LA TESI - SAP Alessandria
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE<br />
Relatore:<br />
Chiar.mo Prof. Giorgio D’ALLIO<br />
“AMEDEO AVOGADRO”<br />
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA<br />
<strong>TESI</strong> DI <strong>LA</strong>UREA<br />
CAMORRA<br />
UNO STILE DI VITA<br />
ANNO ACCADEMICO 2008/2009<br />
Candidata:<br />
SERENA ROBBA
INDICE<br />
PREMESSA pag. 1<br />
CAPITOLO I<br />
Etimologia del termine camorra pag. 2<br />
CAPITOLO II<br />
Storia pag. 4<br />
CAPITOLO III<br />
I Lazzari pag. 8<br />
3.1 I Patroti insoddisfatti pag. 11<br />
3.2 Vecchie attività e nuovi fermenti pag. 13<br />
3.3 La plebe esclusa pag. 15<br />
3.4 La Bella Società Riformata pag. 16<br />
CAPITOLO IV<br />
I Capintesta pag. 19<br />
4.1 La zumpata pag. 21
4.2 Il pizzo per l’olio votivo per<br />
la Madonna pag. 32<br />
CAPITOLO V<br />
Collusione con il potere legale pag. 38<br />
5.1 Amnistia e vendette pag. 46<br />
5.2 L’incredibile ascesa di Salvatore<br />
De Crescenzo pag. 49<br />
5.3 Camorristi e garibaldini uniti<br />
nella violenza pag. 50<br />
CAPITOLO VI<br />
Tentativo di ritorno alla normalità pag. 54<br />
CAPITOLO VII<br />
Il domicilio coatto pag. 57<br />
7.1 La legge Pica. Prima legge dell’Italia<br />
unita contro la criminalità organizzata pag. 59<br />
7.2 Il domicilio coatto pag. 62
CAPITOLO VIII<br />
Espansione territoriale della camorra pag. 66<br />
8.1 La camorra rurale pag. 70<br />
8.2 Obolo della paranza pag. 77<br />
8.3 La tenuta del potere camorristico pag. 79<br />
CAPITOLO IX<br />
La camorra e la politica pag. 83<br />
9.1 Gli eletti di Montecalvario pag. 88<br />
9.2 La denuncia di Giacomo De Martino pag. 97<br />
9.3 Indagine di cinque commissari governativi<br />
sugli intrecci affaristici e malavitosi.<br />
Il doppio gioco del governo pag. 101<br />
9.4 La camorra durante il fascismo pag. 110<br />
9.5 La Nuova Camorra Organizzata di<br />
Raffaele Cutolo pag. 116<br />
CAPITOLO X<br />
Analisi politica pag. 119
CAPITOLO XI<br />
Analisi economica pag-124<br />
11.1 Appalti pubblici e imposizione estorsiva<br />
del subappalto pag. 124<br />
11.2 Attività economiche illegali tradizionali pag. 128<br />
11.3 Attività legali gestite in modi e forme illegali pag. 130<br />
CAPITOLO XII<br />
Gli studi Lombrosiani pag. 132<br />
12.1 Analisi antropologica pag. 134<br />
CAPILO XIII<br />
Inquadramento sociologico pag. 140<br />
13.1 Considerazioni sulla società campana pag. 142<br />
13.2 Le età della vita pag. 147<br />
13.3 Lo sviluppo diseguale pag. 149<br />
13.4 Il camorrista mancato pag. 150<br />
13.5 Condizioni di miseria e di impotenza pag. 152
CAPITOLO XIV<br />
Assuefazione pag. 155<br />
14.1 Assuefazione biologica pag. 157<br />
14.2 Assuefazione fisica pag. 157<br />
CAPITOLO XV<br />
Statistica della criminalità camorristica pag. 158<br />
15.1 La quantità,una costante pag. 159<br />
15,2 La ferocia nel delitto, un’eredità<br />
dell’antica Grecia pag. 163<br />
15.3 L’organizzazione”frattale” della camorra,<br />
elemento di resistenza ad ogni tentativo<br />
di cura legale. pag. 164<br />
CAPITOLO XVI<br />
Le donne di camorra pag. 165<br />
CAPITOLO XVII<br />
Le altre donne di Napoli pag. 173
La camorra nell’Alessandrino<br />
CAPITOLO XVIII<br />
(Azienda Burro di Campagna) pag. 174<br />
18.1 Intervista ad uno dei funzionari inquisiti coinvolto<br />
in un caso di camorra pag. 176<br />
CAPITOLO XIX<br />
Servizi giornalistici pag. 181<br />
Allegati pag. 190<br />
Bibliografia pag. 202<br />
Documenti pag. 205
Solo a te,<br />
a te così speciale,<br />
a te Donna,<br />
l’unica Donna che io abbia<br />
mai amato<br />
incondizionatamente.<br />
Amore vero, Amore che<br />
riuscirò ad eguagliare solo a<br />
quello di un figlio.<br />
Grazie di avermi permesso di<br />
essere la “tua bambina”,<br />
grazie di avermi insegnato a<br />
vivere.<br />
Il mio primo grande<br />
traguardo lo devo a te;<br />
il mio successo è il tuo<br />
successo.<br />
Ora e sempre nel mio cuore.
Ringraziamenti.<br />
Al termine di questo lavoro, sento l’obbligo di ringraziare il relatore<br />
Chiar. mo Prof. Giorgio D’Allio, per la sua guida paziente e costante nella<br />
stesura della tesi, e per l’assidua presenza lungo il mio percorso di crescita e<br />
maturazione culturale.
1.0 Etimologia del termine camorra.<br />
Le prime notizie dell’uso del termine camorra le troviamo<br />
in un documento medievale .<br />
Definiva gamurra un’organizzazione di mercenari sardi, al<br />
servizio della Repubblica Pisana al cui dominio, nel XIII secolo,<br />
era assoggettata la Sardegna.<br />
Si distinguevano perché indossavano una corta giacca di tela<br />
rossa rimasta in uso, presso i mercanti del Campidano, sino alla<br />
fine del XIX secolo.<br />
Si ipotizza anche un collegamento alla parola morra, che<br />
nell’Italia centrale, oltre ad indicare un gioco popolare<br />
antichissimo, connota una moltitudine di uomini e d’animali, una<br />
frotta, un gruppo numeroso.<br />
Infatti con lo stesso significato di folla vengono adoperate<br />
espressioni come “una morra di persone”, “ una morra di<br />
pecore”. Può avere anche il significato di rissa, tassa sul gioco,<br />
da pagare ai protettori dei locali del gioco d’azzardo nel Regno<br />
di Napoli (1735).<br />
In castigliano, camorra vuol dire lite, rissa; camorra vuol<br />
dire litigare ed il camorrista è un litigioso.<br />
Fare la camorra, a Napoli, vuol dire trarre profitto in<br />
maniera illecita e non dovuta, minacciando, per ottenere denaro,<br />
chi esercita un’attività lecita.<br />
Secondo Salvatore Battaglia * le diverse locuzioni hanno<br />
anche differenti significati:
Arabi.<br />
-fare la morra: vuol dire scalciare (un animale);<br />
-fare la morra con qualcuno: fare a botte.<br />
Altri etimi congetturali ne ricollegano l’origine ai Mori, gli<br />
Nell’espressione della lingua campana “sta c’a morra” vuol<br />
dire appartenere ad un gruppo solidale.<br />
Sempre come espressione locale campana “ca murra” vuol<br />
dire “capo della murra” , cioè guappo di quartiere impegnato a<br />
risolvere le dispute tra giocatori della murra o morra.<br />
• Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua<br />
2. Storia.<br />
Italiana,UTET.<br />
Le favole non rappresentano la storia.<br />
Ma nell’immaginario collettivo di una popolazione, la<br />
consuetudine di tramandare oralmente le conoscenze rappresenta<br />
un aspetto rilevante nell’acquisizione di certezze.<br />
La favola dei cavalieri spagnoli, per chiarire l’origine dei<br />
più importanti fenomeni mafiosi, è talmente diffusa, per cui<br />
bisogna tenerne debitamente conto.
Osso, Mastrosso e Carcagnosso, sono i nomi di tre fratelli,<br />
mitici cavalieri spagnoli, associati ad una società segreta di<br />
Toledo chiamata guarduna, venuti in Italia attorno all’anno 1412,<br />
perché in fuga dal loro Paese per aver difeso l’onore della propria<br />
famiglia, vendicando col sangue l’offesa subita da una sorella.<br />
Si narra che fecero tappa all’isola di Favignana, per 29 anni<br />
e, lavorando segretamente sotto terra, elaborarono le regole<br />
sociali delle più grandi organizzazioni mafiose.<br />
Quando tornarono alla luce del sole, Osso si recò in Sicilia e<br />
fondò la mafia; Mastrosso arrivò in Campania e fondò la<br />
Camorra;<br />
Carcagnosso sbarcò in Calabria e diede vita alla<br />
‘ndrangheta.<br />
Secondo un rituale riportato da Luigi Malafarina:<br />
-Osso rappresenta Gesù Cristo;<br />
-Mastrosso rappresenta San Michele Arcangelo;<br />
-Carcagnosso rappresenta San Pietro che cavalca un<br />
bianco destriero e staziona davanti alla porta della Società.<br />
Secondo un’altra versione:<br />
- San Giorgio assicurerebbe la protezione di Osso;<br />
- la Madonna quella di Carcagnosso;<br />
- l’Arcangelo Gabriele quella di Mastrosso.<br />
Nella cultura e nella tradizione mafiosa , questi sono<br />
elementi simbolici di grande importanza.<br />
Fanno riferimento alla Spagna, per le nobili origini dei<br />
cavalieri, come mito fondante di tutte le organizzazioni mafiose,
e intesse la storia con l’onore, la famiglia, la segretezza, le<br />
regole.<br />
Il riferimento all’isola di Favignana, sede di penitenziario, è<br />
una chiara allusione al carcere, importante nella formazione<br />
mafiosa degli affiliati, che nei richiami alla protezione dei santi<br />
della Chiesa cattolica credono di beneficiare di una protezione<br />
sacra che assicura ad essi grande forza psicologica.<br />
Altra ipotesi più attendibilmente storica è quella della<br />
nascita e dello sviluppo medievale nei quartieri bassi attorno al<br />
porto di Cagliari.<br />
Poi, nel secolo XIII, Pisa riesce a controllare i sardi<br />
attraverso bande armate ed organizzate di mercenari che<br />
pattugliano i borghi e mantengono l’ordine pubblico.<br />
Questa consolidata organizzazione di mercanti-mercenari<br />
presenti nell’isola, con il passaggio del potere dai Pisani agli<br />
Aragonesi, manterrà intatta la sua operatività.<br />
Successivamente, questi gruppi, attraverso i sardo-ispanici<br />
lasciano Cagliari e si trasferiscono in Campania nel XVI secolo e<br />
saranno attivi sotto la dominazione spagnola.<br />
Nel territorio campano sono presenti gruppi banditeschi<br />
soprattutto nelle zone rurali.<br />
La camorra, invece, trova il suo habitat più propizio nella<br />
città, specialmente nei quartieri più densamente popolati.<br />
Gioco d’azzardo, gabelle, protettorato, sono le fonti<br />
economiche di sostentamento dell’organizzazione criminale.
2.1 La Guarduna spagnola.<br />
Punti di contatto ed analogie tra lo statuto della<br />
“Guarduna“ spagnola<br />
ed il regolamento della camorra denominato “il frieno “.<br />
Strutturazione della “Guarduna”.<br />
Il capo riconosciuto è il Gran Maestro.<br />
Nella scala sociale della “Guarduna”, è seguito da:<br />
Guapos. Il guapos è uomo bravo, elegante, bello.<br />
Venivano detti anche punteadores, cioè esecutori di colpi di<br />
arma da punta.<br />
singole province.<br />
Capatazes, che facevano eseguire gli ordini nelle<br />
Floreadores, che ricevevano incarichi di minore<br />
rischio. In genere giovanissimi ladri cui venivano assegnati<br />
incarichi di rischio minore e per questo venivano chiamati anche<br />
hermanos postulantes.<br />
Les fecalles, informatori, specie di spie su tutto ciò<br />
che poteva interessare l’organizzazione.<br />
Cobertas, ricettatrici di bottini.<br />
Chivatos, ragazzini dai 10 ai 15 anni che aspiravano<br />
ad incarichi maggiori, che dopo 2 anni diventavano postulantes e<br />
dopo altri 2 anni guapos.<br />
L’organico veniva completato dalle:<br />
Sirenas, donne giovani e carine che divenivano<br />
amanti dei capi. Spesso facevano da specchietto per le allodole,<br />
per attirare le vittime degli agguati in posti prestabiliti.
A tutte queste persone si aggiungevano:<br />
guardie,<br />
Scrivani,<br />
Procuratori,<br />
Monaci,<br />
Canonici,<br />
Vescovi,<br />
Inquisitori, che erano spesso strumenti o protettori<br />
della guarduna, di cui avevano frequentemente bisogno e dalla<br />
quale ricevevano denaro.<br />
tolleranza.<br />
L’associazione godeva di connivenze, appoggio,<br />
Il ricorso all’uso della forza e della violenza, per<br />
risolvere il contenzioso in affari e altri contrasti, era una<br />
normalità.<br />
Tutte queste regole erano dettate nei nove articoli<br />
della guarduna nel 1840.<br />
Appare scontato che all’arrivo degli Spagnoli a<br />
Napoli, subito dopo la dominazione Aragonese, nel 1502, lo<br />
statuto della guarduna fosse patrimonio di conoscenza di gran<br />
parte dei soldati di occupazione, dagli stessi ispanici chiamati<br />
giannizzeri, i quali ben presto affiliarono sgherri e malandrini,<br />
commettendo soprusi e ricatti a danno di benestanti, con la<br />
minaccia di morte.
3.0 I Lazzari.<br />
Il lazzaro è un popolano plebeo, senza arte né parte,<br />
senza un tetto sotto cui ripararsi, tendenzialmente<br />
sfaccendato, sempre pronto ad attaccar briga, dedito alla<br />
gestione di affari illeciti.<br />
Il nome è di origine spagnola. Li chiamavano los<br />
lazzaros, dall’etimologia del Lazzaro delle sacre carte,<br />
che disputava gli ossi ai famelici cani, presso le porte del<br />
ricco Epulone.<br />
All’arrivo di Carlo III di Borbone, si stimava che, a<br />
Napoli, vi fossero almeno 60.000 lazzari.<br />
Nell’ambito del lavoro, costituivano la massa<br />
dequalificata di ragazzi di bottega, giovani al servizio di<br />
artigiani con funzioni subalterne ed un’assoluta precarietà<br />
nel rapporto con il padrone, di facchini, e tutta una<br />
popolazione inoperosa che si limitava al reperimento del<br />
minimo indispensabile, sopravvivendo alla giornata.<br />
Nel 1799, a Napoli, si era determinata una situazione<br />
particolarmente critica.<br />
I Francesi stavano per entrare in città.<br />
Ferdinando IV, il re nasone, unitamente ai nobili, era<br />
prudentemente in fuga.<br />
La massa della plebe, unita agli sfruttatori di<br />
prostitute, tangentisti del gioco d’azzardo, facchini,<br />
bottegai, malavitosi di professione, nell’incertezza che<br />
accompagna tutti i cambiamenti epocali, preoccupati<br />
dell’arrivo dei soldati di Napoleone, si coalizzarono per<br />
difendere gli illeciti interessi comuni.
Divennero così una folla, minacciosa e combattente,<br />
che individuò i suoi capi in due popolani che godevano<br />
della stima comune: Michele Marino, detto ‘O Pazz, il<br />
pazzo, e Antonio Avella detto Pagliuchella.<br />
Loro un lavoro ce l’avevano, anche se assai<br />
modesto:<br />
- il pazzo faceva il garzone di vinattiere;<br />
- pagliuchella, invece era un marinaio.<br />
Come capitava spesso, a Napoli, nei ricorrenti<br />
avvicendamenti di dominatori e di poteri, con la partenza<br />
del Re e dei suoi nobili, la città precipitò in preda<br />
all’anarchia.<br />
Per diversi giorni, dal 16 al 20 gennaio 1799, i<br />
lazzari, come folla raccogliticcia e poco ordinata si dedicò<br />
al saccheggio, ai furti, alle rapine.<br />
Nel frattempo, arrivarono i Francesi.<br />
I lazzari, determinati a difendere la città,<br />
ingaggiarono una lotta feroce e sanguinosa contro gli<br />
invasori, con l’obiettivo di imporre le loro condizioni.<br />
Morirono a migliaia.<br />
Il generale Championnet scrisse: “I Lazzaroni sono<br />
uomini eccezionali, sono degli eroi”. Capì che in un<br />
ambiente, così ribollente di folla determinata, disposta a<br />
morire per difendere il niente che possedeva, per<br />
conoscere approfonditamente il territorio, elemento<br />
fondamentale nell’esercizio positivo dell’arte militare,<br />
bisognava scendere a compromessi.<br />
Individuò i capi dei rivoltosi e li fece convocare.
Conobbe Michele Marino, il pazzo, con un<br />
curriculum carico di reati e privo di buone referenze, e lo<br />
convinse che con l’arrivo delle truppe francesi nulla<br />
sarebbe cambiato nelle usanze e nel modo di vivere dei<br />
lazzari.<br />
A queste condizioni, venne rapidamente raggiunto<br />
l’accordo.<br />
Michele Marino, posizionato in testa allo squadrone<br />
di cavalleria del generale Thiébault, acclamato dalla folla<br />
dei suoi, guidò i francesi attraverso le vie della città, per<br />
consentirne la conoscenza territoriale, indispensabile per<br />
una più agevole occupazione.<br />
In questo periodo di tumulti della plebe, di violenza<br />
e diffusa delinquenza, di avvicendamenti al potere, nasce<br />
il mito dei sovrani della parte bassa, cioè dei delinquenti<br />
più abili nel controllare tutti i traffici illeciti, sempre<br />
pronti ad usare le armi, capaci di approfittare di ogni più<br />
caotica situazione.<br />
Il secolo dell'Illuminismo, per Napoli, è quello dei<br />
tumulti.<br />
Se ne verificarono ben tre, e determinarono<br />
cambiamenti di potere rilevanti:<br />
- fine della dominazione spagnola;<br />
- conquista austriaca della durata di ventisette anni,<br />
con la successione di dodici viceré;<br />
- avvento della dinastia Borbone e realizzazione di<br />
uno stato autonomo, con capitale a Napoli.<br />
Cronologia degli avvenimenti:<br />
- 1764, prima rivolta;
- 1790, seconda rivolta;<br />
- 1799, terza rivolta.<br />
Nel 1764 i nobili si allearono con i lazzari.<br />
Al popolo venne concessa la facoltà di vendere pane<br />
e farina a prezzi sestuplicati.<br />
All'aristocrazia venne riservata la possibilità di fare<br />
speculazioni economiche.<br />
Nel 1790, seconda rivolta, capeggiata da Nicola<br />
Sabato e dal suo vice Fabiano.<br />
Nel 1799, terza rivolta. È il periodo più intenso.<br />
La conoscenza con i camorristi, i liberali l'avevano<br />
fatta nelle carceri, dopo i moti del 1848.<br />
Avvocati, professori, nobili avversari dei Borbone<br />
condannati per cospirazione e per le loro idee politiche,<br />
avevano subito l'onta di un carcere duro, ma nella<br />
convivenza con i camorristi avevano ottenuto rispetto e<br />
considerazione; avevano dialogato con loro, nonostante le<br />
enormi distanze culturali.<br />
Agli occhi dei camorristi i detenuti politici<br />
meritavano rispetto per il loro contrasto con la polizia,<br />
anche se disputato solo a parole, che produceva però il<br />
medesimo effetto di finire in galera.<br />
La comune detenzione fu una straordinaria<br />
occasione di reciproca conoscenza con l'abbattimento<br />
temporaneo di ogni barriera culturale.
3.1 Patrioti insoddisfatti.<br />
I patrioti erano delusi, insoddisfatti della netta<br />
separazione tra la plebe e gli aristocratici, desideravano<br />
eliminare il solco ideologico e di interessi che divideva<br />
nettamente i due strati della popolazione. Per cominciare,<br />
si poteva dare dignità linguistica al dialetto, anche se tutti<br />
erano convinti che i motivi della distanza culturale<br />
fossero un insieme di fattori difficili da conciliare.<br />
La situazione era disastrosa soprattutto per quanto<br />
riguardava l'istruzione popolare.<br />
In molti casi l'esigenza non era quella di migliorarla,<br />
ma di introdurla, perché l'analfabetismo era la condizione<br />
più ricorrente per una parte rilevante della popolazione.<br />
La massa, la plebe che doveva essere sollevata dalla<br />
condizione di ignoranza e di miseria, viveva di sotterfugi<br />
e di illegalità, cercava di sfruttare ogni opportunità offerta<br />
loro dai gestori del potere.<br />
Negli anni attorno al 1799, imperversava il gioco<br />
d'azzardo. Ogni festa era occasione di forte richiamo per<br />
una folla di giocatori che disponevano, in poco tempo, di<br />
grandi somme, ripulendo sistematicamente le tasche degli<br />
sprovveduti. Il giudizio dei patrioti sul gioco d'azzardo<br />
era giustamente severo. Ma veniva praticato anche perché<br />
regolamentato: nel 1735, Carlo III di Borbone , a pochi<br />
mesi dal suo insediamento sul trono di Napoli e Sicilia,<br />
aveva firmato una prammatica, dal titolo De Aleatoribus,<br />
contenente l'elenco delle case da gioco tollerate. Tra di<br />
esse figurava anche la Camorra innanzi Palazzo, che era<br />
una bisca situata di fronte alla reggia, a Largo Palazzo,
dove veniva praticato il gioco della morra. Nel termine<br />
camorra, contenuto in questo atto ufficiale, alcuni<br />
individuano un'altra possibile origine etimologica della<br />
camorra, che in effetti, legata com'è all'estorsione sulle<br />
scommesse, non è tanto distante dalle altre ipotesi<br />
correnti.<br />
Anche se il gioco era legalizzato, i prepotenti<br />
pretendevano una tangente per assicurare la calma e la<br />
tranquillità della piazza.<br />
Nonostante le buone intenzioni, e il sincero desiderio<br />
dell'elevazione morale e materiale della società, i patrioti,<br />
loro malgrado, dovevano constatare che le uniche attività<br />
in crescita erano il gioco d'azzardo, la prostituzione,<br />
l'estorsione a danno dei detenuti, i furti. Anzi, nel tempo,<br />
queste attività, oltre alla crescita quantitativa,<br />
miglioravano anche sotto l'aspetto qualitativo: aumentava<br />
l'attività dei gruppi criminali organizzati per parassitare<br />
ogni forma di iniziativa lecita o illecita, e con essa anche<br />
le occasioni di contrasto, che spesso sfociavano nelle lotte<br />
più accanite.<br />
Tra i gruppi delinquenziali partenopei i contrasti<br />
venivano spesso regolati facendo uno sfregio sul viso<br />
dell'avversario con un coltello affilato, per lasciare una<br />
traccia permanente di una punizione inflitta per una<br />
mancanza grave, ma non tanto da richiedere la morte.<br />
Questa usanza di procurare una grossa cicatrice sul volto<br />
dell'avversario, con modalità diverse ed armi dalle lame<br />
affilate o sgranate ed insozzate di feci, le ritroviamo 100<br />
anni dopo nel frieno della Bella Società Riformata. E,
segno dell'evoluzione dei tempi, la troviamo più<br />
frequentemente a danno delle donne, già sfruttate col<br />
meretricio quasi sempre imposto.<br />
Di parere diverso, anche se pronunciato nel 1896, in<br />
piena influenza lombrosiana, il parere dell'avvocato<br />
napoletano Ciraolo Hamnett, perché convinto che la<br />
criminalità femminile fosse un fatto inarrestabile, e che<br />
“la donna napoletana avesse una cristallizzazione etnica,<br />
per cui gli istinti primitivi appaiono e trionfano come in<br />
nessuna delle altre donne italiane”.<br />
3.2 Vecchie attività e nuovi fermenti.<br />
Quasi ad indicare una continuità nella diversità dei<br />
regnanti, nel periodo della dominazione austriaca, con<br />
atto del 30 settembre, il Viceré emise una Prammatica<br />
contro l'uso dello sfregio, che prevedeva la pena di morte.<br />
I patrioti avevano ormai compreso da tempo che la<br />
plebe rappresentava l'ostacolo maggiore a ogni riforma, e<br />
che lo sviluppo, nell'impossibilità di una mobilità sociale<br />
uniformemente diffusa avrebbe richiesto tempi<br />
incompatibili con i loro progetti.<br />
Intanto le abitudini e le vecchie attività del popolino<br />
non mutavano. E come avrebbero potuto se le condizioni<br />
di vita economiche e sociali restavano cristallizzate al<br />
passato? In una società interamente chiusa gli unici<br />
segnali di cambiamento e di mobilità, erano i fermenti<br />
della malavita, che dal singolo e dal piccolo gruppo,<br />
evolveva in forme di aggregazione più potenti e perciò<br />
progressivamente più prevaricatrici e parassitarie. Ma era
comunque una forma di organizzazione del potere della<br />
plebe, che nell'immediato svolgeva la sua attività<br />
parassitaria a carico di onesti lavoratori e non: cocchieri,<br />
facchini, lattai, acquaioli, commercianti, gioco d'azzardo,<br />
prostituzione, eccetera.<br />
Spariva rapidamente lo spontaneismo delinquenziale<br />
dei lazzari, trasformandosi nello status delinquenziale del<br />
camorrista. E così, la camorra, da fenomeno di massa,<br />
diveniva anche fenomeno di classe, e cominciava a<br />
prendere coscienza del suo potere.<br />
Fioriva intanto l'illegalità del gioco, dell'estorsione e,<br />
soprattutto della prostituzione, ed erano i segni più<br />
evidenti del cambiamento della società.<br />
Tanto che per limitarne l’ubiquitarietà, nel 1737, fu<br />
emanata una prammatica rescritto, intitolata come le altre<br />
numerose emanate in precedenza, De Meretricibus, che<br />
prevedeva di relegare le prostitute in zone delimitate, una<br />
specie di quartiere ghetto. Di fatto, la prostituzione,<br />
poteva essere esercitata nei borghi di S. Antonio e di<br />
Loreto. In epoche successive il problema si ripresentò per<br />
gli abitanti del quartiere dell'Imbrecciata che protestarono<br />
indignati, nell'aprile del 1799, ed ottennero il divieto<br />
dell'esercizio della prostituzione nel loro quartiere.<br />
Quando la società partenopea del Regno di Napoli e<br />
delle due Sicilie, godeva ancora di un certo equilibrio, il<br />
popolo minuto era legato ai ceti abbienti con una specie<br />
di cordone ombelicale che gli garantiva la sopravvivenza<br />
attraverso una serie di attività svolte a servizio degli<br />
stessi.
Alla fine di settembre del 1799, lazzari e popolani,<br />
furono protagonisti dei disordini che seguirono l’arrivo<br />
dell'armata sanfedista del cardinale Ruffo. Nella<br />
confusione generale, alla normalità dei furti si<br />
accompagnò quella dell'assassinio di cittadini accusati, a<br />
torto o a ragione, di giacobinismo. Ma erano comunque<br />
accuse pretestuose, perché allora come ora, ai soggetti<br />
inquadrabili nel mondo della camorra, interessa solo il<br />
lato economico, piccolo o grande che sia. Il fatto nuovo è<br />
che comprendono che nonostante la lotta e le<br />
rivendicazioni la struttura sociale esistente li condanna al<br />
ruolo di esclusi, ma acquistano coscienza che la violenza<br />
è la loro forza, e poteva essere messa in gioco per<br />
rompere il guscio di povertà e di isolamento<br />
3.3 La plebe esclusa.<br />
La storia della camorra è la storia di un popolo<br />
costretto a vivere in un contesto caratterizzato<br />
dall'immobilismo sociale; che si sente emarginato; che<br />
percepisce il potere camorristico più vicino e meno<br />
vessatorio di tutte le strutture statali deputate al governo<br />
della città.<br />
Nell'Ottocento i gruppi spontanei, uniti da interessi<br />
contingenti e di durata incerta, raggiunsero l'assetto di<br />
un'organizzazione stabile.<br />
In una struttura sociale prevalentemente chiusa, che<br />
non riesce a comunicare al suo interno, la camorra, anche<br />
per la vicinanza fisica, rappresenta una forma di
aggregazione in grado di controllare la violenza della<br />
plebe, sempre pronta ad esplodere.<br />
La camorra, come fenomeno di classe e di massa, è<br />
uno degli illegalismi più noti della storia europea<br />
dell'Ottocento.<br />
Per evoluzione propria e per il coinvolgimento delle<br />
Amministrazioni, la camorra assunse il ruolo di partito<br />
della plebe.<br />
La storia della società campana è una storia di<br />
contrasti: grande ricchezza e grande miseria. Una<br />
convivenza difficile e pericolosa.<br />
È la storia di una élite incapace di modernizzarsi, e<br />
che risponde con la forza alla richiesta, della popolazione<br />
indigente, di una maggiore disponibilità di beni di<br />
sussistenza.<br />
In questo contesto, la plebe napoletana, la plebe<br />
esclusa, individua nella violenza l'unica vera risorsa di cui<br />
dispone per ottenere, di volta in volta, una conveniente<br />
contropartita.<br />
E la camorra, espressione e figlia di questa<br />
mentalità, costruì su di essa la sua struttura di potere in<br />
grado di contenerne gli eccessi e di manovrarla a seconda<br />
delle situazioni.<br />
Per consuetudine e per mediazione interessata, il<br />
dialogo tra “la plebe esclusa” e la classe dirigente<br />
borbonica, sabauda o repubblicana, è stato sempre<br />
assicurato dalla camorra.
4.0 La Bella Società Riformata.<br />
Nel 1650, Napoli, con 400.000 abitanti era, per quei tempi,<br />
una metropoli enorme che venne falcidiata dalla peste.<br />
Sopravvisse solo il 40% della popolazione.<br />
Una società che cercava di riprendersi e crescere<br />
nuovamente, con l'attività degli artigiani, commercianti,<br />
commercianti, marinai, pescatori, domestici.<br />
Alla delinquenza individuale andava ad aggiungersi sempre<br />
più diffusamente quella organizzata.<br />
Le prime personalità rilevanti del crimine campano,<br />
cominciano con l'abate Cesare, al secolo Cesare Riccardi,<br />
maestro di breviario e di coltello.<br />
Don Cesare era abate per vocazione, ma gli eventi gli<br />
cambiarono la vita.<br />
Per difesa personale commise il primo delitto, uccise<br />
Alessandro Mastrillo, duca di San Paolo di Nola, e per evitare<br />
una sicura condanna a morte si diede alla macchia e creò uno dei<br />
gruppi malavitosi più pericolosi di cui era il capo riconosciuto e<br />
autorevole.<br />
Nel 1670, in uno scontro con i soldati, rimase ferito un suo<br />
compagno e per farlo curare lo affidò al tavernaio di Nola,<br />
Natale Guazzone, ma questi fece la spia.<br />
La vendetta non si fece attendere. Raggiunse il tavernaio e<br />
lo fece appendere per un piede, gli tagliò la gola e gli appese un<br />
cartello sul quale spiegava che Natale Guazzone era uno spione.<br />
Aveva fatto uno sgarro, un'infamità.
Qui già c'è il germe della mentalità e della personalità<br />
camorristica: “lo spione è un infame e per questo deve morire”<br />
Per sopravvivere, abate Cesare continuò a imporre tangenti,<br />
a fare rapine, sequestri, assassinii, per questo veniva ricercato dai<br />
giudici di tutto il vicereame spagnolo, ed era stato convocato in<br />
giudizio a Castelcapuano.<br />
latitante.<br />
Non presentandosi venne dichiarato fuorbandito, cioè<br />
Alla base dell’organizzazione camorristica c’è la<br />
consapevolezza che la violenza è l’unica risorsa dei ceti più<br />
poveri.<br />
Ma l’impiego di tale risorsa va disciplinato e controllato.<br />
La violenza è un’attività mercificabile, e chi è capace di<br />
governarla e di usarla la rende funzionale al mercato e ne trae<br />
smisurati profitti.<br />
All’inizio dell’Ottocento, la camorra non disponeva di<br />
regole codificate.<br />
Questa condizione prestava il fianco ad ogni esagerazione<br />
criminosa individuale ed<br />
i numerosi eccessi di prevaricazioni creavano sconforto e<br />
ulteriore confusione nei quartieri popolari.<br />
Nelle carceri, la camorra, favorita dalle restrizioni della<br />
detenzione, era rigidamente organizzata, agevolata anche dalla<br />
passività e dalla connivenza dell’autorità penitenziaria, che se ne<br />
serviva per mantenere l’ordine tra i detenuti.<br />
Per le strade della città, invece, regnava lo spontaneismo.
4.1 I capintesta.<br />
Forse non sarà stato il primo malvivente ad aver organizzato<br />
una consorteria di soggetti poco raccomandabili, ma la sua<br />
attività si può ben definire di stampo camorristico.<br />
E fu sicuramente antesignano capintesta, se si tiene conto<br />
che abate Cesare, con i suoi associati, impose tangenti, ed<br />
organizzò rapine e sequestri di persone a scopo estorsivo.<br />
Ignorò l'ordine di comparizione in tribunale a Castelcapuano<br />
e venne dichiarato fuorbandito, cioè latitante.<br />
Abate Cesare, non era l'unico fior di delinquente operante a<br />
Napoli e dintorni.<br />
Bande diverse, organizzate, esercitavano la loro attività<br />
criminale nei settori che consentivano facili profitti: sequestri di<br />
persone, gioco d'azzardo, prostituzione, estorsioni,<br />
taglieggiamenti.<br />
Uno di questi altri pezzi da novanta era 'o maranese, al<br />
secolo Giovanni Lepore, che taglieggiava le cascine intorno alla<br />
città.<br />
Altro malavitoso, organizzato e ferocemente geloso, fu<br />
Marco Sciarpa che, avendo sorpreso la moglie Carmela Riccio<br />
in tenero abbandono con Matteo De Lellis, li uccise entrambi.<br />
Prostituzione, tangenti sul gioco, sulle piccole attività<br />
commerciali ed artigianali, come risulta da un documento della<br />
polizia del 1827, erano gli introiti prevalenti dei camorristi.<br />
Particolarmente fiorente, la prostituzione, nel 1836, venne<br />
regolamentata, imponendo delle restrizioni, stabilendo il divieto<br />
dell'esercizio negli alberghi e nelle locande. Il divieto veniva<br />
spesso aggirato dalle donne che, con la scusa di vendere uova,
vino ed altri alimenti, continuava ad esercitare nei luoghi<br />
interdetti al meretricio.<br />
Non mancavano i casi di corruzione delle forze dell'ordine<br />
che, in cambio di denaro, consentivano una libera attività.<br />
In quel tempo, Napoli, era una popolosa città di 400.000<br />
abitanti, asfissiata dal fiscalismo esasperato del governo dei<br />
viceré, che l'amministravano per conto dei sovrani di Madrid,<br />
imponendo gabelle pesantissime.<br />
Quando la camorra era già divenuta, di fatto,<br />
un'organizzazione gerarchica, il primo capintesta riconosciuto,<br />
che dal 1830 al 1839, si impose su tutti gli altri, fu Michele<br />
Aitollo, alias Michele 'a nubiltà, che si distingueva da tutti gli<br />
altri camorristi per i suoi modi gentili e una certa signorilità. Di<br />
professione pescatore di ostriche e frutti di mare, integrava il suo<br />
reddito soprattutto con le tangenti imposte ai pescivendoli.<br />
Venne nominato capintrito del quartiere Porto e seppe<br />
esercitare la sua attività camorristica con personalità e con<br />
rapporti cordiali e strettissimi, prestando la sua autorità a<br />
chiunque avesse un bisogno o un contenzioso da risolvere. Di lui<br />
si apprezzava il suo “ buon cuore” e gli aneddoti che circolavano,<br />
tra i popolani, sul suo conto erano numerosi e di segno positivo.<br />
Questa specie di propaganda continua sulle qualità positive dei<br />
camorristi, favoriva la tolleranza e l'acquiescenza nei confronti<br />
dei capintriti, nelle zone d'influenza. Michele Aitollo, di bassa<br />
statura, e con il corpo ricoperto di tatuaggi, aveva moglie e<br />
cinque figli. Morirono tutti nell'epidemia di colera del 1836.<br />
Dopo la morte dei familiari, unitamente ai suoi affiliati camorristi
collaborò alla disinfezione di estese aree cittadine, e la sua fama<br />
di uomo di buon cuore si diffuse ulteriormente.<br />
Nel 1838, il padre di una ragazzina di 15 anni sedotta da un<br />
pescivendolo, chiese il suo intervento per convincere o<br />
costringere il giovanotto al matrimonio riparatore perché la<br />
ragazza era stata compromessa nel suo onore. L'impegno di<br />
Michele Aitollo fu immediato, ed il seduttore, intimorito,<br />
promise di sposare la ragazzina. Ma alla prima occasione, il<br />
pescivendolo fuggi in Inghilterra. Nell'impossibilità di imporre il<br />
matrimonio riparatore al fuggiasco, Michele mantenne l'impegno,<br />
sposando lui la ragazza compromessa.<br />
L'anno successivo per la sua mania dei tatuaggi contrasse<br />
un'infezione che lo portò a morte. Il tatuatore venne sgozzato e<br />
non fu possibile trovare il colpevole, che andava sicuramente<br />
cercato tra gli associati alla “ Bella Società Riformata”.<br />
4.2 La zumpata.<br />
Accadeva spesso che chi sapeva usare il coltello con<br />
maestria riusciva a prevalere nell'universo camorristico attraverso<br />
duelli, denominati zumpate, la cui etimologia è da ricercare nelle<br />
modalità con cui si svolge il combattimento: attacchi repentini e<br />
salti per arretrare celermente. Saltare, in napoletano, si dice<br />
zumpare, e l'insieme dei salti è una zumpata.<br />
Luoghi designati per questi scontri erano Fuori Porta<br />
Medina, Capodichino, alcune zone di S. Antonio Abate. Spesso i<br />
duelli erano estremamente cruenti e l'esito mortale. Quando uno<br />
dei duellanti rimaneva a terra, in una pozza di sangue, privo di
vita, non si trovava mai un testimone: nessuno aveva visto,<br />
nessuno aveva sentito.<br />
Nella zona di Porta Capuana, nel 1840, il camorrista più<br />
abile nella zumpata e prepotente nei modi, era Aniello Ausiello,<br />
di Porta Capuana. La sua paranza lucrava sulla partecipazione<br />
all'asta dei cavalli di scarto dismessi dall'Esercito. In pratica<br />
Aniello ed i suoi picciotti si presentavano all'asta e la<br />
monopolizzavano, scoraggiando con modi appropriati ed efficaci<br />
chiunque intendesse parteciparvi. Capitò che in un'asta, un<br />
camorrista concorrente non volesse sentire ragioni, e fece una<br />
brutta fine.<br />
In una situazione di assoluto monopolio, Ausiello riusciva<br />
ad accaparrarsi tutti gli animali a misero prezzo, favorito da<br />
banditori corrotti, e li rivendeva con cospicui guadagni. In questa<br />
situazione di consolidato dominio nessuno osava intromettersi<br />
nell'ambiente delle aste.<br />
Quattro capintriti avevano cercato di insidiargli la moglie,<br />
nannina 'a pizzicata e lui li sfidò uno ad uno, in regolari zumpate<br />
e li uccise. Divenne capintesta senza opposizione alcuna:<br />
proveniva da Porta Capuana, come previsto dal frieno ed era,<br />
cosa molto importante, il più lesto ad uccidere. L'intraprendenza<br />
di Ausiello non aveva limiti, e spalleggiato sempre da un nutrito<br />
gruppo di malviventi, tra i quali un ex soldato svizzero, da lui<br />
nominato contaiolo, esercitava una nuova attività, quella della<br />
vendita delle armi alle bande dei briganti della provincia. Questa<br />
attività aggiuntiva ne decretò la sua definitiva scomparsa.<br />
L'assemblea dei camorristi lo dichiarò indegno e dovette<br />
dimettersi ed allontanarsi da Napoli, mentre la moglie, causa di
morte dei quattro capintriti, giustiziati dal marito, venne uccisa<br />
dalla moglie del nuovo capintesta. In questa occasione Ausiello<br />
fu sfortunato. Infatti i tempi cambiavano rapidamente, e nel<br />
sodalizio della Bella Società Riformata entravano a pieno titolo<br />
ladri e rapinatori. Prima la camorra esigeva tangenti dai ladri, ora<br />
li aggregava e concedeva ad essi la possibilità di esercitare<br />
l'attività ladresca in conto proprio, senza pretendere alcunché.<br />
In un clima di generale accettazione e rassegnazione,<br />
s’imponevano quelli che venivano definiti i re della plebe.<br />
Ma gli equilibri precari non sono destinati a durare a lungo.<br />
In quegli anni, il personaggio dominante sulla scena<br />
camorristica napoletana era, indiscutibilmente, Pasquale<br />
Capuozzo.<br />
Questi faceva il maniscalco, e arrotondava il reddito<br />
facendo la camorra nella zona di Porta Capuana, vicino al<br />
carcere ed al Tribunale della Vicaria.<br />
Altri personaggi autorevoli ed intraprendenti, contendevano<br />
a Pasquale Capuozzo la pretesa supremazia, e lo status di unico<br />
capo cittadino.<br />
Parimenti prepotente ed agguerrito, Nicola Castaldi, ne<br />
ostacolava l’attività e ne contestava l’autorità.<br />
Accadde così che il contrasto, fatalmente, sfociasse nel<br />
duello.<br />
Castaldi ebbe la peggio e ci rimise la pelle.<br />
Quando arrivarono i gendarmi borbonici, nessuno aveva<br />
visto e udito nulla.<br />
Un morto senza testimoni.
