla frantumazione<br />

politica di aree geograficamente rilevanti, assumono una<br />

appetibilità economica sufficiente per mettere in funzione il<br />

nuovo canale di attività.


Lo sfruttamento della prostituzione delle straniere è una<br />

delle attività maturate con il disfacimento degli originari stati<br />

dell’Est e l’abbattimento delle frontiere con il libero ingresso<br />

nella CE, nonché dalla trasformazione albanese-kosovara e dalla<br />

migrazione delle popolazioni di colore stabilitesi nell’area<br />

campana, in particolare sulla zona domiziana.<br />

Il fenomeno delle ecomafie che anche se portato solo ora<br />

alla ribalta dal disagio fisico e mentale che ha coinvolto non solo<br />

la Campania, ma anche tutto il resto del Paese, almeno<br />

emotivamente, e forse anche economicamente, visto che<br />

situazioni disastrose, in genere si risolvono col sacrificio di tutti,<br />

come se fosse un disastro o una calamità naturale, ha una portata<br />

e una dannosità ambientale molto più rilevante di quella<br />

percepita, stante la pratica dell’occultamento delle scorie<br />

radioattive nell’ambito campano ed in quello limitrofo.<br />

Con l’indagine ebano, portata avanti negli anni ’90 dai<br />

carabinieri, fu dimostrato uno smaltimento illegale di rifiuti solidi<br />

urbani provenienti dalla Lombardia per 60.000 tonnellate,<br />

occultate nelle cave e nei terreni abbandonati dell’Abruzzo.<br />

Ma lo scempio più assoluto è stato fatto sulle loro terre, la<br />

cui fertilità e la loro salubrità sono un lontano ricordo.<br />

Che non ci si possa fermare alla conoscenza che viene<br />

acquisita in un determinato momento è cosa scontata e<br />

comprensibile, perché la camorra non è un ente immutabile ed<br />

indistruttibile, ma è in uno stato di continua reazione, attivata dal<br />

catalizzatore economico, senza preclusione di indirizzi.


Tuttavia le conoscenze acquisite attraverso studi pregressi<br />

ci aiutano a comprendere il fenomeno, a confrontarlo, ben<br />

sapendo che l’evoluzione del fenomeno non ha un verso certo e<br />

può assumere in qualsiasi momento, una configurazione diversa.<br />

La caratterizzazione multinazionale di cui si pone adesso in<br />

evidenza l’esistenza, parte e si consolida da una vecchia ma<br />

dinamica struttura, che da un iniziale apparato logistico-<br />

commerciale collaudato e raffinato nel tempo, anche a livello<br />

internazionale e mondiale, con una fitta rete capillare di<br />

distribuzione (in proprio o in subappalto ad altre mafie:<br />

l’albanese, la nigeriana ) come il contrabbando delle sigarette, i<br />

cosiddetti tabacchi lavorati esteri, idonea e sovrabbondante a<br />

veicolare attraverso i suoi canali ogni sorta di merce aggiuntiva:<br />

droga, medicinali, anabolizzanti, armi e qualsiasi altra cosa.<br />

In altre parole, si tratta di un sistema logistico-<br />

commerciale-distributivo avanzato, che non si lascia smantellare<br />

facilmente; perché oltre agli addetti intermedi, dispone di<br />

personale con formazione specialistica e professionale adeguata:<br />

I figli dei camorristi come quelli delle altre organizzazioni<br />

mafiose studiano, si laureano, lavorano nell’amministrazione<br />

pubblica, dalle Imposte, all’Esercito, alla Magistratura,<br />

esercitano la loro attività nella Sanità come medici, operano nelle<br />

banche come dirigenti o funzionari. Sono nella nostra società,<br />

non separabili dal corpo sociale cui tutti apparteniamo, e che non<br />

è una società dell’altro, ma del noi.


Questa inclusione strutturale nel tessuto sociale, condiviso<br />

anche inconsciamente dal normale cittadino con i camorristi, ci<br />

porta a frequentare - questo tessuto sociale - a volte anche non<br />

casualmente, ma occasionalmente, perché contiguo e in qualche<br />

modo omogeneo ai nostri valori, specie quando la base culturale<br />

è la stessa, ed è quella che idealizza il successo anche a costo<br />

della sopraffazione, e si amplia occupando il potere legale e<br />

quello politico.<br />

I messaggi che quotidianamente arrivano tramite i media,<br />

dagli strati sociali politicamente più elevati, senza distinzione di<br />

appartenenza politica, autorizza ed incentiva un comportamento<br />

edonistico disinvolto e meno attento agli aspetti morali.<br />

La prevaricazione e la riduzione degli spazi concessi ad<br />

altri, la violazione delle regole della convivenza, l’idea che un<br />

vantaggio per sé e per la propria famiglia valga il sacrificio di un<br />

patto di coesione sociale con soggetti altrimenti da evitare, sono<br />

il brodo di coltura della mentalità camorristica.<br />

Nel ristretto spazio urbano comune è difficile evitare che il<br />

sistema dei valori che governa l’attività quotidiana dei cittadini<br />

non camorristi, non coincida con quello dei camorristi,<br />

specialmente quando la linea di demarcazione culturale e<br />

psicologica non è sufficientemente profonda.<br />

L’ambiguità strutturale generalizzata, che non consente di<br />

orientarsi coscientemente nelle azioni della vita quotidiana, dalle<br />

più semplici e naturali a quelle più ragionate, pone il soggetto<br />

sano in condizioni di netta inferiorità nell’utilizzazione della sua


sfera ambientale, rispetto al camorrista che conosce livelli di<br />

collaborazione, connivenze e collusioni della sfera pubblica<br />

politica e amministrativa e lo agevolano nell’esercizio delle sue<br />

attività.<br />

Quando si afferma che la facile invasione della camorra<br />

nelle zone del sociale, percorrendo le linee di minore resistenza,<br />

deve aver beneficiato di più agevolazioni ambientali, si corre il<br />

rischio di colpevolizzare chi non ne ha ostacolato il cammino per<br />

il semplice fatto che il suo percorso era diverso.<br />

I Corrotti, che continuano ad occupare il loro posto nei<br />

gangli vitali delle Amministrazioni, questo problema non se lo<br />

sono posto né se lo porranno mai, perché per loro la condizione<br />

che vivono è un punto di arrivo, una conquista forse capitata per<br />

caso od anche fortemente e volutamente cercata.<br />

Anche a Napoli, dicono: qualità di persona.


12.1 Gli studi Lombrosiani.<br />

Sul finire dell’Ottocento non mancavano gli studi sulla<br />

criminalità organizzata.<br />

Mentre sulla mafia gli studi approdavano alla teoria<br />

sicilianista, interpretata magistralmente dall’avvocato Giuseppe<br />

Mario Puglia il quale sosteneva che il mafioso, “col fatto di<br />

contrarre con altri un pactum scelerum perderebbe<br />

automaticamente il carattere di mafioso, essendo evidente la<br />

confessione della sua incapacità individuale. Mafioso e associato<br />

sono pertanto termini che non possono esistere nello stesso<br />

individuo”. L’altra corrente culturale, alternativa ai sicilianisti, fu<br />

quella dell’antropologia criminale, fondata da Cesare Lombroso,<br />

che postulava la necessità di separare l’uomo criminale<br />

dall’uomo normale, fondando questa separazione “non sul<br />

sociale, ma sul fisico” sulla base di un atavismo biologico<br />

precedentemente sconosciuto”. La ricerca di Lombroso,<br />

Niceforo, Orano, Sergi ed altri minori, si concentrava su una<br />

serie di aspetti particolari dell’individuo, quali<br />

- la misura del cranio;<br />

- il peso del corpo;<br />

- l’esame dei capelli;<br />

- l’esame dei denti;<br />

- l’esame della cute;<br />

- l’esame dei peli;<br />

- l’esame delle unghie;


- l’esame delle orecchie;<br />

- l’alterazione della sensibilità.<br />

E sulla fisionomica, per cui i ladri avrebbero:<br />

- La mimica facciale mobilissima;<br />

- l’occhio piccolo errante, mobile, obliquo;<br />

- sopracciglia folte e ravvicinate;<br />

- naso torto e camuso;<br />

- barba scarsa;<br />

- fronte piccola e sfuggente.<br />

Gli omicidi, invece, avrebbero:<br />

- sguardo freddo ed immobile;<br />

- occhio sanguigno;<br />

- naso sovente adunco o aquilino;<br />

- Mandibola robusta;<br />

- zigomi larghi;<br />

- capelli neri crespi ed abbondanti;<br />

- denti canini sviluppati;<br />

- labbra sottili.<br />

Quindi i biondi ed i calvi non possono essere indicati nel<br />

novero dei possibili omicidi.<br />

Nell’analisi dei fenomeni criminali e mafiosi, venivano<br />

emarginate le cause economiche e sociali e la vicenda storica di<br />

quelle terre e delle classi dirigenti che avevano esercitato il<br />

predominio. Il periodo storico particolare, in cui si veniva a<br />

collocare la teoria lombrosiana, inducevano a ripiegare nella<br />

facile e consolatoria conclusione che le radici erano le condizioni


climatiche, l’abitudine al bere, l’inferiorità razziale dei<br />

meridionali. Nel 1986, l’avvocato Ciraolo Hamnett parlando<br />

della criminalità a Napoli, avesse ed in particolare della<br />

criminalità femminile, era convinto che la donna napoletana<br />

avesse una certa cristallizzazione etnica, per cui gli istinti<br />

primitivi appaiono e trionfano come in nessuna delle altre donne<br />

italiane.<br />

Nella cultura del tempo, la teoria lombrosiana ebbe uno<br />

spazio enorme. Lombroso fu il personaggio più importante ed<br />

organizzò una vera e propria scuola avvalendosi di medici e di<br />

giuristi. Ebbe un ruolo importante, affascinando socialisti,<br />

fascisti ed intellettuali importanti, riuscì a penetrare negli<br />

apparati carcerari e polizieschi, dove i lombrosiani ricoprirono<br />

cariche di rilievo e responsabilità. L’analisi di costoro verteva<br />

sulla “natura del meridionale” descritto come barbaro, asociale,<br />

passionale, feticista poco attaccato ai genitori, allo Stato e alla<br />

polizia, violento e incolto.<br />

L’impostazione razzista di Lombroso, Sergi, Rossi, Sighele,<br />

fu fortemente contestata da Colajanni, Salvemini e Cicciotti.<br />

Anche al Nord protestarono, ma in forma più attenuata.


13. Inquadramento sociologico.<br />

Il sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, dopo una serie<br />

interminabile di fatti di sangue e di arresti, affermava che la<br />

situazione, lungi dal migliorare, andava sempre peggiorando.<br />

Tanta crudeltà, negli omicidi, non si era mai vista prima,<br />

nemmeno tra serbi e kosovari. Cosa fare e come fare per porre<br />

fine a tutto questo. Finora non è stato possibile capirlo, ma<br />

certamente ci vogliono più uomini dell’intelligence, e meglio<br />

attrezzati, con mezzi tecnologici all’altezza della situazione.<br />

Era il 2005. Appariva ormai a tutti chiaro che i clan<br />

camorristici uccidevano più della mafia, più della ‘ndrangheta,<br />

più della sacra corona unita. Un primato certamente non<br />

invidiabile da nessuno.<br />

In cinque secoli ognuno ha proposto le sue ricette, per<br />

fronteggiare la lievitazione continua del crimine campano<br />

organizzato, e le letture fornite in chiave sociologica non sono<br />

mancate.<br />

Se diamo uno sguardo agli elementi più insidiosi del<br />

fenomeno, notiamo che anche quando i gruppi criminali hanno<br />

saputo far tacere le armi non sono stati inerti: nel Novecento la<br />

camorra ha provocato più scioglimenti di Consigli comunali di<br />

tutte le altre mafie italiane. In 14 anni, ne sono stati sciolti 59.<br />

Per naturale tendenza e per acquisita forma mentale, oltre ad<br />

avvertire un senso di fastidio ogni volta che apprendiamo notizie<br />

di gesta criminali, ci auguriamo che venga attuata una stretta


epressiva in grado di eliminare definitivamente una specie<br />

d’infezione in un corpo tendenzialmente sano.<br />

Purtroppo al livello attuale non è più un’infezione, ma una<br />

malattia conclamata che non lascia più vedere qual è la parte<br />

sana.<br />

Occorrerebbe poter disporre di una sorta di reazione<br />

colorimetrica di quelle che si usano nei laboratori di biologia, una<br />

colorazione di Gram, gigantesca, da poter calare dall’alto e in<br />

base all’esito: Gram + oppure Gram -. Questo si tiene e l’altro si<br />

combatte, si getta.<br />

Forse è meglio che una cosa del genere non si possa fare,<br />

perché temo che dopo secoli di sopravvivenza e di esistenza,<br />

nell’ombra e nella penombra della società civile, il mal di<br />

camorra abbia infettato anche i soggetti apparentemente sani.<br />

Uno degli aspetti più preoccupante del fenomeno<br />

“criminalità organizzata” è quello dell’avvenuta riconfigurazione<br />

legale di molti centri decisionali (persone e gruppi) dell’attività<br />

criminosa.<br />

Alla luce di questi dati, il problema del rapporto tra<br />

organizzazioni criminali e apparati amministrativi e decisionali<br />

dello Stato, deve essere affrontato in modo diverso.<br />

Le connessioni tra criminalità organizzata ed istituzioni,<br />

avvengono quasi esclusivamente, attraverso imprese, società,<br />

studi professionali forniti di tutti i requisiti della legalità, e quindi<br />

hanno una capacità di intervento, anche direzionale, sempre più<br />

articolata e differenziata.


Senza nasconderci dietro le parole del salvatore di turno,<br />

dobbiamo dare per consolidato il principio che la camorra è<br />

funzionale alla sopravvivenza della Campania invasa.<br />

Progetti sulla legalità per sensibilizzare gli alunni delle<br />

scuole, nascita delle fondazioni con nomi di vittime innocenti<br />

della violenza dei clan, iniziative anti racket, tutte intese a<br />

scuotere l’intera società campana contro la camorra, sono<br />

iniziative che si devono fare, ma sono pannicelli caldi.<br />

13.1 Considerazioni sulla società campana.<br />

A molto di più non servono nemmeno i discorsi autorevoli e<br />

con le migliori intenzioni.<br />

Nell’imperversare della faida di Secondigliano, il presidente<br />

della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi affidò un messaggio al<br />

quotidiano “Il Mattino”:<br />

“ Di fronte all’intensificarsi dei casi di criminalità, i<br />

napoletani non sono né rassegnati, né inerti: Questo è anche il<br />

mio stato d’animo, questo è il significato della mia presenza .<br />

Esiste un indubbio sociale ed economico, che coinvolge Napoli e<br />

l’intero Mezzogiorno. Napoli è in grado è in grado di affrontare<br />

questi problemi sulla base dei suoi valori, delle sue tradizioni,<br />

delle sue risorse. Ci vuole l’impegno di tutti: della cittadinanza,<br />

delle istituzioni centrali e locali, della Magistratura, delle forze<br />

dell’ordine, dell’imprenditoria. In una parola: dobbiamo anche in<br />

questo caso fare squadra […]. Dobbiamo ricreare quello spirito<br />

positivo nato dieci anni fa, in occasione del G7 […] (Napoli) è


una città che amiamo, che tutti gli italiani amano, che il mondo<br />

c’invidia. Sta in noi darle nuovo splendore”.<br />

Come risposta, una settimana dopo, a Secondigliano si<br />

ammazzavano di nuovo alla grande.<br />

A distanza di tre mesi Il “Washington post” scriveva, senza<br />

timore di smentite:<br />

“A Napoli imperversa una faida familiare. Se sei un<br />

gangster a Napoli, in questi giorni nemmeno tua mamma è al<br />

sicuro. […]. Negli ultimi cinque mesi, una serie di efferati<br />

omicidi ha dato nuovo significato all’adagio che ha reso famosa<br />

questa città sul mare “Vedi Napoli e poi muori”. Circa 135<br />

persone sono state uccise nella faida tra le organizzazioni<br />

criminali della città, circa 40 nelle vicinanze di Scampia,<br />

epicentro della violenza […]. Le predizioni sul declino della<br />

camorra sono state premature. Napoli è diventata la maggiore<br />

destinazione della droga e dei profitti che genera”.<br />

Mirabile descrizione di una situazione socialmente<br />

escrementizia.<br />

Non tiene conto però che il declino della camorra viene<br />

immancabilmente predetto da secoli e, per i ricordi più freschi,<br />

chi ci aveva provato a fondo, da Rattazzi a Mussolini, qualche<br />

risultato momentaneo lo aveva avuto, ponendo come si dice in<br />

sonno la camorra, mutuando il termine usato per la massoneria.<br />

E poi, l’ultima affermazione dovrebbe far riflettere.


Oggi, con la massa enorme e sempre in crescita di cittadini<br />

che fanno uso, sistematico e continuativo, di stupefacenti, è<br />

impensabile che il fatto logistico commerciale non trovi<br />

realizzazione dove il traffico illecito di sigarette tabacchi lavorati<br />

esteri è stato praticato, almeno in un certo periodo, con la<br />

benevola comprensione delle autorità.<br />

Infatti, in questa struttura che continua a canalizzare<br />

sempre i tabacchi lavorati esteri, è stata incanalata anche la<br />

droga.<br />

E per essere cattivi, il bisogno della droga, a quanto pare,<br />

non lo hanno solo i campani, ma anche tanti altri cittadini italiani.<br />

Così con la fornitura, a bun patt, a prezzo conveniente, del<br />

bene droga, vengono soddisfatti i bisogni di tutti i cittadini, non<br />

solo di quelli napoletani.<br />

Ma di questo non possiamo e non dobbiamo rallegrarcene.<br />

A proposito della descrizione del cronista, c’è da dire che<br />

l’articolo mirava a stimolare la conoscenza della versione<br />

napoletana della mafia, che esiste da tre secoli, con periodi<br />

contrasti e guerre che ne sono la norma.<br />

Le contraddizioni esistenti nella società napoletana, che non<br />

demerito e colpa del resto del Paese, emergono puntualmente<br />

quando esplode la guerra di camorra.<br />

Nello stesso ambito territoriale e sociale deve convivere di<br />

tutto: cultura e superficialità, benessere e miseria, connivenza e<br />

ribellione e, soprattutto, civiltà e barbarie.