Tradizionalmente i camorristi esercitavano attività di<br />
intermediazione nel settore degli alimentari.<br />
Imponevano a fornai, beccai, rivenditori di derrate nei<br />
mercati, prezzi e fornitori e, con le buone o con le cattive,<br />
scacciavano la concorrenza.<br />
Permanendo una condizione di perenne belligeranza tra i<br />
camorristi, urgeva la necessità di darsi delle regole per stabilire<br />
tempi, modi e gerarchie della camorra.<br />
Fu così che, nel 1842, il contaiuolo Francesco Scorticelli,<br />
venne incaricato dalla setta di redigere un documento scritto, uno<br />
statuto.<br />
Doveva contenere tutti i “frieni” vigenti, la scansione<br />
temporale e le modalità d’ingresso nella carriera percorribile<br />
dagli adepti, il sistema di spartizione dei proventi delle estorsioni,<br />
commisurate alla posizione occupata nella scala gerarchica.<br />
Il 12 settembre 1842, nella chiesa di Santa Caterina a<br />
Formiello, Scorticelli diede lettura di un frieno composto da 26<br />
articoli:<br />
Art. 1. La Società dell’Umiltà o Bella Società Riformata ha per scopo<br />
di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in<br />
circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente.<br />
Art. 2. La Società si divide in Maggiore e Minore: alla prima<br />
appartengono i compagni camorristi alla seconda i compagni picciotti e<br />
giovanotti onorati.<br />
Art. 3. La Società ha la sua sede principale in Napoli, ma può avere<br />
delle categorie anche in altri paesi.<br />
Art. 4. Tanto i compagni di Napoli che di fuori Napoli, tanto quelli<br />
che stanno nelle isole o sottochiave (in carcere) o all’aria libera, debbono
iconoscere un sol capo, che è il superiore di tutti e si chiama capintesta, che<br />
sarà scelto tra i camorristi più ardimentosi.<br />
Art. 5. La riunione di più compagni camorristi costituisce la paranza<br />
ed ha per superiore un capintrito o un caposocietà.<br />
Art. 6. La riunione di più compagni picciotti o di giovanotti onorati si<br />
chiama chioma e dipende anche dal capo società dei compagni camorristi.<br />
Art. 7. Ciascun quartiere deve avere un caposocietà o capintrito che<br />
sarà, per votazione, scelto fra i camorristi del quartiere e dura in carica un<br />
anno.<br />
Art. 8. Se fra le paranze vi fosse qualcuno di penna, allora dietro il<br />
parere del capintesta e dopo un sacro giuramento, sarà nominato contaiuolo.<br />
Art. 9. Se fra le chiome vi fosse qualcuno di penna, allora dal picciotto<br />
anziano del quartiere sarà presentato al capintito dal quale dipende e, dietro<br />
sacro giuramento, sarà nominato contaiuolo dei compagni picciotti; ma se<br />
non si trovasse, allora il contaiuolo delle paranze farà da segretario anche<br />
alle chiome.<br />
Art. 10. I componenti delle paranze e delle chiome, oltre Dio, i Santi e<br />
i loro capi non riconoscono altre autorità.<br />
Art. 11. Chiunque svela cose della Società sarà severamente punito<br />
dalle mamme.<br />
Art. 12. Tanto i compagni vecchi che quelli che si trovano n elle isole<br />
o sottochiave ( in carcere ) debbono essere soccorsi.<br />
Art. 13. L e madri, le mogli, le figlie e le innamorate dei camorristi,<br />
dei picciotti e dei giovanotti onorati debbono essere rispettate sia dai soci<br />
che dagli estranei.<br />
Art. 14. Se, per disgrazia, qualche superiore trovasi alle isole, deve,<br />
dagli altri dipendenti, essere servito.<br />
Art. 15. Quattro camorristi sotto chiave possono fra loro scegliersi un<br />
capo, che cesserà di essere tale appena toccherà l’aria libera.<br />
Art. 16. Un socio della società Maggiore, per essere punito, dovrà<br />
essere sottoposto al giudizio della Grande Mamma. Alla Grande Mamma
presiede il capintesta e alla Piccola Mamma il capintrito o il capo società del<br />
quartiere di chi deve essere condannato.<br />
Art. 17. Se uno delle chiome offendesse qualcuno delle paranze, il<br />
paranzuolo si potrà togliere la soddisfazione da sé. Avverandosi l’opposto,<br />
dovrà essere informato prima il capintesta.<br />
Art. 18. Il dichiara mento si farà sempre dietro il parere del capintrito,<br />
se trattasi di picciotto o giovanotto onorato, e dietro il parere del capintesta,<br />
se di camorrista. Ai vecchi e agli scornacchiati (cornuti) sarà vietato<br />
zompare.<br />
Art. 19. Per essere camorrista o ci si arriva per novizio o per colpo.<br />
Art. 20. Chi fu implicato in qualche furto e fu riconosciuto come<br />
ricchione ( omosessuale passivo) non può essere mai capo.<br />
Capuana.<br />
Art. 21. Il capintesta si dovrà scegliere sempre tra le paranze di Porta<br />
Art. 22. Tutte le punizioni delle Mamme si debbono eseguire nel<br />
termine che stabilisce il superiore e dietro tocco<br />
( sorteggio ).<br />
Art. 23. Tutti i camorristi e i picciotti diventano, a turno, camorristi e<br />
picciotti di giornata.<br />
Art. 24. Quelli che sono condannati ad eseguire le tangenti le debbono<br />
consegnare per intero ai superiori. Delle tangenti spetta un quarto al<br />
capintesta e il resto verrà versato nella cassa sociale a scopo di dividerlo<br />
scrupolosamente fra i compagni, gli infermi e quelli che stanno in punizione<br />
per sfizio del governo.<br />
Art. 25. I pali, nella divisione del barattolo, debbono essere trattati<br />
ugualmente come gli altri della società.<br />
Art. 26. Al presente frieno, secondo le circostanze, possono essere<br />
aggiunti altri capitoli.<br />
Da questo momento esistevano le regole ed andavano<br />
rispettate. Ed era più facile farle rispettare perché nella camorra<br />
di allora, il potere non era frantumato come oggi, ma somigliava
a Cosa Nostra del Novecento, era verticistico e gerarchizzato, e<br />
consentiva perciò il più agevole ed assoluto controllo<br />
dell'associazione.<br />
Il frieno somigliava ad una Società Operaia di Mutuo<br />
Soccorso tra delinquenti, con un sistema di assistenza e<br />
previdenza per i soci. Se un camorrista finiva in carcere, ai<br />
familiari veniva assicurato un aiuto economico, infatti una quota<br />
degli incassi della Bella Società Riformata era destinata a loro.<br />
La restante parte degli incassi veniva così ripartita:<br />
- un quarto al Capintesta;<br />
- il resto veniva ripartito tra tutti gli altri associati, ma in<br />
proporzione al gradino occupato nella scala gerarchica:<br />
- Camorrista;<br />
- picciotto;<br />
- picciotto di sgarro;<br />
- picciotto di giornata.<br />
Tranne i cornuti, i ladri e gli omosessuali passivi, tutti<br />
potevano divenire affiliati.<br />
L'articolo 15, consentiva la costituzione di una paranza<br />
autonoma in carcere, per i cosiddetti sotto chiave. Questo<br />
privilegio accordato, si giustificava col fatto che la presenza in<br />
carcere dei camorristi, non era un evento raro, ma una acclarata<br />
costante, connaturata al mestiere di delinquente professionista.<br />
Ogni quattro ne potevano fare una scegliendosi un capo che<br />
decadeva appena tornato in libertà. L'affiliazione seguiva un<br />
rituale che prevedeva un voto dei camorristi riuniti per decidere<br />
se accettare o no il nuovo adepto, che veniva presentato dal capo.<br />
Se il voto era favorevole, il capo dichiarava: “fin da oggi siete
nostro compagno, voi parteciperete con noi ai benefici di questa<br />
società”.<br />
Quindi veniva chiesto al nuovo affiliato se conosceva i<br />
doveri del camorrista, e questi rispondeva:<br />
“Debbo fare una tirata (affrontare con il coltello un<br />
camorrista esperto) con uno dei miei compagni, giurare di essere<br />
fedele ai miei soci, nemico delle autorità pubbliche, non avere<br />
alcun rapporto con individui addetti alla polizia, non denunziare<br />
i miei compagni ladri, anzi amarli più degli altri, poiché<br />
pongono la loro vita in pericolo”.<br />
Alla fine del duello che il novizio doveva affrontare<br />
dimostrando abilità e coraggio, arrivava il giuramento su due<br />
pugnali incrociati.<br />
A questo punto, il capo abbracciava e baciava il neo affiliato<br />
e la stessa cosa facevano tutti gli altri. Seguiva la dichiarazione<br />
ufficiale che nella camorra era entrato un altro camorrista.<br />
Ironia della sorte, questi delinquenti, mentre infrangevano<br />
costantemente la Legge, erano assoggettati all'osservanza<br />
assoluta della loro “legge”, il frieno. Le pene previste per chi<br />
infrangeva le regole, inflitte dal tribunale interno: la Grande<br />
Mamma, che era il tribunale supremo, e la Piccola Mamma, che<br />
erano i tribunali delle singole zone controllate dai capintriti,<br />
erano proporzionali allo sgarro commesso:<br />
- espulsione temporanea o permanente dalla Società;<br />
- ricevere uno schiaffo in pubblico;<br />
- subire uno sfregio col rasoio sgranato;<br />
- essere tagliato il volto con il rasoio affilato;<br />
- essere deturpato il volto con il rasoio sporco di feci;
- uccisione.<br />
I comportamenti “illeciti” venivano classificati come:<br />
- sgarro ( sbaglio);<br />
- infamità( tradimenti).<br />
Anche il duello dei camorristi aveva una sua gradualità<br />
d'impegno. Diverse erano le fasi che li portavano ad affrontarsi<br />
con il coltello:<br />
- si cominciava con l'appicceco, il contrasto;<br />
- la seconda fase era il raggiunamento, esame dei motivi del<br />
contrasto tra le parti;<br />
- la terza fase era la cuistione, litigio ad alta voce e con toni<br />
forti;<br />
- la quarta fase era il dichiaramento, la sfida, il combattimento<br />
vero e proprio.<br />
Alle regole del frieno si arrivava, comunque, attraverso usi,<br />
costumi, consuetudini consolidate, per cui le nuove regole<br />
assumevano una connotazione soprattutto politica. Infatti il<br />
problema del riconoscimento di un capo unico trovava<br />
regolarmente la sua soluzione con la forza. Chi era in grado di<br />
esercitare il più esteso controllo delle attività camorristiche sul<br />
territorio attraverso un consistente numero di fedeli affiliati<br />
picciotti, diveniva capintesta.<br />
Storicamente il quartiere a più alta concentrazione<br />
camorristica era quello di Porta Capuana, de facto il più forte,<br />
quello predominante. E, di conseguenza, anche de iure diveniva<br />
Capintesta.
Niente di nuovo sotto il sole di Napoli: i rapporti di forza<br />
all'interno della malavita napoletana si applicavano sempre allo<br />
stesso modo.<br />
Il fatto nuovo era la presa di coscienza di poter esercitare un<br />
potere proprio, autonomo, perché all'interno della società, la<br />
camorra era in grado di costruire una sua microsocietà, una<br />
specie di cisti sociale contenuta soprattutto nei quartieri più<br />
poveri. E in questi quartieri dove tutte le attività produttive,<br />
lecite o illecite, venivano parassitate, il capintesta poteva essere<br />
considerato il re della plebe.<br />
Per i camorristi detenuti, cosiddetti sotto chiave, era prevista<br />
la possibilità di scegliersi un capo ogni quattro detenuti, e la sua<br />
autorità sarebbe cessata appena tornato in libertà.<br />
All’art. 1, veniva costituita la “ Società dell’Umiltà, o<br />
dell'Umirtà, o Bella Società Riformata, con lo scopo di riunire<br />
tutti quei compagni che hanno a cuore, allo scopo di potersi, in<br />
circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente”.<br />
La Camorra viene così suddivisa:<br />
- una Società Maggiore, cui appartengono i compagni<br />
camorristi;<br />
- una Società Minore, cui appartengono i compagni picciotti<br />
e i giovanotti onorati<br />
Le tappe del cammino della camorra, dall'origine ai tempi<br />
nostri, possono essere così suddivise:
- nascita dei primi gruppi malavitosi, nel periodo del<br />
vicereame spagnolo;<br />
- crescita come criminalità organizzata, e presa di coscienza<br />
come forza collettiva,<br />
con i lazzari;<br />
- a partire dal 1830, dalla massa emergono soggetti in grado<br />
di guidare gruppi organizzati di malavitosi. Diretta conseguenza<br />
di questa nuova realtà nell'amministrazione della criminalità, è<br />
l'organizzazione, statuita con l'elaborazione del frieno della Bella<br />
Società Riformata;<br />
- dal 1860, i capintesta vengono utilizzati dalla Pubblica<br />
Amministrazione per il controllo sistematico della protesta della<br />
plebe;<br />
- avvento del fascismo e confluenza di manovalanza<br />
camorristica all'interno dell'organizzazione periferica del partito;<br />
- la camorra dei mercati ortofrutticoli, a partire dalle aree rurali<br />
della provincia cresce e consolida l'organizzazione;<br />
- a consolidamento avvenuto del potere fascista, lotta senza<br />
quartiere a tutte le forme di criminalità organizzata;<br />
- fase di declino o di “sonno;<br />
- il secondo conflitto mondiale e la ripresa dell'attività<br />
camorristica;<br />
- intreccio con la mafia siciliana;<br />
- contrabbando organizzato di tabacchi lavorati esteri (t. l.<br />
e.);<br />
- interscambio con gruppi criminali stranieri;<br />
- espansione all'estero e controllo dei canali di<br />
approvvigionamento di droga e tabacchi lavorati esteri.
Il secondo conflitto mondiale è lo spartiacque del<br />
cambiamento tra la vecchia e la nuova camorra. Il segreto della<br />
crescita dell'attività dei clan camorristici sta nel controllo<br />
materiale diretto sul territorio d'influenza, che gli consente di<br />
esercitare un'attività più vasta di quella del racket del gioco<br />
d'azzardo, dell'usura, della prostituzione, spaccio di droga e<br />
sigarette, facendo da intermediari tra la gente comune e i politici<br />
al potere, acquistando legittimità sociale e considerazione agli<br />
occhi dei politici corrotti.<br />
Il contrabbando dei tabacchi lavorati esteri (t. l. e.), con<br />
l'aggiunta di quello della droga, hanno elevato l'esigenza di<br />
ridurre i rischi per i maggiori investimenti finanziari e per il<br />
rischio di condanne penali più gravose. Di conseguenza la<br />
criminalità organizzata ha incrementato il suo sforzo per il<br />
controllo del territorio con il miglioramento nelle comunicazioni<br />
e nei trasporti, e una militarizzazione sempre maggiore.<br />
L'aumento della violenza tra i clan camorristici è dovuta alla<br />
mancanza di capacità di mediazione tra clan rivali. Il livello di<br />
violenza non è l'unico indicatore del controllo della camorra su<br />
un dato territorio: la vendita di sigarette di contrabbando, e tutta<br />
l'attività legata al narcotraffico, ad esempio, richiede una<br />
regolare, visibile e numerosa presenza di persone. Il<br />
coinvolgimento di tanti soggetti fa si che la criminalità<br />
organizzata appaia come una forma alternativa di potere. La<br />
camorra non ha mai avuto queste pretese, e più che un anti-Stato<br />
vuole apparire ed essere uno stato parallelo e non vuole avere il<br />
sopravvento sul potere governativo. Se la sistematica presenza e<br />
influenza all'interno della struttura politica viene comunemente
accettata, con le conseguenti protezioni contro le sanzioni penali,<br />
il controllo della camorra diviene noto a tutti e condiziona sia la<br />
popolazione locale, sia la politica. In queste condizioni tutte le<br />
attività criminali possono prosperare, ratificate privatamente dai<br />
politici locali.<br />
Anche se il controllo totale di una zona attraverso le<br />
intimidazioni potrebbe essere più efficace della possibilità di un<br />
totale controllo politico, sarebbe errato considerare la camorra<br />
solo come un soggetto criminale. Essa è spinta da motivazioni<br />
puramente economiche e non ha aspirazioni politiche o sociali. Il<br />
controllo materiale di un territorio, cioè l'esercizio del potere, è<br />
solo un mezzo per raggiungere l'arricchimento e l'accumulazione<br />
del capitale. I magistrati che si sono occupati di camorra, come<br />
Agostino Cordova, hanno potuto accertare che:<br />
“mediante il controllo di una data area, riguardante in<br />
particolare le elezioni e le attività finanziarie, i capi camorra-<br />
Carmine Alfieri nella provincia di Napoli, Gennaro Licciardi<br />
nell'area urbana e Francesco Schiavone nell'area di Caserta,<br />
sono stati in grado di dominare i politici e gli imprenditori con<br />
cui concludevano affari”.<br />
Recentemente i clan di camorra, una volta conseguito il<br />
controllo totale di un dato territorio, mutano, scegliendo di<br />
specializzarsi in particolari attività. Secondo il giudice Giuseppe<br />
Borrelli, oggi c'è una differenza fondamentale nelle modalità<br />
operative tra i clan attivi nella città di Napoli e nella provincia<br />
limitrofa:<br />
“In città i clan contano 60-70 persone per zona e si<br />
concentrano sul traffico degli stupefacenti [...] di solito questo
tipo di attività porta all'emergere di una camorra di massa, che<br />
recluta nelle proprie file un altissimo numero di persone per il<br />
lavoro di preparazione e distribuzione, eccetera [...].<br />
Questi numeri sono più bassi in provincia, in media 30-40<br />
persone. Normalmente queste organizzazioni hanno una storia,<br />
sono forti e molto affermate. Operano in settori tradizionali<br />
come l'usura, gli appalti e l'estorsione. Per questo motivo sono<br />
legate ai comuni [...]. Ci sono intere zone dove il traffico di<br />
stupefacenti viene proibito. Visto che queste organizzazioni<br />
esercitano un forte controllo sul territorio, è sempre stato nel<br />
loro interesse evitare di attirare troppa attenzione. Ma ovunque<br />
c'è traffico di stupefacenti, normalmente c'è anche una forte<br />
presenza della polizia. Inoltre in provincia, la camorra é molto<br />
consapevole del rischio di informatori[...]”.<br />
Gli esponenti delle maggiori organizzazioni camorristiche<br />
tendono a far eseguire alcune attività ad elementi non inquadrati<br />
nell'organico del clan. Racket, gioco d'azzardo, vendita al minuto<br />
di sigarette e droga, non vengono praticati direttamente.<br />
Il narcotraffico viene talvolta condotto dagli stessi<br />
tossicodipendenti, considerati scarsamente affidabili per essere<br />
inquadrati nell'organico delle organizzazioni, oppure vengono<br />
utilizzati ragazzi non perseguibili per la loro minore età.<br />
Si tratta comunque di attività che spesso implicano<br />
l'esercizio della violenza e creano allarme nella cittadinanza,<br />
ragione per cui i politici tendono a dedicare tempo e risorse<br />
pubbliche e di pubblica sicurezza a questi crimini di basso<br />
livello, ignorando i massimi gradi della camorra. In questo modo<br />
la manovalanza diviene “capro espiatorio” per i veri camorristi.
La folla di giovani minorenni e non, che giornalmente<br />
vendono sigarette t. l. e., che spacciano droga, estorcono danaro<br />
attraverso i racket, organizzano il gioco d'azzardo, non hanno<br />
influenza diretta sulla politica del clan e sono soggetti alla parola<br />
e alle decisioni insindacabili del capo. Spesso finiscono in galera,<br />
senza un quattrino, senza risorse per la tutela giuridica di un buon<br />
avvocato. Ciononostante, sempre numerosi sono i ragazzi che<br />
hanno meno di 18 anni e vengono impiegati per conflitti a fuoco,<br />
rapine, omicidi. In passato gli avanzamenti nella carriera<br />
camorristica per arrivare a posizioni di vertice duravano decenni.<br />
Gli enormi profitti conseguibili con il narcotraffico invogliano<br />
sempre più giovani ad intraprendere l'attività di trafficanti e<br />
spacciatori, con la speranza o con il sogno di divenire miliardari<br />
in fretta.
4.3 Il pizzo per l’olio votivo per la Madonna.<br />
L’organizzazione delle carceri napoletane era decisamente<br />
precario e la popolazione carceraria, ammassata negli stanzoni,<br />
sporca e seminuda, contava una consistente presenza di quelli<br />
che potremmo definire delinquenti professionisti, i camorristi.<br />
Organizzati secondo i dettami del “frieno” della Bella<br />
Società Riformata, ogni quattro detenuti camorristi potevano<br />
nominare un capo, per costituire una paranza, e restava in carica<br />
fino a che non fosse tornato in libertà.<br />
Ogni detenuto che non apparteneva alla camorra, appena<br />
entrato in carcere ne diveniva vittima.<br />
Dopo la registrazione da parte dei cancellieri e degli<br />
scrivani, i detenuti venivano avviati negli stanzoni a loro<br />
assegnati, popolati da una turba di derelitti parassitati da pochi<br />
violenti.<br />
A Napoli, la venerazione religiosa non era riservata solo a<br />
S. Gennaro ed a S. Antonio Abate. Una particolare devozione<br />
veniva e viene accordata alla Madonna.<br />
La Madonna, Vergine e Madre, è sentita più umanamente<br />
vicina di un Dio onnipotente ed invisibile e perciò inavvicinabile,<br />
e di un Cristo sofferente e sanguinante, morto di stenti sulla<br />
Croce,.<br />
La religiosità popolare napoletana dell’Ottocento era (e<br />
spesso lo è ancora) una religiosità profana e materiale,<br />
superstiziosa ed esigente: alle più strane intercessioni, dalle<br />
questioni di cuore agli affari, dalla salute ai numeri del lotto,
pretendevano completa e rapida soddisfazione, pena bestemmie e<br />
maledizioni di ogni ordine e grado.<br />
Diffusissima era l’abitudine, specialmente da parte dei<br />
camorristi, di farsi tatuare il corpo con immagini sacre della<br />
Madonna, affiancate da frasi e figure oscene.<br />
Tuttavia, questa ostentata religiosità non impediva ad<br />
alcuni detenuti, specialmente camorristi, di perpetrare un’odiosa<br />
e persistente attività parassitaria a danno di una massa di<br />
diseredati.<br />
Per comprendere l’invasività e la pervasività della camorra,<br />
basta pensare che persino le sepolture e le messe in suffragio dei<br />
defunti erano soggette al pagamento di una tangente.<br />
In ogni angolo di Napoli, in ogni viuzza, in ogni locanda, in<br />
ogni casa, piccola o grande che fosse c’era un ritratto della<br />
Madonna, un’edicola votiva con una lampada sempre accesa.<br />
Arrivati in carcere, i detenuti subivano il primo<br />
taglieggiamento, proprio in nome della Madonna.<br />
Dai camorristi, veniva chiesto loro del denaro per<br />
l’illuminazione dell’immagine sacra.<br />
Chiedevano l’obolo per l’olio alla Madonna.<br />
In effetti, il significato della richiesta e dell’accettazione di<br />
tale tassa era anche simbolico, perché il detenuto, nel momento<br />
in cui pagava, accettava “le regole”.<br />
Consentiva cioè di farsi taglieggiare durante tutto il periodo<br />
della reclusione.
D’altra parte non aveva alternative: il rifiuto comportava<br />
angherie di ogni tipo, inauditi maltrattamenti o a volte anche la<br />
morte.<br />
L’atrocità di questo trattamento appare ancora più<br />
allucinante se si tiene conto che le carceri napoletane<br />
dell’Ottocento erano luoghi di degrado, di sporcizia e<br />
malnutrizione, dove le malattie contagiose trovavano le migliori<br />
condizioni di diffusione.<br />
La vecchia letteratura, quando si occupa di questo sopruso,<br />
rappresenta la cosa in modo scontato e naturale:<br />
Il primo tributo, che s’impone al detenuto novellino è un<br />
soldo o due o due per la cassetta destinata all’acquisto dell’olio<br />
per la lampada che arde davanti alla sacra immagine protettrice<br />
della corsia: la Madonna del Carmine, l’Addolorata, Sant’Anna,<br />
o San Vincenzo della Sanità che costituiscono le sacre stelle del<br />
paradiso dei camorristi. Ebbene, Ciccio Cappuccio, ancora<br />
imberbe, ignoto alla camorra alta e bassa, ignoto ai guappi più<br />
famosi carcerati o a piede libero, si ribellò con un atto clamoroso<br />
spavaldo rude al tempo stesso stupefacente, all’imposizione del<br />
tributo dell’uoglio.<br />
Ferdinando Russo ricorda così l’episodio:<br />
L’UOGLIO.<br />
I.<br />
_Ve site mai truvato carcerato<br />
cu na ventina ‘e bammenielle attuorno<br />
ca appena ca ve site presentato<br />
fanno ‘o ruciello pe ve fa nu cuorno?
“Guagliò, che d’è? Pecchè t’hanno pigliato?<br />
Chi si’? Ch’è fatto?” E passa ‘o primmo juorno.<br />
‘A notte n’ uocchioha survigliato a n’ato,’<br />
‘o juorno appriesso accummencia ‘o taluorno!<br />
‘O picciuotto ‘e jurnata se ne vene:<br />
“L’uoglio p’ ‘a lampa, tanto! ‘O pranzo mmano<br />
‘o ttabbacco, ‘e denare…Te cunvene?”<br />
Si faie ‘o nzisto so gguardate storte:<br />
po’ quann’è ascuro, e dorme ‘o guardiano,<br />
te truove sulo…e so’ mazzate ‘e morte.<br />
II.<br />
Accussi ‘on Ciccio. L’uoglio? ‘O pranzo? ‘O che?<br />
Chi ve consce! Chi ve vo’ parlà?<br />
‘A cammorra songh’io! Lassate sta!<br />
_ Tu!! Nu guaglione!!! – Embè, chi vo’ vede<br />
Ciccio Cappuccio che ve sape fa?<br />
Io ve cumanno!_ Ma chi fusse?…_ ‘O Rre!<br />
L’uoglio v’’o ddongo…pe ve medecà!<br />
E scartanno, e zumpanno ‘a miezo ‘e liette<br />
Pigliai nu scanno… e dette . Uh, mamma mia!
La dinto nun chiudevano cunfiette!<br />
Mo’ … si vulite ca ve conto ‘e botte<br />
S’ ‘o ricordano ancora, ‘a Nfermaria<br />
Dudece cape e sette vracce rotte!…<br />
L’OLIO._ Siete mai stato in carcere/circondato da una ventina di<br />
ragazzi/ che appena vi siete presentato,/ fanno un capannello per farvi<br />
un cattivo servizio?// “Ehi, ragazzo, cosa è successo?/ Perché sei stato<br />
catturato?/ Chi sei ? Cosa hai fatto?” E passa il primo giorno./ Di notte<br />
non ha potuto chiudere occhio [ un occhio ha sorvegliato un altro]./ Il<br />
giorno seguente iniziano le seccature!// Viene il picciotto di giornata/<br />
“L’olio per la lampada, tanto! Il pranzo da servire,/ il tabacco, il<br />
denaro…Ti conviene?// Se sei ostinato di guardano di mal occhio./poi di<br />
notte quando il carceriere dorme/ ti trovi solo…e sono botte da orbi.<br />
Così don Ciccio. – L’olio? Il pranzo?O cos’altro?/ Chi vi conosce!<br />
Chi vi dà retta ? [chi vuole parlare con voi?]/ E’ il diritto di camorra!-<br />
Ma perché?/ La camorra sono io! Lasciate perdere!//-Tu!! Un<br />
ragazzo!!!-Beh, chi vuol vedere/ Ciccio Cappuccio cosa sa fare??/ Sono<br />
io il vostro capo!-Chi saresti?-Il Re!/L’olio ve lo do…per medicarvi!-//E<br />
sgattaiolando e saltando tra i letti/ prese uno scanno… e le diede di<br />
santa ragione. Oh mamma mia!/ Là dentro certamente non piovevano<br />
confetti!// Ora se volete che vi racconto la zuffa ./ se la ricordano ancora<br />
gl’infermieri:/ dodici teste e sette braccia rotte!!<br />
Fu la grande prova per colui che doveva prendere, dalle<br />
mani grifagne di Tore ‘e Criscienzo e dei formidabili<br />
luogotenenti di questo capo camorrista da leggenda , le redini<br />
della vasta società. Egli guadagnava, di punto in bianco, sul<br />
campo di battaglia, il bastone di maresciallo. Guappi, camorristi
giovani e provetti, rimasero allibiti ed ammirati di fronte al<br />
giovane prodigio, che denotava il genio…del condottiero di<br />
guagliune ‘e malavita. Cosicché allorquando si furono medicate<br />
le ferite e contusioni toccate nella formidabile mischia, quei bruti<br />
innamorati del bel gesto, che empiva di affascinante vita reale la<br />
visione di incredibili bravure estasianti gli spettatori del Teatro di<br />
donna Peppa, invitarono lo smilzo don Ciccillo a “onorare<br />
dell’opera e della persona sua l’onorata società”.<br />
La carriera fu rapidissima: Cappuccio, come un ufficiale<br />
che abbia fatto la scuola di guerra, superato che ebbe lo scoglio<br />
dei primi gradi, raggiunse in breve tempo l’apice pervenendo<br />
ancor giovane al generalato.<br />
Fu il periodo fulgido della ricostituita camorra, andata in<br />
frantumi tra i rivolgimenti del 1860 e mal ricostruita e a stento<br />
vivacchiante durante i primi tempi del regno italico a causa della<br />
rigidezza senza pietà spiegata dai gabinetti conservatori. Il potere<br />
centrale, per due o tre lustri, aveva perseguitato incessantemente<br />
il brigantaggio, dovunque gettasse germogli, nelle città e nelle<br />
campagne. Non ancora la malavita era ridiventata uno strumento<br />
quasi di Stato attraverso la corruttela organizzata che è<br />
l’elettorato, politico e amministrativo.
5.0 Collusione con il potere legale.<br />
Il re Francesco II di Borbone, stava per abbandonare Napoli.<br />
Dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, a Marsala. Nel popolo si<br />
avvertivano fremiti simili a quelli del 1799, ed i timori di<br />
disordini indussero il sovrano a chiedere suggerimenti al<br />
Piemonte e alla Francia, nella speranza anche di poter ottenere un<br />
appoggio futuro.<br />
Napoleone III, re di Francia, suggerì al Borbone di<br />
concedere la Costituzione. Il 26 giugno 1860, seguendo i consigli<br />
d’Oltralpe, la concesse. Provvide anche a licenziare il governo in<br />
carica, sostituendolo con un altro i cui componenti erano di idee<br />
e di estrazione liberale.<br />
L’avvocato Liborio Romano, già professore di diritto<br />
commerciale alla Regia Università di Napoli, che aveva<br />
conosciuto il carcere e l’esilio per l’opposizione al regime, era in<br />
prima linea per diventare ministro nel nuovo governo. Di<br />
estrazione massonica e liberale per tradizione familiare, paziente<br />
e doppiogiochista, che mentre era parte costitutiva ed attiva del<br />
governo dei Borbone, intratteneva una fitta corrispondenza con il<br />
generale Giuseppe Garibaldi, e ne preparava l’ingresso più rapido<br />
ed agevole a Napoli.<br />
L’avvocato Liborio Romano, però, nutriva timori circa la<br />
tenuta delle strutture preposte al mantenimento dell’ordine<br />
pubblico nel momento del trapasso del potere. E’ cosa ovvia e<br />
provata in modo certo che quando il comando passa, per
costrizione, da un potente all’altro, ci sono sempre forze che<br />
cercano di creare difficoltà. In una situazione come quella<br />
esistente nella capitale partenopea, dove l’indigenza di una parte<br />
notevole della popolazione si andava sempre più aggravando, per<br />
l’incapacità dei governanti di promuovere uno sviluppo al passo<br />
dei tempi, così come avveniva in ogni altra nazione europea, lo<br />
scontento era palpabile nell’aria.<br />
Da tempo, i sovrani del Regno di Napoli e delle due Sicilie,<br />
timorosi di dover abbandonare la poltrona di comando<br />
spendevano molto più volentieri risorse per individuare gli<br />
avversari del regime, attraverso l’azione costante della polizia,<br />
che per fare investimenti e prendersi cura della plebe incolta,<br />
povera ed affamata. Della plebe, però, se ne prendeva cura la<br />
criminalità organizzata. A modo suo, naturalmente. Una<br />
moltitudine di persone dedite ai mestieri più umili e meno<br />
redditizi, parassitata in concorrenza ed a fianco dello Stato da<br />
un’organizzazione che traeva forza da questo perverso sistema.<br />
corpo<br />
Nella mente dell’avvocato Romano prendevano sempre più<br />
Il timore che la situazione in città precipitasse e la necessità<br />
di trovare una forza in grado di mitigare e controllare la reazione<br />
della folla.<br />
Evidentemente il timore era tanto, che si convinse di poter<br />
utilizzare, utilmente e convenientemente, la malavita organizzata,<br />
la camorra, per due motivi: il primo era quello di togliere punti di<br />
riferimento alla plebe, il secondo quello di utilizzare l’unica
icchezza da essi posseduta, la violenza, per contrastare ogni<br />
possibile reazione della parte avversa, appartenente ad altri strati<br />
sociali.<br />
In quel tempo, capintesta della camorra era Salvatore De<br />
Crescenzo, che i suoi compagni chiamavano Tore ‘e Crescenzio.<br />
Il camorrista, incontrastato e indiscusso capo dei capi della<br />
camorra napoletana, aveva la stoffa per realizzare lo strano e<br />
pericoloso disegno di don Liborio Romano.<br />
In passato non erano mancate forme di collaborazione,<br />
anche eclatanti, come del 1799, tra il generale Giovanni<br />
Championnet e Michele Marino, quando i francesi, dopo giorni<br />
di cruenta battaglia, non riuscivano ad avere ragione dei lazzari<br />
napoletani.<br />
Certo, adesso era un’altra cosa, e conveniva agire alla luce<br />
del sole e senza ipocrisie. Don Liborio Romano conosceva bene i<br />
camorristi. Li aveva incontrati nel 1848, come oppositore liberale<br />
e massonico, che insieme agli altri liberali aveva conosciuto le<br />
carceri, entrando quindi in contatto con gli esponenti ivi<br />
rinchiusi, dialogando con loro in quella particolare situazione di<br />
cattiva sorte.<br />
Le comuni prigioni, seppure per reati differenti, servirono<br />
ad abbattere molte barriere, e ad accorciare le distanze culturali,<br />
favorendo un dialogo impossibile in condizioni normali.<br />
Anche per questo, l’idea maturata nella mente dell’avvocato<br />
Liborio Romano, di utilizzare i camorristi come polizia per<br />
mantenere l’ordine pubblico, in attesa dei mutamenti
istituzionali, fu ben digerita dalla maggior parte dei liberali.<br />
Invece i simpatizzanti per i Borbone manifestarono, anche se<br />
debolmente il loro disaccordo.<br />
Intanto l’amnistia seguita alla concessione della<br />
Costituzione, aveva favorito la scarcerazione di tante persone, tra<br />
le quali figuravano camorristi e delinquenti comuni, che appena<br />
in libertà sfogarono il risentimento personale e la loro voglia di<br />
vendetta verso i funzionari di polizia che si mostrarono<br />
impreparati ad affrontare una tale situazione di emergenza,<br />
incapaci di dare disposizioni ai gendarmi alle loro dipendenze sul<br />
comportamento da assumere nei confronti dei sorvegliati politici<br />
liberali.<br />
L’incertezza favorì il caos, e i disordini scoppiati<br />
immediatamente furono la logica conseguenza. Dal 26 al 28<br />
giugno 1860, la città fu in balìa di dimostranti che non<br />
rivendicavano diritti politici, ma si abbandonavano alla<br />
distruzione e al saccheggio sfruttando l’occasione per regolare<br />
qualche conto in sospeso e rubare beni utili ai bisogni personali. I<br />
camorristi ed i delinquenti comuni assaltarono i commissariati di<br />
polizia, bruciando carte, rapporti, archivi interi, assalendo i<br />
funzionari e malmenandoli, mentre i gendarmi che avrebbero<br />
dovuto assicurar loro protezione, fuggivano terrorizzati, senza<br />
opporre la benché minima resistenza, nell’estremo tentativo di<br />
salvare la vita.<br />
A capeggiare la rivolta di una folla di donne inferocite ed<br />
urlanti c’era Marianna De Crescenzo, cugina di Salvatore,
titolare di una locanda di infima categoria. Si disse che era<br />
motivata da sentimenti patriottici, desiderosa di unire Napoli al<br />
Piemonte, ma non era certamente soggetto capace di tanto.<br />
Capaci di alimentare la rabbia della folla erano, invece, i<br />
camorristi provenienti dai quartieri di Pignasecca e di<br />
Montecalvario, che colsero l’occasione per pugnalare un<br />
confidente del direttore della polizia Michele Aiossa. Tra i capi<br />
c’erano pure Salvatore De Crescenzo, Nicola Jossa, Ferdinando<br />
Mele.<br />
Un giovane ispettore di polizia, abbandonato dai suoi<br />
gendarmi, venne linciato. Raccolto stremato e ferito, venne<br />
sistemato su una carrozza per trasportarlo in ospedale, ma<br />
Ferdinando Mele, vilmente e proditoriamente lo raggiunse e lo<br />
pugnalò. Morì per strada prima di arrivare all’ospedale.<br />
Intanto, come nel 1848, le masse popolari si divisero e, a<br />
Santa Lucia, zona dei fedelissimi ai Borbone, i dimostranti<br />
inneggiavano al re. Seguirono scontri durante i quali da Santa<br />
Maria degli Angeli, alcuni detenuti, appena usciti dal carcere,<br />
spararono sui dimostranti filo borbonici e ne ferirono alcuni.<br />
L’episodio più grave è quello che vide coinvolto<br />
l’Ambasciatore di Francia Anatole Brebier, che all’uscita del<br />
palazzo del Nunzio apostolico, nell’intento di garantirsi un<br />
agevole passaggio tra la folla rivelò la sua identità e gli fu fatale,<br />
perché ricevette due bastonate sulla testa salvandosi poi a fatica,<br />
grazie alla decisione ed all’abilità del cocchiere che sollecitò i<br />
cavalli e riuscì a portare l’ambasciatore in ospedale, dove
icevette la visita del sovrano, che inviò anche scuse formali al re<br />
di Francia<br />
Intanto la folla continuava la sua attività distruttrice.<br />
Alcuni interventi però parvero “orientati” a distruggere<br />
prove documentarie, soprattutto quelle a carico di oppositori<br />
politici liberali. Proprio per questo ci fu chi ne era fermamente<br />
convinto e ne addossava la responsabilità al comitato liberale<br />
dell’ordine.<br />
Finalmente, quando la situazione appariva seriamente<br />
compromessa, il prefetto di polizia don Liborio Romano si decise<br />
a chiedere l’aiuto della camorra.<br />
A convincere ulteriormente don Liborio della bontà assoluta<br />
della sua intuizione, fu l’amnistia ratificata il 3 luglio 1860.<br />
Azzerate le responsabilità penali, i camorristi risultavano<br />
nettati da ogni passata colpa, e perciò erano perfettamente idonei<br />
all’impiego ipotizzato.<br />
D’altra parte, il prefetto di polizia Liborio Romano, a<br />
proposito della malavita aveva idee e considerazioni diverse,<br />
tanto da scrivere a proposito dei camorristi:<br />
“Laonde, fatto venire in mia casa il più rinomato fra essi,<br />
sotto le apparenze di commettergli il disbrigo di una mia privata<br />
faccenda, lo accolsi alla buona e gli dissi che era venuto per esso<br />
e pe’ suoi amici il momento di riabilitarsi dalla falsa posizione<br />
cui aveali spinti non già la buona indole popolana, ma<br />
l’imprevidenza del governo […] era mia intenzione tirare un velo
sul loro passato e chiamare i migliori fra essi a far parte della<br />
novella polizia”.<br />
Convocò il camorrista Salvatore De Crescenzo a casa sua e<br />
avanzò le proposte di collaborazione.<br />
Salvatore De Crescenzo, il capo dei capi della camorra,<br />
omicida, estorsore e contrabbandiere, ascoltò attentamente le<br />
proposte: redimersi e diventare guardia cittadina con quanti<br />
compagni camorristi avesse voluto, per assicurare l’ordine. e<br />
chiese un’ora di tempo per decidere. Tornò puntuale, insieme a<br />
un suo compagno camorrista ed accettò la proposta, assicurando<br />
che la situazione napoletana sarebbe stata sotto controllo: quello<br />
della camorra.<br />
Poste le premesse e raggiunto l’accordo, si passò<br />
speditamente alla realizzazione pratica, perché la situazione<br />
continuava a peggiorare.<br />
Nacque una specie di pubblica sicurezza, tutti armati<br />
dall’autorità costituzionale. I camorristi affluirono numerosi nella<br />
n uova professione di gendarmi, organizzati in compagnie e<br />
pattuglie, pronti a controllare le strade cittadine.<br />
Molti camorristi credevano sinceramente di potersi rifare<br />
una vita all’insegna della legalità. La camorra raggiungeva così il<br />
periodo del massimo splendore: potente, riconosciuta, sempre più<br />
organizzata come potere autonomo. I camorristi dettavano legge<br />
e decidevano la vita delle strade.<br />
Il 7 luglio 1860, un decreto ratificò l’azione del prefetto.
Divennero Commissari di polizia: Cozzolengo, cameriere in<br />
una locanda di infima categoria, Ferdinando Mele, assassino<br />
dell’ispettore Perelli, il taverniere Callicchio, Nicola Jossa e<br />
Michele Capuano. Il 14 luglio 1860, don Liborio Romano<br />
divenne contemporaneamente Ministro degli Interni e prefetto di<br />
polizia. La riforma della polizia da lui progettata, era realizzata.<br />
Ai vertici della polizia c’erano quattro capi camorra: Salvatore<br />
De Crescenzo, Nicola Jossa, Michele Capuano e Ferdinando<br />
Mele. Furono loro a controfirmare tutti i fogli del decreto del 19<br />
luglio 1860, che conferiva un nuovo aspetto alla polizia: 12<br />
capisquadra, centinaia di agenti già inquadrati provvisoriamente<br />
nell’organico qualche giorno prima.<br />
Molti dei picciotti di sgarro che figuravano tra gli agenti,<br />
solo qualche giorno prima esercitavano l’attività di delinquente.<br />
Come in una sorta di tragicomica commedia si era invertito<br />
il gioco delle parti.<br />
A riprova che non erano pochi quelli che pensavano e<br />
credevano in una sana riabilitazione, gli aneddoti non mancano.<br />
Luigi Cozzolino, uno dei capi della polizia, noto come ‘o<br />
persianaro, riconobbe un commissario della vecchia polizia e lo<br />
salvò dal linciaggio. Poi rifiutò i ducati che l’uomo voleva<br />
donargli per ricompensa.<br />
Sdegnato, rispose: “non siamo la vecchia polizia”.<br />
Per la camorra, a Napoli, erano giorni esaltanti di potere,<br />
diverso, legale, completo, libero. Irripetibili.
I camorristi in divisa con la coccarda tricolore sul petto e<br />
bene armati, garantivano l’ordine pubblico, tenendo d’occhio<br />
soprattutto i fedeli al re Borbone ed i nostalgici del precedente<br />
governo non costituzionale, eseguendo diligentemente le<br />
disposizioni del ministro Liborio Romano.<br />
Alla prima prova diedero subito dimostrazione di<br />
affidabilità.<br />
Il 15 luglio1860, la guardia nazionale tentò un colpo di<br />
stato, prontamente represso dalla nuova polizia, che meritò<br />
l’apprezzamento di chi l’aveva creata.<br />
Disordini e raggruppamenti di persone, in via Toledo, Largo<br />
di Palazzo e del Castello, San Potito, San Giovanni a Teduccio e<br />
Antignano, furono le zone di massimo intervento.<br />
In questo periodo, nessuno di quelli che governavano la<br />
comunicazione e l’informazione, dominante e non, asservita e<br />
libera, levarono la voce per mostrarsi indignati.<br />
Ci fu anche qualche giornale, pubblicato a Torino, che si<br />
compiacque per l’impiego dei camorristi per la tutela dell’ordine<br />
pubblico, apprezzando anche l’adesione del popolo alle idee<br />
liberali.<br />
La Guardia liberale controllata totalmente dal ministro<br />
Romano e contaminata dalla presenza di un numero rilevante di<br />
camorristi.<br />
Nel frattempo, si consolidava nell’organico e negli<br />
armamenti:<br />
- 9.600 uomini;
- 1.200 fucili di armamento.<br />
Il 27 agosto 1860, gli uomini in servizio, inquadrati nella<br />
polizia, divennero 12.000.