Prima di rinunciare a capire fino in fondo la complessa<br />

realtà di Napoli e della provincia campana, è sempre utile<br />

studiare cos’è la camorra, com’è nata e cresciuta, ma tante cose<br />

che altrove sono solo paradossi a volte comici, in questa regione<br />

hanno un’altra valenza.<br />

La riflessione del Pm Giovanni Corona, ci aiuta a<br />

comprenderne le peculiarità:<br />

“C’è una circostanza che ha quasi il sapore di una beffa, di<br />

un feroce paradosso: la strada dove è stato arrestato Cosimo di<br />

Lauro si chiama via Miracolo a Milano, celebre film di Vittorio<br />

De Sica. A pochi passi c’è via Il Posto delle Fragole, pellicola di<br />

Ingmar Bergman. E ancora, sempre nel rione dei fiori a<br />

Secondigliano, c’è via dei Misteri di Parigi. Le strade di uno dei<br />

luoghi simbolo del degrado delle periferie rubano i nomi a film<br />

d’essai, libri d’autore, opere teatrali che sono punti fermi della<br />

nostra cultura. E il paradosso è che in questi quartieri non c’ è un<br />

cinema o un centro dove poter apprezzare, conoscere, scoprire<br />

questi capolavori”.<br />

A parte la fantasia, necessaria perché via Giuseppe<br />

Garibaldi o Mazzini, non si può piazzare dappertutto, e fare<br />

Garibaldi uno, due, ecc., se fosse solo per il furto dei nomi,<br />

senza) badare a spese, avvieremmo una causa di beatificazione<br />

ordine alfabetico per tutta la regione, privilegiando Bassolino e<br />

Rosa Russo Jervolino.<br />

Amato Lamberti, nel suo osservatorio sulla camorra,<br />

accanto all’individuazione di insufficienze strutturali del sistema


socio politico campano per fronteggiare il fenomeno camorra<br />

individua altre concause che agevolano ed hanno agevolato la sua<br />

affermazione.<br />

Dal mio punto di vista, dopo aver riflettuto su una<br />

situazione e su una condizione così complessa, ritengo che la<br />

permanente emergenza, non più endemica, (così oggi mi<br />

appare), possa essere curata soprattutto a parole.<br />

Con “meno fatti e più parole”, è l’espressione usata dal<br />

professor Luigi Maria Lombardi Satriani, dell’Università La<br />

Sapienza di Roma, senatore e membro della Commissione<br />

d’indagine sul fenomeno della mafia nella scorsa legislatura.<br />

Egli, nel contesto del discorso sulla possibilità di contrastare<br />

il fenomeno camorrista, rilevava la necessità di creare comitati di<br />

studio, di produzioni sistematiche sul tema, perché oltre a<br />

contrastare gli effetti dei comportamenti criminali, bisogna<br />

soprattutto individuarne le cause. E per fare questo occorre una<br />

specializzazione nell’osservazione delle associazioni malavitose,<br />

facendo un’analisi di più ampio respiro anche dei dati già in<br />

possesso degli inquirenti ma che vengono utilizzati per indagini<br />

circoscritte.<br />

Parlando di Napoli, l’idea dei comitati e delle commissioni,<br />

riporta alla mente addirittura quella di Saredo, la più acuta e<br />

completa, ma che alla luce dei mutamenti costituzionali<br />

intervenuti con le Regioni, va aggiornata mettendoci del nostro.<br />

La presenza di strumenti istituzionali, gestiti da politici<br />

infarciti di idee mal digerite e con una formazione


approssimativa e dilettantesca, e forse anche male intenzionati,<br />

annulla gli ipotizzati effetti positivi del decentramento<br />

amministrativo e dell’applicazione del principio di sussidiarietà<br />

tanto ridondante sulla bocca dei politici nazionali, soprattutto di<br />

Bassanini, (ai suoi tempi, s’intende), apparentemente convinti<br />

della bontà dei cambiamenti.<br />

I dubbi sulla bontà del decentramento amministrativo e di<br />

ogni altra specie, ordine e grado, sorgono proprio dal riscontro<br />

degli effetti perniciosi che tale cambiamento ha cagionato alla<br />

Società napoletana.<br />

I sociologi più attenti, e che vivono ed operano sul posto,<br />

come Amato Lamberti, hanno individuato, nell’incapacità di<br />

dirigere e controllare quel complesso di modificazioni avvenute<br />

nell’amministrazione pubblica, in conseguenza del<br />

decentramento politico-amministrativo e soprattutto all’aumento<br />

delle competenze degli Enti Locali, in ordine alla gestione dei<br />

programmi d’intervento e di spesa pubblica, una causa primaria<br />

di ampliamento e diffusione della criminalità organizzata.<br />

Le modifiche intervenute, hanno fatto diventare<br />

determinante il controllo delle amministrazioni locali e degli<br />

organismi decentrati di decisione politica e amministrativa per la<br />

quantità di denaro gestita, ma anche per le possibilità offerte di<br />

dirigere a fini utilitaristici il processo di decisione politica.<br />

L’intervento pubblico, con enormi risorse, ha consentito e<br />

consente, alle grosse organizzazioni criminali stabilmente<br />

infiltrate nelle strutture amministrative locali, di moltiplicare gli


intrecci tra crimine organizzato ed amministrazioni locali,<br />

rendendo sempre più inquinata la vita politica ed economica.<br />

Inoltre, la lotta per l’aggiudicazione di appalti edilizi,<br />

ospedalieri, scolastici, provvidenze al commercio, incentivi<br />

all’industria, attività di servizi di gestione, attivano una<br />

conflittualità sempre accesa tra le organizzazioni criminali, con<br />

un aumento del livello di pericolosità sempre più elevato.


13.2 Le età della vita.<br />

Dalle società primitive a quella contemporanea, le età della<br />

vita vengono suddivise in tre periodi: infanzia, età adulta,<br />

vecchiaia.<br />

Storicamente, le società tradizionali sono caratterizzate da<br />

una minima mobilità sociale, per cui i genitori educano i figli a<br />

succedergli, senza preoccuparsi della loro elevazione sociale.<br />

La società, suddivisa per classi, appare ordinata secondo<br />

l'età, e quindi una persona emerge come un sughero nell'acqua.<br />

Basta aspettare. È solo una questione di tempo.<br />

Nel tempo le cose sono decisamente cambiate, e lo sviluppo<br />

individuale dei figli trova uno spazio decisamente maggiore.<br />

Nella prima metà dell’Ottocento i bambini delle classi<br />

povere lavoravano a fianco degli adulti, tanto da poter essere<br />

impegnati in miniera.<br />

La comparsa di macchine in grado di svolgere un numero<br />

sempre più ampio e specifico di mansioni e la scolarizzazione<br />

obbligatoria, furono i fatti nuovi che consentirono di allontanare i<br />

più giovani dal mondo del lavoro.<br />

Nel 1968 Kenneth Keniston notava “che l’economia non<br />

richiede più l’opera dei fanciulli, degli adolescenti e, mano a<br />

mano che si va avanti, dei postadolescenti”.<br />

Tenere lontano i giovani dal mercato del lavoro rappresenta<br />

“un netto guadagno sociale, giacché permette un impiego più<br />

prolungato dei più anziani e consente ai giovani di apprendere “le<br />

capacità altamente tecnologiche richieste per mantenere il<br />

benessere”.


In una società che cambia con un dinamismo crescente, il<br />

prolungamento dell'attesa, prima dell'inserimento nel ruolo<br />

sociale più idoneo alle caratteristiche individuali, consente<br />

un'istruzione superiore più valida e permette un'analisi più<br />

completa del sistema nel quale si desidera trovare una stabile<br />

collocazione.<br />

Per una parte rilevante della popolazione, a Napoli, il<br />

processo di trasformazione sociale, a partire dall'ambito<br />

familiare, non ha conosciuto grandi mutamenti.<br />

Pare fermo all'inizio del Novecento, insensibile alla spinta<br />

futurista che propugnava una nuova estetica e una concezione<br />

della vita fondata sul dinamismo e sul progresso, recidendo il<br />

rapporto di continuità con le generazioni precedenti.<br />

Una parte della popolazione giovanile, conquistata dal<br />

progresso e dal cambiamento, ha acquisito quel bagaglio<br />

culturale estraneo alle generazioni precedenti, fatto di linguaggi e<br />

strategie.<br />

Il principio della non trasmissione generazionale è rimasto<br />

estraneo all'altra parte della popolazione, più gracile<br />

culturalmente ed angustiata dalla patologica carenza persino dei<br />

beni di sussistenza.<br />

Per loro, la struttura criminale camorristica offriva ed offre<br />

la più alta possibilità di affermazione e sopravvivenza.


13.3 Lo sviluppo diseguale.<br />

Il forte disagio sociale, aggravato dalla crisi economica<br />

globale, accresce, anche se non ce n'era proprio bisogno, la<br />

capacità della Camorra di permeare il tessuto sociale.<br />

con una aggressività particolarmente alta nelle zone dove la<br />

dispersione scolastica, la disoccupazione, il degrado del<br />

territorio, causano un'alta devianza minorile.<br />

In questo contesto, facile risulta l'arruolamento di adepti<br />

destinati dapprima nelle attività di manovalanza per essere<br />

inseriti, al termine di un periodo di osservazione e di prova delle<br />

loro capacità criminali, nell'organico della camorra.<br />

Naturalmente tutti gli ambiti di crescita del soggetto minore,<br />

che non rispondono all'esigenza della sua formazione sociale e<br />

morale, rappresentano bacini di approvvigionamento della<br />

malavita.<br />

Quando il bambino ha la sventura di nascere in una famiglia<br />

malavitosa, viene sottoposto ad un addestramento “full<br />

immersion” per l'esercizio dell'attività criminale, fin dalla prima<br />

infanzia.<br />

In questi casi l'assimilazione di linguaggio, gesti,<br />

comportamenti ed azioni violente, consente una più precoce e<br />

proficua utilizzazione operativa.<br />

E questa, da sempre, è la via più praticata.