5.1 Amnistia e vendette.<br />
L’evoluzione dell’attività delle camicie rosse garibaldine,<br />
che di successo in successo avevano conquistato la Sicilia,<br />
lasciava ipotizzare il loro agevole approdo in Calabria. Il timore<br />
di uno sbarco immediato nel continente, mise pressione e timore<br />
addosso al re Francesco II di Borbone, che non sapeva proprio<br />
come porre rimedio a una situazione che, già compromessa,<br />
minacciava di precipitare.<br />
Inviò suoi diplomatici in Francia ed in Piemonte. Convinto<br />
di poter trarre futuri benefici e ricavare appoggi in caso di<br />
estrema necessità, seguì i consigli del re di Francia Napoleone III<br />
e concesse la Costituzione, subito dopo nominò un governo di<br />
simpatie e trascorsi liberali. L’amnistia, fatalmente rimise in<br />
libertà una marea di delinquenti della criminalità comune e di<br />
quella organizzata, animati tutti dal desiderio di vendetta nei<br />
confronti dei funzionari di polizia, che attaccati dai rivoltosi<br />
subirono uno sbandamento che interessò anche i gendarmi ai<br />
quali non erano state impartite istruzioni sull’atteggiamento da<br />
assumere nei confronti dei sorvegliati politici liberali.<br />
Camorristi e delinquenti comuni assaltarono i commissariati<br />
di polizia senza incontrare ostacoli. Dal 26 al 28 giugno la città<br />
fu in balia dei dimostranti animati solo da spirito distruttivo,<br />
senza ideali politici. D’altronde la massa popolare era quasi tutta<br />
analfabeta e sicuramente non politicizzata. La sua attività, quindi,<br />
era animata dal desiderio di procacciarsi qualche ruberia e di fare
comunque confusione. Una parte della folla inferocita, composta<br />
da donne, era capeggiata da una certa Marianna De Crescenzo,<br />
proprietaria di una locanda di cattiva fama, cugina del capintesta<br />
Salvatore De Crescenzo. Alcuni storici l’hanno descritta come<br />
un’ardente garibaldina desiderosa di unire Napoli al Piemonte,<br />
ma sono solo agiografie folkloristiche. Il grosso della folla<br />
urlante era aizzata e guidata dai capi camorristi Salvatore De<br />
Crescenzo, Nicola Jossa, Ferdinando Mele, che provenivano<br />
maggiormente dai quartieri Pignasecca e Montecalvario. Un<br />
confidente del direttore della polizia Michele Aiossa, tale Peppe<br />
Aversano fu pugnalato. Il più giovane ispettore di polizia Cioffi,<br />
della zona di Santa Maria la Carità a Toledo, malmenato dalla<br />
folla, salvatosi faticosamente, fu messo su una carrozza per<br />
essere trasportato in ospedale, ma Mele lo raggiunse e lo<br />
accoltellò ferocemente e vigliaccamente. Evento agevolato dalla<br />
fuga dei gendarmi terrorizzati, che invece di proteggerlo si erano<br />
dati precipitosamente alla fuga. Il giorno successivo gli scontri<br />
continuarono, sempre con i gendarmi senza guida e senza<br />
direttive, costantemente in fuga. Questa volta gli obiettivi<br />
privilegiati del saccheggio e del danneggiamento erano i<br />
commissariati di polizia, che venivano sistematicamente assaliti,<br />
con il personale che riusciva a stento a mettersi in salvo,mentre i<br />
locali e gli archivi venivano dati alle fiamme, per distruggere<br />
dati, rapporti sulla criminalità comune e sulla criminalità<br />
organizzata, indispensabili per la normale attività di polizia. La<br />
mancanza di dati statistici e notizie dettagliate di quel periodo, è
la testimonianza palese dell’accanimento sistematico verso alcuni<br />
obiettivi privilegiati e che la folla non si muoveva casualmente,<br />
ma era guidata da soggetti interessati soprattutto all’eliminazione<br />
degli archivi di polizia. L’ipotesi più accreditata era quella che<br />
soprattutto chi aveva interessi politici, il comitato liberale dell’<br />
“ordine”, avesse coordinato quest’attività distruttiva. Come già<br />
era accaduto nei moti del 1848, le masse popolari si divisero, nel<br />
quartiere Santa Maria degli Angeli, zona di fedelissimi ai<br />
Borbone che inneggiavano al re. Una torma di detenuti, appena<br />
usciti dal carcere di Santa Maria Apparente sparò sulla folla<br />
ferendone alcuni. Anche l’ambasciatore francese a Napoli, il<br />
barone Anatole Berbier, mentre usciva in carrozza dal palazzo<br />
del Nunzio apostolico, diretto a Toledo, rivelò ai dimostranti la<br />
sua identità nell’illusione che la notizia potesse costituire un<br />
valido lasciapassare. L’effetto però fu contrario, perché gli<br />
assestarono due bastonate sulla testa e si salvò solo per l’abilità e<br />
la prontezza di riflessi del cocchiere che sollecitò i cavalli e riuscì<br />
a raggiungere l’ospedale.<br />
Il re Francesco II, nell’intento di limitare o evitare le<br />
reazioni diplomatiche della Francia si recò in visita<br />
all’ambasciatore Berbier e presentò le sue scuse all’imperatore<br />
francese, Napoleone III. Come conseguenza diretta del ferimento<br />
dell’ambasciatore francese, venne dichiarato lo stato d’assedio,<br />
decisione annunciata in un manifesto affisso in tutta la città,<br />
firmato dal prefetto di polizia Liborio Romano. In una situazione<br />
di precarietà diffusa, resa ancora più difficile dall’ambiguità del
comportamento di alcuni esponenti del governo, era<br />
estremamente difficoltoso riuscire ad applicare le disposizioni,<br />
anche con l’aiuto dell’esercito.<br />
Una simile decisione riscuoteva pochi consensi.<br />
L’incertezza e la gravità del momento, non consentivano<br />
dilazioni e tentennamenti sulle decisioni da prendere. Decisioni<br />
difficili e pericolose. Con le guardie di polizia ed i gendarmi,<br />
precipitosamente in fuga, per salvare la vita, nel timore che la<br />
parte reazionaria, anche se sgominata, potesse unirsi, per<br />
convenienza ed interesse comune, ai sanfedisti, con il pericolo<br />
che anche la canaglia camorrista potesse ingrossare le loro fila,<br />
per seppellire col saccheggio e con il sangue le libere istituzioni,<br />
al prefetto di polizia don Liborio Romano, l’idea di utilizzare la<br />
camorra come strumento pacificatore e stabilizzante, in grado d<br />
spegnere ogni ulteriore forma di disordine e violenza, parve<br />
l’unica luce in grado di scacciare il buio della paura e della<br />
disperazione.<br />
5.2. L’incredibile ascesa di Salvatore De Crescenzo.<br />
Maturata la decisione di affidare la sicurezza della città<br />
all’organizzazione camorristica, il prefetto di polizia don Liborio<br />
Romano, convocò a casa sua il capintesta della camorra Salvatore<br />
De Crescenzo, proponendogli l’accordo di cui si è già parlato.<br />
La scelta del prefetto poteva apparire un espediente furbesco<br />
e di bassa moralità politica e sociale, ma l’urgenza e<br />
l’indifferibilità delle decisioni da prendere, non ammettevano
alternative e tentennamenti.<br />
Fu così che Tore, omicida sanguinario patentato, gestore dei<br />
traffici più odiosi a danno di una plebe indigente e disperata,<br />
irruppe sulla scena della vita pubblica napoletana.<br />
La partecipazione ai più alti livelli nella costituzione di una<br />
struttura in grado di garantire ordine e sicurezza alla popolazione,<br />
utilizzando una consorteria di soggetti addestrati a delinquere,<br />
assicurando fedeltà al governo, mettendo in gioco la sua autorità<br />
personale non è cosa di poco conto. Si potrà argomentare che<br />
intanto non aveva nulla da perdere, ed in ogni caso si garantiva<br />
vitto, alloggio e tutte le comodità che il nuovo stato sociale<br />
consentiva ed imponeva. Però la libertà non ha prezzo, anche per<br />
un malavitoso. Da capo dei capi, anche se solo della camorra,<br />
diveniva mansueto strumento nelle mani di un professionista<br />
della politica, abile e profondo conoscitore delle umane<br />
debolezze e passioni, che come lui, unitamente a un gran numero<br />
di liberali aveva conosciuto l’umiliazione e la disperazione del<br />
carcere, a seguito dei moti del 1848-1849.<br />
In quell’epoca, il comune destino del carcere aveva fatto<br />
sentire i liberali emotivamente più vicini ai camorristi, che<br />
mostravano rispetto per chi, come loro, con parole ed azioni<br />
concrete, si era messo contro la polizia. La permanenza nel<br />
carcere, anche se in “padiglioni distinti”, fu irripetibile occasione<br />
di reciproca conoscenza, di abbattimento momentaneo delle<br />
barriere culturali, con il rispetto per chi era nutrito di ignoranza e<br />
di miseria e chi aveva avuto la fortuna dell’istruzione e del
enessere. Questa radicale differenza, non aveva impedito un<br />
dialogo fruttuoso di educazione e sentimenti etici.
5.3 Camorristi e garibaldini uniti nella violenza.<br />
La “strana polizia” tenne in mano la città per diversi mesi,<br />
confondendo legalità e illegalità, soprattutto perché avevano, da<br />
sempre, più dimestichezza con la seconda.<br />
Sapevano come mettere a frutto la loro condizione di<br />
controllori e controllati e sapevano come mettere a frutto la<br />
rendita di posizione che i mutati tempi gli consentivano.<br />
Jossa e Capuano, calati completamente nella parte,<br />
svolgevano il loro compito scrupolosamente ed acquistavano<br />
prestigio. Salvatore De Crescenzo, che aveva stipulato con don<br />
Liborio Romano un patto unico ed irripetibile, si manteneva<br />
defilato, dando il benestare all’operato degli uomini a lui più<br />
vicini e funzionali allo sfruttamento della situazione. Soprattutto<br />
il contrabbando esercitato a livelli mai raggiunti prima,<br />
incontrollato e senza pudore, consentiva vergognosi<br />
arricchimenti.<br />
Le entrate, per le imposte ed i dazi governativi erano al<br />
livello minimo, e tendevano sempre più a zero. Dietro tutta<br />
questa attività ladresca c’era la mano di Salvatore De Crescenzo,<br />
che da buon camorrista non intendeva abbattere lo Stato, ma di<br />
associarsi ad esso per succhiare tutto il sangue che poteva alla<br />
popolazione.<br />
Garibaldi.<br />
Il regno borbonico volgeva alla fine.<br />
Il 7 settembre 1860, a Napoli, era arrivato Giuseppe<br />
Dopo due governi dittatoriali, a partire dal 3 gennaio 1861,<br />
vennero costituiti governi luogotenenziali in rappresentanza del
e Vittorio Emanuele II di Savoia.<br />
Durante i governi dittatoriali, i camorristi, avevano<br />
governato il contrabbando senza freni inibitori. Dal momento in<br />
cui era stato inquadrato nelle guardie cittadine, Salvatore De<br />
Crescenzo, non aveva perso tempo e si era accordato con un altro<br />
camorrista, Pasquale Merolle: si suddivisero le aree di<br />
competenza nel contrabbando, per affidarle ai rispettivi gruppi di<br />
azione camorristica.<br />
Leggi precarie ed ordini tutti da costruire, consentivano ai<br />
camorristi protetti dalla “loro” polizia di fare il bello e cattivo<br />
tempo, e permisero che nessuno controllasse che cibo ed altri<br />
beni di consumo entrassero a Napoli, pagando il dovuto a dazi e<br />
imposte.<br />
Durante i due governi dittatoriali, i camorristi facevano<br />
incetta di vestiti da rivendere, introdotti in città via mare e via<br />
terra.<br />
Si arricchivano i camorristi e languivano le casse dello<br />
Stato. Ogni giorno, la dogana perdeva mediamente 40.000 ducati.<br />
Il sistema di appropriazione prevedeva che le merci in arrivo<br />
a Napoli, venissero scortate da torme di giovani camorristi armati<br />
di nodosi bastoni e, quando venivano fermati dalle guardie<br />
doganali, usavano ripetere una frase che era divenuto un<br />
lasciapassare : E’ roba d’o zì Peppe. Cioè, è roba di zio Giuseppe<br />
Garibaldi, e nessuno si permetteva di replicare alcunché.<br />
camorra.<br />
Così, lo Stato pagava lo scotto dell’aiuto chiesto alla<br />
Alla fine del 1860, vennero arrestati una novantina di<br />
camorristi, con un’operazione condotta dai commissari Capuano,
Josssa, De Matino e Chiarini; operazione possibile solo perché<br />
eseguita dai carabinieri e dalla guardia nazionale. Non lo<br />
avrebbero certamente potuto fare con le guardie cittadine perché<br />
non era consigliabile affidarsi a loro stessi per l’improvvisa<br />
retata. Il giorno prima degli arresti, gli introiti erano stati di<br />
appena 25 soldi, e passarono subito a 800 ducati.<br />
Fu una brutta sorpresa per la camorra ed i suoi picciotti, che<br />
appena pochi giorni prima, armati di bastoni e di coltelli avevano<br />
vigilato sulle urne palesi del plebiscito del 21 ottobre 1860. Una<br />
vera e propria votazione farsa che doveva sancire il passaggio dei<br />
poteri, quando ancora l’esercito borbonico combatteva sulla linea<br />
del Volturno, fornendo una giustificazione giuridica<br />
all’annessione del Regno delle due Sicilie al Piemonte.<br />
Dopo il plebiscito, la gente operosa, onesta e pacifica visse<br />
momenti di terrore, procurati dalle violenze senza limiti dei<br />
camorristi e dei garibaldini, che ferivano e uccidevano<br />
impunemente. L’attività dei camorristi in questo periodo di<br />
massimo splendore era veramente in crescita: nel 1861, nei<br />
quartieri di Vicaria, San Ferdinando, Pendino vi erano 250<br />
camorristi, tutti provenienti dalle fila dei facchini e dei sensali.<br />
Nel 1863, nella sola Napoli se ne contavano più di 1.000. Erano<br />
quadruplicati. La cosa più triste è che la loro azione parassitaria<br />
veniva esercitata a carico della popolazione più povera.<br />
Tartassavano e spremevano tutti, con ricatti e intimidazione,<br />
anche quelli che svolgevano mestieri umili e poco redditizi, tanto<br />
che già allora si diceva che i camorristi cercavano di far uscire<br />
l’oro dai pidocchi.<br />
I camorristi, però, dopo l’esperienza con Liborio Romano, si
sentivano ben protetti e con le spalle al sicuro, e tanti si erano<br />
davvero immedesimati nel ruolo di tutori dell’ordine che avevano<br />
stabilito con il loro arbitrio, e non si rendevano conto che<br />
l’emergenza che avevano contribuito a superare, stava per<br />
giungere al termine.<br />
Da Torino avevano ordinato a Silvio Spaventa, nuovo<br />
ministro degli Interni del governo luogotenenziale a Napoli,<br />
senza mezzi termini, di far rientrare i camorristi nei loro ranghi di<br />
partenza e di ristabilire condizioni di normalità.
6.0 Silvio Spaventa ministro degli interni.<br />
Con la nomina di Silvio Spaventa al ministero degli Interni del<br />
governo luogotenenziale, le direttive erano chiare: mano dura nei<br />
confronti degli ex borbonici, specialmente gli ufficiali ed i soldati<br />
che tornavano a casa dopo aver combattuto sulla linea Volturno,<br />
Garigliano, Capua, Gaeta, e repressione dura contro i camorristi ed i<br />
loro protettori.<br />
Tra chi prendeva in mano le redini del governo per conto dei<br />
ministri di Torino cominciava a diffondersi la convinzione che la<br />
camorra fosse un fenomeno negativo, tutto da conoscere e<br />
reprimere. Al fine di far conoscere meglio la natura del complesso<br />
problema, e di individuare i possibili rimedi, vennero inviate a<br />
Torino due corpose relazioni, scritte proprio dopo la nomina di<br />
Sapaventa nel amrzo 1861, dove si individuavano i luoghi di<br />
controllo, la capacità d’intimidazione attraverso la violenza, il<br />
consenso accordato in alcuni strati sociali, le fonti di guadagno<br />
illegale (gioco, estrorsioni su ogni attività lavorativa, compresi i<br />
mestieri più umili, prostituzione ).<br />
Naturalmente a Torino erano completamente a digiuno di quel<br />
fenomeno, di cui avevano preso una conoscenza soltanto epidermica<br />
in occasione della pubblicazione di articoli su giornali pubblicati<br />
nella capitale piemontese con tono folkloristico ed agiografico, che<br />
magnificavano l’utilizzazione dei camorristi nella polizia e<br />
l’adesione del popolo alle nuove idee liberali.
Le relazioni contenevano anche un elenco dettagliato di tutte le<br />
fonti di guadagno illecito ricavato con le estorsioni, cui andavano<br />
sommate le tangenti sul gioco d’azzardo nelle strade e nelle taverne<br />
di infima categoria. I mercati di frutta, di pesce, cerali, farine, carni,<br />
nolo dei carri da trasporto merci e carrozze, sullo scarico delle<br />
barche, ed il carico di calce e mattoni e di ogni merce.<br />
Acutamente nelle relazioni si osservava che il camorrista, fuori<br />
dal suo ambiente naturale non riusciva più ad esercitare questo tipo<br />
di particolare violenza, perdeva gran parte della sua aggressività e<br />
del suo potere, che veniva esercitato nelle carceri, ed era praticato<br />
sia a Napoli, sia nelle province.<br />
6.1 Tentativo di ritorno alla normalità.<br />
La strada per il ritorno alla normalità, si presentava impervia e<br />
dolorosa. Impervia, perché i passaggi erano tutti ostruiti da persone<br />
e cose fuori posto. Dolorosa, perché non era possibile fare una serie<br />
di manovre, ed adottare provvedimenti, senza coinvolgere<br />
violentemente molti soggetti presenti sulla scena vecchia e nuova<br />
della società partenopea.<br />
Tanto per cominciare, possiamo seguire la traccia di quel<br />
Salvatore De Crescenzo, soggetto primo ed indispensabile per la<br />
nascita e la crescita della creatura di don Liborio Romano: la<br />
guardia cittadina.
I camorristi, esecutori fedeli ed interessati, delle disposizioni di<br />
don Liborio, avevano saputo muoversi con maestria negli spazi non<br />
ancora definitivamente delimitati della dittatura garibaldina. Si<br />
erano illegalmente arricchiti. Troppo illegalmente, e troppo<br />
arricchiti.<br />
Agli eccessi segue abitualmente la repressione. E la repressione<br />
in corso, colse anche Salvatore De Crescenzo: finì di nuovo ospite<br />
delle patrie galere. Prima a Castelcapuano, poi relegato all’isola di<br />
Ponza. Nelle carceri di Castelcapuano non se la passava male. Entrò<br />
come un re in mezzo al suo popolo. Ma non era più un uomo libero.<br />
La libertà in divisa, assaporata negli otto mesi di esperienza<br />
governativa, gli aveva fatto conoscere una realtà diversa, che per lui<br />
e tanti altri non era quella vera. E allora, per ristabilire la normalità,<br />
si comincia rimettendo le cose al loro posto: ogni cosa al suo posto,<br />
ogni uomo al suo posto. Solo così si poteva tornare alla normalità.<br />
Nonostante i metodi di don Liborio Romano e le commistioni<br />
di Silvio Spaventa, Napoli divenne italiana. Nel marzo del 1861, il<br />
Parlamento di Torino, dichiarò re Vittorio Emanuele II di Savoia<br />
sovrano della Nazione unita. Il periodo dei luogotenenti finì qualche<br />
mese dopo; così anche nell’ex Regno delle due Sicilie, vennero<br />
estesi leggi e codici piemontesi. Nelle città, in rappresentanza del<br />
governo centrale arrivarono i prefetti, che inizialmente, solo nell’ex<br />
Regno delle due Sicilie, accorparono insieme potere militare e<br />
civile. Quindi, il generale Alfonso Lamarmora, era responsabile
militare del VI dipartimento, con delega all’esecuzione della leva<br />
nelle regioni meridionali, ma anche prefetto a Napoli. Lamarmora<br />
gestì la guerra contro il cosiddetto brigantaggio lucano, abruzzese,<br />
Sannita, Irpino, vesuviano, ed in parte anche calabrese, ma anche lo<br />
stato d’assedio, che servì a fermare, a colpi di fucile, Garibaldi, in<br />
marcia su Roma. Consapevole e noncurante delle violazioni<br />
commesse sul flessibile Statuto albertino, il governo Farini -<br />
Minghetti, decise di mantenere in vita prassi antigarantiste non solo<br />
contro i cosiddetti briganti, ma anche contro i camorristi che<br />
venivano considerati briganti cittadini.<br />
La camorra appariva una anomalia della vita sociale per la<br />
quale erano accettabili metodi non pienamente legali. Ed è proprio<br />
considerandola un’anomalia, che Lamarmora, prefetto e comandante<br />
militare, decise di utilizzare lo stato d’assedio per fare arrestare, in<br />
accordo col questore Carlo Aveta, 300 camorristi, di cui 63, tra i<br />
quali figuravano anche Salvatore De Crescenzo, Vincenzo Zingone,<br />
capo della camorra nel carcere di San Francesco, Vincenzo<br />
Attingenti e Pasquale Baschi, vennero inviati al carcere fiorentino di<br />
Murate. Altri 200, tra cui Giambattista De Falco, controllore<br />
assoluto del contrabbando via mare, da Napoli Pozzuoli, vennero<br />
inviati alle isole Tremiti. Il 23 settembre 1862, preso dall’attività<br />
veramente impegnativa della lotta alla camorra, il generale Alfonso<br />
Lamarmora, sollecitò il governo di Torino di legalizzare , anche<br />
attraverso una legge, strumenti repressivi più severi, ricordando i
suoi 300 arresti di camorristi. Nel contempo, sollecitava la creazione<br />
di carceri speciali per i camorristi, preferibilmente in Sardegna, allo<br />
scopo di allontanare i camorristi dai luoghi di origine, perché se<br />
rinchiusi nelle carceri cittadine, mantenevano inalterata la loro forza<br />
di intimidazione, se le loro mogli potevano presentarsi a loro nome a<br />
riscuotere le estorsioni. Quindi l’unico rimedio era quello di inviarli<br />
lontano dai luoghi di origine. Le idee di Lamarmora non tenevano<br />
conto delle ragioni della difesa e scavalcavano di continuo la<br />
magistratura. Infatti, il procuratore generale Ianigro, che aveva<br />
percorso tutti i gradini della magistratura sotto i Borbone, rivendicò<br />
alla magistratura la titolarità delle decisioni su modalità e tempi di<br />
carcerazioni. Ma protetto dal governo centrale Lamarmora ebbe<br />
buon gioco, opponendo a quelle proteste l’eccezionalità dei tempi e<br />
lo stato d’assedio. Sta di fatto che, anche se con i codici sotto i piedi,<br />
l’azione del generale ottenne buoni seppur temporanei risultati.<br />
In questa attività, il ministro Ubaldino Peruzzi, si avvalse<br />
dell’aiuto di Silvio Spaventa, tornato nel frattempo a Torino. In data<br />
15 dicembre 1862, chiese ai prefetti di tutto il Mezzogiorno, Sicilia<br />
compresa, gli elenchi completi dei detenuti accusati di essere<br />
camorristi. La richiesta venne ripetuta il 19 febbraio del 1863. Un<br />
mese prima erano state istituite le Commissioni per decidere le sorti<br />
di tutti i detenuti in odore di camorra, prospettando tre possibili<br />
opzioni: Processo, invio al domicilio coatto, liberazione. Furono<br />
esaminate 600 posizioni.
6.2 Epurazione dei camorristi dal ministero degli<br />
Interni della luogotenenza.<br />
Cominciando coerentemente la sua attività, il ministro<br />
Spaventa, mise in congedo 42 impiegati del ministero degli interni<br />
della luogotenenza, 58 impiegati della Prefetura e 250 funzionari di<br />
polizia.<br />
Con un’azione mirata nei confronti dei camorristi vietò l’uso<br />
dell’uniforme fuori servizio, che era motivo di veri e propri abusi di<br />
potere. Su questo provvedimento trovò l’accordo totale anche del<br />
comandante della guardia nazionale Ottavio Tupputi. L’ordinanza<br />
venne pubblicata il 25 aprile 1861.<br />
Erano giorni difficili sia per i camorristi che erano rimasti tali,<br />
sia per quelli che erano transitati anche solo formalmente sotto la<br />
legge, perché in realtà avevano mantenute anche le vecchie cattive<br />
abitudini, aggravate dal fatto che dalla loro posizione agevolavano<br />
l’attività di quelli che potremmo definire soci esterni. Nella<br />
confusione generale, Jossa e Capuano riuscirono a rimanere<br />
saldamente in sella. Il terzo del gruppo, quel Ferdinando Mele che<br />
aveva accoltellato vilmente l’ispettore Perelli, fu ucciso da uno dei<br />
fratelli De Meta, Salvatore. Voleva arrestarlo per un ricatto ai danni<br />
del barone Farina, con la richiesta di 1.500 ducati, ma questi fu più<br />
svelto e l’uccise.
6.3 Rivolta popolare e caccia al ministro Spaventa.<br />
Scoppiò un finimondo di proteste rese ancora più aspre dalle<br />
antipatie che Spaventa aveva suscitato già dai primi momenti del<br />
suo incarico, e sfociarono in una protesta di massa violenta, che vide<br />
uniti camorristi, guardie nazionali, ex guardie cittadine, ex<br />
garibaldini, che si recarono sotto il palazzo del ministero. Spaventa<br />
si salvò grazie alla prontezza di decisione dedi suoi segretari<br />
Giuseppe Colucci ed Emilio Vaglio, che lo fecero fuggire attraverso<br />
una scala segreta.<br />
Il corteo non abbandonò la protesta e si recò sotto palazzo<br />
Latilla, dove Spaventa era ospite dello zio Onorato Croce, gridando:<br />
morte a Spaventa.<br />
Spaventa, cosciente antipatico ed anche spaventato, si creò una<br />
sua scorta personale, che venne definita virgolatori, dal nome del<br />
bastone, virgola, con il quale gli accompagnatori andavano in giro<br />
quando uscivano col ministro. I componenti di questo comitato di<br />
protezione del ministro Spaventa , non erano stinchi di santo. Tra di<br />
essi vi erano anche i fratelli De Meta, noti ricattatori dei Borbone,<br />
ed anche omicidi. Se le vittime dei virgolatori erano i borbonici o<br />
gli avversari politici, il ministro lasciava correre volentieri. Ma<br />
Salvatore De Meta aveva commesso un omicidio fresco fresco, ed il<br />
fatto fece conoscere situazioni poco edificanti, ed il ministro fu<br />
costretto a dimettersi, sotituito da Filippo De Blasio, lo stesso<br />
funzionario che mesi prima, in qualità di prefetto di polizia, aveva
disposto l’arresto di decine di pricolosi camorristi. Si trattò di una<br />
vera e propria retata nella quale vennero prelevati e condotti in<br />
carcere 106 persone, e solo 16 riuscirono ad evitare la detenzione.<br />
Ci furono notevoli difficoltà per tenere in cella gli arrestati, presi<br />
dalla polizia, calpestando i codici, e senza alcun processo inviati a<br />
Santo Stefano e Ponza. De Blasio, come abbiamo visto s’era già<br />
occupato di ordine pubblico, ed al suo rientro trovò una situazione<br />
simile a quella di prima. Il ministro Ubaldino Peruzzi, spedito a<br />
Napoli da Urbano Rattazzi che era ministro degli Interni e capo del<br />
Governo, riferì che la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di<br />
emanare un provvedimento legislativo per trasportare i camorristi<br />
lontano dalle province meridionali, altrimenti ogni altro<br />
provvedimento sarebbe stato improduttivo. Spunta, da queste<br />
comunicazioni, la consapevolezza politica dell’esistenza di un<br />
problema criminale di difficile soluzione, fortemente radicato nella<br />
società a causa di situazioni socio-economiche e culturali precarie,<br />
che avrebbe impegnato seriamente tutta la classe politica e militare<br />
dell’Italia unita.
7.0 Provvedimenti contro la camorra.<br />
Gli studi sui problemi socio-economici meridionali fece<br />
sorgere l’idea che esistesse una secolare particolarità di quelle<br />
regioni, derivante anche dal modo di essere degli abitanti.<br />
La camorra appariva ed era un fenomeno delinquenziale<br />
diverso da quello di tutte le altre grandi città europee.<br />
Si moltiplicarono anche le indagini di tipo etnico-<br />
antropologico; le analisi sulle paranze, sulla loro attività<br />
parassitaria e violenta, si facevano sempre più attente.<br />
Nel 1863, il generale La Marmora venne sostituito da<br />
Rodolfo D’Afflitto, marchese di Montefalcone, funzionario<br />
borbonico fino al 1859. L’analisi politica ed il dibattito sulle<br />
cause della camorra, attivate dalle relazioni conoscitive inviate a<br />
Torino nel marzo del 1861 da Silvio Spaventa, allora ministro<br />
degli Interni del governo luogotenenziale, avevano portato alla<br />
convinzione che come affermava La Marmora, a situazioni<br />
eccezionali bisogna rispondere con mezzi legislativi ed azioni di<br />
polizia straordinari.<br />
7.1 La legge Pica. Prima legge dell’Italia unita contro<br />
la criminalità organizzata.<br />
La commissione Parlamentare, costituita da nove deputati,<br />
riunitasi in sedute riservate un numero rilevante di volte, dopo<br />
aver visitato le regioni del Mezzogiorno, elaborò una relazione<br />
apripista, per l’approvazione della prima legge speciale dell’Italia
unita contro la criminalità: la legge Pica, approvata il 15 agosto<br />
1863.<br />
Teneva conto del principio “a mali estremi, estremi rimedi”.<br />
D’altronde lo stato d’assedio, nell’Italia meridionale, era già<br />
stato introdotto prima del varo della legge Pica, e delle leggi anti-<br />
brigantaggio, usando il pugno di ferro contro l’imputato, senza<br />
alcuna garanzia per la difesa, e perciò pazienza, ora era inutile<br />
discuterne.<br />
Di fatto la legge Pica sanciva l’eterna emergenza criminale<br />
nelle regioni meridionali.<br />
La legge Pica, introduceva un reato-genere, quello<br />
camorrista, ripreso successivamente 142 anni dopo, con<br />
l’introduzione del famoso articolo 416-bis dell’attuale codice<br />
penale, che prevede pene per gli appartenenti ad associazioni<br />
camorristiche.
La legge Pica del 15 agosto del 1863.<br />
Vittorio Emanuele II<br />
Per grazia di Dio e volontà della Nazione<br />
RE D’ITALIA<br />
Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato,<br />
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue.<br />
Art.1.<br />
Fino a 31 dicembre corrente anno, nelle province infestate dal<br />
brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con Decreto Reale, i<br />
componenti comitiva o banda armata composta almeno di tre persone,<br />
la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere<br />
crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai Tribunali<br />
militari, di cui nel libro II, parte II del Codice penale militare, e con la<br />
procedura determinata dal capo III del detto libro.<br />
Art. 2.<br />
I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano<br />
appongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la<br />
fucilazione, oppure coi lavori forzati a vita concorrendovi attenuanti.<br />
A coloro che non oppongono resistenza, non che ai ricettatori e<br />
somministratori di viveri, notizie, ed aiuti in ogni maniera, sarà<br />
applicata la pena dei lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze<br />
attenuanti il maximum dei lavori forzati a tempo.<br />
Art. 3.<br />
Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti o che<br />
costituiranno volontariamente entro il termine di un mese dalla
pubblicazione della presente legge la diminuzione da uno a tre gradi di<br />
pena. Tale pubblicazione dovrà essere fatta per bando in ogni comune.<br />
Art. 4.<br />
Il Governo avrà pure facoltà, dopo il termine stabilito<br />
dall’articolo precedente, di abilitare alla volontaria presentazione col<br />
beneficio della diminuzione di un grado di pena.<br />
Art. 5.<br />
Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un tempo non<br />
maggiore di un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle<br />
persone sospette, secondo la designazione del Codice penale, non che ai<br />
camorristi, e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta<br />
del Prefetto, del Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di<br />
due Consiglieri provinciali.<br />
Art. 6.<br />
Gli individui, di cui al precedente articolo, trovandosi fuori dal<br />
domicilio assegnato, andranno soggetto alla pena stabilita dalla linea 2°<br />
dell’articolo 29 del Codice penale, che sarà applicata dal competente<br />
Tribunale circondariale.<br />
Art. 7.<br />
Il Governo del Re avrà facoltà di istruire compagnie o frazioni di<br />
compagnie di volontari a piedi od a cavallo, decretandone i<br />
Regolamenti, l’uniforme e l’armamento, nominarne gli ufficiali, e<br />
bassi-ufficiali ed ordinarne lo scioglimento. I volontari avranno dallo<br />
Stato la diaria stabilita per i militi mobilizzati; il Governo però potrà<br />
accordare un soprassoldo, il quale sarà a carico dello Stato.
Art. 8.<br />
Quanto alle pensioni per cagione di ferite o mutilazioni ricevute in<br />
servizio per la repressione del brigantaggio, ai volontari ed alle guardie<br />
nazionali saranno applicate le disposizioni degli articoli 3, 22, 28, 29, 30<br />
e 32 della Legge sulle pensioni militari del 27 giugno 1850. Il Ministero<br />
della Guerra con apposito Regolamento stabilirà le norme per accertare<br />
i fatti che danno luogo alle pensioni.<br />
Art. 9.<br />
In aumento del capitolo 95 del bilancio approvato per il 1863, è<br />
aperto al Ministero dell’Interno il credito di un milione di lire per<br />
sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. Ordiniamo che la<br />
presente, munita del sigillo di Stato, sia inserita nella Raccolta ufficiale<br />
delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque<br />
spetti di osservarla e di farla osservare come Legge dello Stato.<br />
Dat. Torino,addì 15 agosto 1863<br />
Vittorio Emanuele<br />
7.2 Il domicilio coatto.<br />
Con il criterio del sospetto, introdotto dalla legge Pica, la<br />
quale prevedeva che un delatore, o chiunque altro avesse in<br />
animo di consumare una vendetta, poteva accusare qualcuno di<br />
essere in odore di camorra, non mancarono gli errori giudiziari.<br />
La prima riunione della Commissione provinciale prevista<br />
dalla legge, si tenne il 21 settembre 1863.
Si cominciò ad esaminare le 300 posizioni dei camorristi<br />
che, il generale La Marmora, utilizzando lo stato d’assedio, li<br />
aveva arrestati un anno prima.<br />
La Commissione continuò i suoi lavori, riunendosi fino 31<br />
luglio1864, esaminando i primi 596 casi. Nelle mani dei<br />
commissari finirono anche lettere sequestrate ai detenuti, ma non<br />
vennero utilizzate come prove certe.<br />
La commissione provinciale esaminò negli anni 1863 e<br />
1864, 1.800 posizioni con richieste di invio al domicilio coatto.<br />
Ne furono condannati 1.200, in gran parte napoletani: ben 1.029,<br />
cioè il 2 per mille della popolazione residente a Napoli.<br />
Gli imputati, risultavano tutti impiegati in alcuni lavori:<br />
cocchieri, caprai, facchini, braccianti, guardiani, accusati di reati<br />
che andavano dai furti, al contrabbando, al vagabondaggio, alle<br />
estorsioni, fino all’omicidio.<br />
C’erano anche lenoni, grassatori, sensali.<br />
Nel verbale della commissione provinciale del 20 ottobre<br />
1983, veniva posta in evidenza la pericolosità della malefica<br />
camorra, con attività a danno di persone e cose, ma anche dello<br />
Stato per l’attività di contrabbando,<br />
“fino ad avversare ed impedire l’esazione dei balzelli dello<br />
Stato in compagnie di contrabbandieri”.<br />
Nel novero dei camorristi vennero sicuramente elencati<br />
soggetti come piccoli delinquenti non facenti parte della<br />
criminalità organizzata, la quale era quella più perniciosa, che<br />
destava le maggiori preoccupazioni, per la capacità di imporsi
alla popolazione e di gestire la violenza organizzata in funzione<br />
di un utile o di una agevolazione della più diversa natura.<br />
Al domicilio coatto furono inviati un bel po’ di delinquenti,<br />
ripulendo Napoli come mai altre volte era accaduto.<br />
L’effetto ebbe una durata temporale limitata, perché nella<br />
struttura esistente e consolidata si poneva rimedio con l’ingresso<br />
di nuovi soggetti, pronti ad occupare gli spazi delinquenziali<br />
rimasti vuoti, garantendone efficienza e funzionalità.
7.3 Efficacia del provvedimento del domicilio coatto.<br />
Il domicilio coatto, non l’eliminazione fisica definitiva, che<br />
qualcuno invocava a viva voce.<br />
Dopo un certo periodo di tempo, poco o tanto che fosse,<br />
delinquente riposato e ripulito, si ripresentava nel suo luogo di<br />
origine dove non aveva difficoltà a far germogliare con nuovo<br />
vigore la vecchia pianta del malaffare.<br />
Siccome è caratteristica e pittoresca la figura di un delinquente<br />
di prima grandezza come Salvatore De Crescenzo, proviamo a<br />
seguire i suoi itinerari, le sue permanenze al domicilio coatto, per<br />
vedere di scoprire se lontano da casa se la passa più o meno bene e<br />
se i periodi di assenza dalla sua Napoli alterano i suoi beni, la sua<br />
salute fisica e mentale, la coesione familiare.<br />
Cerchiamo, in definitiva, di appurare qual è l’efficacia<br />
rieducativa del provvedimento.<br />
Appena tornato dal carcere fiorentino di Murate, riprese le fila<br />
dell’estorsione. Dopo pochi mesi, un’altra denuncia lo riportò al<br />
domicilio coatto, per un breve periodo di tempo a Piedimonte<br />
d’Alife. Rientrato a Napoli trascorreva il suo tempo davanti alla sua<br />
tabaccheria, in via Mezzocannone, restandovi fino a tarda notte.<br />
gente.<br />
La sua giornata non era monotona: un via vai continuo di
Sbrigava affari, dava consigli, affidava incarichi, e continuava<br />
ostinatamente a gestire affari illeciti, ma aveva una copertura: il<br />
commercio delle ossa degli animali macellati, raccolte per tutta la<br />
città da una decina di suoi collaboratori. Si serviva anche di diversi<br />
facchini e, per quel commercio, aveva intrecciato rapporti con quasi<br />
tutti i macellai napoletani. Naturalmente la polizia quando si<br />
interessava di lui, riusciva a prendergli le misure: appurava<br />
perfettamente quale era la fonte dei suoi guadagni, anche se<br />
s’industriava per fare apparire onesta ed operosa la sua attività.<br />
Le sue estese relazioni con tutti i macellai di Napoli, lo<br />
ponevano in condizione di rapportarsi anche con individui<br />
facinorosi e per questo disponeva di una paranza di facchini sempre<br />
pronta ai suoi ordini. Dopo una serie di trattative raggiunse un<br />
accordo con i fratelli Scarparelli che controllavano il quartiere porto,<br />
cui facevano riferimento anche le paranze del quartiere mercato.<br />
Nonostante sapesse che la polizia lo controllava, fu arrestato<br />
per un’asta pubblica combinata.<br />
Non riuscirono ad avere le prove della combine.<br />
Ma con la scusa che portava illegalmente un pugnale fu di<br />
nuovo allontanato da Napoli, in domicilio coatto prima a Ventotene,<br />
poi a Ustica ed infine a Sondrio, sulle montagne della Valtellina.<br />
Naturalmente siccome era un criminale carico di accuse e di<br />
segreti per i rapporti con gli uomini politici, il questore di Napoli lo<br />
faceva sottoporre a un controllo continuativo, anche per riferire al
prefetto della sua città. Così risultava che diversamente dalla<br />
condizione di disagio e di carenza di denaro manifestata quando si<br />
trovava a Ventotene, a Sondrio non gli era mai capitato di restare<br />
senza adeguate provviste. Provvedeva, mensilmente, a inviargli 50<br />
lire, suo nipote Francesco, che in sua assenza, si prendeva cura del<br />
controllo di gran parte delle paranze cittadine.<br />
Non mancava mai, anche se distante, di far pervenire i suoi<br />
assensi o i suoi dinieghi sulla nomina di nuovi picciotti e camorristi,<br />
perché comunque, vicino o lontano, era sempre il capintesta della<br />
camorra napoletana. Tornò a Napoli, nel 1879, e venne accolto con<br />
manifestazioni di affetto e di entusiasmo, venerato e protetto dai<br />
camorristi di Montecalvario.<br />
Il suo potere, la sua autorità, non mostrava crepe.<br />
Aveva una nuova attività di copertura: aveva acquistato un<br />
negozio di crusca e carrube, e riusciva a controllare le aste sugli<br />
scarti delle forniture militari, il fitto delle vetture ai cocchieri, le<br />
tangenti sull’acquisto delle biade. E, antesignano riciclatore di<br />
denaro sporco, aprì un negozio di mobili dove De Crescenzo<br />
rivendeva la merce che faceva accaparrare dai suoi uomini alle aste<br />
pubbliche. Fu certamente il capo camorra dalle idee più avanzate,<br />
dal ciclo vitale irripetibile: dapprima omicida e svelto di coltello, poi<br />
interlocutore di politici; infine imprenditore nelle aste e rivendite.<br />
Negli ultimi anni dei governi di destra, prima dell’avvento<br />
della sinistra con la politica trasformista di Agostino Depretis, il
prefetto Antonio Mordini fece di tutto per allontanare da Napoli,<br />
quanti più camorristi fosse possibile, usando gli strumenti giuridici a<br />
sua disposizione, perché si rendeva conto dell’aumento della<br />
pressione criminale sulla popolazione, che diventava un peso<br />
sempre più insopportabile per la società partenopea.<br />
Il prefetto Mordini, seguiva attentamente l’attività della<br />
camorra e in un suo rapporto del 1874, pose in evidenza l’influenza<br />
della camorra sulle elezioni politiche, riferendo che Giovanni<br />
Nicotra, futuro ministro degl’Interni, intratteneva rapporti con un<br />
camorrista del mercato.<br />
Per capire il domicilio coatto ho scelto di seguire il soggetto<br />
che più di altri doveva essere controllato.<br />
Lo abbiamo visto all’apice dell’attività camorristica, e non ne è<br />
mai più sceso.<br />
L’autorità, con prove certe ed altre costruite o pretestuose,<br />
come nel caso del possesso illegale del pugnale, che lo riportò al<br />
domicilio coatto, a Sondrio, per altri 10 anni, non lo ha certo<br />
ignorato.<br />
Ma l’isolamento, che dovrebbe essere il disinfettante per tenere<br />
a bada agenti patogeni virulenti come Salvatore De Crescenzo, non<br />
ha funzionato.<br />
Dobbiamo riconoscere che il domicilio coatto è un<br />
provvedimento che aveva ed ha un’efficacia parziale e limitata nel<br />
tempo. Parziale, perché il camorrista continua a curare i suoi
interessi per interposta persona; limitata nel tempo, perché quando<br />
rientra nella sua terra d’origine, non ha più bidogno nemmeno di<br />
supplenti per riprendere la sua attività.
8.0 Espansione territoriale della camorra.<br />
Le regioni dove maggiore è la circolazione della ricchezza,<br />
sono quelle che più si prestano al riciclaggio del denaro<br />
attraverso l’acquisizione di società o l’apertura di servizi<br />
commerciali.<br />
La Camorra mantiene la sua storica presenza nella<br />
Campania, ma attiva intese e propaggini operative in Lombardia,<br />
Veneto, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e basso<br />
Lazio.<br />
Nel Trentino Alto Adige, sono presenti gli affiliati al clan<br />
Aprea di Ponticelli (NA);<br />
nel basso Sarca (Riva del Garda ed Arco) sono presenti nel<br />
settore economico turistico le famiglie camorristiche Tarallo,<br />
Cardelli, Lanna, Dato.<br />
Nel Veneto, è stato verificato che dietro il fallimento di<br />
alcune società si nascondeva l’attività di riciclaggio e di<br />
alterazione del mercato legale economico da parte di clan<br />
camorristici.<br />
In Umbria, in particolare a Perugia, viene accertata la<br />
presenza di soggetti provenienti da Casal di Principe, legati con<br />
vincoli di parentela con la famiglia camorristica Schiavone, ed<br />
altri collegati al gruppo camorristico Licciardi, nonché soggetti
appartenenti al gruppo Ciccone Fabbrocino che hanno investito<br />
nel campo immobiliare.<br />
In Abruzzo, contrariamente alla convinzione corrente,<br />
l'invasione della camorra, negli anni passati, è stata massiccia.<br />
Nel 2006, si scoprì che l'agguato al boss Vitale era stato deciso a<br />
tavolino, a Villa Rosa di Martinsicuro, in Abruzzo. Nicola del<br />
Villano, cassiere della consorteria imprenditoriale criminale degli<br />
Zagaria di Casapesenna, era ripetutamente sfuggito alla cattura,<br />
rifugiandosi nel Parco nazionale d'Abruzzo, con libertà di<br />
movimento nei centri abitati del luogo.<br />
Gianluca Bidognetti, quando la mamma decise di pentirsi, si<br />
trovava in Abruzzo.<br />
Il 10 settembre 2008, Diego Leòn Montoya Sanchez, il<br />
narcotrafficante inserito tra i dieci most wanted dell'FBI, è stato<br />
catturato in una sua base in un paese in Abruzzo.<br />
Il traffico dei rifiuti, in Abruzzo, ha trovato una piattaforma<br />
ideale: Le zone montane sono scarsamente abitate, hanno una<br />
disponibilità notevole di cave dismesse. I carabinieri, negli anni<br />
Novanta, hanno dimostrato con l'inchiesta Ebano, che 60.000<br />
tonnellate di rifiuti solidi urbani, provenienti dalla Lombardia.<br />
Finivano tutti in cave dismesse e nelle depressioni di terreni<br />
abbandonati, e riempivano le tasche dei camorristi.<br />
Finora, L'Aquila, protetta dalla mancanza assoluta di affari<br />
di una certa consistenza, non ha avuto grandi infiltrazioni<br />
camorristiche, ma il grande, irripetibile affare, come nel 1980 in<br />
Campania, ora è possibile. Per le imprese si apre una miniera,
una ricca miniera nella quale infilarsi per tranne il massimo<br />
profitto.<br />
Conosciute da tutti, e da tempo, le intenzioni delle autorità<br />
ad ogni livello: il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il<br />
Presidente della Provincia de L'Aquila Stefania Pezzopane, il<br />
sindaco del comune de L'Aquila Massimo Cialente, di impedire<br />
ogni infiltrazione della malavita organizzata nei lavori di<br />
ricostruzione, cioè niente camorra, niente mafia, niente<br />
'ndrangheta , niente sacra corona unita, le rispettiamo e le<br />
apprezziamo per l'impegno. Conoscendo la storia, la capacità<br />
mimetica di adattamento a qualsiasi emergenza delle nostre<br />
organizzazioni criminali, più che il dubbio, mi viene la paura che,<br />
more solito iteratur verba, ma l'infezione, tutti lo sanno, ha già<br />
invaso l'organismo.<br />
A L'Aquila, strano segno del destino, le carceri, il luogo<br />
dove sono detenuti i boss del cemento ( ce ne sono 80 in regime<br />
di 416 bis), è risultato intatto. Le famiglie di camorra, di mafia,<br />
di 'nrangheta, di sacra corona unita, in Abruzzo, ci sono sempre<br />
state, e non solo perché nelle carceri abruzzesi c'è il gotha dei<br />
capi della camorra imprenditrice. Il rischio serio è quello che le<br />
“organizzazioni”si spartiscano i lavori: alla 'ndrangheta i lavori<br />
dell'expo di Milano, alla camorra la ricostruzione de L'Aquila,<br />
sempre in subappalto.