Il camorrista mancato.<br />

Le cronache del maggio 2009, riportano le vicende della<br />

famiglia camorristica Orefice.<br />

Il camorrista ergastolano Giuseppe Orefice, capo<br />

dell'omonimo clan, dal carcere di Cuneo dov'è recluso in regime<br />

di 416 bis, il carcere duro, scrive al figlio primogenito Giovanni,<br />

ventitreenne.<br />

“Caro Peppe, come stai? Mi auguro di trovarti in ottima<br />

forma. Sia essa fisica che morale, come ti assicuro di me.<br />

Come vedi è da molto che non ti scrivo, ma come quasi<br />

sempre neanche tu scrivi neppure un rigo. Ma ciò non cambia<br />

niente, perché io ti voglio un gran bene. Forse tu non lo sai, ma io<br />

sono orgoglioso di te”.<br />

Vien subito da pensare: ma che carino! Un padre amorevole<br />

ed attento nei confronti del figlio lontano, in Campania, a Pollena<br />

Trocchia.<br />

Ma non è così. La lettera è una specie di decreto di nomina:<br />

un 'investitura di capo camorrista.<br />

Oltre all'incarico, conferisce al figlio il suo nome, Peppe,<br />

perché da quel momento dovrà essere come lui. Più precisamente<br />

dovrà impersonarlo non solo nel nome ma anche nei fatti, ai<br />

vertici del clan camorristico.<br />

Dovrà fare il capo, come il padre quando era in libertà.<br />

Dovrà dare ordini ai gregari, decidere le strategie, le alleanze.<br />

Stabilire l'attività degli associati. Premiare i meritevoli e gli<br />

obbedienti; castigare chi dissente oppure eliminali fisicamente.


associati.<br />

Un capo che dispone della vita e della morte dei suoi<br />

La lettera continua:<br />

“Prima di tutto da ora in poi ti chiamerò Peppe e dirò agli<br />

altri familiari di fare lo stesso perché prenderai il mio posto in<br />

famiglia”.<br />

S'intende, naturalmente, il posto nella famiglia camorristica,<br />

il clan.<br />

Fin qui le disposizioni di tipo enunciativo.<br />

Segue la parte più propriamente operativa:<br />

“Ora in questa mia voglio parlare con te più apertamente,<br />

perché sei un uomo e non più un ragazzino e per tale so che ti<br />

comporterai da Uomo ok?<br />

Devi continuare ad allenarti e dare tutto te stesso in<br />

allenamento e in partita, giocando per la squadra e con la<br />

squadra. Anche gli altri dovranno avere fiducia in te e tu in loro.”<br />

Questa, sostanzialmente, è la parte riservata alle<br />

raccomandazioni comportamentali: indicano una via ed un<br />

metodo nell'impegno costante, sistematico (allenarsi sempre),<br />

generoso e totale ( dare tutto te stesso in allenamento e in partita),<br />

ed il rispetto delle regole e delle persone.<br />

Prosegue poi con :<br />

“Ti dissi che ti regalavo il mio bracciale che ho sempre<br />

portato sul braccio destro da quando ero giovane e che in tanti<br />

avrebbero voluto. Appena ci vedremo dirò subito a tua madre di<br />

prenderlo e regalartelo”.<br />

Questa è la parte premiale.


Ed è anche quella più densa di significati emotivi.<br />

Il suggello di un patto d'onore è un premio.<br />

Ma non un premio qualsiasi.<br />

È il “suo” bracciale, simbolo del potere di capo camorra.<br />

È come la cessione di una parte del suo organismo, il fluire<br />

palpabile di una prerogativa unica ed irripetibile: l'autorizzazione<br />

all'esercizio del potere, lo scettro del comando.<br />

Ed è anche la pretesa di trasmettere uno stile di vita, quello<br />

del camorrista.<br />

Il profilo psicologico di un uomo, che aspira alla continuità<br />

della sua attività criminale, attraverso una specie di cordone<br />

ombelicale familiare è il segno dell'appartenenza ad un campo,<br />

quello sbagliato.<br />

Da questo tentativo di incoronazione non si comprende se il<br />

soggetto considerato<br />

ha coscienza della illiceità del suo operare.<br />

Forse è talmente assuefatto al suo “mestiere”, che il dubbio<br />

non lo ha mai sfiorato.<br />

Coloro i quali immaginavano un andamento lineare e<br />

consueto nel trapasso del potere, in questa occasione sono stati<br />

delusi.<br />

Nell'ambiente di mafia, in Sicilia, per indicare le<br />

caratteristiche personali, si parla di “qualità di persona”.<br />

Giovanni Orefice, figlio del capo camorrista Giuseppe, è<br />

una persona di grande qualità.<br />

First Quality, come dicono gli anglosassoni.<br />

Non ha avuto dubbi.


Aveva già fatto una scelta di campo, andando a vivere<br />

lontano da Napoli, onestamente.<br />

Non sarà l'unico, ma quanti figli di camorristi avrebbero<br />

fatto questa scelta?


13.3 Condizioni di miseria e di impotenza.<br />

Sergio Nazzaro, nel suo libro “Io, per fortuna c’ho la<br />

camorra” racconta della morte di Giovanna Curcio, una<br />

quindicenne arsa viva in uno scantinato, mentre confezionava<br />

materassi.<br />

Retribuzione giornaliera, 15 euro al giorno e nell’esercizio<br />

di queste attività<br />

Nel Sud, gli scantinati adibiti a fabbrica, sono una regola.<br />

Un ambiente così angusto e penalizzante, lo avevo riservato,<br />

nella mia mente, solo ai cinesi, minuti ed adattabili un pò come le<br />

blatte. Sopravvivono a qualsiasi ambiente.<br />

Ma la realtà che emerge da un’indagine più approfondita, è<br />

semplicemente scoraggiante.<br />

L’unica differenza tra i lavoratori indigeni e quelli cinesi, è<br />

quella che quando i cinesi muoiono non te ne accorgi perché<br />

vengono subito sostituiti. I morti vengono impilati nei containers<br />

- per far ritorno, così credono, pagando una tassa mensile di<br />

rimpatrio alla terra dei padri - ma prima depositati nel porto, in<br />

attesa di raggiungere il quantitativo ottimale per il trasporto.<br />

È accaduto in un piazzale del porto di Napoli che,<br />

inavvertitamente, uno di questi containers si sia aperto, perdendo<br />

gli ospiti stipati come stoccafissi, prontamente recuperati e<br />

risistemati.


I napoletani che muoiono sul lavoro hanno, nei confronti dei<br />

cinesi, un privilegio: i familiari li possono piangere subito e fare<br />

le tradizionali onoranze funebri.<br />

In un’epoca in cui il concetto di ergonomia diviene parte<br />

integrante del “fare”, è avvilente che nell’esercizio di queste<br />

attività ipogee, le autorità comunali, pagando il dovuto, hanno<br />

l’ardire di rilasciare regolari concessioni.<br />

Qualcuno riesce a trovare in queste situazioni e condizioni<br />

disperate, anche un aspetto positivo: hanno una grande utilità<br />

pratica, perché si nascondono alla camorra.<br />

Nel senso che il titolare paga sempre il pizzo ma, siccome è<br />

difficile stimare il lavoro quantitativamente svolto, è più facile<br />

nascondere gli utili, anche alla camorra.


14.0 Assuefazione<br />

Se per assuefazione intendiamo la mancanza assoluta di<br />

reazioni di disgusto per ogni ammazzamento e per ogni eclatante<br />

azione fatta da qualche folle totale, allora questa non esiste.<br />

Ma se intendiamo parlare dell’attività giornaliera di un<br />

cittadino normale, che per comodità chiamiamo Ciro, costretto a<br />

vivere in una società che di camorristico dovrebbe avere solo<br />

qualche inquinamento, perché la società civile sana dovrebbe<br />

essere la parte più consistente, e invece come abbiamo visto dalle<br />

dichiarazioni del professor Lombardo Satriani, nella città di<br />

Napoli, il 70% delle attività commerciali legali deriva da capitali<br />

riciclati, e che le attività sono gestite da affiliati alla camorra,<br />

vuol dire che nel suo muoversi o peregrinare per la città, se visita<br />

i negozi gira quasi sempre a casa di malavitosi.<br />

Se invece staziona in qualche ambito privato o pubblico,<br />

supposto sempre che quando esiste un movimento di denaro<br />

l’interesse della criminalità organizzata si può realizzare nel 70%<br />

dei casi, a parte il tempo che trascorre tra le mura domestiche,<br />

fuori, potrebbe capitare che il 70% del suo tempo lo passi in un<br />

ambiente camorristico.<br />

Alla sera, quando Ciro torna a casa, a parte i rodimenti<br />

personali, che possiamo definire fisiologici, se non ha avuto<br />

occasioni di contrasto, che a volte possono capitare anche per<br />

futili motivi, e anche se si imbatte in qualche discussione animata<br />

fra terzi, che potrebbero essere, appunto, camorristi, non<br />

manifesterà particolari reazioni di disagio.


Assuefazione psicologica.<br />

Se invece di Ciro, con le conoscenze che abbiamo acquisito<br />

in merito, anche senza voler assumere particolari forme di difesa<br />

psicologica, ogni volta che entriamo in uno dei negozi che ha<br />

visitato il nostro soggetto napoletano, o stazioniamo in un ambito<br />

pubblico o privato uguale a quello descritto sopra, e ci<br />

imbattiamo in una discussione come quella citata, a sera, quando<br />

torniamo a casa o in albergo, siamo presi da uno sturbo che<br />

fisiologico non è.<br />

Ciò vuol dire che lui è assuefatto e noi no.<br />

Quanto poi alle modifiche psicologiche, oggetto di studio<br />

soprattutto da parte di istituzioni che si occupano di indagare<br />

sugli effetti, negativi o positivi, che un certo ambiente -<br />

sicuramente diverso da quello che noi e la maggior parte degli<br />

abitanti del pianeta siamo abituati a frequentare - può generare<br />

nella psiche umana, è appurato che esse esistono, si verificano, e<br />

non sono sempre di segno negativo ai fini pratici.<br />

Sono note in proposito le indagini scientifiche condotte da<br />

medici interessati alla cura della salute dei soldati italiani<br />

impegnati in tutte le zone dove, anche se non sono in corso<br />

conflitti continuativi, occasionalmente si può attivare il<br />

combattimento.<br />

Il fatto che la lotta non è attiva tutti i giorni, continuamente,<br />

non deve far ritenere che i motivi ansiogeni e di insicurezza cui<br />

sono sottoposti i soggetti interessati, siano assenti.