In Liguria, accanto alla perdurante presenza, nella città di<br />
Genova, dove l'attività camorristica tradizionale è quella del<br />
contrabbando di tabacchi lavorati esteri si assiste al<br />
consolidamento di formazioni camorristiche nelle città di La<br />
Spezia e di Massa Carrara, interessate attraverso estorsioni,<br />
condizionamento violento ed intimidatorio della concorrenza , ad<br />
acquisire il controllo del gioco d’azzardo condotto in numerosi<br />
esercizi pubblici, attraverso l’installazioni di apparecchi<br />
videopoker ed il controllo della distribuzione di sostanze<br />
stupefacenti.<br />
Risulta anche confermato l’interesse dei gruppi camorristici,<br />
congiuntamente ad esponenti della Sacra Corona Unita pugliese<br />
per i porti liguri, funzionali al contrabbando di tabacco lavorato<br />
estero e di stupefacenti.<br />
Tra le altre attività camorristiche i prestiti ad usura ai<br />
giocatori del casinò di Sanremo, e soprattutto riciclaggio di soldi<br />
sporchi, ma anche tentativi di infiltrarsi nel commercio dei fiori.<br />
In Toscana, nel distretto di Firenze, la zona di Montecatini è<br />
interessata come ambito privilegiato dei progetti e delle attività di<br />
reinvestimento speculativo dei capitali a disposizione della<br />
criminalità campana, ma anche calabrese.<br />
Identica attività di infiltrazione con investimenti immobiliari<br />
e nelle attività commerciali, è in atto nella provincia di Grosseto,<br />
con la presenza dei clan Casalesi, Fabbrocino, Ascione, Gionta,<br />
Gargiulo.
Nelle Marche, soprattutto nel distretto di Ancona è palese il<br />
tentativo di insediamento di gruppi criminali appartenenti alle<br />
tradizionali organizzazioni della camorra, ma anche della<br />
‘ndrangheta e della mafia siciliana, per esercitare la loro attività<br />
delittuosa nel traffico delle sostanze stupefacenti e nel connesso<br />
riciclaggio del denaro, nel controllo del gioco d’azzardo e della<br />
prostituzione.<br />
In Emilia Romagna, nel distretto di Bologna sono presenti<br />
soggetti riconducibili alla al clan camorristico dei Casalesi.<br />
Insediati da anni, hanno creato strutture di supporto logistico utili<br />
al favoreggiamenti di pericolosi latitanti collocati in posizione<br />
dominante nell’organizzazione di riferimento.<br />
Altri importanti ambiti economici nei quali è presente la<br />
camorra<br />
In Lombardia, in provincia di Brescia, ai tempi di Cutolo<br />
s'insediò un clan camorristico legato alla Nuova Camorra<br />
Organizzata. Gli investimenti vennero fatti soprattutto sul Lago<br />
di Garda, nell'area settentrionale, e nel 1998 ci fu un duplice<br />
omicidio per contrasti tra due gruppi di napoletani per questioni<br />
legati alla gestione ed allo sfruttamento di locali di ristorazione,<br />
di locali notturni e sui prestiti ad usura. Al Csm ne diede notizia,<br />
nel 2001, il procuratore della Repubblica Giancarlo Tarquini che<br />
rilevava la presenza diretta o indiretta di organizzazioni<br />
camorristiche nel settore della ristorazione (ristoranti, bar,
pizzerie), dell'intrattenimento (discoteche), commercio di auto,<br />
tappeti ed alimentari.<br />
In una regione dove le opportunità economiche sono tante,<br />
non potevano mancare i clan campani.<br />
Pasquale Zagaria, il clan guidato dai fratelli Zagaria ha<br />
investito massicciamente, a Parma con le società di Aldo Bazzini,<br />
e a Milano sempre con lo stesso, socio nella “Ducato<br />
Immobiliare”, acquisendo immobili in zona Santa Lucia per<br />
ristrutturarli e trasformarli in condomini di lusso con annessi<br />
garage e locali commerciali. Non mancano i collegamenti con<br />
uomini d’affari con esperienze politiche come l’ex assessore del<br />
comune di Parma Stocchi, che lo mise in contatto con Giovanni<br />
Bernini, presidente del Consiglio comunale di Parma, nominato<br />
nel luglio del 2002 dal ministro per le Infrastrutture, Pietro<br />
Lunardi, consigliere per i rapporti con gli enti locali.<br />
Comunque nella zona i gruppi criminali preminenti sono<br />
sardi, calabresi, ed i nuovi arrivati albanesi, mentre i camorristi<br />
sono minoritari.<br />
Secondo l’ex sostituto procuratore della DDA di Napoli, ora<br />
magistrato presso il Massimario della Cassazione, Raffaele<br />
Cantone: “Oggi i Casalesi stanno aprendo nuovi fronti nel Centro<br />
e nel Nord Italia, per esempio il gioco d’azzardo on-line: roulette,<br />
slot machine elettriche, videopoker. Ci sono porti franchi dove è<br />
facile impiantare un’attività. Alcune realtà criminali siciliane,<br />
come i Santapaola, sono già inserite in questo settore, sanno<br />
come fare, e i Casalesi sfruttano il loro Know-how”.
8.1 La camorra rurale.<br />
La camorra rurale era, ed è quella dei mercati ortofrutticoli<br />
che sia nella città di Napoli, sia nella Provincia, prosperava e<br />
prospera con un giro di affari di dimensioni enormi (cui si sono<br />
aggiunte altre attività, come lo smaltimento illegale dei rifiuti, il<br />
traffico della droga, l’appalto dei lavori pubblici e dei servizi<br />
negli ospedali e nelle comunità).<br />
In origine, la Bella Società Riformata, con il suo frieno,<br />
riusciva ad organizzare e a regolare l’attività dei camorristi in<br />
modo pressoché uniforme, nella zona urbana ed in quella rurale.<br />
Dopo l’Unità d’Italia, questa uniformità di applicazione<br />
viene meno a causa dell’autonomia conseguita, con le buone o<br />
con le cattive, da parte di alcune realtà camorristiche provinciali,<br />
in grado di alienarsi dalla gerarchia metropolitana.<br />
Una consolidata tradizione nelle carceri riconosceva un<br />
prestigio preminente agli affiliati della Bella Società Riformata<br />
casertana. Tanto è vero che le sentenze emesse dai camorristi in<br />
carcere, sottochiave, così venivano chiamati i camorristi ospiti<br />
delle patrie galere, aveva valore sia all’interno sia all’esterno del<br />
carcere.<br />
Tale consuetudine venne bruscamente interrotta grazie alla<br />
repressione del maggiore Vincenzo Anceschi, esercitata negli<br />
anni 1926-1927, che arrestò migliaia di camorristi, e tanti altri li<br />
inviò al confino, il cosiddetto domicilio coatto.
Successivamente la camorra casertana aveva avuto modo di<br />
ricostituirsi durante il secondo conflitto mondiale, soprattutto<br />
tramite il mercato nero degli alimentari.<br />
La crescita definitiva, si è però verificata attorno agli anni<br />
’60, grazie al business della droga. Le organizzazioni criminali,<br />
camorristiche, nella provincia campana, non sono, ma<br />
somigliano, nella struttura, alla mafia siciliana.<br />
Non si combattono più militarmente strada per strada. Il<br />
loro credo assoluto è il business: l’affare, il denaro.<br />
Il loro provincialismo è stato sdogananto dall’affaire<br />
terremoto; per il quale si erano preparati come un gruppo coeso<br />
di criminali, che conoscono la forza del gruppo, dell’insieme, e<br />
ne hanno dimostrato l’efficienza assoluta.<br />
Altro elemento del sistema è il monopolio spurio del traffico<br />
dei rifiuti. Una quantità enorme. I Casalesi se ne occupano dagli<br />
anni 80. In Italia vengono prodotti 97 milioni di tonnellate di<br />
rifiuti. Circa 35 milioni di tonnellate prendono la via illegale,<br />
perché in Italia non vi sono impianti sufficienti per lo<br />
smaltimento, ma anche perché l’industria trova economicamente<br />
più conveniente questa via per disfarsi di rifiuti tossici e<br />
pericolosi. Smaltire legalmente nelle discariche regolari, costa 80<br />
centesimi al chilo; in quelle abusive soltanto 10 centesimi al<br />
chilo.<br />
Secondo il Pm Donato Ceglie, che dal 1997 ha alle sue<br />
dipendenze un Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei<br />
carabinieri, affiancato da una squadra della Guardia di Finanza
per completare le indagini sul fronte fiscale, tributario,<br />
economico e finanziario, solo in provincia di Caserta vi sono 900<br />
discariche illegali e 116 ditte autorizzate allo smaltimento dei<br />
rifiuti tossici. Sono un numero enorme e “lavorano” una quantità<br />
illegale enorme di rifiuti, sul posto e in altri siti fuori regione.<br />
Il Sistema, la sfera d’influenza territoriale, economica,<br />
politica e militare, che un gruppo criminale organizzato riesce a<br />
realizzare, è il segno della capacità di adattarsi ai cambiamenti<br />
della Società.<br />
E ognuna ha le sue caratteristiche.<br />
Cutolo, organizzazione e combattimento, tradimenti ed<br />
esecuzioni, guerra permanente ad ogni ostacolo, profitti e<br />
riciclaggio. La NCO come sistema in grado di influire su<br />
economie di scala extraregionale, il sistema l’aveva già<br />
collaudato negli anni ottanta; oggi paga l’assenza del suo<br />
creatore, che anche se in cattività, non conosce pentimenti, e non<br />
collabora con la giustizia.<br />
Sempre a partire dal terremoto si delinea e si consolida il<br />
sistema dei Casertani, o dei Casalesi, che sono una parte<br />
consistente, ma non il tutto di un cartello di famiglie che hanno il<br />
controllo assoluto del territorio, e che riescono ad assicurare una<br />
pace armata, garanzia assoluta di profitto.<br />
Antonio Bardellino, Lorenzo Nuvoletta, Francesco<br />
Schiavone, Mario Iovine, Francesco Bidognetti, Vincenzo<br />
Zagaria, Carmine Schiavone, Raffaele Diana, Pasquale Galasso,
Carmine Alfieri, Michele Zaza, Pasquale Zagaria… e via<br />
dicendo; tutti pezzi da novanta autori di tanta guerra e poca pace<br />
nella Terra campana.<br />
Il Sistema, l’insieme delle attività e delle influenze<br />
territoriali, economiche e militari.<br />
Dei diversi insiemi, per il tipo di sistema urbano, si può fare<br />
riferimento a quello storico dei Giuliano; inventori del lotto<br />
clandestino, grande capacità di intessere relazioni militari con gli<br />
altri clan, contrabbando di sigarette, guerra contro Cutolo,<br />
tradimenti, scontri, declino. Ma sempre sistema.<br />
Così come accade in altre province, in quella casertana<br />
l’attività criminale camorristica pesantissima, è dominata dal clan<br />
dei Casalesi, il cui predominio si basa su alcuni elementi<br />
fondamentali per la buona riuscita di ogni attività, soprattutto di<br />
quelle di natura criminale:<br />
- stabile radicamento nel mondo delinquenziale;<br />
- controllo e forte dominio sul territorio, per le capacità<br />
operative militari dimostrate;<br />
- capacità penetrativa enorme in tutti i settori della società e<br />
dell’economia;<br />
- grande capacità di riciclaggio, utilizzando colletti bianchi<br />
autoctoni, familiari o associati.<br />
Questa situazione e la conoscenza della pericolosità per le<br />
caratteristiche criminali possedute, hanno indotto la<br />
Commissione Nazionale Antimafia ad approfondire la
conoscenza della realtà del crimine organizzato in provincia di<br />
Caserta.<br />
Il modello operativo della camorra casertana, si basa<br />
sull’attività di più gruppi organizzati, con competenze assegnate<br />
su base territoriale, collegati “verticisticamente”.<br />
La realtà più consolidata sul territorio, per la presenza<br />
ininterrotta da almeno due secoli, è quella denominata dei<br />
Casalesi.<br />
Alcuni decenni orsono, per contrasti al vertice, il clan si è<br />
diviso in due tronconi:<br />
- uno, quello più importante, fa capo a Francesco<br />
Schiavone, detto Sandokan, per la sua somiglianza all’attore<br />
indiano Kabir Bedi;.<br />
Attualmente Francesco Schiavone è detenuto in regime ex<br />
articolo 41 bis ordinamento penitenziario.<br />
Il clan è perciò governato dal cugino, anch’egli di nome<br />
Francesco Schiavone, detto Cicciariello figlio di Schiavone<br />
Luigi, scarcerato per decorrenza dei termini, colpito da nuovi<br />
provvedimenti restrittivi della libertà personale, si è reso<br />
irreperibile.<br />
- l’altro, meno importante, che ha come capo clan<br />
Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte anch’egli in<br />
carcere , detenuto in regime di 41 bis ordinamento penitenziario,<br />
a livello di non ha conflittualità formali, ma sul livello operativo,<br />
sul territorio, insorgono contrasti, specie ad opera di quei gruppi
satellite che a quei vertici fanno riferimento, dando luogo a<br />
scontri, tensione, regolamenti di conti e omicidi.<br />
Francesco Bidognetti, ormai, è in carcere, detenuto in<br />
regime di 41 bis ordinamento penitenziario, da anni.<br />
Il suo clan ha continuato ad operare tramite i suoi figli:<br />
Aniello e Raffaele.<br />
La lotta per il potere al vertice del gruppo, si avvale<br />
dell’appoggio della malavita napoletana, ed in particolare di<br />
Luigi Guida, detto ‘o Drink, proveniente dal quartiere<br />
napoletano della Sanità, viene concordemente ritenuto braccio<br />
destro di Francesco Bidognetti, controllando per conto del<br />
Bidognetti il business dei traffici illeciti nella zona del litorale<br />
domizio.<br />
Il nucleo storico, è costituito dalle famiglie:<br />
- Schiavone;<br />
- Bidognetti ;<br />
- Iovine;<br />
- Zagaria.<br />
Le famiglie Iovine e Zagaria, in questo momento osservano<br />
una politica di equidistanza e di apparente tranquillità.<br />
In pratica l’area controllata dai clan dei Casalesi,<br />
s’identifica con tutta la provincia di Caserta,tranne:<br />
- Marcianise, polo industriale controllato dal clan Belfiore;<br />
- Sessa Aurunca, controllata dal clan Esposito;<br />
- Mondragone, controllato dal clan La Torre.
Nonostante le misure restrittive della libertà e la confisca di<br />
beni e di denaro contante per migliaia di miliardi delle vecchie<br />
lire, il clan dei Casalesi non ha perso la capacità operativa<br />
dimostrata prima dell’intervento della Magistratura.<br />
Riescono ad affiliare nuovi giovani, che garantiscono<br />
l’operatività del gruppo.<br />
La proverbiale capacità di adattamento ai trend di mercato<br />
che la holding dei Casalesi ha dimostrato in tutti questi anni, è<br />
impressionante. La sua attività più produttiva si svolge al Centro<br />
– Nord Italia, con filiali per gestire il traffico della droga, lo<br />
smaltimento dei rifiuti tossici, il commercio di armi, il gioco<br />
d’azzardo via internet, le frodi nel campo alimentare<br />
La presenza di soggetti stranieri conferisce al clan la<br />
capacità di infiltrarsi nelle economie di Paesi dell’Est Europa,<br />
mentre immutata è la capacità operativa a livello nazionale.<br />
Come dice Rosaria Capacchione, Carmine Schiavone faceva<br />
il contabile prima di buttarsi pentito, come dicono i camorristi.<br />
Era addetto alla compilazione delle schede di conferimento dei<br />
prodotti agricoli, quando l’eccesso di produzione, ne consentiva<br />
la distruzione, beneficiando del contributo A.I.M.A.. Cioè<br />
quando c’erano eccedenze di produzione, si eliminava una parte<br />
di prodotto. A.I.M.A., correntemente, nel periodo di vigenza di<br />
quella regolamentazione comunitaria era sinonimo di<br />
distribuzione del prodotto in eccesso. Sfortunatamente, un<br />
provvedimento di natura straordinaria viene confuso con una<br />
modalità di produzione variabile, o addirittura inesistente.
Sfortunatamente per noi, e per una parte della collettività, le<br />
cose chiamate con un nome, non hanno dappertutto lo stesso<br />
significato: se mi riferisco a un eccesso di produzione, ipotizzo<br />
che si tratti di un eccesso di prodotto a qualità costante.<br />
Sia che si tratti di prodotto che viene conferito e viene<br />
stoccato nei magazzini A.I.M.A., per placare a buon mercato la<br />
dame delle popolazioni dell’Est.<br />
A questo punto l’interpretazione, che per comodità ed<br />
opportunismo viene considerata soggettiva, può avere uno<br />
sviluppo variabile:<br />
-al mutare dell’imprenditore, che può variare la<br />
composizione qualitativa del capitale investito e la combinazione<br />
dei mezzi tecnici di produzione, che comporta sempre una<br />
depressione qualitativa del prodotto conferito, e per fare un<br />
esempio che classifica tutti i produttori quasi onesti, invece di<br />
allevare il bovino della solita razza Limousine, allevo dei bovini<br />
polacchi di qualità decisamente peggiore, che nel mercato<br />
normale vale 2.000 lire in meno al chilogrammo, ma la piazzo<br />
sicuramente ad un prezzo d’intervento stabilito e ci guadagno<br />
comunque; sicuramente molto di più che se onestamente avessi<br />
allevato la razza di bovini che, per tradizione consolidata, avrei<br />
allevato; si tratta di una furbata, ma c’è di peggio.<br />
- al mutare dell’interpretazione filosofica del soggetto,<br />
imprenditore artista opportunista, che può decidere sicuramente<br />
che la qualità non può e non deve essere la stessa, che la quantità
di produzione, per unità di superficie sarà sempre enorme, e che<br />
“al momento del conferimento, siccome le schede le compila una<br />
brava persona, che quando arrivano a scaricare i camion con il<br />
mio prodotto fa la cortesia di andarsi a prendere un caffè, passo<br />
sulla bilancia a bilico tutte le volte necessarie per fare il<br />
quantitativo giusto”, e come si può facilmente intuire è la<br />
modalità più conveniente.<br />
Nelle zone che per fantasia variabile si collocano all’inizio<br />
della scala, come <strong>Alessandria</strong>, si fa per dire… il problema, era<br />
della prima specie.<br />
Nell’agro campano, dove ci sono i clan organizzati, dagli<br />
Schiavone ai Nuvoletta, e a tutti gli altri, le cose cambiano e sono<br />
sempre della specie “ a fantasia variabile al massimo dei valori<br />
della scala”.<br />
La differenza è evidente. Con la prima scelta conferisco un<br />
prodotto che siccome viene stoccato nelle celle frigorifere, deve<br />
comunque esistere, nella seconda opzione, siccome non deve<br />
essere conservato, ma viene distrutto, per distruggere un prodotto<br />
agricolo, se al controllo c’è un fedele servitore (mio, non dello<br />
Stato), che controlla, devo solo conservare il quantitativo solo<br />
come dato statistico. Solo sulla carta.<br />
Sembra che questo affare sia stato inventato dai siciliani e<br />
dai calabresi; ma in Campania, nell’agro nocerino-sarnese e in<br />
provincia di Caserta è stato sicuramente raffinato.
C’era un solo problema iniziale: “l’autorizzazione<br />
all’apertura ai centri di raccolta costava amicizie politiche e tanti<br />
soldi, tangenti consegnate in valigia”.<br />
Siccome le somme in movimento erano talmente rilevanti<br />
da fare impressione, si comprende come queste attività criminale<br />
potessero avere garanzia di riuscita solo in presenza di un sistema<br />
criminale ben concepito, organizzato e collaudato. E il sistema<br />
esisteva e veniva utilizzato.<br />
“La Unicoop fu costruita alla fine degli anni Settanta inizi<br />
anni Ottanta ed era diventata la più grande cooperativa<br />
dell’Italia meridionale tanto da avere un fatturato di almeno 100<br />
miliardi l’anno almeno sulla carta. Dico sulla carta perché la<br />
trasformazione del prodotto era in gran parte fittizia, in modo da<br />
ritenere rilevanti contributi dall’AIMA […]. Il provento delle<br />
truffe veniva sostanzialmente suddiviso fra la camorra da una<br />
parte ed i politici, i finanzieri, e gli imprenditori dall’ altra. Il<br />
problema era costituito dal fatto che i politici e i finanzieri<br />
volevano essere pagati anticipatamente.[…] Mi spiegavano che<br />
portavano delle valigie piene di denaro.” *<br />
I prodotti agricoli interessati erano soprattutto quelli orticoli<br />
e frutticoli: pomodori San Marzano, oggi IGP; cavolfiori;<br />
broccoli, zucche, barbabietole.<br />
Soprattutto i pomodori, l’oro rosso, ma anche tante pesche.<br />
Naturalmente le modalità della truffa potevano essere<br />
diverse. C’era chi arrivava con il camion carico di materiale<br />
diverso e lo scaricava ugualmente nelle fosse scavate , già piene.
*Dichiarazione di Pasquale Pirolo del 20 gennaio 1997. Da Rosaria<br />
Capacchione, L’oro della camorra.<br />
Oppure se ne andava via direttamente.<br />
Prodotti come la mozzarella di bufala, rigorosamente DOP,<br />
a volte possono anche non provenire dalle zone più fortemente<br />
vocate alle produzioni di qualità.<br />
Il clan Lubrano e Nuvoletta, che trasferì in Lombardia<br />
bufale di razza Casertana, dalle quali si ricava la pregiata<br />
mozzarella DOP, siccome in Lombardia non esiste la<br />
Denominazione di Origine Protetta, producono un latte che non<br />
può essere marchiato DOP.<br />
Ma il Clan che alleva 12.000 capi in Lombardia, e vi ricava<br />
perciò 6.000 tonnellate all’anno di mozzarella, trova il modo di<br />
commercializzarle unitamente alla produzione campana, per<br />
almeno 20 anni, lucrando sul prezzo, ma frodando il<br />
consumatore.
8.2 Obolo della paranza.<br />
Mercati del pesce e della frutta, un movimento di merci di<br />
enormi proporzioni.<br />
La sopravvivenza di tutta la popolazione, eccezion fatta per la<br />
produzione della campagna destinata all’autoconsumo, dipende dal<br />
funzionamento di questo canale commerciale, e genera il<br />
movimento di un fiume di denaro.<br />
Dove c’è denaro, o comunque un’attività produttiva, grande o<br />
misera che sia, c’è la camorra. Lo svolgimento pacifico delle<br />
attività, crea sicurezza anche anche agli acquirenti, alla clientela, e<br />
contribuisce alla fidelizzazione. La pace e la tranquillità sui luoghi<br />
di mercato, almeno in quelli campani, ha sempre avuto un prezzo, da<br />
pagare alla camorra, e quindi, a cominciare dall’Ottocento fino ai<br />
giorni nostri.<br />
La somma da versare alla paranza che controllava la zona, o al<br />
clan se prliamo dei tempi nostri, era conosciuta come obolo alla<br />
paranza. Chiamiamola come vogliamo, si tratta di una tangente.<br />
Naturalmente cambiando i tempi qualche comportamento, sempre<br />
indirizzato ad avere gli stessi effetti, può anche non seguire la stessa<br />
liturgia.<br />
La storia di questa attività ha conosciuto e conosce episodi di<br />
violenza, come nel 1876, quando a Napoli venne ucciso un<br />
confidente di polizia: Vincenzo Borrelli, ex camorrista del Biorgo
Loreto, il più affidabile confidente del Commissariato di polizia al<br />
Mercato. Per il delitto venne arrestato un operaio, tale Raffaele<br />
Esposito noto come ‘o sapunaro, lo straccivendolo. Una turba<br />
urlante di donne, acclamava l’assassino mentre veniva condotto nel<br />
carcere di Castelcapuano alla Vicaria. Aveva già conosciuto la<br />
galera, per una serie di furti, e correva voce che avesse venduto i<br />
suoi complici alla polizia. Proprio per rifarsi un ‘aureola diversa, si<br />
mise a frequentare assiduamente tutti i camorristi che conosciuto in<br />
carcere, i quali gli affidarono l’incarico di raccogliere le giocate del<br />
lotto clandestino. La regola dell’omertà, sacra per la Bella Società<br />
Riformata, era stata infranta, perché la spiata era un’infamità, e<br />
l’infame doveva morire, non poteva essere perdonato. Tra Esposito e<br />
Borrelli c’era stato un contenzioso per una vincita al lotto non<br />
pagata, e Borrelli aveva fatto ammonire Esposito. Quindi c’era già<br />
uno sgarro. Nel Luglio 1876, nella Taverna delle paludi, durante<br />
una cena di camorristi, venne deciso che Borrelli doveva essere<br />
ucciso. In sei estrassero il nome del dell’incaricato e toccò a<br />
Esposito, che ottenne anche l’autorizzazione del capintrito del<br />
Mercato.<br />
Il teatro del delitto erano i mercati della frutta, dove per la<br />
prima volta una quarantina di commercianti si erano ribellati ai<br />
camorristi che li tenevano sotto estorsione, e li avevano denunciati.<br />
Però si sa come accade in certe occasioni in certi luoghi: il coraggio<br />
è tanto, momentaneamente, e la paura molto di più, sempre. I
coraggiosi denunzianti, messi a confronto con gli accusati,<br />
ritrattarono.<br />
Dopo il delitto, i camorristi festeggiarono la morte di Borrelli<br />
con un pranzo luculliano alla Taverna delle Brecce. Il processo in<br />
Corte d’Assise, cominciò il 10 giugno 1878, Esposito imputato<br />
come esecutore ed altri cinque camorristi come mandanti. La folla<br />
naturalmente parteggiava per i malavitosi. I testimoni del delitto<br />
riferirono di aver dimenticato ogni dettaglio sull’accaduto, come al<br />
solito.<br />
Tra la camorra dei mercati e della frutta si impose Pasquale De<br />
Felice, negoziante prima, poi agli ordini di Salvatore De Crescenzo,<br />
contrabbandiere. Infine, passando attraverso l’estorsione ai<br />
cocchieri, camorrista capintrito.<br />
Definito camorrista incorreggibile dall’ispettore di polizia di<br />
Portici, venne condannato al domicilio coatto, ma tentò di uccidere<br />
un suo compagno di pena e venne condannato ai lavori forzati a vita.
8.3 La tenuta del potere camorristico.<br />
Sulla camorra, la pubblicistica giornalistica ha sempre<br />
proposto degli stereotipi, soggetti ma non consentono una<br />
corretta comprensione della struttura organizzativa, del<br />
radicamento storico e sociale, della capacità di adattamento in<br />
funzione del mercato, della sua funzione di risorsa economica,<br />
per un numero rilevante di persone coinvolte a vario titolo<br />
nell’attività del settore.<br />
L’uomo della strada, informato dai media di ogni ordine e<br />
grado, percepisce la camorra come tutte le altre criminalità<br />
organizzate: corpi estranei alla società che, tuttavia, esercitano la<br />
loro attività criminosa senza avere connessione e contiguità con<br />
la società civile e con la popolazione.<br />
Per la camorra, non è così. La camorra, uniformemente<br />
distesa sul territorio campano, in forma reticolare non omogenea,<br />
è funzionale alla vita di un numero statisticamente rilevante di<br />
persone, ed ai bisogni di una collettività ancora più estesa e<br />
generalizzata.<br />
Così combinato ed attrezzato, il potere camorristico, mostra<br />
una straordinaria tenuta.<br />
Dopo il periodo di massimo splendore della Bella Società<br />
Riformata, con Salvatore De Crescenzo sempre associato per<br />
considerazioni politiche a don Liborio Romano, con la<br />
repressione iniziata dal generale La Marmora e proseguita con<br />
alterne fortune, dobbiamo riconoscere che l’adattamento a<br />
situazioni più o meno gravi e contingenti, come quelle degli anni
del secondo conflitto mondiale e del periodo post-bellico,<br />
abbandonando gradualmente la sacralità del frieno, per approdare<br />
ai giorni nostri a una situazione delegificata, rispetto alla<br />
tradizione, che gli consente una capacità di adattamento<br />
proteiforme non riscontrabile in nessun organismo patogeno<br />
sociale.<br />
Adattarsi alle nuove situazioni e sfruttarle, è un specificità<br />
della camorra.<br />
Domenica 23 novembre 1980, ore 19,35 secondo l’orologio<br />
del teatro San Carlo di Napoli, il terreno comincia a muoversi<br />
come un’onda. In qualche secondo si verifica un enorme disastro.<br />
In Irpinia, 2.000 vittime, 9.000 feriti, 300.000 sfollati. Si mette in<br />
modo, a livello nazionale, un piano di ricostruzione di tutto ciò<br />
che è andato distrutto: strade, ferrovie, edifici, linee telefoniche,<br />
reti di distribuzione del gas e dell’elettricità, ecc. Questa<br />
mobilitazione generale si rivelò un fiasco. Nel 1996, oltre 4.000<br />
persone, non avevano ancora un’abitazione, ed alcune di queste<br />
continueranno ad abitare in containers di acciaio di 12 mq.<br />
frequentemente allagati. Molti sindaci affermano di non aver<br />
ancora ricevuto tutti i fondi destinati alla ricostruzione e<br />
richiedono il denaro che spetta loro. Dei 40 miliardi circa, spesi<br />
da Roma, solo 9,6 miliardi, pari al 24% della cifra totale, sono<br />
stati destinati a questo scopo.<br />
La manna economica piovuta sulla Campania, non è<br />
scomparsa per tutti. Una parte considerevole finisce direttamente
nelle tasche dei politici locali. Alla camorra finisce direttamente<br />
una cifra come 6,4 miliardi. Le famiglie più abili sono riuscite a<br />
creare fortune immense perché si erano preparate per tempo una<br />
vasta rete di collusioni, con un meccanismo talmente sofisticato<br />
da far scomparire legalmente il denaro.<br />
A partire dal terremoto dell’Irpinia, le gang di trafficanti di<br />
sigarette che sono ancora considerate dall’opinione pubblica<br />
come esponenti di un crimine folkloristico, possono finalmente<br />
giocare nel cortile delle persone che contano, cugini siciliani.<br />
Dopo il sisma, l’Italia scopre la camorra. Prima, la<br />
commissione antimafia nel 1962, non aveva nemmeno ritenuto<br />
opportuno indagare sul fenomeno camorristico, considerandolo<br />
non assimilabile alla mafia siciliana. Il fatto è che l’opinione<br />
pubblica ha considerato sempre i camorristi napoletani, operanti<br />
nei bassifondi, dei simpatici banditi alla Dumas, senza alcun<br />
rapporto con i mafiosi siciliani e per avvalorare questa<br />
distinzione bastano pochi dettagli: la camorra avrebbe una<br />
struttura più orizzontale, non esistono più cerimonie particolari<br />
per aderirvi, ecc., ecc. Per questi motivi, la camorra, fino agli<br />
‘90, non verrà considerata davvero come un pericolo nazionale.<br />
Siccome non era pericolosa, in 20 anni, dal 1980 al 1990, in<br />
Campania, vengono commessi 2.000 omicidi imputabili alla<br />
camorra. Una situazione criminale che non ha eguali in Italia, e<br />
non ha nulla da invidiare alla criminalità newyorchese e a quella<br />
colombiana
Gli ingenti fondi pubblici, per la ricostruzione della<br />
Campania, risvegliano le vecchie rivalità che separano le grandi<br />
famiglie camorriste. L’oro dello Stato è allettante tanto quanto<br />
quello della droga. Inizia così una nuova catastrofe sociale e<br />
criminale. La criminalità napoletana è sempre stata caratterizzata<br />
dalla molteplicità delle sue “famiglie” e dalle guerre tra gang. Si<br />
sa, la camorra non è mai stata capace di costruire una struttura di<br />
tipo verticistico sul modello di Cosa Nostra.<br />
Negli anni ‘80, Carmine Alfieri, del clan di Nola, tenta di<br />
combattere questo sistema orizzontale, ma non riesce a<br />
raggiungere il proprio obiettivo, e scatena un’ondata di massacri.<br />
Il pentito di camorra Pasquale Galasso riassume la situazione con<br />
queste parole: “ se decapitate un gruppo camorristico, altri dieci<br />
sorgeranno al suo posto”.<br />
La Commissione Antimafia nel 1993, affermava che, in<br />
Sicilia “la mafia [sia] isolata dalla società; la sua struttura<br />
gerarchica la rende un’organizzazione che si immerge nel tessuto<br />
sociale senza farne parte. La camorra, al contrario, con il<br />
centinaio abbondante di clan […], fa un uso della disperazione<br />
sociale che la rende capace di riprodursi non appena una risorsa<br />
illegale dà a un giovane l’impressione di potersi costruire un<br />
futuro.
9.0. La camorra e la politica<br />
Tanto per stabilire un punto di partenza, possiamo<br />
cominciare da quel 1764, quando lazzari e nobili si allearono: al<br />
popolo la facoltà di vedere pane e farina a sei volte il prezzo<br />
normale, all’aristocrazia l’appoggio per concludere speculazioni<br />
economiche.<br />
Appena dopo, nel 1799, l’accordo alla luce del sole tra il<br />
generale francese Giovanni Championnet da una parte, e<br />
dall’altra Michele Marino e Antonio Avella, capi riconosciuti<br />
dei lazzari, che dopo una strenua battaglia, durata cinque giorni,<br />
contro i francesi, con 2.000 morti tra i napoletani, raggiunsero<br />
un’intesa: per i lazzari, anche con i francesi, poco o nulla sarebbe<br />
cambiato circa le loro usanze e il loro modo di vivere, in cambio<br />
di un loro aiuto a tenere tranquilla la popolazione e favorire i<br />
francesi nella conoscenza della città. E così fu. Michele Marino,<br />
sistemato davanti allo squadrone di cavalleria del generale<br />
Thiebault li guidò attraverso tutta la città tra l’acclamazione<br />
della sua gente.<br />
L’abbraccio più totale e coinvolgente, però, è quello che<br />
realizzarono don Liborio Romano dalla parte governativa e<br />
Salvatore De Crescenzo dalla parte della camorra.<br />
Con De Crescenzo sistemato nelle forze di polizia<br />
unitamente agli atri suoi compagni camorristi, si ha l’esempio più<br />
eclatante di “confusione” tra lo Stato e la criminalità organizzata.<br />
Anche il ravvedimento con il ministro Silvio Spaventa e la lotta
dura, senza quartiere, usando anche lo stato d’assedio, a<br />
cominciare dal generale Alfonso La Marmora, proseguendo con<br />
l’azione del governo centrale dell’Italia unita, con la legge Pica,<br />
il domicilio coatto e la pressione continua per decenni, non<br />
riuscirono a rimediare alla follia del luglio del 1860 ed agli otto<br />
mesi successivi di convivenza profonda.<br />
Nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, diveniva sempre più<br />
esasperante la pressione della camorra, che moltiplicava le<br />
estorsioni sui facchini, sui cocchieri e su altre umili attività, con<br />
il controllo totale delle aste pubbliche, ma s’intravvedeva<br />
chiaramente anche la possibilità per la mafia bassa di intrecciare<br />
convenienti rapporti con uomini politici, per ottenere, in cambio<br />
del voto raccomandazioni o altre opportunità.<br />
La carenza di capintesta dotati di spiccata personalità e<br />
autorevolezza, anche nella camorra ci si doveva accontentare di<br />
quello che passava la piazza.<br />
Erano i tempi di Gaetano Del Giudice, che con il fratello<br />
Francesco si ricavò uno spazio in città, e solo a seguito della lotta<br />
condotta e vinta da Errico Alfano, contro Totonno ‘e Pappavale,<br />
che controllava così quasi tutte le paranze, fu costretto ad<br />
occupare uno spazio secondario.<br />
Del Giudice, vicino agli ambienti dei facchini, si era<br />
avvicinato al deputato giornalista Rocco De Zerbi, da cui in<br />
cambio di appoggi elettorali otteneva raccomandazioni per alcuni<br />
facchini suoi amici. Anche se biglietti e segnalazioni non erano<br />
ancora prove di reato erano tracce di pericolose frequentazioni.
Della voce ricorrente di queste frequentazioni ed il sospetto<br />
di connivenze ne fece le spese Rocco De Zerbi, con il suo collega<br />
di Sciacca Saverio Friscia.<br />
De Zerbi e Friscia, avevano fatto una raccomandazione in<br />
favore una raccomandazione in favore del facchino capo della<br />
Dogana di Napoli, tale Pasquale Cafiero. Il deputato Friscia,<br />
socialista aderente all’internazionale socialista, preoccupato<br />
dell’avvenire della famiglia del suo raccomandato, nel 1880,<br />
scrisse una lettera nella quale affermava che:<br />
“Cafiero non potrebbe essere di pericolo all’ordine e alla<br />
pubblica quiete”.<br />
Oltre alle due lettere di De Zerbi e Friscia, ci fu anche<br />
un’altra segnalazione a favore del camorrista da parte di Luigi<br />
Petriccione, consigliere provinciale. La difesa a favore del<br />
soggetto malavitoso, doveva avere per forza un motivo debitorio<br />
da parte dei tre intervenuti..<br />
De Zerbi, giornalista napoletano già direttore del giornale<br />
“Il Piccolo”, da lui fondato il 2 luglio 1868, fortemente<br />
impegnato in denunce sociali, scrisse un libro La miseria di<br />
Napoli, in cui descriveva il totale disimpegno sociale della<br />
maggioranza degli abitanti napoletani. Aveva poi la costante<br />
abitudine di indagare la realtà di tutti gli strati sociali della città.<br />
Erano pittoresche le sue descrizioni della società napoletana che<br />
divideva in 7.000 scimmie mondane e 3.000 uomini attivi<br />
contrapposti a 45.000 animali analfabeti, che non leggevano né<br />
giornali, né libri a digiuno di politica, estranei a qualsiasi forma
di partecipazione sociale e di conoscenza collettiva.<br />
Ciononostante, il giornalista per essere eletto fu costretto a<br />
chiedere voti a chi controllava, con la violenza, pacchetti di voti,<br />
con l’impegno di sdebitarsi tramite le raccomandazioni. Alle<br />
accuse il giornalista rispose: “ non conoscono noi e noi non<br />
conosciamo loro” citando anche la metafora dell’ostrica scoglio<br />
per descrivere la compenetrazione tra malavita e città; una sorta<br />
di interdipendenza per la sopravvivenza.<br />
La Camera autorizzò la richiesta di autorizzazione a<br />
procedere, ma De Zerbi, cinquantenne, il 20 febbraio 1893, morì<br />
in circostanze misteriose.<br />
Le ipotesi furono tante. Si disse che s’era avvelenato o che<br />
l’avessero avvelenato perché conosceva troppo a fondo lo<br />
scandalo del doppio conio di moneta della Banca Romana, che<br />
aveva arricchito politici e speculatori, rischiando di coinvolgere<br />
anche casa Savoia. La crescita elefantiaca dei dipendenti<br />
dell’amministrazione partenopea, era stata spesso criticata, e<br />
stigmatizzata per l’influenza che riuscivano ad esercitare certi<br />
soggetti che lui amava definire camorristi in guanti gialli, che in<br />
quegli anni venivano indicati anche come alta camorra.<br />
La città di Napoli, già sede di Ministeri e burocrati, ormai<br />
era in una fase di cambiamento totale di identità. Si esasperava la<br />
lotta politica, per il controllo del comune o per un posto in<br />
Parlamento, con battaglie condotte con ogni mezzo lecito o<br />
illecito, con la camorra a fare da strumento aggiunto in una<br />
competizione priva di freni morali.
In questo mondo di persone sofferenti e disperate per le<br />
condizioni economiche precarie, arrivò il colera, la febbre<br />
napoletana. 15.000 morti. Con questa tragedia, il resto del Paese<br />
si avvide della situazione disperata. Napoli andava sventrata e<br />
rifatta, cambiando l’aspetto urbanistico della parte più degradata.<br />
Il prefetto Antonio Mordini in un suo rapporto del 1874,<br />
fece trasparire per la prima volta l’influenza della camorra sulle<br />
elezioni politiche, riferendo che un camorrista del Mercato, aveva<br />
rapporti con Giovanni Nicotera, futuro Ministro degli Interni.<br />
Con l’allargamento del suffragio, il dio voto si affermava. Anche<br />
se l’allargamento interessava uomini e persone di alto censo e<br />
con buoni requisiti culturali, provocava un aumento delle<br />
possibilità di pressione che i camorristi potevano esercitare in<br />
appoggio a qualche candidato. Così all’estorsione, dopo appena<br />
una decina d’anni dall’unità d’Italia, si aggiungeva un altro<br />
monopolio nelle mani della Bella Società Riformata, che però<br />
continuava a non possedere un colore politico preciso.<br />
Strumentali e temporanei, gli appoggi ai candidati, erano<br />
concessi in cambio di benefici immediati, oppure a breve<br />
termine. Così per un’ammonizione poteva servire l’intervento sul<br />
magistrato. I Primi due episodi di pressioni elettorali esercitate<br />
dai camorristi, si ebbero già nel 1865. Proprio in questo periodo<br />
in cui si codificava la relazione candidati politici-camorristi,<br />
nasceva il mito di un altro capo dei capi, il vero successore di<br />
Salvatore De Crescenzo, Ciccio Cappuccio, succeduto ad un<br />
insignificante dominio di Pasquale Caiazzo, e che avrebbe
monopolizzato la scena camorristica e quindi anche quella della<br />
società napoletana.<br />
Il rapporto tra potere politico e malavita organizzata, come<br />
andiamo constatando non era un fatto episodico, o attribuibile ad<br />
un solo funzionario dello Stato. La spiegazione è possibile<br />
rintracciarla nel salto di qualità compiuto dalla malavita<br />
organizzata, divenuta ormai un soggetto organizzato e strutturato,<br />
un potere in grado di orientare e influenzare le persone, di avere<br />
rapporti sociali forti e ampi che potevano tornare utili al<br />
momento del bisogno. C’erano diversità tra regioni e regioni,<br />
come tra la Campania e la Sicilia, ma il comportamento delle<br />
autorità fu pressoché uniforme e commisurato alla forza e<br />
all’ascendente della malavita organizzata che agiva sul territorio.<br />
sociale.<br />
A Napoli, lo si vide nel 1893, durante un acuto momento<br />
La città era paralizzata da agitazioni simili ad altre città<br />
italiane, in seguito agli eccidi di operai italiani in Francia,<br />
accusati di essersi prestati a lavorare per salari da fame,<br />
determinando una concorrenza sleale nei confronti dei lavoratori<br />
francesi. A Napoli, la protesta fu particolarmente estesa, anche<br />
perché ai motivi generali si aggiunse anche un malessere locale.<br />
A guidare la massa dei dimostranti c’erano i cocchieri,<br />
categoria controllata dalla camorra, i quali avevano motivi<br />
specifici ed urgenti per essere esasperati: i tram da poco<br />
funzionanti in città, rischiavano di farli sparire, preoccupazione,<br />
questa, di certo non infondata. Erano già arrivati in città 5.000
soldati in assetto di guerra, pronti a reprimere con la forza ogni<br />
manifestazione non autorizzata. La situazione rischiava di<br />
precipitare da un momento all’altro. Non precipitò perché<br />
intervenne un patto tra il prefetto, il questore e la camorra. Il<br />
prefetto fece ritirare le truppe e in una città deserta dove non<br />
c’era neanche una vettura o un cavallo, ecco apparire il mitico<br />
capo della camorra napoletana Ciccio Cappuccio a cassetta di<br />
una carrozzella nuova.<br />
Da solo e al trotto attraversò la città, e tutti a quel punto<br />
compresero, senza bisogno di ulteriori spiegazioni che lo<br />
sciopero era terminato e la situazione stava per tornare alla<br />
normalità. Due acuti osservatori stranieri che avevano assistito<br />
agli avvenimenti, Bolton King e Thomas Okey, colsero il<br />
messaggio della solitaria traversata della città di Ciccio<br />
Cappuccio in carrozzella:<br />
“la polizia volentieri ricorre alla sua autorità quando si<br />
sente impotente”.<br />
Giudizio crudo, ma vero. Era un rapporto tra due poteri che<br />
si fronteggiavano sul territorio. E quello della camorra godeva di<br />
un consenso radicato, che non era solo il frutto dell’imposizione<br />
e della violenza. E infatti, Ciccio Cappuccio era uno dei capi<br />
della camorra più rispettato e più amato, come dimostravano<br />
episodi minuti, ma significativi.<br />
9.1 Gli eletti di Montecalvario.
Il successore di Ciccio Cappuccio, Enrico Alfano, detto<br />
Erricone, basso e magrolino, a 33 anni era il camorrista più<br />
potente della città.<br />
Introdusse nella Bella Società Riformata, la figura del<br />
camorrista proprietario; non significava che possedesse<br />
immobili o altri beni, ma che aveva accumulato indiscussa<br />
esperienza e prestigio criminale. Proprio grazie alla sua grande<br />
esperienza criminale, alla morte di Cappuccio, aveva posto il<br />
problema della successione, ed aveva avuto vita facile a farsi<br />
eleggere capintrito.<br />
Siccome non era bene accetto da tutti, quando si presentò<br />
l’occasione: la restituzione di una borsetta rubata a una<br />
canzonettista del teatro Salone Margherita, presero a pretesto<br />
l’episodio per farlo decadere da capintesta. Riuscì a far eleggere<br />
una persona a lui legata da affari, Luigi Fucci. In realtà il vero<br />
capo era lui, perché il Fucci esercitava l’incarico per conto di<br />
Erricone. Tutti lo sapevano, ma tutti facevano finta di ignorarlo.<br />
Aveva rilevato la bottega di Ciccio Cappuccio, ma gli introiti più<br />
consistenti li realizzava con la compravendita degli scarti di<br />
cavalleria in provincia di Caserta e Napoli. Tutti guadagni che si<br />
moltiplicavano con la sua principale attività, il prestito a usura.<br />
Riuscì a cambiare alcune regole del frieno, introducendo il<br />
camorrista proprietario, i camorristi scelti da nominare in diverse<br />
zone della città, naturalmente tutti suoi fedelissimi. Introdusse<br />
anche il camorrista d’ordine che veniva sistemato in zone<br />
malfamate per evitare che scoppiassero le liti, onde evitare
l’arrivo della polizia. E poi, la modifica delle regole per il<br />
camorrista di giornata, che fino ad allora aveva avuto sempre<br />
l’incarico della responsabilità per un giorno, in una determinata<br />
zona.<br />
Enrico Alfano era al massimo della sua potenza quando si<br />
tennero le elezioni del 1904, quelle che portarono alla sconfitta<br />
dei socialisti dopo la relazione Saredo.<br />
Ettore Ciccotti, qualche anno dopo, poteva affermare.<br />
“Sopra un basso brulicame, veniva sorgendo un’altra<br />
camorra, più industre e più dotta, che mirava a monopolizzare un<br />
po’ d’industrie esistente a Napoli, e quelle che eventualmente<br />
potessero sorgere, particolarmente col favore della legge<br />
speciale per Napoli. Questa nuova camorra evitava,<br />
possibilmente, di avvilirsi e di compromettersi”.<br />
Enrico Alfano, disponeva nelle diverse zone della città<br />
decine di comparielli tra i quali c’era persino un prete, don Ciro<br />
Vitozzi, cappellano del cimitero di Poggioreale, che oltre a dire<br />
messa, non aveva particolari freni inibitori a dare assoluzioni a<br />
chiunque lo chiedesse.<br />
Tra le frequentazioni di Alfano c’era anche il professor<br />
Giovanni Rapi, che si impegnò nelle elezioni anticipate del<br />
1904, sostenendo in ogni modo il conte Enzo Ravaschieri Foschi,<br />
candidato liberale che si opponeva al socialista uscente Ettore<br />
Ciccotti nel collegio della Vicaria. Naturalmente il professor Rapi<br />
fece valere le sue amicizie con i camorristi, che attivarono
comparielli, camorristi di giornata, camorristi scelti e gli fecero<br />
battere tutto il collegio, convincendo la gente, a loro modo, a dare<br />
il voto a Ravaschieri. Rapi aprì anche alcuni circoli per agevolare<br />
la propaganda in favore del suo candidato. Anche a tanti<br />
camorristi che erano al domicilio coatto, furono concesse licenze<br />
e la Prefettura, guidata da Emilio Caracciolo di Sarno, prese<br />
impegni per revocare alcune misure di prevenzione, perché<br />
secondo Livio Guidotti, che ha ricostruito quelle elezioni mezzo<br />
secolo dopo, a giustificare l’atteggiamento governativo:<br />
“Le autorità politiche e di Pubblica sicurezza avevano<br />
dovuto ricorrere, durante la campagna elettorale, ad elementi<br />
“aggregati” per porre un freno alla propaganda socialista, che<br />
ricorreva a mezzi intimidatori. Intere colonne di operai si<br />
lanciarono, gridando, per le vie del rione, il giorno delle<br />
elezioni, , costringendo gli elettori ritenuti avversari a rinserrarsi<br />
nelle case, accusandoli di corruzione, minacciandoli, facendoli<br />
arrestare. Quella gazzarra fu battezzata l’incantata. Qualcuno la<br />
definì i saturnali della canaglia.<br />
Così alla fine prevalse Ravaschieri. Per lui erano scesi in<br />
campo usando della loro influenza sulle classi popolari, Enrico<br />
Alfano, il professor Giovanni Rapi e don Ciro Vitozzi.<br />
Ettore Ciccotti, Giacomo De Martino e Roberto Gargiulo,<br />
non vennero rieletti. Vincitori e vinti. Tra i primi, per il personale<br />
impegno contro i socialisti, c’era anche Edoardo Scarfoglio.
Riprese con determinazione la lotta del giornale “La<br />
Propaganda”, cui si aggiunse quella del periodico “ La Scintilla”<br />
di Roberto Marvasi.<br />
Questi, che seguì tutte le fasi del processo Cuocolo, scrisse:<br />
“ Dirigeva la questura il comm. Ballanti, uomo imbelle e<br />
compromesso, per aver consegnato la città nelle mani dei<br />
camorristi da lui scritturati nei tempi elettorali, allo scopo di<br />
impedire che il collegio di Vicaria avesse riconfermato nella<br />
carica il deputato professor Ciccotti.<br />
Appunto il contratto criminoso si era qui perfezionato alla<br />
luce del sole, per volontà del governo e la protezione di un<br />
prefetto senza scrupoli, il senatore Caracciolo: costui esegui<br />
l’ordine ministeriale che Tommaso Tittoni, allora ministro degli<br />
esteri, ottenne fosse dato per un suo proposito di rappresaglia.<br />
Molti camorristi furono autorizzati a non uniformarsi agli<br />
obblighi loro imposti dalla “sorveglianza speciale”, cui erano<br />
soggetti; altri ebbero porti d’arma e licenze commerciali: altri<br />
infine furono tolti dal carcere con la libera condizionale, e<br />
magari qualche grazia”.<br />
Giacomo Ferri, allora magistrato accusò il prefetto Emilio<br />
Caracciolo di Sarno, di “aver irreggimentato la camorra” per<br />
sconfiggere Ciccotti.<br />
A Napoli, nella reggia di Capodimonte, viveva il principe<br />
Emanuele Filiberto, Duca D’Aosta, cugino del re, preoccupato<br />
come tanti altri, chiedeva al Quirinale l’adozione del pugno di
ferro per stroncare la delinquenza che rendeva poco vivibile<br />
un’intera area urbana. Il re fece pressione sui carabinieri, per<br />
attivare una stretta sulla delinquenza comune e sulla camorra.<br />
Appena si presentò l’occasione, fornita da un duplice<br />
delitto: l’uccisione di Maria Cutinelli e Gennaro Cuocolo,<br />
presero lo spunto per un’azione di ampio respiro.<br />
Il ritrovamento dei cadaveri dei coniugi Cuocolo, quello<br />
della donna in casa, quello del marito, a Cupa Calastro, nei pressi<br />
di Torre del Greco, con un coltello in mano per simulare un<br />
omicidio suicidio, ma il particolare che la giacca era stata tagliata<br />
ed il portafoglio non c’era più, chiarì che erano stati assassinati<br />
da altri.<br />
Gennaro Cuocolo, dai modi eleganti, faceva il basista, cioè<br />
il complice dei ladri di appartamenti, che introducendosi in quelli<br />
in vendita dava le giuste indicazioni a chi faceva il furto.<br />
Maria Cutinelli, la moglie, era una ex prostituta.<br />
Durante indagini che inizialmente vennero subito avviate<br />
dalla polizia, si appurò che tutti i ladri del quartiere di<br />
Montecalvario i quali avevano a che fare con Cuocolo, non lo<br />
sopportavano più ed avevano sparsa la voce che fosse diventato<br />
confidente della polizia. Dalla testimonianza di due spazzini i<br />
quali avevano notato che quattro uomini con un biroccino tirato<br />
da due cavalli erano stati visti nelle vicinanze della trattoria Mimì<br />
a mare, di proprietà di Domenico Villani. La polizia cercò i<br />
colpevoli tra i clienti abituali e scoprì che Enrico Alfano ed il<br />
fratello Ciro, il professore Giovanni Rapi, Gennaro Ibello,
commerciante di vini di Afragola ed il cocchiere Giovanni<br />
Iacovitti, frequentavano assiduamente il locale. Accertato che si<br />
trovavano nel ristorante, proprio nel periodo di tempo in cui era<br />
stato commesso l’omicidio, a poca distanza dal locale, vennero<br />
condotti in carcere, accusati di duplice omicidio.<br />
Tra i comparielli di Enrico Alfano, c’era don Ciro Vitozzi, il<br />
prete dall’assoluzione facile.<br />
Dopo quattro giorni si presentò a casa del giudice istruttore<br />
capo Erennio Ciccaglione, e gli annunciò di conoscere i nomi dei<br />
veri assassini dei coniugi Cuocolo.<br />
Enrico Alfano e compagni furono scarcerati. I colpevoli<br />
vennero individuati in Tommaso De Angelis e Gaetano Amodeo.<br />
Il capitano dei carabinieri Carlo Fabroni, comandante della<br />
compagnia esterna dei carabinieri nella sede dell’ex convento di<br />
Montecalvario, non era dello stesso avviso, e chiese di incontrare<br />
il questore Cesare Ballanti. Fu uno scontro, perché Fabroni<br />
annunciò che intendeva riprendere le indagini su Enrico Alfano e<br />
sulla pista camorra, accusando il questore di aver influenzato i<br />
giudici nella decisione che aveva portato alle scarcerazioni.<br />
Ballanti rispose di non aver influenzato nessuno e che<br />
Alfano e i suoi amici non c’entravano in quella storia e c’erano<br />
prove sufficienti.<br />
Il colloquio teso e duro, portò alla rottura quando il capitano<br />
Fabroni estrasse dalla tasca un foglio, sul quale erano riportati<br />
nomi di politici che avevano preso voti dai camorristi.<br />
Si arrivò alla rottura, definitiva. Da quel momento Fabroni,
vedendo nel duplice delitto una grande occasione per passare alla<br />
storia come paladino dell’anti-camorra, spinse i suoi a tentare<br />
nell’ambiente della piccola delinquenza di trovare spunti per dare<br />
consistenza alle prove, che non c’erano.<br />
Era chiaro che dietro il contrasto tra Fabroni e Ballanti,<br />
c’erano due schieramenti che facevano da sfondo all’inchiesta: il<br />
re, con la sua richiesta di un’azione di forza contro la camorra,<br />
ma c’erano anche pressioni nascoste di uomini politici a<br />
protezione di qualche malavitoso.<br />
In questi termini, l’indagine doveva servire solo a trovare<br />
prove contro i camorristi e portarne a giudizio un numero<br />
consistente.<br />
Fu creata una squadra di sette carabinieri che in borghese si<br />
misero a frequentare tutti i locali, anche le bettole del più infimo<br />
ordine, infiltrandosi tra ladri e sfruttatori per contattare<br />
delinquenti e trovare confidenti. Riuscirono ad avere indicazioni<br />
su un ricettatore della zona, Gennaro De Marinis, e su una<br />
comitiva di ladri della zona di San Giovanni a Teduccio, e nella<br />
notte tra il 2 e il 3 febbraio del 1907, li arrestarono. Erano una<br />
ventina, ma quello che si rivelò più utile fu Gennaro De Marinis.<br />
Il maresciallo Capezzuti scoprì che aveva alla sue<br />
dipendenze un cocchiere, tale Gennaro Abbatemaggio, che in<br />
quel momento era in carcere per un furto.<br />
Abbatemaggio, basso, tarchiato, sfregiato in viso, con un<br />
tatuaggio sul braccio sinistro; così conciato poteva sembrare un<br />
camorrista; in realtà lo sfregio glielo aveva inferto un camorrista
per convincerlo ad interrompere la corte a una ragazza.<br />
Il maresciallo Capezzuti era convinto che Abbatemaggio<br />
fosse l’uomo giusto e gli promise che l’avrebbe fatto scarcerare<br />
in cambio di informazioni. Per cominciare lo fece subito<br />
trasferire in un carcere più vicino a casa.<br />
Abbatemaggio chiese in cambio del denaro, ma i carabinieri<br />
non avevano molta disponibilità, e allora pensò di ricattare<br />
Enrico Alfano, facendogli sapere che se gli avesse dato 2.000<br />
lire, non l’avrebbe denunciato. Alfano rispose picche e<br />
Abbatemaggio decise di affidarsi anima e corpo ai carabinieri. Il<br />
23 dicembre 1906, con uno sconto di pena, tornò a casa.<br />
Abbatemaggio rivelò che in un pranzo nella trattoria Coppola di<br />
Bagnoli, si erano riuniti 45 commensali, con la presenza di Ciro<br />
Alfano, il fratello di Enrico, il capo camorra, e fece intendere che<br />
in quell’occasione fosse stata presa la decisione di uccidere i<br />
coniugi Cuocolo, perché questi aveva fatto uno sgarro alla<br />
camorra, e perché era una spia. Aggiunse anche che il banchetto<br />
da Mimì a mare, in contemporanea all’omicidio di Gennaro<br />
Cuocolo, serviva ad attende la notizia dell’esecuzione avvenuta.<br />
Con queste rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio, detto<br />
cucchieriello, i carabinieri operarono altri e più rilevanti arresti,<br />
avallati dalla Camera di Consiglio dei Giudici. Dell’esecuzione<br />
materiale dell’omicidio di Gennaro Cuocolo venivano accusati<br />
Antonio Cerrato e Gaetano Esposito, mentre Corrado Sortino<br />
fu accusato di aver trucidato Maria Cutinelli.<br />
Dalla sera del 31 gennaio all’alba del 2 febbraio 1907, i
carabinieri fecero una retata che portò in carcere più di cento<br />
malavitosi. Il capitano Fabroni ebbe una delega totale dai<br />
magistrati. Le cronache riferirono di assemblee di camorra, di<br />
potenti capisocietà, ma della complicità della cosiddetta alta<br />
camorra, si sussurrava solo in silenzio. In effetti l’inchiesta<br />
toccherà solo ladri, picciotti, camorristi di giornata, cioè la<br />
manovalanza della Bella Società Riformata.<br />
Intanto, Enrico Alfano, fiutando guai, si dichiarò di essere<br />
disposto ad essere ascoltato dai giudici se gli fosse stato<br />
permesso di restare a casa per le sue precarie condizioni di salute.<br />
Ottenuto un netto rifiuto, si rese uccel di bosco. Fuggì negli Stati<br />
Uniti e, a Nuova York, si fece ospitare da un’associazione<br />
napoletana di camorristi. A casa di uno di questi venne arrestato,<br />
dopo una serie di pedinamenti, da Joe Petrosino.<br />
Parallelamente all’indagine principale, i carabinieri ne<br />
aprirono altre parallele, su episodi su cui sospettavano ci fosse lo<br />
zampino della camorra: 14 furti, 4 estorsioni e la costituzione di<br />
un’associazione a delinquere a Castellammare. In cella, arrestato<br />
poco dopo il matrimonio, morì, per un infarto, Ciro Alfano,<br />
fratello di Enrico. A seguito di riscontri con le rivelazioni di<br />
Abbatemaggio, vennero arrestati anche altri tra cui Giuseppe di<br />
Salvo, tra le cui lenzuola venne ritrovato l’anello di Maria<br />
Cutinelli, e Luigi Di Maio, ricettatore, che aveva acquistato i<br />
gioielli sottratti in casa Cuocolo. Nella caserma di Monteoliveto,<br />
per convenienza, pur di non essere coinvolto nell’inchiesta,<br />
confermò le dichiarazioni del cocchiere.
L’inchiesta sul duplice omicidio andò avanti e Fabroni<br />
ottenne il trasferimento del sostituto procuratore Nicola Garzia,<br />
troppo legato al rispetto della norme e delle procedure, ed al suo<br />
posto arrivò Alfredo De Tilla, fratello di Domenico De Tilla,<br />
giolittiano, deputato dei collegi Vomero e Arenella.<br />
Mentre i carabinieri andavano avanti nelle loro indagini, con<br />
il consenso della maggior parte della stampa, i deputati socialisti<br />
approfittarono del momento opportuno per denunciare “il<br />
carattere clientelare ed illegale dell’attività politica nelle province<br />
meridionali”.<br />
9.2 La denuncia di Giacomo De Martino.<br />
Sette anni prima era toccato al deputato Giacomo De<br />
Martino, ora, nel giugno del 1907, Giacomo Ferri, eletto deputato<br />
nel 1904, per la prima volta, nel collegio di San Giovanni in<br />
Persiceto, presentò un’interpellanza che riprendeva in parte<br />
quella presentata l’anno prima dal deputato napoletano Alfredo<br />
Capece Minutolo di Bugnano, che aveva chiesto informazioni<br />
sulle elezioni del 1904 e sulle presunte pressioni della camorra<br />
sul voto. Era chiaro che in quel clima, l’indagine doveva<br />
procedere rapidamente, infatti il 3 ottobre 1907, il sostituto<br />
Procuratore del re Alfredo De Tilla, presentò la sua requisitoria in<br />
Camera di consiglio, per inviare gli atti alla procura generale,<br />
dove c’era Enrico Mazzola.<br />
E arriviamo ai giorni nostri, con l’aiuto dei collaboratori di<br />
giustizia, la magistratura scopre una parte della coltre che copriva
le collusioni tra politica e camorra.<br />
Negli ultimi anni dell’Ottocento Napoli, con continui<br />
avvicendamenti ai vertici comunali, ed i cantieri aperti per il<br />
risanamento fu teatro di ripetute proteste sociali. Il primo<br />
episodio avvenne nel 1893. Presero a pretesto gli incidenti di<br />
Aigues Mortes, contro 400 lavoratori italiani, per manifestare per<br />
le strade di Napoli contro il prezzo del pane.<br />
Ci furono scontri con i carabinieri e corse voce che dietro gli<br />
incidenti ci fosse la mano del prefetto, sollecitato da Giovanni<br />
Giolitti interessato ad alzare la protesta contro la Francia, che<br />
avrebbe utilizzato la camorra per raggiungere il suo scopo. In<br />
effetti tra la folla c’erano camorristi che aizzavano i dimostranti<br />
contro i carabinieri. La protesta culminò con l’incendio di un<br />
tram. Per impedire l’incendio di un altro tram, i carabinieri<br />
accidentalmente colpirono un ragazzo tredicenne che morì.<br />
Cinque anni più tardi, nel 1898, il bis, con altri morti.<br />
Motivo della protesta il prezzo del pane, aumentato per la crisi<br />
del grano.<br />
Nonostante il calmiere imposto dalla Prefettura i prezzi<br />
erano aumentati.<br />
I Primi incidenti si ebbero in seguito al discorso<br />
all’Università del deputato socialista Arturo Labriola,<br />
cominciarono il 30 aprile.<br />
Nel quartiere popolare del Lavinaio, Il 9 maggio, la folla<br />
attaccò i reparti militari, ci fu un morto e molti feriti. Da Roma<br />
arrivò una stretta repressiva imposta dal Governo presieduto da
Antonio Starabba Rudinì: venne proclamato lo stato d’assedio<br />
esteso anche a Milano e Firenze. Ciò voleva dire sequestro dei<br />
giornali dissenzienti e giudizi affidati ai tribunali militari per i<br />
promotori dei disordini.<br />
Anche Labriola si rese conto che fra i dimostranti si era<br />
insinuata la violenta vecchia plebe definita razza a parte, fossile<br />
cristallizzato nei secoli. Contro i socialisti si scatenò una<br />
repressione che portò all’emissione del provvedimento di arresto<br />
per i socialisti Casilli, Brambilla, Leone, Mocchi, Alfani e<br />
Labriola. Tranne Labriola e Leone che riuscirono a fuggire, gli<br />
altri finirono in galera.<br />
Per il governo lo spauracchio era divenuto il socialismo,<br />
analogamente a quando nel periodo borbonico si tenevano<br />
d’occhio più i liberali che i delinquenti.<br />
Intanto tra i funzionari di polizia cominciava a prendere<br />
corpo l’idea che la camorra stesse uscendo anche dal suo<br />
substrato naturale e dalla caratterizzazione folkloristica delle sue<br />
espressioni, e che approfittando delle mutate condizioni<br />
“ambientali”, avesse cominciato a lavorare senza la costituzione<br />
di gruppi stabili, ma con i guanti bianchi.<br />
D’altronde, ladri e truffatori, una volta esclusi<br />
dall’organizzazione camorristica, ora venivano accettati e riveriti.<br />
Il funzionario di polizia Eugenio De Cosa, in un suo<br />
rapporto riferiva:<br />
“I camorristi d’oggi non sono affiliati tra loro, e salvo
qualche gruppo stabile che opera di concerto, e forse sotto a un<br />
capo invisibile ed agli occhi del pubblico incognito, i camorristi<br />
in guanti bianchi compiono le loro gesta separatamente […]il<br />
camorrista moderno conosce anticipatamente a chi verrà<br />
aggiudicato l’appalto di questa o di quella amministrazione,<br />
regola la vendita all’asta pubblica, ne svia le maggiori offerte,<br />
concerta e mena a termine questue e feste di beneficienza da cui<br />
trae lauta sua spettanza […] dispone della servitù di tutto il<br />
quartiere, ed in caso di elezioni, per logica conseguenza , di 100<br />
o 200 voti, a seconda la sua importanza e a seconda degli anni<br />
della sua carriera. Il camorrista moderno conosce ed è<br />
conosciuto da tutte le Autorità locali, qualche volta è nominato<br />
notabile municipale del quartiere”.<br />
A grattare sotto la crosta superficiale che copriva la realtà di<br />
cui era ben conscio il funzionario De Cosa, ci pensò il periodico<br />
fondato dai socialisti il primo maggio del 1899, “ La<br />
Propaganda” insistendo sulle presunte commistioni sociali dei<br />
blocchi di potere dominanti, sui patti inconfessati in città tra<br />
lobbies e malavita. Riprendendo le interpellanze del deputato<br />
socialista Giacomo De Martino ed i suoi attacchi al sindaco<br />
Celestino Summonte, i redattori del periodico attivarono una<br />
violenta campagna di stampa. Bersaglio degli attacchi fu anche il<br />
quotidiano “Il Mattino”, che superava le diecimila copie vendute<br />
in tutt’Italia, ma letto soprattutto a Roma.<br />
“La Propaganda” divenuto quotidiano, aveva individuato
un altro obiettivo da attaccare nel deputato liberale Alberto<br />
Casale, avversario dei socialisti nel collegio popolare della<br />
Vicaria, accusandolo di essere un intrallazzatore. Nel giornale,<br />
intanto, era stata creata una rubrica dal titolo “contro la<br />
camorra”.<br />
Il socialista Mocchi, quello che era stato arrestato dai<br />
giudici militari il 13 maggio 1898, scriveva:<br />
“I napoletani abituati dal regime assoluto a considerare la<br />
burocrazia non come serva del pubblico, ma come padrona, a<br />
considerare la ricerca di una fede di nascita, di un certificato di<br />
buona condotta, di un’esenzione, non come un servizio cui si ha<br />
diritto per la qualità di cittadino, ma come un favore che bisogna<br />
impetrare e mercanteggiare, a considerare ogni imposta, ogni<br />
contributo personale[…] non come un dovere imprescindibile,<br />
ma come una corvée di cui ci si può liberare, ungendo un po’ le<br />
ruote del macchinismo burocratico, i napoletani , dunque, non<br />
hanno potuto abbandonare la concezione propria dei governi<br />
autocratici, che il deus ex machina del congegno pubblico sia<br />
l’intermediario, ed il motore la corruzione. Per essi, così tutto il<br />
sistema rappresentativo si riduce alla fabbricazione elettorale di<br />
intermediari che spicciano faccende private presso i pubblici<br />
uffici”.<br />
Questi concetti, rappresentativi di un sistema in atto,<br />
vennero giustamente ripresi nella famosa relazione Saredo, uno<br />
dei cinque commissari incaricati dal Parlamento di chiarire se
ealmente a Napoli vi fossero quegli intrecci affaristici e<br />
malavitosi denunciati da “La Propaganda”.<br />
Le conclusioni degli articoli, sempre pesanti:<br />
“Camorra nel Municipio e camorra nella Provincia e<br />
camorra nelle opere pie. Denaro pubblico destinato a sollazzi<br />
privati fortune improvvise nelle mani di pezzenti dell’ieri,<br />
impunità ai ladri, ai pregiudicati, ai lenoni purché fedeli elettori<br />
di Tizio o di Caio. E più in alto alcuni deputati”.<br />
Il primo effetto immediato fu l’elezione di Ettore Ciccotti in<br />
Parlamento, nell’ottavo collegio della Vicaria di Napoli. Con 800<br />
voti entrò in ballottaggio con il deputato uscente Eduardo<br />
Magliano, ma al ballottaggio la spuntò Ciccotti. Siccome il<br />
risultato, anche in vista del processo per diffamazione frutto delle<br />
querele del deputato Casale al giornale socialista, Scarfoglio, del<br />
giornale “ Il Mattino”, insinuò, capovolgendo le accuse de “La<br />
Propaganda” che quelle votazioni fossero state falsate<br />
dall’intervento della camorra. Il processo, svoltosi alla sesta<br />
sezione del tribunale di Castelcapuano, iniziò il 22 ottobre del<br />
1900. I collegi difensivi dimostrarono che quel dibattimento era<br />
divenuto anche una contrapposizione politica. Labriola citò il<br />
rapporto già apparso sul periodico del senatore Senise, già<br />
prefetto di Napoli durante il primo governo Giolitti, che<br />
conteneva denunce di illeciti commessi da Casale. Il Pm tenne<br />
una breve requisitoria, chiedendo l’assoluzione degli imputati,<br />
per aver raggiunto la prova della verità, con conseguente<br />
condanna della parte civile ai danni ed alle spese di giudizio.
Dopo poco tempo dalla sentenza e un anno dopo le accuse<br />
di Giacomo De Martino, e la sua richiesta d’istituire un’indagine<br />
su Napoli, maturò il clima per nominare una commissione<br />
d’inchiesta sulla capitale partenopea. Dal 1860, erano stati spediti<br />
nove commissari regi per gestire il Comune di Napoli.<br />
9.3 Indagine di cinque commissari governativi sugli<br />
intrecci affaristici e malavitosi. Il doppio gioco del<br />
Governo.<br />
L’8 ottobre 1900, un mese prima dell’attentato mortale a<br />
Umberto I, il presidente del consiglio Giuseppe Saracco, firmò il<br />
decreto di istituzione della commissione, con il compito di<br />
dissipare sospetti e accuse.<br />
I commissari avevano poteri ampi, potevano interrogare e<br />
richiedere documenti. Era previsto che l’inchiesta terminasse<br />
entro il mese di maggio del 1901, ma intervenne una proroga fino<br />
ad ottobre. A presiedere la Commissione fu incaricato Giuseppe<br />
Saredo, che aveva già svolto le funzioni di commissario del re a<br />
Napoli, nove anni prima.<br />
L’indagine interessava Napoli ed altri due comuni. La città<br />
era posta sotto osservazione.<br />
accuse:<br />
L’onorevole De Martino, interrogato, confermò le sue<br />
“Quando io portai la questione in Parlamento, imperava a<br />
Napoli la triade Summonte – Casale – Scarfoglio, la cui<br />
responsabilità non si può scindere. Io ritengo che essi abbiano
etto, o si siano altrimenti intromessi elle cose pubbliche di<br />
Napoli con scopi personali e fini illeciti”.<br />
Subito dopo Natale del 1900, si insediarono i commissari<br />
nominati dal Parlamento, con l’incarico di appurare se Napoli<br />
fosse sede di quegli intrecci affaristici e malavitosi denunciati dal<br />
giornale “La Propaganda” e dal deputato Giacomo De Martino.<br />
I commissari erano cinque:<br />
- Giuseppe Saredo, senatore e Presidente del Consiglio di<br />
Stato;<br />
- Adolfo Leris, procuratore generale alla Corte dei Conti;<br />
- Antonio Rossi, direttore generale delle Imposte dirette;<br />
- Filippo Muscianini, prefetto;<br />
- Achille Sinigaglia, consigliere delegato di prefettura.<br />
Acquisirono e studiarono documenti come gli atti comunali,<br />
e quelli del risanamento, sentirono testi, e lessero tanti giornali e<br />
soprattutto quello che aveva lanciato le accuse più pesanti e<br />
ripetute, “La Propaganda”.<br />
I commissari furono accolti tra sospetti e diffidenze.<br />
Qualcuno plaudì alla scelta di non inserire nella commissione<br />
esponenti del Governo centrale. I socialisti, invece annunciarono<br />
una loro inchiesta autonoma, giustamente ritenendo che, essendo<br />
stato cliente dell’avvocato Celestino Summonte, Saredo non<br />
poteva essere obiettivo. Ma dopo un intervento della segreteria<br />
romana, i socialisti partenopei si schierarono con Saredo. Ispirati
da Saredo, molti articoli contro Scarfoglio vennero pubblicati sul<br />
giornale socialista.<br />
In queste condizioni il lavoro della commissione era<br />
difficilissimo.<br />
Francesco Saverio Nitti, scrisse:<br />
“Il Governo aveva mandato l’inchiesta e all’apparenza la<br />
difendeva, ma in realtà in mille modi duramente l’avversava. Il<br />
Governo pagava quasi senza mistero i giornali che sostenevano<br />
l’immoralità; li aiutava apertamente: Uomini dello Stato( non<br />
tali per dignità, ma solo per ragioni di uffizio) ne’ privati discorsi<br />
biasimavano la smania inquisitrice della Commissione”.<br />
Nitti rese pubblica anche una lettera del senatore Carmine<br />
Senise, che era stato prefetto a Napoli, in cui si sosteneva la<br />
necessità che il Governo rinunci ai voti dei deputati napoletani,<br />
perché anche se in gran parte persone degne di stima erano<br />
comunque condizionati dall’ambiente, e aggiungeva che<br />
combattere la piccola camorra era relativamente facile, perché<br />
essa vive all’ombra della più grande, ma è contro quest’ultima<br />
che bisogna agire.<br />
Dieci mesi di lavoro per i commissari per interrogare e<br />
verbalizzare 1.300 persone e analizzare l’operato delle<br />
amministrazioni comunali dal 1860 al 1900. In un ambiente<br />
conflittuale al massimo, Saredo comunicò al presidente del<br />
Consiglio, Giovanni Giolitti, la conclusione del suo lavoro alla<br />
fine del 1901, chiedendo che del documento ne fosse assicurata
una tiratura adeguata ed anticipò iniziative giudiziarie,<br />
comunicando a Roma che erano imminenti dei mandati di<br />
comparizione per Summonte, Casale ed altre persone, dopo la<br />
trasmissione alla magistratura di alcuni documenti raccolti dalla<br />
commissione.<br />
Giolitti, per nulla imbarazzato dal possibile coinvolgimento<br />
di qualche personaggio vicino al Governo, rispose: “ il Ministero<br />
colpirà inesorabilmente quelli che dall’inchiesta risulteranno<br />
colpevoli senza occuparsi punto di considerazioni politiche”.<br />
I risultati dell’indagine, condensati in due poderosi volumi,<br />
denunciava l’esasperato individualismo dei napoletani, ma non<br />
analizzava le cause politiche ed economiche di alcune<br />
degenerazioni della società napoletana. Abbondava invece di<br />
osservazioni antropologiche, frutto della collaborazione del<br />
professor Enrico Presutti.<br />
Fatte le premesse, veniva denunciata la fuga delle migliori<br />
risorse cittadine verso Roma, la persistente frustrazione di essere<br />
divenuta provincia periferica, il gioco delle clientele, la<br />
manipolazione delle liste e i brogli elettorali avevano favorito<br />
l’infiltrazione della camorra nella vita politica ed amministrativa,<br />
attraverso le persone interposte, i mediatori corrotti e corruttori,<br />
che dispensavano favori, posti e licenze e procuravano sentenze<br />
di compiacenti tribunali.<br />
Tra le funeste conseguenze politiche e sociali della<br />
corruzione elettorale, si citò l’accettazione diffusa e rassegnata,<br />
dell’influenza della camorra sull’esito delle votazioni, facendola
così arbitra della vita pubblica.<br />
La cosiddetta interposta persona, politico o camorrista che<br />
fosse, secondo l’analisi dei commissari, dominava tutta la vita<br />
sociale napoletana.<br />
Per concludere affari, ottenere voti, assicurarsi lavori,<br />
assunzioni, appalti, anche per un semplice certificato, tutti<br />
sapevano di doversi rivolgere a qualche mediatore (nella<br />
relazione indicati come faccendieri o intermediari).<br />
Questa era la conclusione di Saredo, riferendo anche di<br />
singoli episodi, come contratti comunali, assunzioni, relazioni<br />
degli Enti con ditte private. Le reazioni della stampa e<br />
del’opinione pubblica italiana sulla situazione partenopea, furono<br />
numerose ed allarmate. In molti sollecitarono l’emanazione di<br />
altre leggi speciali per Napoli.<br />
Indagine che doveva servire per dimostrare accordi,<br />
connivenze, interessi comuni tra camorristi, imprenditori e<br />
politici, cioè tra quella che allora veniva definita come bassa ed<br />
alta camorra, ebbe come unico effetto giudiziario concreto un<br />
processo per concussione all’undicesima sezione penale di<br />
Castelcapuano; cioè per reati contro la pubblica amministrazione,<br />
che vide coinvolti e condannati l’ex deputato Alberto Casale, l’ex<br />
sindaco Celestino Summonte, l’ex assessore Eduardo De Siena, il<br />
segretario generale del Comune Michele D’Orlando, l’ingegnere<br />
Eugenio Vilers e Vittorio Kraft, ed altri personaggi minori.<br />
Furono riconosciuti colpevoli e condannati a pene variabili<br />
da tre anni e un mese a due anni e sei mesi, tutte confermate sia
in appello, sia in Cassazione, diventando definitive il 31 marzo<br />
1905.<br />
Nel frattempo, Celestino Summonte era deceduto, per<br />
infarto, qualche mese prima.<br />
Le discussioni ed i confronti sulla stampa e nei dibattiti,<br />
avvelenarono l’ambiente politico.<br />
Nelle battaglie elettorali abbiamo già visto il confronto<br />
vittorioso del 1904, con la vittoria del conte Ravaschieri, che fu<br />
ribattezzato il conte della malavita.<br />
Ettore Ciccotti e Giacomo De Martino, accaniti nel<br />
denunciare l’insostenibile situazione della società napoletana,<br />
furono penalizzati: non vennero rieletti. L’unico che si era<br />
opposto con fermezza all’inchiesta della commissione Saredo:<br />
Emanuele Gianturco, ebbe un clamoroso successo.<br />
In fin dei conti, il popolo sancì la sconfitta di chi voleva fare<br />
pulizia e chiarezza nei rapporti tra la società civile ed i suoi<br />
rappresentanti e la camorra.<br />
Il giornale “ La Propaganda” scrisse articoli di fuoco sui<br />
quartieri che con il loro voto ne avevano decretato al sconfitta:<br />
“ Una specie di associazione a malfare, non precisamente e<br />
burocraticamente organizzata, ma tenuta insieme da aderenze<br />
personali, servizi inconfessabili, complicità vergognose di<br />
corrotti e corruttori, di minaccianti e intimiditi, e che è composta<br />
di deputati, senatori, consiglieri provinciali e comunali, grandi<br />
appaltatori, ricchi tenutari di bische e di bordelli, alte cocottes e<br />
potenti ruffiani”.
L’analisi, aspra e giustamente risentita nei confronti di un<br />
elettorato, conformato ed adattato a situazioni di comodo, degli<br />
accadimenti di queste elezioni, sarà la voce di sottofondo che<br />
animerà il cammino del capitano Fabroni dei carabinieri, che del<br />
processo Cuocolo ne ha fatto un’azione insistita e produttiva<br />
contro la camorra su cui intendeva costruire e consolidare la sua<br />
figura di eroe alla lotta contro la stessa.<br />
I fascicoli delle indagini dei carabinieri, passarono nelle<br />
mani della Procura Generale, che secondo le procedure di allora<br />
avrebbe dovuto formalizzare le accuse. La decisione toccò al<br />
conte Leopoldo Lucchesi Palli, che approfondì ogni atto e<br />
preparò la sua richiesta. Nello studio delle carte notò alcune<br />
irregolarità e chiese ulteriori indagini e riscontri. Nel frattempo,<br />
con il pretesto che il conte Lucchesi Palli era imparentato con<br />
Leopoldo De Gregorio, duca di Noia, presidente del Circolo del<br />
Mezzogiorno, di cui era socio uno degli imputati, si fece in modo<br />
di accantonarlo, dando l’incarico al procuratore generale Michele<br />
Ciancaglini, che concluse il suo lavoro il 6 settembre del 1909.<br />
Individuò i mandanti del duplice omicidio Cuocolo - Cutinelli,<br />
tutti accusati di associazione a delinquere, che era l’ipotesi di<br />
reato applicata in quegli anni agli affiliati alla camorra.<br />
Dall’ipotesi del maresciallo Capezzuti che aveva<br />
individuato in una decisione della Grande Mamma, il Tribunale<br />
dei camorristi, il via per l’azione punitiva di chi come Cuocolo si<br />
era appropriato della refurtiva che spettava agli associati, facendo<br />
anche la spia alla polizia, si passò al movente finale, contenuto
nella richiesta del sostituto procuratore, che era quello in cui si<br />
ipotizzava il timore del professor Rapi di essere denunciato:<br />
secondo l’ipotesi portata al processo, lo stato maggiore della<br />
camorra, su richiesta di Rapi, decise il duplice omicidio, per<br />
evitare che Cuocolo rivelasse l’attività di ricettatore del<br />
professore, nei furti al barone Amato, all’orefice Galante, e al<br />
signor D’Aquino. La polizia nel frattempo veniva riabilitata agli<br />
occhi della gente. Il processo sulle accuse di presunte collusioni e<br />
corruzione di alcuni agenti di polizia, accusati dal capitano<br />
Fabroni, si concluse con un’assoluzione.<br />
Intanto il capitano Fabroni, promosso, fece carriera ed andò<br />
via da Napoli.<br />
Il processo, ritenendo che l’ambiente partenopeo fosse<br />
troppo inquinato da polemiche e condizionamenti per sperare in<br />
un giudizio sereno, fu fissato a Viterbo per legittima suspicione.<br />
Il processo prese inizio il 12 marzo 1911. E fu processo<br />
spettacolo. Divisi, logicamente, colpevoli e innocentisti.<br />
Con una requisitoria interminabile di 21 udienze del Pm<br />
Giovanni Santoro, cui fece riscontro la deposizione del capitano<br />
Fabroni, che andò avanti per 67 sedute. Nella lotta tra accusa e<br />
difesa, intervenne anche Carmine Morelli, Presidente dell’ottava<br />
sezione penale del Tribunale Penale di Napoli, parlando di prove<br />
false a carico di innocenti. La sintesi della vicenda la fece in aula<br />
proprio Enrico Alfano.<br />
disse:<br />
Rivolto a Fabroni, con riferimento ai pentiti-accusatori,
“Voi siete un infelice come me, prigioniero di sciacalli come<br />
questi. Gente che non sarebbe degna di lustrarvi gli stivali vi<br />
detta condizioni. E i peggiori non sono venuti, non si vedono, ma<br />
voi li conoscete. Siete un ufficiale intelligente, vi siete reso conto<br />
alla fine che tutta questa festa non si fa per Cuocolo, pace<br />
all’anima sua, di cui nessuno si è mai curato, né si cura. La festa<br />
è per voi”.<br />
Era vero. In aula non c’erano gli autori e i mandanti del<br />
duplice omicidio, ma gli affiliati - non tutti - alla camorra<br />
napoletana di quei giorni.<br />
imputati.<br />
Al termine del processo ci furono condanne per 27 dei 36<br />
Le scarcerazioni arrivarono in anticipo soltanto per effetto<br />
dell’amnistia del 1920.<br />
Successivamente, Abbatemaggio, che scontava sette anni di<br />
carcere, scrisse al suo avvocato, il calabrese Rocco Salomone,<br />
confessando che le accuse formulate da lui erano false.<br />
Il processo servì a soddisfare il protagonismo di Fabroni, ma<br />
dell’intreccio tra il potere camorrista e gli altri poteri legali che<br />
tutti si attendevano, non v’era traccia.<br />
Alla fine, con la confessione di Abbatemaggio, che rivelò<br />
trucchi, falsità e compensi, apparve chiaro a tutti che la lotta<br />
contro la camorra era stata condotta con carte truccate.<br />
Tornato in libertà, dopo aver scontato la pena, cucchieriello,<br />
era riuscito a vivere di rendita, coltivando il suo mito di primo<br />
pentito di camorra, promettendo ulteriori inesistenti rivelazioni
sulla malavita napoletana, fino a quando, nel 1968, morì in<br />
ospedale.<br />
ragioni.<br />
Già allora, a Viterbo, i media avevano dettato le loro<br />
Marcella Marmo, docente all’Università Federico II di<br />
Napoli, studiosa di storia e fatti della camorra, così riassume<br />
l’ambiente creatosi al processo di Viterbo:<br />
“A Viterbo risulterà chiaro come fosse in buona misura<br />
l’esposizione mediatica a dettare la logica che tenne insieme le<br />
tante contorsioni del caso giudiziario, per quel che si desume<br />
dalla sofferta ricostruzione della sconfitta annunciata, che<br />
seguiamo nella citata storia dell’avvocato Salomone […]. La<br />
logica inquisitoria legittimata dalla pericolosità sociale, che si<br />
annuncia chiara nella sfida finale sul palcoscenico di Viterbo,<br />
avallerà un verdetto di condanna, dall’esito forse incerto sino<br />
alla conclusione”.<br />
Il profilo comportamentale di Abbatemaggio, rompe con il<br />
tradizionale stile di vita dei camorristi. E per lungo tempo<br />
apparirà come un insetto raro.<br />
fiumana.<br />
Troverà imitatori solo al calar del Novecento, e saranno una<br />
A Napoli, cominciavano a cambiare i tempi: Aurelio<br />
Padovani e Paolo Greco, con i loro gruppi, controllavano di<br />
fatto il potere.<br />
Era arrivato il fascismo.
9.4 La camorra durante il fascismo.<br />
Tra convivenza e repressione, il ventennio vide delinquenti<br />
diventare squadristi nelle squadre fasciste in cambio del silenzio<br />
sulle loro malefatte pregresse. Furono anni di cambiamenti<br />
traumatici. Da Napoli, dove si tenne il congresso del partito<br />
all'interno del Partito fascista, si affermarono in città.<br />
Uno, capeggiato da Aurelio Padovani, alias il capitano, era<br />
quello movimentista. L'altro, clientelare e disposto al<br />
compromesso con i notabili ed i poteri forti locali, faceva capo a<br />
Paolo Greco.<br />
Nel periodo dal 1922 al 1924, le principali azioni di forza<br />
condotte a Napoli vennero con il consenso tra i ceti più popolari,<br />
specialmente tra i portuali ed i facchini . Di questo ascendente<br />
erano preoccupati i ceti dominanti, timorosi di dover dividere<br />
qualcosa o di cedere potere allo strato sociale più basso. Anche<br />
per i protagonisti della stagione giolittiana furono anni di<br />
contrasti e rivolgimenti . I protagonisti politici al centro della<br />
contese della stagione giolittiana che avevano portato alla<br />
relazione Saredo e al processo Cuocolo, si ritrovarono insieme<br />
sullo stesso carro, quello del vincitore fascista. Il socialista<br />
Ettore Ciccotti, quello eletto alla Vicaria, successivamente<br />
sconfitto in maniera poco chiara dal conte Ravaschieri nel 1904,<br />
passò dalla parte dell'ex socialista Benito Mussolini, nel 1919, e<br />
fu candidato nella lista presentata da Padovani. In quelle elezioni<br />
risultò eletto anche un primo deputato napoletano fascista:<br />
Alfonso Imparato. E subito si vociferò che avesse raccolto voci<br />
anche con l'aiuto di qualche camorrista.