E se non sono maggiori, sono perlomeno uguali.<br />

Tra i soldati italiani impegnati in queste aree ad elevato<br />

rischio, una quota molto alta proviene dalle zone inquinate dalle<br />

mafie.<br />

L’adattamento psicologico acquisito, soprattutto da soggetti<br />

originari del territorio campano, li rende più idonei anche alla<br />

lotta armata regolare.<br />

Gli psicologi evoluzionisti sostengono che la mente<br />

dell’uomo moderno è la stessa degli uomini dell’età della pietra,<br />

ma è sicuramente sbagliato, perché si è dovuta adattare prima<br />

all’agricoltura e poi alla vita urbana, così come è accaduto per la<br />

continua evoluzione fisiologica di adattamento.<br />

E poi, una delle conoscenze ereditate da Darwin è che la<br />

mente umana si è evoluta con un processo adattativo.<br />

Assuefazione fisica.<br />

Più che di assuefazione fisica dobbiamo parlare di<br />

cambiamenti fisici collegati al mutato equilibrio psicologico,<br />

indotti dall’ambiente.<br />

Gli studi di cui sopra menzionati hanno consentito di<br />

appurare che i giovani provenienti dalle zone dove il conflitto<br />

della malavita organizzata è più attivo, hanno subito una<br />

mutazione genetica che ha prodotto un minore sviluppo di una<br />

parte del muscolo cardiaco, che li rende meno fragili e più idonei<br />

al conflitto armato regolare.


Assuefazione ed adattamento ad un ambiente criminogeno<br />

permanente.<br />

A 150 anni dalla pubblicazione dell’origine delle specie, e a<br />

200 anni dalla nascita del grande naturalista, la teoria di Charles<br />

Darwin, è più attuale che mai.<br />

Le prove: a Kabul, partendo da Napoli.<br />

14.3 Assuefazione biologica.<br />

L’assuefazione biologica, così come viene comunemente<br />

intesa, è la risposta degli organismi viventi agli stimoli<br />

dell’ambiente, protratti nel tempo.<br />

E la risposta non può che materializzarsi con modifiche<br />

genetiche atte a rendere l’individuo più idoneo a vivere<br />

nell’ambiente circostante.<br />

Si manifesta all’esterno con l’assuefazione psicologica e<br />

quella fisica.<br />

Quella biologica determina in maniera permanente le<br />

manifestazioni psicologiche e fisiche, stante il cambiamento che<br />

si verifica nel genoma.


15.0. Statistica della criminalità camorristica.<br />

Un dato, che da solo potrebbe aprire e chiudere<br />

l’argomento, ci viene fornito dagli Atti parlamentari delle<br />

Camere della XIII legislatura.<br />

Il relatore, senatore Satriani, antropologo, che abbiamo già<br />

conosciuto nel capitolo riguardante l’analisi antropologica,<br />

riferisce che nella sola città di Napoli si presume che il 70% delle<br />

attività commerciali siano gestite da imprenditori delle holding<br />

criminali, e che il controllo amministrativo sulla regolarità di<br />

molti servizi è carente o del tutto inadeguato.<br />

Però possiamo già fare alcune considerazioni.<br />

Se le attività commerciali, regolari, lecite, affondano le loro<br />

radici nel terreno finanziario camorristico invisibile, non si<br />

capisce cosa potrebbe fare anche un servizio efficiente ed<br />

adeguato alle funzioni da svolgere.<br />

Il problema, a riciclaggio del denaro avvenuto, non è più<br />

tale: è solo un enunciato sterilizzato, perché non avendolo<br />

affrontato nei modi e soprattutto nei tempi opportuni, non ci si<br />

può fare più nulla.<br />

Concordemente viene ritenuto che la camorra è insieme<br />

causa ed effetto del degrado della città di Napoli.<br />

Tenendo conto del fiume di denaro che, ripulito, viene<br />

immesso in attività commerciali o produttive lecite, il compito di<br />

chi deve fare qualcosa deve cominciare prima; prima che si formi<br />

la ricchezza illecita.


Si deve cominciare a livello operativo, impedendo che si<br />

estorca denaro a chi lavora e non ne può più, che non si venda la<br />

droga, che non si vendano le sigarette di contrabbando, che non<br />

ci si prostituisca, o perlomeno non si sfrutti la prostituzione, che<br />

non si pratichi l’usura, che non si commercino le armi, i prodotti<br />

contraffatti, ecc.<br />

Ci fermiamo qui, non perché non ce ne siano altri, ma per<br />

non superare i dieci Comandamenti.<br />

Tornando alle statistiche, i dati dell’attività criminale che<br />

creano più disagio immediato, sono quelli legati ai fatti di<br />

sangue.<br />

La caratteristica organizzazione della camorra cittadina<br />

frammentata, non verticistica, organizzata per clan o famiglie<br />

camorristiche, proprio perché il numero dei clan raggiunge le 200<br />

unità, si regge su equilibri di potere che in un ambiente caotico<br />

obbediscono a una specie di miracolo permanente, perché ci<br />

scappa meno di un morto al giorno.<br />

C’è chi vuol fare sempre riferimento alla mafia, a Cosa<br />

Nostra; ma è un’altra cosa.<br />

Sono convinta che se Riina o Provenzano avessero avuto<br />

un’attività nell’area urbana di Napoli, solo perché parlavano poco<br />

avrebbero passato la nottata, altrimenti…<br />

Le 200 famiglie camorristiche, con migliaia di affiliati, nello<br />

svolgimento quotidiano (diurno e notturno) dell’attività<br />

“lavorativa”, nel corso degli anni, hanno dovuto affrontare anche<br />

tanti contrasti che sono sfociati in fatti di sangue.