Intanto il Partito Socialista viveva un momento di accesi<br />
contrasti interni e, nel congresso del 1921, a Livorno si arrivò<br />
alla rottura, con la nascita del Partito Comunista Italiano. Napoli,<br />
tra il 1920 ed il 1922, fu teatro di manifestazioni di protesta e di<br />
scioperi sulla cui autonomia e spontaneità si nutrirono subito forti<br />
dubbi e si avanzò l'ipotesi che la massa fosse sobillata e pilotata<br />
dalla malavita organizzata. D'altra parte, anche se la camorra<br />
risultava indebolita dall'azione di contrasto del Governo, era<br />
tutt'altro che estinta. Formalmente non esisteva più<br />
l'organizzazione malavitosa, ma il camorrismo che veniva<br />
identificato come comportamento prevaricatore e violento. Tra<br />
gli aderenti al Partito Nazionale Fascista, una percentuale<br />
considerevole era stata spinta dal desiderio di fare piazza pulita<br />
degli intriganti politici ed i collusi con la camorra. Il 24 ottobre<br />
1922, Mussolini tenne un discorso al teatro San Carlo di Napoli,<br />
alla presenza del sindaco Geremicca e di Benedetto Croce. In<br />
città non si placavano i contrasti tra le due anime napoletane del<br />
PNF. Durante un comizio, mentre salutava la folla, affacciato su<br />
un balcone in via Orsini a Santa Lucia, Padovani precipitò sulla<br />
piazza, per il crollo della struttura, e morì.<br />
La camorra, anche se in forma ridotta, continuava ad<br />
esercitare il suo sordo lavorio.<br />
Erano i tempi di Michele Aria, detto 'o capraro, usuraio e<br />
sfruttatore di prostitute, sempre coinvolto in contrasti violenti, e<br />
dichiaramenti, fu costretto a diverse peregrinazioni estere: in<br />
Turchia, Egitto, Argentina. Ma tornò ed impose con la violenza il<br />
suo potere territoriale negli ambienti popolari. I contrasti vincenti
con i capi malavitosi più affermati, come Michele Bracco,<br />
Nicola Morra (già imputato al processo Cuocolo), e soprattutto<br />
con Alberto Fraumene, concordemente ritenuto il camorrista più<br />
temibile di quell'epoca, gli valsero la considerazione di tutto<br />
l'ambiente malavitoso organizzato e, molti strozzini affidavano il<br />
denaro a lui affinché ne facesse l'investimento più proficuo.<br />
L'usura crea sempre disperazione.<br />
Vincenzo De Vivo, commerciante napoletano di 34, finito<br />
nelle mani dei “cravattari” per salvare la sua attività in difficoltà,<br />
costretto a impegnarsi in altre attività illegali, si uccise. Da Roma<br />
arrivò l'ordine di catturare Michele Aria, che trovò rifugio presso<br />
un suo accolito a Secondigliano ma, sotto la pressione della<br />
polizia, fuggì in Francia per proseguire il suo viaggio verso gli<br />
Strati Uniti, a Brooklin, dove cercò una sua collocazione nel<br />
mercato della droga, della prostituzione, dell'alcool, del gioco<br />
d'azzardo e naturalmente dell'usura, attività gestite tutte dalla<br />
mano nera, mafia americana costituita da diversi gruppi criminali<br />
di origine Italia: siciliani, napoletani, calabresi. La repressione<br />
della criminalità organizzata, ordinata da Mussolini, che a<br />
cominciare dalla Sicilia con il prefetto Cesare Mori, destinò<br />
uomini e mezzi per questa battaglia, provocò un esodo massiccio<br />
di criminali verso gli Stati Uniti, dove costituirono nuove<br />
pericolosissime aggregazioni, riunite nella mano nera. All'estero<br />
l'immagine dell'emigrante italiano delinquente, era<br />
uniformemente diffusa ed il fascismo s'impegnò a fondo per<br />
cancellarla. Intanto in città si affermavano altri personaggi che<br />
con la violenza imponevano il loro controllo sul mercato delle
attività illecite. Paolo Barracano, delinquente precoce, ospite<br />
del riformatorio e del carcere di Poggioreale, divenuto uomo di<br />
rispetto, fornì la sua protezione ad alcuni commissionari del<br />
mercato ittico già controllati dalla camorra e seppe imporsi con<br />
una serie di conflitti a fuoco. Per questo curriculum Alberto<br />
Fraumene decise di accoglierlo nella camorra, inserendolo nella<br />
paranza della zona di Mercato. Successivamente, assurto a vero e<br />
proprio “sindaco di quartiere” divenne difensore degli operai del<br />
porto, che lo ripagarono con una stima assoluta. Per difendere un<br />
pizzaiolo da uno strozzino s'imbatté nel capraro Michele Aria<br />
che proteggeva lo strozzino. Lo scontro fu evitato per l'azione<br />
congiunta di Alberto Fraumene e, camorristi che godevano di una<br />
grande considerazione negli ambienti delinquenziali del periodo<br />
fascista.<br />
Anche Barracano, come Aria, fu costretto a fuggire ed<br />
arrivò a Brooklin ad ingrossare le file della “mano nera”. I<br />
contrasti con gli esponenti di origine siciliana furono fatali:<br />
vennero ammazzati entrambi.<br />
Al fascismo davano fastidio i guappi a capo di piccole entità<br />
criminali che non riusciva ad eliminare. La pressione sulla<br />
malavita era continua e pesante, perché non c'era nessuna<br />
possibilità e nessuna intenzione di giungere a compromessi.<br />
Oltretutto i voti dei camorristi non servivano più a nulla: non<br />
esistevano più libere elezioni.<br />
In un regime dittatoriale il potere, l'uso della forza, deve<br />
essere concentrato esclusivamente nelle mai dello Stato. Il potere
e la forza nelle mani della camorra era inammissibile. Tutti i<br />
rimedi contro la delinquenza dovevano essere messi in campo.<br />
Il Ministero della Cultura Popolare dispose che anche le<br />
notizie di cronaca nera fosse ridotta. Le gesta dei boss della<br />
camorra non avrebbero avuto eco sui giornali. E non avrebbero<br />
potuto provocare comportamenti imitativi da parte dei giovani,<br />
né la popolazione avrebbe potuto sollecitare azioni repressive di<br />
una delinquenza cui l'informazione non dava spazio e quindi era<br />
sconosciuta. In questo clima repressivo, alcuni camorristi<br />
fiutando il vento di provvedimenti sempre più pesanti,<br />
abbracciarono il regime. Arturo Cocco, camorrista del rione<br />
Sanità, era uno di essi. Funzionale alle attività repressive del<br />
regime, perché il suo grande ascendente personale nella zona<br />
d'origine, era garanzia di un efficace controllo sulla popolazione,<br />
quando la polizia lo riteneva necessario. Altri nomi noti ed<br />
affermati nella malavita che aderirono al fascismo, sono quelli<br />
dei guappi :<br />
- Guido Scaletti, cofondatore del sindacato padronale dei<br />
camerieri;<br />
- Enrico Forte, che da agente provocatore contro gli operai<br />
della ditta “Miani e Silvestri” divenne direttore della manifattura<br />
dei tabacchi;<br />
- Marco Buonocore, soggetto violento, che sparò ad un<br />
operaio antifascista ed ottenne buoni incarichi pubblici.<br />
Altri personaggi famosi della malavita, come i fratelli<br />
Vittorio ed Armando Aubry che tennero a freno gli operai<br />
dell'Ilva di Bagnoli, ottenendo in cambio, fino al 1935, l'appalto
di carico e scarico ai pontili della fabbrica, il cui controllo<br />
consentiva anche buoni guadagni con il contrabbando che<br />
passava da quella piattaforma. Amadeo Bordiga (protagonista<br />
intransigente della scissione del Partito Socialista al congresso di<br />
Livorno del 1921, cofondatore del Partito Comunista Italiano) nel<br />
Comitato esecutivo dell'internazionale comunista riunito, il 6<br />
gennaio del 1923, affermava che il Governo fascista aveva<br />
appena ultimato i suoi vecchi metodi di violenza con<br />
l'utilizzazione del suo apparato poliziesco, riunendo in un'unica<br />
milizia guardie regie compresi gli agenti in borghese e i<br />
carabinieri, ma che la repressione della criminalità comune con<br />
metodi ultraenergici era una pura illusione. Nel 1930, il<br />
giornalista Gustavo Di Giacomo, sosteneva che prima<br />
dell'avvento del fascismo i carabinieri avevano colpito duramente<br />
la malavita, sbaragliandola, e per vari anni nessun malvivente si<br />
mise più in vista, fino a quando, specialmente nella zona del<br />
porto e tra gli organizzatori dello strozzinaggio si ebbero dei<br />
rigurgiti di violenza. Ma provvidenziale giunse l'onda depuratrice<br />
d con leggi implacabili e giuste che consentirono al capitano<br />
Padovani di spazzare via i prepotenti dal porto. La timidezza<br />
della cittadinanza rassicurata dalla nuova situazione scomparve.<br />
E concludeva affermando “La mala vita, col rapido salutare<br />
intervento del Governo fascista non esiste più in Napoli. I casi<br />
isolati, e neppure frequenti, sono comuni a quelli di tutti i grandi<br />
centri popolosi.”
Nella repressione della criminalità venivano usati i metodi<br />
collaudati all'inizio dell'unità d'Italia, con l'ammonizione ed il<br />
confino lontano da Napoli.<br />
A consolidamento di potere avvenuto, come era già<br />
successo nei primi anni dell'unità d'Italia, il regime fascista che si<br />
era servito di guappi e camorristi ritenuti funzionali al potere,<br />
scatenò contro di loro una radicale repressione, utilizzando<br />
soggetti come Salvatore Cinicola, detto macchiulella, del rione<br />
Sanità, con un passato da guappo affermato, come informatori di<br />
polizia, compensandolo con favori ed onori.<br />
Con la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, macchiulella,<br />
assediato dalla gente del quartiere venne salvato da Luigi<br />
Campoluongo, ma la folla lo costrinse, comunque a girare in via<br />
dei Vergini, coperto di sterco.<br />
Il 24 dicembre 1926, l'ispettore Losito aveva inviato al<br />
Ministero degli interni un allarmato rapporto sulla situazione<br />
della malavita organizzata in Campania, evidenziando che la<br />
camorra si diffondeva a raggiera tra Napoli, Aversa, Caserta,<br />
Nola e l'agro nocerino-sarnese, con movimenti migratori di<br />
truffatori, sensali, vagabondi. In sostanza la camorra organizzata<br />
così come si conosceva a Napoli era scomparsa, ma in provincia<br />
di Caserta continuava a prosperare specialmente attorno agli<br />
allevatori di bufale ed al commercio degli animali e dei loro<br />
prodotti.<br />
Si arrivò, così, al più grande intervento di massiccia<br />
repressione del 1927. In provincia di Aversa, dove si era<br />
consolidato un nucleo di camorra autonomo, furono praticati
4.000 arresti, sgominando praticamente l'organizzazione<br />
camorristica.<br />
In pratica a Napoli sopravviveva ridimensionata, praticando<br />
in tono dimesso il contrabbando, l'usura, piccole estorsioni. Nella<br />
provincia invece sopravviveva in maniera più consistente quella<br />
legata al commercio dei prodotti ortofrutticoli. L'azione<br />
ventennale del Governo fascista aveva prodotto i suoi frutti<br />
riducendola a livello di sopravvivenza, ed avrebbe avuto modo di<br />
risvegliarsi energicamente solo dopo la seconda guerra mondiale.
9.4 La Nuova Camorra Organizzata di Raffaele<br />
Cutolo.<br />
“Mi rendo conto come Mussolini non abbia retto alla<br />
ventata di piaggeria e abbia finito per credersi un superuomo.<br />
Provo uguali sensazioni, mi riesce difficile tenere i piedi per<br />
terra”. È l’affermazione di Raffaele Cutolo nel “Camorrista” di<br />
Giuseppe Marrazzo.<br />
È già qualcosa che se ne sia reso conto.<br />
‘O Professore di Ottaviano. È lì che nasce, ad Ottaviano,<br />
paese della provincia vesuviana, il 20 dicembre 1941.<br />
I primi contatti con la malavita li ebbe proprio in paese,<br />
quando il padre, contadino, affittuario del grande proprietario<br />
don Aversa, nell’impossibilità di far fronte alle esose ed<br />
ingiustificate richieste dell’aumento del canone di affitto, chiese<br />
l’intervento del boss locale Alfredo Maisto, ottenendo<br />
immediata soddisfazione. Al piccolo Raffaele che aveva<br />
accompagnato il padre, in altra occasione, fu chiesto di<br />
accompagnare un mediatore collaboratore di Maisto nel mercato<br />
del bestiame di Aversa. Prima di entrare, per evitare i controlli<br />
della polizia, l’uomo fece nascondere la sua pistola addosso al<br />
bambino. Evitato il controllo, si riprese la pistola. Incontrarono<br />
un altro mediatore, tra i due si accese una lite, e nell’agitazione<br />
del momento estrasse la pistola ed uccise l’avversario. Fece<br />
nascondere di nuovo la pistola addosso a Raffaele ed<br />
abbandonarono il mercato, facendo ritorno a casa.
Per Raffaele Cutolo era il battesimo del crimine: complice<br />
dell’assassinio del mediatore di bestiame.<br />
Nella famiglia di Raffaele, c’erano anche malati di mente.<br />
Un cugino del padre e due nipoti soffrivano di schizofrenia,<br />
mentre uno zio ed una zia erano idioti congeniti.<br />
Raffaele era un bambino intelligentissimo, ma finite le<br />
elementari abbandonò gli studi per fare il garzone di un fabbro e<br />
di un falegname.<br />
Riteneva di possedere doti taumaturgiche.<br />
Una zia che viveva in famiglia con loro, restava per lunghi<br />
periodi inanimata, chiamavano il medico infruttuosamente;<br />
quindi il prete, perché credevano che morisse. Ma accadde che al<br />
comando di Raffaele: alzati e cammina…, perché noi i soldi per<br />
farti il funerale non li abbiamo! La zia si alzò improvvisamente e<br />
si preparò un caffè.<br />
All’inizio degli anni sessanta capeggiava una piccola banda<br />
che faceva furti ed estorsioni.<br />
Il suo destino gli avrebbe fatto incrociare nelle patrie galere<br />
un famoso camorrista affermato: Antonio Spavone.<br />
Mentre Cutolo cominciava la sua carriera criminale, altri<br />
come, appunto, Antonio Spavone detto ‘O malommo, erano<br />
affermati Imprenditori del crimine e mantenevano il loro potere a<br />
colpi di pistola. Antonio Spavone, in origine. Lo era divenuto al<br />
posto del fratello morto ammazzato in un duello con Giovanni<br />
Mormone. Aveva ereditato il ruolo di “carta da tresette”. Un
anno dopo, in un ristorante di Marechiaro, uccise Mormone,<br />
gridandogli: “Non sono io che ti uccido, è mio fratello Carmine”.<br />
Condannato a venti anni di prigione, ne scontò una parte a<br />
Procida e, a seguito dell’accoltellamento del suo compagno di<br />
cella, fu trasferito a Firenze dove, durante l’alluvione del 1966, si<br />
distinse per aver salvato diversi carcerati, il direttore del carcere e<br />
la figlia di questi. Per tale motivo, il presidente della Repubblica<br />
Giuseppe Saragat gli concesse la grazia.<br />
Sette anni dopo, per gelosia, uccise un miliardario<br />
italoamericano; tornò di nuovo in prigione. Assolto, tornò in<br />
libertà e buscò un colpo di lupara in pieno volto( Il mandante<br />
poteva essere Raffaele Cutolo). Nel 1986 venne condannato per<br />
associazione mafiosa, tornò in carcere e vi mori sette anni dopo.<br />
Un’altra famosa “carta di tresette”, Pasquale Simonetti,<br />
detto Pascalone ‘e Nola, cominciò la sua ascesa criminale<br />
schiaffeggiando il boss Luky Luciano, liberato dal carcere per<br />
l’aiuto fornito alla Patria in guerra, e sempre dalla Patria espulso<br />
perché “indesiderabile”.<br />
Anche dall’Italia, però, riusciva a dirigere i traffici<br />
internazionali di stupefacenti.<br />
La sua mancata reazione assicurò la scalata di Pascalone e<br />
Nola ai vertici del racket che taglieggiava i mercati ortofrutticoli,<br />
imponendo prezzi al di fuori della domanda e dell’offerta. Sulla<br />
sua strada incontrò Antonio Esposito, altra carta di tresette. I due<br />
ebbero ripetuti scontri. Un sicario uccise Pascalone. La colpa<br />
ricadde su Totonno Esposito, che venne affrontato ed ucciso in
pieno giorno, a colpi di pistola da Pupetta Maresca, vedova<br />
incinta di Pascalone.<br />
Intanto Luky Luciano cercava di soggiogare “le carte di<br />
tresette”, mentre la mafia siciliana contendeva il traffico degli<br />
stupefacenti ai “Marsigliesi”, Luciano insieme ad altri<br />
“indesiderabili” ebbe la meglio, divenendo il collegamento tra la<br />
malavita napoletana e le famiglie italoamericane ai vertici di<br />
Cosa Nostra. Le basi per l’internazionalizzazione dei traffici era<br />
cosa fatta.<br />
Nel mese di gennaio 1962, moriva il capo indiscusso del<br />
Sindacato del crimine Luky Luciano. Nello stesso anno la<br />
commissione antimafia ritenne inutile di occuparsi di Napoli e<br />
del circondario.<br />
Nel 1963, Raffaele Cutolo, al termine di una lite tra giovani,<br />
tra spinte ed insulti, nel corso di Ottaviano, spara con la sua<br />
pistola ed uccide Michele Viscido; e viene condannato<br />
all’ergastolo.<br />
A Poggioreale, matura, nella mente di Cutolo l’idea della<br />
creazione di un nuovo ordine per la malavita organizzata e ne<br />
traccia un progetto ambizioso, al quale lavora in continuazione,<br />
studiando anche gli aspetti organizzativi e i bacini malavitosi di<br />
attingi mento. Il progetto che prende corpo nella sua mente<br />
prevede la costituzione di un’organizzazione potente come la<br />
Bella Società Riformata.<br />
Della sua associazione avrebbe dovuto farne parte anche<br />
quell’esercito di derelitti, taglieggiatori, ladri, ai quali forniva i
suoi servigi, curando la loro corrispondenza con la famiglia,<br />
consigliandoli nelle loro tecniche difensive e indottrinandoli per<br />
averli al suo fianco una volta tornato in libertà.<br />
Nel carcere di Poggioreale, ospite di riguardo, c’era anche<br />
‘O Malommo. Godeva di tutti i privilegi che, anche in carcere,<br />
venivano accordati ad un boss del suo calibro. Attorniato da una<br />
schiera di funzionari corrotti, riusciva a garantire la continuità dei<br />
suoi traffici anche da Poggioreale.<br />
Così come aveva fatto Pascalone ‘e Nola, che aveva<br />
schiaffeggiato Luky Luciano nell’ippodromo di Agnano,<br />
Raffaele Cutolo, con la scusa di non sopportarne più i privilegi e<br />
l’atteggiamento, mandò un suo tirapiedi a sfidare a duello, all’ora<br />
di pranzo, il Malommo; il quale, non si presentò. Cutolo non<br />
aveva avuto la possibilità di sostituirsi a lui con il metodo<br />
classico della zumpata, ma ottenne parimenti un grande risultato<br />
per la popolarità e l’autorità che raggiunse al’interno ed<br />
all’esterno del carcere. Dall’esterno piccoli capicamorra si<br />
rivolgevano a lui per avere appoggi nelle loro operazioni di<br />
contrabbando; all’interno, tutti i nuovi arrivati, aspiranti<br />
camorristi, si rivolgevano a lui per essere accolti sotto la sua ala<br />
protettrice.<br />
Alla sua frenetica attività all’interno del carcere, faceva<br />
riscontro quella della sorella Rosetta, che con il crescere<br />
dell’organizzazione, dimostrava con il suo impegno di essere la<br />
mente amministrativa della Nuova Camorra Organizzata.
È proprio in questa fase che nella corrispondenza con i suoi<br />
“cumparielli” in libertà, comincia a comparire il termine di<br />
Nuova Camorra Organizzata.<br />
Stabilì una specie di rituale simile a quello della Bella<br />
Società Riformata, con uno statuto, una affiliazione che<br />
prevedeva un giuramento di sangue, che esaltava regolarmente<br />
soprattutto gli animi semplici.<br />
La parte economica a questo punto era divenuta<br />
efficientissima, perché le estorsioni erano una miniera d’oro.<br />
Unitamente a Michele Casillo ed agli altri luogotenenti in<br />
libertà, Rosetta si occupava della redistribuzione del denaro ai<br />
“cumparielli” in carcere, alle loro famiglie, gestendo nel<br />
contempo il denaro che restava nelle casse comuni.<br />
Era la nascita di un impero economico che avrebbe<br />
condizionato molti ambiti economici di tutta la Campania, con<br />
alleanze in tutta Italia, in Europa e negli Stati Uniti.<br />
Cutolo, nel carcere tendeva a dare agli affiliati un’identità<br />
specifica, attraverso cerimonie di iniziazione e riattivazione degli<br />
antichi costumi camorristici; nel contempo curava che il sistema<br />
di solidarietà, tra gli affiliati alla sua organizzazione, che<br />
prevedeva la ripartizione degli utili, l’assistenza alle famiglie, la<br />
difesa legale, l’assistenza in carcere, funzioni a dovere.<br />
La vicenda giudiziaria che lo riguardava continuava il suo<br />
percorso: la pena dell’ergastolo, in appello, venne ridotta a<br />
ventiquattro anni. Ricorse in Cassazione e, dopo sette anni, per<br />
decorrenza dei termini, nel maggio del 1970 tornò in libertà, ed
ebbe modo di consolidare la sua posizione, intessendo nuovi<br />
legami con la malavita nostrana, con i fornitori sudamericani,<br />
nordafricani ed altri grandi trafficanti di droga e sigarette, che<br />
ritenevano più conveniente misurasi con un unico interlocutore.<br />
Nel frattempo, venne confermata la sentenza di secondo<br />
grado. Cutolo non si presento dinanzi all’autorità giudiziaria e si<br />
diede alla latitanza.<br />
La NCO, all’interno di alcuni istituti, costituiva un vero e<br />
proprio governo parallelo a quello legale. Poggioreale, Ascoli<br />
Piceno, Bellizzzi Irpino, sono le carceri dove Cutolo riusciva ad<br />
avere disponibilità di qualsiasi cosa. Nel frattempo pensava ad<br />
acquisire un numero sempre più cospicuo di affiliati. Viveva un<br />
periodo di grande crescita con un aumento della sua autorità<br />
enorme, soprattutto all’interno delle carceri.<br />
Le contese dei clan si regolano in carcere.<br />
Durante i terremoti del novembre del 1980 e del febbraio<br />
1981, all’interno del carcere vennero uccisi dei detenuti, sempre<br />
per ordine di Cutolo.<br />
Gli avversari, costituendo la Nuova Famiglia, si<br />
organizzarono come Cutolo, seguendo rituali simili.<br />
E tutte e due, queste organizzazioni, erano talmente forti,<br />
che riuscivano a far trasferire i detenuti, anche quando li<br />
dovevano avvicinare per ucciderli.<br />
Nel carcere riuscivano ad avere anche armi, che venivano<br />
utilizzate per conflitti a fuoco all’interno delle carceri. I due<br />
gruppi continuavano a crescere. Ci fu un momento nel quale
aggruppavano tutte le cosche criminali dell’area metropolitana<br />
di Napoli. Quello di Cutolo era una sorta di populismo criminale.<br />
La NCO realizzò un inedito solidarismo criminale che<br />
assicurava ai suoi miliziani un salario, la difesa in caso d’arresto,<br />
l’assistenza alle loro famiglie.<br />
“Mi chiamano professore, e all’occorrenza so anche esserlo<br />
in maniera convincente”.<br />
“Chi era impegnato ad arricchirsi con gli appalti statali, con<br />
l’edilizia selvaggia,con le forniture alle caserme, alle scuole, alle<br />
carceri, agli ospedali, persino con i loculi del camposanto, con le<br />
ambulanze, non poteva certo preoccuparsi di sottrarre volontari<br />
destinati ad arruolarsi nelle fila della Camorra.”<br />
Il Messia, Cutolo, portò il Verbo, la parola nuova, la<br />
ribellione armata.<br />
La Nuova Famiglia capì che se non si fosse data una diversa<br />
organizzazione sarebbe scomparsa sotto l’incalzare impietoso<br />
della Nuova Camorra Organizzata.<br />
Il populismo criminale cutoliano riusciva a creare spazi di<br />
adesione enormi.<br />
Nel corso di una riunione con i giornalisti, Pupetta Maresca,<br />
la vedova di Pascalone ‘e Nola, lanciò la sfida ai cutoliani e<br />
successe un macello.<br />
Il primo atto di guerra della Nuova Famiglia fu l’uccisione<br />
di Roberto Cutolo, il figlio del Professore e di sua moglie.
Vennero disegnate mappe d’influenza per tutta la Campania,<br />
e siccome le due organizzazione cercavano di incrementare la<br />
loro sfera d’influenza, si trovavano a parassitare, a volte, lo<br />
stesso soggetto. Il numero dei morti in questa battaglia serrata<br />
aumentava ogni giorno. Dal suo nascondiglio di Albanella, dove<br />
aveva trovato accoglienza, consolidava la struttura della sua<br />
organizzazione, spostandosi rapidamente anche fuori del suo<br />
rifugio.<br />
Stava per compiersi, però, quella che i camorristi chiamano<br />
‘nfamità. Così come rivelerà più tardi lui stesso, decretandone la<br />
morte, un suo uomo di fiducia, Rosanova, rivelò il suo<br />
nascondiglio.<br />
L’arrivo degli elicotteri, il 15 maggio del 1979, pose fine<br />
alla sua latitanza. All’appuntato dei carabinieri che gli metteva le<br />
manette, disse: “chi ti credi di essere? Il generale Dalla Chiesa,<br />
forse? Solo lui meriterebbe lo sfizio di arrestare un grande capo<br />
come me”.<br />
In tutto i terreno campano, le bande cutoliane presenti sul<br />
posto, ben visibili, vennero massacrate dagli affiliati della Nuova<br />
Famiglia che disponevano di una ben diversa organizzazione ed<br />
un comando altamente professionalizzato.<br />
Cutolo perse la partita e la Nuova Famiglia restò padrona<br />
del campo.<br />
Cutolo è stato l’interprete di un sogno malavitoso realizzato<br />
a livelli impensabili per un soggetto che di giorni fuori delle<br />
carceri, a partire da una certa data, non ne ha avuti tanti.
In carcere ad Ascoli Piceno, nel momento di massimo<br />
splendore della potenza della NCO, gli viene chiesto di mediare<br />
con gli esponenti del terrorismo, per il rilascio dell’uomo politico<br />
campano Ciro Cirillo.<br />
Cirillo era presidente della commissione della ricostruzione<br />
del dopo terremoto, un obiettivo molto allettante, legato ai Gava<br />
ed ai maggiori costruttori partenopei, e rappresentava, perciò, un<br />
obiettivo molto allettante per l’eversione perché avrebbe potuto<br />
ottenere un riscatto miliardario.<br />
La DC, non ripropose la stessa linea comportamentale<br />
assunta con i terroristi per il sequestro Moro, ma scese a patti con<br />
le Brigate rosse, ed i contatti tra politici ed eversori furono<br />
stabiliti da Cutolo. Le modalità con cui avvennero gli incontri tra<br />
esponenti politici e servizi segreti da una parte e camorra<br />
dall’altra, non sono note. Però sembra che ad avviare le trattative<br />
furono alcuni agenti del SISDE, con la partecipazione del vice<br />
direttore Vincenzo Parisi. Subito dopo vennero sostituiti dagli<br />
agenti del SISMI con Abelardo Mei, che rappresentava la lobby<br />
dei costruttori, e che fu il primo a prendere contatto con Cutolo,<br />
successivamente se ne occuparono gli operativi del Sismi: il<br />
generale Musumeci ed il colonnello Belmonte, avendo come<br />
punti di riferimento, ‘O Professore ed il suo braccio destro<br />
Vincenzo Casillo, detto ‘O Nirone.<br />
L’intenso via vai di soggetti di ogni ordine e grado che si<br />
recavano da Cutolo per pregarlo di convincere i brigatisti a
ilasciare Cirillo, non è rilevabile nel registro delle visite, perché<br />
è stato alterato.<br />
Sta di fatto però, che il magistrato Carlo Alemi, titolare<br />
dell’inchiesta sul rapimento, appurò che in quel periodo, ad<br />
Ascoli Piceno, erano presenti Flaminio Piccoli, Carlo Gava, e<br />
Giuliano Granata, sindaco di Giugliano, il quale sull’argomento<br />
ha scritto recentemente la sua versione, dando alle stampe, presso<br />
le Edizioni Cento Autori “Io Cirillo e Cutolo, dal sequestro alla<br />
liberazione”.<br />
Dopo ottantanove giorni Cirillo tornò in libertà e Cutolo<br />
visse un periodo di gloria ed esaltazione. Dal suo intervento con<br />
esito positivo, si attendeva riconoscimenti e, soprattutto,<br />
riduzione di pena da ottenere con una perizia ed una<br />
certificazione di infermità mentale, nonché una corposa<br />
ricompensa in denaro.<br />
Attese invano anche le azioni mirate delle Brigate Rosse di<br />
Giovanni Senzani contro magistrati, giudici, funzionari che si<br />
erano espressi contro gli eccessi della Nuova Camorra<br />
Organizzata.<br />
“Per i miei seguaci, sono diventato un re, un santo<br />
protettore, un mito”. Che sapeva essere spietato: il suo uomo di<br />
fiducia, Pasquale Barra, detto ‘O Nimale, a Nuoro, nel carcere<br />
Bad’e Carros, aveva raggiunto Francis Turatello il bandito<br />
milanese, noto come faccia d’angelo, associato che aveva tradito,<br />
e lo ridusse come un colabrodo. ‘O Nimale riferiva a Cutolo:<br />
“Rafè, mi devi credere. Un servizio da maestro. Faccia d’angelo
era una maschera insanguinata. Fu la prima cosa che colpii, la<br />
faccia di quel pezzo di merda milanese, del signorino che si<br />
credeva un uomo superiore e che dopo averti dato la mano si<br />
lavava con l’acqua di colonia. Rafè, mentre i compagni me lo<br />
trattenevano, gli affondai il coltello da tutte le parti, per almeno<br />
una quarantina di volte. Lui rantolava, si dimenava come un<br />
serpente ferito, mentre io colpivo sempre di più con la rapidità di<br />
una macchinetta. Non voleva morire, Rafè! Saparpetiava come<br />
una tarantola sul terriccio, sotto il sole, con le mosche che già<br />
guazzavano nel suo sangue”.<br />
Questa è ferocia, eccedente, orripilante, oscena.<br />
Il continuo spargimento di sangue nella lotta tra NCO e NF<br />
ed il ruolo ricoperto da Cutolo nella liberazione di Cirillo,<br />
esasperò la pubblica opinione, che chiese interventi più energici<br />
nei confronti della malavita organizzata.<br />
Proprio per questo, Sandro Pertini ne sollecita il<br />
trasferimento nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara, che<br />
avviene rapidamente, con un o schieramento di forze esagerato.<br />
La verità sul caso Cirillo e sulle sue conseguenze, non è<br />
stata ancora appurata; l’ipotesi più accreditata e corrente vuole<br />
che la classe politica campana individuasse in Cutolo e in<br />
Casillo, una vera e propria minaccia ai loro affari, dirottando le<br />
loro simpatie agli esponenti della Nuova Famiglia, Carmine<br />
Alfieri e Pasquale Galasso. Alcuni soggetti che avevano stabiliti i<br />
primi contatti con le Brigate Rosse, come il ristoratore di Acerra,<br />
Nicola Nuzzo, vennero tolti di mezzo in modo cruento. La stessa
fine fece Vincenzo Casillo, che a Roma saltò in aria con la sua<br />
auto, imbottita di tritolo.<br />
Per capire, la mentalità criminale di Raffaele Cutolo,<br />
bisogna porre in primo piano la consapevolezza del possesso di<br />
doti straordinarie criminali ed organizzative. Fa trasferire nel<br />
carcere di Nuoro Pasquale Barra, che conosce la condanna a<br />
morte di Francis Turatello, ma non è stato incaricato<br />
dell’esecuzione. Capisce però perché è stato fatto trasferire in<br />
quel carcere. Sa che non è stato inviato li in villeggiatura.<br />
“Non avrei scomodato il ministero per nulla. Un piano per<br />
eliminare il potente capo della malavita milanese, richiede<br />
impegno, intelligenza, strategia. L’opera di un personaggio come<br />
‘O Nimale, rappresenta la fase culminante di una missione che va<br />
studiata nei minimi particolari, valutando anche le reazioni che<br />
susciterà”.<br />
Questo è il profilo comportamentale razionale, di un<br />
interprete ineguagliabile della camorra, che ha mostrato uno stile<br />
di vita coerente ad un grande progetto negativo<br />
Cutolo, certamente non è il diavolo, ma più di altri ha dato<br />
fondo alla sua abilità criminale, peggiorando enormemente la<br />
situazione della Campania.
10.0 Analisi politica<br />
Anche volendo non potremmo raccontare la situazione<br />
politica napoletana, e campana in generale, con espressioni di<br />
fiducia e soddisfazione, e tanto meno di speranza nei<br />
cambiamenti.<br />
La verità, sulla società politica napoletana ha sempre la<br />
stessa faccia. La puoi rigirare come vuoi, ma l’edificio politico<br />
mostra sempre le componenti che ne hanno limitato lo sviluppo<br />
economico e sociale legale.<br />
L’intreccio del potere militare, politico, imprenditoriale,<br />
attivo in settori legali e paralegali, con la contraffazione, il<br />
traffico dei rifiuti, il monopolio del cemento, il traffico della<br />
droga, il contrabbando delle sigarette t.l.e., l’usura, le estorsioni,<br />
rafforza sempre di più il potere del crimine organizzato, che non<br />
è più stanziale solo nella Campania, ma ha proteso le sue<br />
propaggini in tutte le regioni italiane, eccezion fatta per la<br />
Calabria e la Sicilia, che sono già ben messe per conto loro, e<br />
nella conquista dei territori delle altre regioni sono anch’esse<br />
molto attive.<br />
In Campania, nemmeno la speranza nei cambiamenti, è<br />
ipotizzabile, almeno a breve termine.<br />
E’ avvilente che i poteri del crimine organizzato, appaiano<br />
sempre più invadenti, e non siano messi in discussione. Tant’è<br />
vero che nell’ultima campagna elettorale di piani specifici di
contrasto, di nuova concezione, efficaci sul piano normativo e<br />
istituzionale, non se n’è sentito nemmeno parlare.<br />
Questa assenza mostra una volontà reazionaria da parte del<br />
potere consolidato, vergognosa e arrogante.<br />
I segnali preoccupanti rivelati dall’evento elettorale, si<br />
arricchiscono con la presentazione nelle liste elettorali di soggetti<br />
indagati, o addirittura condannati, sia pure con sentenza non<br />
definitiva, con l’annuncio di programmi di opere infrastrutturali,<br />
prede predestinate e comunque da sempre nel mirino dei gruppi<br />
criminali organizzati e, obiettivamente, riforme normative<br />
destinate ad indebolire la magistratura negli strumenti di cui<br />
dispone.<br />
L’intercettazione telefonica per i reati di corruzione,<br />
concussione, favoreggiamento, a mio giudizio è e rimane<br />
essenziale; perché nelle organizzazioni mafiose, l’inserimento nei<br />
loro canali di comunicazione consente di raccogliere sempre<br />
maggiori frutti. Altrimenti di tante losche attività e di tanti<br />
intrecci criminali non si avrebbe al minima conoscenza.<br />
Accade spesso che anche l’enunciazione di intenzioni e<br />
programmi negativi resti senza realizzazione, e l’augurio per<br />
Napoli e che si ripeta pure questa volta.<br />
La camorra è cosciente di aver raccolto l’eredità critica della<br />
classe politica. Lo dimostra la reazione al romanzo di Roberto<br />
Saviano, che aggiornando la situazione dell’occupazione del<br />
territorio e della distruzione sistematica della vita civile,<br />
dell’ambiente, della città, opera una specie di criminalizzazione
proveniente dal mondo della cultura. E allora, la camorra che si è<br />
fatta classe di governo, reagisce perché ad essa è affidata la tutela<br />
e la difesa dell’immagine della città e della regione.<br />
La camorra, nasce come fenomeno di popolo, non di classi<br />
dirigenti, ma le dinamiche restano le stesse anche mutando le<br />
condizioni sociali, geografiche e storiche, e il livello del potere<br />
conseguito quando raggiunge l’apice, così come rappresenta una<br />
sciagura per la società legale controllata, per essa è occasione di<br />
arricchimenti incontrollati.<br />
Oggi, la situazione politica a Napoli, come intreccio del<br />
potere legale e di quello camorristico, pare cristallizzato alla<br />
stessa condizione ideologica del 1901, quando la Real<br />
commissione d’inchiesta Saredo, descrivendo puntualmente e<br />
compiutamente, usi, costumi, consuetudini, collusioni,<br />
convivenze e connivenze della camorra in tutti i settori della vita<br />
pubblica cittadina, pose al servizio del Paese, con due poderosi<br />
volumi, l’insieme delle conoscenze più complete, indispensabili<br />
per combattere la guerra contro la criminalità organizzata<br />
napoletana.<br />
Il meccanismo fondamentale del faccendiere, intermediario<br />
tra il governo locale e i cittadini sopravvive ancora, anche se non<br />
proprio al livello più elementare. Ma l’azione costante e<br />
progressivamente invadente condotta dalla camorra,<br />
specialmente nell’ultimo sessantennio, per divenire padrona del<br />
suo territorio, dei suoi apparati socio-conomici, delle assemblee
elettive, sostituendosi allo Stato con una profonda penetrazione<br />
nei suoi apparati, è cosa fatta in maniera disastrosa.<br />
Un autorevole uomo di giustizia ha definito la Campania un<br />
oceano di illegalità e Napoli un corpo di reato, lanciando così un<br />
messaggio forte e preoccupato, che fino ad oggi è rimasto<br />
inascoltato, a quelle istituzioni preposte a contrastare la<br />
criminalità, ma purtroppo pervase anch’esse da forte<br />
inquinamento, in molti casi, addirittura, assoggettate alla causa<br />
criminale.<br />
Oggi, senza tema di smentita, si può definire il quadro<br />
esistente in materia di ordine pubblico e legalità, nella regione<br />
Campania, drammatico e virulento con una metastasi impregnata<br />
di illegalità, diffusa su tutto il territorio, con poche probabilità di<br />
sapere se l’antidoto contrasto, prevenzione e repressione, possa<br />
rimediare ad una pervasione penetrante, visibile ed occulta del<br />
soggetto camorra, in tutti i suoi apparati, anche quelli preposti<br />
alla lotta del sistema criminale. 1<br />
Senza oleografia alcuna, l’immagine di Napoli è quella di<br />
una città corrotta ed infetta, di un territorio regionale, salvo<br />
qualche eccezione, gestito dagli apparati criminali, conviventi<br />
politici, imprenditori e pezzi consistenti dello stesso Stato, voler<br />
difendere, per anacronistiche posizioni di parte le<br />
Amministrazioni che governano il territorio, anche se coscienti<br />
della vastità del fenomeno e le ripercussioni traumatiche sulla<br />
collettività.
I luoghi comuni del buon governo locale con le note svolte<br />
storiche, non hanno inciso minimamente, sul tessuto socio-<br />
economico, sull’ordine pubblico, sulla trasparenza e sulla legalità<br />
nella città e nella regione.<br />
Anche l’abusata equazione: disoccupazione = criminalità;<br />
sviluppo, investimenti ed occupazione = progresso, legalità,<br />
ordine pubblico, dimostrano un chiaro segno di incapacità<br />
intellettuale; perché è vero il contrario, più si progetta, più<br />
s’investe, più si finanzia, più la camorra insediata in tutti i settori,<br />
potenzia i suoi apparati e riempie i suoi forzieri.<br />
D’altra parte, le confessioni dei collaboratori di giustizia,<br />
come Pasquale Galasso, Alfieri, Schiavone, hanno scoperchiato<br />
una fitta rete di radici camorristiche rigogliosamente sviluppate,<br />
con connivenze e collusioni con tutti gli apparati, soprattutto<br />
quelli istituzionali.<br />
Nel documento del 16 giugno 1997, la procura della<br />
repubblica presso il Tribunale di Napoli, nel descrivere le<br />
esistenti forme del rapporto CAMORRA-POLITICA AFFARI,<br />
affermava: non vi è settore della Pubblica Amministrazione nel<br />
quale le indagini non abbiano registrato e dimostrato il<br />
dispiegarsi dell’illecita influenza dei gruppi camorristici,<br />
direttamente oppure per il tramite di figure imprenditoriali o<br />
politiche espressive degli interessi di quelli.<br />
Correlativamente, non vi è indagine su organizzazioni<br />
camorristiche che non riveli preoccupanti fenomeni di<br />
penetrazione correttiva – collusiva nelle istituzioni.
La situazioni riflette la sfera di interessi economici facenti<br />
capo ai gruppi criminali organizzati e del grado di invasività del<br />
controllo mafioso del territorio, ma anche la presenza di stati di<br />
diffusa illegalità della pubblica amministrazione.<br />
Per molti versi, lo stato delle cose sembra corrispondere a<br />
modelli di sviluppo degli interessi criminali anziché di<br />
salvaguardia degli interessi della collettività e degli interessi<br />
statali.<br />
Da tali indagini diversificate emerge una raffigurazione, di<br />
segno sostanzialmente unitario, del concreto sviluppo delle<br />
relazioni interattive fra consorterie criminali ed esponenti del<br />
ceto politico e burocratico sulle quali in gran parte si fonda il<br />
controllo mafioso del territorio.<br />
Nell’esercizio di tale governo, la capacità d’intimidazione<br />
violenta conserva spesso un ruolo importante, al fine sia della<br />
gestione controllata del voto che dalla dissuasione degli operatori<br />
politici ed amministrativi, ma altrettanto reali e perfino più<br />
rilevanti sono le risorse criminali delle organizzazioni<br />
camorristiche connesse al sistema di cointeressenze affaristiche<br />
ed elettorali delle categorie sociali e professionali, oltre che con<br />
esponenti politici, nel tempo sviluppatosi al fine del controllo e<br />
dello sfruttamento illecito dei meccanismi di erogazione della<br />
spesa pubblica.<br />
1 Relazione alle Camere XIII legislatura
11. Analisi economica.<br />
Il dato fornito dall’Eurispes, per 2004, è riferito alle quattro<br />
cupole mafiose messe insieme, ed ammonta a 100 miliardi di<br />
euro all’anno ed è un dato impressionante, se si pensa che il Pil,<br />
il prodotto interno lordo italiano è di 1.052 miliardi di euro<br />
all’anno.<br />
L’industria del crimine organizzato, perciò, è pari al 9,5 %.<br />
Il dato disaggregato, riguardante solo la camorra, ammonta<br />
a 16 miliardi e 459 milioni di euro.<br />
Sempre forniti dall’Eurispes, altri dati più aggiornati,<br />
riguardanti la camorra, stimano per le diverse attività, i seguenti<br />
guadagni annui:<br />
- traffico di droga: 7.230 milioni di euro;<br />
-Crimini legati all’imprenditoria (appalti truccati, riciclaggio<br />
di denaro sporco, ecc.): 2.582 milioni di euro;<br />
- sfruttamento della prostituzione: 258 milioni;<br />
- traffico di armi: 2.066 milioni di euro.<br />
- estorsione ed usura: 362 milioni di euro.<br />
A queste attività vanno aggiunti i proventi per lo<br />
smaltimento illegale di rifiuti urbani ed industriali. Anche se<br />
lucrosa, questa attività penalizza soprattutto le zone d’origine dei<br />
criminali, Napoli e soprattutto Caserta. Quella che una volta era<br />
una fertile campagna, tra Acerra, Marigliano e Nola, oggi viene<br />
indicata col termine triangolo della morte, che la dice lunga,<br />
anche se non tutta.
11.1. Appalti pubblici e imposizione estorsiva del<br />
subappalto.<br />
Il sostituto procuratore Raffaele Cantone, nell’intento di<br />
catturare Michele Zagaria, uno dei trenta latitanti più pericolosi<br />
d’Italia, affida al Ros di Roma la delega per le ricerche, con<br />
intercettazioni telefoniche e ambientali, che risultano infruttuose<br />
per la cattura del camorrista, ma consente di scoprire l’attività di<br />
riciclaggio ed il rastrellamento sistematico degli appalti banditi in<br />
Campania tra il 2003 ed il 2006, comprendenti tra gli altri i lavori<br />
di ammodernamento e di ampliamento della ferrovia Alifana ed il<br />
Centro Radio Ricevente della Nato a Licola.<br />
Le indagini consentono di individuare una capillare<br />
organizzazione in grado di monitorare il territorio, individuare le<br />
opere più importanti che devono essere realizzate sul territorio e<br />
attraverso una rete di ditte e società associate, sono in grado sia<br />
di eseguire direttamente tutti i lavori, oppure, sempre<br />
direttamente, ma attraverso il subappalto palese od occulto. La<br />
parte più consistente di partecipazione si realizza attraverso<br />
l’inserimento funzionale con la produzione e la fornitura dei<br />
materiali necessari per la realizzazione delle grandi opere<br />
pubbliche.<br />
Naturalmente, una volta appurati i reati ed individuati i<br />
soggetti coinvolti, si arriva agli arresti che sono numerosi.<br />
Ma quello che preme appurare è la consistenza degli affari e<br />
d il modo di realizzarli.
Da una intercettazione telefonica si scopre un’informazione<br />
in codice, sempre nell’ambito del clan degli Zagaria di<br />
Casapesenna: “stasera Bin Laden mi ha chiamato e mi ha detto<br />
che ha venti miliardi di lavoro… per cento anni a Bin Laden…” 1<br />
Si tratta dell’appalto della nuova ferrovia Alifana, nella<br />
tratta da Santa Maria Capua Vetere a Napoli. Dopo aver<br />
modificato il progetto originario ed aver reperito i fondi, si passa<br />
alla fase realizzativa.<br />
Pasquale Zagaria, è stato allertato con quattro mesi di<br />
anticipo dalla sua rete di complicità e di alleanze, ed ha modo di<br />
attrezzarsi per partecipare all’affare.<br />
L’appalto viene aggiudicato a due imprese, la Torno Spa e<br />
alla Astaldi Spa, che la subappaltano ad una società consortile<br />
creata appositamente la T.S.I.G., COMPOSTA DAL<strong>LA</strong> Tirrena<br />
Scavi Spa e dalla S.I.G. (Società Italiana Gallerie) della famiglia<br />
Insigne di Sorrento, amministrata da Vittorio Tiberio Insigne,<br />
consigliere regionale della Campania e dal fratello Salvatore.<br />
La S.I.G., concesse in subappalto lavori a due società la<br />
Ceca Srl la Edilpadiro Srl. La Ceca Srl, pagherà il prezzo<br />
dell’estorsione, imposto con minacce di ritorsione e punizione<br />
cedendo i lavori di sua spettanza alla Edilpadiro nella quale è<br />
interessato Zagaria.<br />
La descrizione degli accadimenti, nella vicenda della<br />
ferrovia Alifana, serve a far comprendere il paradigma camorra-<br />
impresa-politica, che siccome a questo punto sono la stessa cosa
non hanno più bisogno di percorsi paralleli (Rosaria<br />
Capacchione. L’oro della Camorra).<br />
In questo caso la saldatura è il consigliere regionale Insigne,<br />
costruttore di Massalubrense.<br />
Quando si mette a nudo un rapporto economico illegale, di<br />
complicità, tra camorra-imprenditoria-politica, esso risulta<br />
sempre più produttivo del previsto: è come una stringa cui sono<br />
legate tante altre congeneri informazioni, che adeguatamente<br />
valutate e riscontrate consentono di ottenere un quadro<br />
sufficientemente completo del progetto criminoso in corso e dei<br />
suoi attori partecipanti.<br />
Rifiuti.<br />
Sempre da informazioni in cui ci si imbatte per caso, nelle<br />
reti di complicità consolidate.<br />
Sempre un’intercettazione telefonica, consente di scoprire<br />
un’azione intimidatoria per una estorsione in corso, a danno di<br />
un’azienda bufalina che ha già subito un incendio, e ne sta<br />
subendo un secondo.<br />
Dopo questo secondo fatto criminoso che distrugge<br />
cinquemila balle di foraggio, una quantità considerevole di scorte<br />
in dispensabili per la sopravvivenza dell’azienda agricola, i<br />
proprietari cedono e aderiscono alla richiesta estorsiva:<br />
cinquemila euro al mese.<br />
Traccia dell’estorsione viene trovata anche tra i pizzini<br />
sequestrati in Germania al postino rumeno del latitante Francesco<br />
Schiavone detto Sandokan.
I pizzini forniscono anche informazioni su collegamenti ed<br />
affari di altra natura. Si legge su uno di essi, indirizzato da<br />
Schiavone ad un altro camorrista, Michele Zagaria:<br />
“Io spero che quando ti arivi questo mio scritto tu stai sulla<br />
zona. Michele, visto che io ritorno tra una 40rantina di giorni, e<br />
non posso parlare con nessuno, fami il piacere di quei soldi della<br />
imontizia, la mia parte me la mandi a casa e mi fai dare anche la<br />
rimanenza del gas e ti fai dare già da Garofalo la prima rata che<br />
abiamo stabilito asieme, perché io sono rimasto senza soldi”.<br />
Come informazione plurima non c’è che dire. Ci fa<br />
comprendere che i proventi delle estorsioni confluiscono in un<br />
fondo comune del clan camorristico, in questo caso quello dei<br />
Casalesi, e che da questo fondo si attinge per il pagamento degli<br />
stipendi agli affiliati.<br />
Ci informa, inoltre, che l’estorsione interessa allevamenti,<br />
immondizia, gas, e si suppone anche se già si sa che oggetto di<br />
estorsione sono tutte le attività produttive e le rendite<br />
patrimoniali<br />
Legaambiente, nel 2008, fornisce dati impressionanti sui<br />
reati contro l’ambiente commessi ogni anno: oltre 30.000, cioè<br />
83 al giorno.<br />
Per le illegalità ambientali, la camorra è prima assoluta.<br />
Montagne di rifiuti solidi urbani, misti a rifiuti industriali di<br />
qualsiasi tipo, (soprattutto scarti velenosi perché sono quelli<br />
meglio retribuiti). Alle ecomafie, per lo sfruttamento delle risorse
ambientali per fini criminali, nel 2007, sono andati compensi per<br />
18 miliardi e 400 milioni. Il solo smaltimento illegale dei rifiuti<br />
industriali genera compensi, alla criminalità organizzata, per 4<br />
miliardi e 500 milioni di euro, dati sempre riferiti al 2007.<br />
In questo lauto pasto della criminalità organizzata, la DIA,<br />
Direzione Nazionale Antimafia, ha appurato che nel ciclo illegale<br />
dei rifiuti, Cosa Nostra si affianca al clan dei Casalesi, rivelando<br />
una multifunzionalità, che va dal business dei rifiuti al ciclo del<br />
cemento, dall’agricoltura al racket degli animali.<br />
11.2 Attività economiche illegali tradizionali<br />
Contrabbando di sigarette tabacchi lavorati esteri (t.l.e.).<br />
Coinvolte, a vario titolo, nel settore, 40.000 persone<br />
Mercato della prostituzione.<br />
Addetti al settore: 10.000 persone.<br />
Commercio e spaccio di droga.<br />
Si calcola che gli addetti siano 15.000 persone.<br />
E’ il settore che realizza i capitali più rilevanti. La gestione<br />
del traffico della droga ha dato origine ad una situazione<br />
conflittuale originata dall’incapacità dei clan di raggiungere un<br />
accordo tra di loro.<br />
Estorsione.<br />
Il fenomeno, sempre in crescita, ha raggiunto dimensioni<br />
impressionanti. Qui sono presenti addetti anche part time.<br />
Il numero degli addetti è stimato attorno alle 10.000 unità.
Contrabbando di armi.<br />
È un settore continuamente in crescita, esploso con il crollo<br />
del regime comunista nei paesi dell’Est. In origine si incanalava<br />
dalle coste albanesi. Successivamente anche da Serbia e<br />
Montenegro.<br />
I finanziamenti alle banche russe a corto di denaro, spesso<br />
come contropartita parziale hanno alimentato questo canale<br />
logistico commerciale che sfrutta la struttura consolidata, ma<br />
flessibile dei tabacchi lavorati esteri, della droga e degli<br />
anabolizzanti.<br />
Contrabbando di merce rubata.<br />
I TIR vengono svuotati sistematicamente a centinaia da<br />
bande organizzate, non solo nell’area campana, ma in molte altre<br />
zone del Paese, e che provvedono alla collocazione del prodotto<br />
sul mercato. Per il riciclaggio delle auto rubate oltre ai<br />
collegamenti nazionali esistono punti di vendita europei ed<br />
extraeuropei.<br />
Inoltre, il traffico di merce rubata è spesso associato<br />
all’attività estorsiva.<br />
Le attività sopra menzionate rientrano nella sfera delle<br />
attività illecita.<br />
Esse però non esauriscono il campo d’azione camorristica, e<br />
vanno tenute presenti anche altre attività legali, ma gestite nei<br />
modi e nelle forme illegali, che qui di seguito sommariamente<br />
vengono elencate:
Attività legali gestite in modi e forme illegali.<br />
Imprese edili abusive.<br />
Costruiscono senza autorizzazione per l’esercizio<br />
dell’attività, cioè senza iscrizione alla Camera di Commercio e al<br />
Collegio dei Costruttori, e senza licenza edilizia. A Napoli,<br />
nell’area metropolitana, negli ultimi cinque anni sono stati<br />
costruiti oltre un milione di vani senza licenza, da ditte abusive.<br />
Imprese di trasporto abusive.<br />
Imprese che operano nel settore del trasporto merci, ma<br />
anche in quello passeggeri.<br />
Imprese di questo tipo controllano il trasporto extraurbano,<br />
almeno per il 30%.<br />
Il movimento terra, collegato all’edilizia abusiva, è<br />
completamente gestito in forme abusive.<br />
Contraffazione e imprese produttive abusive.<br />
I settori produttivi delle calzature, pelletterie,<br />
abbigliamento, scatole di cartone, ecc., sono attività sommerse ed<br />
abusive. Le modalità di sfruttamento della mano d’opera, a<br />
domicilio e non, insieme con quelle della gestione delle attività,<br />
oltre alla provenienza dei capitali, s’identificano come vere e<br />
proprie imprese criminali.<br />
Anche l’attività di questo settore è collegata a quello<br />
dell’estorsione, del contrabbando e dello sfruttamento della<br />
prostituzione. E’ anche capitato che soggetti arrestati o<br />
ammazzati per attività collegate al traffico della droga, risultino
esercitare anche l’attività di imprenditori. In pratica un<br />
riciclaggio produttivo.<br />
Naturalmente la contraffazione, che interessa quasi tutti i<br />
settori manifatturieri, produce ricambi aeronautici e<br />
automobilistici, apparecchi elettrici, medicinali, giocattoli.<br />
Cybercrimine.<br />
L’enorme sviluppo dei new media, negli ultimi anni ha<br />
prodotto un criminalità informatica preoccupante.<br />
Dai dati processuali e dall’esperienza acquisita dalle forze<br />
dell’ordine, risulta che la criminalità organizzata, in questo<br />
settore svolge un ruolo di primo piano, gestendo la fase della<br />
produzione e della successiva distribuzione dei beni illecitamente<br />
riprodotti (compito questo che viene riservato prevalentemente ai<br />
venditori extracomunitari) lucrando facili guadagni che vengono<br />
successivamente riciclati.<br />
In Campania, per la duplicazione illegale e la diffusione di<br />
prodotti musicali contraffati, sono stati effettuati 1.334.701<br />
sequestri di duplicatori, che rispetto alle altre regioni è al primo<br />
posto.
12. Analisi antropologica<br />
Assumere un’ottica antropologica della camorra, secondo<br />
alcuni antropologi,1 significa prima di tutto sgombrare il campo<br />
dai luoghi comuni particolarmente quelli che condizionano la<br />
nostra visione delle organizzazioni criminali meridionali.<br />
Soprattutto per l’idea personale che ci facciamo giorno dopo<br />
giorno, con informazioni dirette o riferite, di una camorra<br />
escrescenza, cancro da estirpare, con una terminologia sanitaria,<br />
in cui si contrappone un corpo sano ad una parte malata.<br />
Per questo motivo, del fenomeno, ci creiamo una figura<br />
mostruosa non riconducibile alla normalità.<br />
Si crea in questo modo un’antropologia della<br />
contrapposizione, che distinguendo in maniera netta il “nostro”<br />
dal “loro”, diviene fuorviante.<br />
Nell’osservare il fenomeno camorra dobbiamo creare uno<br />
stato di coinvolgimento, partendo dal presupposto che si sta<br />
parlando di qualcosa che interessa ognuno di noi, non come<br />
individui, ma come intera società.<br />
Così facendo, possiamo trovare più facilmente linee<br />
d’intervento efficaci, senza limitarci ad azioni che dopo una<br />
fiammata iniziale, siccome sono troppo impegnative, durano<br />
sempre.______________________________________________<br />
1. Fonte: Fenomenologie della camorra. Lo sguardo dell’antropologo<br />
sulla criminalità organizzata. Intervista al professor Luigi Maria Lombardi<br />
Satriano.<br />
Autore: Gianluca Limatola-Paolo Graziano.
Per dare la giusta idea di quale deve essere il<br />
comportamento idoneo per affrontare questo compito, Lombardi<br />
Satriano, cita Madre courage di Berthod Brecht. C è un episodio<br />
nel quale un soldato protesta per un’ingiustizia subita e madre<br />
courage gli chiede se lui sente una rabbia forte, perché la rabbia<br />
forte è destinata ad esaurirsi in breve tempo: quello che ci vuole<br />
invece è una rabbia lunga, che lasci emergere l’indignazione e si<br />
trasformi in impegno etico politico.<br />
Possiamo condividere l’esigenza di un impegno estremo<br />
nella ricerca dei dati della realtà ed accettarli, ma la capacità di<br />
analisi del fenomeno, se non l’hanno mostrata attraverso il tempo<br />
studiosi abituali del settore, com’è possibile che si possa arrivare<br />
a comprenderne una realtà che muta al mutar del tempo e delle<br />
condizioni.<br />
L’idea che la camorra abbia, come le altre organizzazioni<br />
criminali una onnipervasività - che poi è quella caratteristica che<br />
ho in altra parte già definita ubiquitarietà - ed una capacità di<br />
adeguare i campi d’interesse dove volta a volta si delinea la<br />
possibilità del maggiore profitto, occupando settori<br />
precedentemente trascurati perché poco produttivi o inesistenti e<br />
che per le mutate condizioni socio-economiche globali, dovute al<br />
diverso assetto geografico-politico, derivante dalla frantumazione<br />
politica di aree geograficamente rilevanti, assumono una<br />
appetibilità economica sufficiente per mettere in funzione il<br />
nuovo canale di attività.
Lo sfruttamento della prostituzione delle straniere è una<br />
delle attività maturate con il disfacimento degli originari stati<br />
dell’Est e l’abbattimento delle frontiere con il libero ingresso<br />
nella CE, nonché dalla trasformazione albanese-kosovara e dalla<br />
migrazione delle popolazioni di colore stabilitesi nell’area<br />
campana, in particolare sulla zona domiziana.<br />
Il fenomeno delle ecomafie che anche se portato solo ora<br />
alla ribalta dal disagio fisico e mentale che ha coinvolto non solo<br />
la Campania, ma anche tutto il resto del Paese, almeno<br />
emotivamente, e forse anche economicamente, visto che<br />
situazioni disastrose, in genere si risolvono col sacrificio di tutti,<br />
come se fosse un disastro o una calamità naturale, ha una portata<br />
e una dannosità ambientale molto più rilevante di quella<br />
percepita, stante la pratica dell’occultamento delle scorie<br />
radioattive nell’ambito campano ed in quello limitrofo.<br />
Con l’indagine ebano, portata avanti negli anni ’90 dai<br />
carabinieri, fu dimostrato uno smaltimento illegale di rifiuti solidi<br />
urbani provenienti dalla Lombardia per 60.000 tonnellate,<br />
occultate nelle cave e nei terreni abbandonati dell’Abruzzo.<br />
Ma lo scempio più assoluto è stato fatto sulle loro terre, la<br />
cui fertilità e la loro salubrità sono un lontano ricordo.<br />
Che non ci si possa fermare alla conoscenza che viene<br />
acquisita in un determinato momento è cosa scontata e<br />
comprensibile, perché la camorra non è un ente immutabile ed<br />
indistruttibile, ma è in uno stato di continua reazione, attivata dal<br />
catalizzatore economico, senza preclusione di indirizzi.
Tuttavia le conoscenze acquisite attraverso studi pregressi<br />
ci aiutano a comprendere il fenomeno, a confrontarlo, ben<br />
sapendo che l’evoluzione del fenomeno non ha un verso certo e<br />
può assumere in qualsiasi momento, una configurazione diversa.<br />
La caratterizzazione multinazionale di cui si pone adesso in<br />
evidenza l’esistenza, parte e si consolida da una vecchia ma<br />
dinamica struttura, che da un iniziale apparato logistico-<br />
commerciale collaudato e raffinato nel tempo, anche a livello<br />
internazionale e mondiale, con una fitta rete capillare di<br />
distribuzione (in proprio o in subappalto ad altre mafie:<br />
l’albanese, la nigeriana ) come il contrabbando delle sigarette, i<br />
cosiddetti tabacchi lavorati esteri, idonea e sovrabbondante a<br />
veicolare attraverso i suoi canali ogni sorta di merce aggiuntiva:<br />
droga, medicinali, anabolizzanti, armi e qualsiasi altra cosa.<br />
In altre parole, si tratta di un sistema logistico-<br />
commerciale-distributivo avanzato, che non si lascia smantellare<br />
facilmente; perché oltre agli addetti intermedi, dispone di<br />
personale con formazione specialistica e professionale adeguata:<br />
I figli dei camorristi come quelli delle altre organizzazioni<br />
mafiose studiano, si laureano, lavorano nell’amministrazione<br />
pubblica, dalle Imposte, all’Esercito, alla Magistratura,<br />
esercitano la loro attività nella Sanità come medici, operano nelle<br />
banche come dirigenti o funzionari. Sono nella nostra società,<br />
non separabili dal corpo sociale cui tutti apparteniamo, e che non<br />
è una società dell’altro, ma del noi.
Questa inclusione strutturale nel tessuto sociale, condiviso<br />
anche inconsciamente dal normale cittadino con i camorristi, ci<br />
porta a frequentare - questo tessuto sociale - a volte anche non<br />
casualmente, ma occasionalmente, perché contiguo e in qualche<br />
modo omogeneo ai nostri valori, specie quando la base culturale<br />
è la stessa, ed è quella che idealizza il successo anche a costo<br />
della sopraffazione, e si amplia occupando il potere legale e<br />
quello politico.<br />
I messaggi che quotidianamente arrivano tramite i media,<br />
dagli strati sociali politicamente più elevati, senza distinzione di<br />
appartenenza politica, autorizza ed incentiva un comportamento<br />
edonistico disinvolto e meno attento agli aspetti morali.<br />
La prevaricazione e la riduzione degli spazi concessi ad<br />
altri, la violazione delle regole della convivenza, l’idea che un<br />
vantaggio per sé e per la propria famiglia valga il sacrificio di un<br />
patto di coesione sociale con soggetti altrimenti da evitare, sono<br />
il brodo di coltura della mentalità camorristica.<br />
Nel ristretto spazio urbano comune è difficile evitare che il<br />
sistema dei valori che governa l’attività quotidiana dei cittadini<br />
non camorristi, non coincida con quello dei camorristi,<br />
specialmente quando la linea di demarcazione culturale e<br />
psicologica non è sufficientemente profonda.<br />
L’ambiguità strutturale generalizzata, che non consente di<br />
orientarsi coscientemente nelle azioni della vita quotidiana, dalle<br />
più semplici e naturali a quelle più ragionate, pone il soggetto<br />
sano in condizioni di netta inferiorità nell’utilizzazione della sua
sfera ambientale, rispetto al camorrista che conosce livelli di<br />
collaborazione, connivenze e collusioni della sfera pubblica<br />
politica e amministrativa e lo agevolano nell’esercizio delle sue<br />
attività.<br />
Quando si afferma che la facile invasione della camorra<br />
nelle zone del sociale, percorrendo le linee di minore resistenza,<br />
deve aver beneficiato di più agevolazioni ambientali, si corre il<br />
rischio di colpevolizzare chi non ne ha ostacolato il cammino per<br />
il semplice fatto che il suo percorso era diverso.<br />
I Corrotti, che continuano ad occupare il loro posto nei<br />
gangli vitali delle Amministrazioni, questo problema non se lo<br />
sono posto né se lo porranno mai, perché per loro la condizione<br />
che vivono è un punto di arrivo, una conquista forse capitata per<br />
caso od anche fortemente e volutamente cercata.<br />
Anche a Napoli, dicono: qualità di persona.
12.1 Gli studi Lombrosiani.<br />
Sul finire dell’Ottocento non mancavano gli studi sulla<br />
criminalità organizzata.<br />
Mentre sulla mafia gli studi approdavano alla teoria<br />
sicilianista, interpretata magistralmente dall’avvocato Giuseppe<br />
Mario Puglia il quale sosteneva che il mafioso, “col fatto di<br />
contrarre con altri un pactum scelerum perderebbe<br />
automaticamente il carattere di mafioso, essendo evidente la<br />
confessione della sua incapacità individuale. Mafioso e associato<br />
sono pertanto termini che non possono esistere nello stesso<br />
individuo”. L’altra corrente culturale, alternativa ai sicilianisti, fu<br />
quella dell’antropologia criminale, fondata da Cesare Lombroso,<br />
che postulava la necessità di separare l’uomo criminale<br />
dall’uomo normale, fondando questa separazione “non sul<br />
sociale, ma sul fisico” sulla base di un atavismo biologico<br />
precedentemente sconosciuto”. La ricerca di Lombroso,<br />
Niceforo, Orano, Sergi ed altri minori, si concentrava su una<br />
serie di aspetti particolari dell’individuo, quali<br />
- la misura del cranio;<br />
- il peso del corpo;<br />
- l’esame dei capelli;<br />
- l’esame dei denti;<br />
- l’esame della cute;<br />
- l’esame dei peli;<br />
- l’esame delle unghie;
- l’esame delle orecchie;<br />
- l’alterazione della sensibilità.<br />
E sulla fisionomica, per cui i ladri avrebbero:<br />
- La mimica facciale mobilissima;<br />
- l’occhio piccolo errante, mobile, obliquo;<br />
- sopracciglia folte e ravvicinate;<br />
- naso torto e camuso;<br />
- barba scarsa;<br />
- fronte piccola e sfuggente.<br />
Gli omicidi, invece, avrebbero:<br />
- sguardo freddo ed immobile;<br />
- occhio sanguigno;<br />
- naso sovente adunco o aquilino;<br />
- Mandibola robusta;<br />
- zigomi larghi;<br />
- capelli neri crespi ed abbondanti;<br />
- denti canini sviluppati;<br />
- labbra sottili.<br />
Quindi i biondi ed i calvi non possono essere indicati nel<br />
novero dei possibili omicidi.<br />
Nell’analisi dei fenomeni criminali e mafiosi, venivano<br />
emarginate le cause economiche e sociali e la vicenda storica di<br />
quelle terre e delle classi dirigenti che avevano esercitato il<br />
predominio. Il periodo storico particolare, in cui si veniva a<br />
collocare la teoria lombrosiana, inducevano a ripiegare nella<br />
facile e consolatoria conclusione che le radici erano le condizioni
climatiche, l’abitudine al bere, l’inferiorità razziale dei<br />
meridionali. Nel 1986, l’avvocato Ciraolo Hamnett parlando<br />
della criminalità a Napoli, avesse ed in particolare della<br />
criminalità femminile, era convinto che la donna napoletana<br />
avesse una certa cristallizzazione etnica, per cui gli istinti<br />
primitivi appaiono e trionfano come in nessuna delle altre donne<br />
italiane.<br />
Nella cultura del tempo, la teoria lombrosiana ebbe uno<br />
spazio enorme. Lombroso fu il personaggio più importante ed<br />
organizzò una vera e propria scuola avvalendosi di medici e di<br />
giuristi. Ebbe un ruolo importante, affascinando socialisti,<br />
fascisti ed intellettuali importanti, riuscì a penetrare negli<br />
apparati carcerari e polizieschi, dove i lombrosiani ricoprirono<br />
cariche di rilievo e responsabilità. L’analisi di costoro verteva<br />
sulla “natura del meridionale” descritto come barbaro, asociale,<br />
passionale, feticista poco attaccato ai genitori, allo Stato e alla<br />
polizia, violento e incolto.<br />
L’impostazione razzista di Lombroso, Sergi, Rossi, Sighele,<br />
fu fortemente contestata da Colajanni, Salvemini e Cicciotti.<br />
Anche al Nord protestarono, ma in forma più attenuata.
13. Inquadramento sociologico.<br />
Il sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, dopo una serie<br />
interminabile di fatti di sangue e di arresti, affermava che la<br />
situazione, lungi dal migliorare, andava sempre peggiorando.<br />
Tanta crudeltà, negli omicidi, non si era mai vista prima,<br />
nemmeno tra serbi e kosovari. Cosa fare e come fare per porre<br />
fine a tutto questo. Finora non è stato possibile capirlo, ma<br />
certamente ci vogliono più uomini dell’intelligence, e meglio<br />
attrezzati, con mezzi tecnologici all’altezza della situazione.<br />
Era il 2005. Appariva ormai a tutti chiaro che i clan<br />
camorristici uccidevano più della mafia, più della ‘ndrangheta,<br />
più della sacra corona unita. Un primato certamente non<br />
invidiabile da nessuno.<br />
In cinque secoli ognuno ha proposto le sue ricette, per<br />
fronteggiare la lievitazione continua del crimine campano<br />
organizzato, e le letture fornite in chiave sociologica non sono<br />
mancate.<br />
Se diamo uno sguardo agli elementi più insidiosi del<br />
fenomeno, notiamo che anche quando i gruppi criminali hanno<br />
saputo far tacere le armi non sono stati inerti: nel Novecento la<br />
camorra ha provocato più scioglimenti di Consigli comunali di<br />
tutte le altre mafie italiane. In 14 anni, ne sono stati sciolti 59.<br />
Per naturale tendenza e per acquisita forma mentale, oltre ad<br />
avvertire un senso di fastidio ogni volta che apprendiamo notizie<br />
di gesta criminali, ci auguriamo che venga attuata una stretta
epressiva in grado di eliminare definitivamente una specie<br />
d’infezione in un corpo tendenzialmente sano.<br />
Purtroppo al livello attuale non è più un’infezione, ma una<br />
malattia conclamata che non lascia più vedere qual è la parte<br />
sana.<br />
Occorrerebbe poter disporre di una sorta di reazione<br />
colorimetrica di quelle che si usano nei laboratori di biologia, una<br />
colorazione di Gram, gigantesca, da poter calare dall’alto e in<br />
base all’esito: Gram + oppure Gram -. Questo si tiene e l’altro si<br />
combatte, si getta.<br />
Forse è meglio che una cosa del genere non si possa fare,<br />
perché temo che dopo secoli di sopravvivenza e di esistenza,<br />
nell’ombra e nella penombra della società civile, il mal di<br />
camorra abbia infettato anche i soggetti apparentemente sani.<br />
Uno degli aspetti più preoccupante del fenomeno<br />
“criminalità organizzata” è quello dell’avvenuta riconfigurazione<br />
legale di molti centri decisionali (persone e gruppi) dell’attività<br />
criminosa.<br />
Alla luce di questi dati, il problema del rapporto tra<br />
organizzazioni criminali e apparati amministrativi e decisionali<br />
dello Stato, deve essere affrontato in modo diverso.<br />
Le connessioni tra criminalità organizzata ed istituzioni,<br />
avvengono quasi esclusivamente, attraverso imprese, società,<br />
studi professionali forniti di tutti i requisiti della legalità, e quindi<br />
hanno una capacità di intervento, anche direzionale, sempre più<br />
articolata e differenziata.
Senza nasconderci dietro le parole del salvatore di turno,<br />
dobbiamo dare per consolidato il principio che la camorra è<br />
funzionale alla sopravvivenza della Campania invasa.<br />
Progetti sulla legalità per sensibilizzare gli alunni delle<br />
scuole, nascita delle fondazioni con nomi di vittime innocenti<br />
della violenza dei clan, iniziative anti racket, tutte intese a<br />
scuotere l’intera società campana contro la camorra, sono<br />
iniziative che si devono fare, ma sono pannicelli caldi.<br />
13.1 Considerazioni sulla società campana.<br />
A molto di più non servono nemmeno i discorsi autorevoli e<br />
con le migliori intenzioni.<br />
Nell’imperversare della faida di Secondigliano, il presidente<br />
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi affidò un messaggio al<br />
quotidiano “Il Mattino”:<br />
“ Di fronte all’intensificarsi dei casi di criminalità, i<br />
napoletani non sono né rassegnati, né inerti: Questo è anche il<br />
mio stato d’animo, questo è il significato della mia presenza .<br />
Esiste un indubbio sociale ed economico, che coinvolge Napoli e<br />
l’intero Mezzogiorno. Napoli è in grado è in grado di affrontare<br />
questi problemi sulla base dei suoi valori, delle sue tradizioni,<br />
delle sue risorse. Ci vuole l’impegno di tutti: della cittadinanza,<br />
delle istituzioni centrali e locali, della Magistratura, delle forze<br />
dell’ordine, dell’imprenditoria. In una parola: dobbiamo anche in<br />
questo caso fare squadra […]. Dobbiamo ricreare quello spirito<br />
positivo nato dieci anni fa, in occasione del G7 […] (Napoli) è
una città che amiamo, che tutti gli italiani amano, che il mondo<br />
c’invidia. Sta in noi darle nuovo splendore”.<br />
Come risposta, una settimana dopo, a Secondigliano si<br />
ammazzavano di nuovo alla grande.<br />
A distanza di tre mesi Il “Washington post” scriveva, senza<br />
timore di smentite:<br />
“A Napoli imperversa una faida familiare. Se sei un<br />
gangster a Napoli, in questi giorni nemmeno tua mamma è al<br />
sicuro. […]. Negli ultimi cinque mesi, una serie di efferati<br />
omicidi ha dato nuovo significato all’adagio che ha reso famosa<br />
questa città sul mare “Vedi Napoli e poi muori”. Circa 135<br />
persone sono state uccise nella faida tra le organizzazioni<br />
criminali della città, circa 40 nelle vicinanze di Scampia,<br />
epicentro della violenza […]. Le predizioni sul declino della<br />
camorra sono state premature. Napoli è diventata la maggiore<br />
destinazione della droga e dei profitti che genera”.<br />
Mirabile descrizione di una situazione socialmente<br />
escrementizia.<br />
Non tiene conto però che il declino della camorra viene<br />
immancabilmente predetto da secoli e, per i ricordi più freschi,<br />
chi ci aveva provato a fondo, da Rattazzi a Mussolini, qualche<br />
risultato momentaneo lo aveva avuto, ponendo come si dice in<br />
sonno la camorra, mutuando il termine usato per la massoneria.<br />
E poi, l’ultima affermazione dovrebbe far riflettere.
Oggi, con la massa enorme e sempre in crescita di cittadini<br />
che fanno uso, sistematico e continuativo, di stupefacenti, è<br />
impensabile che il fatto logistico commerciale non trovi<br />
realizzazione dove il traffico illecito di sigarette tabacchi lavorati<br />
esteri è stato praticato, almeno in un certo periodo, con la<br />
benevola comprensione delle autorità.<br />
Infatti, in questa struttura che continua a canalizzare<br />
sempre i tabacchi lavorati esteri, è stata incanalata anche la<br />
droga.<br />
E per essere cattivi, il bisogno della droga, a quanto pare,<br />
non lo hanno solo i campani, ma anche tanti altri cittadini italiani.<br />
Così con la fornitura, a bun patt, a prezzo conveniente, del<br />
bene droga, vengono soddisfatti i bisogni di tutti i cittadini, non<br />
solo di quelli napoletani.<br />
Ma di questo non possiamo e non dobbiamo rallegrarcene.<br />
A proposito della descrizione del cronista, c’è da dire che<br />
l’articolo mirava a stimolare la conoscenza della versione<br />
napoletana della mafia, che esiste da tre secoli, con periodi<br />
contrasti e guerre che ne sono la norma.<br />
Le contraddizioni esistenti nella società napoletana, che non<br />
demerito e colpa del resto del Paese, emergono puntualmente<br />
quando esplode la guerra di camorra.<br />
Nello stesso ambito territoriale e sociale deve convivere di<br />
tutto: cultura e superficialità, benessere e miseria, connivenza e<br />
ribellione e, soprattutto, civiltà e barbarie.
Prima di rinunciare a capire fino in fondo la complessa<br />
realtà di Napoli e della provincia campana, è sempre utile<br />
studiare cos’è la camorra, com’è nata e cresciuta, ma tante cose<br />
che altrove sono solo paradossi a volte comici, in questa regione<br />
hanno un’altra valenza.<br />
La riflessione del Pm Giovanni Corona, ci aiuta a<br />
comprenderne le peculiarità:<br />
“C’è una circostanza che ha quasi il sapore di una beffa, di<br />
un feroce paradosso: la strada dove è stato arrestato Cosimo di<br />
Lauro si chiama via Miracolo a Milano, celebre film di Vittorio<br />
De Sica. A pochi passi c’è via Il Posto delle Fragole, pellicola di<br />
Ingmar Bergman. E ancora, sempre nel rione dei fiori a<br />
Secondigliano, c’è via dei Misteri di Parigi. Le strade di uno dei<br />
luoghi simbolo del degrado delle periferie rubano i nomi a film<br />
d’essai, libri d’autore, opere teatrali che sono punti fermi della<br />
nostra cultura. E il paradosso è che in questi quartieri non c’ è un<br />
cinema o un centro dove poter apprezzare, conoscere, scoprire<br />
questi capolavori”.<br />
A parte la fantasia, necessaria perché via Giuseppe<br />
Garibaldi o Mazzini, non si può piazzare dappertutto, e fare<br />
Garibaldi uno, due, ecc., se fosse solo per il furto dei nomi,<br />
senza) badare a spese, avvieremmo una causa di beatificazione<br />
ordine alfabetico per tutta la regione, privilegiando Bassolino e<br />
Rosa Russo Jervolino.<br />
Amato Lamberti, nel suo osservatorio sulla camorra,<br />
accanto all’individuazione di insufficienze strutturali del sistema
socio politico campano per fronteggiare il fenomeno camorra<br />
individua altre concause che agevolano ed hanno agevolato la sua<br />
affermazione.<br />
Dal mio punto di vista, dopo aver riflettuto su una<br />
situazione e su una condizione così complessa, ritengo che la<br />
permanente emergenza, non più endemica, (così oggi mi<br />
appare), possa essere curata soprattutto a parole.<br />
Con “meno fatti e più parole”, è l’espressione usata dal<br />
professor Luigi Maria Lombardi Satriani, dell’Università La<br />
Sapienza di Roma, senatore e membro della Commissione<br />
d’indagine sul fenomeno della mafia nella scorsa legislatura.<br />
Egli, nel contesto del discorso sulla possibilità di contrastare<br />
il fenomeno camorrista, rilevava la necessità di creare comitati di<br />
studio, di produzioni sistematiche sul tema, perché oltre a<br />
contrastare gli effetti dei comportamenti criminali, bisogna<br />
soprattutto individuarne le cause. E per fare questo occorre una<br />
specializzazione nell’osservazione delle associazioni malavitose,<br />
facendo un’analisi di più ampio respiro anche dei dati già in<br />
possesso degli inquirenti ma che vengono utilizzati per indagini<br />
circoscritte.<br />
Parlando di Napoli, l’idea dei comitati e delle commissioni,<br />
riporta alla mente addirittura quella di Saredo, la più acuta e<br />
completa, ma che alla luce dei mutamenti costituzionali<br />
intervenuti con le Regioni, va aggiornata mettendoci del nostro.<br />
La presenza di strumenti istituzionali, gestiti da politici<br />
infarciti di idee mal digerite e con una formazione
approssimativa e dilettantesca, e forse anche male intenzionati,<br />
annulla gli ipotizzati effetti positivi del decentramento<br />
amministrativo e dell’applicazione del principio di sussidiarietà<br />
tanto ridondante sulla bocca dei politici nazionali, soprattutto di<br />
Bassanini, (ai suoi tempi, s’intende), apparentemente convinti<br />
della bontà dei cambiamenti.<br />
I dubbi sulla bontà del decentramento amministrativo e di<br />
ogni altra specie, ordine e grado, sorgono proprio dal riscontro<br />
degli effetti perniciosi che tale cambiamento ha cagionato alla<br />
Società napoletana.<br />
I sociologi più attenti, e che vivono ed operano sul posto,<br />
come Amato Lamberti, hanno individuato, nell’incapacità di<br />
dirigere e controllare quel complesso di modificazioni avvenute<br />
nell’amministrazione pubblica, in conseguenza del<br />
decentramento politico-amministrativo e soprattutto all’aumento<br />
delle competenze degli Enti Locali, in ordine alla gestione dei<br />
programmi d’intervento e di spesa pubblica, una causa primaria<br />
di ampliamento e diffusione della criminalità organizzata.<br />
Le modifiche intervenute, hanno fatto diventare<br />
determinante il controllo delle amministrazioni locali e degli<br />
organismi decentrati di decisione politica e amministrativa per la<br />
quantità di denaro gestita, ma anche per le possibilità offerte di<br />
dirigere a fini utilitaristici il processo di decisione politica.<br />
L’intervento pubblico, con enormi risorse, ha consentito e<br />
consente, alle grosse organizzazioni criminali stabilmente<br />
infiltrate nelle strutture amministrative locali, di moltiplicare gli
intrecci tra crimine organizzato ed amministrazioni locali,<br />
rendendo sempre più inquinata la vita politica ed economica.<br />
Inoltre, la lotta per l’aggiudicazione di appalti edilizi,<br />
ospedalieri, scolastici, provvidenze al commercio, incentivi<br />
all’industria, attività di servizi di gestione, attivano una<br />
conflittualità sempre accesa tra le organizzazioni criminali, con<br />
un aumento del livello di pericolosità sempre più elevato.
13.2 Le età della vita.<br />
Dalle società primitive a quella contemporanea, le età della<br />
vita vengono suddivise in tre periodi: infanzia, età adulta,<br />
vecchiaia.<br />
Storicamente, le società tradizionali sono caratterizzate da<br />
una minima mobilità sociale, per cui i genitori educano i figli a<br />
succedergli, senza preoccuparsi della loro elevazione sociale.<br />
La società, suddivisa per classi, appare ordinata secondo<br />
l'età, e quindi una persona emerge come un sughero nell'acqua.<br />
Basta aspettare. È solo una questione di tempo.<br />
Nel tempo le cose sono decisamente cambiate, e lo sviluppo<br />
individuale dei figli trova uno spazio decisamente maggiore.<br />
Nella prima metà dell’Ottocento i bambini delle classi<br />
povere lavoravano a fianco degli adulti, tanto da poter essere<br />
impegnati in miniera.<br />
La comparsa di macchine in grado di svolgere un numero<br />
sempre più ampio e specifico di mansioni e la scolarizzazione<br />
obbligatoria, furono i fatti nuovi che consentirono di allontanare i<br />
più giovani dal mondo del lavoro.<br />
Nel 1968 Kenneth Keniston notava “che l’economia non<br />
richiede più l’opera dei fanciulli, degli adolescenti e, mano a<br />
mano che si va avanti, dei postadolescenti”.<br />
Tenere lontano i giovani dal mercato del lavoro rappresenta<br />
“un netto guadagno sociale, giacché permette un impiego più<br />
prolungato dei più anziani e consente ai giovani di apprendere “le<br />
capacità altamente tecnologiche richieste per mantenere il<br />
benessere”.
In una società che cambia con un dinamismo crescente, il<br />
prolungamento dell'attesa, prima dell'inserimento nel ruolo<br />
sociale più idoneo alle caratteristiche individuali, consente<br />
un'istruzione superiore più valida e permette un'analisi più<br />
completa del sistema nel quale si desidera trovare una stabile<br />
collocazione.<br />
Per una parte rilevante della popolazione, a Napoli, il<br />
processo di trasformazione sociale, a partire dall'ambito<br />
familiare, non ha conosciuto grandi mutamenti.<br />
Pare fermo all'inizio del Novecento, insensibile alla spinta<br />
futurista che propugnava una nuova estetica e una concezione<br />
della vita fondata sul dinamismo e sul progresso, recidendo il<br />
rapporto di continuità con le generazioni precedenti.<br />
Una parte della popolazione giovanile, conquistata dal<br />
progresso e dal cambiamento, ha acquisito quel bagaglio<br />
culturale estraneo alle generazioni precedenti, fatto di linguaggi e<br />
strategie.<br />
Il principio della non trasmissione generazionale è rimasto<br />
estraneo all'altra parte della popolazione, più gracile<br />
culturalmente ed angustiata dalla patologica carenza persino dei<br />
beni di sussistenza.<br />
Per loro, la struttura criminale camorristica offriva ed offre<br />
la più alta possibilità di affermazione e sopravvivenza.
13.3 Lo sviluppo diseguale.<br />
Il forte disagio sociale, aggravato dalla crisi economica<br />
globale, accresce, anche se non ce n'era proprio bisogno, la<br />
capacità della Camorra di permeare il tessuto sociale.<br />
con una aggressività particolarmente alta nelle zone dove la<br />
dispersione scolastica, la disoccupazione, il degrado del<br />
territorio, causano un'alta devianza minorile.<br />
In questo contesto, facile risulta l'arruolamento di adepti<br />
destinati dapprima nelle attività di manovalanza per essere<br />
inseriti, al termine di un periodo di osservazione e di prova delle<br />
loro capacità criminali, nell'organico della camorra.<br />
Naturalmente tutti gli ambiti di crescita del soggetto minore,<br />
che non rispondono all'esigenza della sua formazione sociale e<br />
morale, rappresentano bacini di approvvigionamento della<br />
malavita.<br />
Quando il bambino ha la sventura di nascere in una famiglia<br />
malavitosa, viene sottoposto ad un addestramento “full<br />
immersion” per l'esercizio dell'attività criminale, fin dalla prima<br />
infanzia.<br />
In questi casi l'assimilazione di linguaggio, gesti,<br />
comportamenti ed azioni violente, consente una più precoce e<br />
proficua utilizzazione operativa.<br />
E questa, da sempre, è la via più praticata.