15.1 La quantità, una costante.<br />

Le notizie che apprendiamo giornalmente sulle famiglie<br />

camorristiche, nonostante piccoli cambiamenti, ci danno l’idea di<br />

una continuità e di una conservazione numerica nel tempo<br />

pressoché intatta, come si può rilevare dalla descrizione delle<br />

caratteristiche dei clan associati e della loro collocazione<br />

geografica. Una attività costante e con ammazzamenti variabili in<br />

modo continuo, ma entro un certo campo.<br />

Per non tirare fuori i dati degli omicidi a Napoli e provincia,<br />

dalle origini ai tempi nostri, cominciamo dal 1980.<br />

_____________________________________________<br />

Anno: 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986<br />

Morti: 134 193 264 204 155 155 107<br />

Anno: 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993<br />

Morti. 127 168 228 222 223 160 120<br />

Anno: 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000<br />

Morti: 115 148 147 130 132 91 118<br />

Anno: 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007<br />

Morti: 80 63 83 139 90 97 121<br />

Anno: 2008 2009<br />

Morti: 67 22<br />

________________________________________________


Il fronte delle alleanze e dei conflitti, oltre all’attività<br />

economica, è sempre attivo.<br />

Se in una determinata zona, dove il clan esercita la sua<br />

attività, il suo potere viene messo in discussione da un altro clan,<br />

il contrasto si risolve quasi sempre con omicidi e agguati<br />

intimidatori. I dati sopra riportati, evidenziano che nel periodo<br />

considerato il numero di omicidi non è mai sceso sotto le 63<br />

unità e non ha mai superato i 264 morti. Nell’ambito di uno<br />

stesso clan, se alcuni componenti rivendicano una loro autonomia<br />

e si mettono in proprio, negando di fatto una parte degli introiti al<br />

capoclan, la faccenda si risolve sempre con le armi.<br />

Accadde nel 2004-2005, con la faida di Scampia, nel clan<br />

Di Lauro, del boss Paolo Di Lauro, detto Ciruzzo ‘o milionario.<br />

Nelle aree di maggiore interesse economico, non si contano<br />

le frizioni e le contese tra decine di gruppi. Tra il 2005 ed il<br />

2006, scoppiò la guerra tra il clan Misso del rione Sanità ed<br />

alcuni scissionisti capeggiati dal boss Salvatore Torino, vicino al<br />

clan di Secondigliano, e che causò 15 morti. La zona più<br />

oppressa dai gruppi criminali è quella a Nord della città. Tra i<br />

quartieri di Secondigliano, Scampia, Piscinola, Miano e<br />

Chiaiano, il cartello predominante è quello detto di<br />

Secondigliano, composto dalle famiglie Licciardi, Contini,<br />

Prestieri, Bocchetti, Bosti, Mallardo, Lo Russo e con gli stessi Di<br />

Lauro a fare da garanti esterni. Spesso per placare venti di guerra<br />

tra le diverse famiglie, gli uomini di Ciruzzo ‘o milionario, si


sono interposti tra i contendenti nelle liti sorte tra le famiglie per<br />

evitare esiti cruenti.<br />

Nelle zone centrali della città, centro storico, Forcella, è<br />

solida l’alleanza tra i clan Sarno, Misso e Mazzarella, che<br />

controllano tutta l’area Est di Napoli, dal centro della città fino a<br />

Ponticelli, facilitati dal crollo del clan Giuliano, di Forcella, i cui<br />

maggiori esponenti, i fratelli Luigi, Salvatore e Raffaele<br />

Giuliano, hanno cambiato mestiere: sono diventati collaboratori<br />

di giustizia.<br />

L’altra zona calda di Napoli, le zone del quartiere<br />

Montecalvario, note sotto il nome di “Quartieri Spagnoli”, oggi<br />

regna la calma, ma all’inizio degli anni novanta vi furono faide<br />

tra i clan dei Mariano, detti i picuozzi, e dei Di Biasi, detti i<br />

faiano, e tra lo stesso gruppo Mariano e un gruppo interno di<br />

scissionisti, capeggiati dai boss Salvatore Cardillo, detto<br />

Bekenbauer, e Antonio Ranieri, detto Polifemo, morto<br />

ammazzato. La calma attuale è agevolata anche dal fatto che i<br />

boss storici sono stati arrestati o ammazzati.<br />

Anche la zona occidentale della città è sottoposta alla<br />

pressione di un numero consistente di clan camorristici.<br />

La zona più calda comprende i rioni Traiano, Pianura,<br />

Bagnoli ed il quartiere Vomero, per anni considerato quartiere -<br />

bene della città e considerato immune dalle azioni dei clan. Oggi<br />

questa zona è preda di almeno quattro clan in guerra fra di loro, e<br />

in più vi sono orde di ragazzini provenienti da altre zone della


città che di notte, aggregati in baby gang, si recano in quella zona<br />

per compiere rapine e violenze di ogni genere.<br />

Nella zona di Fuorigrotta, Bagnoli, Agnano e Soccavo,<br />

domina il cartello Nuova Camorra Flegrea, oggi indebolito da<br />

decine di arresti con il blitz delle forze dell’ordine messo a segno<br />

nel 2005, a seguito delle rivelazioni del collaboratore di giustizia<br />

Bruno Rossi, detto il corvo di Bagnoli.<br />

A Pianura, in passato, c’è stata la faida tra i clan Lago -<br />

Contino - Marfella, che ha provocato tanti omicidi, compresi<br />

quelli di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, appena ventenni, uccisi<br />

per errore da un gruppo di fuoco del clan Marfella, perché<br />

stazionavano sotto la casa di Rosario Marra, genero del capoclan<br />

Piero Lago, ed erano perciò considerati “sospetti”.<br />

Numerosi sono i comuni della Provincia in mano ai gruppi<br />

camorristici, sia per le tradizionali attività di estorsione, usura,<br />

traffico di droga, sia per l’attività delle amministrazioni comunali<br />

e le decisioni politiche. A conferma dell’inquinamento<br />

camorristico in atto, i comuni sciolti per infiltrazioni<br />

camorristiche, sono numerosi. La zone più sottoposte al potere<br />

camorristico è quella che comprende i comuni di Castellammare<br />

di Stabia, Torre del Greco, Torre Annunziata, Somma Vesuviana,<br />

San Giuseppe Vesuviano e San Gennaro Vesuviano.<br />

Tra le altre province della regione, l’unica concorrenziale<br />

con la Provincia di Napoli, in fatto di criminalità organizzata, è<br />

Caserta, dominata dal clan dei Casalesi, un cartello con attività<br />

malavitose esercitate anche a livello internazionale (come hanno


potuto accertare la Direzione Investigativa Antimafia e La<br />

Direzione Distrettuale Antimafia di Caserta e Napoli), che vede<br />

unite nella gestione dei loro affari, le famiglie camorriste<br />

Schiavone e Bidognetti, che hanno ereditato il potere di Antonio<br />

Bardellino, accoppato in Brasile, e dalle altre famiglie alleate che<br />

fungono da referenti per le altre province.<br />

La giustizia in questi ultimi tempi ha intensificato gli arresti<br />

di gruppi di appartenenti al vari clan, come nel caso di Vincenzo<br />

Licciardi, considerato capo dell’alleanza di Secondigliano,<br />

avvenuto il 7 febbraio 2008. Nel mese di giugno del 2009, sono<br />

stati arrestati numerosi esponenti del clan Vollaro di Portici.<br />

La ferocia nel delitto, un’eredità dell’antica Grecia.<br />

Più precisamente, la ferocia negli ammazzamenti è un<br />

insieme di elementi ereditari lasciati dai popoli mediterranei, dai<br />

Greci, dai Cartaginesi dai Fenici, dai Romani e da tutte le<br />

popolazioni dell’Italia Meridionale ed Insulare che hanno<br />

tesaurizzato queste usanze. Basta fare mente locale alla geografia<br />

del crimine in Italia, ed alle modalità di esecuzione, per rendersi<br />

conto che tra mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita,<br />

esiste un monopolio del crimine, che viene eseguito sempre con<br />

azioni eccedenti le necessità omicide.<br />

Senza andare tanto indietro nei tempi, si rievocare l’epoca di<br />

Raffaele Cutolo, della Nuova Camorra Organizzata, con una<br />

capacità criminogena operativa agghiacciante, dal cuore estratto<br />

dai corpi alla decapitazione del criminologo Aldo Semerari,


dall’uccisione del capo zona della NCO Alfonso Rosanova e<br />

della moglie che era sul procinto di fare denunce. Ma la cosa più<br />

insopportabile è la pretesa di poter nutrire pietà per un bimbo cui<br />

ha ammazzato papà e mamma, e dedicargli una poesia.<br />

Oggi tutti i gruppi di fuoco attivi in ogni zona della<br />

Campania, soprattutto nelle zone di Secondigliano, Scampia,<br />

ecc., quando fanno qualche “esecuzione”, sembra che vogliano<br />

fare letame dei corpi delle vittime, che non sono più solo<br />

avversari in grado di replicare, ma anche giovani donne e<br />

bambini.<br />

15.3 L’organizzazione “frattale”della camorra, elemento<br />

di resistenza ad ogni tentativo di cura legale.<br />

Siccome l’avevo sempre immaginata così, come i frattali del<br />

matematico Mandelbrot, una figura geometrica che si ripete tante<br />

volte quante se ne vuole, allo stesso modo, dopo aver indagato<br />

per tanto tempo sui documenti che ho avuto modo e necessità di<br />

consultare, per affetto alla definizione già stabilita nel titolo e per<br />

la convinzione che elasticizzando il concetto, un frattale spurio<br />

potrebbe andare bene. Sta di fatto che la camorra ha un suo<br />

tessuto, coerente a quello sociale, che non lo combatte ma lo<br />

parassita, e che non ammette disattenzioni o rallentamenti<br />

nell’azione di studio e di contrasto. Oramai il vecchio adagio<br />

“prevenire è meglio che curare” per la camorra non ha più valore.<br />

L’idea che alla fine si consolida, è che la camorra sia una specie<br />

di Organismo Geneticamente Modificato, fuoriuscito dal vaso di


Pandora, incautamente aperto, nel 1860, da don Liborio Romano,<br />

e che ha trovato nella società Campana, caratterizzata da<br />

contrasti e contraddizioni, da opulenza e miseria, l’humus più<br />

fertile per la sua crescita incontrollata.


17.0 Le donne di camorra.<br />

L’immagine ed il ruolo della donna all’interno<br />

dell’organizzazione camorristica ha subito un’evoluzione<br />

costante, attraverso vicende diverse ed alterne fortune, dalla<br />

donna con una posizione ancillare, comunque subalterna ai<br />

componenti maschili del gruppo malavitoso.<br />

Si parte da quando, non di rado, stando in una di quelle<br />

leggiadre trattorie che si vezzeggiano tra pergolati d’ellera e viti<br />

sul lido del mare o civettano con le loro belle verande candide e<br />

snelle, tra il denso frascame che profuma i colli partenopei,<br />

accade vedere ad una grande tavola appartata, sonante di risa, di<br />

bicchieri e di canzoni, una folla di popolani, i quali ad un tratto<br />

sorgono in piedi e uno per uno si recano a deporre, con religiosa<br />

compostezza, un bacio o due sulla fronte o sulle gote di un loro<br />

convitato, che resta seduto. Essi dicono che quello è il bacio<br />

fraterno scambiato con un cresimato di fresco con il compariello<br />

dell’anfitrione che presiede il banchetto: trattasi, invece, della<br />

cerimonia del battesimo di un neo camorrista o dell’esaltazione<br />

di uno di essi a un grado superiore. E non è improbabile che quel<br />

Singolare battesimo abbia avuto, qualche giorno prima, il<br />

preludio di un’abluzione di sangue.<br />

A tutte queste cerimonie non partecipano le donne, o se<br />

qualcuna ne è invitata per circostanze irrecusabili, essa ignora di<br />

che precisamente si tratti.


La donna è esclusa dalle fila regolari della camorra; essa è<br />

un oggetto di sfruttamento della malavita, uno strumento di essa,<br />

un cespite, non già un elemento essenziale.<br />

Se è moglie o figlia di camorrista, e riesce a carpire un<br />

segreto, è strettamente tenuta a custodirlo e se, per il peccato<br />

della loquacità, che è come l’essenza del suo sesso, si lascia<br />

andare ad imprudenze, allora è passibile di punizioni, che sono<br />

comminate dal frieno con la medesima severità contemplata per<br />

le‘nfamità degli uomini.<br />

L’immagine della donna “cespite” che viene fuori<br />

dall’applicazione del frieno, se non fosse per la sua antica e<br />

perversa intenzione di relegare un essere umano in un recinto<br />

culturale come soggetto economico, ci indurrebbe all’ira e al<br />

pianto, ora per allora.<br />

Ma a differenza della cultura camorrista e mafiosa che ci ha<br />

tramandato l’immagine della donna succube e vittima, la realtà di<br />

oggi mostra donne in grado di gestire il potere al posto dei mariti<br />

o dei fratelli.<br />

Non si sottopongono sempre al maschio di casa, ma spesso<br />

ne condividono il comando, prendono decisioni autonomamente,<br />

ne sposano le ideologie, spesso li aizzano l’uno contro l’altro, o<br />

arrivano al sacrificio estremo autonomamente, come Anna<br />

Vollaro, dell’omonimo clan, che per protestare contro il<br />

sequestro della sua pizzeria, ordinato dal Tribunale di Napoli, si<br />

uccise davanti ai poliziotti che erano intervenuti con un incarico<br />

preciso.


Inoltre, la donna, quasi a contraddire nella maniera più<br />

assoluta l’affermazione contenuta nella parte iniziale, e che forse<br />

ha impiegato molto più tempo per essere eradicato, che per il<br />

peccato della loquacità, che è come l’essenza del suo sesso, si<br />

lascia andare a imprudenze, nei casi più noti e, almeno per<br />

quello che si sa, le donne collaboratrici di giustizia, non solo<br />

sono pochissime, ma in confronto a certi canarini, mute sono.<br />

Le depositarie di segreti sono tante, come tante sono<br />

manager infaticabili e calcolatrici, sono femministe del crimine,<br />

furie disperate quando la polizia arriva per arrestare alcuni<br />

affiliati alla camorra a Scampia, ma anche altrove sempre più<br />

spesso.<br />

Sempre più spesso la camorra si affida alla loro voce, ma<br />

anche alla loro capacità imprenditoriale, al loro senso pratico e<br />

alla loro intraprendenza.<br />

La camorra vive di principi e di codici, e come tutte le<br />

società tribali, si fonda sull’appartenenza alla stessa “famiglia”.<br />

Il sangue materno identifica un clan, e la donna è prima di<br />

tutto madre, poi moglie e depositaria di valori, principi e<br />

tradizioni.<br />

Le donne di Vitaliano Brancati decidevano al posto degli<br />

uomini (ne sapeva qualcosa il povero “Don Giovanni in Sicilia”,<br />

costretto a emigrare a Milano per sottomettersi ai voleri della<br />

moglie) li costringevano ad abiurare amici e conoscenti,<br />

imponevano nuove regole di vita e li piegavano ai loro desideri.


Le donne di camorra, oggi, hanno saputo sostituirsi ai loro<br />

uomini, assumerne il ruolo e diventare veri e propri ”boss”.<br />

Sono in grado non solo di dare man forte ai loro uomini o ai<br />

loro figli ricercati dai carabinieri, ma anche di tessere al posto<br />

loro le trame di traffici illegali, del riciclaggio del denaro sporco,<br />

di dare ordini, di riscuotere il pizzo.<br />

Le donne di camorra muoiono, ma non si pentono mai.<br />

Tengono saldi i valori di cui si ritengono portatrici, e se un tempo<br />

erano proprio loro, le madri di famiglia a sostituire gli uomini in<br />

guerra, adesso sono queste matrone del ventunesimo secolo a<br />

gestire affari, portare armi, suddividere i compensi, quando gli<br />

uomini “pentiti” si trovano in carcere.<br />

Hanno anche un look sempre adatto alle varie occasioni:<br />

femmine fatali investito da sera e gioielli vistosi per i debutti in<br />

società; vedove a lutto con viso tirato e velo nero nelle aule dei<br />

tribunali; casalinga disperata, in vestaglia sgualcita nelle strade,<br />

di fronte alle divise.<br />

E la classe è femmina, ovunque e qualunque sia il fine da<br />

raggiungere:<br />

Ma tra queste indomite vestali si nascondono, in realtà, delle<br />

vittime, a cui la camorra ha lasciato un segno indelebile, un<br />

tatuaggio su tutta la pelle che non se ne andrà più via.<br />

Soprattutto per la rilevanza e la notorietà assunta nella scena<br />

criminale da soggetti come Pupetta Maresca, moglie e vedova di<br />

Pascalone e Nola, mitica femmina, ma pur sempre criminale, o


come Rosetta Cutolo, moglie del re della Nuova Camorra<br />

Organizzata.<br />

Per renderci conto dell’ampiezza del fenomeno del<br />

cambiamento del ruolo, dell’attitudine, delle mutate condizioni<br />

sociali, pur muovendosi sempre nello stesso strato malavitoso, è<br />

necessario passare in rassegna i casi più conosciuti che hanno<br />

occupato la scena camorristica in maniera decisa e continuativa.<br />

Donne in grado di compiere azioni criminali concorrenziali<br />

con quelle di uomini della peggiore risma.<br />

Eppure, una quota rilevante della società campana,<br />

dall’uomo della strada al giudice più affermato, specialmente nei<br />

confronti di Pupetta Maresca, riservarono un trattamento di<br />

favore ingiustificabile e fortemente discriminante, che<br />

rappresenta un’intrinseca approvazione dell’applicazione, in<br />

chiave moderna, del codice di vendetta.<br />

Come in una tragedia greca, anche per Pupetta Maresca,<br />

vedova di mano e pece, il ruolo di vestale implacabile della<br />

vendetta è esercitato senza intermediazioni, in prima persona.<br />

Alla luce del sole, senza tentennamenti, affronta ed uccide<br />

l’assassino di suo marito, in una specie di semplicistica<br />

applicazione algebrica delle regole del vivere civile: +1-1=0<br />

punto e a capo.<br />

Semplice.<br />

Si fa giustizia da sola.<br />

Ma questa non è giustizia, anche se il giudice, premettendo<br />

che “ella ha agito esclusivamente per amore e per desiderio di


giustizia, spinta a farsi vendetta da sola a causa dell’incerto<br />

andamento e delle lungaggini delle prime indagini” le infligge<br />

una pena ingiustificabilmente mite.<br />

E così, se qualcuno, buono o cattivo, ha voluto e potuto<br />

trarre insegnamento da questa sentenza, sicuramente ha<br />

imboccato, contromano, una strada a senso unico.<br />

Gli esperti hanno sempre affermato che le donne<br />

difficilmente uccidono, ma quando lo fanno sono più brave degli<br />

uomini nel cancellare le tracce del delitto.<br />

Evidentemente non è il caso della Maresca.<br />

Con l’avvento delle donne capoclan, possiamo affermare<br />

che il loro ruolo ancillare rivestito nel passato è definitivamente<br />

scomparso.<br />

Nella pianificazione delle strategie commerciali e nelle<br />

pubbliche relazioni, l’impostazione scelta dalle donne è quasi<br />

sempre vincente e, comunque, ha sempre un taglio più innovativo<br />

ed efficace.<br />

Tra le donne di camorra chiamate a rivestire un ruolo di<br />

primo piano c’è la piccolina, al secolo Maria Licciardi,<br />

dall’aspetto minuto, quasi gracile, riconosciuta capoclan, per<br />

meriti sul campo dell’omonima organizzazione camorristica.<br />

Probabilmente gli affari delle contraffazioni sono anche idea del<br />

fratello Pietro.<br />

Sta di fatto che i falsi trapani Bosch, costruiti in Hong<br />

Kong, e commercializzati in tutto il mondo, specialmente in


Brasile, Argentina, ecc. furono veramente tanti. Pari fortuna e<br />

dignità commerciale ebbe con la commercializzazione delle false<br />

macchine Canon, specialmente sul mercato francese.<br />

Di questa donna veramente capace di governare il clan, con<br />

piglio deciso, non va dimenticata la sua capacità di saper gestire i<br />

camorristi, anche quando l’incertezza e la durezza della lotta<br />

induce ad una riflessione di convenienza sulle scelte, soprattutto<br />

quella di decidere di diventare collaboratore di giustizia. La<br />

piccolina fu sempre capace di convincerei camorristi “in odore<br />

di pentimento” a cambiare idea, e a “rinsavire”.<br />

Oggi, Maria Licciardi, è detenuta nel carcere romano di<br />

Rebibbia, sottoposta al regime del 41 bis o.p., il carcere duro, cui<br />

sono quello riservato ai detenuti speciali.<br />

Però la prima donna ad essere condannata al carcere duro, è<br />

Lady Camorra, al secolo Teresa De Luca Bossa, capo<br />

riconosciuto dell’omonima organizzazione camorristica di<br />

Ponticelli.<br />

Un’altra donna, un’altra capoclan, una delle prime donne in<br />

Italia ad essere stata condannata per reati d’associazione mafiosa,<br />

è Anna Mazza, vedova di Gennaro Moccia, padrino di Afragola,<br />

ucciso negli anni ‘70, nota come la vedova nera della camorra,<br />

restò a capo del clan Moccia per oltre venti anni, fu la vera mente<br />

organizzatrice, capace di estendere e ramificare il suo potere<br />

ovunque girasse denaro.