Il camorrista mancato.<br />
Le cronache del maggio 2009, riportano le vicende della<br />
famiglia camorristica Orefice.<br />
Il camorrista ergastolano Giuseppe Orefice, capo<br />
dell'omonimo clan, dal carcere di Cuneo dov'è recluso in regime<br />
di 416 bis, il carcere duro, scrive al figlio primogenito Giovanni,<br />
ventitreenne.<br />
“Caro Peppe, come stai? Mi auguro di trovarti in ottima<br />
forma. Sia essa fisica che morale, come ti assicuro di me.<br />
Come vedi è da molto che non ti scrivo, ma come quasi<br />
sempre neanche tu scrivi neppure un rigo. Ma ciò non cambia<br />
niente, perché io ti voglio un gran bene. Forse tu non lo sai, ma io<br />
sono orgoglioso di te”.<br />
Vien subito da pensare: ma che carino! Un padre amorevole<br />
ed attento nei confronti del figlio lontano, in Campania, a Pollena<br />
Trocchia.<br />
Ma non è così. La lettera è una specie di decreto di nomina:<br />
un 'investitura di capo camorrista.<br />
Oltre all'incarico, conferisce al figlio il suo nome, Peppe,<br />
perché da quel momento dovrà essere come lui. Più precisamente<br />
dovrà impersonarlo non solo nel nome ma anche nei fatti, ai<br />
vertici del clan camorristico.<br />
Dovrà fare il capo, come il padre quando era in libertà.<br />
Dovrà dare ordini ai gregari, decidere le strategie, le alleanze.<br />
Stabilire l'attività degli associati. Premiare i meritevoli e gli<br />
obbedienti; castigare chi dissente oppure eliminali fisicamente.
associati.<br />
Un capo che dispone della vita e della morte dei suoi<br />
La lettera continua:<br />
“Prima di tutto da ora in poi ti chiamerò Peppe e dirò agli<br />
altri familiari di fare lo stesso perché prenderai il mio posto in<br />
famiglia”.<br />
S'intende, naturalmente, il posto nella famiglia camorristica,<br />
il clan.<br />
Fin qui le disposizioni di tipo enunciativo.<br />
Segue la parte più propriamente operativa:<br />
“Ora in questa mia voglio parlare con te più apertamente,<br />
perché sei un uomo e non più un ragazzino e per tale so che ti<br />
comporterai da Uomo ok?<br />
Devi continuare ad allenarti e dare tutto te stesso in<br />
allenamento e in partita, giocando per la squadra e con la<br />
squadra. Anche gli altri dovranno avere fiducia in te e tu in loro.”<br />
Questa, sostanzialmente, è la parte riservata alle<br />
raccomandazioni comportamentali: indicano una via ed un<br />
metodo nell'impegno costante, sistematico (allenarsi sempre),<br />
generoso e totale ( dare tutto te stesso in allenamento e in partita),<br />
ed il rispetto delle regole e delle persone.<br />
Prosegue poi con :<br />
“Ti dissi che ti regalavo il mio bracciale che ho sempre<br />
portato sul braccio destro da quando ero giovane e che in tanti<br />
avrebbero voluto. Appena ci vedremo dirò subito a tua madre di<br />
prenderlo e regalartelo”.<br />
Questa è la parte premiale.
Ed è anche quella più densa di significati emotivi.<br />
Il suggello di un patto d'onore è un premio.<br />
Ma non un premio qualsiasi.<br />
È il “suo” bracciale, simbolo del potere di capo camorra.<br />
È come la cessione di una parte del suo organismo, il fluire<br />
palpabile di una prerogativa unica ed irripetibile: l'autorizzazione<br />
all'esercizio del potere, lo scettro del comando.<br />
Ed è anche la pretesa di trasmettere uno stile di vita, quello<br />
del camorrista.<br />
Il profilo psicologico di un uomo, che aspira alla continuità<br />
della sua attività criminale, attraverso una specie di cordone<br />
ombelicale familiare è il segno dell'appartenenza ad un campo,<br />
quello sbagliato.<br />
Da questo tentativo di incoronazione non si comprende se il<br />
soggetto considerato<br />
ha coscienza della illiceità del suo operare.<br />
Forse è talmente assuefatto al suo “mestiere”, che il dubbio<br />
non lo ha mai sfiorato.<br />
Coloro i quali immaginavano un andamento lineare e<br />
consueto nel trapasso del potere, in questa occasione sono stati<br />
delusi.<br />
Nell'ambiente di mafia, in Sicilia, per indicare le<br />
caratteristiche personali, si parla di “qualità di persona”.<br />
Giovanni Orefice, figlio del capo camorrista Giuseppe, è<br />
una persona di grande qualità.<br />
First Quality, come dicono gli anglosassoni.<br />
Non ha avuto dubbi.
Aveva già fatto una scelta di campo, andando a vivere<br />
lontano da Napoli, onestamente.<br />
Non sarà l'unico, ma quanti figli di camorristi avrebbero<br />
fatto questa scelta?
13.3 Condizioni di miseria e di impotenza.<br />
Sergio Nazzaro, nel suo libro “Io, per fortuna c’ho la<br />
camorra” racconta della morte di Giovanna Curcio, una<br />
quindicenne arsa viva in uno scantinato, mentre confezionava<br />
materassi.<br />
Retribuzione giornaliera, 15 euro al giorno e nell’esercizio<br />
di queste attività<br />
Nel Sud, gli scantinati adibiti a fabbrica, sono una regola.<br />
Un ambiente così angusto e penalizzante, lo avevo riservato,<br />
nella mia mente, solo ai cinesi, minuti ed adattabili un pò come le<br />
blatte. Sopravvivono a qualsiasi ambiente.<br />
Ma la realtà che emerge da un’indagine più approfondita, è<br />
semplicemente scoraggiante.<br />
L’unica differenza tra i lavoratori indigeni e quelli cinesi, è<br />
quella che quando i cinesi muoiono non te ne accorgi perché<br />
vengono subito sostituiti. I morti vengono impilati nei containers<br />
- per far ritorno, così credono, pagando una tassa mensile di<br />
rimpatrio alla terra dei padri - ma prima depositati nel porto, in<br />
attesa di raggiungere il quantitativo ottimale per il trasporto.<br />
È accaduto in un piazzale del porto di Napoli che,<br />
inavvertitamente, uno di questi containers si sia aperto, perdendo<br />
gli ospiti stipati come stoccafissi, prontamente recuperati e<br />
risistemati.
I napoletani che muoiono sul lavoro hanno, nei confronti dei<br />
cinesi, un privilegio: i familiari li possono piangere subito e fare<br />
le tradizionali onoranze funebri.<br />
In un’epoca in cui il concetto di ergonomia diviene parte<br />
integrante del “fare”, è avvilente che nell’esercizio di queste<br />
attività ipogee, le autorità comunali, pagando il dovuto, hanno<br />
l’ardire di rilasciare regolari concessioni.<br />
Qualcuno riesce a trovare in queste situazioni e condizioni<br />
disperate, anche un aspetto positivo: hanno una grande utilità<br />
pratica, perché si nascondono alla camorra.<br />
Nel senso che il titolare paga sempre il pizzo ma, siccome è<br />
difficile stimare il lavoro quantitativamente svolto, è più facile<br />
nascondere gli utili, anche alla camorra.
14.0 Assuefazione<br />
Se per assuefazione intendiamo la mancanza assoluta di<br />
reazioni di disgusto per ogni ammazzamento e per ogni eclatante<br />
azione fatta da qualche folle totale, allora questa non esiste.<br />
Ma se intendiamo parlare dell’attività giornaliera di un<br />
cittadino normale, che per comodità chiamiamo Ciro, costretto a<br />
vivere in una società che di camorristico dovrebbe avere solo<br />
qualche inquinamento, perché la società civile sana dovrebbe<br />
essere la parte più consistente, e invece come abbiamo visto dalle<br />
dichiarazioni del professor Lombardo Satriani, nella città di<br />
Napoli, il 70% delle attività commerciali legali deriva da capitali<br />
riciclati, e che le attività sono gestite da affiliati alla camorra,<br />
vuol dire che nel suo muoversi o peregrinare per la città, se visita<br />
i negozi gira quasi sempre a casa di malavitosi.<br />
Se invece staziona in qualche ambito privato o pubblico,<br />
supposto sempre che quando esiste un movimento di denaro<br />
l’interesse della criminalità organizzata si può realizzare nel 70%<br />
dei casi, a parte il tempo che trascorre tra le mura domestiche,<br />
fuori, potrebbe capitare che il 70% del suo tempo lo passi in un<br />
ambiente camorristico.<br />
Alla sera, quando Ciro torna a casa, a parte i rodimenti<br />
personali, che possiamo definire fisiologici, se non ha avuto<br />
occasioni di contrasto, che a volte possono capitare anche per<br />
futili motivi, e anche se si imbatte in qualche discussione animata<br />
fra terzi, che potrebbero essere, appunto, camorristi, non<br />
manifesterà particolari reazioni di disagio.
Assuefazione psicologica.<br />
Se invece di Ciro, con le conoscenze che abbiamo acquisito<br />
in merito, anche senza voler assumere particolari forme di difesa<br />
psicologica, ogni volta che entriamo in uno dei negozi che ha<br />
visitato il nostro soggetto napoletano, o stazioniamo in un ambito<br />
pubblico o privato uguale a quello descritto sopra, e ci<br />
imbattiamo in una discussione come quella citata, a sera, quando<br />
torniamo a casa o in albergo, siamo presi da uno sturbo che<br />
fisiologico non è.<br />
Ciò vuol dire che lui è assuefatto e noi no.<br />
Quanto poi alle modifiche psicologiche, oggetto di studio<br />
soprattutto da parte di istituzioni che si occupano di indagare<br />
sugli effetti, negativi o positivi, che un certo ambiente -<br />
sicuramente diverso da quello che noi e la maggior parte degli<br />
abitanti del pianeta siamo abituati a frequentare - può generare<br />
nella psiche umana, è appurato che esse esistono, si verificano, e<br />
non sono sempre di segno negativo ai fini pratici.<br />
Sono note in proposito le indagini scientifiche condotte da<br />
medici interessati alla cura della salute dei soldati italiani<br />
impegnati in tutte le zone dove, anche se non sono in corso<br />
conflitti continuativi, occasionalmente si può attivare il<br />
combattimento.<br />
Il fatto che la lotta non è attiva tutti i giorni, continuamente,<br />
non deve far ritenere che i motivi ansiogeni e di insicurezza cui<br />
sono sottoposti i soggetti interessati, siano assenti.
E se non sono maggiori, sono perlomeno uguali.<br />
Tra i soldati italiani impegnati in queste aree ad elevato<br />
rischio, una quota molto alta proviene dalle zone inquinate dalle<br />
mafie.<br />
L’adattamento psicologico acquisito, soprattutto da soggetti<br />
originari del territorio campano, li rende più idonei anche alla<br />
lotta armata regolare.<br />
Gli psicologi evoluzionisti sostengono che la mente<br />
dell’uomo moderno è la stessa degli uomini dell’età della pietra,<br />
ma è sicuramente sbagliato, perché si è dovuta adattare prima<br />
all’agricoltura e poi alla vita urbana, così come è accaduto per la<br />
continua evoluzione fisiologica di adattamento.<br />
E poi, una delle conoscenze ereditate da Darwin è che la<br />
mente umana si è evoluta con un processo adattativo.<br />
Assuefazione fisica.<br />
Più che di assuefazione fisica dobbiamo parlare di<br />
cambiamenti fisici collegati al mutato equilibrio psicologico,<br />
indotti dall’ambiente.<br />
Gli studi di cui sopra menzionati hanno consentito di<br />
appurare che i giovani provenienti dalle zone dove il conflitto<br />
della malavita organizzata è più attivo, hanno subito una<br />
mutazione genetica che ha prodotto un minore sviluppo di una<br />
parte del muscolo cardiaco, che li rende meno fragili e più idonei<br />
al conflitto armato regolare.
Assuefazione ed adattamento ad un ambiente criminogeno<br />
permanente.<br />
A 150 anni dalla pubblicazione dell’origine delle specie, e a<br />
200 anni dalla nascita del grande naturalista, la teoria di Charles<br />
Darwin, è più attuale che mai.<br />
Le prove: a Kabul, partendo da Napoli.<br />
14.3 Assuefazione biologica.<br />
L’assuefazione biologica, così come viene comunemente<br />
intesa, è la risposta degli organismi viventi agli stimoli<br />
dell’ambiente, protratti nel tempo.<br />
E la risposta non può che materializzarsi con modifiche<br />
genetiche atte a rendere l’individuo più idoneo a vivere<br />
nell’ambiente circostante.<br />
Si manifesta all’esterno con l’assuefazione psicologica e<br />
quella fisica.<br />
Quella biologica determina in maniera permanente le<br />
manifestazioni psicologiche e fisiche, stante il cambiamento che<br />
si verifica nel genoma.
15.0. Statistica della criminalità camorristica.<br />
Un dato, che da solo potrebbe aprire e chiudere<br />
l’argomento, ci viene fornito dagli Atti parlamentari delle<br />
Camere della XIII legislatura.<br />
Il relatore, senatore Satriani, antropologo, che abbiamo già<br />
conosciuto nel capitolo riguardante l’analisi antropologica,<br />
riferisce che nella sola città di Napoli si presume che il 70% delle<br />
attività commerciali siano gestite da imprenditori delle holding<br />
criminali, e che il controllo amministrativo sulla regolarità di<br />
molti servizi è carente o del tutto inadeguato.<br />
Però possiamo già fare alcune considerazioni.<br />
Se le attività commerciali, regolari, lecite, affondano le loro<br />
radici nel terreno finanziario camorristico invisibile, non si<br />
capisce cosa potrebbe fare anche un servizio efficiente ed<br />
adeguato alle funzioni da svolgere.<br />
Il problema, a riciclaggio del denaro avvenuto, non è più<br />
tale: è solo un enunciato sterilizzato, perché non avendolo<br />
affrontato nei modi e soprattutto nei tempi opportuni, non ci si<br />
può fare più nulla.<br />
Concordemente viene ritenuto che la camorra è insieme<br />
causa ed effetto del degrado della città di Napoli.<br />
Tenendo conto del fiume di denaro che, ripulito, viene<br />
immesso in attività commerciali o produttive lecite, il compito di<br />
chi deve fare qualcosa deve cominciare prima; prima che si formi<br />
la ricchezza illecita.
Si deve cominciare a livello operativo, impedendo che si<br />
estorca denaro a chi lavora e non ne può più, che non si venda la<br />
droga, che non si vendano le sigarette di contrabbando, che non<br />
ci si prostituisca, o perlomeno non si sfrutti la prostituzione, che<br />
non si pratichi l’usura, che non si commercino le armi, i prodotti<br />
contraffatti, ecc.<br />
Ci fermiamo qui, non perché non ce ne siano altri, ma per<br />
non superare i dieci Comandamenti.<br />
Tornando alle statistiche, i dati dell’attività criminale che<br />
creano più disagio immediato, sono quelli legati ai fatti di<br />
sangue.<br />
La caratteristica organizzazione della camorra cittadina<br />
frammentata, non verticistica, organizzata per clan o famiglie<br />
camorristiche, proprio perché il numero dei clan raggiunge le 200<br />
unità, si regge su equilibri di potere che in un ambiente caotico<br />
obbediscono a una specie di miracolo permanente, perché ci<br />
scappa meno di un morto al giorno.<br />
C’è chi vuol fare sempre riferimento alla mafia, a Cosa<br />
Nostra; ma è un’altra cosa.<br />
Sono convinta che se Riina o Provenzano avessero avuto<br />
un’attività nell’area urbana di Napoli, solo perché parlavano poco<br />
avrebbero passato la nottata, altrimenti…<br />
Le 200 famiglie camorristiche, con migliaia di affiliati, nello<br />
svolgimento quotidiano (diurno e notturno) dell’attività<br />
“lavorativa”, nel corso degli anni, hanno dovuto affrontare anche<br />
tanti contrasti che sono sfociati in fatti di sangue.
15.1 La quantità, una costante.<br />
Le notizie che apprendiamo giornalmente sulle famiglie<br />
camorristiche, nonostante piccoli cambiamenti, ci danno l’idea di<br />
una continuità e di una conservazione numerica nel tempo<br />
pressoché intatta, come si può rilevare dalla descrizione delle<br />
caratteristiche dei clan associati e della loro collocazione<br />
geografica. Una attività costante e con ammazzamenti variabili in<br />
modo continuo, ma entro un certo campo.<br />
Per non tirare fuori i dati degli omicidi a Napoli e provincia,<br />
dalle origini ai tempi nostri, cominciamo dal 1980.<br />
_____________________________________________<br />
Anno: 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986<br />
Morti: 134 193 264 204 155 155 107<br />
Anno: 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993<br />
Morti. 127 168 228 222 223 160 120<br />
Anno: 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000<br />
Morti: 115 148 147 130 132 91 118<br />
Anno: 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007<br />
Morti: 80 63 83 139 90 97 121<br />
Anno: 2008 2009<br />
Morti: 67 22<br />
________________________________________________
Il fronte delle alleanze e dei conflitti, oltre all’attività<br />
economica, è sempre attivo.<br />
Se in una determinata zona, dove il clan esercita la sua<br />
attività, il suo potere viene messo in discussione da un altro clan,<br />
il contrasto si risolve quasi sempre con omicidi e agguati<br />
intimidatori. I dati sopra riportati, evidenziano che nel periodo<br />
considerato il numero di omicidi non è mai sceso sotto le 63<br />
unità e non ha mai superato i 264 morti. Nell’ambito di uno<br />
stesso clan, se alcuni componenti rivendicano una loro autonomia<br />
e si mettono in proprio, negando di fatto una parte degli introiti al<br />
capoclan, la faccenda si risolve sempre con le armi.<br />
Accadde nel 2004-2005, con la faida di Scampia, nel clan<br />
Di Lauro, del boss Paolo Di Lauro, detto Ciruzzo ‘o milionario.<br />
Nelle aree di maggiore interesse economico, non si contano<br />
le frizioni e le contese tra decine di gruppi. Tra il 2005 ed il<br />
2006, scoppiò la guerra tra il clan Misso del rione Sanità ed<br />
alcuni scissionisti capeggiati dal boss Salvatore Torino, vicino al<br />
clan di Secondigliano, e che causò 15 morti. La zona più<br />
oppressa dai gruppi criminali è quella a Nord della città. Tra i<br />
quartieri di Secondigliano, Scampia, Piscinola, Miano e<br />
Chiaiano, il cartello predominante è quello detto di<br />
Secondigliano, composto dalle famiglie Licciardi, Contini,<br />
Prestieri, Bocchetti, Bosti, Mallardo, Lo Russo e con gli stessi Di<br />
Lauro a fare da garanti esterni. Spesso per placare venti di guerra<br />
tra le diverse famiglie, gli uomini di Ciruzzo ‘o milionario, si
sono interposti tra i contendenti nelle liti sorte tra le famiglie per<br />
evitare esiti cruenti.<br />
Nelle zone centrali della città, centro storico, Forcella, è<br />
solida l’alleanza tra i clan Sarno, Misso e Mazzarella, che<br />
controllano tutta l’area Est di Napoli, dal centro della città fino a<br />
Ponticelli, facilitati dal crollo del clan Giuliano, di Forcella, i cui<br />
maggiori esponenti, i fratelli Luigi, Salvatore e Raffaele<br />
Giuliano, hanno cambiato mestiere: sono diventati collaboratori<br />
di giustizia.<br />
L’altra zona calda di Napoli, le zone del quartiere<br />
Montecalvario, note sotto il nome di “Quartieri Spagnoli”, oggi<br />
regna la calma, ma all’inizio degli anni novanta vi furono faide<br />
tra i clan dei Mariano, detti i picuozzi, e dei Di Biasi, detti i<br />
faiano, e tra lo stesso gruppo Mariano e un gruppo interno di<br />
scissionisti, capeggiati dai boss Salvatore Cardillo, detto<br />
Bekenbauer, e Antonio Ranieri, detto Polifemo, morto<br />
ammazzato. La calma attuale è agevolata anche dal fatto che i<br />
boss storici sono stati arrestati o ammazzati.<br />
Anche la zona occidentale della città è sottoposta alla<br />
pressione di un numero consistente di clan camorristici.<br />
La zona più calda comprende i rioni Traiano, Pianura,<br />
Bagnoli ed il quartiere Vomero, per anni considerato quartiere -<br />
bene della città e considerato immune dalle azioni dei clan. Oggi<br />
questa zona è preda di almeno quattro clan in guerra fra di loro, e<br />
in più vi sono orde di ragazzini provenienti da altre zone della
città che di notte, aggregati in baby gang, si recano in quella zona<br />
per compiere rapine e violenze di ogni genere.<br />
Nella zona di Fuorigrotta, Bagnoli, Agnano e Soccavo,<br />
domina il cartello Nuova Camorra Flegrea, oggi indebolito da<br />
decine di arresti con il blitz delle forze dell’ordine messo a segno<br />
nel 2005, a seguito delle rivelazioni del collaboratore di giustizia<br />
Bruno Rossi, detto il corvo di Bagnoli.<br />
A Pianura, in passato, c’è stata la faida tra i clan Lago -<br />
Contino - Marfella, che ha provocato tanti omicidi, compresi<br />
quelli di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, appena ventenni, uccisi<br />
per errore da un gruppo di fuoco del clan Marfella, perché<br />
stazionavano sotto la casa di Rosario Marra, genero del capoclan<br />
Piero Lago, ed erano perciò considerati “sospetti”.<br />
Numerosi sono i comuni della Provincia in mano ai gruppi<br />
camorristici, sia per le tradizionali attività di estorsione, usura,<br />
traffico di droga, sia per l’attività delle amministrazioni comunali<br />
e le decisioni politiche. A conferma dell’inquinamento<br />
camorristico in atto, i comuni sciolti per infiltrazioni<br />
camorristiche, sono numerosi. La zone più sottoposte al potere<br />
camorristico è quella che comprende i comuni di Castellammare<br />
di Stabia, Torre del Greco, Torre Annunziata, Somma Vesuviana,<br />
San Giuseppe Vesuviano e San Gennaro Vesuviano.<br />
Tra le altre province della regione, l’unica concorrenziale<br />
con la Provincia di Napoli, in fatto di criminalità organizzata, è<br />
Caserta, dominata dal clan dei Casalesi, un cartello con attività<br />
malavitose esercitate anche a livello internazionale (come hanno
potuto accertare la Direzione Investigativa Antimafia e La<br />
Direzione Distrettuale Antimafia di Caserta e Napoli), che vede<br />
unite nella gestione dei loro affari, le famiglie camorriste<br />
Schiavone e Bidognetti, che hanno ereditato il potere di Antonio<br />
Bardellino, accoppato in Brasile, e dalle altre famiglie alleate che<br />
fungono da referenti per le altre province.<br />
La giustizia in questi ultimi tempi ha intensificato gli arresti<br />
di gruppi di appartenenti al vari clan, come nel caso di Vincenzo<br />
Licciardi, considerato capo dell’alleanza di Secondigliano,<br />
avvenuto il 7 febbraio 2008. Nel mese di giugno del 2009, sono<br />
stati arrestati numerosi esponenti del clan Vollaro di Portici.<br />
La ferocia nel delitto, un’eredità dell’antica Grecia.<br />
Più precisamente, la ferocia negli ammazzamenti è un<br />
insieme di elementi ereditari lasciati dai popoli mediterranei, dai<br />
Greci, dai Cartaginesi dai Fenici, dai Romani e da tutte le<br />
popolazioni dell’Italia Meridionale ed Insulare che hanno<br />
tesaurizzato queste usanze. Basta fare mente locale alla geografia<br />
del crimine in Italia, ed alle modalità di esecuzione, per rendersi<br />
conto che tra mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita,<br />
esiste un monopolio del crimine, che viene eseguito sempre con<br />
azioni eccedenti le necessità omicide.<br />
Senza andare tanto indietro nei tempi, si rievocare l’epoca di<br />
Raffaele Cutolo, della Nuova Camorra Organizzata, con una<br />
capacità criminogena operativa agghiacciante, dal cuore estratto<br />
dai corpi alla decapitazione del criminologo Aldo Semerari,
dall’uccisione del capo zona della NCO Alfonso Rosanova e<br />
della moglie che era sul procinto di fare denunce. Ma la cosa più<br />
insopportabile è la pretesa di poter nutrire pietà per un bimbo cui<br />
ha ammazzato papà e mamma, e dedicargli una poesia.<br />
Oggi tutti i gruppi di fuoco attivi in ogni zona della<br />
Campania, soprattutto nelle zone di Secondigliano, Scampia,<br />
ecc., quando fanno qualche “esecuzione”, sembra che vogliano<br />
fare letame dei corpi delle vittime, che non sono più solo<br />
avversari in grado di replicare, ma anche giovani donne e<br />
bambini.<br />
15.3 L’organizzazione “frattale”della camorra, elemento<br />
di resistenza ad ogni tentativo di cura legale.<br />
Siccome l’avevo sempre immaginata così, come i frattali del<br />
matematico Mandelbrot, una figura geometrica che si ripete tante<br />
volte quante se ne vuole, allo stesso modo, dopo aver indagato<br />
per tanto tempo sui documenti che ho avuto modo e necessità di<br />
consultare, per affetto alla definizione già stabilita nel titolo e per<br />
la convinzione che elasticizzando il concetto, un frattale spurio<br />
potrebbe andare bene. Sta di fatto che la camorra ha un suo<br />
tessuto, coerente a quello sociale, che non lo combatte ma lo<br />
parassita, e che non ammette disattenzioni o rallentamenti<br />
nell’azione di studio e di contrasto. Oramai il vecchio adagio<br />
“prevenire è meglio che curare” per la camorra non ha più valore.<br />
L’idea che alla fine si consolida, è che la camorra sia una specie<br />
di Organismo Geneticamente Modificato, fuoriuscito dal vaso di
Pandora, incautamente aperto, nel 1860, da don Liborio Romano,<br />
e che ha trovato nella società Campana, caratterizzata da<br />
contrasti e contraddizioni, da opulenza e miseria, l’humus più<br />
fertile per la sua crescita incontrollata.
17.0 Le donne di camorra.<br />
L’immagine ed il ruolo della donna all’interno<br />
dell’organizzazione camorristica ha subito un’evoluzione<br />
costante, attraverso vicende diverse ed alterne fortune, dalla<br />
donna con una posizione ancillare, comunque subalterna ai<br />
componenti maschili del gruppo malavitoso.<br />
Si parte da quando, non di rado, stando in una di quelle<br />
leggiadre trattorie che si vezzeggiano tra pergolati d’ellera e viti<br />
sul lido del mare o civettano con le loro belle verande candide e<br />
snelle, tra il denso frascame che profuma i colli partenopei,<br />
accade vedere ad una grande tavola appartata, sonante di risa, di<br />
bicchieri e di canzoni, una folla di popolani, i quali ad un tratto<br />
sorgono in piedi e uno per uno si recano a deporre, con religiosa<br />
compostezza, un bacio o due sulla fronte o sulle gote di un loro<br />
convitato, che resta seduto. Essi dicono che quello è il bacio<br />
fraterno scambiato con un cresimato di fresco con il compariello<br />
dell’anfitrione che presiede il banchetto: trattasi, invece, della<br />
cerimonia del battesimo di un neo camorrista o dell’esaltazione<br />
di uno di essi a un grado superiore. E non è improbabile che quel<br />
Singolare battesimo abbia avuto, qualche giorno prima, il<br />
preludio di un’abluzione di sangue.<br />
A tutte queste cerimonie non partecipano le donne, o se<br />
qualcuna ne è invitata per circostanze irrecusabili, essa ignora di<br />
che precisamente si tratti.
La donna è esclusa dalle fila regolari della camorra; essa è<br />
un oggetto di sfruttamento della malavita, uno strumento di essa,<br />
un cespite, non già un elemento essenziale.<br />
Se è moglie o figlia di camorrista, e riesce a carpire un<br />
segreto, è strettamente tenuta a custodirlo e se, per il peccato<br />
della loquacità, che è come l’essenza del suo sesso, si lascia<br />
andare ad imprudenze, allora è passibile di punizioni, che sono<br />
comminate dal frieno con la medesima severità contemplata per<br />
le‘nfamità degli uomini.<br />
L’immagine della donna “cespite” che viene fuori<br />
dall’applicazione del frieno, se non fosse per la sua antica e<br />
perversa intenzione di relegare un essere umano in un recinto<br />
culturale come soggetto economico, ci indurrebbe all’ira e al<br />
pianto, ora per allora.<br />
Ma a differenza della cultura camorrista e mafiosa che ci ha<br />
tramandato l’immagine della donna succube e vittima, la realtà di<br />
oggi mostra donne in grado di gestire il potere al posto dei mariti<br />
o dei fratelli.<br />
Non si sottopongono sempre al maschio di casa, ma spesso<br />
ne condividono il comando, prendono decisioni autonomamente,<br />
ne sposano le ideologie, spesso li aizzano l’uno contro l’altro, o<br />
arrivano al sacrificio estremo autonomamente, come Anna<br />
Vollaro, dell’omonimo clan, che per protestare contro il<br />
sequestro della sua pizzeria, ordinato dal Tribunale di Napoli, si<br />
uccise davanti ai poliziotti che erano intervenuti con un incarico<br />
preciso.
Inoltre, la donna, quasi a contraddire nella maniera più<br />
assoluta l’affermazione contenuta nella parte iniziale, e che forse<br />
ha impiegato molto più tempo per essere eradicato, che per il<br />
peccato della loquacità, che è come l’essenza del suo sesso, si<br />
lascia andare a imprudenze, nei casi più noti e, almeno per<br />
quello che si sa, le donne collaboratrici di giustizia, non solo<br />
sono pochissime, ma in confronto a certi canarini, mute sono.<br />
Le depositarie di segreti sono tante, come tante sono<br />
manager infaticabili e calcolatrici, sono femministe del crimine,<br />
furie disperate quando la polizia arriva per arrestare alcuni<br />
affiliati alla camorra a Scampia, ma anche altrove sempre più<br />
spesso.<br />
Sempre più spesso la camorra si affida alla loro voce, ma<br />
anche alla loro capacità imprenditoriale, al loro senso pratico e<br />
alla loro intraprendenza.<br />
La camorra vive di principi e di codici, e come tutte le<br />
società tribali, si fonda sull’appartenenza alla stessa “famiglia”.<br />
Il sangue materno identifica un clan, e la donna è prima di<br />
tutto madre, poi moglie e depositaria di valori, principi e<br />
tradizioni.<br />
Le donne di Vitaliano Brancati decidevano al posto degli<br />
uomini (ne sapeva qualcosa il povero “Don Giovanni in Sicilia”,<br />
costretto a emigrare a Milano per sottomettersi ai voleri della<br />
moglie) li costringevano ad abiurare amici e conoscenti,<br />
imponevano nuove regole di vita e li piegavano ai loro desideri.
Le donne di camorra, oggi, hanno saputo sostituirsi ai loro<br />
uomini, assumerne il ruolo e diventare veri e propri ”boss”.<br />
Sono in grado non solo di dare man forte ai loro uomini o ai<br />
loro figli ricercati dai carabinieri, ma anche di tessere al posto<br />
loro le trame di traffici illegali, del riciclaggio del denaro sporco,<br />
di dare ordini, di riscuotere il pizzo.<br />
Le donne di camorra muoiono, ma non si pentono mai.<br />
Tengono saldi i valori di cui si ritengono portatrici, e se un tempo<br />
erano proprio loro, le madri di famiglia a sostituire gli uomini in<br />
guerra, adesso sono queste matrone del ventunesimo secolo a<br />
gestire affari, portare armi, suddividere i compensi, quando gli<br />
uomini “pentiti” si trovano in carcere.<br />
Hanno anche un look sempre adatto alle varie occasioni:<br />
femmine fatali investito da sera e gioielli vistosi per i debutti in<br />
società; vedove a lutto con viso tirato e velo nero nelle aule dei<br />
tribunali; casalinga disperata, in vestaglia sgualcita nelle strade,<br />
di fronte alle divise.<br />
E la classe è femmina, ovunque e qualunque sia il fine da<br />
raggiungere:<br />
Ma tra queste indomite vestali si nascondono, in realtà, delle<br />
vittime, a cui la camorra ha lasciato un segno indelebile, un<br />
tatuaggio su tutta la pelle che non se ne andrà più via.<br />
Soprattutto per la rilevanza e la notorietà assunta nella scena<br />
criminale da soggetti come Pupetta Maresca, moglie e vedova di<br />
Pascalone e Nola, mitica femmina, ma pur sempre criminale, o
come Rosetta Cutolo, moglie del re della Nuova Camorra<br />
Organizzata.<br />
Per renderci conto dell’ampiezza del fenomeno del<br />
cambiamento del ruolo, dell’attitudine, delle mutate condizioni<br />
sociali, pur muovendosi sempre nello stesso strato malavitoso, è<br />
necessario passare in rassegna i casi più conosciuti che hanno<br />
occupato la scena camorristica in maniera decisa e continuativa.<br />
Donne in grado di compiere azioni criminali concorrenziali<br />
con quelle di uomini della peggiore risma.<br />
Eppure, una quota rilevante della società campana,<br />
dall’uomo della strada al giudice più affermato, specialmente nei<br />
confronti di Pupetta Maresca, riservarono un trattamento di<br />
favore ingiustificabile e fortemente discriminante, che<br />
rappresenta un’intrinseca approvazione dell’applicazione, in<br />
chiave moderna, del codice di vendetta.<br />
Come in una tragedia greca, anche per Pupetta Maresca,<br />
vedova di mano e pece, il ruolo di vestale implacabile della<br />
vendetta è esercitato senza intermediazioni, in prima persona.<br />
Alla luce del sole, senza tentennamenti, affronta ed uccide<br />
l’assassino di suo marito, in una specie di semplicistica<br />
applicazione algebrica delle regole del vivere civile: +1-1=0<br />
punto e a capo.<br />
Semplice.<br />
Si fa giustizia da sola.<br />
Ma questa non è giustizia, anche se il giudice, premettendo<br />
che “ella ha agito esclusivamente per amore e per desiderio di
giustizia, spinta a farsi vendetta da sola a causa dell’incerto<br />
andamento e delle lungaggini delle prime indagini” le infligge<br />
una pena ingiustificabilmente mite.<br />
E così, se qualcuno, buono o cattivo, ha voluto e potuto<br />
trarre insegnamento da questa sentenza, sicuramente ha<br />
imboccato, contromano, una strada a senso unico.<br />
Gli esperti hanno sempre affermato che le donne<br />
difficilmente uccidono, ma quando lo fanno sono più brave degli<br />
uomini nel cancellare le tracce del delitto.<br />
Evidentemente non è il caso della Maresca.<br />
Con l’avvento delle donne capoclan, possiamo affermare<br />
che il loro ruolo ancillare rivestito nel passato è definitivamente<br />
scomparso.<br />
Nella pianificazione delle strategie commerciali e nelle<br />
pubbliche relazioni, l’impostazione scelta dalle donne è quasi<br />
sempre vincente e, comunque, ha sempre un taglio più innovativo<br />
ed efficace.<br />
Tra le donne di camorra chiamate a rivestire un ruolo di<br />
primo piano c’è la piccolina, al secolo Maria Licciardi,<br />
dall’aspetto minuto, quasi gracile, riconosciuta capoclan, per<br />
meriti sul campo dell’omonima organizzazione camorristica.<br />
Probabilmente gli affari delle contraffazioni sono anche idea del<br />
fratello Pietro.<br />
Sta di fatto che i falsi trapani Bosch, costruiti in Hong<br />
Kong, e commercializzati in tutto il mondo, specialmente in
Brasile, Argentina, ecc. furono veramente tanti. Pari fortuna e<br />
dignità commerciale ebbe con la commercializzazione delle false<br />
macchine Canon, specialmente sul mercato francese.<br />
Di questa donna veramente capace di governare il clan, con<br />
piglio deciso, non va dimenticata la sua capacità di saper gestire i<br />
camorristi, anche quando l’incertezza e la durezza della lotta<br />
induce ad una riflessione di convenienza sulle scelte, soprattutto<br />
quella di decidere di diventare collaboratore di giustizia. La<br />
piccolina fu sempre capace di convincerei camorristi “in odore<br />
di pentimento” a cambiare idea, e a “rinsavire”.<br />
Oggi, Maria Licciardi, è detenuta nel carcere romano di<br />
Rebibbia, sottoposta al regime del 41 bis o.p., il carcere duro, cui<br />
sono quello riservato ai detenuti speciali.<br />
Però la prima donna ad essere condannata al carcere duro, è<br />
Lady Camorra, al secolo Teresa De Luca Bossa, capo<br />
riconosciuto dell’omonima organizzazione camorristica di<br />
Ponticelli.<br />
Un’altra donna, un’altra capoclan, una delle prime donne in<br />
Italia ad essere stata condannata per reati d’associazione mafiosa,<br />
è Anna Mazza, vedova di Gennaro Moccia, padrino di Afragola,<br />
ucciso negli anni ‘70, nota come la vedova nera della camorra,<br />
restò a capo del clan Moccia per oltre venti anni, fu la vera mente<br />
organizzatrice, capace di estendere e ramificare il suo potere<br />
ovunque girasse denaro.
Accusata di aver armato la mano del figlio tredicenne, per<br />
vendicare la morte del marito, venne assolta da questa accusa.<br />
Questa donna capace di gestire verticisticamente e<br />
imprenditorialmente l’organizzazione camorristica, senza<br />
ricorrere ad interventi di tipo militare, e di condizionare ogni<br />
ambito di territorio da lei egemonizzato, tanto che<br />
l’Amministrazione Comunale di Afragola venne sciolta per<br />
infiltrazioni cameristiche nel 1999, capì che il pregiudizio<br />
culturale dei boss nei confronti del mondo femminile gli<br />
consentiva una sorta d’impunità e ne approfittò.<br />
Anna Mazza camorrista, vendicatrice ed imprenditrice: il<br />
massimo. Inviata al confino coatto in un paesino nei pressi di<br />
Treviso, sottoposta a ferreo controllo, riuscì comunque a stabilire<br />
contatti per intessere legami con La Mafia del Brenta di Felice<br />
Maniero.<br />
Altra figura femminile leggendaria dell’empireo malavitoso<br />
campano è Rosetta Cutolo, la ricamatrice di Ottaviano, sorella<br />
del Professore, del Messia, il fanatico, il folle, il famigerato don<br />
Raffaele Cutolo, fondatore e capo unico indiscusso della Nuova<br />
Camorra Organizzata.<br />
E’ suo il merito di aver gestito, come un condottiero<br />
invisibile e silente, l’impero camorristico, sovente lasciato<br />
scoperto dal Capo, “per esigenze di forza maggiore”, anche se<br />
all’esterno la fedeltà assoluta al fratello poteva apparire, e tale da<br />
molti veniva considerata, un’attività ancillare, tipica della
mentalità di una parte dell’universo maschile meridionale, ancora<br />
fermo e pietrificato ai tempi del passaggio del cartaginese<br />
Annibale Barca.<br />
Cinica e dura, attenta ad ogni possibile inquinamento<br />
sentimentale esterno, ha manifestato una destrezza unica nella<br />
gestione del “prodotto illecito”.<br />
Uno spazio meritato, per la sua capacità di operare con un<br />
tocco di femminilità vincente, quello riservato ad un’altra<br />
papessa della camorra: Erminia “Celeste” Giuliano al timone<br />
dello storico clan di Forcella con la stessa feroce determinazione<br />
dimostrata dai “suoi uomini” prima che finissero in carcere o<br />
cadessero per mano nemica.<br />
Con un tocco di femminilità vincente specialmente quando<br />
in mezzo c’è il talamo familiare, può essere facile decretare la<br />
fine di aspiranti al comando.<br />
In questi ultimi tempi, la cronaca quotidiana, spesso carica<br />
di sfide mortali, presenta la ricorrente anomalia della difesa di<br />
malavitosi, posta in atto da gruppi di donne organizzate.<br />
Una folla urlante cerca di fare un cordone di difesa per i<br />
delinquenti, ostacolando le forze dell’ordine, mentre dalle<br />
finestre e dai balconi piovono sulle teste degli agenti oggetti di<br />
ogni tipo.<br />
A tutti noi rimane difficile capire comportamenti così<br />
dirompenti ed inusuali nella vita quotidiana della società civile<br />
conosciuta nel resto del nostro Paese.<br />
Ma qui siamo sempre nel nostro Paese?
Eppure, anche con questa liturgia criminale infinita,<br />
pensando a Napoli e ai suoi disastrati rioni, fatalmente e<br />
pietosamente, per una specie di inconscia associazione, mi<br />
ritorna in mente Ungaretti.<br />
Una magia stende il suo “San Martino del Carso” su Napoli.<br />
E sì che intatte ci son le case, ci sono i vivi; ma è sulle croci nel<br />
cuore che i conti non tornano. Sono più dei morti. Sono infinite.<br />
Napoli è la croce nel cuore di ognuno di noi<br />
17.1 Le altre donne di Napoli.<br />
Le mamme coraggio.<br />
Che sono tante.<br />
Che combattono come leonesse contro i mulini a vento di<br />
una società matrigna e ingiusta.<br />
Che le priva del diritto di vivere degnamente e serenamente<br />
gli affetti della propria famiglia.<br />
Che non beneficiano, come Pupetta Maresca della simpatia<br />
collettiva, perché ogni giorno il clamore che sollevano è solo<br />
quello del lavoro silenzioso ed onesto.<br />
Mamme coraggio che non guadagneranno un posto<br />
nell’immaginario collettivo di una società disattenta, ma la loro<br />
tenacia e la costanza di vivere una vita normale, in un luogo che<br />
normale non è, rappresenta il segno distintivo dei giusti e degli<br />
onesti.<br />
I soli, gli unici, che meritano la nostra considerazione.
20. Il filo rosso-sangue della camorra dalle<br />
origini ai tempi nostri.<br />
C’è un filo comune che lega le infinite personalità del<br />
popolo camorrista.<br />
Tutte le storie che ho conosciuto, da Cesare Riccardi, alias<br />
abate Cesare, a Salvatore De Crescenzo, ad Antonio Spavone, ai<br />
Giuliano di Forcella, Simonetti di Nola, Maisto di Giugliano,<br />
Michele Zaza, i fratelli Nuvoletta, Antonio Bardellino, gli<br />
Schiavone di Casal di Principe, Raffaele Cutolo, Carmine Alfieri,<br />
Enzo Casillo, Pasquale Galasso, Michele Zagaria, Mario<br />
Fabbrocino, Gennaro Licciardi, Antonio La Monica, Paolo Di<br />
Lauro e la schiera di giovani e meno giovani, donne e uomini,<br />
sono legate insieme da un filo rosso di sangue.<br />
Un rivolo, un fiume, un mare di sangue.<br />
E’ il loro modo di affermarsi e sopravvivere, sul sangue<br />
versato in maniera definitiva, perché dia vigore e prosperità al<br />
vincitore.<br />
Nel vernacolo napoletano, ti devo uccidere si dice “t’agge<br />
‘a stutà”; ti devo spegnere.<br />
Un verbo molto significativo. Anche Gabriele D’Annunzio,<br />
ne “La Fiaccola sotto il Moggio” usa l’espressione “e la candela<br />
si stuta” , si spegne, appunto.<br />
Ma nel Dizionario italiano non ebbe fortuna.
Con l’avvento del pentitismo, prende più corpo questa<br />
espressione, perché stutare assume più forte il significato di<br />
spegnere.<br />
Spegnere la voce perché chi potrebbe non parli.<br />
In questa “pratica” c’è anche la perpetuazione dell’uso<br />
ebraico della iugulazione.<br />
Il sangue, la linfa vitale, deve abbandonare il corpo affinché<br />
i suoi umori non infettino la carne, non la corrompano.<br />
Il pentitismo, il tramonto della coerenza e della dignità<br />
camorrista, dilaga come un fiume in piena.<br />
La coerenza comportamentale, una liturgia antica,<br />
nell’affrontare il pericolo e la morte, che aveva caratterizzato la<br />
storia camorristica, muta improvvisamente negli anni ’80.<br />
I camorristi, cavalieri indomiti con tante macchie, ma senza<br />
paura, diventano piccoli cavalieri con tante macchie e tanta più<br />
paura.<br />
Scoprono, improvvisamente, la loro vocazione al<br />
pentimento, alla collaborazione con la Giustizia.<br />
Analogamente ai loro compari della mafia, ai Buscetta,<br />
pionieri di questa pratica, “cantano” come canarini, e la<br />
segretezza che è elemento fondamentale della sopravvivenza<br />
della camorra, si frantuma in un attimo.<br />
I miti di quelli che hanno seguito e seguono le regole,<br />
resistono con un fascino sempre più vivo e sono ancora una<br />
massa, la maggioranza.
L’immagine dei Giuliano, dei Galasso, degli Alfieri e di<br />
tanti altri, i quali spontaneamente o perché agevolati dalla loro<br />
condizione di detenuti in carcere, decidono di fare le loro<br />
rivelazioni, si affloscia come un pallone bucato.<br />
Si annichila.<br />
Questa non è apologia della camorra.<br />
In tutta la storia, e negli eventi raccontati diffusamente, per<br />
cogliere l’essenza e la materia di quello stile di vita della<br />
camorra, che animava la mia ricerca, ho ritrovato una parte del<br />
disegno, una traccia di quel profilo morfologico che mi ero creata<br />
a priori.<br />
I contenuti di costume, di orgoglio, di passione, di<br />
teatralità, di romanticismo, di eccessi, di miseria, che<br />
permangono nel crogiuolo umano della Campania, sono un<br />
giacimento di risorse, che garantiscono lunga vita alla camorra,<br />
e non lasciano scampo alla fantasia del cittadino normale ed<br />
all’azione della Giustizia.
Fonti consultate.<br />
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- “Caro figlio, ora devi fare il camorrista”. Il clan Sarno di<br />
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Spadafora. Il Giornale,28 maggio 2009.<br />
SERENA ROBBA