Accusata di aver armato la mano del figlio tredicenne, per<br />

vendicare la morte del marito, venne assolta da questa accusa.<br />

Questa donna capace di gestire verticisticamente e<br />

imprenditorialmente l’organizzazione camorristica, senza<br />

ricorrere ad interventi di tipo militare, e di condizionare ogni<br />

ambito di territorio da lei egemonizzato, tanto che<br />

l’Amministrazione Comunale di Afragola venne sciolta per<br />

infiltrazioni cameristiche nel 1999, capì che il pregiudizio<br />

culturale dei boss nei confronti del mondo femminile gli<br />

consentiva una sorta d’impunità e ne approfittò.<br />

Anna Mazza camorrista, vendicatrice ed imprenditrice: il<br />

massimo. Inviata al confino coatto in un paesino nei pressi di<br />

Treviso, sottoposta a ferreo controllo, riuscì comunque a stabilire<br />

contatti per intessere legami con La Mafia del Brenta di Felice<br />

Maniero.<br />

Altra figura femminile leggendaria dell’empireo malavitoso<br />

campano è Rosetta Cutolo, la ricamatrice di Ottaviano, sorella<br />

del Professore, del Messia, il fanatico, il folle, il famigerato don<br />

Raffaele Cutolo, fondatore e capo unico indiscusso della Nuova<br />

Camorra Organizzata.<br />

E’ suo il merito di aver gestito, come un condottiero<br />

invisibile e silente, l’impero camorristico, sovente lasciato<br />

scoperto dal Capo, “per esigenze di forza maggiore”, anche se<br />

all’esterno la fedeltà assoluta al fratello poteva apparire, e tale da<br />

molti veniva considerata, un’attività ancillare, tipica della


mentalità di una parte dell’universo maschile meridionale, ancora<br />

fermo e pietrificato ai tempi del passaggio del cartaginese<br />

Annibale Barca.<br />

Cinica e dura, attenta ad ogni possibile inquinamento<br />

sentimentale esterno, ha manifestato una destrezza unica nella<br />

gestione del “prodotto illecito”.<br />

Uno spazio meritato, per la sua capacità di operare con un<br />

tocco di femminilità vincente, quello riservato ad un’altra<br />

papessa della camorra: Erminia “Celeste” Giuliano al timone<br />

dello storico clan di Forcella con la stessa feroce determinazione<br />

dimostrata dai “suoi uomini” prima che finissero in carcere o<br />

cadessero per mano nemica.<br />

Con un tocco di femminilità vincente specialmente quando<br />

in mezzo c’è il talamo familiare, può essere facile decretare la<br />

fine di aspiranti al comando.<br />

In questi ultimi tempi, la cronaca quotidiana, spesso carica<br />

di sfide mortali, presenta la ricorrente anomalia della difesa di<br />

malavitosi, posta in atto da gruppi di donne organizzate.<br />

Una folla urlante cerca di fare un cordone di difesa per i<br />

delinquenti, ostacolando le forze dell’ordine, mentre dalle<br />

finestre e dai balconi piovono sulle teste degli agenti oggetti di<br />

ogni tipo.<br />

A tutti noi rimane difficile capire comportamenti così<br />

dirompenti ed inusuali nella vita quotidiana della società civile<br />

conosciuta nel resto del nostro Paese.<br />

Ma qui siamo sempre nel nostro Paese?


Eppure, anche con questa liturgia criminale infinita,<br />

pensando a Napoli e ai suoi disastrati rioni, fatalmente e<br />

pietosamente, per una specie di inconscia associazione, mi<br />

ritorna in mente Ungaretti.<br />

Una magia stende il suo “San Martino del Carso” su Napoli.<br />

E sì che intatte ci son le case, ci sono i vivi; ma è sulle croci nel<br />

cuore che i conti non tornano. Sono più dei morti. Sono infinite.<br />

Napoli è la croce nel cuore di ognuno di noi<br />

17.1 Le altre donne di Napoli.<br />

Le mamme coraggio.<br />

Che sono tante.<br />

Che combattono come leonesse contro i mulini a vento di<br />

una società matrigna e ingiusta.<br />

Che le priva del diritto di vivere degnamente e serenamente<br />

gli affetti della propria famiglia.<br />

Che non beneficiano, come Pupetta Maresca della simpatia<br />

collettiva, perché ogni giorno il clamore che sollevano è solo<br />

quello del lavoro silenzioso ed onesto.<br />

Mamme coraggio che non guadagneranno un posto<br />

nell’immaginario collettivo di una società disattenta, ma la loro<br />

tenacia e la costanza di vivere una vita normale, in un luogo che<br />

normale non è, rappresenta il segno distintivo dei giusti e degli<br />

onesti.<br />

I soli, gli unici, che meritano la nostra considerazione.


20. Il filo rosso-sangue della camorra dalle<br />

origini ai tempi nostri.<br />

C’è un filo comune che lega le infinite personalità del<br />

popolo camorrista.<br />

Tutte le storie che ho conosciuto, da Cesare Riccardi, alias<br />

abate Cesare, a Salvatore De Crescenzo, ad Antonio Spavone, ai<br />

Giuliano di Forcella, Simonetti di Nola, Maisto di Giugliano,<br />

Michele Zaza, i fratelli Nuvoletta, Antonio Bardellino, gli<br />

Schiavone di Casal di Principe, Raffaele Cutolo, Carmine Alfieri,<br />

Enzo Casillo, Pasquale Galasso, Michele Zagaria, Mario<br />

Fabbrocino, Gennaro Licciardi, Antonio La Monica, Paolo Di<br />

Lauro e la schiera di giovani e meno giovani, donne e uomini,<br />

sono legate insieme da un filo rosso di sangue.<br />

Un rivolo, un fiume, un mare di sangue.<br />

E’ il loro modo di affermarsi e sopravvivere, sul sangue<br />

versato in maniera definitiva, perché dia vigore e prosperità al<br />

vincitore.<br />

Nel vernacolo napoletano, ti devo uccidere si dice “t’agge<br />

‘a stutà”; ti devo spegnere.<br />

Un verbo molto significativo. Anche Gabriele D’Annunzio,<br />

ne “La Fiaccola sotto il Moggio” usa l’espressione “e la candela<br />

si stuta” , si spegne, appunto.<br />

Ma nel Dizionario italiano non ebbe fortuna.


Con l’avvento del pentitismo, prende più corpo questa<br />

espressione, perché stutare assume più forte il significato di<br />

spegnere.<br />

Spegnere la voce perché chi potrebbe non parli.<br />

In questa “pratica” c’è anche la perpetuazione dell’uso<br />

ebraico della iugulazione.<br />

Il sangue, la linfa vitale, deve abbandonare il corpo affinché<br />

i suoi umori non infettino la carne, non la corrompano.<br />

Il pentitismo, il tramonto della coerenza e della dignità<br />

camorrista, dilaga come un fiume in piena.<br />

La coerenza comportamentale, una liturgia antica,<br />

nell’affrontare il pericolo e la morte, che aveva caratterizzato la<br />

storia camorristica, muta improvvisamente negli anni ’80.<br />

I camorristi, cavalieri indomiti con tante macchie, ma senza<br />

paura, diventano piccoli cavalieri con tante macchie e tanta più<br />

paura.<br />

Scoprono, improvvisamente, la loro vocazione al<br />

pentimento, alla collaborazione con la Giustizia.<br />

Analogamente ai loro compari della mafia, ai Buscetta,<br />

pionieri di questa pratica, “cantano” come canarini, e la<br />

segretezza che è elemento fondamentale della sopravvivenza<br />

della camorra, si frantuma in un attimo.<br />

I miti di quelli che hanno seguito e seguono le regole,<br />

resistono con un fascino sempre più vivo e sono ancora una<br />

massa, la maggioranza.


L’immagine dei Giuliano, dei Galasso, degli Alfieri e di<br />

tanti altri, i quali spontaneamente o perché agevolati dalla loro<br />

condizione di detenuti in carcere, decidono di fare le loro<br />

rivelazioni, si affloscia come un pallone bucato.<br />

Si annichila.<br />

Questa non è apologia della camorra.<br />

In tutta la storia, e negli eventi raccontati diffusamente, per<br />

cogliere l’essenza e la materia di quello stile di vita della<br />

camorra, che animava la mia ricerca, ho ritrovato una parte del<br />

disegno, una traccia di quel profilo morfologico che mi ero creata<br />

a priori.<br />

I contenuti di costume, di orgoglio, di passione, di<br />

teatralità, di romanticismo, di eccessi, di miseria, che<br />

permangono nel crogiuolo umano della Campania, sono un<br />

giacimento di risorse, che garantiscono lunga vita alla camorra,<br />

e non lasciano scampo alla fantasia del cittadino normale ed<br />

all’azione della Giustizia.


Fonti consultate.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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Barbagallo Francesco, Napoli fine Novecento: Politici,<br />

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( relatore Luciano Violante) approvata il 21 dicembre 1993.<br />

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Commissione Antimafia il 21<br />

dicembre 1993, Editrice L’Unità, Roma 1994.<br />

- Commissione parlamentare antimafia XIII legislatura,<br />

Relazione sulla criminalità<br />

organizzata in Campania ( relatore Luigi Lombardi Satriani )<br />

approvata il 24<br />

ottobre 2000.<br />

- Lezione inaugurale del corso di “Storia della criminalità<br />

organizzata.” Enzo Ciconte<br />

Università La Sapienza. Roma 5 novembre 2004.<br />

- “Storia della camorra”. Achille della Ragione. Napoli 2009.<br />

- “Conoscere le mafie, costruire la legalità”. Giuseppe Lumia,<br />

Presidente<br />

Commissione Parlamentare Antimafia, Roma 1997.


- “Legge regionale 6 maggio 1985, n. 39”. Provvedimenti a<br />

favore delle scuole campane per contribuire allo sviluppo di una<br />

coscienza civile contro la criminalità camorristica.<br />

- “La legge regionale n. 39 del 1985, come strumento per<br />

l'affermazione di una antimafia dei diritti”. “Osservatorio sulla<br />

camorra” n.4, 1994. Riccardo Morselli.<br />

- Che cos'è l'Osservatorio sulla camorra”. “Linee interpretative<br />

del fenomeno camorra”. Amato Lamberti.<br />

- “La camorra: materiali per un'analisi sociologica” “Osservatorio<br />

per la camorra” N.1, 1993.<br />

- “La mafia fenomeno dilagante. Un errore circoscriverla al Sud”.<br />

Pietro Grasso.<br />

27 marzo 2009.<br />

- “La Costituzione della Repubblica Italiana”. 1948-2008.<br />

Presentazione di Giorgio Napolitano.<br />

- Consiglio Regionale della Campania. Commissione contro la<br />

camorra e la<br />

criminalità organizzata. Audizione del 10 febbraio 2009.<br />

- “Caro figlio, ora devi fare il camorrista”. Il clan Sarno di<br />

Napoli. Carmine<br />

Spadafora. Il Giornale,28 maggio 2009.<br />

SERENA ROBBA

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